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(The Expanse #1) James S. A. Corey - Leviathan Wakes
(The Expanse #1) James S. A. Corey - Leviathan Wakes
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Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Epilogo
Ringraziamenti
ISBN: 978-88-347-2998-4
Edizione ebook: giugno 2015
Titolo originale: Leviathan Wakes
© 2011 by James S. A. Corey
© 2011 by Daniel Abraham and Ty Franck
© 2015 by Fanucci Editore
via delle Fornaci, 66 – 00165 Roma
tel. 06.39366384 – email: info@fanucci.it
Indirizzo internet: www.fanucci.it
Published in agreement with the author,
c/o BAROR INTERNATIONAL, INC.,
Armonk, New York, U.S.A.
Proprietà letteraria e artistica riservata
Tutti i diritti riservati
Progetto grafico: Grafica Effe
Questa copia è concessa in uso esclusivo a
[customer_name] ordine numero: [order_number]
Per Jayné e Kat, che m’incoraggiano
a sognare di navi spaziali a occhi aperti.
Prologo
Julie
La Scopuli era stata presa otto giorni prima, e Julie Mao era
finalmente pronta a farsi sparare.
Le ci erano voluti otto giorni trascorsi rinchiusa in un ripostiglio per
arrivare a quel punto. Durante i primi due era rimasta immobile, certa
che gli uomini in armatura che l’avevano imprigionata lì dicessero sul
serio. Nelle prime ore, la nave su cui era stata portata non era in
accelerazione, per cui lei aveva fluttuato nel ripostiglio, usando
piccoli tocchi delicati per evitare di sbattere sulle pareti o sulla tuta
ambientale con cui condivideva quello spazio angusto. Quando la
nave si era cominciata a muovere e l’accelerazione le aveva
conferito un peso, Julie era rimasta in piedi in silenzio finché non le
erano venuti i crampi alle gambe, poi si era accovacciata in
posizione fetale. Aveva urinato nella sua tuta, senza fare caso a
quella tiepida, fastidiosa umidità o alla puzza, preoccupandosi
soltanto di non scivolare e cadere sulla pozza che aveva lasciato a
terra. Non poteva fare rumore. Le avrebbero sparato.
Il terzo giorno, la sete l’aveva spinta ad agire. Era completamente
circondata dai suoni della nave: il ronzio subsonico dei reattori e
della trasmissione meccanica; il sibilo e il battito costante degli
ammortizzatori idraulici e delle serrature di acciaio dei portelloni
pressurizzati che si aprivano e si chiudevano tra i ponti; il passo
pesante di grossi stivali che avanzavano sulle passerelle di metallo.
Julie aveva atteso finché tutti quei rumori non le fossero sembrati
distanti, poi aveva tirato giù dai ganci la tuta ambientale e l’aveva
adagiata sul pavimento del ripostiglio. Con l’orecchio teso per
cogliere eventuali rumori in avvicinamento, aveva smontato con
cautela la tuta e ne aveva estratto la scorta d’acqua. Era vecchia e
stantia; evidentemente non era stata usata né revisionata da
parecchio tempo. Ma Julie non beveva da giorni e quell’acqua
tiepida e argillosa nella sacca di riserva della tuta le era sembrata la
cosa più buona che avesse mai assaggiato. Imporsi di non mandarla
giù a grandi sorsate per evitare di vomitare le era costato un
notevole sforzo di volontà.
Quando aveva sentito di nuovo il bisogno di urinare, aveva tirato
fuori la sacca collegata al catetere della tuta e si era liberata. Poi si
era seduta sul pavimento – con la tuta imbottita da usare come
cuscino era quasi confortevole – e si era chiesta chi mai potessero
essere i suoi aguzzini: Marina della Coalizione, pirati... o magari
qualcosa di peggio. Di tanto in tanto era riuscita a dormire.
Il quarto giorno l’isolamento, la fame, la noia e il numero sempre
minore di posti in cui depositare i suoi bisogni, l’avevano finalmente
spinta a cercare un contatto con loro. Aveva udito delle grida di
dolore attutite. Da qualche parte, nelle vicinanze, stavano picchiando
o torturando i suoi compagni di equipaggio. Se fosse riuscita ad
attirare l’attenzione dei rapitori, magari l’avrebbero messa insieme
agli altri. Sarebbe stato un bene. Poteva sopportare le percosse. Le
era parso un piccolo prezzo da pagare, pur di poter vedere di nuovo
qualcuno.
Il ripostiglio si trovava accanto al portellone pressurizzato interno.
Durante il volo, quella normalmente non era una zona ad alta
percorrenza, benché Julie non sapesse niente di questa particolare
aeronave. Aveva pensato a cosa dire, a come presentarsi. Quando
finalmente aveva sentito qualcuno venire dalle sue parti, aveva
provato a gridare che voleva uscire da lì. Il rantolo secco che le era
uscito dalla gola l’aveva sorpresa. Aveva deglutito a forza, usando la
lingua per cercare di secernere un po’ di saliva, e aveva provato di
nuovo: un altro debole rantolo.
C’era della gente, appena fuori dalla porta del suo ripostiglio.
Aveva sentito una voce che parlava piano. Julie aveva caricato un
pugno per picchiare sulla porta, poi aveva udito quel che diceva la
voce.
«No. Vi prego, no. Vi prego, non fatelo.»
Dave. Il meccanico della sua nave. Dave, che collezionava brani
dei vecchi cartoni animati e conosceva un milione di barzellette,
stava implorando con voce rotta.
«No. Vi prego, no. Vi prego, non fatelo» aveva detto.
Gli ammortizzatori idraulici e i pistoni della serratura erano scattati
all’apertura del portellone interno. Poi un tonfo carnoso, come di un
corpo che veniva gettato dentro. Altri scatti quando avevano richiuso
il portellone. Un sibilo d’aria in estrazione.
Quando il processo di pressurizzazione del portellone era
terminato, la gente fuori dal suo ripostiglio se n’era andata. Julie
aveva evitato di attirare la loro attenzione.
Avevano ripulito la nave. Essere arrestati dalla marina di uno dei
pianeti interni era uno scenario decisamente indesiderabile, ma
erano stati tutti addestrati nel caso si presentasse quell’evenienza. I
dati sensibili dell’APE erano stati cancellati e sovrascritti con registri di
carico dall’aspetto innocente e bolle di accompagnamento false.
Qualunque informazione troppo sensibile per essere affidata a un
computer, il capitano l’aveva distrutta. Così, quando gli assalitori
erano saliti a bordo, l’equipaggio aveva potuto far finta di niente.
Invano.
Quella gente non era lì né per il carico, né per controllare i
permessi. Gli intrusi avevano fatto irruzione come se fossero stati a
casa loro, e il capitano Darren aveva fatto da zerbino. Tutti gli altri –
Mike, Dave, Wan Li – si erano limitati ad alzare le mani e a lasciarli
fare. I pirati, o schiavisti, o qualunque altra cosa fossero, li avevano
trascinati fuori dal piccolo cargo, che era stata la loro casa, e giù
lungo un tubo di attracco senza nemmeno fargli indossare una tuta
pressurizzata. Il sottile strato di polietilene tereftalato del tubo era
stato l’unica cosa che si frapponeva tra loro e il vuoto. Non avevano
potuto far altro che pregare che non si strappasse: se l’avesse fatto,
addio polmoni.
Anche Julie si era arresa; poi però quei bastardi avevano cercato
di metterle le mani addosso, di strapparle via i vestiti.
Cinque anni di addestramento jiu-jitsu in assetto variabile e loro in
un ambiente ristretto in assenza di gravità: Julie aveva fatto molti
danni. Aveva quasi cominciato a credere di poter avere la meglio,
quando un pugno guantato venuto dal nulla le si era schiantato in
faccia. Da quel momento le cose erano state molto confuse. Poi il
ripostiglio, e quel ‘Se fa un fiato, sparatele’. Quattro giorni passati a
non fare un fiato mentre i suoi amici venivano picchiati da qualche
parte sotto di lei, e poi uno di loro era stato gettato fuori dal
portellone.
Dopo sei giorni, il mondo era diventato silenzioso.
Passando da momenti di veglia a sogni frammentati, Julie era
scivolata in uno stato di semincoscienza mentre il rumore dei passi,
delle voci e dei portelloni pressurizzati, del ronzio subsonico del
reattore e dell’accelerazione si attutivano a poco a poco fino a
svanire del tutto. Quando l’accelerazione era cessata, anche la
gravità era venuta meno, e Julie si era risvegliata da un sogno in cui
sfrecciava con la sua vecchia pinaccia per ritrovarsi invece a
fluttuare a mezz’aria, con i muscoli che protestavano per la tensione
prima di rilassarsi a poco a poco.
Si era avvicinata alla porta e aveva premuto l’orecchio sul metallo
freddo. Si era sentita attraversare da un’ondata di panico, poi aveva
percepito il ronzio basso dei riciclatori d’aria. La nave aveva ancora
energia e ossigeno, ma l’accelerazione era stata interrotta, e non si
udiva nessun rumore di portelloni, di passi o di voci. Forse
l’equipaggio era in riunione. O stava facendo festa su un altro ponte.
O forse ancora erano tutti impegnati in sala macchine, per
aggiustare un guasto grave.
Julie aveva passato un giorno intero a origliare e ad aspettare.
Il settimo giorno aveva terminato l’ultimo sorso d’acqua. In quelle
ventiquattr’ore non aveva udito alcun movimento sulla nave. Aveva
succhiato una targhetta di plastica che aveva strappato dalla tuta
ambientale finché non era riuscita a secernere un po’ di saliva; poi
aveva cominciato a gridare. Aveva urlato fino a perdere la voce.
Non era venuto nessuno.
All’ottavo giorno, era pronta a farsi sparare. Aveva terminato
l’acqua da due giorni e la sua sacca di evacuazione era piena da
quattro. Si mise con le spalle contro la parete di fondo e puntellò le
mani sulle pareti laterali del ripostiglio, poi diede calci alla porta con
entrambe le gambe, più forte che poteva. I crampi lancinanti
provocati dal primo calcio per poco non la fecero svenire. Cominciò
a gridare.
Che stupida, si disse. Era disidratata. Otto giorni senza la benché
minima attività fisica erano più che sufficienti per dare inizio al
processo di atrofia. Avrebbe dovuto almeno fare un po’ di stretching,
prima.
Si massaggiò i muscoli irrigiditi fino a far passare i crampi, poi fece
qualche stiramento, concentrandosi come se si fosse trovata nel
dojo. Quando fu di nuovo sicura di avere il pieno controllo del proprio
corpo, diede un altro calcio. E ancora. E ancora, finché non cominciò
a vedere una luce filtrare dall’esterno del ripostiglio. E ancora, finché
la porta non fu talmente piegata che le tre cerniere e la serratura
erano gli unici punti di contatto con il telaio.
Tirò un ultimo calcio, incurvandola ancora e riuscendo così a
dislocare la serratura dalla controbocchetta e a spalancare la porta.
Julie si precipitò fuori dal ripostiglio con le mani a mezz’aria, pronta
ad apparire minacciosa o terrorizzata, secondo quello che si fosse
rivelato più utile.
Non c’era anima viva sull’intero ponte: la cabina di
pressurizzazione, il ripostiglio per le tute dove aveva passato gli
ultimi otto giorni e una mezza dozzina di altri magazzini...
Completamente vuoti. Prese una chiave a pappagallo magnetica di
dimensioni adatte a spaccare crani da un kit EVA, poi scese sul ponte
di sotto attraverso la scala di servizio. E poi sul ponte ancora
inferiore. Trovò le cabine del personale in perfetto ordine, in stile
quasi militare. La cambusa recava segni di una colluttazione.
L’infermeria era vuota. E nella sala siluri... nessuno. La stazione
radio era deserta, completamente spenta, e sigillata. I pochi sensori
rimasti attivi non mostravano alcun segno della Scopuli. Una nuova
angoscia le annodò lo stomaco. Ponte dopo ponte, sala dopo sala,
non trovò il minimo segno di vita. Doveva essere successo qualcosa.
Una fuga radioattiva. Del veleno nell’aria. Qualcosa che aveva
obbligato a un’evacuazione. Si chiese se sarebbe stata in grado di
manovrare la nave da sola.
Però, se davvero avevano evacuato la nave, lei avrebbe
comunque dovuto sentirli uscire dal portellone...
Raggiunse quello dell’ultimo ponte, che conduceva alla sala
macchine, e si fermò quando non si aprì automaticamente al suo
passaggio. Una luce rossa sul pannello di controllo indicava che la
sala era stata sigillata dall’interno. Pensò di nuovo alla possibilità di
radiazioni o di danni gravi al sistema. Ma se anche fosse stato quello
il caso, perché chiudere la porta dall’interno? E aveva passato un
portellone dopo l’altro: nessuno di quelli aveva presentato allarmi di
alcun tipo. No, non doveva trattarsi di radiazioni, ma di qualcos’altro.
C’era più confusione, lì. Sangue. Attrezzature e cassoni gettati alla
rinfusa. Qualunque cosa fosse successa, era successa lì. Anzi, era
iniziata lì. Ed era finita dietro quella porta sigillata.
Le ci vollero due ore con una fiamma ossidrica e gli arnesi da
scasso presi dall’officina per riuscire a tagliare un accesso attraverso
il portellone. Con gli ammortizzatori idraulici ormai compromessi,
dovette aprirlo a mano. Ne venne fuori una folata d’aria calda e
umida che portava con sé un lezzo da ospedale senza antisettici. Un
odore come di rame, nauseante. Doveva essere la sala delle torture.
I suoi amici dovevano essere lì dentro, pestati a morte o fatti a pezzi.
Julie impugnò la chiave inglese e si preparò a spaccare almeno una
testa prima di farsi ammazzare. Fluttuò giù.
Il ponte meccanico era enorme, con il soffitto a volta come quello di
una cattedrale. Il reattore a fusione nucleare dominava il centro della
sala. Ma c’era qualcosa che non andava. Laddove si era aspettata di
vedere display, scudi termici e monitor, uno strato di qualcosa di
simile a fango sembrava fluire tutto intorno al nucleo del reattore.
Julie fluttuò cautamente in quella direzione, tenendo una mano sulla
scala. Lo strano odore che aveva sentito nell’entrare divenne
soverchiante.
Il fango che si era raccolto attorno al reattore possedeva una
struttura che non aveva mai visto prima di allora. Per tutta la sua
lunghezza correvano dei tubi simili a vene, o canali di ventilazione.
Parti di quella guaina sembravano pulsare. Non era fango.
Era carne.
Un’appendice di quella cosa si mosse verso di lei. Paragonata al
tutto, sembrava essere non più grande di un dito mignolo. Era la
testa del capitano Darren.
«Aiutami» le disse.
1
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Per prima cosa, vedi di riprenderti. Il panico non ti sarà d’aiuto. Non lo è
mai. Fa’ respiri profondi, risolvi la situazione e fa’ le scelte giuste. La paura
uccide la mente. Ah. Che nerd...
Pro dello shuttle.
Niente reattore, soltanto batterie. Radiazione molto bassa.
Scorte per otto persone.
Un sacco di massa di reazione.
Contro dello shuttle.
Niente Epstein, niente razzi.
Il sistema di comunicazione non è stato semplicemente disabilitato, ma
fisicamente rimosso (avevate la paranoia di qualche soffiata, ragazzi?).
Il porto più vicino è Eros. Era lì che stavamo andando? Magari potrei
dirigermi altrove? Volando a teiera, rischia di essere un viaggio molto
lungo. Un’altra destinazione aggiungerebbe sette settimane alla tabella di
marcia. Eros sia, dunque.
Ho il morbo di Phoebe, non c’è altra spiegazione. Non so bene come, ma
quella merda marrone era ovunque. È anaerobica, devo averne toccata un
po’. Non importa come, ma solo risolvere il problema.
Ho appena dormito per TRE SETTIMANE. Non mi sono nemmeno alzata
per pisciare. Che razza di cosa può provocare una roba del genere?
Sono fottuta.
Cose che devi ricordare:
* BA834024112
* Le radiazioni uccidono. Non ci sono reattori su questo shuttle, ma tieni le
luci spente. Non ti togliere la tuta atmosferica. Quell’imbecille del video ha
detto che quest’affare si nutre di radiazioni. Non nutrirlo.
* Manda un messaggio di allarme. Trova aiuto. Lavori per le persone più
intelligenti del sistema solare. S’inventeranno qualcosa.
* Sta’ lontana dalla gente. Non diffondere il morbo. Non sto ancora
tossendo quella fanghiglia marrone. Non ho idea di quando inizierò a farlo.
* Sta’ lontana dai cattivi. Come se sapessi chi sono. E va bene. Sta’
lontana da tutti. Incognito è il mio nome. Uhm. Polanski?
Dannazione. Riesco a sentirlo. Ho sempre caldo, e sto morendo di fame.
Non mangiare. Non nutrirlo. Rimettermi in forze, o affamare il morbo?
Come fare? Eros è a un giorno da qui, e poi avrai aiuto. Continua a lottare.
Finalmente al sicuro su Eros. Ho inviato il messaggio. Spero che il quartier
generale l’abbia notato. Mi fa male la testa. Sulla mia schiena sta
succedendo qualcosa. Ho un bozzo sui reni. Darren si è trasformato in
fanghiglia. Diventerò anch’io una tuta piena di gelatina?
Sto male. Ho delle cose che mi spuntano dalla schiena e secernono quella
sostanza marrone dappertutto. Devo togliermi la tuta. Se qualcuno mi sta
leggendo, non lasciate che nessuno tocchi quella roba marrone. Bruciate il
mio corpo. Sto bruciando.
Naomi mise giù il terminale, ma nessuno parlò per un po’. Alla fine,
Holden disse: «Morbo di Phoebe. Qualcuno ne sa qualcosa?»
«C’era una stazione scientifica su Phoebe» replicò Miller.
«Un’installazione dei pianeti interni, dove ai cinturiani non era
consentito l’accesso. È stata colpita. Sono morte un sacco di
persone, ma...»
«Lei ha parlato di uno shuttle» disse Naomi. «La Scopuli non
aveva uno shuttle.»
«Doveva per forza esserci un’altra nave» intervenne Alex. «Magari
lo shuttle l’ha preso da quella.»
«E va bene» disse Holden. «Quindi sono saliti su un’altra nave, si
sono fatti infettare da questo morbo di Phoebe, e il resto
dell’equipaggio... non lo so. Muore?»
«Lei si salva, senza rendersi conto di essere infetta finché non è
sullo shuttle» continuò Naomi. «Arriva qui, manda il messaggio a
Fred e muore in quella stanza d’albergo per via dell’infezione.»
«Però non si è trasformata in fanghiglia» disse Holden. «Era solo
orribilmente... non so. Quei tubi, e quelle ossa che spuntavano di
fuori... Che razza di malattia può provocare una roba del genere?»
Quella domanda aleggiò nell’aria. Ancora una volta, nessuno parlò.
Holden sapeva che stavano pensando tutti la stessa cosa. Non
avevano toccato niente nella stanza di quella topaia. Voleva dire che
erano salvi? O avevano contratto il morbo di Phoebe, qualunque
cosa fosse? Ma aveva scritto che era anaerobico. Holden era
piuttosto sicuro che significasse che non si poteva contrarre
semplicemente respirando, per via aerea. Piuttosto sicuro...
«E ora che facciamo, Jim?» chiese Naomi.
«Che ne dite di Venere?» disse Holden, con voce più acuta e
nervosa di quanto non si fosse aspettato. «Non succede mai niente
d’interessante, su Venere.»
«Dico sul serio» replicò Naomi.
«E va bene. Sul serio. Penso che Miller, qui, lasci che se ne occupi
il suo amico poliziotto, e poi togliamo le tende da questo cazzo di
asteroide. Sarà un’arma biologica, no? Qualcuno cerca di rubarla da
un laboratorio marziano, poi la impianta in una cupola e un mese
dopo ogni singolo essere umano della città è morto.»
Amos interruppe il ragionamento con un grugnito.
«Così fa acqua, capitano» osservò. «Tanto per dire: che cazzo
c’entra tutto questo con il fatto che abbiano fatto fuori la Cant e la
Donnager?»
Holden fissò Naomi negli occhi e disse: «Ora però abbiamo un
posto in cui cercare le risposte, dico bene?»
«Già, proprio così» convenne lei. «BA834024112. È il codice di un
asteroide.»
«Che cosa credete che ci troveremo?» chiese Alex.
«Se fossi uno che scommette, direi che ci troveremo la nave da cui
lei ha rubato lo shuttle» rispose Holden.
«Ha senso» disse Naomi. «Ogni asteroide della Fascia è mappato.
Se vuoi nascondere qualcosa, lo metti su un’orbita stabile accanto a
una di quelle rocce e puoi sempre tornare a riprendertelo in un
secondo momento.»
Miller si voltò verso Holden, con il viso ancora più teso.
«Se state andando lì, voglio venire con voi» disse.
«Perché?» chiese Holden. «Senza offesa, ma hai trovato la tua
ragazza. Il tuo compito è finito, giusto?»
Miller lo fissò con le labbra strette in una linea sottile.
«Questo è un altro caso» disse. «Ora si tratta di trovare chi è che
l’ha uccisa.»
26
Miller
«Il tuo amico poliziotto ha imposto un blocco sulla mia nave» disse
Holden. Sembrava indignato.
Tutto intorno a loro, il ristorante dell’albergo era affollato. Le
prostitute dell’ultimo turno si mischiavano con i turisti e gli uomini
d’affari di quello successivo allo scadente buffet illuminato di rosa. Il
pilota e l’omone, Alex e Amos, si contendevano l’ultimo bagel.
Naomi era seduta accanto a Holden, a braccia conserte, con una
tazza di pessimo caffè che le si raffreddava di fronte.
«In effetti abbiamo ucciso un po’ di persone» disse Miller
garbatamente.
«Pensavo che ci avessi tirato fuori dai guai con la tua stretta di
mano da sbirro» rispose Holden. «E allora perché la mia nave ha un
blocco?»
«Ti ricordi quando Sematimba ha detto che non dovevamo lasciare
la stazione senza prima avvertirlo?» chiese Miller.
«Rammento che tu hai fatto un accordo di qualche genere» rispose
Holden. «Ma non ricordo di aver dato il mio assenso.»
«Ascolta, ci terrà qui finché non sarà sicuro che non verrà
licenziato per averci lasciati andare. Una volta che avrà la certezza
di avere il culo parato, toglierà il blocco. Allora, parliamo della parte
in cui prendo in affitto una cuccetta sulla vostra nave.»
Jim Holden e il suo vicecomandante si scambiarono un’occhiata,
una di quelle piccole scintille di comunicazione umana che dicevano
più di quanto non potessero fare le parole. Miller non conosceva
abbastanza nessuno dei due per decodificare appieno il messaggio,
ma immaginò che fossero scettici.
E ne avevano ben donde. Miller aveva controllato il credito residuo
sul suo conto prima di chiamarli. Gli era rimasto abbastanza per
un’altra notte in albergo o una buona cena, ma non per entrambe le
cose. Stava spendendo quegli ultimi denari per una colazione
scadente di cui Holden e il suo equipaggio non avevano
probabilmente alcun bisogno e che non si sarebbero goduti, nel
tentativo di comprarsi un po’ di benevolenza.
«Ho bisogno di capire molto, molto bene quello che stai dicendo»
disse Holden mentre l’omone, Amos, tornava al tavolo e si sedeva al
proprio posto con il bagel tra le mani. «Stai per caso dicendo che, a
meno che io non ti lasci salire sulla mia nave, il tuo amico ci terrà
bloccati quaggiù? Perché questo si chiama ricatto.»
«Estorsione» precisò Amos.
«Cosa?» chiese Holden.
«Non è un ricatto» rispose Naomi. «Lo sarebbe se avesse
minacciato di rivelare informazioni che non vorremmo fossero
divulgate. Se è una semplice minaccia, si tratta di estorsione.»
«E non è quello di cui sto parlando» disse Miller. «Ottenere libertà
di movimento sulla stazione finché l’indagine è in corso? Questo non
è un problema. Ma lasciare la sua giurisdizione è tutto un altro paio
di maniche. Non ho il potere di trattenervi qui, non più di quanto non
sia in grado di garantirvi il via libera per partire. Sto solo cercando un
passaggio per quando ve ne andrete.»
«Perché?» chiese Holden.
«Perché state andando sull’asteroide di Julie» rispose Miller.
«Sono pronto a scommettere che non ci sono porti, laggiù» disse
Holden. «Avevi per caso intenzione di andare da qualche altra parte,
dopo?»
«Diciamo che sono un po’ a corto di piani per il futuro. Non ne ho
mai avuto uno che funzionasse per davvero.»
«Ti capisco» disse Amos. «Siamo stati fottuti in diciotto modi
diversi da quando ci siamo immischiati in questa faccenda.»
Holden congiunse le mani sul tavolo, tamburellando con un ritmo
complesso un dito sulla sua superficie di cemento dall’aspetto di
legno. Non era un buon segno.
«Tu mi sembri una specie di... be’, di vecchio rabbioso e
amareggiato, a dire il vero. Ma, avendo lavorato su un cargo
frigorifero negli ultimi cinque anni, direi che la cosa non farebbe altro
che favorire la tua integrazione.»
«Però» disse Miller, lasciando la parola lì sospesa.
«Però mi hanno sparato un sacco di volte, di recente, e le
semiautomatiche di ieri sono soltanto l’ultima minaccia mortale con
cui ho avuto a che fare» disse Holden. «Sulla mia nave non voglio
nessuno di cui non possa fidarmi ciecamente, e in effetti non ti
conosco nemmeno.»
«Posso trovare i soldi» replicò Miller, sentendo un vuoto allo
stomaco. «Se si tratta di denaro, posso rimediare.»
«Non si tratta di negoziare un prezzo» disse Holden.
«Trovare i soldi?» chiese Naomi. «‘Trovare i soldi’, nel senso che
ora non ne hai?»
«Sono un po’ a corto anche di quelli» riconobbe Miller. «Ma è solo
una condizione temporanea.»
«Ce l’hai uno stipendio?» disse Naomi.
«Una strategia, più che altro» rispose Miller. «Giù ai moli ci sono
un po’ di traffici indipendenti. Ce ne sono sempre, in ogni porto.
Giochi clandestini. Combattimenti. Cose del genere. La maggior
parte delle volte sono truccati. Il trucco sta nel saper corrompere i
poliziotti senza però farlo formalmente.»
«È questo il tuo piano?» chiese Holden con voce incredula.
«Andare a riscuotere mazzette per gli sbirri?»
Dall’altra parte del ristorante, una prostituta in abito rosso fece uno
sbadiglio prodigioso; il tipo al suo tavolo si accigliò.
«No» rispose Miller, riluttante. «Parlo di scommesse laterali.
Quando un poliziotto punta, io scommetto che lui vincerà. Conosco
la maggior parte degli sbirri. Le case li conoscono perché sono gli
stessi che corrompono. Le scommesse laterali vanno fatte sui polli
che sembrano nervosi perché giocano abusivo.»
Perfino mentre lo diceva, Miller sapeva quanto la sua
argomentazione sembrasse inconsistente. Alex, il pilota, li raggiunse
e si sedette accanto a Miller. Il suo caffè aveva un profumo intenso e
acidulo.
«Quel è l’accordo?» chiese Alex.
«Non c’è alcun accordo» rispose Holden. «Non c’era prima, e
continua a non esserci.»
«Funziona meglio di quanto non crediate» disse Miller
coraggiosamente, prima che i loro quattro terminali squillassero in
contemporanea. Holden e Naomi si scambiarono un’altra occhiata,
stavolta meno complice, e tirarono fuori i propri terminali. Amos e
Alex stavano già consultando i loro. Miller notò il bordo rosso e verde
del dispositivo, che poteva significare un messaggio prioritario o una
cartolina di auguri di Natale in largo anticipo. Ci fu un momento di
silenzio mentre leggevano tutti un messaggio; poi Amos emise un
fischio basso.
«Fase tre?» chiese Naomi.
«Non posso dire che mi piaccia come suona» rispose Alex.
«Vi spiace se guardo anch’io?»
Holden fece scivolare il suo terminale verso di lui, sul tavolo. Il
messaggio era un testo semplice, inviato da Tycho.
Individuata talpa in stazione radio Tycho.
Vostra presenza e destinazione note a soggetti sconosciuti su Eros. Fate
attenzione.
Holden
«Che vuol dire ‘non andate’?» chiese Holden, tirando via il gomito
dalla presa di Miller. «Qualcuno ha appena bombardato la stazione.
Questa faccenda è andata oltre le nostre capacità di risposta. Se
non riusciremo ad arrivare alla Rocinante, faremo tutto quel che ci
dicono finché non troveremo un modo per tornare a bordo.»
Miller fece un passo indietro e alzò le mani; stava chiaramente
facendo del suo meglio per sembrare inoffensivo, cosa che infastidì
Holden ancor di più. Alle sue spalle gli sbirri in tenuta antisommossa
spingevano la gente che si attardava nei corridoi verso i casinò.
Nell’aria riecheggiavano le voci elettronicamente amplificate dei
poliziotti che davano direttive alla folla e il brusio ansioso dei
cittadini. A coprire il tutto, dall’impianto di diffusione sonora una voce
diceva di restare calmi e di cooperare con il personale di sicurezza.
«Lo vedi quel bestione laggiù, in tenuta antisommossa?» disse
Miller. «Si chiama Gabby Smalls. È a capo di una sezione che
gestisce l’estorsione per conto della Golden Bough, su Ceres. È
coinvolto anche in altri affari loschi, e sospetto che abbia gettato
fuori dai portelloni più di una persona.»
Holden fissò il tipo. Spalle ampie, ventre abbondante. Ora che
Miller glielo faceva notare, c’era qualcosa in quell’uomo che non
sembrava appropriato per un poliziotto.
«Non capisco» disse Holden.
«Un paio di mesi fa, quando tu hai dato la stura a una serie di
sommosse dicendo che Marte aveva fatto saltare in aria il vostro
cargo frigorifero, abbiamo scoperto...»
«Non ho mai detto...»
«...abbiamo scoperto che la maggior parte dell’equipaggiamento
antisommossa della polizia di Ceres era stata trafugata. Pochi mesi
prima, una manciata di operatori del crimine organizzato sono
scomparsi dai radar. Ho appena scoperto che fine hanno fatto
entrambi.»
Miller indicò verso la tenuta antisommossa indossata da Gabby
Smalls.
«Io non andrei nella direzione in cui mi dice di andare lui»
consigliò. «No, davvero.»
Un esiguo flusso di persone li superò spintonandoli.
«E allora dove?» chiese Naomi.
«Già. Voglio dire, se la scelta è tra radiazioni o malavitosi, tocca
scegliere i malavitosi» disse Alex, annuendo con enfasi alle parole di
Naomi.
Miller tirò fuori il suo terminale palmare e lo alzò per mostrarne lo
schermo a tutti.
«Non ho nessuna allerta radiazioni» disse. «Qualunque cosa sia
successa fuori, non rappresenta una minaccia su questo livello. Non
al momento. Per cui cerchiamo di calmarci e di fare la cosa giusta.»
Holden si voltò di spalle a Miller e fece segno di avvicinarsi a
Naomi. La tirò da una parte e disse sottovoce: «Io sono ancora
dell’idea di tornare alla nave e di levare le tende da questo posto. Di
correre il rischio di superare quegli sgherri.»
«Se non c’è pericolo di radiazioni, concordo» rispose lei annuendo.
«Io dissento» replicò Miller, senza nemmeno darsi la pena di far
finta che non stesse origliando. «Per fare una cosa del genere
dovremmo attraversare tre livelli di casinò pieni zeppi di scagnozzi in
tenuta antisommossa. Ci intimeranno di entrare in uno di quei casinò
per metterci in sicurezza. Quando non lo faremo, ci picchieranno fino
a farci perdere i sensi e ci butteranno dentro volenti o nolenti. Per
metterci in sicurezza.»
Un altro gruppo di persone emerse da un corridoio laterale,
dirigendosi verso la rassicurante presenza della polizia e le luci
gioiose dei casinò. Holden si accorse che era difficile non farsi
trascinare dalla folla. Un uomo con due enormi valigie andò a
sbattere addosso a Naomi e per poco non la fece cadere a terra.
Holden l’afferrò per la mano.
«Che alternativa abbiamo?» chiese a Miller.
Miller guardò su e giù lungo il corridoio, come a valutare il flusso di
persone. Fece un cenno col capo verso un portello a strisce nere e
gialle in un corridoio di servizio.
«Laggiù» disse. «Sopra c’è scritto ALTA TENSIONE, per cui gli sbirri
che faranno un giro di ricognizione alla ricerca di eventuali ritardatari
non si preoccuperanno di ispezionarlo. Non è il genere di posto in
cui si nasconderebbe un cittadino.»
«Riesci ad aprirla in fretta?» chiese Holden, guardando Amos.
«Posso romperla?»
«Se necessario.»
«Allora certo» disse Amos, e cominciò a farsi largo tra la folla verso
il portello di servizio. Una volta giunto di fronte alla porta, tirò fuori il
suo attrezzo multiuso e fece saltare il cassettino che ospitava il
lettore ottico. Dopo che ebbe avvolto assieme un paio di cavi, il
portello scivolò di lato con un sibilo idraulico.
«Ta-dah» disse Amos. «Il lettore d’accesso è rotto, per cui
chiunque volesse entrare potrà farlo.»
«Ce ne preoccuperemo se e quando succederà» replicò Miller, poi
li precedette nel passaggio fiocamente illuminato oltre l’apertura.
Il corridoio di servizio era pieno di cavi elettrici legati da fascette di
plastica. Si protraeva in quella tenue luce rossa per dieci, quindici
metri, prima di perdersi nel buio. La luce proveniva dalle lampade a
LED montate su una serie di bracci metallici che spuntavano dalla
parete ogni paio di metri per sostenere i cavi. Naomi dovette chinarsi
per entrare; era alta quattro centimetri di troppo per il soffitto.
Appoggiò la schiena alla parete e scivolò giù, accovacciandosi sui
talloni.
«Potrebbero aver avuto il buonsenso di farli abbastanza alti perché
un cinturiano possa lavorarci dentro, i loro corridoi» disse irritata.
Holden toccò la parete con una sorta di reverenza, passando le
dita sul numero d’identificazione di un corridoio scavato direttamente
nella roccia.
«I cinturiani che hanno costruito questo posto non erano alti»
disse. «Queste sono alcune delle linee di corrente principali. Questo
tunnel va fino alla prima colonia della Fascia. Le persone che
l’hanno scavato erano cresciute con la gravità.»
Anche Miller aveva dovuto abbassare la testa; si sedette a terra
sbuffando e con uno scrocchio delle ginocchia.
«C’è tempo per le lezioni di storia» replicò. «Ora occupiamoci di
trovare un modo per andarcene da questo scoglio.»
Amos, studiando attentamente le matasse di cavi, disse: «Se
vedete un punto rovinato, non lo toccate. Questo bastardo qui porta
un paio di milioni di volt. Vi ridurrebbe a un mucchietto di merda
fusa.»
Alex si sedette accanto a Naomi, facendo una smorfia quando le
sue natiche toccarono la pietra fredda del pavimento.
«Sapete,» disse «se decidono di sigillare la stazione, potrebbero
pompare tutta l’aria fuori da questi corridoi di servizio.»
«Abbiamo capito» rispose Holden esasperato. «È un nascondiglio
merdoso e scomodo. Ora avete il permesso di chiudere la bocca
sulla questione.»
Si accovacciò di fronte a Miller e disse: «E va bene, detective. Ora
che facciamo?»
«Ora» rispose Miller «aspettiamo che la pattuglia ci superi e gli
andremo dietro, cercando di raggiungere i moli. La gente nei rifugi
sarà facile da evitare. I rifugi sono ai livelli più alti, in profondità. Il
problema sarà riuscire ad attraversare i livelli dei casinò.»
«Non possiamo usare i passaggi di servizio per spostarci?» chiese
Alex.
Amos scosse la testa. «Non senza una mappa, no. Se ti perdi qua
dentro, sono guai seri» rispose.
Ignorandoli entrambi, Holden disse: «Okay. Aspetteremo che se ne
siano andati tutti ai rifugi antiradiazioni e poi toglieremo le tende.»
Miller annuì, poi i due uomini si fissarono a vicenda per un istante.
L’aria tra loro sembrò addensarsi, mentre il silenzio acquisiva un
significato tutto suo. Miller si strinse nelle spalle come se la sua
giacca gli causasse prurito.
«Perché credi che un branco di manigoldi di Ceres stia spostando
tutti nei rifugi antiradiazioni, quando in realtà non c’è alcun pericolo
radioattivo?» chiese Holden alla fine. «E perché i poliziotti di Eros
glielo lasciano fare?»
«Bella domanda» esclamò Miller.
«Se stessero usando quegli zotici, si spiegherebbe meglio perché il
loro tentativo di rapimento abbia fatto così schifo. Non sembrano dei
professionisti.»
«Già» concordò Miller. «Non rientrava nelle loro competenze
abituali.»
«Volete stare zitti?» disse Naomi.
Rimasero in silenzio per quasi un minuto.
«Sarebbe davvero stupido» disse Holden «andare a dare
un’occhiata a quello che sta succedendo, vero?»
«Sì. Qualsiasi cosa stia accadendo in quei rifugi, sappiamo che è lì
che si trovano tutte le guardie e le pattuglie» rispose Miller.
«Già» confermò Holden.
«Capitano» disse Naomi, con un tono di avvertimento nella voce.
«Però» continuò Holden, parlando con Miller. «Tu odi i misteri.»
«Eccome» replicò Miller con un sorriso appena accennato. «E tu,
amico mio, sei un diavolo di ficcanaso.»
«Me l’hanno detto.»
«Maledizione» disse piano Naomi.
«Che succede, capo?» chiese Amos.
«Questi due hanno appena mandato a monte il nostro piano di
fuga» rispose Naomi. Poi disse a Holden: «Voi due sarete nocivi
l’uno per l’altro e, per estensione, lo sarete anche per noi.»
«Macché» rispose Holden. «Voi non verrete con noi. Resterai qui
con Amos e Alex. Dateci...» Guardò il suo palmare. «Tre ore, per
andare a dare un’occhiata e tornare. Se non torniamo entro...»
«Vi abbandoniamo in mano ai gangster e ci andiamo a cercare un
lavoro su Tycho, dove vivremo felici e contenti» disse Naomi.
«Esatto» confermò Holden con un ghigno. «Non fate gli eroi.»
«Non ci penso proprio, signore.»
Holden si accovacciò nell’ombra appena fuori dal portello di
servizio e osservò gli sgherri di Ceres travestiti da poliziotti in tenuta
antisommossa condurre via i cittadini di Eros in piccoli gruppi.
L’impianto pubblico di diffusione sonora continuava a dichiarare la
possibile presenza di un rischio radioattivo ed esortava i cittadini e i
forestieri di Eros a collaborare pienamente con il personale di
sicurezza. Holden aveva scelto un gruppo da seguire e stava per
muoversi, quando Miller gli posò una mano sulla spalla.
«Aspetta» disse Miller. «Voglio fare una chiamata.»
Compose rapidamente un numero sul suo terminale palmare e,
dopo qualche istante, apparve un messaggio grigio di ‘Rete non
disponibile’.
«Non c’è più linea?» chiese Holden.
«È la prima cosa che farei anch’io» rispose Miller.
«Capisco» replicò Holden, anche se in effetti non capiva.
«Be’, immagino che siamo solo io e te, allora» disse Miller; poi
tolse il caricatore dalla pistola e cominciò a ricaricarlo con le
cartucce che teneva nella tasca del cappotto.
Anche se aveva già visto abbastanza sparatorie da bastargli per il
resto della vita, anche Holden prese la sua arma e controllò il
caricatore. L’aveva sostituito dopo averlo svuotato nell’albergo, e ora
era completamente pieno. Lo inserì al suo posto e si mise l’arma
nella cinta. Notò che Miller teneva la pistola in pugno, vicino alla
coscia, dov’era coperta quasi completamente dal cappotto.
Non fu difficile seguire i gruppi su per la stazione verso le sezioni
interne, dove si trovavano i rifugi antiradiazioni. Finché continuavano
a spostarsi seguendo la folla, nessuno prestò loro attenzione.
Holden prese nota mentalmente delle numerose intersezioni dove gli
uomini in tenuta antisommossa montavano la guardia. Tornare
indietro sarebbe stato molto più difficile.
Quando il gruppo che stavano seguendo finalmente si fermò fuori
da una massiccia porta metallica contrassegnata dall’antico simbolo
di radioattività, Holden e Miller si defilarono da un lato e si nascosero
dietro un grosso vaso pieno di felci e di un paio d’alberi rinsecchiti.
Holden osservò i finti corpi antisommossa ordinare a tutti di entrare
nel rifugio e poi sigillare la porta alle loro spalle strisciando una carta
nel dispositivo di chiusura. Se ne andarono tutti tranne uno, che
rimase di guardia all’esterno.
Miller sussurrò: «Chiediamogli di farci entrare.»
«Seguimi» disse Holden, poi si alzò e cominciò ad andare incontro
alla guardia.
«Ehi, testa di cazzo! Devi startene in un rifugio o in un casinò, per
cui vedi di tornare dal tuo cazzo di gruppo» urlò la guardia, con una
mano sul calcio del fucile.
Holden alzò le mani pacificamente, sorrise e continuò ad avanzare.
«Ehi, ho perso il mio gruppo. Mi sono perso, non so come. Non sono
di queste parti, sa» disse.
La guardia indicò lungo il corridoio con il manganello che teneva
nella sinistra.
«Va’ di là finché non trovi la rampa che porta giù» disse.
Miller sembrò comparire dal nulla nel corridoio fiocamente
illuminato, con la pistola già puntata alla tempia della guardia. Tolse
la sicura con uno scatto ben udibile.
«Che ne dici se invece ci uniamo al gruppo che è già dentro?»
chiese. «Apri.»
La guardia guardò Miller con la coda dell’occhio, senza voltare la
testa di un millimetro. Alzò le mani e lasciò cadere a terra il
manganello.
«Non è davvero il caso, amico» disse il finto sbirro.
«Io credo di sì, invece» ribatté Holden. «Dovresti fare come ti dice.
Non è una persona molto gentile.»
Miller premette la canna della pistola sulla tempia della guardia e
disse: «Lo sai che significava, quando giù in centrale dicevamo che
uno si ‘scervellava’? Si riferiva a quando un colpo alla testa fa
esplodere fuori dal cranio di un tipo l’intero cervello. Solitamente
succede quando si preme la pistola sulla tempia della vittima, più o
meno in questo punto. Il gas non trova sfogo. Fa schizzare fuori tutto
il cervello dal foro di uscita.»
«Hanno detto di non aprirli una volta che sono stati sigillati, amico»
disse la guardia, parlando così velocemente da accavallare le
parole. «Sono stati molto rigidi su questo.»
«Questa è l’ultima volta che parlo» replicò Miller. «La prossima
userò la chiave che troverò sul tuo cadavere.»
Holden voltò la guardia verso la porta e gli tolse la pistola dalla
fondina. Sperò che le minacce di Miller fossero solo tali. Sospettò
che non lo fossero.
«Apri la porta e ti lasceremo andare, te lo prometto» disse Holden
alla guardia.
Quello annuì e avanzò verso la porta, strisciò la sua carta nella
serratura e digitò un codice sul tastierino numerico. La pesante porta
antiesplosione scivolò da un lato. Oltre l’ingresso, la stanza era
ancora più buia del corridoio esterno. Alcuni LED di emergenza
baluginavano di un rosso livido. In quella luce fioca, Holden scorse
decine... centinaia di corpi riversi a terra, immobili.
«Sono morti?» chiese Holden.
«Non so niente di...» cominciò a dire la guardia, ma Miller lo
interruppe.
«Va’ prima tu» disse, e spinse la guardia avanti.
«Aspetta un attimo» intervenne Holden. «Non credo che sia una
buona idea buttarci lì dentro a capofitto.»
Tre cose accaddero contemporaneamente. La guardia fece quattro
passi in avanti e crollò a terra. Miller annusò l’aria una volta, con
decisione, e iniziò a barcollare come se fosse ubriaco. Ed entrambi i
terminali di Holden e Miller cominciarono a emettere un furioso
ronzio elettrico.
Miller barcollò all’indietro e disse: «La porta...»
Holden premette un tasto e la porta si richiuse senza rumore.
«Gas» disse Miller, poi tossì. «C’è del gas, lì dentro.»
Mentre l’ex poliziotto si appoggiava alla parete del corridoio e
tossiva, Holden tirò fuori il terminale per mettere fine al ronzio. Ma
l’allarme che lampeggiava sullo schermo non era un’allerta di
contaminazione da gas. Era la venerabile forma a tre spicchi che
puntavano verso il centro: radiazioni. Mentre lo fissava, il simbolo,
che sarebbe dovuto essere bianco, passò dall’arancione acceso al
rosso scuro.
Anche Miller fissava il suo palmare, con espressione indecifrabile.
«Siamo stati contaminati» disse Holden.
«Non ho mai nemmeno visto il detector attivarsi» rispose Miller,
con voce roca e debole dopo il raptus di tosse. «Che cosa significa
quando l’affare diventa rosso?»
«Significa che cominceremo a sanguinare dal culo tra meno di sei
ore» rispose Holden. «Dobbiamo arrivare alla nave. Lì ci sono i
medicinali che ci servono.»
«Ma che...» disse Miller. «Che cazzo sta succedendo?»
Holden afferrò Miller per un braccio e lo condusse giù per il
corridoio, verso le rampe. Si sentiva la pelle bollente e pruriginosa.
Non sapeva se fosse dovuto alle radiazioni o a una reazione
psicosomatica. Per la quantità di radiazioni a cui era appena stato
esposto, era un bene che avesse fatto conservare un po’ di sperma
in Montana e su Europa.
Quel pensiero gli fece prudere le palle.
«Stanno nuclearizzando la stazione» disse Holden. «Diavolo, forse
stanno soltanto facendo finta che sia così. Trascinano tutti quanti qui
e li gettano nei rifugi radioattivi che sono radioattivi soltanto
all’interno. E li gasano per farli stare tranquilli.»
«Ci sono modi più semplici per ammazzare la gente» disse Miller,
con il sorriso affannato e rotto mentre correvano lungo il corridoio.
«Per cui dev’esserci qualcosa di più, sotto» dedusse Holden. «Il
morbo, giusto? Quello che ha ucciso la ragazza. Si... nutriva di
radiazioni.»
«Incubatori» disse Miller, annuendo per dare il suo assenso.
Arrivati a una delle rampe che conducevano ai livelli inferiori,
videro un gruppo di cittadini scortati da due finti sbirri in tenuta
antisommossa venire su verso di loro. Holden afferrò Miller e lo tirò
da una parte, dove potevano nascondersi all’ombra di un ramen bar
chiuso.
«Quindi li hanno infettati, giusto?» sussurrò Holden, aspettando
che il gruppo li superasse. «Magari hanno un qualche medicinale per
curare le radiazioni con dentro il morbo. Magari quella fanghiglia
marrone che c’era sul pavimento. E allora, qualunque cosa fosse
dentro quella ragazza, Julie...»
Holden s’interruppe quando Miller si allontanò da lui e si diresse
dritto verso il gruppo che era appena arrivato in cima alla rampa.
«Agente» disse Miller apostrofando uno dei finti poliziotti.
Gli sgherri si fermarono entrambi e uno di loro gli disse: «Dovresti
essere...»
Miller gli sparò alla gola, appena sotto la visiera del casco. Poi si
voltò con un movimento fluido e sparò all’interno coscia dell’altra
guardia, poco sotto l’inguine. Quando l’uomo cadde all’indietro,
gridando per il dolore, Miller gli fu addosso e gli sparò di nuovo,
stavolta sul collo.
Un paio di cittadini cominciarono a urlare. Miller puntò loro contro
la pistola e quelli si zittirono.
«Scendete di un livello o due e trovate un posto in cui
nascondervi» disse. «Non cooperate con questi uomini, anche se
sono vestiti da poliziotti. Non stanno agendo nel vostro interesse.
Andate.»
I cittadini esitarono, poi corsero via. Miller prese tre cartucce dalla
tasca e sostituì quelle che aveva usato. Holden fece per parlare, ma
Miller lo interruppe.
«Spara alla gola, se puoi. In molti casi, la visiera e la corazza
pettorale non bastano a coprire lo spiraglio. Se il collo è coperto,
spara all’interno coscia. Lì la corazza è più sottile, per una questione
di mobilità. Basta un colpo per abbattere la maggior parte degli
uomini.»
Holden annuì, come se tutto questo avesse un senso.
«Okay» disse Holden. «Mettiamo che riusciamo a tornare alla nave
prima che moriamo dissanguati, va bene? Non spariamo più a
nessuno, a meno che non sia indispensabile.» La sua voce
sembrava più calma di quanto lui non si sentisse in realtà.
Miller rimise il caricatore nella pistola con uno scatto secco e
incamerò un altro proiettile.
«Credo che dovremo sparare a molta altra gente, prima che tutto
questo sia finito» disse. «Ma va bene. Come no. Prima le cose
importanti.»
28
Miller
La prima volta che Miller aveva ucciso una persona era stato
durante il suo terzo anno nelle forze dell’ordine. Aveva ventidue
anni, si era appena sposato e parlava di avere dei figli. In quanto
ultimo arrivato, gli assegnavano sempre i lavori più schifosi:
pattugliare livelli così alti che il Coriolis gli faceva venire il mal di
mare, intervenire nei casi di violenza domestica in buchi non più
grandi di un cassonetto, montare la guardia alla cella per ubriachi
per evitare che alcuni stuprassero altri che erano privi di sensi. Il
solito nonnismo. Sapeva che doveva aspettarselo. Aveva pensato di
poterlo sopportare.
La chiamata era arrivata da un ristorante illegale situato quasi sulla
massa centrale. A meno di un decimo di g, la gravità era poco più
che un’impressione, e il suo orecchio interno era confuso e angariato
dal cambiamento di rotazione. Quando ci ripensava, riusciva ancora
a ricordare il suono delle voci alte, troppo rapide e sbiascicate per
distinguerne le parole. Quella puzza di formaggio fatto in casa. La
timida foschia di fumo della piastra elettrica da due soldi.
Era successo tutto in fretta. Il sospettato era uscito dal buco con la
pistola in mano, trascinandosi dietro una donna per i capelli con
l’altra mano. Il partner di Miller, un veterano con dieci anni di
esperienza di nome Carson, aveva gridato l’avvertimento di rito. Il
sospettato si era voltato, girando la pistola con il braccio teso come
uno stuntman in un video.
Durante tutto l’addestramento, gli istruttori avevano detto che non
potevi sapere cosa avresti fatto finché non fosse giunto il momento.
Uccidere un altro essere umano era dura. Alcuni non ci riuscivano.
La pistola del sospettato era arrivata a puntare verso di loro; l’uomo
aveva lasciato andare la donna e aveva gridato. Alla fine era saltato
fuori che, perlomeno per Miller, non era poi così difficile.
Dopo, l’avevano sottoposto a delle sedute obbligatorie di
consulenza psicologica. Aveva pianto. Aveva sofferto d’incubi, di
tremori e di tutte quelle cose che i poliziotti sopportavano in silenzio,
senza parlarne con nessuno. Anche allora, però, gli era sembrato
che avvenisse in un mondo distante da lui, come se si fosse
ubriacato al punto da vedersi dall’esterno mentre vomitava in un
cesso. Era solo una reazione fisica. Sarebbe passata.
La cosa più importante era che conosceva la risposta alla
domanda. Sì. Se ne avesse avuto bisogno, era in grado di togliere la
vita.
Ma soltanto ora, avanzando lungo i corridoi di Eros, aveva gioito
nel farlo. Perfino abbattere quel povero bastardo durante la prima
sparatoria gli era sembrata una triste incombenza di lavoro. Il
piacere di uccidere era giunto soltanto dopo il fatto di Julie; e non era
vero e proprio piacere, quanto piuttosto un breve istante in cui aveva
smesso di soffrire.
Teneva la pistola bassa. Holden riprese a scendere per la rampa e
Miller lo seguì, lasciando che il terrestre prendesse l’iniziativa.
Holden camminava più rapidamente di lui e con l’atletismo innato di
qualcuno che aveva l’abitudine di vivere in una moltitudine di gravità
diverse. Miller aveva la sensazione di aver innervosito Holden, e un
po’ se ne pentiva. Non era stata sua intenzione, e aveva davvero
bisogno di salire a bordo della nave di Holden se voleva scoprire i
segreti di Julie.
O, se non altro, per non morire di esposizione alle radiazioni nelle
ore successive. Quello sembrava uno scopo più sottile di quanto non
fosse.
«Okay» disse Holden una volta arrivato in fondo alla rampa.
«Dobbiamo tornare giù, e ci sono un sacco di guardie tra noi e
Naomi che saranno piuttosto confuse nel vedere due tizi che
procedono nella direzione sbagliata.»
«Questo è un problema» concordò Miller.
«Hai qualche idea?»
Miller si accigliò e studiò il pavimento. I pavimenti di Eros erano
diversi da quelli di Ceres: in laminato, con paillettes dorate.
«La metropolitana non dovrebbe essere in funzione» disse. «Se lo
fosse, sarà comunque in procedura di evacuazione, e si fermerà
soltanto al capolinea, giù ai casinò. Per cui direi che non è
un’opzione.»
«Di nuovo i corridoi di servizio?»
«Se riusciamo a trovare quello che attraversa i livelli» disse Miller.
«Potrebbe essere un po’ complicato, ma mi pare meglio che farci
strada sparando a due dozzine di pezzi di merda in armatura.
Quanto tempo abbiamo prima che i tuoi amici se la diano a gambe?»
Holden guardò il suo palmare. L’allarme radiazioni era ancora di un
rosso acceso. Miller si chiese quanto tempo gli ci volesse per
ripristinarsi.
«Poco più di due ore» disse Holden. «Non dovrebbe essere un
problema.»
«Vediamo cosa riusciamo a trovare» disse Miller.
I corridoi più vicini ai rifugi antiradiazioni – le trappole mortali, gli
incubatori – erano stati svuotati. Gli ampi passaggi costruiti per
accomodare le antiche attrezzature da costruzione che avevano
scavato Eros fino a farne un luogo abitabile per gli umani erano
inquietanti, con la sola presenza di Holden e Miller e del ronzio
basso dei riciclatori d’aria. Miller non aveva fatto caso al momento in
cui gli altoparlanti avevano cessato di trasmettere il comunicato, ma
il loro silenzio ora gli parve essere di cattivo auspicio.
Se fossero stati su Ceres, avrebbe saputo dove andare, dove
portava ogni vicolo, come muoversi agilmente tra un livello e l’altro.
Su Eros, però, non poteva far altro che tirare più o meno a
indovinare. Non era poi così male.
Ma poteva comunque capire che ci stavano mettendo troppo e,
quel che era peggio, non ne stavano parlando. Nessuno dei due
parlava; camminavano più lentamente del normale. Il dolore non era
ancora arrivato alla soglia della coscienza, ma Miller sapeva che
entrambi i loro corpi stavano cominciando a risentire del danno
radioattivo. E la situazione non sarebbe andata migliorando.
«Okay» disse Holden. «Da queste parti dovrebbe esserci un
cunicolo di servizio.»
«Potremmo anche provare la stazione della metropolitana»
propose Miller. «I vagoni viaggiano nel vuoto ma potrebbero anche
esserci dei tunnel di servizio paralleli al tubo.»
«Non credi che potrebbero averli chiusi durante il rastrellamento?»
«Probabile» disse Miller.
«Ehi! Voi due! Che cazzo credete di fare, qui fuori?»
Miller si guardò alle spalle. Due uomini in tenuta antisommossa
stavano rivolgendo loro dei gesti minacciosi. Holden imprecò
sottovoce. Miller strizzò gli occhi.
Il fatto era che quegli uomini erano dei dilettanti. L’embrione di
un’idea si agitò in un angolino della mente di Miller mentre guardava
i due che si avvicinavano. Ucciderli e prendere il loro
equipaggiamento non avrebbe funzionato. Non c’era niente di meglio
che chiazze di sangue e bruciature per dare a intendere che c’era
qualcosa di losco. Però...
«Miller» disse Holden, con un tono di avvertimento nella voce.
«Sì» rispose Miller. «Lo so.»
«Che cazzo pensate di fare voi due, ho detto!» ripeté uno degli
uomini della sicurezza. «La stazione è in procedura di blocco. Tutti i
cittadini devono dirigersi giù verso il livello dei casinò o verso i rifugi
antiradiazioni.»
«Stavamo giusto cercando un modo per... ehm... scendere al livello
dei casinò» spiegò Holden, sorridendo e assumendo un
atteggiamento completamente innocuo. «Non siamo del posto, e...»
La guardia più vicina lo colpì seccamente sulla gamba con il calcio
del fucile. Il terrestre incespicò e Miller sparò allo sgherro appena
sotto la visiera, poi si voltò di scatto verso l’altro sbirro, rimasto a
bocca aperta.
«Tu sei Mikey Ko, giusto?» domandò Miller.
Il viso dell’uomo si fece ancor più pallido, ma annuì. Holden
gemette e si rialzò in piedi.
«Sono l’ispettore Miller» disse l’ex poliziotto. «Ti ho messo dentro
su Ceres più o meno quattro anni fa. Ti eri un po’ lasciato prendere
la mano in un bar. Il Tappan’s, se non sbaglio... Picchiasti una
ragazza con una stecca da biliardo, dico bene?»
«Oh... Ehi!» disse l’uomo con un sorriso spaventato. «Sì, mi
ricordo di te. Come te la passi?»
«Alti e bassi» rispose Miller. «Sai com’è. Consegna la tua pistola al
terrestre.»
Lo sguardo di Ko passò da Miller a Holden, poi tornò sull’ex
poliziotto. Lo scagnozzo si leccò le labbra, soppesando le sue
possibilità. Miller scosse la testa.
«Andiamo» disse. «Dagli la pistola.»
«Certo, sì. Non c’è problema.»
Quello era il genere di uomo che aveva ucciso Julie, pensò Miller.
Stupido. Avventato. Un uomo che al posto dell’anima aveva solo un
violento appetito opportunista. La Julie mentale di Miller scosse la
testa disgustata e affranta, e Miller si ritrovò a chiedersi se quel
gesto avesse di mira lo sgherro che stava consegnando il fucile a
Holden o lui. Forse entrambi.
«Che sta succedendo, qui, Mikey?» chiese Miller.
«Che vuoi dire?» domandò quello, facendo il finto tonto, come se si
fossero trovati in una stanza per gli interrogatori. Cercando di
prendere tempo. Recitando il vecchio copione tra sbirro e criminale,
come se avesse ancora un senso. Come se non fosse cambiato
niente. Miller fu sorpreso di sentirsi un nodo in gola. Non sapeva che
cosa significasse.
«Il lavoro» riprese. «Che lavoro è?»
«Non lo so...»
«Ehi» disse Miller con gentilezza. «Ho appena ammazzato il tuo
compare.»
«È il terzo, oggi» aggiunse Holden. «L’ho visto coi miei occhi.»
Miller riusciva a leggere la furbizia maligna nello sguardo di
quell’uomo, la mutevolezza, lo spostarsi da una strategia all’altra.
Era una roba vecchia, familiare e prevedibile come un rivolo d’acqua
che scende verso il basso.
«Be’» disse Ko. «È solo un lavoretto. Un anno fa ci hanno detto
che ci sarebbe stato un grosso cambiamento, chiaro? Ma nessuno
sa che cos’è. E qualche mese fa hanno cominciato a far spostare i
ragazzi. A addestrarci come se fossimo degli sbirri, capito come?»
«Chi vi ha addestrati?» chiese Miller.
«Quelli che erano qui prima di noi, con l’appalto per la sicurezza
della stazione» rispose Ko.
«Protogen?»
«Una roba del genere, sì» disse quello. «Poi se ne sono andati e
noi abbiamo preso il loro posto. Solo lavori pesanti, hai presente...
Un po’ di contrabbando.»
«Contrabbando di cosa?»
«Un po’ di tutto» disse Ko. Stava cominciando a sentirsi più sicuro,
e si vedeva nel suo atteggiamento e nel modo in cui parlava.
«Equipaggiamento di polizia, sistemi di comunicazione, server
cazzutissimi con software gelatinosi già preinstallati... e
strumentazione scientifica. Roba per monitorare l’aria, l’acqua e
cazzate del genere. E anche vecchi robot per l’accesso remoto,
come quelli che si usavano per scavare nel vuoto. Un po’ di tutto.»
«Dove portavate tutta questa roba?» chiese Holden.
«Qui» rispose Ko, indicando intorno a sé, con riferimento
all’asteroide e alla stazione. «È tutto qui. Ci hanno messo tipo mesi,
a installare quella merda. E poi, per settimane, più niente.»
«In che senso, niente?» chiese Miller.
«Niente di niente. Tutto quel lavoro preparatorio, e poi ce ne siamo
rimasti con le mani in mano, a girarci i pollici.»
Qualcosa era andato storto. Il morbo di Phoebe non era arrivato al
momento previsto; poi però era venuta Julie, pensò Miller, e i giochi
erano ripresi. La rivide ancora, come gli era apparsa nella stanza.
Quei lunghi tentacoli di chissà cosa, le schegge d’ossa che le
premevano sulla pelle per lacerarla dall’interno, la schiuma nera e
filamentosa che le colava dagli occhi.
«La paga è buona, però» disse filosoficamente Ko. «Ed è stato
bello godersi un po’ di tempo libero.»
Miller annuì, gli si fece più vicino, infilò la canna della pistola tra gli
strati di corazza sul ventre di Ko e gli sparò.
«Ma che cazzo!» disse Holden mentre Miller si rimetteva la pistola
nella tasca della giacca.
«Che cosa credevi che sarebbe successo?» chiese Miller,
accovacciandosi accanto all’uomo con il proiettile in pancia. «Non ci
avrebbe mica lasciati andare.»
«Be’, okay» riconobbe Holden. «Però...»
«Aiutami a rialzarlo» disse Miller, passando un braccio sotto la
spalla di Ko. Quando lo sollevò da terra, l’uomo lanciò un grido di
dolore.
«Cosa?»
«Sorreggilo dall’altra parte» disse Miller. «Ha bisogno di cure
mediche, dico bene?»
«Uhm... sì» rispose Holden.
«E allora sorreggilo dall’altra parte.»
I rifugi antiradioattivi non erano poi così lontani come si era
aspettato Miller, il che aveva i suoi pro e i suoi contro. Di buono c’era
che Ko era ancora vivo e urlante. Era probabile che fosse anche
lucido, il che non era quello Miller aveva sperato. Ma, quando
raggiunsero il primo gruppo di guardie, il balbettio incoerente di Ko
era abbastanza incomprensibile da fare il suo gioco.
«Ehi!» gridò Miller. «Qualcuno ci aiuti!»
In cima alla rampa, le quattro guardie si guardarono incerte e
cominciarono a venir loro incontro, lasciando che la curiosità avesse
la meglio sulle procedure operative più elementari. Holden respirava
a fatica. Anche Miller. Ko non era poi così pesante. Era un brutto
segno.
«Che diavolo è successo?» chiese una delle guardie.
«C’è una manciata di bastardi trincerata laggiù» rispose Miller.
«Una resistenza. Credevo che aveste rastrellato l’intero livello.»
«Non era compito nostro» disse lo sgherro. «Noi dovevamo
soltanto assicurarci di portare la gente dai casinò ai rifugi.»
«Be’, qualcuno ha fatto qualche cazzata» scattò Miller. «Avete un
mezzo di trasporto?»
Le guardie si scambiarono un’altra occhiata incerta.
«Possiamo farne venire uno» disse un tipo da dietro il primo.
«Lascia perdere» rispose Miller. «Andate a cercare quei bastardi.»
«Aspetta un momento» disse il primo sgherro. «E voi chi diavolo
sareste, esattamente?»
«Installatori della Protogen» spiegò Holden. «Stiamo sostituendo i
sensori difettosi. Questo tipo ci stava dando una mano.»
«Non ho sentito di niente del genere» obiettò il capo dei quattro.
Miller infilò un dito sotto l’armatura di Ko e l’affondò nella ferita. Ko
gridò e cercò di divincolarsi.
«Parlatene col vostro capo quando avrete un po’ di tempo libero»
disse Miller. «Andiamo. Portiamo questo sacco di patate da un
medico.»
«Fermo!» esclamò la prima guardia, e Miller sospirò. Erano in
quattro. Se avesse lasciato cadere Ko e si fosse messo in
copertura... Ma non c’erano ripari a portata di mano. E chissà che
cosa avrebbe fatto Holden.
«Dove sono gli assalitori?» chiese la guardia. Miller si impedì di
sorridere.
«C’è un buco, giù, a un quarto di chilometro in senso inverso alla
rotazione» disse Miller. «Il corpo di quell’altro è ancora lì. Non potete
sbagliarvi.»
Miller oltrepassò la rampa. Alle sue spalle, le guardie stavano
dibattendo sul da farsi, su chi chiamare, su chi mandare.
«Tu sei completamente fuori di testa» disse Holden al di sopra del
piagnisteo semincosciente di Ko.
Forse aveva ragione.
Quand’è, si chiese Miller, che smetti di essere umano? Doveva
esserci un momento, una decisione che prendevi e, prima di essa eri
una persona e dopo diventavi qualcun altro. Mentre attraversavano i
livelli di Eros con il corpo sanguinante di Ko tra lui e Holden, Miller
rifletteva. Probabilmente stava morendo per l’esposizione alle
radiazioni. Si era fatto largo a furia di menzogne oltre una mezza
dozzina di individui che l’avevano lasciato passare soltanto perché
erano abituati a trattare con gente che aveva paura di loro, mentre
lui non ne aveva. Aveva ucciso tre persone nelle ultime due ore.
Quattro, se contava anche Ko. Probabilmente quattro era il numero
più esatto.
La parte analitica della sua mente, quella vocina tranquilla che
aveva coltivato per anni, lo guardava mentre si muoveva e ripassava
tutte le proprie decisioni. Tutto ciò che aveva fatto aveva avuto
perfettamente senso, sul momento. Sparare a Ko. Sparare agli altri
tre. Lasciare la sicurezza del nascondiglio dell’equipaggio per
investigare sulla situazione. Emotivamente, ogni cosa era stata ovvia
sul momento. Era soltanto quando esaminava le sue azioni
vedendole dall’esterno che gli sembravano pericolose. Se avesse
visto qualcun altro fare cose del genere – Muss, Havelock,
Sematimba – non ci avrebbe messo più di un minuto a capire che
erano usciti di senno. Ma, visto che si trattava di lui, ci aveva
impiegato più tempo a rendersene conto. Holden aveva ragione. A
un certo punto, aveva perso la testa.
Voleva convincersi che era stato per via di come aveva ritrovato
Julie, per aver visto quel che era successo al suo corpo, per il fatto
di sapere che non era stato capace di salvarla, ma quello era
soltanto stato il momento più emotivo. La verità era che, delle sue
decisioni prima di quell’evento – lasciare Ceres per andare in giro a
caccia di Julie, bersi la carriera di una vita, restare in polizia anche
soltanto per un giorno in più dopo aver ucciso la sua prima vittima
tutti quegli anni addietro – nessuna sembrava avere un senso,
ripensandoci con un po’ di obiettività. Aveva buttato alle ortiche un
matrimonio con una donna che aveva amato. Aveva vissuto
immerso fino al collo nel peggio di ciò che l’umanità aveva da offrire.
Aveva sperimentato in prima persona che era capace di uccidere un
altro essere umano. E mai, durante tutto quel percorso, c’era stato
un momento di cui poteva dire: ecco, qui ero un uomo sano di
mente, e dopo non lo sono stato più.
Forse era un processo cumulativo, come fumare sigarette. Una
non faceva poi un gran danno. Cinque nemmeno. Ogni emozione
che si era negato, ogni contatto umano che aveva rifiutato, ogni
amore, amicizia e momento di compassione da cui era rifuggito,
l’avevano allontanato sempre un po’ di più da sé stesso. Fino a quel
momento, era stato in grado di uccidere un uomo impunemente. Di
guardare in faccia la morte con un diniego della realtà che gli aveva
permesso di pianificare e agire.
Nella propria mente, Julie Mao inclinò la testa, intenta ad ascoltare
i suoi pensieri. Lo abbracciò, tenendolo stretto con il corpo contro il
suo, in un modo più confortante che erotico. Consolatorio. Un atto di
perdono.
Era per questo che l’aveva cercata. Julie era diventata la parte di
lui che era capace di provare sentimenti umani. Il simbolo di ciò che
sarebbe stato se non fosse stato ciò che era. Non aveva motivo di
pensare che la sua Julie immaginaria avesse qualcosa in comune
con la donna reale. Se l’avesse incontrata, sarebbe stata una
delusione per entrambi.
Doveva crederci, proprio come aveva dovuto credere in tutto ciò
che fino ad allora l’aveva tagliato fuori dall’amore.
Holden si fermò, con il corpo ormai senza vita di Ko che strattonò
indietro Miller e lo fece tornare alla realtà.
«Che c’è?» disse Miller.
Holden indicò con il mento il pannello di accesso che avevano di
fronte. Miller lo guardò senza capire, e poi lo riconobbe. Ce
l’avevano fatta. Erano tornati al nascondiglio.
«Stai bene?» chiese Holden.
«Sì» rispose Miller. «Avevo la testa tra le nuvole. Scusa.»
Lasciò cadere Ko e lo scagnozzo scivolò a terra con un tonfo
sordo. Il braccio di Miller si era addormentato. Lo scosse, ma il
formicolio rimase. Fu attraversato da un’ondata di nausea e vertigini.
I sintomi, pensò.
«Come siamo messi, a tempo?» chiese Miller.
«Appena cinque minuti di ritardo. Non sarà un problema» rispose
Holden, mentre apriva il portello facendolo scivolare di lato.
Il corridoio dove si erano nascosti Naomi, Alex e Amos era vuoto.
«Cazzo» disse Holden.
29
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Naomi parlava nel sonno. Era una delle decine di cose che Holden
non sapeva di lei prima di quella sera. Anche se avevano dormito sui
sedili a meno di un metro di distanza l’uno dall’altra in molte
occasioni, non l’aveva mai sentita. Ora, con il viso di lei posato sul
petto, percepiva le labbra che si muovevano e le soffici, accentuate
esalazioni delle parole. Non riusciva a distinguere quel che diceva.
Aveva anche una cicatrice sulla schiena, appena sopra il gluteo
sinistro. Era lunga quasi dieci centimetri e aveva i bordi irregolari e
frastagliati che derivavano da uno strappo piuttosto che da un taglio.
Naomi non era tipo da farsi accoltellare in una rissa da bar, per cui
doveva essere accaduto a lavoro. Forse mentre risaliva negli angusti
spazi della sala macchine, e la nave aveva compiuto una manovra
inaspettata. Un chirurgo plastico competente avrebbe potuto farla
sparire con una seduta. Il fatto che non si fosse presa la briga di
farlo e che chiaramente non le importasse era un’altra cosa che
Holden aveva imparato su di lei quella sera.
Naomi smise di mormorare e schioccò le labbra un po’ di volte, poi
disse: «Sete.»
Holden scivolò via da sotto di lei e si diresse in cucina, sapendo
che quella era l’ossequiosità che accompagnava sempre ogni nuova
amante. Nelle due settimane seguenti, non sarebbe riuscito a
impedirsi di soddisfare ogni possibile capriccio di Naomi. Era un
comportamento che alcuni uomini si portavano nei geni; il loro DNA
voleva assicurarsi che quella prima volta non fosse soltanto una
coincidenza.
La stanza di Naomi era diversa dalla sua, e quell’improvvisa
estraneità lo rese goffo mentre avanzava nel buio. Annaspò per
qualche minuto in cucina, alla ricerca di un bicchiere. Quando l’ebbe
trovato, riempito e fu tornato nell’altra stanza, Naomi era seduta nel
letto. Le lenzuola le si erano raccolte in grembo. La vista di lei,
mezza nuda nella stanza fiocamente illuminata, gli procurò
un’imbarazzante erezione.
Naomi fece scorrere lo sguardo sul suo corpo, soffermandosi
all’altezza della vita, poi sul bicchiere d’acqua, e disse: «È per me,
quello?»
Holden non sapeva a quale delle due cose si riferisse, per cui si
limitò a rispondere: «Sì.»
«Dormi?»
Il viso di Naomi riposava sul suo addome; respirava piano e
profondamente ma, sorprendendolo, gli rispose: «No.»
«Possiamo parlare?»
Naomi rotolò via e sollevò finché il suo viso non fu vicino a quello di
Holden sul cuscino. Una ciocca di capelli le ricadde sugli occhi, e il
capitano allungò una mano e la spostò; un gesto che gli parve tanto
intimo e di possesso che dovette deglutire un nodo che gli si era
formato in gola.
«Hai intenzione di fare sul serio, con me?» chiese lei, con gli occhi
socchiusi.
«Sì, è così» rispose lui, baciandola sulla fronte.
«Il mio ultimo amante è stato più di un anno fa» disse lei. «Sono
una monogama seriale, per cui, per quanto mi riguarda, questo
sarebbe un accordo di esclusiva finché uno di noi due deciderà
altrimenti. Fintantoché sarò avvertita in anticipo che hai stabilito
d’interrompere l’accordo, non ci saranno risentimenti. Sono aperta
all’idea che sia qualcosa di più che semplice sesso, ma secondo la
mia esperienza questo succederà da sé, se così dev’essere. Ho
degli ovuli conservati su Europa e Luna, se la cosa t’interessa.»
Naomi si rialzò su un gomito, mettendo il viso sopra quello di
Holden.
«Ho previsto tutto?» chiese.
«No» rispose lui. «Ma acconsento ai termini dell’accordo.»
Lei si ributtò sul letto, di schiena, lasciando uscire un sospiro
soddisfatto.
«Bene.»
Holden avrebbe voluto abbracciarla, ma si sentiva troppo accaldato
e appiccicoso per il sudore, per cui si limitò a cercarle la mano e a
prenderla nella sua. Avrebbe voluto aggiungere che tutto ciò voleva
già dire qualcosa, che per lui era già più di una semplice notte di
sesso, ma ogni parola che gli veniva in mente sembrava falsa o
eccessivamente sdolcinata.
«Grazie» disse alla fine, ma Naomi stava già russando
dolcemente.
La mattina dopo fecero di nuovo sesso. Dopo una lunga notte con
troppo poco sonno, per Holden fu più uno sforzo che un atto
liberatorio, ma c’era del piacere anche in quello, come se del sesso
meno strabiliante significasse qualcosa di diverso, più divertente, più
delicato di quello che avevano già fatto insieme. Dopo, Holden andò
in cucina e preparò il caffè, portandolo a letto su un vassoio. Lo
bevvero senza parlare, mentre un po’ della timidezza che erano
riusciti a vincere la notte prima si faceva di nuovo strada nella
mattina artificiale dei LED della stanza.
Naomi posò la sua tazza vuota sul vassoio e toccò il bozzo mal
guarito sul naso di Holden.
«È orribile?» chiese il capitano.
«No» rispose lei. «Prima eri troppo perfettino. Così ti conferisce più
sostanza.»
Holden scoppiò a ridere. «Sembra più un modo per descrivere un
grassone o un professore di storia.»
Naomi sorrise e gli accarezzò delicatamente il petto con la punta
delle dita. Non era un tentativo di eccitarlo, ma solo l’esplorazione
che veniva naturale quando la sazietà aveva rimosso il sesso
dall’equazione. Holden cercò di ricordare l’ultima volta in cui la
fredda razionalità che seguiva il sesso era stata così gradevole, ma
forse non lo era stata mai. Architettò diversi piani per poter passare il
resto della giornata nel letto di Naomi, ripassando a mente una lista
di ristoranti della stazione che facevano consegne a domicilio,
quando il suo terminale cominciò a ronzare sul comodino.
«Porca puttana» esclamò.
«Non devi rispondere per forza» disse Naomi, proseguendo la sua
esplorazione sulla pancia.
«C’eri anche tu in questi ultimi due mesi, giusto?» chiese Holden.
«A meno che non abbiano sbagliato numero, probabilmente sarà
una qualche roba da apocalisse del sistema solare, e abbiamo
cinque minuti per evacuare la stazione.»
Naomi lo baciò sul costato, cosa che lo solleticò e
contemporaneamente gli fece rivedere la precedente decisione sul
suo periodo refrattario.
«Non è divertente» disse lei.
Holden sospirò e raccolse il terminale dal tavolino. Mentre squillava
di nuovo, sullo schermo comparve il nome di Fred.
«È Fred» disse.
Naomi smise di baciarlo e si mise a sedere.
«Già. Probabilmente non sono buone notizie, allora.»
Holden premette con un dito sullo schermo per accettare la
chiamata e disse: «Fred.»
«Jim. Passi dal mio ufficio appena può. È importante.»
«Va bene» rispose Holden. «Mezz’ora e sono lì.»
Chiuse la chiamata e tirò il palmare sulla pila di vestiti che aveva
lasciato ai piedi del letto, dall’altra parte della stanza.
«Vado a farmi una doccia e poi a vedere che cos’è che vuole Fred»
disse, gettando via le lenzuola e alzandosi dal letto.
«Vuoi che venga anch’io?» chiese Naomi.
«Scherzi? Non ti lascerò più stare lontano da me, nemmeno per un
istante.»
«Non fare l’appiccicoso, adesso» rispose Naomi; mentre lo diceva
però gli fece un gran sorriso.
La prima spiacevole sorpresa fu Miller, seduto nell’ufficio di Fred
quando arrivarono. Holden lo salutò con un breve cenno del capo,
poi disse a Fred: «Eccoci. Che succede?»
Fred fece loro segno di sedersi e, quando ebbero obbedito, disse
loro: «Abbiamo discusso il da farsi con Eros.»
Holden si strinse nelle spalle. «Okay. Di che si tratta?»
«Miller crede che qualcuno cercherà di atterrare laggiù e di
recuperare qualche campione della protomolecola.»
«Non ho difficoltà a credere che qualcuno potrebbe effettivamente
essere tanto stupido» disse Holden, annuendo.
Fred si alzò e picchiettò qualcosa sulla sua scrivania. Gli schermi
che normalmente mostravano una vista del cantiere della Nauvoo,
all’esterno, passarono di colpo a far vedere una mappa in due
dimensioni del sistema solare, con dei piccoli puntini luminosi di
colori diversi a illustrare la posizione delle flotte militari. Un rabbioso
sciame di puntini verdi circondava Marte. Holden dedusse che
fossero le navi della Terra. Tra la Fascia e i pianeti esterni c’erano un
sacco di puntini rossi e gialli. I rossi dovevano essere Marte, quindi.
«Bella mappa» disse Holden. «È accurata?»
«Ragionevolmente» rispose Fred. Con pochi tocchi sulla sua
scrivania, zumò l’immagine su una porzione della Fascia. Un grumo
a forma di patata etichettato come ‘Eros’ riempì il centro dello
schermo. Due piccoli puntini verdi si avvicinavano poco per volta da
diversi metri di distanza.
«Quella è la nave di ricerca scientifica terrestre Charles Lyell, che
avanza verso Eros a tutta velocità. È accompagnata da quello che
pensiamo essere un veicolo di scorta di classe Phantom.»
«La cugina terrestre della Roci» disse Holden.
«Be’, la classe Phantom è un modello più vecchio, e largamente
relegata a incarichi di livello minore, ma è comunque più che
sufficiente per fare le scarpe a qualsiasi cosa l’APE sia in grado di
mettere in campo in tempi rapidi» replicò Fred.
«Esattamente il tipo di veicolo che userei per fare da scorta a una
nave di ricerca scientifica, quindi» disse Holden. «Come hanno fatto
a essere già qui? E perché soltanto in due?»
Fred allargò la visuale sulla mappa finché non tornò a illustrare
l’intero sistema solare.
«Per puro caso. La Lyell era di ritorno sulla Terra dopo una
missione di mappatura di asteroidi non cinturiani, quando ha
cambiato rotta verso Eros. Era vicina; nessun altro lo era. La Terra
deve aver intravisto l’opportunità di raccogliere un campione mentre
tutti gli altri stavano ancora cercando di capire come muoversi.»
Holden guardò Naomi, ma il suo viso era impenetrabile. Miller lo
fissava come un entomologo che studiava il punto migliore in cui
infilare l’ago.
«Quindi sanno tutto?» chiese Holden. «Della Protogen e di Eros?»
«Così crediamo» chiese Fred.
«E vuole che li scacciamo? Voglio dire, credo sia possibile, ma
funzionerà soltanto finché la Terra non invierà altre navi a supporto.
Non riusciremo a guadagnare molto tempo.»
Fred sorrise.
«Non ce ne servirà molto» disse. «Abbiamo un piano.»
Holden annuì, aspettando di sentirlo, ma Fred si sedette e si
appoggiò allo schienale della poltrona. Miller si alzò e cambiò la vista
sullo schermo fino a un’immagine ravvicinata della superficie di Eros.
Ora finalmente sapremo perché Fred continua a tenersi intorno
questo sciacallo, pensò Holden, ma non disse niente.
Miller indicò l’immagine di Eros.
«Eros è una vecchia stazione. Con molte ridondanze, molti fori
sulla sua pelle, perlopiù piccoli portelloni di manutenzione» iniziò a
spiegare l’ex detective. «I moli principali sono divisi in cinque grossi
gruppi attorno alla stazione. Pensiamo di inviare sei navi cargo di
supporto verso Eros assieme alla Rocinante. La Roci impedirà alla
nave di ricerca scientifica di attraccare mentre i cargo si poseranno
sulla stazione, uno per ogni gruppo di moli.»
«Avete intenzione di far entrare qualcuno là dentro?» chiese
Holden.
«Non dentro» rispose Miller. «Soltanto sopra. Lavoro di superficie.
Comunque sia, il sesto cargo evacuerà gli equipaggi una volta che
gli altri saranno attraccati. Ogni cargo abbandonato avrà un paio di
dozzine di testate a fusione ad alto impatto collegate con i sensori di
prossimità della nave. Qualsiasi cosa tenti di attraccare provocherà
un’esplosione di qualche centinaio di megatoni. Dovrebbe bastare a
far fuori qualunque nave in avvicinamento ma, se anche così non
fosse, i moli sarebbero troppo slabbrati per consentire l’attracco.»
Naomi si schiarì la gola. «Ehm... le Nazioni Unite e Marte
dispongono entrambi di squadre di artificieri. Troveranno un modo
per superare le vostre trappole esplosive.»
«Se ne avessero il tempo» concordò Fred.
Miller proseguì, come se non fosse stato interrotto.
«Le bombe sono soltanto una seconda linea deterrente. Prima la
Rocinante, poi le bombe. Stiamo cercando di dare tempo sufficiente
alle squadre di Fred per finire di preparare la Nauvoo.»
«La Nauvoo?» disse Holden e, mezzo secondo dopo, Naomi fece
un fischio sordo. Miller annuì verso di lei, quasi come se stesse
accettando un applauso.
«La Nauvoo si lancerà in una lunga corsa parabolica,
raggiungendo un’elevata velocità. Colpirà Eros con un’accelerazione
e un angolo calcolati per spingere la stazione verso il sole. E
azionerà anche le testate. Tra l’energia dell’impatto e le testate a
fusione, pensiamo che la superficie di Eros sarà abbastanza calda e
radioattiva da friggere qualsiasi cosa cerchi di atterrare lì finché non
sarà troppo tardi» concluse Miller, poi tornò a sedersi. Alzò gli occhi
come se stesse aspettando una qualche reazione.
«Questa è stata un’idea tua?» chiese Holden a Miller.
«La parte della Nauvoo, sì. Ma non sapevamo della Lyell quando
ne abbiamo discusso per la prima volta. La faccenda delle trappole
esplosive è più o meno improvvisata. Credo che funzionerà, però. Ci
farà guadagnare il tempo che ci serve.»
«Sono d’accordo» disse Holden. «Dobbiamo mantenere Eros fuori
dalla portata di chiunque, e non vedo un modo migliore per farlo. Ci
sto. Scacceremo la nave di ricerca scientifica mentre voi farete quel
che dovete.»
Fred si sporse sulla poltrona con uno scricchiolio e disse: «Sapevo
che sareste stati dei nostri. Miller era più scettico.»
«Sparare un milione di persone nel sole sembrava una cosa che
avrebbe potuto farti tirare indietro» disse il detective con un sorriso
privo di allegria.
«Non c’è più niente di umano su quella stazione. Qual è il tuo ruolo
in tutto questo? Fai il consulente dalle retrovie, ora?»
Gli uscì con un tono più aggressivo di quanto non intendesse, ma
Miller non sembrò prendersela.
«Coordinamento squadre di sicurezza.»
«Squadre di sicurezza? A che gli servirà la sicurezza?»
Miller sorrise. Tutti i suoi sorrisi sembravano quelli di un uomo a cui
veniva raccontata una barzelletta a un funerale.
«In caso qualcosa dovesse strisciare fuori da un portellone per
cercare di farsi dare un passaggio» disse.
Holden si accigliò. «Non mi piace pensare che quella roba sia in
grado di andarsene in giro per il vuoto. Non mi piace per niente.»
«Una volta che porteremo la temperatura di superficie di Eros a
diecimila gradi centigradi, credo che non avrà più molta importanza»
replicò Miller. «Fino ad allora, meglio essere prudenti.»
Holden si trovò a desiderare di poter mostrare la stessa sicurezza
del detective.
«Quali sono le possibilità, invece, che l’impatto e le detonazioni
spacchino Eros in milioni di frammenti e li disperdano in tutto il
sistema solare?» chiese Naomi.
«Fred ha messo al lavoro i suoi migliori ingegneri per calcolare
ogni cosa fino all’ultimo decimale, per assicurarci che non accadrà»
rispose Miller. «La Tycho ha aiutato a costruire Eros, all’inizio. Hanno
tutti i progetti.»
«Allora» disse Fred. «Occupiamoci degli ultimi dettagli
dell’accordo.»
Holden attese.
«Avete ancora la protomolecola» disse Fred.
Holden annuì di nuovo. «E...?»
«E...» rispose Fred. «E l’ultima volta che vi abbiamo spediti in
missione, la vostra nave è stata quasi distrutta. Una volta che Eros
sarà stata nuclearizzata, sarà l’unico campione in circolazione, oltre
a ciò che potrebbe essere ancora su Phoebe. Non riesco a trovare
alcun motivo per permettervi di tenerlo. Voglio che rimanga qui su
Tycho quando partirete.»
Holden si alzò, scuotendo la testa.
«Lei mi piace, Fred, ma non ho intenzione di consegnare quella
roba a nessuno che possa considerarla come un elemento di
trattativa.»
«Non credo che abbia molte...» cominciò a dire Fred, ma Holden
alzò un dito per interromperlo. Mentre Fred lo fissava sorpreso, tirò
fuori il suo terminale e aprì la linea di comunicazione con
l’equipaggio.
«Alex, Amos, siete a bordo della nave?»
«Ci sono» rispose Amos un istante dopo. «Sto finendo di fare
una...»
«Chiudila» disse Holden, interrompendolo. «Immediatamente.
Sigillala. Se non ti richiamo tra un’ora, e se qualcuno che non sia io
cerca di salire a bordo, lascia il molo e allontanati da Tycho alla
massima velocità possibile. Scegli tu la direzione. Fatti largo
sparando, se devi. Ricevuto?»
«Forte e chiaro, cap» esclamò Amos. Se Holden gli avesse chiesto
di andargli a prendere una tazza di caffè, Amos avrebbe risposto
esattamente alla stessa maniera.
Fred continuava a fissarlo incredulo.
«Non forzi la mano, Fred» disse Holden.
«Se pensa di potermi minacciare, si sbaglia di grosso» rispose
Fred, con voce inespressiva e spaventosa.
Miller scoppiò a ridere.
«Qualcosa la diverte?» chiese Fred.
«Quella non era una minaccia» rispose Miller.
«Ah, no? E come la definirebbe?»
«Un’accurata fotografia dei fatti» disse Miller. Si stirò lentamente
mentre parlava. «Se ci fosse stato Alex, a bordo, avrebbe potuto
pensare che il capitano stesse cercando di intimidire qualcuno, e
magari si sarebbe tirato indietro all’ultimo minuto. Ma Amos... Amos
si farà largo a cannonate, se deve, anche se significa che verrà
abbattuto con tutta la nave.»
Fred si accigliò e Miller scosse la testa.
«Non è un bluff» disse Miller. «Non cerchi di vederlo.»
Fred strinse gli occhi e Holden si chiese se in fin dei conti non si
fosse spinto troppo in là con quell’uomo. Non sarebbe stato
certamente il primo a essere fucilato su ordine di Fred Johnson. E
accanto a lui c’era Miller. Quello squilibrato di un detective era
capace di sparargli al minimo indizio che qualcuno potesse pensare
che fosse una buona idea. Il semplice fatto che Miller fosse lì
presente aveva scosso ogni fiducia che Holden nutriva nei confronti
di Fred.
Il che rese la situazione ancor più sorprendente quando fu proprio
Miller a salvarlo.
«Ascolti» disse il detective. «Il fatto è che Holden è la persona
migliore per portarsi appresso quella merda finché lei non avrà
deciso cosa farci.»
«Provi a convincermi» replicò Fred, con voce tesa per la rabbia.
«Una volta che Eros sarà andata, lui e la Roci se ne rimarranno
con il culo scoperto. Qualcuno potrebbe essere abbastanza
arrabbiato da bersagliarlo con una testata nucleare anche soltanto
per principio.»
«E perché mai questo dovrebbe rendere più sicuro lasciare a lui la
cassaforte?» chiese Fred, ma Holden aveva capito il concetto di
Miller.
«Potrebbero essere meno inclini a farmi saltare in aria se gli
facessimo sapere che sono io ad avere il campione e tutte le
annotazioni della Protogen» spiegò.
«Non renderebbe più sicuro il campione» disse Miller. «Ma sarà più
probabile che la missione abbia successo. Ed è questo che conta,
giusto? Inoltre, Holden è un idealista» continuò. «Provi a offrire a
Holden il suo peso in oro, e lui si limiterà a offendersi perché ha
cercato di corromperlo.»
Naomi rise. Miller le scoccò un’occhiata, si accordò con il suo
sorriso con un angolo della bocca, poi si voltò verso Fred.
«Sta forse dicendo che ci si può fidare di lui, e non di me?»
domandò Fred.
«Stavo pensando più all’equipaggio» rispose Miller. «Holden ha
poca gente, e tutti fanno quello che dice. Pensano che sia un giusto,
per cui si comportano di conseguenza.»
«La mia gente mi segue» replicò Fred.
Il sorriso di Miller era cauto e inattaccabile.
«C’è un sacco di gente all’interno dell’APE» disse.
«La posta in gioco è troppo alta» ribatté Fred.
«Lei ha scelto la carriera sbagliata, per giocare in sicurezza» disse
Miller. «Non sto dicendo che sia un piano perfetto. Solo che non ne
troverà uno migliore.»
Gli occhi a fessura di Fred brillarono di frustrazione e rabbia. La
mascella si mosse silenziosa per qualche istante prima che
giungesse la sua risposta.
«Capitano Holden. Sono deluso dalla sua mancanza di fiducia,
dopo tutto ciò che ho fatto per lei e i suoi.»
«Se la razza umana esisterà ancora tra un mese, mi scuserò»
rispose Holden.
«Porti il suo equipaggio su Eros prima che cambi idea.»
Holden si alzò, salutò Fred con un cenno del capo e se ne andò.
Naomi uscì al suo fianco.
«Wow, c’è mancato poco» disse lei sottovoce.
Una volta lontani dall’ufficio, Holden disse: «Credo che Fred fosse
a tanto così dall’ordinare a Miller di spararmi.»
«Miller è dalla nostra parte. Non l’hai ancora capito?»
46
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Miller
Holden
Holden sognava.
Aveva avuto sogni lucidi per la maggior parte della vita, per cui
quando si ritrovò seduto nella cucina dei suoi genitori, nella vecchia
casa del Montana, mentre parlava con Naomi, seppe che cosa stava
succedendo. Non riusciva a capire esattamente quel che stesse
dicendo, ma Naomi continuava a spostarsi i capelli dagli occhi
mentre mangiava biscotti e beveva tè. E, mentre Holden scopriva di
non riuscire a prendere un biscotto dal piatto per mangiare anche lui,
ne sentì il profumo; il ricordo dei biscotti al cioccolato di madre Elise
era bellissimo.
Era un bel sogno.
La cucina lampeggiò di rosso, e qualcosa cambiò. Holden percepì
un che di sbagliato, sentì il sogno scivolare da ricordo confortante a
incubo. Cercò di dire qualcosa a Naomi ma non riuscì a formulare le
parole. La stanza s’illuminò di rosso una seconda volta, ma lei non
sembrava accorgersene. Holden si alzò, andò verso la finestra della
cucina e guardò fuori. Quando la stanza lampeggiò di luce rossa una
terza volta, vide che cos’era a provocare quell’effetto. Dal cielo
piovevano meteoriti, lasciandosi dietro gigantesche scie color del
sangue. In qualche maniera, Holden capì che erano pezzi di Eros
mentre si schiantavano attraverso l’atmosfera. Miller aveva fallito,
l’attacco nucleare era fallito.
Julie era tornata a casa.
Si voltò per dire a Naomi di fuggire, ma dei tentacoli neri erano
emersi dal pavimento e l’avevano avvolta, trapassandole il corpo in
più punti, fuoriuscendole dagli occhi e dalla bocca.
Holden cercò di correre da lei, di aiutarla, ma non riusciva a
muoversi e, quando guardò giù, vide che i tentacoli avevano
afferrato anche lui. Uno gli si avviluppò attorno al petto e lo tenne
fermo. Un altro gli scivolò in gola.
Si svegliò con un grido in una stanza buia con una luce rossa che
lampeggiava. Qualcosa attorno al petto lo tratteneva. Preso dal
panico, cercò di togliersela di dosso, rischiando di strapparsi le
unghie della mano sinistra prima che la razionalità gli ricordasse
dove si trovava. Era sul ponte operativo, sul suo sedile, con le
cinture allacciate a gravità zero.
Si mise un dito in bocca, cercando di alleviare il dolore del danno
che si era procurato graffiando la fibbia del sedile, e fece qualche
respiro profondo con il naso. La plancia era vuota. Naomi dormiva
nella sua cabina. Alex e Amos erano fuori servizio, presumibilmente
a letto anche loro. Avevano passato quasi due giorni senza riposarsi
durante l’inseguimento ad alta velocità di Eros. Holden aveva
ordinato a tutti di farsi un pisolino e si era offerto volontario per fare il
primo turno.
E poi si era addormentato come un sasso. Non andava bene.
La stanza lampeggiò di rosso un’ennesima volta. Holden scosse la
testa per scacciare definitivamente il sonno e concentrò la sua
attenzione sulla console. Una luce rossa di allarme pulsava, e
Holden passò le dita sullo schermo per aprire il menu. Era il pannello
di minaccia. Qualcosa li stava inquadrando con un mirino laser.
Aprì lo schermo di minaccia e attivò i sensori. L’unica nave nel
raggio di milioni di chilometri era la Ravi, ed era essa che li stava
prendendo di mira. Secondo i registri automatici, aveva cominciato a
farlo soltanto da pochi secondi.
Holden allungò una mano per attivare le comunicazioni e chiamare
la Ravi, quando la sua spia di messaggi in entrata lampeggiò sul
terminale. Aprì il collegamento e, un secondo più tardi, la voce di
McBride disse: «Rocinante, interrompete ogni manovra, aprite il
portellone esterno e preparatevi a essere abbordati.»
Holden si accigliò fissando la console. Che si trattasse di un
qualche strano scherzo?
«McBride, qui Holden. Ehm... cosa?»
La risposta dell’altro capitano giunse in un tono secco e perentorio,
per niente incoraggiante.
«Holden, apra i portelloni e si prepari all’abbordaggio. Se vedo
attivarsi anche un solo sistema difensivo, aprirò il fuoco sulla vostra
nave. Mi ha capito bene?»
«No» rispose lui, incapace di nascondere il fastidio che provava.
«Non ho capito bene. E non le permetterò di abbordarmi. Che
diavolo sta succedendo?»
«Ho ricevuto ordine dal comando della Marina delle Nazioni Unite
di prendere il controllo della vostra nave. Lei è stato accusato di aver
interferito con un’operazione militare della Marina delle Nazioni
Unite, di aver illecitamente requisito risorse belliche della Marina
delle Nazioni Unite, e di una lista di altri crimini che non starò qui a
leggerle in questo istante. Se non si arrenderà con effetto
immediato, saremo costretti ad aprire il fuoco su di voi.»
«Oh» disse Holden. La Marina Militare delle Nazioni Unite aveva
scoperto che i loro missili stavano cambiando rotta, aveva tentato di
riprogrammarli, e aveva scoperto che non rispondevano più.
Si erano arrabbiati.
«McBride» riprese Holden dopo un momento. «Abbordarci non
servirà a niente. Non possiamo restituirvi quei missili. E non è
necessario. Stanno semplicemente compiendo una piccola
deviazione.»
La risata di McBride sembrò più l’abbaiare secco di un cane
infuriato prima del morso.
«Deviazione?» disse lei. «Lei ha appena consegnato
tremilacinquecentosettantatré missili termonucleari interplanetari ad
alto impatto nelle mani di un traditore, nonché acclarato criminale di
guerra!»
Holden rimase di stucco.
«Intende Fred? Credo che la parola ‘traditore’ sia un tantino
severa...»
McBride lo interruppe.
«Disattivate i transponder fittizi che stanno deviando i nostri missili
e riattivate quelli sulla superficie di Eros, o apriremo il fuoco sulla
vostra nave. Avete dieci minuti per obbedire.»
Il collegamento s’interruppe con un clic. Holden fissò la console
con un misto di sconcerto e indignazione, poi scrollò le spalle e
attivò l’allarme di richiamo alle postazioni di battaglia. Tutte le luci dei
ponti si accesero di un rosso violento. Il segnale di allarme risuonò
per tre volte. In meno di due minuti, Alex si fiondò su per la scala
verso il cockpit e, trenta secondi dopo, Naomi si precipitò verso la
sua postazione operativa.
Alex parlò per primo.
«La Ravi è a quattrocento chilometri da noi» disse. «Il lidar dice
che ha i cannoni pronti a far fuoco, e che ci hanno nel mirino.»
Scandendo ogni parola, Holden disse: «Non aprite – ripeto, non
aprite – i nostri cannoni e non provate a prendere di mira la Ravi per
il momento. Limitatevi a tenerla d’occhio e preparatevi ad attivare
l’assetto difensivo se dovesse far fuoco. Non facciamo niente che
possa provocarla.»
«Vuoi che cominci a disturbare le frequenze?» chiese Naomi alle
sue spalle.
«No, sarebbe una mossa aggressiva. Ma prepara un pacchetto di
contromisure e tieni il dito pronto sul pulsante» disse Holden.
«Amos, sei nella sala motori?»
«Sì, cap. Qua sotto siamo pronti a partire.»
«Porta il reattore al cento percento e trasferisci i controlli dei
cannoni di difesa ravvicinata sul tuo pannello. Se ci sparano da così
vicino, Alex non avrà il tempo di pilotare e di rispondere all’attacco.
Se vedi un puntino rosso sullo schermo di minaccia, apri subito il
fuoco di sbarramento. Ricevuto?»
«Ricevuto» rispose Amos.
Holden esalò un lungo sospiro tra i denti, poi aprì di nuovo il
collegamento con la Ravi.
«McBride, qui Holden. Non ci arrenderemo, non ci lasceremo
abbordare e non ottempereremo alle vostre richieste. Che cosa
vogliamo fare?»
«Holden» disse McBride. «Il vostro reattore si sta attivando. Vi
state preparando a combattere?»
«No, ci stiamo solo preparando a cercare di sopravvivere. Perché,
stiamo combattendo?»
Un’altra risata secca.
«Holden» replicò McBride. «Perché ho la sensazione che lei non
stia prendendo sul serio la situazione?»
«Oh, la sto prendendo molto sul serio» rispose Holden. «Non
voglio che lei mi faccia fuori e, che ci creda o meno, non ho alcun
desiderio di far fuori lei. Le testate stanno facendo una piccola
deviazione, ma non si tratta di qualcosa per cui valga la pena di
morire tra le fiamme. Non posso darle quel che mi chiede, e non
sono interessato a passare i prossimi trent’anni in una prigione
militare. Lei non ci guadagna niente a spararci addosso e, se
dovessimo arrivare a tanto, io risponderò al fuoco colpo su colpo.»
McBride interruppe il collegamento.
«Capitano» disse Alex. «La Ravi sta manovrando. Sta rilasciando
interferenze. Credo che sia pronta ad attaccare in corsa.»
Merda. Holden era stato convinto di poterla dissuadere.
«Okay, andiamo in assetto difensivo. Naomi, avvia le contromisure.
Amos: hai il dito su quel pulsante?»
«Pronto» rispose Amos.
«Non premere finché non vedrai partire un missile. Non voglio
forzargli la mano.»
Un’accelerazione improvvisa e soverchiante schiacciò Holden sul
sedile. Alex aveva cominciato a manovrare.
«Da questa distanza, forse posso eluderla. Impedirle di
posizionarsi adeguatamente per aprire il fuoco» disse il pilota.
«Fallo allora, e apri i cannoni.»
«Ricevuto» replicò Alex; la sua calma professionale da pilota non
riuscì a mascherare l’eccitazione per la possibile battaglia in arrivo.
«Ho interrotto il loro segnale di puntamento» disse Naomi. «Il loro
sistema laser non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello
della Roci. Mi sono limitata a sommergerlo di interferenze.»
«Un hurrà per il portafoglio gonfio del ministero della difesa su
Marte» replicò Holden.
La nave sobbalzò di colpo per una serie di manovre selvagge.
«Dannazione» disse Alex, con voce tesa per il g instabile di quelle
brusche sterzate. «La Ravi ci sta bersagliando con i suoi cannoni di
difesa ravvicinata.»
Holden controllò il suo schermo di minaccia e vide quelle lunghe
strie baluginanti di proiettili in arrivo. I colpi erano largamente fuori
bersaglio. La Roci segnalò che la distanza tra le due navi era di
trecentosettanta chilometri: una distanza piuttosto elevata perché un
sistema di puntamento computerizzato riuscisse a colpire una nave
in manovra casuale con un colpo mirato partito da un’altra nave in
manovra casuale.
«Rispondiamo al fuoco?» gridò Amos sulla linea interna.
«No!» urlò di rimando Holden. «Se ci avessero voluti morti, ci
avrebbero sparato dei missili. Non diamogli ragioni di volerci morti.»
«Cap, le stiamo arrivando alle spalle» disse Alex. «La Roci è
troppo più veloce. Avremo una soluzione di fuoco tra meno di un
minuto.»
«Ricevuto» replicò Holden.
«Ne approfitto per fare fuoco?» chiese Alex, con il suo stupido
accento marziano che svaniva man mano che cresceva la tensione.
«No.»
«Hanno appena spento il loro laser di puntamento» annunciò
Naomi.
«Il che significa che hanno abbandonato l’idea di superare il nostro
schermo di interferenze» replicò Holden «e sono passati al
puntamento radar.»
«Molto meno preciso» disse speranzosa Naomi.
«Una corvetta come quella ha una dozzina di missili. Basta che ci
colpiscano con uno solo di quelli, per farci secchi. E a questa
distanza...»
Lo schermo di minaccia della sua console emise un trillo delicato,
mettendolo al corrente che la Roci aveva appena calcolato una
soluzione di fuoco per colpire la Ravi.
«Ho un varco!» gridò Alex. «Faccio fuoco?»
«No!» rispose Holden. Sapeva che, all’interno della Ravi, stavano
ricevendo l’allarme dai sensori che gli comunicava di essere nel
mirino del nemico. Fermatevi, li esortò Holden con la pura forza di
volontà. Per favore, non costringetemi a uccidervi.
«Uh» disse Alex a voce bassa. «Oh.»
Alle spalle di Holden, quasi nello stesso istante, Naomi disse:
«Jim?»
Prima che Holden potesse chiedere qualcosa, Alex irruppe sulla
linea.
«Ehi, capitano. Eros è appena tornata visibile.»
«Cosa?» domandò Holden; nella mente gli si formò un’immagine
lampo dell’asteroide che coglieva di sorpresa le due navi in battaglia,
come un cattivo dei cartoni animati.
«Già» disse Alex. «Eros. È appena rispuntata sul radar. Qualunque
cosa stesse facendo per bloccare i nostri sensori, ha smesso.»
«E che cosa sta facendo?» chiese Holden. «Identificatemi una
rotta.»
Naomi aprì i dati dei sensori sulla sua console e cominciò a
lavorarci su, ma Alex fece prima di lei.
«Sì» disse. «Hai visto giusto. Sta cambiando rotta. Continua a
dirigersi verso il sole, ma ha deflesso la sua corsa da quella
precedente, evitando la Terra.»
«Se mantiene questa traiettoria a velocità costante,» intervenne
Naomi «direi che si sta dirigendo verso Venere.»
«Wow» esclamò Holden. «Stavo solo scherzando.»
«Bello scherzo» commentò Naomi.
«Bene. Qualcuno dica a McBride che non ha più bisogno di
spararci addosso, ora.»
«Ehi» disse Alex, con voce pensierosa. «Se abbiamo disattivato i
ricettori di quelle testate, significa che non possiamo disinnescarle,
giusto? Mi chiedo dov’è che le butterà Fred.»
«Che diavolo ne so» replicò Amos. «Però ha appena disarmato
completamente la Terra. Dev’essere fottutamente imbarazzante per
loro.»
«Conseguenze involontarie» sospirò Naomi. «Siamo sempre lì.
Conseguenze involontarie.»
Eros che si schiantava su Venere fu l’evento più ampiamente
trasmesso e registrato della storia. Quando l’asteroide aveva
raggiunto il secondo pianeta del sistema solare, diverse centinaia di
navi si erano radunate in quell’orbita. I vettori militari avevano
cercato di allontanare i civili, ma era tutto inutile. Erano troppi. Il
video della discesa di Eros fu catturato dalle telecamere sui mirini
dei militari, dai telescopi delle navi civili e dagli osservatori di due
pianeti e cinque lune.
Holden avrebbe voluto essere lì per osservare da vicino, ma Eros
aveva accelerato dopo aver cambiato rotta, quasi come se
l’asteroide fosse stato impaziente di far finire quel viaggio una volta
adocchiata una destinazione certa. Lui e il suo equipaggio sedettero
nella cambusa della Rocinante e osservarono la scena nei notiziari.
Amos aveva rinvenuto un’altra bottiglia di surrogato di tequila da
chissà dove e ne versò dosi generose nelle loro tazze da caffè. Alex
aveva impostato una velocità di crociera a un terzo di g, verso
Tycho. Non c’era nessun bisogno di affrettarsi.
Era tutto finito. Non restava altro che godersi i fuochi d’artificio.
Holden allungò una mano e prese quella di Naomi, stringendola
mentre l’asteroide faceva il suo ingresso nell’orbita di Venere e
sembrava fermarsi. Ebbe l’impressione di poter sentire l’intera razza
umana che tratteneva il respiro. Nessuno sapeva che cosa avrebbe
fatto Eros – anzi, Julie – ora. Nessuno aveva più parlato con Miller
dopo l’ultima volta che l’aveva fatto Holden; Miller non aveva più
risposto al suo terminale palmare. Nessuno sapeva esattamente che
cosa fosse successo sull’asteroide.
Quando giunse la fine, fu bellissima.
Entrando nell’orbita di Venere, Eros si dissolse come un puzzle.
L’asteroide gigante si divise in una dozzina di grossi tronconi,
allungandosi attorno all’equatore del pianeta in una lunga collana.
Poi quella dozzina di pezzi si divisero a loro volta in un’altra dozzina,
e poi via via continuando, una nuvola di semi frattali che si spargeva
sull’intera superficie del pianeta, svanendo nella spessa coltre di
nubi che solitamente nascondeva Venere alla vista.
«Wow» disse Amos, con tono quasi reverente.
«È stato magnifico» commentò Naomi. «Vagamente inquietante,
ma magnifico.»
«Non rimarranno lì per sempre» disse Holden.
Alex si scolò l’ultimo goccio di tequila nella sua tazza, poi se ne
versò ancora dalla bottiglia.
«Che vuoi dire, cap?» chiese.
«Be’, tiro a indovinare. Ma dubito che le entità che hanno costruito
quella protomolecola volessero semplicemente buttarla laggiù. C’era
un piano più grande all’opera. Abbiamo salvato la Terra, Marte e la
Fascia. La domanda da farsi ora è: che cosa succede, adesso?»
Naomi e Alex si scambiarono un’occhiata. Amos serrò le labbra.
Sullo schermo, Venere scintillò mentre grandi archi lampeggianti
danzavano su tutto il pianeta.
«Cap» disse Amos. «Così mi fai passare lo sballo, sai?»
Epilogo
Fred