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Tassa globale su Big Tech

È stata decisa una ristrutturazione globale di tasse ieri al G7 di Londra.

I maggiori Paesi industrializzati -Gran Bretagna, Canada, Stati Uniti, Italia, Germania,
Giappone, Francia- si sono accordati per introdurre una tassa globale sulle aziende
multinazionali (soprattutto Big Tech) di almeno il 15 per cento, dove operano, a prescindere
dalla loro sede.

Inoltre, il 20% dei profitti delle compagnie il cui utile sia maggiore del 10% del fatturato dovrà
essere allocato nei paesi dove quei profitti vengono effettivamente realizzati. Potrebbe
essere la fine dei paradisi fiscali.

L’accordo non sarà messo in pratica da subito ma si dovrà aspettare un intesa a livello
dell’Ocse -Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico-, che raduna 139
paesi, e poi del G20.

Quando la global tax entrerà in vigore I paesi che hanno già introdotto la digital tax, come
Italia e Francia, la dovranno togliere. Questo è un punto di tensione tra USA e e gli Stati
europei, avversi alla digital tax perché penalizza le loro aziende.

Questa proposta nasce proprio dalla tesoreria americana, guidata da Janet Yellen, che già
nel marzo scorso era stata inviata ai paesi del G20. La volontà è quella di bloccare la
competizione al ribasso tra i governi (tra cui ricordiamo l’Irlanda, paradiso fiscale delle Big
Tech).

Il momento è favorevole e il recente aumento del fatturato delle grandi aziende che operano
sul digitale in seguito alla crisi economica rende sempre più insopportabile la loro esenzione
dal dover pagare le tasse nei paesi in cui fatturano. Tuttavia, poiché Francia e Italia hanno
accettato l’accordo con riserva, poiché gli Stati Uniti notoriamente agiscono in difesa delle
proprie aziende e dei loro capitali, poiché Facebook, Google e Apple si sono dette favorevoli
alla proposta nonostante le loro sedi legali restano ancora dove le tasse non possono
toccarli, la domanda sorge spontanea:

Chi sarà davvero a guadagnarci?

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