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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLE OPERE DELLA COLLEZIONE DEL MUSEO

NAZIONALE DI SAN MATTEO DI PISA


Roberta Castelli

Il primo nucleo di dipinti del Museo Nazionale di San Matteo fu raccolto dal canonico del Duomo
Sebastiano Zucchetti che lo donò all’Opera del Duomo di Pisa nel 1796. La collezione fu
successivamente lasciata in uso per la Scuola di Disegno, e nel secolo successivo, si accrebbe
ulteriormente grazie alle acquisizioni al demanio effettuate in epoca napoleonica e post-unitaria.
Nel 1893 Iginio Benvenuto Supino allestisce presso il convento di San Francesco il nuovo
prestigioso Museo Civico, di cui redige anche un prezioso catalogo. Nel 1949 l’intera collezione fu
trasferita nel nuovo Museo Nazionale, presso il restaurato convento di San Matteo in Soarta,
accogliendo le raccolte dell’ex Museo Civico con successivi incrementi1. Il Museo ospita opere
pisane e non tra cui dipinti su tavola e tela, opere scultoree e libri liturgici, dal XII secolo fino a un
nucleo più piccolo di opere dal XVI al XVIII secolo.
I dipinti, e due casi di scultura, presi in esame in questa sede, sono circoscrivibili dall’inizio del XII
secolo fino al XVII secolo. Lo scopo che si prefigge questo saggio è quello di indagare, riconoscere
e recensire gli strumenti musicali raffigurati nelle opere esposte del Museo. Sono stati individuati
otto dipinti su tavola, due su tela, una scultura marmorea e due colonne lignee con elementi
iconografici musicali.
La conoscenza degli strumenti usati nel Medioevo e nel Rinascimento si basa su tre tipi di fonti:
letterarie, figurative e gli strumenti che sono giunti fino a noi. Riguardo alle fonti figurative, uno dei
temi più ricorrente è quello degli angeli musicanti nelle opere a soggetto sacro.
L’iconografia degli angeli musicanti si afferma pienamente nel XIV secolo a seguito della
diffusione della Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze nella quale gli angeli vegliano sulle vite
miracolose dei santi e accompagnano in particolare, i soggetti mariani. Nel corso del XIV e XV
secolo si assiste a una significativa proliferazione di ensemble strumentali angelici. Il tema della
Madonna con il Bambino appare però privilegiato, così come l’iconografia della Madonna del
Latte, dell’Umiltà e del Rosario, mostrando una declinazione del concerto angelico, in onore della
Madre di Cristo, in un contesto più intimo legato a una devozionalità di tipo privato2.
Gli strumenti non erano però necessariamente suonati nelle formazioni rappresentate, spesso infatti
la scelta degli strumenti rispondeva unicamente a criteri estetici, inoltre la raffigurazione e la loro
impugnatura poteva essere più o meno fedele a seconda delle conoscenze musicali e organologiche
dell’artista3.

Procedendo per ordine cronologico, il primo elemento iconografico riscontrato è visibile in una
scultura marmorea raffigurante il Re David. L’opera, risalente al XII secolo, è di provenienza
sconosciuta così come il nome dell’artista che la realizzò. Il Re David è raffigurato seduto, intento a
suonare un’arpa (fig.1), uno degli strumenti più antichi di cui si abbia notizia spesso citato anche
nella Bibbia. La storia di David è caratterizzata da alcuni episodi nei quali la musica svolge un ruolo


1
E. CARLI, Il Museo di Pisa, Pisa 1974, pp. 5, 6.
2
L. BRUNORI, Gli angeli musicanti: un tema ricorrente, in M. CIATTI, M. SCUDIERI, (a cura di), Il tabernacolo dei
Linaioli del Beato Angelico, Firenze 2011, pp. 28, 29.
3
A. BORNSTEIN, Gli strumenti musicali del Rinascimento, Padova 1987, pp. 15, 16.
centrale: la carica di scudiero e di citaredo, ovvero suonatore di cetra o di arpa conferitagli dal re
Saul e l’episodio della danza con la cetra davanti all’Arca del Signore. David inoltre è l’autore dei
salmi, ovvero di quei canti biblici di preghiera basati su tre punti essenziali: penitenza,
ringraziamento e lode. Nell’episodio di David alla corte di Raul, appare difficile poter interpretate
correttamente in termini organologici lo strumento indicato dal testo e nelle traduzioni, poiché nella
versione italiana il re Saul ordina semplicemente che si trovi un uomo che suoni bene, nella
versione di Lutero un suonatore di arpa e infine nella Vulgata “hominem scientem psallere cithara”.
Dal Medioevo fino al Barocco, difatti Re David appare ritratto con un salterio, con strumenti di
fantasia, come avviene per la lira di Orfeo, o ancora con strumenti in voga ai tempi dell’artista4.
Nel caso della scultura di Pisa, come già ricordato, si tratta di una versione di David in veste di
suonatore di arpa. Alla fine del Medioevo esistevano in Europa due modelli di arpa: la gotica e
l’irlandese. La forma dell’arpa gotica è quella tipica a triangolo, i tre lati sono formati: dalla cassa
armonica a cui sono fissate le corde, che appoggia sul petto e sulla spalla del suonatore; dalla
mensola con una tipica forma ondulata, da cui fuoriescono i piroli attraverso i quali si intonano le
corde; e dalla colonna che può essere dritta o leggermente arcuata verso l’esterno per meglio
sostenere la tensione delle corde. Quest’ultime sono di budello e vengono intonate diatonicamente
e il loro numero può variare da 24 a 26. L’arpa gotica è descritta da diversi trattatisti della prima
metà del XVI secolo, tra cui Sebastian Virdung (1511)5 e Martin Agricola (1529)6.
Il modello irlandese si differenziava da quello gotico per la tipologia delle corde, che erano in
ottone o in acciaio e per la loro intonazione, e aveva un utilizzo prevalentemente popolare.
Il difetto principale dell’arpa era la sua diatonicità, ovvero la sua impossibilità di produrre i
semitoni cromatici. Questo difetto, che divenne rilevante con l’affermarsi della nuova estetica
musicale rinascimentale, confinò l’arpa in ruolo minore per tutta la prima metà del XVI secolo, fino
all’invenzione dell’arpa doppia. Questo strumento era dotato di due ordini paralleli e distinti di
corde, suonati uno con la mano destra e l’altro con la sinistra. L’adozione di questo sistema rendeva
l’arpa completamente cromatica e quindi adatta a eseguire qualsiasi tipo di musica7.
L’arpa realizzata nella scultura di Pisa, poggia sul petto del Re David e presenta la tipica forma
triangolare. La parte superiore risulta danneggiata, ma si possono contare quattro piroli, che in
origine dovevano essere otto poiché si vi sono otto corde.

Nel polittico di Santa Caterina da Alessandria realizzato da Simone Martini nel 1320 proveniente
dalla chiesa domenica di Santa Caterina da Alessandria a Pisa, in una cuspide in alto a destra, è
raffigurato un altro Re David, che in questo caso ha come attributo un salterio (fig. 2). Come già
ricordato l’attributo musicale di David poteva essere, un’arpa, una lira o come in questo caso un
salterio. Questo strumento può offrire una possibile chiave di lettura per l’iconografia del Re David,
poiché il termine salterio designava tanto il libro dei Salmi, quanto uno strumento simili alla cetra, e
infine lo strumento musicale medievale8.
Il trattatista di Praga Paulus Pauliriunus, intorno al 1460 scrive: “…il psalterium è uno strumento di
forma triangolare e certe volte quadrangolare alla maniera del clavicimbalum…è suonato mediante


4
V. SCHERLIESS, Davide: pastore e cantore celeste, in S. FERINO PAGDEN, (a cura di) , Dipingere la musica.
Strumenti in posa del Cinque e Seicento, Milano 2000, p. 49.
5
S. VIRDUNG, Musica getutscht und ausgezogen, 1511.
6
M. AGRICOLA, Musica instrumentalis deudsch, 1529.
7
BORNSTEIN 1987, pp. 187 -191.
8
F. FAITELLI, La leggenda del Re suonatore, in “Art e Dossier”, 14, 1999, p. 42.
una penna tenuta in mano, come la cithara”9. Il salterio si colloca nella famiglia dell’arpa, e
presenta una cassa armonica larga e piatta su cui erano tese all’incirca venticinque corde di metallo
da pizzicare a vuoto. Durante il Rinascimento le notizie su questo strumento sono piuttosto esigue
ed è possibile che in questo periodo fosse utilizzato per l’accompagnamento di melodie vocali
popolari, mentre la sua massima diffusione fu nel Medioevo10. Il salterio raffigurato da Simone
Martini è di forma triangolare e al centro della cassa armonica è raffigurata una rosetta. Il Re David
impugna con la mano destra una sorta di penna, mentre con l’altra mano sorregge lo strumento.

Nella tavola del pittore pisano Neri di Nello, databile alla seconda metà del XIV secolo, sono
raffigurati la Madonna in trono con il Bambino e quattro angeli, di cui due, posti ai piedi del trono,
sono intenti a suonare due ribeche (fig.3). La ribeca è uno strumento ad arco presente nelle
testimonianze iconografiche e letterarie fin dal Medioevo. La cassa di questo strumento ha una
forma piriforme, la struttura risulta piuttosto massiccia poiché era solitamente ricavata da un unico
blocco di legno a cui venivano aggiunti il manico e il piano armonico. Di piccole dimensioni, citato
in alcuni casi come rubechino, era solitamente usato come strumento soprano. Lo strumento è
descritto nel Tractatus de Musica di Hieronymus de Moravia, redatto a Parigi e risalente alla metà
del XIII secolo11, dove vi sono indicazioni sull’accordatura e informazioni sulla prassi esecutiva.
Altre descrizioni sono presenti nei trattati di Johannes Tinctoris del 148212, e in quello di
Agricola13, ma nel corso del XVI secolo, la ribeca si confonderà nella generica indicazione di viola
da braccio14.
I due strumenti raffigurati nella tavola di Neri di Nello sono minuziosamente descritti, e la
posizione dei due angeli permette di vedere sia il fronte, che il retro dello strumento. Nella ribeca
dell’angelo di sinistra (fig. 4.), raffigurato frontalmente, si possono contare due corde e al centro
della cassa è presente una rosetta. Il piano armonico dello strumento appare diviso in due sezioni:
quella inferiore fatte in pelle animale, di colore più chiaro, e la parte superiore, dove sono applicati i
fori di risonanza, in legno. Essendo presenti solo due corde, lo strumento è sprovvisto di ponticello
ricurvo, poiché qualunque fosse stata la sua forma, le due corde potevano essere suonate
separatamente. Solitamente, e si può vedere nell’angelo di Pisa, le corde passavano su un sottile
listello piatto poggiato sul piano armonico ed erano fissate direttamente alla parte più bassa della
cassa tramite un bottone infisso nel legno15. L’angelo di destra è raffigurato di spalle ed è quindi
possibile osservare il retro dello strumento (fig. 5): si vede chiaramente il bottone a cui sono fissate
le corde, e anche in questo caso, risultano essere due poiché sono ben visibili i piroli. Entrambi gli
angeli impugnano un arco dai crini neri con una notevole curvatura. Sia la posizione verosimile dei
due angeli musicanti, che la dettagliata descrizione delle due ribeche, fanno supporre che il pittore
si sai ispirato da un modello reale.

La tavola di Spinello Aretino, proveniente dal Duomo di Pisa e databile alla seconda metà del XIV
secolo raffigura, l’Incoronazione della Vergine con angeli musicanti (fig.6) I quattro angeli sono

9
C. MEYER, Sebastian Virdung Musica getuscht. Les instrumens et la pratique musicale en Allemagne au début du
XVIe siècle, Parigi 1980, p. 84.
10
BORNSTEIN 1987, p. 195.
11
C. PAGE, Jerome of Moravia on the Rubeba and Viella, in “The Galpin Society Journal”, vol. 32, 1979, pp. 77- 78..
12
J. TINCTORIS, De inventione et usu musicae, 1482.
13
AGRICOLA 1529, f. 55v.
14
BORNSTEIN 1987, p. 276.
15
I. WOODFIELD, La viola da gamba dalle origini al Rinascimento, Torino 1999, p. 28.
posti ai piedi del trono e procedendo da destra si può riconoscere una cennamella, uno strumento a
fiato di taglia soprano, a doppia ancia descritto nei trattati di Tinctoris, Sebastian Virdung e
Agricola. Il tubo, provvisto di sei fori sui cui poggiano le dita, è detto cameratura ed è di forma
conica: la parte finale termina con una campana, che aveva lo scopo di amplificare il suono. Il
secondo angelo è invece raffigurato con una zampogna, anch’essa uno strumento a fiato ad ancia, e
sebbene il suo ruolo nella musica Rinascimentale risulta marginale, fu ed è tutt’ora utilizzata nella
musica popolare. Le zampogne utilizzate nel Rinascimento erano costituite da un sacco di cuoio a
tenuta ermetica, gonfiato dal suonatore attraverso una canna di legno munita di una valvola di non
ritorno, che permette all’aria di essere convogliata nelle canne dello strumento tramite la pressione
del braccio che comprime il sacco16.
Il primo angelo sulla sinistra è ritratto lateralmente ed è possibile immaginare che la cassa armonica
che imbraccia, sia quella di un liuto o di uno strumento a corde pizzicate, poiché la mano destra non
sembra impugnare alcun archetto. Il secondo angelo è raffigurato con una viella, uno strumento ad
arco descritto dettagliatamente nel Tractatus de Musica del monaco domenicano Hieronymus de
Moravia. La viella dell’angelo ha una forma ovale, il cavigliere è tondeggiante e sul piano armonico
sono presenti due fori armonici forma di c.
La viella fu utilizzata fino al XV secolo, per poi essere definitivamente sostituita dagli strumenti
della famiglia della viola da gamba e da braccio. Esistevano varie taglie e forme di vielle, ed erano
utilizzate in composizioni polifoniche, e dalla testimonianza di de Moravia, risulta che non era poi
così raro trovare chierici che la sapessero suonare. La cassa armonica era generalmente costituita da
un unico blocco di legno, a cui era poi attaccato un manico che terminava con un cavigliere a forma
di disco o di cuore, in cui erano inseriti i piroli delle corde, generalmente cinque, di cui una di
bordone, posto al di fuori del cavigliere e della tastiera, come corda più grave. Nello strumento
dell’angelo della tavola di Spinello Aretino, appare difficile contare il numero di corde e non
sembrano essere stati dipinti i piroli.

Nella tavola di Antonio Veneziano, realizzata per il convento di San Francesco di Pisa nella
seconda metà del XIV secolo, gli angeli musicanti presenti ai piedi dell’Assunta sono rappresentati
con strumenti appartenenti a tutte le tipologie: fiati, percussioni, a tastiera, strumenti a corda, e ad
arco (fig. 7).
Il primo angelo in alto a destra sorregge e suona un organo portativo, che nella struttura ricorda una
piccola architettura gotica, con una bifora ad arco acuto. Lo strumento era trasportabile e suonabile
senza bisogno di essere poggiato stabilmente a terra; era suonato con una mano sola, generalmente
la destra, mentre l’altra è impegnata nell'azionamento di un mantice inferiore o posteriore, per la
compressione dell’aria. Generalmente i portativi avevano un solo registro in lega metallica ma
anche in legno o altri materiali, con le canne disposte ad ala e a file di due o di tre. L’angelo della
tavola di Pisa, appoggia l’organo sopra l’avambraccio destro e con la stessa mano aziona il piccolo
mantice, mentre la mano destra è raffigurata sulla tastiera. Il secondo angelo, che volge lo sguardo
allo spettatore, ha il mento appoggiato su una probabile viella ma parte dello strumento e delle
braccia sono nascoste dal terzo angelo raffigurato davanti. E’ comunque possibile ipotizzare che si
tratti di una viella, la cassa ha infatti una forma ovale e appoggia sulla spalla dell’angelo lasciando
intendere l’utilizzo di un archetto con la mano destra.


16
BORNSTEIN 1987, p. 130.
Il terzo angelo suona uno strumento a fiato formato da due canne con il fondo che termina a forma
di campana. Non essendo possibile suonare contemporaneamente due ance è da escludere che si
tratti di una cennamella, e non è identificabile nemmeno con una bombarda poiché anche questa è
provvista di ancia. Nonostante l’accentuata scampanatura, si tratta con certezza di due flauti dolci la
cui produzione del suono è ottenuta tramite il fischietto. Nel primo Rinascimento il flauto era
dotato di otto fori per le dita, di cui uno per il mignolo era doppio per poter adattare lo strumento a
un’ impugnatura “dritta” o “mancina”. In epoche precedenti è possibile che il numero dei fori fosse
stato minore: in origine sei come dimostrano strumenti ancora in uso in India e in altre culture
extraeuropee17.
La prima testimonianza dell’uso del flauto è una miniatura francese risalente all’undicesimo secolo,
ma purtroppo non sono sopravvissuti strumenti di questo periodo e sul loro aspetto non è possibili
dire nulla di preciso. Il flauto più antico giunto fino a noi è uno strumento delle dimensioni di un
soprano, ed è stato ritrovato tra le fondamenta di una casa del XV secolo a Dordrecht in Olanda, ed
è possibile che possa essere precedente alla costruzione della casa. Fin dal primo Rinascimento il
flauto dritto aveva raggiunto una certa conformazione, che mantenne, senza cambiamenti
significativi, almeno fino alla metà del XVII secolo18. Tra i trattasti che illustrarono il flauto e la sua
tecnica di grande importanza è il Fontegara del 1535 di Silvestro Ganassi. Il trattato è il primo ad
essere dedicato esclusivamente alla tecnica del flauto dolce, e assieme alla Regola Rubertina,
dedicato alla viola da gamba e al violone, redatta nel 1543, costituiscono uno straordinario
vademecum per la prassi esecutiva del Rinascimento. Nei primi anni del XVI secolo la famiglia dei
flauti dritti comprendeva principalmente tre taglie: Soprano, Tenore, Basso19.
Tornando alla tavola di Pisa, l’angelo accanto, il primo di sinistra, è raffigurato anch’esso con due
strumenti a fiato ma in questo caso non è presente il fondo a campana e si tratterebbe quindi, anche
in questo caso, di due flauti dolci. Il secondo angelo tiene tra le mani due cimbali, strumenti a
percussione composti da due piatti cavi metallici , che vengono percossi insieme. L’ultimo angelo è
raffigurato con un salterio di forma trapezoidale, dove sul piano armonico sono presenti tre rosette.
Gli angeli musicanti di questa tavola costituiscono un vero e proprio concerto angelico e
corrisponde alla nuova tendenza iconografica, tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, dove il
numero di angeli e di strumenti viene notevolmente incrementato. Questi concerti angelici si
richiamano programmaticamente al principale testo biblico di riferimento, ovvero il Salmo 150 che
offre il repertorio canonico degli strumenti più appropriati per dare voce alla musica angelica20:
Alleluia!

Laudate Dominum in sanctuario eius, laudate eum in firmamento virtutis eius.


Laudate eum in magnalibus eius, laudate eum secundum multitudinem magnitudinis eius.
Laudate eum in sono tubae,
laudate eum in psalterio et cithara,
laudate eum in tympano et choro,
laudate eum in chordis et organo,
Laudate eum in cymbalis iubilationis.
Omnis spiritus laudet Dominum.


17
BORNSTEIN 1987, p. 43.
18
BORNSTEIN 1987, p. 44.
19
BORNSTEIN 1987, p. 36.
20
BRUNORI 2011, p. 29.
Il polittico realizzato da Taddeo di Bartolo alla fine del XIV secolo, proveniente dalla chiesa di San
Michele in Borgo, raffigura la Madonna con il Bambino tra due Angeli Musicanti, i Santi Caterina
d’Alessandria, Michele, Giuliano e Pietro (fig. 8). I due angeli sono posti ai piedi della Madonna,
quello di sinistra (fig. 9) è raffigurato di profilo, con un’arpa che presenta la mensola, ovvero il lato
superiore, molto incurvato e termina con una testa zoomorfa. Si può osservare un unico ordine di
corde, di numero pari a trenta, dorate, quindi di ottone, ma non sono visibili i piroli poiché
sembrano essere posizionati all’interno della mensola. La particolare incurvatura della mensola,
l’assenza dei piroli e il loro posizionamento all’interno che renderebbe difficile l’accordatura, porta
a pensare che si tratti di uno strumento fantasioso. Il secondo angelo, posto a destra, e anch’esso
raffigurato di profilo è intento a suonare una viella di forma ovale (fig.10). Data la posizione
dell’angelo, è possibili osservare il retro dello strumento: è infatti visibile il retro del cavigliere dove
sono posizionati i quattro piroli, e all’esterno un quinto per la corda di bordone che è possibile
vedere. Questa corda sporgeva al di fuori del manico ed era suonata solo attraverso l’archetto,
nell’angelo della tavola si nota, infatti, che la mano sinistra stringe il manico e la quinta corda
rimane al di fuori di questo.

Nella tavola di Turino Vanni, proveniente dalla chiesa di San Domenico di Pisa e realizzata tra la
fine del XIV e l’inizio del XV secolo, è raffigurata la Visione di Santa Brigida, e al centro è
presente un piccolo concerto di quattro angeli musicanti (fig. 11). Il primo angelo in alto a sinistra è
ritratto con uno strumento a fiato, probabilmente un flauto dolce o una cennamella, ma
l’identificazione resta comunque incerta poiché la parte finale dello strumento è in parte coperta
dall’angelo accanto che è invece ritratto con una zampogna. L’angelo al di sotto è raffigurato con
un liuto, uno strumento a corde pizzicate. Il liuto fu portato in Europa dagli arabi verso la fine del
XIII secolo: il suo nome arabo è infatti al’ ud, che venne adottato da tutte le lingue europee. Nel
XIV secolo il modello europeo non si discostava ancora dal liuto arabo, era dotato di quattro corde
singole ed era ancora suonato con il plettro. Verso la metà del XV secolo, lo strumento subì
un’evoluzione verso la forma classica. Le prime descrizioni del liuto rinascimentale sono
riscontrabili nel breve trattato del fiammingo Arnaut Zwolle, redatto intorno al 1440, e in seguito,
nel Liber Viginti Artium, databile verso il 1460 dallo studioso ebreo praghese Paulus Paulirinus.
Informazioni più dettagliate si ritrovano in Tinctoris (1482), dove, però indica ancora l’utilizzo del
plettro. Verso la fine del XV secolo incominciò ad emergere la tecnica di pizzicare le corde con le
dita, per poter condurre più voci sullo strumento e poter quindi eseguire musica polifonica.
Il liuto rinascimentale classico presenta una cassa armonica piriforme costituita da un numero
variabile di listelli di legno, detti doghe, fissati tra loro mediante strisce di pergamena, carta o lino.
Il piano armonico reca al centro una rosetta traforata,e verso il fondo è applicato il ponticello che
regge le corde in budello di pecora, suddivise in sei “cori”, tutti doppi ad eccezione del primo che è
singolo ed è chiamato cantino. Sul manico sono creati i tasti, in numero variabile di sette o nove,
fissando su di esso dei legacci realizzati anch’essi in budello. Il cavigliere, ripiegato all’indietro,
forma quasi un angolo retto con il piano della tastiera21.
L’ultimo angelo rappresentato nella tavola di Turino Vanni è raffigurato con una viella. Lo
strumento è appoggiato alla spalla sinistra, presenta una forma ad otto con i buchi di risonanza a
forma di c, e sul cavaliere sono visibili quattro piroli. Con la mano sinistra, invece, impugna un
archetto che appoggia sulle corde.

21
BORNSTEIN 1987, pp. 198, 201, 202.
La tavola attribuita al Maestro della Natività di Castello, databile alla prima metà del XV secolo e
proveniente dal Conservatorio di Sant’Anna di Pisa, mostra una Madonna con il Bambino e due
angeli musicanti (fig.12). L’angelo a sinistra è intento a suonare un liuto che presenta una cassa di
forma quasi ovale, con al centro una rossetta. Non è visibile il cavigliere che è nascosto dal braccio
destro della Madonna, ma è possibile contare sei corde disposte vicine, e dunque mancherebbe il
cantino, la corda più acuta, che a differenza delle altre, non è doppia. L’angelo a destra è invece
raffigurato con un’arpa dalla forma triangolare con un solo ordine di corde, di cui se ne possono
contare quattordici, poiché le corde più basse sono in parte coperte dalla spalla sinistra dell’angelo.
Sono visibili i piroli posti sulla mensola che termina con la tipica forma ondulata.

La tavola del Maestro della Leggenda di Santa Lucia, raffigurante Santa Caterina di Alessandria, fu
eseguita a Bruges tra il 1485 e il 1493, e giunta a Pisa nella chiesa di San Domenico, fu affiancata
da due tavole laterali con lo Sposalizio di Santa Caterina d’Alessandria, e Santa Caterina
d’Alessandria e i dottori, e una predella con episodi della vita della santa, realizzati da un pittore
pisano agli inizi del XV secolo (fig.13).
Nel pannello di sinistra dove è raffigurato lo sposalizio, nella parte superiore, sono presenti quattro
angeli musicanti (fig. 14). Il primo angelo di sinistra è ritratto con un’arpa, dalla forma triangolare e
da un imprecisato numero di corde. Il secondo angelo è intento a suonare una viella, suonata tramite
un archetto impugnato con la mano sinistra. La parte superiore del manico è nascosta dalla testa
della Vergine, ma è visibile parte della cassa armonica, dove sono presenti i fori di risonanza a
forma di c, e la cordiera con un numero imprecisato di corde. Il terzo angelo è raffigurato con un
liuto, di cui si può osservare solo la parte centrale della cassa armonica dove è visibile una rosetta.
Anche in questo caso, il numero delle corde appare imprecisato. L’ultimo angelo è infine ritratto
con uno strumento a fiato, di cui la parte inferiore è nascosta dalla testa di Cristo che rende più
difficile l’identificazione. L’imboccatura dello strumento, potrebbe essere intesa con molta
probabilità con un’ancia e il corpo conico porta a identificarlo con una cennamella.

La tela realizzata da Paolo Guidotti detto Cavalier Borghese tra il 1615 e il 1617, con i Santi Torpè,
Orsola, Cecilia e Ranieri, è una coperta di icona proveniente dalla chiesa di San Silvestro di Pisa.
L’icona in questione è una tavola risalente al XIII secolo, attribuita al Maestro di Calci, e dedicata a
Santa Caterina d’Alessandria (fig.15). I quattro santi realizzati da Guidotti sono raffigurati al di
sotto della tavola e sulla sinistra è presente Santa Cecilia con degli strumenti musicali.
L’associazione della santa con la musica appare piuttosto problematica, le fonti storiche non
menzionano che Cecilia suonasse alcuno strumento. Nel primo Medioevo, la santa è caratterizzata
solamente da una corona o dalla palma e solo dal XV secolo si nota la presenza di uno strumento,
solitamente un piccolo organo portativo. La ragione per la scelta di questo simbolo è stata attribuita
ad un’ errata interpretazione di un brano della Passio il quale dice nel descrivere il matrimonio di
Cecilia: “Mentre gli strumenti (organa) suonavano, Cecilia in cuor suo rivolgeva il suo canto al
Signore”; nella prima antifona delle lodi e del vespro, le parole “in cuor suo” vennero soppresse con
facendo così supporre che la santa cantasse davvero accompagnata dall’organo22.


22
F. TRINCHIERI CAMIZ, L’iconografia di Santa Cecilia e la musica, in E. ZANETTI, (a cura di), Cinque secoli di
stampa musicale, Roma 1985, p. 253.
La Santa Cecilia della tela di Pisa regge un piccolo organo portativo con sette canne (fig. 16), ma lo
strumento è stato realizzato in maniera molto stilizzata, infatti il numero delle canne appare irrisorio
e la tastiera sembra essere costituita da un listello di legno leggermente inclinato. Da queste
osservazioni, e dalla mancanza del mantice, che forse poteva essere posto nella parte posteriore, lo
strumento è raffigurato solo in via simbolica poiché le sue caratteristiche impedirebbero una reale
esecuzione.
Ai piedi della santa si riconosce la cassa armonica di un liuto, ma essendo appoggiato per terra dalla
parte delle corde non ne è possibile contarne il numero, inoltre anche il numero dei piroli risulta di
difficile lettura. Accanto è raffigurata una lira da braccio con il proprio archetto appoggiato sulla
cassa armonica dello strumento (fig. 17). La lira da braccio era molto simile alla viola da braccio, da
cui si differenziava per il numero di corde, che erano generalmente sette, distribuite in cinque cori, e
per la forma originale del cavigliere: piatto rispetto al piano della tastiera, spesso a forma di cuore
con la punta verso l’alta. Nel Rinascimento era diffusa la convinzione che l’arte musicale, in
particolare gli strumenti e il loro utilizzo, derivasse direttamente, o perlomeno dovessero tendere a
imitare le forme e l’uso che se ne faceva nel mondo classico. Per Silvestro Ganassi, nel suo metodo
per violone, la Regola Rubertina (1542), la lira di Orfeo era uno strumento suonato con l’archetto,
identificato ai suoi tempi con l’antico “plettro”.
Il primo tratta che fornisce alcune informazioni sulla lira è Scintille di musica (1533) di Lanfranco:
citando Boezio23, l’autore è proteso nello sforzo di dimostrare l’origine classica dello strumento,
conferendole un significato allegorico.
La funzione della lira era di accompagnare il canto mediante la produzione di accordi, a volte
abbelliti da rapidi passaggi. Sulla tecnica di esecuzione di questo accompagnamento non c’è
nessuna testimonianza precisa, sebbene Ganassi ne dia qualche accenno indirettamente parlando del
modo di accompagnare il canto con la viola da gamba. La lira, secondo Ganassi, si differenzia dalla
viola da gamba perché il suo ponticello è praticamente piatto, così da poter toccare più corde
contemporaneamente. L’uso della lira da braccia dovette essere tipicamente italiano, dato che le
testimonianze al di fuori dell’Italia risultano scarse24.
Nella tela di Guidotti, non è visibile il cavigliere dello strumento ma si possono contare 6 corde di
cui l’ultima non è fissata all’interno del cavigliere ma lateralmente, e quindi si tratterrebbe di una
corda di bordone. Il ponticello è raffigurato in modo piuttosto dettagliato: è infatti di forma piatta e
presenta dei piedini di probabile forma zoomorfa.
Accanto alla lira da braccia vi sono un flauto e uno strumento ad arco di piccole dimensioni, la cui
forma della cassa porterebbe a pensare a una ribeca. È possibile intravede un ponticello e un
numero imprecisato di corde, ma il manico appare sproporzionato e presenta un ricciolo di gusto più
moderno che porta a ipotizzare che si tratti di una pochette, uno strumento ad arco utilizzato per
l’accompagnamento dei balli.

La tela realizzata da Domenico Passignano nel 1596 per la chiesa di San Francesco di Pisa, era
anch’essa una coperta di un’icona (fig. 18). In questo caso, la tela incorniciava un affresco del XIV
secolo di ambito toscano, raffigurante la Madonna con il Bambino25. Nell’opera di Passignano è

23
De Institutione musica redatta all’inizio del VI secolo da Severino Boezio, influenzò il processo do evoluzione della
dottrina cristiana e la concezione della musica.
24
BORNSTEIN 1987, pp. 280 – 282, 286.
25
L’affresco fu trasportato tramite la tecnica a massello alla fine del XVI secolo, ed è oggi conservato presso il Museo
di San Matteo di Pisa.
rappresentata l’allegoria della Santissima Concezione26 messa a punto da Giorgio Vasari. Adamo ed
Eva sono legati all’albero della vita, e intorno sono disposti i Padri della Chiesa, tra cui Re David.
Ai suoi piedi è raffigurata un’arpa dalla forma triangolare (fig. 19), dove, nella parte interiore della
colonna, è presente la firma di Passignano e la data 1596. La mensola, in cui si possono contare
quindici piroli, presenta nella parte finale un ricciolo.

Sul pianerottolo delle scale per accedere al secondo piano sono posizionate due colonne lignee in cu
sono presenti degli inserti lignei databili al XVII secolo (fig. 20). Le due colonne erano le canne
d’organo della chiesa di San Francesco di Pisa. È possibile ipotizzare che nel momento in cui
l’organo fu smontato, per essere sostituito con un nuovo, le canne siano state prese per essere
decorate e usate a scopo puramente decorativo. Su entrambe le colonne è presente uno stemma con
una croce dorata su campo rosso(fig. 21), e potrebbe quindi essere collegabile a quello dell’Ordine
dei Cavalieri di Santo Stefano, la cui chiesa fu fondata a Pisa per volere di Cosimo I nel 1565.
Rimane però difficile poter stabilire come le colonne siano giunte nella chiesa dell’Ordine.
Le colonne giunsero, probabilmente a seguito delle soppressioni ecclesiastiche, al nuovo Museo
Civico di Pisa nel 1893, che aveva sede nell’ex convento di San Francesco, dove furono collocate
all’entrata. Nel 1949 furono trasferite assieme a tutta la collezione, nell’attuale sede del convento di
San Matteo.
Sulle colonne, di cui solo due lati sono decorati, sono osservabili tre tipologie di strumenti
intervallati da volti di putti e dagli stemmi, che non sono ricavati direttamente dal legno delle
colonne, ma scolpite separatamente e successivamente applicate sulla superficie. Partendo dall’alto
si possono notare sei flauti dolci stretti in delle fasce, un tamburo a cornice, al cui interno è presente
un’ulteriore cornice con dei sonagli con centro un fiore. Procedendo vi sono due strumenti a fiato
con la parte finale a campana, caratterizzati da una particolare forma serpentina molta schiacciata, il
tubo appare come ripiegato su stesso, rendendo impossibile l’esecuzione (fig.22). Questi ultimi
strumenti, così come il tamburo, appaiono come un’invenzione dello scultore e assumono un valore
strettamente estetico. Gli ultimi strumenti presenti sono una viola da gamba e un liuto, posto al di
sotto di essa (fig. 23).
Non si hanno dati sicuri sulle origini della viola da gamba ma l’ipotesi più attendibile la fa derivare
dalla vihuela spagnola, di cui sarebbe la versione ad arco. I due strumenti sono accumunati da molte
caratteristiche organologiche: manico tastato con legacci di budello e parallelo al piano armonico,
fondo piatto, mancanza di anima e di catena. Queste caratteristiche rimarranno invariate nella viola
per tutto il Rinascimento. Notizie sicure sullo strumento incominciano ad apparire solo alla fine del
Quattrocento mentre nel secolo successivo l’Italia è indubbiamente la nazione più evoluta nella
costruzione e nell’uso delle viole. Il bresciano Giovanni Maria Lanfranco, nel suo trattato Scintille
di musica (1533) elenca i nomi di alcuni valenti artigiani costruttori ed è inoltre il primo a parlare di
“Violoni da tasti e da Arco” dotati di sei corde intonate come nel liuto. Quest’ultimo e la viola
vengono spesso citati insieme dai trattatisti perché la tecnica della mano sinistra è molto simile, e
inoltre le musiche destinate a uno dei due strumenti, sono eseguibili anche sull’altro.


26
C. BAY, Ambito toscano, scheda n. 1, in C. SPADONI, L. CIANCABILLA, L' incanto dell'affresco. Capolavori
strappati, da Pompei a Giotto da Correggio a Tiepolo. Catalogo della mostra (Ravenna, 16 febbraio-15 giugno 2014),
Milano 2014, vol. 1, p. 74.
Nel 1542 Silvestro Ganassi scrive un trattato per viola da gamba suddiviso in due parti: la Regola
Rubertina e Lettione Seconda, pubblicata l’anno successivo. Questo testo ci informa in grande
dettaglio sui tipi di viole in uso in Italia nella prima metà del Cinquecento, sui vari metodi di
intonazione, sulle tecniche di esecuzione e sulla letteratura musicale solistica e d’insieme praticata
sulla viola. Ganassi ricorda tre taglie: basso, tenore e soprano, che normalmente sono dotate di sei
corde, ma possono averne anche cinque, quattro o tre soltanto.
Accanto alle viole a sei corde, che probabilmente furono un’innovazione italiana, esistettero modelli
con un numero di corde variabili da cinque a tre, tutti descritti nel trattato di Musica instrumentalis
deudsch, del 1529. Con molta probabilità le viole con meno di sei corde sono da considerarsi
modelli di transizione: infatti nel corso del XVII secolo, tutti i paesi europei si uniformarono alla
standard italiano nel numero e nell’intonazione delle corde27.
Nella viola da gamba presente nelle colonne di Pisa non sono presenti le corde, probabilmente
perché sarebbe risultato troppo complicato realizzarle in legno e troppo fragili se fossero state
realizzate con altro materiale, ma nel cavigliere si possono contare sei fori, mentre il manico non
presenta i tasti. Al centro della tavola armonica, sprovvista di fori di risonanza ma solamente di un
ovale che rappresenterebbe una rosetta stilizzata, è presente una fascia che ha uno scopo puramente
decorativo per collegarla al liuto sottostante, di cui si può osservare il ponticello, la tastiera tastata e
il cavigliere ripiegato all’indietro.


27
BORNSTEIN 1987, pp. 257 – 261. Per approfondimenti si veda: WOODFIELD 1999; B. HOFFMANN, La viola da
gamba, Palermo 2010.
BIBLIOGRAFIA

E. CARLI, Il Museo di Pisa, Pisa 1974.


C. PAGE, Jerome of Moravia on the Rubeba and Viella, in “The Galpin Society Journal”, vol. 32,
1979, pp. 77- 98.
C. MEYER, Sebastian Virdung Musica getuscht. Les instrumens et la pratique musicale en
Allemagne au début du XVIe siècle, Parigi 1980.
E. ZANETTI, (a cura di), Cinque secoli di stampa musicale, Roma 1985.
A. BORNSTEIN, Gli strumenti musicali del Rinascimento, Padova 1987.
F. FAITELLI, La leggenda del Re suonatore, in “Art e Dossier”, 14, 1999, pp. 41 – 44.
I. WOODFIELD, La viola da gamba dalle origini al Rinascimento, Torino 1999.
S. FERINO PAGDEN, (a cura di), Dipingere la musica. Strumenti in posa del Cinque e Seicento,
Milano 2000.
B. HOFFMANN, La viola da gamba, Palermo 2010.
M. CIATTI, M. SCUDIERI, (a cura di), Il tabernacolo dei Linaioli del Beato Angelico, Firenze
2011.
C. SPADONI, L. CIANCABILLA, L' incanto dell'affresco. Capolavori strappati, da Pompei a
Giotto da Correggio a Tiepolo. Catalogo della mostra (Ravenna, 16 febbraio-15 giugno 2014),
Milano 2014, vol. I.

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