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MECCANISMI DI RAFFORZAMENTO

1) interazione solvente-soluto e rafforzamento per soluzione solida


2) instabilità plastiche: fenomeno dello snervamento, invecchiamento per deformazione e
fenomeni dinamici dell'Effetto Portevin-Le Chatelier
3) rafforzamento per incrudimento
4) rafforzamento per precipitazione delle leghe non ferrose
5) rafforzamento per trasformazione martensitica
6) rinvenimento della martensite
7) rafforzamento per bordo di grano e legge di Hall-Petch

TECNOLOGIA DEI GETTI


1) vantaggi dell'uso dei getti rispetto alle altre lavorazioni (asportazione di truciolo o de-
formazione plastica)
2) sviluppo del danno microstrutturale in trazione di leghe da fonderia (per esempio tratto
plastico in leghe Al-Si)
3) microstruttura del materiale ottenuto per colata (dendriti, fasi secondarie,.composti in-
termetallici indesiderati, inclusioni,...) e parametri stereologici che li descrivono
4) resistenza a fatica dei getti
5) indicare le cause d'insorgenza degli strappi a caldo nei getti e citare quali leghe di Al e
Mg potrebbero esserne affette
6) spiegare la porosità da ritiro in una lega con intervallo di solidificazione corto e una con
intervallo di solidificazione lungo, facendo il confronto fra le due
7) spiegare la porosità da gas (idrogeno e aria intrappolata) nei getti e le contromisure per
evitarla
8) peculiarità delle caratteristiche meccaniche dei getti (dipendenza dai parametri di fab-
bricazione e microstruttura che ne deriva), differenza rispetto alle caratteristiche dei
semilavorati ottenuto per deformazione plastica (piastre, lamiere, barre,...)
9) effetti di scala (influenza del volume) nelle proprietà meccaniche dei getti
10) solidificazione con dendriti colonnari
11) solidificazione con dendriti equiassiche
ALLUMINIO DA FONDERIA
1) composizione, microstruttura e proprietà delle leghe binarie Al-Si
2) effetto del Si nelle leghe di Al da fonderia
3) composizione, microstruttura e proprietà delle leghe Al-Si-Mg da fonderia
4) composizione, microstruttura e proprietà delle leghe Al-Si-Cu
5) confronto della composizione e microstruttura delle leghe Al-Si e Al-Si-Cu
6) modificazione dell'eutettico nelle leghe di Al contenenti Si (leghe ipoeutettiche e ipereu-
tettiche)

ACCIAI PER RUOTE DENTATE


1) inclusioni non metalliche e il loro effetto negli acciai per ruote dentate
2) temprabilità degli acciai da bonifica
3) pallinatura negli acciai per ruote dentate
4) acciai per tempra superficiale e loro condizioni di applicazione per gl'ingranaggi
5) pitting nelle ruote dentate
6) variazione di volume per le trasformazioni di fase nel sistema Fe-C
7) confronto fra cementazione e nitrurazione: vantaggi e svantaggi di ciascun trattamento
8) resistenza alla fatica di contatto e pitting di ruote dentate: criteri di scelta degli acciai
9) resistenza alla fatica a flessione di ruote dentate: criteri di scelta degli acciai e sensibilità
all'intaglio
10) applicazione degli acciai da bonifica nelle ruote dentate: condizioni di lavoro degli in-
granaggi e tipi di acciaio (composizione e trattamento termico)
11) tensioni residue conseguenti alla tempra di un acciaio al C (per esempio C40)
12) tensioni residue conseguenti alla tempra di un acciaio legato (per esempio 36NiCrMo16)
13) acciai da cementazione: effetti del C e degli elementi leganti
14) acciai da nitrurazione per ruote dentate: condizioni di utilizzo e tipi di acciai (com-
posizione chimica e trattamenti)
15) tempra degli acciai da cementazione: varianti del trattamento termico e conseguenze
per quanto riguarda cricche di tempra, tensioni residue, austenite residua e distorsioni
ACCIAI PER MOLLE
1) fili di acciaio non legato, patentato e trafilato a freddo per molle: tipi d'impiego, ciclo di
fabbricazione, prescrizione di qualità superficiale e caratteristiche meccaniche
2) fili di acciaio da bonifica per molle: tipi d'impiego, composizione chimica, prescrizione di
qualità superficiale e caratteristiche meccaniche

LEGHE DI MAGNESIO
1) resistenza a corrosione di leghe di magnesio con Al e Zn
2) proprietà ingegneristiche peculiari (leggerezza, capacità di smorzamento, lavorabilità)
delle leghe di Mg
3) leghe Mg-Al-Zn, Mg-Al-Mn e Mg-Al-Si (composizione, microstruttura e proprietà)
4) caratteristiche ed applicazioni delle leghe di Mg contenenti terre rare
Meccanismi di rafforzamento
1-Interazione solvente-soluto e rafforzamento per soluzione solida (8P)
L’introduzione di atomi di soluto nel reticolo cristallino di un solvente produce sempre una lega più
resistente del solvente puro. Ci sono due tipi di soluzione solida: la soluzione solida sostituzionale,
quando soluto e solvente hanno atomi di dimensioni assai vicine e in tal caso gli atomi di soluto
possono occupare le posizioni reticolari del solvente; la soluzione solida interstiziale, quando soluto e
solvente hanno atomi di dimensioni assai lontane e in tal caso gli atomi di soluto possono occupare le
posizioni interstiziali del solvente.
Il risultato dell’addizione di soluto è un aumento non solo del limite elastico, ma anche di tutta la
curva di flusso plastico, perché gli atomi estranei introducono una specie di attrito allo scorrimento
delle dislocazioni nel loro sistema di scorrimento. Gli atomi di soluto due tipi di distorsioni reticolari
-gli atomi sostituzionali introducono una distorsione reticolare di tipo sferico, quindi producono delle
tensioni con una componente idrostatica;
-gli atomi interstiziali introducono una distorsione reticolare sia di tipo sferico, sia di tipo non sferico,
quindi danno luogo a componenti tensionali sia idrostatiche, sia di taglio.
È stato accertato che fra gli atomi di soluto e le dislocazioni si verificano delle interazioni elastiche,
dovute alla differenza di dimensioni atomiche fra solvente e soluto; il rafforzamento dovuto a tali
interazioni è direttamente proporzionale a tale differenza di diametro atomico. Nello specifico, i
soluti sostituzionali, dando origine a deformazioni sferiche e quindi a campi con componente
idrostatica, sono capaci d’inibire il movimento solo delle dislocazioni a spigolo, le uniche che hanno
componenti di stress elastico idrostatico; i soluti interstiziali, invece, producendo campi elastici sia
con componenti idrostatiche, sia di taglio, interagiscono con tutti i tipi di dislocazioni e quindi sono
capaci di frenare il movimento di quelle a spigolo, ma anche di quelle a vite.
Esistono altri tipi d’interazioni, ma sono tutti di entità ridotta rispetto alle interazioni elastiche:
-Interazione dovuta al modulo elastico, se i moduli di soluto e solvente sono diversi nasceranno degli
stress, anch’essi di natura elastica, capaci d’interagire con tutti i tipi di dislocazioni.
-Interazioni di ordine a corto raggio, gli atomi di soluto hanno la tendenza ad essere distribuiti nel
solvente in modo casuale, ma possono dare origine a dei fenomeni di raggruppamento (clustering), se
questi sono energicamente favorevoli; ne consegue che una dislocazione che li attraversa tende a
mitigare il fenomeno di raggruppamento e per farlo richiede un surplus energetico che si traduce in
una maggiore richiesta di stress di taglio per muoversi.
-Interazioni per ordine ad ampio raggio, gli atomi di soluto e solvente sono organizzati in modo
ordinato a formare un super-reticolo cristallino, il passaggio della dislocazione distrugge l’ordine del
reticolo formando una zona disordinata come un bordo di grano, chiamato bordo di antifase; tutto ciò
richiede una spesa energetica, la quale richiede un aumento dello stress di taglio necessario a far
muovere le dislocazioni.
Il rafforzamento per soluzione solida avviene grazie all’introduzione di atomi di soluto in soluzione
solida nel reticolo del solvente che vanno a posizionarsi nelle dislocazioni riducendo gli stress
residui, le quali possono essere a spigolo o a vite. Le dislocazioni a vite non sono indicate per questo
tipo di rafforzamento per via dei campi tensionali di solo taglio. Nel reticolo del solvente gli atomi di
soluto possono sostituirsi agli atomi del solvente o muoversi nelle vacanze, prendendo il nome di
soluzione solida sostituzionale, oppure occupare posizioni solide interstiziali con atomi di piccola
dimensione rispetto a quella del solvente. Prendendo ad esempio una dislocazione a spigolo e un
rafforzamento per soluzione solida sostituzionale, l’atomo di Mg, ad esempio nella lega Al-Mg,
andrà a posizionarsi vicino alla dislocazione perché tende a minimizzare i campi tensionali ed
essendo più grande dell’atomo di Al andrà a posizionarsi nella zona di trazione andando a ridurre lo
stress residuo. Viceversa, atomi più piccoli produrranno stati tensionali di trazione e si
posizioneranno nelle zone di compressione del materiale. Si può vedere che aumentando la
concentrazione di soluto, ad esempio nel Al-Mg, il così detto True Stress sale con differenze notevoli
da quello che è l’elemento puro, seguendo la legge: Δ𝜏=𝐺𝑏𝜀3/2√𝑐. Con G=modulo di elasticità
tangenziale; b=modulo del vettore di Burgers; ε=deformazione; c=concentrazione. Al crescere di ε le
dislocazioni aumentano e quindi gli atomi di soluto possono agire in più punti per cui il loro effetto
di aumento della resistenza aumenta.

2-Instabilità plastiche: fenomeno dello snervamento, invecchiamento per


deformazione e fenomeni dinamici dell'Effetto Portevin-Le Chatelier (11P)
Molti metalli, ma in particolare gli acciai a basso tenore di C,
mostrano una transizione fra regime elastico e quello plastico
localizzata solo in alcune parti del metallo che costituisce il
componente sottoposto a trazione; questa transizione è assai
brusca e provoca un vero e proprio snervamento improvviso.
Durante una prova di trazione si assiste ad un primo improvviso
crollo del carico applicato (snervamento superiore), seguito
dalla fluttuazione, con il progredire della deformazione plastica,
del carico attorno ad un valore più o meno costante
(snervamento inferiore) di entità più piccola rispetto al valore
del primo crollo. In questa fase, di ondeggiamento dello stress
attorno allo snervamento inferiore si ha quello che viene definito allungamento di snervamento.
Allo snervamento superiore si formano delle bande discrete di deformazione plastica, chiamate bande
di Lüders, talvolta visibili ad occhio nudo, soprattutto localizzate in zone aventi concentrazione di
stress, come i raccordi della parte centrale con le teste dei campioni di trazione. L'apparizione di una
prima banda allo snervamento superiore provoca l'immediato crollo del carico allo snervamento
inferiore. Durante l'allungamento di snervamento la banda si propaga lungo il componente; nel
frattempo si formano e si propagano altre bande plastiche, tutte all'incirca inclinate circa di 45°
rispetto all'asse di carico. Durante l'allungamento di snervamento, ogni oscillazione di carico
corrisponde approssimativamente alla formazione di una nuova banda plastica; quando tutte le bande
hanno interamente percorso il componente, il metallo è interamente plasticizzato e la fase di
allungamento di snervamento finisce.

L'invecchiamento per deformazione è collegato al fenomeno dello snervamento e si manifesta in un


aumento di resistenza e una diminuzione di duttilità dopo deformazione plastica se si sono applicate
una o entrambe le seguenti condizioni: è passato un tempo sufficientemente lungo prima di
riapplicare uno stress; si è scaldato il metallo per breve tempo a temperature abbastanza basse e poi si
è riapplicato lo stress. Succede sostanzialmente che l’acciaio viene deformato oltre l'allungamento di
snervamento, fino a certo punto sulla curva; s’immagina poi di scaricare il componente fino a forza
nulla, per poi riapplicare il carico immediatamente. Il metallo entra in campo plastico allo stesso
valore di limite elastico al quale ne era uscito senza mostrare più il fenomeno dello snervamento. A
questo punto lo si può lasciare a riposo a temperatura ambiente per almeno 1-2 mesi, oppure lo si può
scaldare a 150-200°C per una decina di ore; al termine di uno dei due condizionamenti, il
componente viene risollecitato. L’invecchiamento avviene o perché si è lasciata avvenire la
diffusione di C e N a temperatura ambiente durante l’attesa, oppure perché si è accelerata la
diffusione scaldando il metallo.

In generale l'equazione costitutiva di un materiale descrive come varia lo stress applicato σ in


funzione delle variabili di stato, che per un solido sono almeno tre, cioè la deformazione, la
temperatura e la velocità di deformazione applicata έ; quest’ultima nei metalli ha di solito un effetto
rafforzante, cioè aumentandola si ottiene una curva di trazione con stress più elevati. Ciò si può
𝜕𝜎
esprimere definendo la sensibilità alla velocità di deformazione S: 𝑆 = ( 𝜕έ ) dove se S>0, un
έ=cost
aumento della velocità di deformazione implica un innalzamento della curva di flusso plastico,
ovvero la curva di trazione in campo plastico. In campo plastico le dislocazioni si disancorano dai
soluti e ciò equivale alla condizione S<0; quest’improvviso disancoramento provoca un aumento
della velocità di deformazione, perché le dislocazioni sono molto meno ostacolate nel movimento,
tuttavia si assiste ad un concomitante crollo dello stress, per cui si ottiene S<0. Queste condizioni si
possono verificare, oltre che durante il fenomeno dello snervamento, anche quando entra in azione un
fenomeno noto come invecchiamento dinamico; in alcuni sistemi metallici, le dislocazioni possono
essere all'inizio talmente fortemente ancorate dai soluti, per esempio a temperature sufficientemente
basse o a temperatura ambiente, che la deformazione si compie piuttosto con la generazione di nuove
dislocazioni dalle sorgenti, che in tal caso richiedono stress di attivazione più bassi del
disancoramento; il flusso plastico è fino a quel momento continuo. Intanto lo stress sale, finché
qualche dislocazione bloccata riesce a disancorarsi e a mettersi in movimento; in tal caso si verifica
la condizione S<0, e si registra un crollo dello stress sulla curva di flusso plastico. Durante il loro
moto le dislocazioni incontrano altri ostacoli come bordi di grano, altre dislocazioni, precipitati,
capaci di attestare temporaneamente il moto dei difetti, finché lo stress di taglio risolto nel loro
sistema di scorrimento diventerebbe sufficiente a far superare loro l'ostacolo; però, durante il tempo
di attesa necessario a fare salire lo stress di taglio, i soluti liberi dal disancoramento possono
diffondere verso le dislocazioni libere, ma temporaneamente arrestate da altri ostacoli, riancorandosi.
Evidentemente lo stress di taglio sale, finché queste ultime si disancorano, generando la condizione
di S<0 e crollo del carico; il fenomeno si riproduce di continuo e ne consegue che il flusso plastico
appare seghettato. Tale fenomeno prende il nome di Effetto Portevin-Le Chatelier, dai suoi
scopritori. Tale effetto si riproduce solo in un determinato intervallo di temperatura e velocità di
deformazione; se quest’ultima è troppo elevata, i tempi di attesa delle dislocazioni agli ostacoli
saranno brevi e non ci sarà tempo per la diffusione dei soluti ed il riancoraggio. Allo stesso modo,
temperature troppo basse ostacoleranno la diffusione dei soluti, con la stessa conclusione, cioè flusso
plastico continuo e non seghettato. Anche temperature troppo alte giocano sfavorevolmente
all'Effetto Portevin-Le Chatelier: in quel caso aumenta molto la componente entropica dell'energia
libera del sistema, con la conseguenza che i soluti tendono a distribuirsi omogeneamente nel metallo
e non ad ancorarsi con le dislocazioni libere.
Va detto che non sempre l’invecchiamento dinamico è causa del flusso plastico seghettato; altri
fenomeni che posso produrre tale effetto sono la geminazione negli acciai austenitici e in alcune
leghe di Cu, oppure la trasformazione martensitica assistita dallo stress o dalla deformazione plastica,
come negli acciai TRIP (“Transformation Induced Plasticity”).

3-Rafforzamento per incrudimento (8P)


Il rafforzamento per incrudimento è il fenomeno per cui si aumenta la durezza e la resistenza di un
metallo duttile effettuando una deformazione plastica; Facendo
riferimento, per semplicità, ad una prova a trazione:
-deformo plasticamente a T bassa superando Rp02;
-arrivo al punto 1 e scarico;
-quando riapplico il carico ho un nuovo carico di snervamento pari a
R’p02> Rp02.
È un meccanismo di rafforzamento che aumenta la tensione di
snervamento e al contempo riduce la lunghezza a rottura. Durante la
deformazione, all’aumentare di questa cresce la densità delle
dislocazioni (tanto da arrivare a una concentrazione così elevata di
dislocazioni da essere definita forest dislocation) e ciò porta a un rallentamento del loro moto, per cui
lo sforzo necessario per mettere in moto le dislocazioni cresce e si ha un carico di snervamento
maggiore. L’effetto dell’incrudimento è qualitativamente rappresentato dalla formula: 𝜎𝑓𝑙𝑜𝑤 =
𝑀(𝜏0 + 𝛼𝐺𝑏√𝜌)
Dove: σflow=è definita come tensione di flusso plastico; M=è il Fattore di Taylor che riguarda
l’orientazione dei sistemi di scorrimento; 𝜏0 =è la resistenza intrinseca del materiale=CRSS; α=è una
costante che dipende dalla natura delle dislocazioni; G=modulo di elasticità tangenziale; b=modulo
del vettore di Burgers; ρ=indica la densità delle dislocazioni [mm-2], e per materiali fortemente
incruditi è dell’ordine di 109-1010, per materiali solidificati lentamente è circa 103, mentre per metalli
temprati è circa 105-106. Tale densità di dislocazioni si valuta considerando la lunghezza totale delle
dislocazioni in un certo volume, rapportate al volume stesso in cui sono valutate;
Durante la deformazione plastica a T bassa si osservano modifiche nella forma del grano, aumento
delle dislocazioni ed energia di deformazione associata a zone con stati tensionali residui. Quindi si
può fare un trattamento termico di ricottura per recuperare la struttura originaria.

4-Rafforzamento per precipitazione delle leghe non ferrose (14P)


Il rafforzamento per precipitazione avviene quando delle particelle di seconda fase precipitano nel
reticolo ospitante; queste bloccano il movimento delle dislocazioni e quindi migliorano le proprietà
meccaniche. Le particelle di precipitato si suddividono per dimensioni: le piccole particelle danno il
vero e proprio rafforzamento per precipitazione e sono circa di 100 nm, invece le grandi particelle
danno il rafforzamento per dispersione e sono almeno di 10 μm, cioè almeno 100 volte più grandi. Le
particelle delle seconde fasi possono rendere difficoltoso il passaggio delle dislocazioni; talvolta le
dislocazioni riescono ad attraversare le particelle consumando però energia per deformale, ma se le
particelle sono incoerenti o indeformabili allora le dislocazioni sono costrette ad aggirarle secondo lo
schema di Orowan: la dislocazione si piega curvandosi attorno alla particella per poi ricomporsi al di
là della particella dopo aver lasciato attorno ad essa un anello di dislocazione che ostacolerà il
passaggio della dislocazione successiva. Definiamo la τcritica per l’aggiramento dei precipitati:
2𝐺𝑏
𝜏𝑐𝑎 = 𝛽 𝑟 , con: β=cost; G=modulo di elasticità tangenziale; b=modulo del vettore di Burgers;
r=dimensione precipitato.
Si nota che più il precipitato è piccolo e più è difficile aggirarlo. Inoltre definiamo anche la τ critica per
il taglio dei precipitati (chiamato meccanismo di Friedel):
3⁄ 1
𝜏𝑐𝑡 = 𝛼𝛾𝐴𝑃𝐵 2
𝑓 ⁄3 √𝑟 , con: α=cost; γAPB=energia del bordo di antifase; f=frazione in volume del
precipitato; r=fattore sensibile alle dimensioni del precipitato.
Si può già capire dal diagramma di fase se più o meno una lega è portata ad avere questo tipo di
rafforzamento. Ci sono due condizioni necessarie ma non sufficienti a garantire la possibilità di
questa precipitazione: - Soluzione solida ricca alla temperatura eutettica; - A temperatura ambiente la
solubilità deve essere circa nulla.
Nelle leghe non ferrose, per mettere in opera un efficace meccanismo d’indurimento per precipitazione
vi sono tre condizioni necessarie:
-deve esservi una seconda fase molto solubile nel metallo solvente alle alte temperature, tipicamente
all’eutettico;
-la solubilità del soluto deve crescere fortemente all’abbassarsi della temperatura, per essere piccola
o quasi nulla alla temperatura ambiente;
-nei diagrammi di fase fra il solvente e il soluto vi deve essere un composto di equilibrio, spesso
intermetallico.
I precipitati opportunamente rafforzati si ottengono mediante un trattamento termico ad hoc, definito
come trattamento T6, il quale consiste nelle seguenti procedure:
-solubilizzazione, si porta la lega ad alta temperatura in modo da sciogliere tutta la seconda fase di
equilibrio nel solvente e formare la sola soluzione solida α; la temperatura è tenuta 10-20°C al di
sotto di quella eutettica per evitare fenomeni di liquidazione che deriverebbero disomogeneità
composizionali del solido, i quali renderebbero irrecuperabili i pezzi.
-tempra in acqua con mantenimento in condizioni metastabili della soluzione α di alta temperatura; si
ha soluzione sovrassatura o SSSS del soluto nel solvente e, essendo questa metastabile
termodinamicamente, ha forte tendenza ad evolvere con segregazione del soluto in eccesso.
-invecchiamento, cioè evoluzione nel tempo della microstruttura con decomposizione della SSSS e
formazione di una soluzione solida piena di piccoli precipitati di una seconda fase, prima metastabile,
poi stabile, con aumento delle caratteristiche meccaniche; l’invecchiamento viene definito naturale se
condotto a temperatura ambiente, artificiale se condotto in forno.

5-Rafforzamento per trasformazione martensitica (12P)


La trasformazione di austenite in martensite avviene per riorientamento del reticolo cristallino
mediante piccolissimi movimenti degli atomi e in totale assenza di diffusione. La struttura
martensitica si ottiene tramite un raffreddamento rapido in modo da portare a T ambiente una
struttura stabile ad alta temperatura. Le notevoli deformazioni reticolari ostacolano le dislocazioni,
nel caso della martensite Fe-C si passa dall’austenite che è la fase metastabile cubica a facce centrate
alla martensite tetragonale a corpo centrato. La martensite che si forma dipende solo dalla
temperatura e non dal tempo secondo l’equazione di Koistinen e Marburger: 1 − 𝑓𝑣 = 𝑒 𝛽(𝑀𝑠−𝑇) ,
dove: fv=è la frazione in volume della martensite; β=è una costante che vale -0,011 nel Fe-C;
Ms=martensite start; T=la temperatura alla quale avviene la trasformazione.
Il rafforzamento della martensite nel Fe-C è dovuto a più fattori:
- Nella Plate martensite i bordi dei geminati funzionano analogamente al rafforzamento per bordo di
grano. Nella Lath martensite avviene lo stesso ma le placche qui presenti sono più grandi e in numero
minore rispetto agli aghi della Plate. La grande quantità di dislocazioni presenti genera un
rafforzamento analogo al rafforzamento per incrudimento.
- Il carbonio della martensite produce campi elastici molto intensi nel cristallo ospitante a livello
atomico, inoltre si ha un addensamento di atomi di Carbonio sulle dislocazioni ed un loro ancoraggio
e si ha la formazione di cluster di C che agiscono come fasi di GP rafforzando la struttura.
- L’ossigeno rimasto nel materiale durante l’invecchiamento forma fasi di GP che concorrono ad
ostacolare il moto delle dislocazioni.

6-Rinvenimento della martensite (12P)


Dopo tempra l’acciaio è costituito da una miscela di martensite (predominante) e di austenite residua.
Entrambe le fasi sono instabili e possono degenerare col tempo. Inoltre è da considerare che le
trasformazioni di fase implicano variazioni di densità del materiale e quindi del volume dello stesso,
ed essendo la martensite una fase fragile, possono verificarsi delle cricche dopo tempra. Quindi per
evitare ciò si effettua il rinvenimento, ovvero una “cottura” del componente in forno per alcune ore,
senza superare la temperatura eutettoidica, seguita da un raffreddamento non controllato a
temperatura ambiente. Il rinvenimento prevede 5 stadi:
1-Primo stadio: Avviene a temperature basse (150-200°C), secondo la composizione chimica
dell'acciaio. I fenomeni microstrutturali riguardano: -una piccola parte del carbonio (massimo 0,2%)
in condizioni di sovrassaturazione nella martensite ne fuoriesce, e rilassa meccanicamente il
reticolo cristallino diffondendo in minima parte e andando a decorare le dislocazioni, particolarmente
concentrandosi sui bordi delle placche o dei geminati della martensite; è da notare che tali atomi di C
rimangono in posizione interstiziale; -tutti gli atomi di C che eccedono lo 0,2% concorrono ad una
trasformazione di fase: MC+ (martensite tetragonale con molto C)→Mc- (martensite tetragonale con
poco C)+ (carburo Fe2.4C), cioè la martensite si rilassa espellendo almeno una parte del C;
quest'ultimo concorre con il Fe a generare la nuova fase, il carburo  che è metastabile, di struttura
cristallografica a prisma esagonale, di forma aghiforme e con dimensioni molto piccole (alcuni
nanometri), localizzato soprattutto sulle interfacce delle placchette o dei geminati di martensite. In
questo stadio il rilassamento delle deformazioni reticolari elastiche della martensite, generate dagli
atomi di C in soluzione solida sovrassatura, portano ad una mitigazione del rafforzamento della
martensite che, di conseguenza risulterà meno dura che a piena tempra. Una parte della durezza persa
è recuperata dal rafforzamento per precipitazione del carburo , che ostacola efficacemente il
movimento delle dislocazioni perché è molto piccolo e coerente. Complessivamente, nel primo stadio
del rinvenimento si verifica solo un moderato abbassamento di durezza del metallo. Avvengono però
altri due fenomeni di rilevante entità. La scomparsa della martensite tetragonale ad alto tenore di C
porta ad una variazione negativa di volume, cioè l'acciaio si contrae, e tende ad assumere una densità
che si avvicina un po' a quella della ferrite. Si ottiene quindi un miglioramento della stabilità
dimensionale dei componenti. L'altro fenomeno è la diminuzione delle tensioni residue di tempra,
che si rilassano, rendendo l'acciaio molto meno suscettibile alle cricche dopo tempra, quindi con un
moderato guadagno di tenacità.
2-Secondo stadio: In un intervallo di temperatura compreso circa fra 100 e 300°C avviene la
trasformazione γres (austenite residua)→B (bainite). Si tratta di una miscela meccanica di ferrite α e
carburo  o anche cementite se la trasformazione avviene alle temperature più prossime a 300°C. In
entrambi i casi si tratta di carburi finissimi sotto forma di aghetti lunghi dell'ordine di 10 nanometri
(la dimensione dipende ovviamente dalla temperatura alla quale avviene la transizione di fase). La
trasformazione avviene con sensibile diminuzione di densità, e perciò con dilatazione dimensionale
dei componenti. Essa sarà rilevante solo quando la frazione in volume dell'austenite residua è
importante, cioè almeno al di sopra del 10%. La bainite è una fase un po' meno tenace dell'austenite,
ma molto più resistente, grazie al rafforzamento per precipitazione conferito dal carburo . Perciò è
possibile che alle più basse temperature del secondo stadio del rinvenimento (100-150°C) si possa
anche assistere ad un modesto aumento della durezza o del limite elastico dell'acciaio.
3-Terzo stadio: Al di sopra di 250°C le fasi metastabili martensite, bainite e carburo  si trasformano
nelle fasi di (quasi) equilibrio ferrite e cementite:
Mc-→α+Fe3C ; →α+Fe3C ; B→α+Fe3C
Alle temperature più basse la cementite è molto fine, con cristalli ellissoidali di lunghezza di 10-100
nanometri. A temperature al di sopra di 400°C la cementite assume forma più globulare, crescendo al
crescere della temperatura, come ci si aspetterebbe. La stessa ferrite, alle temperature più basse del
terzo stadio non si presenta con cristalli di forma distinta. Dai 500°C in su, invece, la parziale
annichilazione delle dislocazioni sopravvissute alla distruzione della martensite permette la
formazione di cristalli di fase α di forma aciculare, vagamente memori delle placche di martensite. Al
di sopra dei 600°C diventa possibile una vera e propria ricristallizzazione, con formazione di cristalli
di ferrite equiassica. Nel terzo stadio del rinvenimento non avvengono sostanziali variazioni di
densità ma, al massimo, una leggera contrazione dimensionale dovuta alla totale scomparsa della
martensite. Le caratteristiche meccaniche variano invece in modo molto sensibile. La scomparsa
della martensite lascia il rafforzamento microstrutturale tutto a carico delle interfacce e delle
dislocazioni che sopravvivono, e che sono in numero sempre minore con l'innalzarsi della
temperatura, oltre al rafforzamento per precipitazione conferito dalle particelle di cementite. Vista la
loro crescita dimensionale con la temperatura di rinvenimento, l'effetto di rafforzamento si mitiga
sempre di più, come ci si deve attendere in base al meccanismo di Orowan di aggiramento delle
particelle di cementite da parte delle dislocazioni. Concludendo, nel terzo stadio del rinvenimento si
ha un sostanziale abbassamento della durezza e delle caratteristiche tensili, accompagnato da un
aumento di tenacità che però si fa fondamentale solo al di sopra di temperature dell'ordine di 500-
550°C.
4-Quarto stadio: Convenzionalmente questo stadio è assegnato a temperature al di sopra di 600°C e
consiste nella crescita in dimensioni dei carburi (per lo più cementite) globulari ereditati dal terzo
stadio. La cinetica è governata dalla diffusione allo stato solido, perciò è più rapida negli acciai al C,
più lenta o necessitante delle più alte temperature nel caso degli acciai legati, dove gli elementi
sostituzionali, se entrano nei carburi, diffondono molto più lentamente. La spinta termodinamica alla
crescita dei carburi viene dalla necessità di minimizzare l'energia libera superficiale delle interfacce
fra carburi e matrice ferritica. Quindi la tendenza è avere il minor numero possibile di carburi e
questi devono essere il più grande possibile, perché così si minimizza la superficie dell'interfaccia. Si
possono ottenere carburi globulari con dimensioni molto piccole con permanenze in temperatura per
tempi dell'ordine delle 10 ore. L'ingrossamento dei carburi diminuisce la loro capacità di frenare il
moto delle dislocazioni, in accordo con il meccanismo di Orowan, e in tal modo, una volta
raffreddato, l'acciaio si troverà nello stato più dolce possibile con quelle fasi presenti.
5-Quinto stadio: In questo stadio avviene la precipitazione di cristalli di carburi complessi fra C ed
alcuni elementi leganti appositamente introdotti nell'acciaio. Aggiungendo elementi leganti agli
acciai, essi possono essere solubili solo nelle fasi metalliche ferrite ed austenite, oppure possono
avere anche la tendenza a formare carburi: -non formano carburi Al, Cu, Si, P, Ni; -hanno crescente
tendenza a formare carburi gli elementi Mn, Cr, W, Mo, V, Ti, Nb. Questi elementi leganti hanno tutti
l'effetto di rallentare le trasformazioni di fase che avvengono durante il rinvenimento. Ne consegue
che, a pari temperatura e durata del rinvenimento, gli acciai legati abbiano caratteristiche meccaniche
più elevate di quelli al solo C.
Esaminando ora l'effetto degli elementi che tendono a formare carburi, a temperature circa al di sotto
di 550°C, essi si limitano ad entrare nella cementite come elemento metallico M vicariante del ferro,
cioè si forma la cementite (Fe, M)3C. Al di sotto di quella temperatura il carbonio diffonde
abbastanza rapidamente, gli elementi sostituzionali no, quindi si limitano ad entrare nel cristallo di
cementite più vicino. Al di sopra di circa 550°C anche la diffusione degli elementi sostituzionali
diventa sensibile, sicché diventa possibile la nucleazione di nuove fasi tipo M6C, M23C6, MC. Si
tratta di cristalli di composti semimetallici, e quindi poco attraversabili dalle dislocazioni, e di
dimensioni dell'ordine di 10 nm o più, a seconda del tempo di permanenza ad alta temperatura. Si
capisce che in tal modo si può sfruttare al massimo il rafforzamento per precipitazione tramite il
meccanismo di Orowan. La loro precipitazione interrompe la decrescita delle caratteristiche
meccaniche resistenziali col prolungarsi del rinvenimento, anzi si assiste ad un nuovo incremento
delle stesse, soprattutto della durezza che raggiunge un picco, al punto che si parla di durezza
secondaria.

7-Rafforzamento per bordo di grano e legge di Hall-Petch (14P)


I bordi del grano costituiscono degli ostacoli al movimento delle dislocazioni. Infatti in questa
particolare zona cambia l’orientazione del sistema di scorrimento inoltre i bordi del grano sono
regioni ad alto disordine (discontinuità nel piano di scorrimento). Quando le dislocazioni incontrano
il bordo del grano si bloccano perché nel grano successivo cambia l’inclinazione del piano di
scorrimento.
Un materiale con grana fine è più resistente di quello con grana grossolana perché il primo ha una
maggiore superficie di bordo di grano per impedire il movimento delle dislocazioni.
Per quantificare la variazione della tensione di snervamento in presenza del rafforzamento per bordo
di grano utilizziamo la legge di Hall-Petch in cui vediamo che all’aumentare del diametro medio del
grano diminuisce il carico di snervamento infatti: 𝜎=𝜎0+𝑘∗√(𝑏/𝑑).
Per capire in cosa consiste la legge di Hall-Petch partiamo dall’analisi del movimento di una
dislocazione. La tensione tangenziale da applicare sul piano di scorrimento per muovere una
dislocazione è definita come: 𝜏 − 𝜏0 ∝ 𝐺𝑏
Dove τ è lo stress di taglio sul piano di scorrimento mentre τ0 è dovuta ai meccanismi di
rafforzamento operanti ad esclusione dell’ostacolo dei bordi di grano.
Consideriamo ora una dislocazione che deve superare un bordo di grano e chiamiamo L la distanza
dal punto in cui si è generata avremo che la tensione che bisogna applicare esternamente per far
𝐺𝑏
arrivare la dislocazione al bordo del grano è tale che: 𝜎 − 𝜎0 ∝
1−𝜐
Notiamo che se L cresce, σ cala e che L dipende da d, infatti se d è piccolo anche L è piccolo; e il
fattore (1-υ) è per la dislocazione a spigolo, per quella a vite il fattore è 1. Se ora lo stress σ sale, la
sorgente emetterà una nuova dislocazione, che scorre fino ad impilarsi alla precedente, che esercita
contro di essa un’azione repulsiva, che si somma a quella del bordo di grano. Man mano che lo stress
sale, si genereranno nuove dislocazioni, che andranno a rimpolpare l’impilamento al bordo di grano.
Da un punto di vista microstrutturale, la distanza della sorgente scala naturalmente con la dimensione
d del grano, cioè Ld. Allora, per generare e impilare N dislocazioni al bordo di grano è necessaria
𝐺𝑁𝑏
una tensione risolta sul piano di scorrimento tale per cui: 𝜎 − 𝜎0 = 𝐶1 , vera per N dislocazioni.
𝑑
A questo punto possiamo assumere questa serie di dislocazioni come una singola grande dislocazione
con modulo del vettore di Burgers pari a Nb.

Nella seguente equazione si riporta la funzione tensione tangenziale, parallela alla cricca, generata da
𝜏√𝜋𝑎 (𝜏−𝜏0 )√𝑑
una tensione tangenziale lontana dall’apice della cricca. 𝜏𝑥𝑦 = 𝑓 (𝜃 ) = 𝐶2 che si ri-
√2𝜋𝑟 𝑥𝑦 √2𝜋𝑟
(𝜎−𝜎0 )√𝑑
scrive, in funzione di σ, come: 𝜎𝐿𝑂𝐶 = 𝜎 ∗ = 𝐶3
√𝑏
E denominando: 𝑘∗=𝜎∗/𝐶3, si ricava la legge di Hall-Petch: 𝜎=𝜎0+𝑘∗√(𝑏/𝑑).
Si nota che si è voluto introdurre la costante 𝑘 ∗ , che è determinabile sperimentalmente applicando
una regressione su dati di differenti prove di trazione condotte su campioni con grani cristallini di
diverse dimensioni, allo scopo di mascherare la resistenza intrinseca 𝜎 ∗ del bordo di grano, in quanto
grandezza fisica molto più incerta dal punto di vista della sua determinazione sperimentale. Questa
legge non vale per grani troppo fini e neanche per quelli troppo grandi. Per grani molto piccoli 𝑑 <
100 𝑛𝑚 ho 𝜎 − 𝜎0 ≈ 𝜎 . E se anche 𝑁 → 1 la legge di Hall-Petch diventa: 𝜎𝐿𝑂𝐶 = 𝜎 ∗ = 𝑁(𝜎 −
𝜎0 ) ≈ 𝑁𝜎 .
Nelle condizioni 𝑁 → 1, la nucleazione e il passaggio simultaneo di una dislocazione dal bordo di
grano avviene in corrispondenza del diametro del grano 𝑑 = 𝑑 ∗ , e quindi dalla legge di Hall-Petch si
𝑏
avrebbe: 𝜎𝐿𝑂𝐶 = 𝜎 ∗ ≤ 𝜎 ≈ 𝑘 ∗ √ .
𝑑∗

Alla fine si ottiene una stima del diametro critico del grano d* al di sotto del quale non vi è più la di-
𝑘∗ 2
pendenza prevista dalla legge di Hall-Petch: 𝑑𝑙𝑖𝑚 ≤ 𝑏 ( ∗ ) .
𝜎
Tecnologia dei getti
1-Vantaggi dell'uso dei getti rispetto alle altre lavorazioni (asportazione di
truciolo o deformazione plastica) (8P)
I componenti fabbricati in fonderia hanno caratteristiche un po' diverse da quelle degli equivalenti
fabbricati dai semilavorati mediante deformazione plastica ed asportazione di truciolo. In generale i
pezzi ottenuti per colata hanno caratteristiche meccaniche inferiori. Tuttavia la fabbricazione in fon-
deria permette degli innegabili vantaggi che spesso ne fa preferire l'impiego, come per esempio: -co-
sti di fabbricazione molto minori per pezzi di forma complessa; -proprietà meccaniche isotrope; -pro-
gettazione per funzionalità senza tenere conto di problematiche di assemblaggio; -aumento della ve-
locità della prototipazione rapida. La produzione di pezzi mediante fonderia offre al progettista van-
taggi sui costi rispetto alle altre tecnologie di produzione quando le geometrie sono molto complesse,
per le seguenti motivazioni: -uso di un minor numero di pezzi; -eliminazione di lavorazioni per de-
formazione plastica o per asportazione di truciolo; -tempi di montaggio più brevi; -risparmio di
massa.

2-Sviluppo del danno microstrutturale in trazione di leghe da fonderia (per


esempio tratto plastico in leghe Al-Si) (8P)
Per capire la correlazione fra le caratteristiche resistenziali di una lega leggera da fonderia e la
sua microstruttura bisogna esaminarne il comportamento durante una prova di trazione e os-
servarla con un microscopio elettronico a scansione (SEM). Come esempio si può scegliere la
lega di Al 356 (Si=7%, Mg=0,3%, Ti=0,25%, Fe=0,2%) nello stato di trattamento termico T6.
È una lega Al-Si ipoeutettica in cui la fase primaria è Al rafforzata da fine precipitazione della
fase metastabile nanometrica ' (Mg2Si con dimensioni dell'ordine di 50 nm, non visibile se
non con un microscopio elettronico a trasmissione) che deriva dal trattamento termico; la fase
secondaria è fatta da particelle di Si eutettico, che contornano i bracci delle dendriti di Al.
Sollecitando il campione di trazione al di là del suo limite elastico, si entra nel campo plastico e
quindi si induce un danno microstrutturale. La matrice metallica di Al è capace di deformarsi pla-
sticamente, mentre le particelle di Si, di natura ceramica, non consentono il passaggio delle dislo-
cazioni e quindi si comportano solo elasticamente. A livello microstrutturale, si nota che la defor-
mazione deve essere continua e congruente fra le due fasi (matrice di Al e Si), e si verifica sulle
particelle di Si una concentrazione di stress molto forte, per cercare di accomodare elasticamente
la deformazione plastica della matrice. Tale concentrazione di stress supera subito il valore critico
di resistenza locale, quindi si dovrà assistere alla rottura delle particelle di Si o al loro distacco
interfacciale dalla matrice di Al. Si nota che bande di dislocazioni (ciascuna formata da un pac-
chetto di dislocazioni) attraversano i bracci dendritici e vanno ad impattare sulle particelle inter-
dendritiche di Si. Queste ultime non ne permettono il passaggio e quindi subiscono l'accumulo di
stress dovuto all'impilamento delle dislocazioni. In alcuni casi lo stress locale supera il valore cri-
tico di rottura delle particelle. Si nota inoltre che si raggiunge più facilmente la condizione critica
delle particelle di Si quando queste sono più grandi o presentano delle irregolarità geometriche.
All’aumentare della deformazione plastica si moltiplicano le dislocazioni ed aumenta il numero
delle particelle di Si che si fratturano. Dopo un po’ di tempo le fratture delle particelle di Si adia-
centi si uniscono lungo i percorsi interdendritici attorno ai bracci secondari delle dendriti, formando
delle microcricche, che essendo interdendritiche, avranno dimensione dell'ordine di quella del brac-
cio secondario delle dendriti (qualche decina di micrometri). Successivamente la coalescenza delle
microcricche genererà una cricca, questa volta macroscopica, responsabile del collasso del mate-
riale.
3-Microstruttura del materiale ottenuto per colata (dendriti, fasi secondarie,
composti intermetallici indesiderati, inclusioni,...) e parametri stereologici che
li descrivono (9P)
La microstruttura di pezzo ottenuto per fonderia dipende da 4 fattori: tipo di lega, tecnologia di colata,
trattamento termico, forma e dimensione della seconda fase. In dipendenza del tipo di lega usato,
cambiano gli intervalli di solidificazione. Infatti per un breve intervallo di solidificazione (ΔT<50°C)
si otterrà una microstruttura dendritica che cresce nella direzione del calore di solidificazione; dunque
le dendriti andranno ad intersecarsi lasciando delle porosità combattute con l’utilizzo di materozze. Per
intervalli più lunghi (50°C< ΔT<100°C) si nota che oltre alle dendriti già descritte, al centro del bagno
possono nucleare dei cristalli di solido che cresceranno come dendriti equiassici, dando luogo a
porosità disperse (zona pastosa). Con ΔT>100°C si otterranno poche o nulle dendriti colonnari ma
molte equiassiche portando alla formazione di una grande zona porosa. La tecnologia di colata influisce
sul tempo di solidificazione, infatti una solidificazione veloce favorisce la nucleazione delle dendriti
che quindi saranno più numerose e di dimensioni minori con proprietà meccaniche migliori per il
pezzo. Nell’effettuare i trattamenti termici si otterranno delle modifiche alla microstruttura, infatti
nell’invecchiamento artificiale del T6 si ha la precipitazione di seconda fase. Infine le particelle di
4𝐴
seconda fase, caratterizzate dal Deq medio e dal fattore di forma f: 𝐷𝑒𝑞 = √ 𝜋 𝑒 𝑓 = 𝑑/𝑏
più la particella è grande e più si allontana dalla sfericità e più ho concentrazione di tensione e si arriva
prima alla rottura. Quindi a seconda di f possiamo avere particelle sferoidali oppure aghiformi. Le
particelle di seconda fase dovrebbero essere più fini possibili.
In alcuni casi si può verificare nel getto la presenza di composti intermetallici che si formano durante
il raffreddamento seguendo regola di Hume-Rothery, questi sono caratterizzati da un reticolo
cristallino diverso da quello dei metalli costituenti e possono variare le proprietà fisiche e meccaniche
della lega dal momento che in determinate condizioni possono precipitare e dare vita a dei punti duri.
La presenza di questi punti duri può essere nociva e declassare la qualità dei getti oppure può essere
voluta di proposito come nella lega A332 con il 2% di Ni dove si forma il composto intermetallico
stabile Al3Ni che dà un indurimento per dispersione.
Analizzando la microstruttura dei materiali per colata si possono notare anche delle inclusioni, queste
possono essere di due tipi: esogene se vengono dall’esterno come ad esempio frammenti di crogioli,
agglomerati di sabbia degli stampi (tendono a sedimentare o a precipitare, finendo nella scoria liquida
protettiva superficiale; hanno inoltre sezione molto grande), o endogene che dipendono dalla
composizione chimica del metallo (hanno sezione molto piccola e sono distribuite in tutto il liquido) e
da eventuali composti chimici aggiunti come ad esempio affinatori del grano in quantità eccessive
(boruri di Titanio o V nell’Al) o fasi intermetalliche con Fe nell’Al.
Diminuiscono le proprietà meccaniche, soprattutto l'allungamento a rottura, la resistenza a fatica e la
tenacità a frattura, in particolar modo nelle leghe dove le caratteristiche meccaniche sono elevate e
quindi il livello di stress applicati è pure elevato.
I parametri stereologici principali sono:
- Deq = (4A/π)0,5. Si tratta di un parametro che si basa sull’approssimazione della forma del cristallo
considerandolo di forma circolare. L’area del cristallo è dipendente dalle dimensioni delle dendriti, che
nello stesso cristallo presentano la stessa orientazione cristallografica.
- F=Sx/Sy , il fattore di forma medio delle particelle di seconda fase, con Sx e Sy pari alle distanze
identificabili come assi del grano. Per f=1 la forma del grano è circolare, mentre per tutte le altre f la
forma è non circolare.
-L è la dimensione della cella dendritica.
-ts è il tempo di solidificazione.
-DAS è il Dendrite Arm Spacing, cioè lo spazio medio tra i bracci delle dendriti. È simile a L ma tiene
conto anche dello spessore interdendritico, dunque DAS>L.
- SDAS (Secondary Dendrite Arm Spacing)=L/n, è lo spazio medio tra i bracci secondari delle dendriti.
Ovviamente tutti i parametri dipendono dalle zone, ad esempio una zona più in superficie avrà
parametri stereologici diversi da una più verso il nucleo del pezzo per via del diverso raffreddamento
subito dal componente. Inoltre per strutture a grani fini i valori di Deq e di f sono quasi costanti tra un
getto e l’altro, per cui ad essere presi in considerazione sono i valori di L e DAS. Nel caso di strutture
grossolane i valori del diametro equivalente e del fattore di forma possono variare sostanzialmente e
dunque è utile analizzare i valori suddetti.

4-resistenza a fatica dei getti (9P)


La resistenza a fatica dei getti è influenzata maggiormente dalla presenza di difetti. Si definisce la
σlim,7,dif come la resistenza a fatica a 107 cicli (tramite prove a flessione rotante) per campioni ricavati
da getti i cui difetti sono all’origine delle rotture. Essa dipenda, quindi, dalla durezza del materiale
HV e dai difetti. Interessano, soprattutto, i difetti superficiali perché le cricche di fatica provengono
sempre dalla superficie. Si considera il difetto più grande perpendicolare al massimo stress
principale. La dimensione caratteristica del difetto è √𝐴 , dove A=area del difetto più grande. Si
misura tramite sperimentazione diretta o controlli non distruttivi (CND). Se ci sono tanti difetti
vicini, si considera l’area dell’inviluppo. Secondo le formule di Murakami e Ueno, si calcola la
resistenza a fatica in presenza di difetti:
σlim,7,dif = 1,43(75+𝐻𝑉)/√𝐴1/6 , se √𝐴 ≤ 1400 μm ; σlim,7,dif = 1,43(450+𝐻𝑉)/√𝐴1/3 , se √𝐴 > 1400 μm
Queste formule valgono per materiali ottenuti per getto. Se il difetto è molto piccolo, σlim,7,dif tende a
divergere, diventando maggiore di σlim,7 che definisce il limite superiore (resistenza a fatica a 107
cicli tramite prove a flessione rotante da campioni ricavati da getti i cui difetti non sono all’origine
delle rotture). Pertanto queste formule valgono, quindi, fino ad una certa soglia a cui corrisponde il
difetto limite Quest’ultimo può essere calcolato tramite la prima formula uguagliando σlim,7 (calcolata
sperimentalmente) ad σlim,7,dif. Esse non sono valide per difetti estremamente piccoli. Al di sotto di
una certa soglia (di certe dimensioni) i difetti non propagano anche se sono presenti; è come se non
esistessero.

5-Indicare le cause d'insorgenza degli strappi a caldo nei getti e citare quali
leghe di Al e Mg potrebbero esserne affette (8P)
Durante la solidificazione a causa del ritiro allo stato solido ho delle variazioni di volume maggiori di
tutto il processo di colata; ed è in questa fase che avvengono gli strappi a caldo, dato che il materiale
non ha ancora raggiunto la resistenza sufficiente per resistere alle tensioni imposte dai vincoli
geometrici, si ha la formazione di fratture intergranulari. Questo si verifica quando lo stress supera la
resistenza a trazione del materiale. Per ridurre il rischio di problematiche del genere è necessario
eseguire operazioni di affinamento dei grani per disperdere l’ultimo liquido che solidifica, utilizzare
raffreddatori o isolanti termici posizionandoli con cura, curare con attenzione il progetto geometrico
della forma evitando bruschi cambi di dimensione della sezione, evitare leghe con intervalli di
solidificazione troppo ampi per evitare che ci sia poco liquido eutettico nelle fasi finali in grado di
fluire nelle zone degli strappi e ripararli. Nelle leghe di Al, il Cu favorisce gli strappi a caldo, così
come lo Zn nelle leghe di Mg. Viceversa l’utilizzo del Fe nelle leghe di Al rende più difficile l’insorgere
di hot tearing e analogamente agiscono le Terre Rare nelle leghe di Mg.
6-Spiegare la porosità di ritiro nelle leghe con intervallo di solidificazione
corto e una con intervallo di solidificazione lungo, facendo il confronto fra le
due (10P)
La porosità da ritiro si manifesta a fine solidificazione perché nell’ultima parte di liquido si riassume
tutto il ritiro volumetrico della trasformazione liquido-solido senza che sia più possibile che altro
liquido riempia le cavità che si formano a causa della contrazione del materiale. A differenza dei metalli
puri, le leghe hanno una Tliquidus e una Tsolidus differenti, per cui si determina un intervallo di
solidificazione dipendente dalla differenza tra le due temperature. In molte leghe la solidificazione
porta a un punto eutettico e si formeranno dendriti di fase primaria circondate da liquido eutettico: è
poi l’ampiezza dell’intervallo di solidificazione a stabilire l’entità del ritiro e della porosità ad esso
connessa. Nel caso di intervallo di solidificazione corto, che va dai 0°C ai 50 °C la situazione non è
diversa da quella di un metallo puro, cioè essa è direzionale ed efficiente perché il fronte del solido è
a poca distanza dalla fine delle dendriti. Al procedere della solidificazione, il materiale liquido viene
risucchiato nella “foresta dendritica” (che però non è molto estesa) e questo permette al materiale
liquido di riempire le cavità interdendritiche. La zona di fine solidificazione è circoscritta di
conseguenza ed è lì che si concentrano i ritiri volumetrici che possono essere causa di porosità. Se la
struttura per la colata è ben congegnata si posizionano delle materozze che forniscono materiale liquido
per compensare i ritiri in modo efficace. Non è impossibile eliminare del tutto queste porosità da ritiro,
ma è un’operazione molto complicata. Se rimane un residuo di porosità, esso sarà di tipo interdendritco.
La porosità da ritiro in una lega con intervallo di solidificazione lungo si verifica quando la differenza
tra Tliquidus e Tsolidus supera i 110°C e quindi sorgono difficoltà di compensazione del ritiro liquido-
solido non più arginabili. La solidificazione direzionale perde efficacia poiché il fronte del solido si
trova a grande distanza dagli apici delle dendriti o sono presenti dendriti equiassiche isolate disposte
un po’ ovunque nel liquido. La zona di fine solidificazione non è circoscritta poiché la mushy zone è
di ampie dimensioni. Ci si ritrova con porosità diffuse ovunque e di conseguenza non si possono usare
materozze per risolvere il problema del ritiro e della porosità ad esso connessa. Quindi lavorando con
leghe ad ampio intervallo di solidificazione bisogna considerare i problemi legati a una diffusa porosità
interna.

7-Spiegare la porosità da gas (idrogeno e aria intrappolata) nei getti e le


contromisure per evitarla (8P)
L'idrogeno è un gas solubile in tutti i metalli liquidi e anche nell'Al e Mg. La sua solubilità nel solido
è invece praticamente nulla. Non è così per tutti i metalli, per esempio nel Fe un po’ di solubilità allo
stato solido c'è. Durante la solidificazione dell'Al e del Mg, l'H viene rigettato fuori dal solido sotto
forma molecolare e provoca la formazione di porosità, che appaiono come vuoti nei getti. L’idrogeno
penetra nel materiale a causa di: -riciclo di boccame umido, -umidità presente nella forma, -reazioni
dell’acqua nell’ambiente se viene disturbata l’azione protettiva degli ossidi superficiali del liquido.
La porosità da gas, nel particolare da H, si manifesta in due forme: -quando vi è poco H si formano
bolle sferiche nell'ultima parte di liquido che solidifica; -quando c’è abbondanza di H si formano
vuoti interdendritici dispersi.
Lo sviluppo di H può essere ostacolato da solidificazioni rapide come in conchiglia o ancora di più in
pressocolata, poiché rimane in soluzione solida sovrassatura (SSSS). Si rimuove l'H dal bagno
liquido facendo il flussaggio con gas inerti, cioè facendo gorgogliare gas secchi puri come N, Ar o Cl
(che è il più efficace).
Considerando l’aria nelle colate in pressione, il liquido in entrata nella forma comprime i gas presenti
come bolle compresse, le quali possono ridurre le caratteristiche meccaniche del getto e impedire
trattamenti termici ad alte temperature per il pericolo di blistering in cui si può incorrere. Per ovviare
al problema si possono predisporre canali di sfiato per favorire l’evacuazione dell’aria oppure si può
predisporre l’attrezzatura per mettere a bassa pressione la forma e risucchiare l’aria prima della
colata in un accumulatore o ancora predisporre una camera di sfogo per l’ultima parte di liquido in
solidificazione.

8-peculiarità delle caratteristiche meccaniche dei getti (dipendenza dai


parametri di fabbricazione e microstruttura che ne deriva), differenza
rispetto alle caratteristiche dei semilavorati ottenuto per deformazione
plastica (piastre, lamiere, barre,...) (10P)
La modalità di fabbricazione influenza la microstruttura del getto soprattutto per quanto riguarda la
velocità di raffreddamento che determina la finezza della microstruttura e quindi proprietà
meccaniche diverse. Molto importanti sono anche la geometria del getto, la temperatura di colata, la
geometria di alimentazione e la presenza o meno di raffreddatori. Un metallo puro ha una
temperatura di solidificazione e presenta un fronte piano di solidificazione. Una lega ha un intervallo
di solidificazione ed a seconda della sua ampiezza presenta una microstruttura diversa. Il getto
solidifica con una struttura colonnare che si propaga in verso opposto a quello di scambio termico. Se
l’intervallo di solidificazione è breve (<50°C) si ha una solidificazione direzionale (con struttura
colonnare) che favorisce il concentrarsi delle porosità in corrispondenza delle materozze
opportunamente collocate. Se invece l’intervallo di solidificazione è ampio (>110°C) si ha una
struttura meno colonnare ed equiassica in zone lontane dalle pareti, e si avranno porosità diffuse che
abbassano molto le caratteristiche meccaniche].
Con velocità di raffreddamento elevate (ordine di 100 K/s) si ottengono microstrutture molto fini.
Partendo dalla legge di Chvorinov T°= (A/V)2 con T°=velocità di raffreddamento, A=area di scambio
e V=volume del getto; con dei passaggi matematici ci riconduciamo all’allungamento percentuale a
rottura; ovvero possiamo dire che all’aumentare della dimensione della cella dendritica l’A%
decresce. In presenza di dendriti di grosse dimensioni le dislocazioni si addensano ai bordi di grano
provocando una rottura del pezzo anticipata rispetto al caso di dendriti piccole a cui fanno capo
caratteristiche meccaniche migliori. La resistenza a snervamento non dipende dalla dimensione della
cella dendritica perché il moto delle dislocazioni dipende dalla resistenza intrinseca del reticolo.
Dunque abbiamo visto che nel caso dei getti il DAS (dendrite arm spacing) o SDAS (Secondary
Dendrite Arm Spacing) e il parametro L (dimensione della cella dendritica) hanno una forte influenza
sulle caratteristiche meccaniche. Il primo è simile a L ma tiene conto anche dello spessore
interdendritico, dundue DAS>L. le proprietà del getto varieranno poco in zone specifiche del getto
ma potranno variare in modo importante in punti distanti del pezzo. Oltre a questi parametri sono
importanti il Deq= (4A/π)0,5 (diametro equivalente delle particelle di seconda fase, con A area del
cristallo) e il parametro f=Sx/Sy (fattore di forma medio della particella di seconda fase), che
forniscono informazioni riguardo le proprietà meccaniche di un getto; Per f=1 la forma del grano è
circolare. La differenza principale tra le leghe utilizzate nei semilavorati per deformazione plastica e
le leghe da fonderia sta nel fatto che per le prime resistenza e duttilità sono caratteristiche opposte,
cioè alta resistenza a trazione comporta bassa duttilità e viceversa; mentre nelle leghe da fonderia si
vede che alta resistenza a trazione comporta alto allungamento percentuale e questo perché non si
arriva mai a strizione perché in questo materiale la trazione comporta l’insorgere di cricche e la loro
crescita, se la lega è duttile, riesce a resistere bene alle cricche. Inoltre è possibile notare come nei
semi-lavorati ottenuti per deformazione plastica le proprietà meccaniche siano anisotrope e
dipendano dalla specifica direzione di lavorazione secondo la quale sono state ottenute. Non
presentano effetti di scala come i getti e le proprietà tabellari sono molto affidabili a differenza dei
getti dove è presente una sovrastima del 20% circa.
9-Effetti di scala (influenza del volume) nelle proprietà meccaniche dei getti
(12P)
Le proprietà meccaniche del getto non possono essere quantificate a priori perché esse possono essere
influenzate da molti fattori come metodi di fabbricazione, presenza di porosità, ecc.. Allora si fanno
prove con n provette e il valore finale della proprietà meccanica è dato dalla media aritmetica dei
risultati ottenuti:
m = 1/n * ΣRi
Il valore ottenuto non è omogeneo in tutto il pezzo, in quanto le caratteristiche meccaniche variano da
zona a zona. Si ha quindi a che fare con leggi statistiche. Per determinare la probabilità di rottura di un
getto, si utilizza la statistica di Weibull. Si definiscono: -V è il volume del pezzo o della zona sollecitata
che interessa (“è un fattore di scala”); -σ0 è la soglia di tensione al di sotto della quale non vi può essere
rottura (di solito si prende pari a 0); -V0 è un volume rappresentativo del materiale (dipende dalla
microstruttura); -σmed(V0) è il valor medio della tensione di rottura nel volume rappresentativo; -w è
l’esponente di Weibull, se è basso indica un’elevata dispersione nei valori di resistenza e viceversa; P
è la probabilità cumulativa di rottura;

Assumendo σ0=0, e eseguendo alcuni passaggi:

Introducendo le coppie di dati sperimentali (R, P), facendone la regressione, si ricava la


retta la cui pendenza è w e dall’intercetta si ricava σmed(V0). Si nota a livello più pratico
che all’aumentare di V aumenta P, infatti se V è grande, il tempo di raffreddamento sarà
più lungo, allora saranno f grande e Deq grandi, dunque avrò dendriti più grosse, per cui
calano resistenza a trazione e allungamento a rottura e soprattutto se V è grande il getto
avrà molti difetti.

10-solidificazione con dendriti colonnari (12P)


La solidificazione di un componente incomincia sempre dalle pareti del contenitore del getto, ovvia-
mente più fredde del liquido. La bassa temperatura iniziale della parete e il gran numero di siti di nu-
cleazione favoriscono la formazione di fini cristalli equiassici, che formano uno strato iniziale per il
solido in formazione, la cosiddetta chill zone, una
specie di zona temprata in cui si ha avuto un raffred-
damento rapido come una “tempra”. Subito dopo la
formazione di questa buccia iniziale di cristalli
equiassici, si esamina ciò che accade all’interfaccia
fra il solido ed il liquido, riferendosi alla Figura:
Nel diagramma, che mostra l’evoluzione delle gran-
dezze fisiche all’allontanarsi dall’interfaccia, sita a
z=0, sono disegnati quattro tipi di curve:
-la distribuzione di temperatura nel solido (curva a si-
nistra), approssimata come retta dalla pendenza GS;
-la distribuzione di temperatura nel liquido (curve a destra), approssimate come rette a, b, c con pen-
denze GL ognuna diversa dall’altra;
-la distribuzione di concentrazione di soluto nel liquido, ovviamente decrescente a partire dall’inter-
faccia ed avente gradiente GC;
-la temperatura di solidificazione costituzionale Tcostitutional, crescente a partire, esprime il fatto che la
sovrassaturazione in soluto del liquido vicino all’interfaccia abbassa localmente la temperatura di so-
lidificazione, che ritorna al valore nominale quando la concentrazione del soluto è di nuovo quella
nominale, il che accade sufficientemente lontano dall'interfaccia solido-liquido.
Inizialmente, subito dopo la nucleazione dei primi cristalli equiassici superficiali, il gradiente termico
nel liquido GL è ancora molto forte perché il contenitore non ha ancora raggiunto la temperatura di
regime, che si verificherà quando si avrà anche scambio termico con l’aria circostante o eventuali
supporti al contenitore. È la situazione della retta a: la pendenza è alta, i cristalli presenti crescono e
su di essi ne nucleano anche di nuovi. Crescendo lo strato dei cristalli superficiali equiassici si ab-
bassa il gradiente GL finché si arriva alla pendenza della retta b, che è la stessa della temperatura di
solidificazione Tcostitutional. Si è arrivati al limite della crescita dello strato superficiale dei cristalli
equiassici. Se la velocità di raffreddamento è molto forte fino alla fine, perché il getto è piccolo o la
velocità di asportazione del calore da parte del contenitore è molto grande, come nel caso di una co-
lata a pressione, la solidificazione si concluderà con soli cristalli equiassici e non si avrà formazione
di dendriti. Oltre la situazione della curva b, il gradiente termico del liquido GL diventerà più basso
del gradiente termico della temperatura di solidificazione Tcostitutional, cioè ci si troverà nella situazione
della retta c. Immediatamente oltre l’interfaccia, dove T= Tcostitutional, la temperatura del liquido sarà
più bassa di quella di solidificazione, cioè T< Tcostitutional. L’interfaccia solida è ora affacciata su di un
liquido sottoraffreddato. Siccome l’interfaccia non è perfettamente piana, perché essa è fatta da molti
diversi cristalli, vi saranno piccolissime regioni solide che sono più avanzate (di pochissimo) del
fronte medio, e quindi saranno a contatto con un liquido più sottoraffreddato di quelle adiacenti. Il
sistema diventa instabile. Inoltre esse avvelenano la crescita delle zone rimaste più indietro, perché
tali protuberanze mentre avanzano liberano attorno a sé il calore di solidificazione e quindi mitigano
o addirittura annullano di fianco a sé il sottoraffreddamento del liquido. Tale fatto, oltre a distruggere
la planarità dell’interfaccia complessiva di solidificazione e produrre una crescita di cristalli colon-
nari, finisce per eliminare completamente la crescita di alcuni cristalli, quelli rimasti indietro. Quindi
il numero dei cristalli diminuisce all’avanzare dell’interfaccia. La liberazione del calore di solidifica-
zione crea intorno ad una protuberanza una zona a crescita cristallina inibita, la cui dimensione è
dell’ordine di grandezza di quella della protuberanza stessa. Questa, a sua volta, genererà nel suo in-
torno, con un’estensione dello stesso ordine di grandezza della sua stessa dimensione, un’altra re-
gione a sottoraffreddamento mitigato. Di qui ne deriva una struttura periodica, cioè vi sarà una
schiera di protuberanze solide equispaziate che crescono nel liquido. Sui loro fianchi il liquido a sot-
toraffreddamento mitigato riproduce una situazione simile all’interfaccia dello strato dei cristalli
equiassici prima dell’inizio della crescita colonnare. L’entità del sottoraffreddamento residuo dovrà
dipendere dal calore di solidificazione: più quest’ultimo cresce, più il primo tende a smorzarsi. Esi-
sterà dunque, ai fianchi delle prime protuberanze, un liquido a temperatura più bassa di quella di soli-
dificazione Tcostitutional.
L’interfaccia diventa quindi instabile e può nascere e crescere una nuova serie di protuberanze dai
fianchi di quelle precedenti. Nascono allora le dendriti, dove le prime protuberanze, dette bracci pri-
mari, sono come il tronco dell’albero, le seconde sono i bracci secondari. Le dendriti hanno crescita
colonnare, cioè il loro braccio primario è parallelo al gradiente termico.
Vi potrebbero essere anche bracci di ordine n, ma in pratica i dati sperimentali indicano che, oltre ai
primari, si trovano solo quelli secondari o, in taluni casi, quelli terziari.
11-solidificazione con dendriti equiassiche (12P)
Man mano che la solidificazione avanza si affossa tutto il profilo della temperatura T nel liquido, ma
la temperatura all’interfaccia diminuisce poco per via dello scambio quasi stazionario fra il conteni-
tore e l’ambiente circostante. In uno stadio avanzato della solidificazione tutta la curva della tempera-
tura del liquido si abbassa, e si andrà a finire che ci sarà tutta la zona centrale in cui T<T costitutional. A
questo punto si avrà crescita di nuclei solidi già presenti nell’ultimo liquido e vengono a concentrarsi
nel liquido finale, come tutte le impurezze; i nuclei sono già presenti o perché alcuni di essi si sono
formati durante il versamento del liquido della colata quando questo è venuto a contatto con il conte-
nitore più freddo oppure durante la crescita colonnare normale, si sono staccati alcuni frammenti di
dendriti che si sono poi concentrati nell’ultimo liquido. Da questo punto in poi la crescita dei nuclei
cristallini già presenti sarà dendritica ed equiassica per i seguenti motivi: - il gradiente GL perde la
monodirezionalità, che era la condizione per avere crescita colonnare; -c’è sottoraffreddamento ma
non direzionale; -ci può anche essere effetto del calore latente di solidificazione, che non permette la
crescita del cristallo nelle regioni immediatamente adiacenti al braccio dendritico che si stava svilup-
pando; tuttavia, siccome non si partiva da un’interfaccia planare ma da un cristallo più o meno po-
liedrico, vi saranno facce cristalline più distanti da quelle interessate dalla liberazione del calore la-
tente di solidificazione e che saranno quindi in grado di crescere in una diversa direzione; in defini-
tiva si ha una crescita complessiva non direzionale; in sostanza ogni cristallo cresce dendriticamente
in direzioni diverse e in modo simultaneo. Alla fine il getto avrà una prima zona esterna di fini cri-
stalli equiassici, seguiti da dendriti a sviluppo colonnare verso l'interno, per terminare in una zona di
dendriti equiassiche nel cuore del pezzo. La zona iniziale di fini cristalli equiassici è sempre presente,
la sua estensione dipende dalla velocità di raffreddamento, e quindi dal gradiente termico nel liquido
GL. L'estensione della zona dendritica a sviluppo equiassico centrale è determinata dalle condizioni
di raffreddamento e dal tipo di lega. Getti di grandi dimensioni restringono la zona dominata dal gra-
diente termico ad una frazione moderata del volume complessivo. Di conseguenza si raggiungeranno
condizioni di sottoraffreddamento generalizzato in un'ampia percentuale del volume del getto: ne ri-
sulta perciò un'ampia zona di dendriti equiassiche. Anche vibrazione meccanica e agitazione elettro-
magnetica favoriscono l'estensione delle dendriti equiassiche, sia perchè, smorzando i gradienti com-
posizionali, ostacolano il sottoraffreddamento costituzionale, sia perchè moltiplicano la frammenta-
zione delle dendriti colonnari e quindi forniscono nuclei per la crescita equiassica nella zona centrale
del getto. Effetto simile si consegue con l'utilizzo d'inoculatori per l'affinazione del grano: si riduce la
crescita colonnare perchè si favorisce la nucleazione eterogenea direttamente nel liquido.

contrazione di volume e porosità da ritiro (7P)


Durante la solidificazione dei getti, in fonderia, si possono verificare 3 tipologie di ritiro volumetrico:
-contrazione liquida: dipende dal grado di surriscaldamento con il quale si cola; -contrazione solida
fra la solidificazione e le temperatura di sformatura: di solito si compensa facendo le forme poco più
grandi; -contrazione di solidificazione: è la più importante e dà luogo a ritiro liquido-solido, che
può portare facilmente alla creazione di porosità, con decadimento delle caratteristiche meccaniche;
dipende dalla composizione delle leghe e si contrasta utilizzando assieme il principio della
solidificazione direzionale e il posizionamento di materozze vicino alle aree di fine solidificazione.
La porosità da ritiro si manifesta a fine solidificazione, perché in quell'ultimo liquido si riassume
tutto il ritiro della trasformazione liquido-solido, senza che sia più possibile avere altro liquido che
riempia le cavità che si formano a causa della contrazione. In certi casi il fenomeno si compensa con
le materozze, che concentrano al loro interno il ritiro volumetrico della trasformazione. Tuttavia, an-
che in presenza di materozze, condizione necessaria ma non sufficiente a spostare il ritiro fuori dal
getto, l'attuazione di solidificazione quanto più possibile direzionale. In pratica si deve organizzare il
contenitore che accoglierà il metallo liquido in modo che i gradienti termici pilotino la solidifica-
zione nella direzione delle materozze, che devono solidificare per ultime. Nel caso del metallo puro,
l'intervallo di solidificazione è nullo (Tsolidus=Tliquidus) e non vi sono dendriti. Di conseguenza il fronte
di solidificazione è piano e segue semplicemente il gradiente termico. Il gradiente localizzerà la zona
di fine solidificazione, e lì avverrà il ritiro volumetrico. Il posizionamento coerente della materozza
farà sì che quest'ultima rifornisca la zona critica del getto del liquido necessario e concentri dentro di
sé la porosità. Nel caso delle leghe l'intervallo di solidificazione Tliquidus-Tsolidus non è nullo e inoltre vi
sono le dendriti. Nella grande maggioranza delle leghe la solidificazione termina ad un punto eutet-
tico. Si hanno 3 differenti tipologie di leghe da getto, in base ai differenti intervalli di solidificazione:
-Lega ad intervallo di solidificazione corto Tliquidus-Tsolidus <50°C: Con un piccolo intervallo di solidi-
ficazione, le cose non saranno troppo diverse da quello che avviene nei metalli puri, la solidificazione
direzionale è efficiente perché il fronte del solido più indietro dell'apice primario delle dendriti si
trova a moderate distanze da esse. In tal caso la zona di fine solidificazione è piuttosto definita. Se il
contenitore dove si cola il liquido è ben progettato, si piazzano le materozze accanto alle zone dove
dovrebbe terminare la solidificazione, cosicché esse possono fornire il liquido che serve per compen-
sare il ritiro. Annullare completamente quest'ultimo è possibile, così qualche modesta porosità può
rimanere in quella zona.
-Lega ad intervallo di solidificazione medio 50< Tliquidus-Tsolidus <110°C: Con un intervallo di solidifi-
cazione medio, le cose saranno già ben diverse da quello che avviene nei metalli puri. La solidifica-
zione direzionale è solo in parte efficiente perchè il fronte del solido più indietro dell'apice primario
delle dendriti si trova a distanze da esso considerevoli. In tal caso la zona di fine solidificazione non è
ben definita, perchè esiste una zona pastosa (mushy zone) di dimensioni non trascurabili, dove den-
driti equiassiche isolate sono totalmente circondate dal liquido eutettico. Anche se il contenitore dove
si cola il liquido è ben progettato, la zona pastosa non è molto circoscritta e quindi, comunque si
piazzino le materozze sarà impossibile rifornire adeguatamente tutte le regioni interessate dal feno-
meno. Annullare completamente il ritiro è quindi impossibile, così qualche moderata porosità è inevi-
tabile.
-Lega ad intervallo di solidificazione ampio Tliquidus-Tsolidus >110°C: Con un intervallo di solidifica-
zione ampio, le difficolta di compensazione del ritiro della trasformazione liquido-solido non sono
arginabili. La solidificazione direzionale è inefficiente perchè il fronte del solido più indietro dell'a-
pice primario delle dendriti si trova o a grandi distanze da esso oppure, più frequentemente, vi sono
dendriti equiassiche isolate ovunque sparse nel liquido. La mushy zone è di ampie dimensioni e
quindi le zone di fine solidificazione non sono circoscritte, ma sono sparpagliate su ampia scala.
Compensare il ritiro con le materozze quindi non ha alcun effetto e ci si ritrova con piccole porosità
interdendritiche diffuse quasi ovunque.
Alluminio da fonderia
1-Composizione microstruttura e proprietà delle leghe binarie Al-Si (9P)
Le leghe binarie sono le leghe della serie 4XX.Y secondo AA alluminium ass. I valori delle
caratteristiche variano da getto a getto. La lega è di tipo ipoeutettico e la presenza di ferro è una cosa
non voluta (in percentuale inferiore dello 0,2%), per via del fatto che si viene a creare il composto β-
Al5FeSi in struttura aghiforme che peggiora notevolmente le caratteristiche meccaniche conferendo
grande fragilità alla lega; allora si aggiunge del Mn per migliorare le caratteristiche, e si trasforma la
struttura aghiforme in una struttura a scrittura cinese che conferisce più duttilità. Nelle leghe da
pressocolata, che presentano alte velocità di raffreddamento ed alto tenore di Si, si immette Fe tra l’1
e il 2% per prevenire fenomeni di hot tearing (strappi a caldo). Nel caso di lega eutettica o
ipereutettica si ha un’elevata quantità di Si che comporta bassa duttilità e dunque per prevenire
strappi a caldo si inserisce più Fe. Tali leghe si prestano bene per colate a pressione o in conchiglia,
essendo molto fluide, infatti non vengono solitamente trattate termicamente. Queste leghe si prestano
a rafforzamento per dispersione di Si, a rafforzamento per applicazioni in cui è da evitare la porosità
interna ma le caratteristiche di resistenza meccanica necessarie non sono elevatissime. Hanno
dunque: - Elevata fluidità; - Poco ritiro; - Bassa tendenza alla corrosione; - Sono leghe saldabili; -
Poco lavorabili.

2-Effetto del Si nelle leghe di Al da fonderia (10P)


Il Si inserito nelle leghe di Al ha molti effetti tra i quali: -Migliorarne la fluidità per via delle elevate
energie in gioco, ci sta tanto a solidificare e questo evita anche la porosità nella lega; -Le leghe con il
Si hanno un’ottima resistenza alla corrosione. L’Al è ottimo come resistenza alla corrosione perché si
passiva formando uno strato superficiale nel pezzo stabile non poroso e aderente alla superficie, il Si
al più migliora questa proprietà ma non la peggiora; -Le leghe Al-Si sono saldabili perché il Si riduce
il ritiro di solidificazione e abbassa il coefficiente di espansione termica. Non saranno ovviamente
saldature ad alta resistenza; -Hanno, quindi, un coefficiente di espansione termica basso e questo
permette di ridurre le tensioni residue all’interno del pezzo. Infatti durante una saldatura si va a
fondere una zona, lasciando quindi un gradiente di temperature nel pezzo che genera delle tensioni
residue alle volte anche vicino allo snervamento che creano problemi di resistenza a fatica e stress,
corrosione, cracking; -Il Si dà rafforzamento per dispersione, non per precipitazione per via della
grandezza dei precipitati; -Data la durezza delle particelle di Si i componenti di questa lega danno
un’usura maggiore degli utensili da lavorazione; -Il Si dà anche una resistenza all’usura in vantaggio,
però rendono il pezzo meno lavorabile all’utensile; -Se la solidificazione è lenta, la struttura
risultante sarà grossolana e il Si si presenterà come grossi aghi o placche, i quali conferiscono
fragilità al pezzo. Se invece il raffreddamento è rapido la struttura del Si sarà fibrosa e più resistente.
Modificando l’eutettico si possono ottenere anche miglioramenti; oppure affinando il grano si
conferisce più resistenza e più duttilità e inoltre si ridurrà il pericolo di strappi a caldo. Per far ciò si
aggiungono al bagno delle leghe delle dispersioni di particelle di boruro di titanio (TiB2) che fungono
da germi di nucleazione di Al.

3-composizione, microstruttura e proprietà delle leghe Al-Si-Mg da fonderia


(10P)
Sono leghe della serie 3xx.y aventi circa il 7%Si e 0,3-0,5%Mg, utilizzate principalmente per colate in
sabbia o a pressione. Hanno le seguenti proprietà: -Alte proprietà meccaniche (R circa 300MPa, A%
circa 7%); -Buona colabilità grazie alla presenza del Si; -Ottima tenuta a pressione; -Ottima resistenza
a strappi a caldo; -Buona resistenza a corrosione; -Buona saldabilità; -Bassa resistenza a caldo;
Queste leghe possono essere rafforzate con un T6 grazie alla presenza del Mg ottenendo il precipitato
β’ (Mg2Si) nanometrico che favorisce una resistenza allo snervamento circa il doppio rispetto ad una
lega Al-Si avente la stessa quantità di Si. Si ha inoltre un rafforzamento per dispersione di particelle di
Si micrometriche e per precipitazione di Mg2Si. Vengono usate nel campo della meccanica e
dell’aeronautica principalmente per costruire: supporti motore aeronautici e automobilistici, ruote,
teste di cilindri, ipersostentatori, braccetti di sospensione delle ruote. In leghe modificate, con un T6 si
migliora la duttilità a trazione poiché la solubilizzazione frammenta e arrotonda le particelle di Si. Si
ha infragilimento dovuto al Fe se questo è maggiore dello 0,2%, poiché si forma β(Al5FeSi) aghiforme
e fragile; per ovviare a ciò si mantiene il Fe al di sotto del 0,2% o si inserisce in lega del Mn favorendo
la formazione di 𝛼 (Al5FeSi) a scrittura cinese (invece di β) che favorisce migliori proprietà
meccaniche, quali migliore duttilità. Nelle leghe da deformazione plastica il trattamento T6 aumenta
anche la resistenza a trazione, ma le curve di Woehler sono poco sensibili al trattamento e questo è
motivato dal fatto che se i difetti presenti nel pezzo sono superficiali o centrali, ma in alto numero, esse
fungono da nucleatori di cricche o aumentano la sollecitazione a pari stress applicato. In questo caso il
T6 non aumenta di molto la resistenza a fatica, cosa che invece si verifica se i difetti presenti sono in
piccolo numero e non in zone superficiali.

4-composizione, microstruttura e proprietà delle leghe Al-Si-Cu (11P)


Queste leghe si utilizzano al posto delle binarie Al-Si quando, oltre alla fluidità, è importante la
resistenza del materiale. La presenza del Cu a questo scopo è di fondamentale importanza e inoltre è
presente anche una percentuale di Mg inferiore al 1%. Tipiche applicazioni sono nel blocco motore e
nelle teste dei cilindri, nei pistoni, nei supporti motore e alternatore, per le scatole di trasmissione.
Talvolta si inserisce del Ni per aumentare la resistenza ad alta temperatura attraverso la formazione
di composti intermetallici stabili Al3Ni, che rafforzano per dispersione. Il Si dà a queste leghe grande
fluidità permettendo la colata e il riempimento di forme più complesse, oltre a una buona resistenza
all’usura. È necessario che le particelle di Si presenti siano piccole e numerose. Nelle leghe
ipereutettiche si può inserire P, che forma AlP nucleatore di piccole particelle di Si primario. Cu e
Mg danno rafforzamento per soluzione solida, inoltre tramite T5 e T6 danno rafforzamento per
dispersione di particelle di fase di equilibrio e per precipitazione di fasi metastabili: i quali
trattamenti aumentano la resistenza della lega. Per il T6 è necessario comunque un livello di porosità
basso per non incorrere a blistering. Il Cu migliora la lavorabilità all’utensile, peggiora la duttilità e
la resistenza a corrosione, e come il Mg favorisce le cricche a caldo e peggiora la colabilità. Leghe a
bassa percentuale di Si sono colate in sabbia o in conchiglia, diversamente si eseguono presso colate
per la grande fluidità conferita da Si.

5-confronto della composizione e microstruttura delle leghe Al-Si e Al-Si-Cu


(11P)
Entrambe le tipologie di leghe presentano una fluidità che varia verso caratteristiche ottime grazie
alla presenza del Si. Ma ogni lega varia le proprie caratteristiche in relazione alla composizione
chimica, cioè alla presenza o assenza di Cu, Mg, Fe, Mn. Le leghe binarie di Al-Si ipoeutettiche
presentano valori discreti di duttilità ma la percentuale di Fe nelle leghe colabili in sabbia o in
conchiglia deve essere inferiore allo 0,2% perché altrimenti si forma β-Al5FeSi aghiforme, il quale
conferisce grande fragilità alla lega. L’aggiunta di Mn favorisce la formazione di 𝛼 (Al5FeSi) a
scrittura cinese (invece di β) che favorisce migliori proprietà meccaniche, quali migliore duttilità.
Nelle leghe in pressocolata, che hanno velocità di raffreddamento elevate e alto tenore di Si, si
immette ferro tra l’1 e il 2% per evitare formazione di strappi a caldo. Se le percentuali di Si fossero
basse (ipoeutettico) la presenza del Fe renderebbe fragile la struttura, ma per composizioni eutettiche
o ipereutettiche l’alta percentuale di Si rende la struttura poco duttile e dunque la presenza di Fe
diventa molto importante. Le leghe eutettiche presentano alte concentrazioni di Si e quindi sono
molto fluide, presentano poco ritiro di solidificazione, si prestano a rafforzamenti per dispersione di
Si, sono ideali per applicazioni in cui bisogna evitare porosità interna ma le caratteristiche di
resistenza meccanica necessarie non sono elevatissime.
Le leghe Al-Si-Cu si usano quando, oltre alla fluidità, abbiamo bisogno di elevata resistenza del
materiale. La presenza del rame è fondamentale per fare ciò. Normalmente è presente anche Mg
(sotto l’1%). Cu e Mg danno rafforzamento per soluzione solida e inoltre tramite T5 e T6 danno
rafforzamento per dispersione delle particelle di fasi di equilibrio e per precipitazione di fasi
metastabili. Tali trattamenti aumentano la resistenza della lega. Per il T6 è necessario comunque un
livello di porosità basso per non incorrere a blistering. Il Cu migliora la lavorabilità all’utensile,
peggiora la duttilità e la resistenza a corrosione, e come il Mg favorisce le cricche a caldo e peggiora
la colabilità.

6-modificazione dell'eutettico nelle leghe di Al contenenti Si (leghe


ipoeutettiche e ipereutettiche) (12P)
Si esegue la modifica dell’eutettico per aumentare la velocità di nucleazione in modo da rendere le
particelle di Si piccole e fibrose invece che grandi e aghiformi. Tale modifica comporta una migliore
resistenza, migliore duttilità e tenacità a frattura ma allo stesso tempo un aumento dell’assorbimento
di H (flussaggio indispensabile). La modifica dell’eutettico si esegue in due modi diversi a seconda
della composizione della lega:
-Leghe ipoeutettiche (<12%Si): La modifica dell’eutettico si effettua inserendo Na e si ottiene un
sottoraffreddamento di circa 12°C, in cui si riduce inizialmente la nucleazione del Si ma scendendo
di temperatura la velocità di nucleazione aumenta favorendo una bassa crescita dei nuclei di Si. Se è
presente P, si forma il composto AlP che essendo un nucleante di Si porta a formare grandi particelle
di Si e di conseguenza fragilità. Aggiungendo Na (0,005-0,015% in massa) si neutralizza l’effetto del
P formando NaP, ma ciò diminuisce l’effetto della modifica dell’eutettico e deve essere inserita una
quantità maggiore di Na (problema della sottomodifica). Allo stesso tempo, se è presente troppo Na
si ha il problema della sovramodifica caratterizzata dalla formazione di AlNaSi che è nucleatore di
Si. Occorre quindi partire da leghe povere di P (0,0005%) facendo inoltre un controllo attento della
quantità di Na efficace considerando anche il problema dell’evaporazione e ossidazione. Nell’utilizzo
del Na come modificante si ha una minore fluidità del liquido, per cui si possono utilizzare in
alternativa al Na, lo Sr (stronzio) o l’Sb (antimonio). Con l’uso di Sr (0,02%) o di Sb (0,2%), si
affina l’eutettico ottenendo come miglior vantaggio che non si ha più il problema della sottomodifica
e sovramodifica.
-Leghe ipereutettiche (>12%Si): Hanno molto Si che favorisce poco ritiro, maggiore fluidità e sono
quindi maggiormente prodotte in conchiglia o a pressione. Si usano per getti a parete sottile dove la
resistenza non è fondamentale (scatole per ingranaggi). La modifica dell’eutettico si fa attraverso
un’affinazione dei cristalli primari di Si mediante l’aggiunta di P, ottenendo AlP che è nucleatore dei
cristalli di Si (inoculazione). Per far ciò è necessario svolgere prima un flussaggio prolungato con Cl
per eliminare H e impurezze come Ca o Na e che diminuirebbero il P necessario per la modifica,
quindi si aggiunge P e alla fine si effettua il flussaggio breve per eliminare l’H eventualmente
entrato. In successivi riutilizzi, dovendo rieseguire il flussaggio si perde il P, che quindi deve essere
introdotto di nuovo.
Acciai per ruote dentate
1-Inclusioni non metalliche e il loro effetto negli acciai per ruote dentate (8P)
Una particolare attenzione merita la questione della pulizia dell'acciaio, cioè della sua popolazione
inclusionale. Considerando metallografie senza attacco chimico e osservando ad un ingrandimento di
100X, si vede un'area della superficie pari a 0,5 mm2. Siccome le inclusioni possono essere allungate
(caso dei solfuri) oppure possono manifestarsi come gruppi allineati, la direzione di deformazione del
semilavorato (per esempio la direzione di laminazione) è importante, quindi il piano metallografico
la deve contenere. Le norme classificano le inclusioni nelle seguenti 4 categorie: A-solfuri, B-ossidi
tipo allumina, C-silicati, D-ossidi globulari. I tipi A e C sono abbastanza simili, quindi è richiesta
un'analisi metallografica più attenta, che le distingua dal colore, che è grigio chiaro per i solfuri, men-
tre è nero per i silicati. La norma prevede anche il gruppo DS, che descrive gli ossidi globulari sin-
goli particolarmente grandi, con diametro maggiore di 13 μm.

2-temprabilità degli acciai da bonifica (10P)


La temprabilità degli acciai descrive essenzialmente la capacità del metallo di trasformarsi in marten-
site a distanze via via crescenti dalla superficie temprata, Come si vede dalla figura, all’aumentare
delle percentuali di C e degli elementi leganti aumenta la temprabilità perché aumenta il diametro cri-
tico ideale di tempra Dci, il quale corrisponde al diametro della barra cilindrica che prende tempra
fino a cuore, cioè costituita a cuore da almeno il 50% di martensite con una tempra ideale, che è
quella capace di portare istantaneamente la superficie della barra alla temperatura del bagno di spe-
gnimento e di mantenerla per tutta la durata del trattamento. Importante notare che il diametro critico
ideale dipende dalla composizione chimica dell’acciaio e dal diametro del grano austenitico che si
raggiunge durante l’austenizzazione. L’aumento del diametro critico ideale si traduce nel fatto che le
curve CCT si spostano progressivamente vero destra, ciò significa che le trasformazioni avvengono
dopo tempi d’incubazione più lunghi; questo permette di ottenere martensite con raffreddamenti più
lenti o con curve di raffreddamento più prolungate.
Tenere presente che il diametro critico ideale di tempra si ottiene mediante la seguente relazione:
𝐷𝑐𝑖 = 𝐷𝑐 ∗ 𝑓𝑀𝑜 ∗ 𝑓𝑀𝑛 ∗ 𝑓𝐶𝑟 ∗ 𝑓𝑁𝑖 ∗ 𝑓𝑆𝑖
Con Dc che indica il diametro ideale di tempra per un acciaio privo di elementi leganti, in sostanza
una lega binaria Fe-C; f indica il fattore moltiplicativo del diametro critico ideale che tiene conto
della temprabilità conferita dagli elementi leganti nell’ordine di efficacia Mo, Mn, Cr, Ni, Si. Notare
che nel grafico a sinistra è presente un valore “dimensione del grano ASTM” che si indica con N, i
quale viene ottenuto arrotondando all’intero più vicino il valore ottenuto dalla seguente relazione:
n=2N-1 dove n è il numero di grani di austenite al pollice quadrato visti con un microscopio ad un in-
grandimento di 100X.
3-pallinatura negli acciai per ruote dentate (8P)
Gli acciai per ruote dentate devono avere delle ottime prestazioni meccaniche, quindi basta scegliere
un acciaio molto temprabile e bonificarlo a valori elevati di tenacità, così esso presenta un discreto
comportamento a fatica. L'incrudimento va pari passo con la durezza, crea un forte ostacolo al
movimento delle dislocazioni e di conseguenza aumenta la resistenza a fatica. Tecnologicamente ciò
si attua applicando un trattamento di pallinatura. Un tipico profilo di tensioni residue ottenuto
mediante pallinatura vale per l'acciaio 42CrMo4 bonificato con rinvenimento a 600°C per 1 h. Il
vantaggio sulla resistenza a fatica è notevole. Per incrementare ulteriormente il vantaggio, si studia
quello che accadrebbe se la ruota dentata venisse sollecitata molto intensamente a flessione al punto
che gli stress in superficie non scenderebbero al di sotto della resistenza a fatica a lungo termine (il
supposto limite di fatica). In sostanza, ci si trova nel ramo discendente della curva di Wöhler, dove si
è soliti applicare la legge di Basquin. A rapporto di carico nullo, cioè la tipica situazione
della flessione rotante: σa=semiampiezza dell'onda di stress; Nf =numero di volte in cui l'onda di
stress passa per lo zero, comporta che 2Nf è il numero di cicli; σ'f =costante sperimentale ottenuta con
regressione sulle coppie sperimentali (σa,Nf); b=esponente sperimentale ottenuta con regressione
sulle coppie sperimentali (σa,Nf).
Ora si può generalizzare la formulazione di Basquin seguendo Morrow, che ha introdotto il valore

medio dell'onda di stress e la tensione residua (che sono entrambe elastiche):


σm=tensione media del ciclo di stress a fatica; σr=tensione residua introdotta con i trattamenti termici
o le lavorazioni meccaniche.
Morrow ha formulato a secondo membro dell'equazione un parametro di danno a fatica, che è
l'opportuna combinazione fra tutte le tensioni, e la costante σ’ f (quest'ultima avente anch'essa le
dimensioni di una tensione). Il parametro di Morrow sostituisce la semiampiezza dello stress nel
confronto con la resistenza a fatica ad un numero di cicli prefissato. In tal modo è possibile ottenere
la mitigazione e lo spostamento del punto pericoloso per la nucleazione di una cricca di fatica, che
prima era sulla superficie, smorzandone la nocività e spostandolo nella zona sub-superficiale. Si deve
comunque concludere che la pallinatura comporta dei rischi. Nel caso degli acciai da bonifica, il
rischio più comune è il peggioramento della rugosità. Infatti, dopo tale trattamento si deve
prescrivere una finitura superficiale.
4-acciai per tempra superficiale e loro condizioni di applicazione per gli
ingranaggi (9P)
Gli acciai per tempra superficiale hanno il compito di raggiungere elevate durezze superficiali,
maggiori o uguali a quelle degli acciai da bonifica, mantenendo però di questi ultimi la resistenza e la
tenacità. Gli acciai da tempra superficiale potrebbero far parte della categoria degli acciai da
bonifica, sia per la loro composizione chimica, sia per il fatto che essi, prima del trattamento
superficiale, vanno bonificati, altrimenti non è possibile ottenere elevata tenacità. La quantità di C
non scende mai sotto lo 0,36%, perché altrimenti non si raggiunge la durezza superficiale che
contraddistingue questi acciai. Negli acciai da tempra superficiale non si adottano quantità di
elementi leganti particolarmente elevati, perché questa volta si vuole una tenacità non così alta. Si
tratta quindi di acciai per ruote dentate che lavorano sia nel caso della fatica a flessione, sia nel caso
della fatica di contatto, sebbene in quest'ultimo caso non si può garantire una durata paragonabile a
quella degli acciai da cementazione. È evidente che la tempra, essendo superficiale, porta al
vantaggio di avere tensioni residue di compressione in superficie. Non è quindi necessario ricorrere a
pallinatura per aumentare la resistenza a fatica. Nelle prescrizioni della normativa per l'acciaio dopo
la fabbricazione delle ruote dentate si vede innanzitutto che l'acciaio deve prima essere bonificato e
poi temprato superficialmente; in seguito tutte le ruote dentate temprate ad induzione devono essere
soggette a rinvenimento in forno. Così da concentrarsi maggiormente su durezza e microstruttura
della superficie.

5-pitting nelle ruote dentate (10P)


Il pitting è il meccanismo di danneggiamento e messa fuori servizio che più spesso si verifica nelle
ruote dentate. -richiede alti stress hertziani; -avviene in componenti che devono sostenere un
altissimo numero di cicli di lavoro, tipicamente superiore al miliardo; -è un fenomeno di fatica che fa
nucleare una cricca in superficie o poco sotto; -ha una morfologia caratteristica, dove la cricca
propaga per un po' al di sotto della superficie e parallelamente ad essa, poi si ramifica e torna in
superficie; -la formazione di un pit visibile avviene quando si stacca un pezzo di materiale dalla
superficie; -se diversi pit si uniscono per formarne uno grosso, si parla spesso di spalling.
Quando si verifica il rotolamento con strisciamento fra due superfici, si assiste allo spostamento del
massimo dello sforzo di taglio nel contatto con attrito fra due ruote dentate, cha da sottocorticale
(rotolamento puro) si avvicina alla superficie, fino ad affiorare quando un attrito intenso genera sforzi
di sfregamento elevati. Nelle sottostanti figure s'illustra il fenomeno schematicamente.

In ascisse vi è la distanza dalla superficie, in ordinate lo sforzo di taglio. Le tre curve sono
parametrate da differenti coefficienti di attrito. Più questo cresce, più il picco dello stress e di taglio si
sposta verso la superficie. Gli inneschi del pitting sono sub-superficiali se vi sono difetti localizzati,
tipicamente inclusioni, mentre le condizioni di lavoro che si riscontrano sono normali e cioè: -alta
velocità di rotazione; -ottima finitura superficiale; -adeguata lubrificazione.
Può capitare che il picco di stress di taglio si sposta gradualmente verso la superficie; in tal caso le
cause più comuni sono: -spessore del film di lubrificante insufficiente; - contatto metallo-metallo
esageratamente intenso (in questo caso si hanno interazioni fra le asperità delle superfici antagoniste
e contatti con difetti).
Inoltre, il pitting può essere causato da alterazioni nel lubrificante: -contaminazione con H2O, con
conseguente corrosione; -contaminazione con particelle abrasive, con susseguenti indentazioni e
solchi sulla superficie.
Esistono differenti tipologie di contromisure per ovviare al fenomeno del pitting. Si possono
abbassare gli stress di contatto, di solito variando i parametri geometrici delle ruote dentate. Oppure,
si può scegliere un materiale ed un trattamento termico adatto per avere un dente resistente con una
superficie dura; di solito, ma non sempre, si scelgono acciai da cementazione, perché sono quelli più
adatti e presentano le seguenti caratteristiche: -una superficie molto dura; -tensioni superficiali
residue di compressione; -costi di produzione elevati; -dopo trattamento termico necessitano di
finitura superficiale mediante rettifica o lappatura.
Un’altra contromisura può essere la scelta di un lubrificante tale da dare origine ad un film spesso e
viscoso, che deve essere: molto viscoso; pulito, cioè non contaminato da particelle o sostanze
estranee; deve poter lavorare freddo, altrimenti perde viscosità; -deve essere secco, cioè deve essere
privo di acqua.
Micropitting: È tipico di acciai con grande durezza superficiale, come acciai cementati o nitrurati, e
si manifesta con pit aventi profondità dell'ordine di 10 μm. È il contrario di quel che accade negli
acciai da bonifica, che sono relativamente teneri e tenaci, e in cui le cricche devono propagare molto
prima che dalla superficie si stacchi un frammento, che risulta in quel caso con dimensioni
dell'ordine del mm. Negli acciai da bonifica non si verifica quindi il micropitting. Invece negli acciai
trattati superficialmente, la durezza superficiale è molto alta, mentre è assai bassa la tenacità, si
staccano subito frammenti molto più piccoli. Alcune note caratteristiche del micropitting sono: -
aspetto da superficie brinata (frosting); -talvolta non risulta distruttivo, quando viene gradualmente
eliminato durante il running-in perchè si verifica una specie di lucidatura; -si forma facilmente se lo
spessore del film lubrificante è troppo piccolo; -è favorito da superfici rugose; -è contrastato da
levigatura o lucidatura superficiale; -è facilitato da basse velocità di rotazione, perché in quelle
condizioni diminuisce lo spessore del film lubrificante.
Le contromisure da prendere per evitare la formazione di micropitting sono le stesse di quelle
adottate nel caso del pitting normale.

6-Variazione di volume per le trasformazioni di fase nel sistema Fe-C (10P)


Le transizioni di fase implicano quasi sempre una variazione di densità che non porta mai a
deformazioni libere e che quindi si traducono in tensioni residue. Nel caso del sistema Fe-C la
situazione è accentuata dalla presenza di C, che può aggravare o attenuare le differenze di densità fra
le fasi. Durante la tempra si nota che la formazione di martensite porterà ad un aumento di volume
rispetto alla sola austenite. D'altro canto, a seconda dell'acciaio e della sua composizione chimica, un
po' di austenite residua dopo tempra sarà presente. Il suo effetto immediato è quello di moderare
l'aumento di volume del pezzo dovuto alla trasformazione. Tenendo conto della densità delle fasi si
nota una prima stima di valutazione (ottimistica) delle variazioni dimensionali, perché queste sono
state supposte isotrope. Ciò in pratica
difficilmente accade, principalmente per due
fattori: -la microstruttura e la natura delle fasi
fanno sì che la dilatazione termica durante i
riscaldamenti e i raffreddamenti sia essa stessa
anisotropa, cioè ha delle direzioni dove è più
intensa, altre dove è più attenuata; -le
trasformazioni di fase, e soprattutto quella
martensitica, sono sensibili alla distribuzione di
temperatura nei componenti quando questa varia,
sicché le trasformazioni iniziano in certe zone
prima di altre, inducendo distorsioni di forma che
non si recuperano al completamento del
trattamento termico. Le variazioni di volume più
vistose si hanno nella trasformazione martensitica,
ma non sono le uniche. Si può osservare che: -le
trasformazioni al raffreddamento dell'austenite
comportano sempre degli aumenti di volume, e la
loro entità diminuisce all'aumentare della
percentuale di C; -durante il rinvenimento la trasformazione della martensite porta sempre a una
diminuzione del volume del componente; -durante il rinvenimento la trasformazione dell'austenite
residua in bainite, o in martensite, se si svolgono invece trattamenti sotto zero, avviene sempre con
aumento di volume; -il rinvenimento della martensite a temperature sufficientemente alte da entrare
nel terzo stadio tra 550 e 650°C, porta sempre ad una contrazione finale di volume rispetto alla
martensite di partenza; -per gli acciai suscettibili di durezza secondaria, il verificarsi del quinto stadio
del rinvenimento comporta la formazione di carburi complessi meno densi della cementite, di
conseguenza il componente aumenta leggermente di volume rispetto allo stato di microstruttura
costituita da sola ferrite e cementite.

7-confronto fra cementazione e nitrurazione: vantaggi e svantaggi di ciascun


trattamento (9P)
Entrambi i trattamenti portano alla formazione sull'acciaio di strati superficiali induriti, tuttavia si
differenziano per le modalità di esecuzione ed i risultati ottenuti. Nella Figura è riportato un
confronto fra i due trattamenti. Fra i vantaggi che la nitrurazione ha rispetto alla cementazione si
riporta: -una maggiore durezza superficiale, perché si passa da circa 700 HV fino a 1200 HV per gli
acciai che contengono Al; -la durezza si
mantiene inalterata per tempi di esercizio molto
lunghi fino quasi alla temperatura di
nitrurazione, cioè le ruote dentate nitrurate
possono lavorare fino a temperature dell'ordine
di 500°C; viceversa, per i pezzi cementati la
durezza comincia a scendere sensibilmente al di
sopra della temperatura di distensione, quindi
ruote dentate cementate non possono lavorare al
di sopra di 180°C; -il trattamento di bonifica
dell'acciaio può essere svolto prima della
fabbricazione della ruota dentata attraverso una
lavorazione meccanica; la nitrurazione svolta
dopo la fabbricazione è condotta a temperature dell'ordine di 500°C, quindi non vi sono deformazioni
dovute a trasformazioni di fase durante il successivo raffreddamento, mentre le deformazioni
termiche sono di entità contenuta visto il salto termico non eccessivo e le velocità di raffreddamento
moderate in quanto non è necessario temprare; di conseguenza le ruote dentate nitrurate necessitano
al massimo di una rettifica molto leggera o una lappatura, al contrario delle pesanti rettifiche
necessarie dopo cementazione e tempra; -al di sotto dello strato nitrurato, e magari fino a cuore,
l'acciaio bonificato è costituito da martensite rinvenuta, quindi presenta la migliore combinazione di
resistenza-tenacità possibile in un acciaio. La nitrurazione presenta tuttavia degli inconvenienti, e
quindi in alcuni casi si preferisce la cementazione: -uno strato indurito molto più sottile, che può non
essere sufficiente alle condizioni di esercizio di fatica di contatto; -i tempi del trattamento
termochimico sono un ordine di grandezza più lunghi rispetto alla cementazione (tipicamente di 4 h
per quest'ultima, di 50 h per la nitrurazione), e di conseguenza il processo risulta assai più costoso; -il
costo degli acciai è sempre elevato, poiché si tratta sempre di metalli che contengono quantità
abbondanti di elementi leganti costosi (soprattutto Mo, Ni e V).

8-resistenza alla fatica di contatto e pitting di ruote dentate: criteri di scelta


degli acciai (11P)
La massima tensione equivalente derivane dalla pressione di contatto dei denti sul loro fianco deve
essere minore o uguale alla tensione ammissibile σHP: σH <= σHP
A sua volta, la tensione ammissibile σHP è funzione dei seguenti parametri:
- σHlim che indica la resistenza a fatica per contatto del materiale per durata a lungo termine
che, per le 4 famiglie principali di acciaio, vale al di sopra dei 5107 cicli di carico); la norma
ISO assume di avere probabilità di danno per pitting non superiore all'1%;
- SHmin che indica il fattore di sicurezza minimo nelle condizioni di contatto superficiale (repe-
ribile nella normativa);
- YH che indica il fattore della geometria delle ruote dentate, dalla loro finitura superficiale, del
loro accoppiamento e delle condizioni di esercizio (dettagliato nella normativa);
σHP = σHlim * YH /SHmin
La norma UNI 8862 correla in modo semplicistico la resistenza a fatica alla durezza mediante delle
correlazioni lineari. Le durezze sono espresse sia in scala Rockwell, sia in quella Vickers, che rimane
sempre preferibile ed è quindi quella di riferimento.
Per quanto riguarda il pitting, esso è il meccanismo di danneggiamento più comune ed avviene in
componenti che devono sostenere un altissimo numero di cicli di lavoro, come per l’appunto le ruote
dentate; è un fenomeno di fatica che fa nucleare una cricca superficiale, quest’ultima si propaga per
un po’ al di sotto della superficie per poi ramificarsi e tornare in superficie. Il pit diventa visibile
quando si stacca un pezzo di materiale dallo strato superficiale. Per evitare o quanto meno limitare
questo fenomeno, vi sono delle contromisure che si possono adottare:
- Abbassare gli stress di contatto, di solito variando i parametri geometrici delle ruote dentate.7
- Scegliere un materiale ed un trattamento termico adatti per avere un dente resistente con una
superficie dura; di solito la scelta ricade su acciai da cementazione poiché sono quelli che si
prestano meglio avendo una superficie molto dura.
- Scegliere un lubrificante tale da dare origine ad un film spesso e viscoso, che possa lavorare a
freddo in modo da non perdere viscosità e soprattutto che sia secco, ovvero privo di acqua.

9-resistenza alla fatica a flessione di ruote dentate: criteri di scelta degli acciai
e sensibilità all’intaglio (11P)
La massima tensione equivalente a flessione nel lungo più sollecitato (il piede del dente) σF deve es-
sere minore o uguale alla tensione ammissibile σFP: σF <= σFP
A sua volta, la tensione ammissibile σFP è funzione dei seguenti parametri:
- σFlim che indica la resistenza a fatica a flessione rotante del materiale;
- SFmin che indica il fattore di sicurezza minimo alla flessione (reperibile nella normativa);
- YF che indica il fattore della geometria delle ruote dentate e delle condizioni di esercizio (det-
tagliato nella normativa);
- yNT che indica il fattore di durata del materiale, il quale indica come si abbassa la resistenza a
fatica con il numero di cicli di sollecitazione fino a 3x106 cicli, oltre i quali yNT è unitario;
- yẟrelT che indica il fattore relativo all’intaglio, il quale dipende dalla sensibilità all’intaglio a
fatica del materiale.
σFP = σFlim * YF * yNT * yẟrelT / SFmin
La norma UNI 8862 correla in modo semplicistico la resistenza a fatica alla durezza mediante delle
correlazioni lineari. Le durezze sono espresse sia in scala Rockwell, sia in quella Vickers, che rimane
sempre preferibile ed è quindi quella di riferimento.
I parametri σFlim, yNT e yẟrelT, che rappresentano le caratteristiche dei materiali e quindi devono essere
utilizzati nella scelta degli acciai opportuni, si trovano tabellati nelle normative, sia pure con parec-
chia approssimazione.
Notare inoltre che il fattore relativo all’intaglio dipende da ulteriori due parametri:

Dove qs indica il fattore geometrico del dente tabellato dalle norme, mentre ρ’ indica la sensibilità del
materiale all’intaglio quando sollecitato a fatica, tabellato anch’esso nelle norme.
Si può avere una visione più approfondita e più precisa del comportamento dei materiali prendendo
in considerazione la loro microstruttura; in particolare, trattando di sensibilità all’intaglio, sarebbe
bene considerare le discontinuità microstrutturali caratteristiche, in quanto esse fungono da intaglio
interno e, considerando anche la durezza, all’aumentare della quale la matrice aumenta la sua sensibi-
lità all’intaglio, si può avere una visione più precisa della sensibilità all’intaglio delle leghe ferrose.
Nella figura seguente, che mette in relazione la sensibilità all’intaglio in funzione delle dimensioni
dell’intaglio stesso, dove le curve sono parametrate dalla durezza, è possibile notare ciò che abbiamo
detto poc’anzi, ovvero che all’aumentare della durezza, la sensibilità all’intaglio cresce.
10-applicazione degli acciai da bonifica nelle ruote dentate: condizioni di la-
voro degli ingranaggi e tipi di acciaio (composizione e trattamento termico)
(10P)
Gli acciai da bonifica per ruote dentate devono avere le seguenti proprietà: -limite elastico medio-alto
(dell'ordine di 600-1200 MPa); -elevata resistenza a fatica per flessione; -alta tenacità e resistenza
agli urti.
Tali caratteristiche si ottengono sottoponendo l'acciaio a bonifica, dove il rinvenimento è solitamente
condotto a 600°C per 1-2 h. Si può giocare sulla temperatura di rinvenimento per modulare le pro-
prietà: si può rinvenire a 550°C se si vuol alzare il limite elastico e la resistenza a fatica, ammettendo
un abbassamento della tenacità e resistenza agli urti (fragilità da rinvenimento); viceversa, se sono
queste ultime le caratteristiche che si vogliono innalzare, si condurrà il rinvenimento a 650°C, sacrifi-
cando un poco il limite elastico e la resistenza a fatica. La composizione degli elementi presenti in un
acciaio è la seguente: -%C=0.3÷0.6, ha la funzione di conferire durezza alla martensite, per contro
riduce la tenacità dell'acciaio; -%Si≈0.3, è fisiologico, normalmente deriva dalle pratiche di disossi-
dazione (calmaggio) del metallo dopo l'affinazione; -%Mn≈0.4, è fisiologico e viene dal minerale
o è introdotto durante la disossidazione; nella maggior parte dei casi la %Mn=0.4÷0.8, anche se si
può arrivare fino ad un massimo del 2%; viene introdotto oltre lo 0.4% quando si vuole sfruttare la
sua capacità di aumentare la temprabilità dell'acciaio a costi bassi; -%Cr massimo 3, favorisce la tem-
prabilità dell'acciaio e tende a limitare il decadimento delle caratteristiche resistenziali durante il rin-
venimento perché ne rallenta l'accrescimento e la coalescenza durante la sua permanenza a 600°C; il
Cr conferisce anche un aumento della resistenza alla corrosione; negli acciai da bonifica legati è
quasi sempre presente; -%Ni massimo 4, favorisce la temprabilità e conferisce grande tenacità all'ac-
ciaio; nonostante il suo costo, il suo uso è imperativo nei casi in cui la tenacità sia un fattore fonda-
mentale in esercizio; -%Mo massimo 0,8; favorisce la temprabilità ed è capace di ridurre molto o eli-
minare i fenomeni di fragilità da rinvenimento; -%V massimo 0.2 e non è presente in modo fre-
quente; possiede una capacità di formare carburi tipo VC molto stabili, che resistono alla dissolu-
zione durante l'austenitizzazione, e quindi impediscono l'ingrossamento del grano austenitico; inoltre,
se si conduce l'austenitizzazione in modo completo la sua stessa forte affinità con il C provoca la pre-
cipitazione dei carburi VC durante il rinvenimento, dando luogo a quella che è chiamata durezza se-
condaria.
Vi sono acciai al carbonio, che hanno basse temprabilità, e quindi sono adatti per produrre ruote den-
tate di piccole dimensioni e per le quali la tenacità e la resistenza agli urti non è un fattore fondamen-
tale, che possono quindi raggiungere un'adeguata profondità di tempra con spegnimento general-
mente effettuato in acqua anche senza la presenza di elementi leganti. Gli acciai legati debolmente
hanno un contenuto di elementi leganti dell'ordine del 3%. Essi sono aggiunti per conferire temprabi-
lità, in modo da avere penetrazione della trasformazione martensitica durante la tempra fino a grandi
profondità. È importante anche dare un occhio di riguardo alla percentuale di P ed S, perché, a volte,
nelle tabelle riportate in letteratura non è specificato il loro contenuto in %. Secondo le normative la
%P ammessa, per tutti gli acciai, è 0,035. Invece, per quanto riguarda lo S, che induce la presenza
d'inclusioni non metalliche come solfuri, vi sono 3 grandi tipologie di acciai: -gli acciai da bonifica al
C, ognuno dei quali (ad esempio C40) presenta la variante E (C40E), in cui la percentuale di S è al
massimo 0,035; nella variante R (C40R) la percentuale di S è invece compresa fra 0,02 e 0,04;
-gli acciai da bonifica legati, ognuno dei quali (ad esempio 41Cr4) presenta la variante senza ag-
giunte di lettere, in cui la percentuale di S è al massimo 0,035; nella variante S (41CrS4) la percen-
tuale di S è invece compresa fra 0,02 e 0,04; -gli acciai (un po' più) legati 50CrMo4, 36CrNiMo4,
34CrNiMo6, 30CrNiMo6, 36NiCrMo16 e 51CrV4 per i quali entrambe le percentuali di S e P sono
al massimo 0,035.

11-tensioni residue conseguenti alla tempra di un acciaio al C (per esempio


C40) (12P)
Poiché i denti delle ruote dentate lavorano a fatica, specificamente a flessione, se sono scelti acciai da
bonifica, determinante è lo stato di tensione residua superficiale. Alle tensioni generate dai carichi
esterni, si sommano le tensioni residue che, quindi, giocano un ruolo molto importante. Sarebbe desi-
derabile che esse fossero di compressione, almeno in superficie (in modo da aumentare la vita a fa-
tica). Possiamo affermare che nel caso degli acciai al solo C la temprabilità è bassa, quindi se la ruota
dentata non è troppo piccola, la trasformazione martensitica interesserà solo o soprattutto lo strato
corticale del componente; ne segue, dopo tempra, uno strato di tensione residua di compressione in
superficie e nella zona corticale, di trazione nel nucleo del componente. Dunque per un C40 (acciaio
al solo carbonio), si hanno delle tensioni di compressione in superficie, spostandoci verso il cuore del
componente le tensioni diventano di trazione. Per spiegare bene il fenomeno consideriamo un cilin-
dro di acciaio con le seguenti caratteristiche: -il metallo non prende tempra fino a cuore, cioè alla fine
del trattamento non sarà interamente martensitico; -il limite elastico dell'acciaio varia con la tempera-
tura, sicché saranno possibili deformazioni plastiche che possono accomodare le diverse deforma-
zioni di zona corticale e nucleo; -in un primo tempo non si prendono in considerazione le deforma-
zioni e le tensioni residue che derivano dal raffreddamento.
In tal caso la curva di raffreddamento dello strato corticale incontrerebbe solo Ms (e poi forse Mf),
mentre la curva di raffreddamento del nucleo incontrerebbe prima le curve di formazione della fer-
rite proeutettoidica e magari poi quella della perlite. Incrocerebbe poi magari anche le curve di for-
mazione della bainite e della martensite, però quando ormai tutta l'austenite è trasformata in ferrite e
perlite. Quindi non si avrebbe trasformazione martensitica nel nucleo. Inizialmente si formerebbe
martensite corticale, che verrebbe messa in un moderato stato di compressione dall'austenite del nu-
cleo. Successivamente, la sua trasformazione in ferrite e perlite avverrebbe a temperature molto più
alte di Ms, quindi il limite elastico di quelle fasi sarebbe ancora modesto. Nel successivo raffredda-
mento le fasi del nucleo dovrebbero contrarsi. Tuttavia, anche il nucleo ormai è a temperatura abba-
stanza bassa e quindi non si supera il suo limite elastico. Non sono più possibili deformazioni plasti-
che, perciò le deformazioni elastiche necessarie a mantenere continuità e congruenza delle deforma-
zioni fra nucleo e strato corticale contrastano la contrazione del primo, mentre schiacciano la mar-
tensite del secondo. Ne seguono tensioni residue di trazione nel nucleo, di compressione nello strato
corticale.
Anche se il C40 è un acciaio poco temprabile (perché la percentuale di C è discreta, e non contiene
elementi in lega), in alcuni casi si può raggiungere la tempra fino a cuore a condizione che il compo-
nente sia di piccole dimensioni (ingranaggi di piccole dimensioni) e che il mezzo temprante sia dra-
stico (salamoie ghiacciate, azoto liquido); ne segue, in questo caso, uno strato di tensione residua di
trazione in superficie, di compressione nel nucleo del componente. Può succedere che dopo tempra
si possano formare delle cricche. È bene che questo non succeda perché così si va a ridurre la vita
utile del componente sia staticamente che a fatica. Si deve notare che per aumentare la vita del mate-
riale, le tensioni residue di compressione devono prevalere sulle tensioni residue di trazione. Dopo
tempra si effettua il rinvenimento che attenua o annulla lo stato di tensioni residue, a seconda della
temperatura a cui viene effettuato e il tempo di durata del riscaldamento; nel contempo decrescono
durezza e caratteristiche tensili dell'acciaio, mentre aumentano, al di sopra di 550°C, la resilienza e la
tenacità a frattura. Un’eventuale rinvenimento effettuato per recuperare resistenza agli urti attenue-
rebbe o annullerebbe il benefico effetto delle tensioni residue superficiali di compressione, cosa che
può verificarsi nel C40 (in quanto le tensioni in superficie sono di compressione, diminuendo la sua
vita utile).

12-tensioni residue conseguenti alla tempra di un acciaio legato (per esempio


36NiCrMo16) (12P)
Poiché i denti delle ruote dentate lavorano a fatica, specificamente a flessione se sono scelti acciai da
bonifica, determinante è lo stato di tensione residua superficiale. Alle tensioni generate dai carichi
esterni, si sommano le tensioni residue che, quindi, giocano un ruolo molto importante. Sarebbe desi-
derabile che esse fossero di compressione, almeno in superficie (in modo da aumentare la vita a fa-
tica). Dunque nel caso di un acciaio legato (ovvero l’esempio di 36NiCrMo16) possiamo affermare
che la temprabilità è alta, quindi ci sarà penetrazione in profondità dello strato martensitico, eventual-
mente anche fino a cuore; ne seguirà uno stato di tensione residua di trazione in superficie, di com-
pressione a cuore. S'immagina che immediatamente dopo tempra lo strato corticale sia freddo e si sia
trasformato interamente in martensite, mentre il nucleo è ancora caldo, la sua curva di raffredda-
mento non ha ancora incontrato una curva di trasformazione nel diagramma che descrive le curve
CCT e perciò esso è ancora interamente costituito da austenite. Ma la martensite corticale vuole
espandersi, forzando l'austenite che, ancora calda, non ne ha alcuna necessità. Però, siccome l'auste-
nite si troverà poco sotto A3, il suo limite elastico sarà basso, quindi accomoderà l'espansione della
martensite corticale allungandosi plasticamente. L'austenite si sarà un po' allungata, ma non fino a
rilassare totalmente la martensite corticale, cioè il suo limite elastico, pur basso, non è nullo. Quindi a
questo punto la martensite corticale si trova in uno stato di tensione residua di compressione, ma non
così accentuato, visto che qualche deformazione plastica l'austenite l'ha concessa. Per l'equilibrio,
quest'ultima si troverà in uno stato di tensione residua di trazione, ma di moderata entità. Successiva-
mente, la curva di raffreddamento del nucleo attraverserà prima M s e poi Mf, e così l'austenite si sarà
totalmente trasformata in martensite. La martensite corticale è fredda e il suo limite elastico è molto
alto, perciò il nucleo cerca di espandersi e ne sarà impedito dal vincolo corticale, che si proverà come
forte tensione residua di compressione. D'altro canto, la martensite corticale sarà allungata solo ela-
sticamente dall'espansione del nucleo, quindi proverà un forte stato di tensione residua di trazione.
Questo è lo stato di stress residuo che si riscontra in componenti di acciaio che prendono tempra fino
a cuore, sempre trascurando gli stress termici. Può succedere che dopo tempra si possano formare
delle cricche. È bene che questo non succeda perché così si va a ridurre la vita utile del componente
sia staticamente che a fatica. Si deve notare che per aumentare la vita del materiale, le tensioni resi-
due di compressioni devono prevalere sulle tensioni residue di trazione. Dopo tempra si effettua il
rinvenimento che attenua o annulla lo stato di tensioni residue, a seconda della temperatura a cui
viene effettuato e il tempo di durata del riscaldamento; nel contempo decrescono durezza e caratteri-
stiche tensili dell'acciaio, mentre aumentano, al di sopra di 550°C, la resilienza e la tenacità a frattura.
Quindi il rinvenimento conferisce le caratteristiche meccaniche desiderate all'acciaio, e nel contempo
altera le tensioni residue superficiali. Se queste sono di compressione sono favorevoli alla resistenza
a fatica a flessione. Nel caso di un acciaio molto temprabile (quindi per esempio 36NiCrMo16), il
rinvenimento, oltre a permettere di recuperare tenacità, abbasserebbe le tensioni residue di trazione in
superficie, fin quasi ad annullarle, se il rinvenimento è condotto a 600-650°C. Quindi nel caso di un
36NiCrMo16 si recupererebbe resistenza a fatica perché si sono eliminate le tensioni residue di tra-
zione, e nel contempo si sono conservate quelle di compressione a cuore; però si perderebbe un po' di
resistenza a fatica a causa dell'abbassamento di durezza dovuto all'elevata temperatura.

13-Acciai da cementazione: effetti del C e degli elementi leganti (12P)


Le ruote dentate cementate sono quelle che lavorano con: -stress di contatto molto elevati; -vita quasi
infinita, cioè numero di cicli di lavoro molto alto (superiore a 10 milioni).In tali condizioni il metallo
è soggetto a fatica di contatto, quindi si deve vincere la resistenza a fatica, garantendo un materiale
con grande durezza superficiale.
Effetto della percentuale di C: La durezza in superficie dipende quasi solo dalla percentuale di C ed è
dettata dalla resistenza al pitting richiesta dal progetto. L’intervallo di composizione del C in superfi-
cie è quello compreso fra 0,8 e 1%. Le ragioni sono le seguenti: -aumentare il tenore di C significa
aumentare la durezza superficiale e quindi la resistenza a fatica di contatto; -se C>1% si ottiene uno
strato cementato troppo fragile e vi è probabilità di scheggiatura della punta dei denti, a seguito di un
reticolo di carburi al bordo del grano dell’austenite, con elementi quali Cr e Mo; -se C>1%, dopo
tempra è probabile che rimanga un'eccessiva quantità di austenite residua, γ >20%, diminuisce troppo
la durezza e quindi la resistenza a fatica; -una percentuale γ10-15% è considerata l'optimum, perchè
durante l'esercizio si trasforma in martensite e contrasta il decadimento della durezza che si verifica a
lungo termine; -con un'eccessiva quantità di austenite residua, γ >20%, la sua trasformazione sotto
stress in esercizio può causare inaccettabili variazioni dimensionali dei denti a causa dell'aumento di
volume durante la trasformazione da austenite a martensite. Un modo per ridurre la percentuale di au-
stenite residua a valori accettabili è lo svolgimento di trattamenti sotto zero (da -75 a -100°C), da fare
subito dopo la prima tempra e prima della distensione di 2 h (fra i 125 e i 180°C). Per quanto ri-
guarda il cuore, la percentuale di C è necessariamente bassa, di solito fra 0,1 e 0.2%. Ci vuole infatti
un cuore tenace per sostenere una superficie cementata così dura, altrimenti i denti si romperebbero
facilmente in modo fragile per urti anche di bassa energia. Ne consegue tuttavia che la resistenza del
cuore non sia alta, anzi talvolta è insufficiente in applicazioni dove i denti sono soggetti a notevoli
sforzi di flessione. In tal caso sarebbe opportuno scegliere, fra la gamma degli acciai possibili, quelli
con maggiore percentuale di C e soprattutto contenenti elementi leganti. Di conseguenza la scelta de-
gli acciai al solo C ricade sul caso di ruote dentate di piccole dimensioni e dove non vi sia pericolo di
urti.
Effetto degli elementi leganti: Come detto sopra, la durezza a cuore è dettata, oltre che dalla percen-
tuale di C, dalla quantità di elementi leganti, necessari se si vuole aumentare la profondità di tempra
per conseguire aumenti di tenacità e resistenza a flessione. Questi elementi conferiscono soprattutto
temprabilità: permettono quindi di ottenere strutture aciculari (se non martensite almeno bainite)
nelle parti subcorticali, fino ad arrivare, se possibile, a cuore. Gli elementi leganti utilizzati negli ac-
ciai da cementazione sono ad esempio: -Mn, che intorno allo 0,4, è fisiologico, può essere aumentato
fino al 2% per aumentare la temprabilità dell'acciaio a costi bassi; -per le stesse ragioni, e fino al 2%,
viene introdotto il Cr; è più costoso ma forma carburi che aumentano la resistenza all'usura abrasiva;
-anche il Mo, introdotto fino ad un massimo di 0,5%, favorisce temprabilità e forma carburi che au-
mentano la resistenza all'usura abrasiva; il suo uso è limitato a basse percentuali perché è costoso; -
Ni, presente fino ad un massimo del 5%, favorisce temprabilità e conferisce grande tenacità all'ac-
ciaio; nonostante il suo costo, il suo uso è necessario nei casi in cui la tenacità sia un fattore fonda-
mentale in esercizio.

14-acciai da nitrurazione per ruote dentate: condizioni di utilizzo e tipi di ac-


ciai (composizione chimica e trattamenti) (12P)
La nitrurazione è un trattamento termochimico superficiale che introduce N nello strato superficiale
dell'acciaio a temperature normalmente comprese fra 500 e 550°C, quando si è in presenza di fase
ferritica. Si mette l'acciaio in un'atmosfera contenente ammoniaca parzialmente dissociata. Il Fe cata-
lizza la dissociazione dell'NH3 e l'azoto elementare che se ne sprigiona passa in soluzione solida nel
reticolo metallico: NH3→3/2 H2 + N (in Feα)
Così la nitrurazione è simile alla cementazione, perché la composizione chimica della superficie
dell'acciaio viene alterata, ma l'azoto entra nella ferrite anziché nell'austenite. Siccome non si entra in
campo austenitico, per ottenere la durezza non è necessario temprare per ottenere martensite. Perciò
la nitrurazione comporta distorsioni minime e quindi permette un controllo dimensionale ottimo.
Tuttavia, la nitrurazione è un processo più costoso della cementazione in quanto la diffusione di N
all'interno della ferrite è lento; si ottengono strati spessi 0,1-0,2 mm con 50 h di trattamento. Gli ac-
ciai da nitrurazione si usano quando si vuole ottenere: -strato superficiale duro anche a temperature
elevate quasi fino a quella del trattamento di nitrurazione; -grande resistenza all'usura; -grande resi-
stenza allo scuffing; -ottima resistenza a fatica; -un po' di resistenza alla corrosione; -ottima stabilità
dimensionale.
Composizione chimica degli acciai: Esaminando il diagramma delle fasi Fe-N, riportato nella Figura,
si vede a che a temperatura ambiente sono possibili 3 fasi, a seconda della percentuale di N presente:
a basse percentuali vi è ferrite α, che alla temperatura eutettoidica di 592°C può accogliere fino a
0,1% di N; però α è una soluzione solida, quindi non è particolarmente dura, perciò non è interes-
sante come fase nitrurata. Cosa simile vale per tenori di N nettamente più elevati, cioè il 6%, dove si
forma la soluzione solida , che è talvolta utilizzata per la sua buona resistenza alla corrosione, ma
non è sufficientemente dura per applicazioni dove è richiesta elevata resistenza a fatica di contatto e
ad usura. L'interesse si concentra sulla fase γ', che è un composto semimetallico, di composizione ste-
chiometrica Fe4N. Tale fase ha le caratteristiche richieste per le applicazioni delle ruote dentate.
Per aumentare la durezza della superficie bisogna vedere le fasi che gli elementi leganti dell'acciaio
possono fare con l'azoto, tra i quali si prende: Cr, Mo, V, Ti e Al. Gli acciai da nitrurazione hanno
generalmente un tenore di carbonio medio (quindi sono temprati e rinvenuti) e soprattutto conten-
gono elementi, come Al, Mo, V e Cr, che favoriscono la formazione di nitruri molto duri oltre al ni-
truro di ferro γ'-Fe4N, su cui si basa l'indurimento di base. Si raggiungono comunemente i 900 HV di
durezza. L'elemento più efficace è l'Al, introdotto in percentuali dell'ordine dell'1%. Nella ferrite
viene a formarsi il nitruro AlN, di per sé con elevatissima durezza, quindi capace di far salire quella
dell'acciaio fino a 1200 HV. D'altro canto, è necessario tenere conto che, soprattutto Al e Cr, for-
mando nitruri, finiscono per ostacolare la diffusione dell'azoto. Lo strato nitrurato risulterà così più
sottile di quello ottenibile con la cementazione. Conducendo la nitrurazione a temperature dell'ordine
di 500°C o poco superiori, si ottengono strati nitrurati con uno spessore dell'ordine di 2 decimi di mil-
limetro e con tempi di processo molto lunghi, tipicamente di 50 h. Spingendo molto la nitrurazione
viene a formarsi anche la fase , che è una soluzione solida di N in Fe. È vero che migliora la resi-
stenza alla corrosione, ma non ha grande durezza, quindi non viene usata nelle ruote dentate.
Gli acciai da nitrurazione vengono prima bonificati, e poi nitrurati in un intervallo di temperatura in
cui si può avere fragilità da rinvenimento. Questa risulterebbe particolarmente grave perchè il tratta-
mento dura per decine di ore. Per tale ragione, quasi tutti gli acciai da nitrurazione contengono del
Mo come elemento legante. Vi è da notare che il trattamento di rinvenimento è abbastanza classico,
cioè è svolto a 600- 650°C. Quindi la successiva nitrurazione, che è svolta a temperature più basse,
non comporta diminuzioni di durezza.

15-tempra degli acciai da cementazione: varianti del trattamento termico e


conseguenze per quanto riguarda cricche di tempra, tensioni residue, auste-
nite residua e distorsioni (14P)
Dopo cementazione, il tipo di tempra e il mezzo temprante sono scelti per controllare: -velocità di
raffreddamento alta, ma non troppo, per avere tutta martensite in superficie e evitare di avere cricche
di tempra o troppa austenite residua; -si utilizzano soluzioni acquose, tipicamente per acciai al C,
dove lo spessore dello strato indurito deve essere relativamente piccolo; -si utilizzano olio o soluzioni
di polimeri fusi, adottati per temprare acciai legati, che sono molto più temprabili degli acciai al C, e
che quindi possono soffrire di cricche di tempra. Altro problema è quello della scelta del mezzo tem-
prante e della massa del pezzo, quindi: - ruote piccole si temprano più facilmente, anche con mezzi
tempranti non troppo drastici; -ruote dentate grosse manifestano problemi di lento e non uniforme
raffreddamento; -per ruote grandi la scelta di mezzi tempranti drastici può portare a cricche di tem-
pra, al contrario la durezza necessaria potrebbe non essere raggiunta; -in alcuni casi ruote grandi non
sono adatte alla cementazione se sono necessarie grandi profondità di tempra, oltre ad elevata du-
rezza superficiale.
Tempra diretta: Quando è possibile, si estraggono i pezzi dal forno di cementazione e li si spegne su-
bito nel mezzo temprante. Questa viene applicata quando è possibile perché è meno costosa dei trat-
tamenti controllati o a più riprese. Tuttavia, siccome la temperatura di cementazione è 50°C sopra A 3
dell'acciaio di partenza (ossia il cuore), essa risulta dell'ordine di 920°-930°C, eccessivamente alta
come temperatura di tempra rispetto alla superficie, che ha una composizione vicino o poco superiore
all'eutettoide; in effetti, in superficie A3 varia fra 720° e 740°C circa, secondo la composizione. Si
applica quindi la tempra diretta quanto è possibile evitare: -cricche di tempra; -distorsioni eccessive;
-austenite residua eccessiva, con abbassamento della durezza in superficie.
Tempra singola: Per evitare alcuni dei problemi della tempra diretta, si può diminuire lo sbalzo ter-
mico raffreddando in modo controllato fra 920° e 790°C e poi temprare da quest'ultima temperatura.
Bisogna scendere non troppo velocemente la temperatura altrimenti si rischia di abbassarsi al di sotto
di A3 ed avere quindi precipitazione di carburi al bordo di grano, che accentuano la fragilità dello
strato cementato.
Tempra in due tempi: La cosa migliore sarebbe allora raffreddare più o meno lentamente i pezzi al di
sotto di A1, senza scendere inutilmente alla temperatura ambiente, ma accontentarsi della formazione
delle fasi stabili; subito dopo è allora necessario riscaldare sopra A3 della superficie (rigenerando così
austenite a grano fine) e facendo infine lo spegnimento di tempra. Tale procedura comporta due volte
le trasformazioni (anche se diverse) dell'austenite. Comunque, deformazioni o distorsioni se ne gene-
rano ad ogni trasformazione, anche se con la trasformazione martensitica esse sono più pronunciate.
Quest'ultima si trasformerà poi un po' in martensite o bainite durante il rinvenimento, un po' alla tem-
peratura di esercizio, dando il suo contributo post-tempra alla deformazione.
Tempra sotto zero: Per destabilizzare e diminuire definitivamente la percentuale di austenite residua
al di sotto del 20%, a circa il 10%, è talvolta seguita, dopo la prima, una seconda tempra. La prima
tempra è lo spegnimento tradizionale a temperatura poco sopra quella ambiente, la seconda avviene
immergendo subito dopo i pezzi a temperature dell'ordine di -80°C, per essere sicuri di scendere al di
sotto della temperatura di Martensite Finish. A tale scopo si usano bagni di composti organici a bas-
sissimo punto di fusione, come alcoli. In tal modo la percentuale di austenite residua si abbassa, e ne
consegue sia una maggiore stabilità dimensionale della ruota dentata in esercizio sia una maggiore
percentuale di martensite in superficie, che in tal modo risulta più dura e resistente alla fatica di con-
tatto.
Tensioni residue e rinvenimento: La cementazione induce forti tensioni residue di compressione
nello strato cementato dopo tempra, soprattutto perchè la trasformazione martensitica avviene solo in
superficie. Il rinvenimento successivo attenua un po' lo stato di compressione, e ciò avviene in fun-
zione della temperatura e della durata del trattamento. Gli usuali trattamenti di rinvenimento di di-
stensione che si effettuano dopo cementazione sono condotti per lo più nell'intervallo di temperatura
120-180°C e prolungati per 1-2 h. In tali condizioni la decrescita dello stato di compressione superfi-
ciale è assai contenuta. Alla fine il rinvenimento attenua un po' la fragilità e le tensioni residue di
compressione ma, poichè è condotto alle temperature sopra indicate, non comporta una diminuzione
di durezza, se non modesta, o addirittura un suo aumento se parte dell'austenite residua si trasforma
in bainite o martensite. Il rinvenimento viene talvolta eliminato se interessa solo la durezza e la fragi-
lità non è un problema.
Problemi di distorsione: La distorsione è un problema tipico dei trattamenti termici a causa del gioco
delle dilatazioni termiche. Con la cementazione il problema è grave, perché nelle ruote dentate si
hanno dilatazioni di massa, che comportano distorsioni di forma, con eccentricità e fuori piano. Ci
sono poi le deformazioni dei denti, che sono dello stesso tipo. Quindi, per produrre ruote dentate di
qualità il problema della distorsione, non essendo eliminabile, va tenuto sotto controllo. La distor-
sione è accompagnata da tensioni residue e sono influenzate da: -i contenuti di C e degli elementi le-
ganti della martensite (più questi sono elevati, più si ha espansione di volume perchè si ha maggiore
profondità di tempra); -la geometria della distribuzione di massa della ruota dentata (il cuore e i denti
hanno masse e geometrie diverse, quindi in esse la trasformazione avverrà in modo non coordinato); -
il modo di entrata dei pezzi nel bagno di tempra (occorrerebbe idealmente avvicinarsi il più possibile
ad un impatto simultaneo su tutta la superficie del pezzo da parte del mezzo di spegnimento); -il me-
todo di trattamento termico (la tempra diretta porta alle minori distorsioni, perchè le trasformazioni,
che avvengono con variazione di volume, avvengono una volta sola); svolgendo invece tempra in due
tempi, dopo il riscaldamento che viene fatto seguire al raffreddamento lento dopo cementazione, si
ha nuova variazione di volume, ora più grande, che introduce anch'essa una deformazione e che si
somma alla precedente.

tipo di carichi di lavoro, caratteristiche per l'impiego e rassegna generale dei


materiali per ruote dentate (10P)
Per la progettazione di ruote dentate si fa riferimento a due fenomeni meccanici, la fatica a flessione
e la fatica di contatto (legata alla durezza); in più si considerano l’elevata resistenza all’usura (elevata
durezza), buona tenacità per fronteggiare eventuali urti, stabilità dimensionale e campo di tensioni
residue di compressione in superficie. Le prime due situazioni si manifestano con rotture per fatica
classica al piede del dente o con il fenomeno del danneggiamento per pitting. Vi sono altre situazioni
di messa fuori servizio delle ruote dentate, fra le quali la più comune è l'usura (abrasiva, adesiva,
scuffing).
Le norme danno gli strumenti per il calcolo specifico per quanto riguarda fatica a flessione e fatica
per contatto; gli altri non sono trattati esplicitamente. Sono per fortuna di aiuto alcune prescrizioni
sulle caratteristiche, la microstruttura e i possibili difetti, che fanno la differenza per quanto riguarda
gli acciai, i costi, le prestazioni e l'affidabilità del prodotto finito. In generale, la norma ISO distingue
le seguenti classi di materiali: -acciai ferritico-perlitici a basso contenuto di carbonio normalizzati e
acciai per getti; -ghisa malleabile, grigia e sferoidale; -acciai da bonifica reperibili come semilavorati;
-acciai da bonifica sotto forma di getti; -acciai da cementazione; -acciai da tempra superficiale; -ac-
ciai da bonifica nitrurati e acciai da nitrurazione; -acciai da nitrocarburazione.
Lo svolgimento del corso ha previsto la trattazione di sole 4 famiglie di materiali, e cioè agli acciai
da bonifica, acciai da tempra superficiale, acciai da cementazione, acciai da nitrurazione. Per tali fa-
miglie la norma ISO 6336 distingue tre gradi di qualità:
-grado ML, per il quale vi sono modeste richieste o prescrizioni circa la qualità dell'acciaio o l'affida-
bilità del trattamento termico; è un grado in generale da evitare, può essere adatto per limitare al mas-
simo i costi nel caso di ruote dentate poco sollecitate o che debbano lavorare poco e il loro danneg-
giamento non sia critico per l'esercizio di un macchinario;
-grado MQ, è il grado medio dove le prescrizioni di qualità di acciaio e affidabilità del trattamento
termico sono dettagliate, ma con ampi margini in modo da lasciare la libertà di fare scelte riduttive
per abbassare i costi; è il grado più utilizzato, sia per mancanza di conoscenze sui materiali da parte
di progettisti, produttori ed utilizzatori, sia per lo scopo di contenimento dei costi; non è consigliato
per ruote dentate molto sollecitate o aventi funzione critica;
-grado ME, quello che garantisce la migliore qualità, perché prescrive in modo dettagliato le caratte-
ristiche dei materiali, la loro microstruttura e lo stato superficiale dopo la fabbricazione del compo-
nente; tale grado implica costi moderatamente più elevati, ma è sempre consigliato se si vuole elevata
affidabilità del componente, mentre è obbligatorio nei componenti critici.

I diversi tipi di usura nelle ruote dentate (6P)


I diversi tipi di usura che si possono avere nelle ruote dentate sono:
1-usura adesiva: Essa è tollerabile solo se si limita allo strato di ossido superficiale, dal quale si stac-
cano piccoli frammenti quando si verifica saldatura estremamente localizzata sulle superfici. Quando
il distacco di frammenti interessa anche il metallo al di sotto dell'ossido superficiale, allora il feno-
meno è rilevante e dannoso, e dà origine a vibrazioni e rumore durante l'esercizio, e a riduzione gra-
duale dello spessore dei denti che induce un progressivo aumento dei carichi dinamici delle vibra-
zioni, che in un secondo tempo portano a rotture per fatica a flessione. Per ovviare a ciò si usano di-
verse contromisure: -utilizzare ruote dentate con superfici dei denti molto lisce; -svolgere una proce-
dura di running-in, facendo precedere l'entrata in servizio da un esercizio per 10 h a metà del carico
di progetto; -far lavorare le ruote dentate ad alta velocità, perché questo contrasta l'assottigliamento
del film di lubrifi cante. Da questo punto di vista, gli acciai da nitrurazione sono favoriti, perché fun-
zionano bene con lubrificanti molto viscosi; -se non si lavora ad alta velocità, evitare l'utilizzo di lu-
brificanti con additivi allo S e al P, che sono ottimi per prevenire lo scuffing, ma peggiorano il funzio-
namento in condizioni di usura adesiva; -usare lubrificanti molto viscosi, puliti, cioè non contaminati
con sostanze chimiche o da particelle solide, i quali devono anche essere privi di acqua; inoltre biso-
gna evitare condizioni di funzionamento in cui la temperatura sale, riscaldando il lubrificante e facen-
dogli perdere viscosità.
2-usura abrasiva: Si basa essenzialmente sull'azione di sfregamento di piccole particelle dure appun-
tite che a poco a poco asportano materiale dalle superfici dei denti. La loro origine proviene da: con-
taminazioni esterne (durante la fase di montaggio o di manutenzione) o da sorgenti interne di dendriti
(quali fatica Hertziana con generazione di pitting, soprattutto micropitting e usura adesiva che genera
distacco di frammenti appiccicati da adesione delle superfici antagoniste). Per ovviare a ciò bisogna:
o rimuovere le contaminazioni esterne e cambiare il lubrificante oppure minimizzare la formazione di
detriti di usura (utilizzando acciai cementati o induriti superficialmente, utilizzare denti con superfici
molto lisce, applicare un lubrificante molto viscoso).
3-scuffing: Si tratta di una forma accelerata di usura adesiva. Nel caso di pressioni di contatto molto
elevate e in seguito a un innalzamento di temperatura, lo strato superficiale di ossido che ricopre ogni
superficie antagonista si scaglia. Si ha quindi contatto diretto fra il metallo dei denti antagonisti e si
provocano delle saldature localizzate. Subito dopo queste vengono strappate via, generando una su-
perficie opaca e ruvida. In definitiva, il fenomeno si verifica quando: lo spessore del film lubrificante
è troppo piccolo; il contatto è così forte che si verifica un notevole surriscaldamento; non si riscontra
tempo d'incubazione del fenomeno come nel pitting; si verifica più facilmente in denti nuovi che non
hanno ancora sperimentato il running-in. Le contromisure da prendere sono: utilizzare ruote dentate
con denti molto lisci, la lappatura è preferibile alla rettifica; praticare il running-in per 10 h a metà
carico di lavoro; usare lubrificanti ad alta viscosità con additivi antiscuffing che, quando la tempera-
tura sale, reagiscono chimicamente con le superfici metalliche impedendo l'incollaggio; lubrificare
notevolmente; se è possibile, preferire ruote dentate costruite con acciai nitrurati.
4-lucidatura: È una specie di usura abrasiva che si produce soprattutto quando si utilizzano lubrifi-
canti che hanno additivi antiscuffing e le condizioni di scuffing non si verificano. Gli additivi basati
su solfuri o fosfuri di ferro sono chimicamente reattivi ed impediscono l'incollaggio dello scuffing
quando la temperatura o la pressione locali salgono troppo. Quando non svolgono questa funzione
agiscono come finissime particelle abrasive e chimicamente aggressive e piano piano si riduce l'accu-
ratezza del profilo dei denti. Le contromisure da prendere sono: rimuovere gli abrasivi dal lubrifi-
cante, o meglio ancora cambiare quest'ultimo; prevenire lo scuffing con degli additivi meno reattivi
chimicamente come i borati.
Acciai per Molle
1-fili di acciaio non legato, patentato e trafilato a freddo per molle: tipi d'im-
piego, ciclo di fabbricazione, prescrizione di qualità superficiale e caratteristi-
che meccaniche (9P)
I fili di acciaio non legato vengono prima patentati, cioè austenizzati e temprati isotermicamente in
bagni di Sali fusi o piombo fuso, in modo da attraversare le curve di Bain in corrispondenza del naso
della trasformazione perlitica. Si forma una microstruttura ferritico-perlitica o solo perlitica, a se-
conda della percentuale di C dell’acciaio, di straordinaria finezza e con lamelle perlitiche orientate
parallelamente all’asse del filo. Tale microstruttura permette più passate di trafilatura a freddo per la
riduzione del diametro del filo senza necessità di ricotture intermedie. In tal modo, il filo incrudisce
fortemente a freddo e raggiunge caratteristiche meccaniche elevatissime, passando da una resistenza
a trazione dell’ordine di 1000 MPa a circa 3000 MPa.
La superficie dei fili è generalmente rivestita con fosfati o rame per facilitarne la trafilatura o la for-
matura successiva della molla, oppure con zinco o zinco-alluminio per aumentarne la resistenza alla
corrosione.
I fili sono suddivisi dalle norme in base a: tipo di lavoro della molla, il quale può essere statico o di-
namico; diametro del filo; resistenza. È importante osservare che i fili che operano in condizioni di-
namiche hanno percentuali di C tendenzialmente un po’ più alte d’impurezze più basse; in quest’ul-
timo caso si cerca di garantire una percentuale d’inclusioni non metalliche più bassa, vista la loro
grande importanza a fatica.

2-fili di acciaio da bonifica per molle: tipi d'impiego, composizione chimica,


prescrizione di qualità superficiale e caratteristiche meccaniche (10P)
I fili di acciaio da bonifica o già bonificati possono essere suddivisi in acciai al carbonio, adatti per
molle piccole o che non lavorano a temperature superiori a quella ambiente, o acciai legati, indispen-
sabili per la fabbricazione di molle di grandi dimensioni o che devono operare a temperature supe-
riori a quella ambiente.
I fili bonificati vengono normalmente adoperati per reggere stress di torsione sia statici che dinamici,
pertanto sono commercializzati soprattutto per fabbricare molle ad elica che vanno compresse o
estese.
Per quanto riguarda i fili da bonificare, essi presentano una percentuale di C compresa tra 0,5-0,75;
tale valore così elevato è giustificato dal fatto che si deve, appunto mediante bonifica, ottenere una
durezza e resistenza a trazione molto elevata, possibile solo passando da martensiti con elevato te-
nore di C.
Volendo molle di dimensioni maggiori, è necessario conferire all’acciaio del filo a maggiore tempra-
bilità. A tale scopo si utilizza, oltre al manganese come base, sempre il cromo; questi elementi le-
ganti, oltre a conferire temprabilità all’acciaio, hanno la funzione di ritardare o rallentare le trasfor-
mazioni di fase che avvengono durante il rinvenimento; in questo caso, gli elementi che hanno la ten-
denza a formare carburi, come Cr e V, sono particolarmente efficaci. Nel caso del Cr, la sua parziale
sostituzione del Fe nella cementite rallenta l’accrescimento di quest’ultima durante il rinvenimento. Il
V conferisce forte temprabilità all’acciaio se va in soluzione solida nell’austenite durante l’austeniz-
zazione. Per quanto riguarda il Si, elemento che aumenta in maniera solo moderata la temprabilità e
che non forma carburi, il suo effetto consiste nel rallentamento nell’addolcimento di rinvenimento;
l’effetto è stato attribuito al fatto che tende a stabilizzare il carburo ε e di fatto inibisce la sua degene-
razione in cementite, mantenendo quindi una microstruttura con carburi più fini, e quindi avente
maggiore durezza e resistenza a fatica.
Per quanto riguarda la resistenza a trazione, quest’ultima aumenta non solo all’aumentare della seve-
rità di esercizio, ma anche all’aumentare della percentuale di elementi leganti e al diminuire del dia-
metro del filo; infatti, entrambi questi ultimi due fattori agiscono nel senso di aumentare la percen-
tuale di martensite nel cuore del filo, il quale risulterà più resistente. La resistenza a trazione è
dell’ordine dei 1000 – 2000 MPa.
Leghe di Magnesio
1-resistenza a corrosione nelle leghe di magnesio con Al e Zn (9P)
Il Mg è un metallo molto anodico, che accoppiato ad altri metalli potrebbe presentare il problema
della corrosione, la quale è una reazione di ossidoriduzione nella quale il metallo si ossida perdendo
elettroni; in particolare, nelle leghe Mg-Al e Mg-Al-Zn si verificano severi problemi di corrosione in
condizioni di bagnato o umido, dovute principalmente alla presenza di impurità quali Cu, Fe e Ni. La
corrosione è dovuta al fatto che queste impurità rompono la stabilità del film superficiale di
Mg(OH)2, ottenuto tramite passivazione del Mg, che diminuisce la velocità di corrosione. Il pro-
blema può essere ridotto in due modi: Il primo metodo consiste nel controllare e preferibilmente ab-
bassare le percentuali di questi metalli, limitandole al di sotto dei seguenti valori: Fe (0,017%), Cu
(0,13%), Ni (0,0005%); oltre i quali il fenomeno di corrosione si accentua enormemente. Oppure ag-
giungendo una percentuale di Mn, pari allo 0,2%, tramite la quale si riescono a neutralizzare le impu-
rità di Cu, Fe e Ni, formando composti intermetallici poco dannosi, che a volte passano nella scoria,
oppure poco catodici rispetto alla matrice. In ogni caso le leghe di Mg non resistono a corrosione in
ambienti acidi o in presenza di soluzioni contenenti Cl-, in quanto lo strato di passivazione di cui so-
pra viene distrutto molto facilmente con conseguente danno da corrosione per pitting.

2-proprietà ingegneristiche peculiari (leggerezza, capacità di smorzamento, la-


vorabilità) delle leghe di Mg (8P)
Le leghe di magnesio sono utilizzate in ambito ingegneristico per:
-Leggerezza: il Mg presenta un peso ridotto (densità=1700 kg/m3) rispetto all’Al (densità=2700
kg/m3). Questo consente di ottenere, a partirà di rigidezza o resistenza a flessione, un considerevole
alleggerimento strutturale, a patto di un ingombro maggiore. Per questo motivo trova impiego in
campo aeronautico e automobilistico.
-Elevata capacità di smorzamento: data da D=Udiss/Uel (energia dissipata al ciclo/energia elastica per
ciclo durante le vibrazioni meccaniche. Il ciclo di isteresi responsabile dello smorzamento avviene
quando i cicli carico/scarico causati dalle vibrazioni non superano il livello di tensione di snerva-
mento. Anche in questo caso c’è movimento delle dislocazioni che determinano dissipazione di ener-
gia. Ogni aumento del limite elastico abbassa il livello di dissipazione a parità di stress rendendo il
moto delle dislocazioni più difficile.
-Eccellente lavorabilità all’utensile: dovuto alla formazione di piccoli trucioli che si staccano facil-
mente grazie alla struttura esagonale compatta con un solo piano di scorrimento, quello basale. Si ha
aumento della vita dell’utensile da 5 a 10 volte rispetto al valore base, superfici di lavorazione molto
lisce, nessuna necessità di finitura o lubrificazione fino a velocità di taglio di 5 m/s.

3-leghe Mg-Al-Zn, Mg-Al-Mn e Mg-Al-Si (composizione, microstruttura e


proprietà) (8P)
Sono le leghe più usate per l'eccellente fluidità impartita dall'Al e si prestano a essere colate soprat-
tutto a pressione. Inoltre l’Al conferisce indurimento per soluzione solida. Sono leghe che conten-
gono, oltre ad Al, almeno anche o Zn o Mn o Si come elemento legante o come piccola aggiunta per
migliorare la resistenza alla corrosione. Hanno una buona resistenza e duttilità a temperatura am-
biente. Dopo i 120°C soffrono il creep.
Leghe Mg-Al-Zn (AZ): Si può diminuire molto la quantità di β introducendo Zn; si ha solo aumento
moderato di resistenza a creep, ma è interessante il rafforzamento per precipitazione: durante l'invec-
chiamento in un T5 o T6, dove lo Zn porta a η'=MgZn2, semicoerente e rafforzante; inoltre lo Zn
deve essere presente in quantità moderate (1-3%), altrimenti causa la comparsa di strappi a caldo; in-
fine per avere elevata resistenza alla corrosione si passa alle leghe ad alta purezza e contenenti un mi-
nimo valore di Mn.
Leghe Mg-Al-Mn (AM): Servono ad ottenere una maggiore duttilità e tenacità grazie alla presenza di
Mn che fa diminuire la percentuale di β Mg17Al12 al bordo di grano. Si producono leghe ad alta pu-
rezza con percentuali inferiori di Al, le quali vengono usate in applicazioni dove è richiesta una resi-
stenza a corrosione elevata. Vengono usate principalmente per produzione di ruote, sedili e volanti.
Leghe Mg-Al-Si (AS): Introducendo il Si si è ridotta la percentuale in volume della fase β. Con i raf-
freddamenti veloci della pressocolata si ha precipitazione di fini particelle di Mg2Si al bordo di
grano; con i raffreddamenti lenti di una colata in sabbia s i ottiene invece Mg2Si a scrittura cinese,
con peggioramento delle proprietà meccaniche. Queste leghe hanno una buona resistenza meccanica
a temperatura ambiente e resistono a creep a temperature moderate, al contrario delle leghe AZ e
AM.

4-Caratteristiche ed applicazioni delle leghe di Mg contenenti terre rare (9P)


Nelle leghe di magnesio che contengono alluminio e terre rare (Mg-Al-RE) gli eutettici danno liquidi
molto fluidi e producono film di liquido ai bordi di grano che contrastano la microporosità e gli
strappi a caldo. Le fasi ai bordi di grano possono contrastare lo scorrimento intergranulare e quindi
ostacolano il creep. La fase β-Mg17Al12 viene soppressa e al suo posto si forma il composto Al11RE3
che impedisce lo scorrimento a bordo di grano e aumenta la resistenza a creep. Le RE sono abbas-
tanza costose (Ce, La, Nd, Pr, Gd); il misch metal abbassa il costo, anche se comunque rimane caro.
La loro mescolanza è vantaggiosa perchè, oltre al costo un poco più basso, porta alla formazione fra
gli elementi di lega di precipitati metastabili indurenti, che permettono il rafforzamento per precipita-
zione laddove non vi sia grande porosità e pericolo di blistering. Le leghe Mg-Al-RE sono adatte per
pressocolata perché la forte velocità di raffreddamento produce una dispersione di fini precipitati raf-
forzanti del tipo Al11RE3 all'interno dei grani e questo permette di risparmiare evitando il T6. La pre-
cipitazione contemporanea di composti tipo Mg12RE a bordo grano aumenta resistenza a creep.
Le leghe di Mg contenenti terre rare trovano un buon sbocco commerciale, nonostante il loro costo
raguardevole, nelle applicazioni a caldo in parti di motore a combustione interna dove sono richieste
elevate resistenze a trazione a caldo ed elevate resistenze a creep; inoltre, le RE offrono una re-
sistenza a corrosion elevate dovuta alla formazione di fasi poco catodiche rispetto alla matrice di Mg,
nel contempo la loro percentuale residua in soluzione solida nella matrice di Mg conferisce a tale ma-
trice una notevole nobilitazione in termine di potenziale di riduzione, raggiungendo così un’ elevata
resistenza alla corrosione.

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