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LE CLASSI SUBALTERNE IN TERRA DI BARI NELLA CRISI DELL'ANTICO REGIME

Author(s): Aldo Cormio


Source: Quaderni storici , SETTEMBRE - DICEMBRE 1972, Vol. 7, No. 21 (3), Agricoltura -
Proprietà - Mercati (SETTEMBRE - DICEMBRE 1972), pp. 955-1025
Published by: Società editrice Il Mulino S.p.A.

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LE CLASSI SUBALTERNE IN TERRA DI BARI
NELLA CRISI DELL'ANTICO REGIME*

1. La condizione delle classi subalterne agli inizi della


crisi di antico regime

In Terra di Bari la condizione complessiva delle


masse popolari a metà Settecento, se cominciava ad
essere insidiata, non era precaria. La quota dei brac-
cianti «puri» non superava il 10-15% 1 e la maggior
parte dei terraticanti, censuari, enfiteuti o altro che sia,
possedeva eincora qualche piccola quota di terreno e
spesso anche un asino e un sottano 2. Certo la situazione
non era statica. Molto più instabile appare la condizione
delle classi subalterne se dai piccoli centri rurali peri-
ferici volgiamo lo sguardo ai più popolosi nuclei citta-
dini, soprattutto costieri. Inoltre ancora un buon 10% 3
di piccoli proprietari poteva considerarsi proletarizzato,
essendo la rendita completamente assorbita dai «pesi».
Tuttavia per la massa che viveva del proprio lavoro
e, ancor più, per coloro che erano costretti solo saltua-
riamente a vendere le proprie braccia, la situazione

* Il presente lavoro si inquadra in una più ampia ed articolata indagine sulla


eversione della feudalità nel Regno di Napoli condotta da un gruppo di ricerca
finanziato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche.
1 G. Masi. Strutture e società nella Puglia barese del secondo Settecento, Matera
1966, p. 76.
2 II «sottano» è un vano posto sotto il livello stradale. Sulla degradazione della
condizione delle classi subalterne nella seconda metà del Settecento, L. Dal
Pane, Storia del lavoro in Italia, Milano 1958.
3 Questa è ima percentuale media che risulta dagli studi pubblicati sul catasto
onciario e dalle tesi di laurea condotte al riguardo presso l'Istituto di Storia
moderna della Facoltà di Lettere dell'Università di Bari.

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complessiva garantiva ancora un livello di vita che solo


di lì a qualche decennio sarebbe apparso irrecuperabile.
Due fattori consentivano questa situazione favore-
vole per la massa proletarizzata: un notevole potere di
acquisto dei salari e la possibilià ancora ampia di eser-
citare gli usi civici sui vasti demani comunali. Nella
prima metà del Settecento i prezzi di mercato del grano
persino in un centro come Barletta, raramente avevano
superato il ducato. Di solito avevano oscillato sugli 8-9
carlini a tomolo, cadendo addirittura a carlini 5,5 nel
1726 ' Ma quel che è più, le oscillazioni stagionali dei
prezzi del grano, che così gravemente peseranno sulle
masse popolari nella seconda metà del XVIII secolo, erano
rimaste sempre contenute e in alcuni anni addirittura
irrilevanti. A parte la congiuntura internazionale, che
si era mantenuta quasi sempre su bassi livelli, era stata
l'ampiezza e lo spessore della produzione piccolo-conta-
dina destinata all'autoconsumo a costituire il più valido
preservativo contro le spinte speculative al rialzo e le
oscillazioni stagionali dei prezzi.
Queste stesse ragioni concorrevano a tenere relativa-
mente alti i livelli dei salari. Una massa di braccianti
«puri» intorno al 10-15% della popolazione, sia pure rin-
calzata saltuariamente da una quota all'incirca uguale di
contadini-braccianti, non poteva certo consentire facil-
mente ai padroni una riduzione effettiva dei salari. E la
rigidità dei salari era tale che quando nel quarto e ancor
più nel quinto decennio del secolo, si registrò una ten-
denza al rialzo dei prezzi, ne seguì un adeguamento più
o meno corrispondente dei salari. Concorreva ad aumen-
tare la forza contrattuale del proletariato agricolo la
circostanza che, specie in talune zone interne di Terra
di Bari, non doveva essersi ancora generalizzata la pra-
tica di utilizzare largamente la manodopera femminile,
come risulta dal libro di introiti ed esiti del Monte Zaza

4 Archivio Storico di Dubrovnik, Acta S. Mariae Maioris, fasc.li 3.092-98.

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di Ruvo per l'anno 1745-46 5.


Nello stesso anno i salari praticati dal Monte a
Ruvo in una masseria di campo erano i seguenti6:

Roncatore gr. 13
Aratore gr. 13
Cacciar furniere gr. 13-14
Scognatore orzo gr. 14-15
Mietitore orzo gr. 20
Mietitore grano gr. 16+10-11
in alimenti

La manodopera minorile, già largamente utilizzata


in alcune operazioni minori del processo produttivo, vie-
ne retribuita ordinariamente con gr. 6-7 al giorno. Ma
riesce ad ottenere fino a gr. 10 quando si miete l'orzo,
e addirittura gr. 10 più gli alimenti - valutabili attorno a
6-7 grana - quando si miete il grano, perché a lavori così
pesanti come la mietitura del grano e dell'orzo erano in
realtà adibiti solo coloro che già cominciavano a diven-
tare adulti.
Alla manodopera mobile si aggiungono infine tre
salariati fissi: un massaro, un gualano et un gualanello
che hanno rispettivamente una retribuzione annua di
48 (massaro), 4045 (gualano) e 25-27 Vi (gualanello) du-
cati. Ci si potrebbe chiedere come la gestione delle
masserie possa reggersi con i salari riportati quando
il Monte Zaza, in un anno di prezzi medi come
quello considerato, vende il grano a cari. 8, per
giunta lordi di spese di trasporto. Le linee di difesa del
profitto da parte padronale sono tre: 1) organizzare un
ciclo di lavorazione il più articolato possibile, gestendo
insieme alla masseria di campo una «piantata» abba-
stanza vasta a vigneto, oliveto e mandorleto in modo da

5 Archivio di Stato di Bari, Monasteri Soppressi, Bari, fasc.li 6-8.


D'ora innanzi A.S.Ba.

6 A.S.Ba., Tribunali Superiori Antichi, fase. 153.

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poter utilizzare in modo più continuato la manodopera


fissa; 2) contenere, quando possibile, i livelli salariali,
come risulta evidente dalle oscillazioni delle retribuzioni
annuali del gualano e del gualanello; 3) vendere parte
della produzione agli stessi suoi salariati fissi od occa-
sionali, per coprire immediatamente una parte delle spese
in tempi in cui il mercato interno ed estero non sempre
«tirava» sufficientemente.
Nonostante l'accortezza degli amministratori del
Monte i margini di profitto, soprattutto per la masseria
di campo, erano abbastanza ristretti. E la ragione risie-
deva nel rapporto prezzi-salari assolutamente favorevole
al proletariato agricolo. In queste condizioni sarebbe
stato impensabile avviare qualsiasi processo di sviluppo,
senza avere preventivamente proletarizzato una adeguata
fascia di piccoli produttori. Ma la capacità di resistenza
delle classi subalterne alla proletarizzazione era tale che
senza la violenza istituzionalizzata dello stato e la forza
disgregatrice di crisi come quella che nel 1764 investì il
Regno di Napoli, non si sarebbe mai usciti da una eco-
nomia di sussistenza.
Tuttavia se per la ristretta frangia del proletariato
si poneva soprattutto il problema dell'occupazione e del
potere d'acquisto del salario, per la gran massa delle
classi subalterne il fronte di lotta era aperto sul manteni-
mento dei diritti che la comunità dei cittadini aveva tra-
dizionalmente esercitato sui demani. Su questo piano
nella prima metà del Settecento qualche modificazione
era già intervenuta. La ripresa economica che era seguita
in Terra di Bari alla crisi di fine Seicento 7 aveva svegliato
appetiti mai sopiti, soprattutto da parte feudale, alla
privatizzazione di vaste estensioni di terreni demaniali.
A Gravina ad esempio in questi anni gli Orsini avevano
chiuso a difesa nel territorio demaniale i due «locali»
di Macchia Vetrana e Reni Coluni dell'estensione com-
plessiva 61 carra, e fu necessario, nel 1716, l'intervento

7 G. Masi, op. cit., pp. 17-24.

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del «Reggente» De Miro per risistemare l'equilibrio com-


plessivo della comunità8, tenendo conto sia dei nuovi
interessi emergenti all'interno delle classi dirigenti sia
dei diritti dei cittadini che non ancora potevano essere
lesi sensibilmente senza provocare immediate reazioni.
Ma quel che più interessa è che a Gravina come altrove,
nel primo Settecento, era cominciato ad emergere anche
un consistente nucleo borghese, di cui il De Miro dovette
tener conto nel tracciare la nuova disciplina delle terre
gravinesi. Egli infatti «distinse il territorio in tre specie,
cioè in Difese delle quali alcune del Duca, ed altre del-
l'Università, la seconda la fe' consistere in Parate, e
Parchi chiusi, dei quali alcune sono dell'Illustre Duca, ed
altri dei Cittadini, in questi niuno ha diritto di andarvi
a pascere, e ciascun Cittadino può tenerlo per uso di
semina, o di erbaggi, o di piantarci Vigne, Giardini etc.
La terza specie consiste in terreni aperti dei quali alcuni
si posseggono dall'Illustre Duca, ad altri da Cittadini, e
Luoghi Pii, ed ogn'uno ha la libertà di seminarci, di
piantar vigne, costruir massarie, far paduli, ed altro, ed
in questi territori ancorché dal Sig. Duca si possedessero,
ogni Cittadino, dopo la raccolta vi ha il dritto di mandar
a pascere i suoi animali, ed a questo proposito [. . .] fu
stabilito di non potere l'Illustre possessore del feudo
tenere più animali a pascere di quello che ne tiene il più
ricco Cittadino»9.
Altrove, come a Minervino, questa ristrutturazione
dei nuovi rapporti di forza fra feudatario e borghesia
per un verso, e classi dirigenti e classi subalterne dall'al-
tro, matura più tardi, attorno alla metà del secolo. Ma
quel che qui importa rilevare è che, se l'emergere di un
ceto borghese e la forza di contrattazione da esso ac-
quisita nei confronti dei feudatari portò già nella prima
metà del '700 ad una revisione della disciplina delle terre
limitativa dei diritti della comunità, non poteva ancora

8 A.S.Ba., Demani Comunali, fase. 725.


9 A.S.Ba., Sacra Regia Udienza, fascicoli civili, fase. 284.

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dirsi che l'esercizio di questi diritti fosse stato seria-


mente compromesso: 1) perché l'estensione del regime
delle terre aperte era ancora, nella prima metà del '700,
così ampia da non intaccare sensibilmente il livello di
vita delle classi subalterne; 2) perché nella zona mur-
giana situazioni del tipo descritto non erano affatto ge-
neralizzabili. Numerosi erano i comuni la cui borghesia
locale, sorpresa addirittura dalle leggi eversive in uno
stato di limitata privatizzazione, fu costretta a sostenere
nell'Ottocento una fierissima lotta contro il più agguerri-
to movimento delle masse popolari, per conseguire la
chiusura completa e definitiva delle terre; 3) perché an-
cora a metà '700 la intricata rete di primiscuità che
legava reciprocamente i comuni era intatta e la forza
di contrattazione dei locati del Tavoliere, che con le
loro pecore investivano ogni anno una larga parte della
zona murgiana, costituiva un valido strumento per il
mantenimento dei diritti delle classi subalterne locali
sui demani comunali 10.
Fu proprio ad istanza dei locati della locazione di
Salpi che a Bitonto nel 1727 dovette intervenire lo stesso
presidente Rullan a reintegrare i locati e i cittadini di
Bitonto nei diritti tradizionalmente goduti sui demani
comunali e recentemente violati dalla nobiltà e dalla
borghesia bitontina. Perché poi non avvenissero usurpa-
zioni, i locati ottennero anche una precisa definizione
della estensione delle terre demaniali (5.500 ettari circa)
e la descrizione particolareggiata delle contrade in esse
poste. Così concludeva la risoluzione del presidente Rul-
lan: «[...] nelle carra 233 v. 16 di demanio vi hanno li
Padroni di essi e li Cittadini il jusso di coltivare e pasco-
lare con i loro animali, unitamente con quelli dei Locati
medesimi in tutto il luogo che resta vacuo dalla coltura,
con doversi dopo fatta la raccolta aprire quei luoghi,
che per causa dei seminati suddetti si serrano per darne

10 G. Barbarossa, Le conciliazioni demaniali nel comune di Minervino Murge,


Bari, 1865, p. 28.

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ai Locati il comodo di pascolare con li loro animali, come


agli altri estimati dei cittadini» 11 .
Ancora nel '53 la Regia Camera della Sommaria era
costretta di fronte alla reazione congiunta dei cittadini
e dei locati a decretare che «Universitas Civitatis Be-
tunti et Locati Locationis Salpi absolvantur ab impe-
titis per magnificos D. Eustachium Rogadeo et D. Nico-
laum Gentile» i quali, possedendo nei territori demaniali
due feudi rustici della estensione di ben 4.727 ettari, ave-
vano preteso di poterne usare privatamente fidando e
locando questi territori ai «forestieri», con grave pre-
giudizio degli interessi dei cittadini e dei locati n.
A completare il quadro della condizione delle classi
subalterne a metà Settecento basterà aggiungere che,
nonostante qualche smagliatura si fosse già prodotta,
gli enti ecclesiastici assolvevano ancora con la loro orga-
nizzazione assistenziale ad un ruolo di sostegno del li-
vello di vita delle classi popolari e di mantenimento dello
status quo, frenando soprattutto con il destinare il gros-
so delle elemosine alle donne vedove e vergini, la prole-
tarizzazione della manodopera femminile e sostenendo
con i monti frumentari una fascia abbastanza nutrita di
terraggieri annuali; che i fitti delle case erano fermi
da molti decenni su livelli molto bassi; che i canoni enfi-
teutici si riducevano talora a prestazioni quasi simboli-
che, mantenute solo a titolo ricognitivo; che ancora
rilevante era la quota dei demani comunali destinata
dalle università ai cittadini che vi volessero terraggiare.
La condizione delle classi subalterne non era dunque
affatto compromessa e pertinente sembra la descrizione
che ne fa un apprezzatore della terra di Turi nel 1746:
«Sonovi più famiglie benestanti che si mantengono con
propri averi, vivendo civilmente e comodi [...]. Gli altri
poi benché bracciali, stanno alquanto comodi, chi di essi
vive con propri stabili e chi alla giornata, ma ognuno

11 A.S.Ba., Demani comunali, fase. 271.


12 Ibidem, fase. 272.

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possiede la sua casa per abitazione e qualche pezzo di


territorio o proprio o censuato [. . .] le donne poi stanno
applicate parte al cucire, tessere e filare per lo più
bambace, far calzette, e parte dedite alla campagna in
zappare e cogliere in tempo opportuno l'olive, mandorle
e vettovaglie» 13.

2. Il primo attacco alle condizioni delle classi subal-


terne : fattori politici e fattori economici

Ma attorno alla metà del secolo, fattori nuovi e in


parte esterni concorrevano a modificare il quadro che
abbiamo tracciato: la congiuntura internazionale si ele-
vava notevolmente di tono dando nuovo slancio ai deboli
e discontinui elementi di rottura del vecchio ordine
emersi nel primo Settecento; uno sviluppo demografico
senza precedenti offriva per la prima volta un mezzo
naturale di contenimento dei salari; ma soprattutto la
sollecita attenzione del governo borbonico alle esigenze
e agli interessi dei nuovi ceti dava alla borghesia la possi-
bilità di utilizzare l'apparato repressivo dello stato per ot-
tenere con la violenza l'espropriazione delle masse conta-
dine e un drastico ridimensionamento della forza eco-
nomica degli enti ecclesiastici.
E' sintomatico al riguardo che i primi due atti impor-
tanti del governo di Carlo di Borbone vadano proprio in
questa direzione. Con il Concordato del 1741 si ponevano
le basi di quella politica di spoliazione degli enti eccle-
siastici che si approfondirà sempre più nei successivi
decenni (ma di questo parleremo più diffusamente in
seguito). Con l'applicazione del Catasto onciario s'intese
poi provocare la proletarizzazione di una fascia consi-
stente di piccoli produttori, assolutamente indispensabile
per avviare un qualsiasi processo di sviluppo. Questo

u Ibidem, fase. 1.403.

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comportò di fatto, nei comuni che applicarono il nuovo


sistema fiscale, il passaggio dalla gabella al catasto.
Certo, come dice Villani 14, il vantaggio dei ceti più
poveri è troppo evidente perché vi si debba insistere,
ma questo vale solo per la ristretta fascia di contadini
proletarizzati, non per quanti - ed erano i più - sfioravano
l'autosufficienza economica. Quando già per legge i beni
di natura feudale godevano l'esenzione totale, quelli degli
enti ecclesiastici l'esenzione del 50%, né la nuova borghe-
sia emergente mancava di scaricare il grosso peso fiscale
sui subalterni attraverso una applicazione classista del
tributo, è evidente che l'intento prioritario della riforma
fu quello di proletarizzare violentemente quella fa-
scia cospicua di piccola proprietà contadina che solo in
condizioni di assoluta stabilità avrebbe potuto soprav-
vivere. Questo fu d'altra parte il significato che le vittime
designate di questa riforma diedero, come si rileva chia-
ramente da una protesta di alcuni cittadini di Carbonara :
«[...] manifestamente col detto Cartellone [del catasto]
vedersi esser stati quelli [i poveri] oppressi e caricati nei
beni degli animali e nelle persone più del doppio [. . .]
legendosi tassato per esempio un Cittadino che pagar
dovea diece caricato a trenta, e colui che giustamente
[. . .] dovesse pagare docati diece sta tassato appena
carlini diece et signanter l'istessi del Governo e Deputati
e loro aderenti [...]» 15.
Lo stesso Genovesi non mancava di rilevare che la
riforma era fallita nella fase esecutiva perché: «1) Non
si aveva a lasciare un palmo di terra non soggetto alla
legge generale: e se ne lasciata più che la metà. 2) S'è
dato meno valore alle terre dei ricchi e prepotenti, più
a quelle dei poveri. 3) Se sottoposta a catasto l'industria
libera, che dovev'esserne esente» 16.
Quindi, aggiungeva alquanto ingenuamente che biso-

14 P. Villani, Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione, Bari 1962, p. 130.


15 A.S.Ba., Atti notarili, voi. 12.580.
16 A. Genovesi, Lezioni di commercio, Napoli 1765, vol. I, p. 358, nota (b).

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gnava ritornare al sistema delle gabelle, «perché se voi


le [tasse] caricherete fuori di proporzione, andrete a
sbarbicare l'agricoltura, e con ciò verrete nell'istesso tem-
po ad annientare il primo fondo delle Finanze» 17. Se-
nonché proprio questo era l'obbiettivo della nuova bor-
ghesia, «sbarbicare» i ceti piccolo-contadini dalla terra
per subentrare nel possesso delle loro piccole quote e
aumentare così l'esercito di riserva della forza-lavoro.
Ancora più grave si rese la sperequazione successiva-
mente, quando da una parte non si caricarono di im-
poste i novelli usurpatori delle terre demaniali e dall'al-
tra non si discaricavano i piccoli produttori che avevano
visto accrescersi smisuratamente i canoni enfiteutici 18
od erano stati addirittura costretti a vendere i propri
minifondi 19.
Le conseguenze di tutto ciò si videro ben presto.
Così un testimone rispondeva al giudice che gli aveva
chiesto quale fosse a suo giudizio la causa dell'emigra-
zione dei suoi compaesani ad Acquaviva: «[...] ciò è
addivenuto o per debbiti accumulati e non soddisfatti, o
per vedersi inabilitati a soddisfare i pesi del Catasto
[. . -]»20. Si era appena al 1755. Ma la riforma catastale
presentava anche altri aspetti favorevoli agli interessi
della nuova borghesia, perché non solo consentì una spe-
requazione fra le varie classi sociali all'interno dei singoli
comuni ma «essendo il carico delle imposte in relazione
approssimativa con la popolazione (fuochi) e non con il
reddito (once) ne derivava che i comuni con popolazione
relativamente bassa e con reddito relativamente alto eran
meno gravati» 21 , il che si traduceva in una spinta formi-
dabile all'emigrazione dai centri poveri e popolosi verso
i centri più ricchi ed attivi che avevano assolutamente

17 Ibidem, p. 352.
18 A.S.Ba., Sacra Regia Udienza, fascicoli civili, fase. 188.
19 Archivio Comunale di Gravina, Conclusioni Decurionali, Delibera del 9 feb-
braio 1800.

20 A.S.Ba., Tribunali Superiori Antichi, fase. 13.


21 P. Villani, op. cit., p. 133.

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bisogno di un sovrappiù di manodopera a buon mercato.


Inoltre, alleggerendo il carico fiscale gravante sui brac-
cianti puri, si poteva quanto meno sperare di poter con-
tenere gli alti salari. Tuttavia la riforma, troppo ambi-
ziosa nei fini che si era proposta, incontrò una resistenza
tenacissima non solo nelle classi subalterne, ma anche
nelle tradizionali forze privilegiate, che, sostenute dal
fermento popolare, imposero al governo di lasciare a
discrezione delle amministrazioni locali la scelta di vivere
a gabella o a catasto. Era stato troppo grave e prema-
turo l'attacco portato alla stabilità economica della pic-
cola proprietà contadina e ai privilegi fiscali degli enti
ecclesiastici e, in qualche caso, troppo scoperto da parte
della borghesia il disegno di utilizzare il catasto per svi-
luppare una offensiva antifeudale, non registrandovi i
pesi feudali che gravavano sulle proprietà private o sulle
finanze comunali22, perché queste forze non si coaliz-
zassero per far fallire la riforma catastale. Si giunse così
al compromesso di cui abbiamo detto, lasciando alla
borghesia locale, laddove ne avesse avuto la forza, di
imporre l'applicazione del nuovo sistema fiscale. Ma la
lotta non vinta pienamente su questo piano riprese su
altri fronti.
Innanzitutto sul fronte dei prezzi. Già negli anni
Quaranta il prezzo del grano aveva più volte superato
largamente il ducato e dal '52-'53 si era stabilizzato su
questi livelli, per non più retrocedere al di sotto del
ducato23. Poi nel 1759 il Regno, e soprattutto Terra di
Bari, aveva potuto avvertire i segni premonitori della più
grave e generale crisi del '64. Ma non soltanto i prezzi
delle derrate erano sensibilmente aumentati. Anche le
pigioni di casa in seguito all'aumento demografico comin-
ciavano a salire, soprattutto dopo il 1745. Calcolando le
rendite che davano le 62 abitazioni di proprietà del Mona-
stero di S. Maria del Buon Consiglio di Bari notiamo che

22 A.S.Ba., Atti notarili , voi. 12.580.


23 A.S.Ba., Monasteri Soppressi , Bari, fasc.li 6-8.

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da un introito di 994 ducati nel 1745 si passa a 1.033


ducati nel '50 e a 1.1 16 ducati nel '55
Come si può notare, gli aumenti, appena percettibili
nel primo quinquennio, diventano sensibili nel secondo.
Ma va considerato che per non tutte le case vengono
rialzati i fitti, e per alcune di esse il fitto fu aumentato
qualche anno prima o qualche anno dopo il decennio
considerato. A voler perciò conteggiare soltanto le abi-
tazioni che subirono un rialzo di fitto attorno al decennio
'45-'55, risulta che l'ammontare complessivo della rendita
di 38 abitazioni salì da 512 a 622 ducati, cioè di oltre
il 21% rispetto al 12% di aumento registrato complessi-
vamente e per tutte le abitazioni nel solo decennio '45-'55.
Interessante è infine notare che il grosso degli aumenti
avviene fra il '50 e il '55. Calcolando i soli fitti alterati in
questo quinquennio risulta che su 13 abitazioni la rendita
passò da 181 a 218 ducati con un aumento di circa il
20%, senza calcolare che alcune delle stesse avevano già
subito o subirono successivamente dei ritocchi. Dunque
le classi subalterne subirono un aumento dei fitti intorno
al 20%, spesso nel giro di qualche anno, perché sono le
case fittate ai borghesi o agli stessi ecclesiastici ad uscire
indenni da questa corsa al rialzo che, concentrata soprat-
tutto nel quinquennio '50-'55 ha il sapore inequivocabile
di una ritorsione da parte degli enti ecclesiastici per
recuperare le perdite subite con il pagamento dell'impo-
sta catastale.
In una situazione di persistente rigidità dei salari gli
aumenti dei fitti delle case e dei prezzi delle derrate fon-
damentali, cadendo soprattutto sulle spalle della massa
già proletarizzata, non potevano non provocare una lie-
vitazione dei salari.
D'altra parte la lievitazione dei canoni di fitto25, da
una parte, e dei salari, dall'altra, rendevano più remune-
24 Ibidem.
25 Ciò risulta dalla documentazione di alcune tesi di laurea sui contratti
agrari condotte presso l'Istituto di Storia Moderna della Facoltà di Letteif
dell'Università di Bari.

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rativa per i fittavoli la riduzione della parte seminabile,


riducendo così pericolosamente la produzione delle der-
rate fondamentali, proprio quando l'espansione demo-
grafica - soprattutto di classi d'età improduttive - comin-
ciava a farsi sentire. Né meno gravi dovettero essere le
conseguenze che il processo selettivo, avviato all'interno
della grossa fascia dei piccoli produttori attraverso
l'imposta catastale provocò, e sull'ammontare della loro
produzione, e sulla richiesta aggiuntiva di derrate da
parte di coloro che, nella crisi di questi anni, furono
ridotti alla condizione di proletari. Così un evento natu-
rale, un'annata cattiva, valse a precipitare, nel 1764, una
crisi che era già nelle cose. La borghesia non attendeva oc-
casione migliore per ristrutturare a suo favore i rapporti
di forza con le altre classi. La crisi l'aveva preparata e ora
ne raccoglieva i frutti. Una massa notevole di piccoli pro-
duttori indebitatasi negli anni precedenti fu costretta a
vendere il proprio pezzo di terra a prezzi nettamente
inferiori a quelli corsi qualche anno prima26. I borghesi
profittarono senza pudore della situazione, e quando non
bastò loro il danaro disponibile lo presero a prestito27.
La conseguenza più duratura di questo profondo rivol-
gimento non fu però l'acquisto facile di qualche pezzo di
terra, ma l'aver notevolmente aumentato la disponibilità
di forza-lavoro per avviare su larga scala un processo
produttivo basato sul lavoro salariato e destinato a pro-
durre merci. La contrazione dei salari 28 che si registra in
questi anni è la spia più sicura del disegno che la bor-
ghesia ebbe modo di portare a compimento con la cri-
si del '64.
Ormai la borghesia poteva guardare al futuro con
una certa tranquillità e il rilievo che tutta la letteratura
illuministica europea diede a quella crisi indica in modo

26 Vedi nota precedente.


27 Vedi nota n. 25.

28 Vedi l'andamento dei salari praticati dal Monastero di S. Maria del Buon
Consiglio di Bari, in A.S.Ba., Monasteri Soppressi , Barí , fasc.li 5-12.

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inequivocabile il significato di svolta che ebbe per tutti


quella terribile esperienza.

Una volta resosi necessario per i piccoli produttori


il rapporto con il mercato per soddisfare i pesi catastali
e gli interessi sempre più incidenti dei prestiti usurai,
una serie di meccanismi sperequativi investì tutta la
società, rendendo sempre più precaria la condizione di
questi piccoli produttori. E' abbastanza noto che mentre
il tasso d'interesse ordinario per i borghesi o gli enti ec-
clesiastici si aggirava intorno al 6%, quello praticato ai
piccoli contadini non era inferiore all' 8-9%. Ma ancora
più grave era il prestito cosiddetto alla voce, che in Terra
di Bari si articolava talora in modo particolarmente
lesivo. Il contadino prendeva a prestito il grano neces-
sario alla coltivazione al tempo della semina pagandolo
al tempo della raccolta secondo i prezzi che sarebbero
corsi nel maggio successivo, quando ordinariamente l'au-
mento dei prezzi che si registrava in seguito all'esauri-
mento delle riserve di grano da parte del grosso della
popolazione, si aggravava perché gli smimali inservienti
alla macina del grano proprio in quel mese solevano
mandarsi a ristorare nei prati, facendo diminuire note-
volmente la quota di grano disponibile29. In queste con-
dizioni i piccoli produttori sempre meno riuscivano a
piazzare direttamente sul mercato i loro prodotti, e
quindi a profittare dei prezzi sempre più remunerativi
che l'alta congiuntura del mercato internazionale e l'am-
pliamento del mercato interno consentivano. Ma quando
pure alcuni dei più fortunati vi fossero riusciti, una serie
di ostacoli venivano frapposti con violenza dalla classe
dirigente per impedire che una minoranza sia pure
ristretta di piccoli contadini si rendesse autonoma dalla
sua pesante intermediazione, come successe a Bitonto
nel 1766. Per la maggiore sicurezza di coloro che contrat-

29 A.S.Ba., Tribunali Superiori Antichi, fase. 13.

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tavano l'olio in questo centro si era stabilito che due


«sensali» eletti dall'Università dovessero sovraintendere
alle misure dell'olio che si commerciava. Questi sensali
potevano avere, come ognuno può comprendere, una no-
tevole influenza nell'indirizzare i vaticali a comprare l'olio
da uno piuttosto che da un altro produttore e di solito
lucravano così qualche piccolo compenso. Benché ancora
una volta taglieggiati, poteva riuscire ancora vantaggioso
ai piccoli produttori bitontini promettere ai sensali
qualche «regalia» per piazzare direttamente il prodotto.
Nel '66 l'annata era stata buona, ma l'olio era riuscito
di «mala qualità» ed ognuno aveva premura di venderlo.
Il governatore, facendosi eco degli interessi dei grossi
produttori suggerì ai due sensali di far vendere solo gli
oli di coloro che, volta a volta, avrebbe suggerito. E non
avendo questi più volte «inerito» ai suggerimenti - ormai
divenuti minacciosi - del Governatore, furono addirittura
carcerati. Così il governatore giustificò il suo atteggia-
mento nel processo seguitone: «[...] in questa Città la
principale e commune industria dei naturali di essa è
quella degl'ogli, su cui dipende il sostegno, specialmente
delle famiglie riguardevoli della medesima, e siccome
nell'anno 1763 [. . .] conobbi un assurdo troppo grande
ed oppressivo nella vendita degl'ogli, dipendendo asso-
lutamente dalla libertà di due Sansari plebbei addetti
alla misura di essi, che facevano nelle occorrenze esitare
quelle partite che loro piaceva per privati fini a mance,
che ne ricavavano da' venditori di tal genere [. . .] nello
scorso anno 1765 [. . .] essendovi stata una commune
ed ubertosa ricolta di olive, e ricavatosene ogli di mala
qualità [. . .] nacquero le premure di ogn'uno per esitarli,
[ed] essi Sansari per le regalie ricevevano da' padronali
di quelli e specialmente dalla gente ordinaria loro pari,
colla venuta dei compratori forestieri attrassavano co-
loro che non volevan soggiacere a simili estorsioni, ed
in particolare le persone eulte e primarie della Città,
cosicché per tal'effetto vi erano continuate doglianze delle
stesse avanti di me [. . .] facendomi presente il bisogno

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indispensabile che tenevano di vendere qualche poca


quantità d'ogli per sovvenire alle di loro precise urgenze
[. . .] come che [. . .] detto Schiraldi [. . .] fe' vendere
varie grosse partite di ogli di altre genti ordinarie [. . .]
stimai conveniente mortificare detto sansaro Schiral-
di [...]»»
Il caso di Bitonto non era unico. Anche nei ratizzi
dei grani per l'annona era usuale impedire ai piccoli pro-
duttori di vendere il proprio grano all'annona quando i
prezzi erano favorevoli; quando invece si presumeva che
i prezzi si sarebbero senz'altro elevati s'imponeva loro
coercitivamente il ratizzo31.
Non era facile dunque sopravvivere per i piccoli
produttori che, spesso gravati dai debiti, erano costretti
a vendere il proprio terreno. Ma non sempre l'esito di
questa scelta imposta dalle circostanze era la proletariz-
zazione piena, specie lungo la fascia costiera e premur-
giana dove prevalenti erano i fitti di piccoli appezzamenti
e ampi i comprensori dati recentemente in enfiteusi a
questa fascia di contadini proletarizzati che, pur di non
andare a vivere a giornata, si sobbarcarono a canoni di
fitto o a censi enfiteutici che non avevano precedenti.
Così la resistenza dei piccoli contadini si fa sempre più
disperata. Costretti dalle circostanze a farsi una spietata
concorrenza fra di loro, riducono sempre più il margine
di remunerazione del lavoro necessario alla conduzione
di questi piccoli fondi, consentendo alla classe proprie-
taria di realizzare ima rendita differenziale altissima.
Tanto si legge, tra l'altro, in una relazione ufficiale che
le autorità locali di Castellana inviarono nel 1783 a
Napoli: «[...] merita assolutamente di togliersi singo-
lare abuso cui regna nell'eccessiva quantità del canone,
ed è che questo per un territorio il quale si dà in enfi-
teusi, viene stabilito in somma maggiore di quello, la
quale per lo stesso si corrisponde a titolo d'affitto; o sia

30 Ibidem, fase. 148.


31 Ibidem, fase. 5.

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che ciò derivi dall'alto prezzo che da' periti si attribuisce


alli fondi per la ristrettezza del territorio, o sia per
altro falso principio, egli è questo un abuso riprovato
dalle regole legali, per le quali il vero prezzo di un fondo
principalmente si desume dalla sua rendita e questa
dalla quantità per cui in vari anni siasi locato» 32.

3. Tra le due crisi : proletarizzazione delle classi


subalterne e limiti del tipo di sviluppo avviato

Numerose sono le proteste dei censuari che addirit-


tura si vedono aumentare i canoni per le maggiori rendite
che i fondi danno in seguito alle migliorie che essi con
duri sacrifici avevano apportato33. La stessa cosa si re-
gistra per i fitti o le vendite di piccoli appezzamenti. E'
abbastanza frequente il caso di grossi proprietari che,
dopo aver comprato ampie masserie, ne rivendono parte
a piccoli lotti a prezzi così alti da aumentare la loro pro-
prietà a spese dei piccoli produttori nuovi acquirenti34.
Riguardo ai fitti si può affermare che mediamente il rap-
porto fra il canone di una piccola quota di terreno semi-
natoriale e quello di una masseria è di 3 a 1 3S. Questa
sperequazione apparirà chiaramente soprattutto quando,
dopo le leggi eversive, si quotizzeranno i demani. A
Bitonto la valutazione della rendita di un terreno di
1.213 moggia che si doveva quotizzare fu due. 2.211,
quando invece fino allora era stato fittato a un grosso
borghese per due. 400 36 .
Queste cifre, è chiaro, hanno solo valore indicativo,
perché la rendita differenziale variava col mutare delle
situazioni concrete ed era in rapporto diretto con la

32 Archivio Comunale di Castellana, Antico Regime, Carte varie dell'Università,


fase, non numerato.

33 A.S.Ba., Sacra Regia Udienza, Fascicoli Civili, fase. 188.


34 Vedi nota n. 25.
35 Vedi nota n. 25.

36 A.S.Ba., Demani Comunali, fasc.li 269 e 275.

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fame di terra dei contadini. Particolarmente alta si man-


tenne nelle zone confinanti con centri esuberanti di ma-
nodopera e per l'accelerato sviluppo demografico e per
la ristrettezza del territorio, come Terlizzi, Castellana,
Alberobello e tutti i minuscoli casali che circondavano
Bari. Nonostante il superficiale giudizio del Galanti37
su Terlizzi, questo era il punto di vista dei piccoli con-
tadini proletarizzati di Terlizzi: «In questo comune, Si-
gnore, non è sufficiente il territorio alle braccia dei
cittadini, per cui ad onta delle oppressioni che ricevono
hanno dovuto attendersi a coltivare i terreni di Bitonto,
Ruvo, Bisceglie, Molfetta e Giovinazzo, quantunque di
natura infertili, ed avanzi di quei naturali»38. Nel solo
territorio di Bitonto, soprattutto nella seconda metà
del diciottesimo secolo, i terlizzesi trasformando am-
pie zone prima abbandonate al pascolo dei locati e dei
cittadini o coltivate estensivamente, avevano acquisito
attraverso canoni enfiteutici ben 673 piccole quote per
una estensione di circa 480 vigne, facendo la fortuna dei
Rogadeo, dei Gentile e degli altri grossi proprietari bi-
tontini39. Quanto avessero potuto lucrare costoro, pro-
fittando dell'esuberanza di una manodopera disposta ad
assumersi a qualsiasi costo la conduzione in fitto o la
cessione in enfiteusi di una piccola quota, viene indicato
da una supplica, sia pure successiva, di piccoli produttori
di Alberobello, che versavano nelle stesse condizioni dei
terlizzesi: «[...] questa popolazione di 4.500 abitanti,
quasi tutti agricoli, vive nel ristretto territorio di circa
2.000 tomola, più di due terzi boscoso-incolto, e perciò
è costretta comprare dei terreni fuori territorio assai
inferiori a quelli di questo bosco, pagando gli interessi
di due. 6,7 ed anche 8 il tomolo, oltre la fondiaria»40.
Ancora più grave era forse la situazone a Castellana,

37 G. M. Galanti, Della Descrizione geografica e politica delle Sicilie, Napoli


1969, vol. II, p. 566.
38 A.S.Ba., Demani Comunali, fase. 1.290.
39 Ibidem, fase. 271.
40 Ibidem, fase. 46.

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così descritta nel 1783: «La stessa [Castellana] non ha


territorio proprio e tutto quello che possiede ha origine
da diversi acquisti onerosi che di tempo in tempo ha
fatto sopra le Università convicine. Non poco terreno
acquistò ella [. . .] sopra l'Università di Polignano ed
oggi ne paga alla medesima la buonatenenza e la decima
dei prodotti alla Vescovil Mensa di essa Città. Molt'altro
terreno demaniale comperò Castellana dall'Università di
Conversano colla comunanza del pascolo tra' suoi citta-
dini, e col peso della decima in beneficio della Vescovil
Mensa della medesima Città, la quale abusivamente ora
esige in alcuni terreni in iscambio di quella la copri-
tura [. . ]. Ne acquistò moltissimo dall'Università di Mo-
nopoli, pagando alla stessa in vigore di transazione cer-
t annua bonatenenza, con soffrire a pro' di quei cittadini
il dritto del pascolo, e quello della decima in un'esten-
sione di circa mille e cinquecento tomoli a pro' della
Vescovil Mensa della medesima Città. Acquistonne pur
anco dalla Commenda di San Giovanni Gerosolimitano
e dalla Badia di San Vito di Polignano, con pagare i
possessori di quel terreno, alla prima la decima, ed alla
seconda l'annuo canone» 41 .
Oltre tutti i pesi descritti i piccoli enfiteuti castella-
nesi, cui pure si doveva la trasformazione a vigneto di
notevoli comprensori posti fuori del proprio comune,
dovevano al Conte di Conversano, loro feudatario, la
«quindécima delle vettovaglie e la vigésima del mosto e
dell'olio»42. Nonostante le varie imposizioni assorbissero
quasi interamente gli utili della conduzione, pure «per la
ristrettezza del territorio» i canoni enfiteutici furono
aumentati al di là degli stessi livelli raggiunti dagli
affitti, fino a costringere questa massa notevole di enfi-
teuti a «portarsi nella Puglia a mietere gli altrui semi-
nati e nelle città di Monopoli, Ostuni e Taranto per

41 Archivio Comunale di Castellana, Antico Regime, carte varie dell'Università,


fase. cit.
42 Ibidem.

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raccorre ulive non proprie»43. E tuttavia questa massa


di contadini che pure sembra che in un sol colpo debba
precipitare, sopravvive. Le ragioni sono molteplici. In
realtà provocare la proletarizzazione completa di una
fascia così ampia di piccoli produttori sarebbe stato
troppo pericoloso in una società arretrata; mantenerli
nelle condizioni descritte consentiva invece: 1) di offrire
sul mercato una manodopera saltuaria che nei momenti
critici della produzione serviva a contenere i salari;
2) avere una massa di riserva che all'occorrenza avrebbe
potuto facilmente essere proletarizzata; 3) saldare il
fronte delle forze privilegiate, più largamente interessate
a questo tipo di sfruttamento, cioè a quello borghese;
4) consentire attraverso l'usura e l'intermediazione com-
merciale che si articolavano attorno alla produzione
piccolo-contadina profitti probabilmente non consentiti
da nessun altro tipo di investimento. La borghesia non
aveva alcun interesse a modificare radicalmente questa
situazione e, d'altra parte, lo stesso modo subalterno col
quale le forze produttive erano inserite nel mercato inter-
nazionale le condannava quasi in partenza, a mantenere
certe forme arretrate di produzione che ancora larga-
mente dominavano l'economia di Terra di Bari e del
Regno.
Tutto ciò però non poteva avvenire senza un enorme
spreco di energie e insieme una caduta della produtti-
vità di questi minifondi. Nonostante certi giudizi super-
ficialmente entusiasti di viaggiatori e osservatori sette-
centeschi per il vario e ricco paesaggio agrario della
fascia costiera di Terra di Bari, la realtà era ben diversa.
Proprio a Castellana, le conseguenze produttive della
situazione descritta erano così precisate nella fonte più
volte citata: «Non faceva meraviglia se così ampio vi-
gneto [. . .] faccia tanto poco vino, dappoiché essendo lo
stesso situato in terreni magri ed essendo pieno di alberi

43 Ibidem.

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di vari frutti, soprattutto di fichi, cosicché sembra un


giardino, non può rendere molto vino [...], nè si pon
troppa cura a fare, colla scelta delle uve, dei vini vera-
mente squisiti; anzi molti possessori, ove la qualità del
terreno il comporta, seminano nello stesso delle vetto-
vaglie, donde molto detrimento soffrono le viti»44. E
andando alle cause di questa bassa produttività gli am-
ministratori di Castellana ne individuano pienamente le
cause nella proletarizzazione subita dagli enfiteuti ca-
stellanesi: «Quando i Castellanesi [. . .] si saran sottratti
dagli aggravii e dalle miserie nelle quali gemono; quando
si avranno rinfrancato il debito privato di presso due.
40.000 che hanno con vari particolari forestieri [. . .] in
guisa che non debbano essere più obbligati li nostri
contadini di portarsi nella Puglia a mietere gli altrui
seminati, e nelle città di Monopoli, Ostuni e Taranto per
raccorre ulive non proprie, allora da per se stessi [. . .]
indurranno nel loro Paese il buon coltivo ai campi ed
imprenderanno la piantazione ed una migliore potagione
ai loro ulivi» 45.
Si proponeva quindi, e giustamente, di promuovere
la specializzazione delle colture con «isterpare dalle vigne
non men tanti alberi dannosi, che tant'altri meno utili»
per ripiantare altrove quelli utili, come l'olivo, fecon-
dandoli «col riposo e col letame». Ma ciò avrebbe si-
gnificato far crollare la piccola proprietà contadina che
su quella «irrazionale» combinazione produttiva riusciva
a reggersi e tutto quanto era ad essa connesso in rap-
porto ai censi, all'usura, alla intermediazione commer-
ciale. Certo non mancarono processi di ristrutturazione
borghese della piccola proprietà contadina, come mostra
il caso di Fasano, dove dai 3.427 ettari di vigneto di metà
Settecento si passa ai 960 dell'inizio dell'Ottocento e
viceversa si passa nello stesso periodo da 1.521 a 3.959

44 Ibidem.
45 Ibidem.

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ettari di oliveto46. Ma a parte il quadro complessivo in


cui si inserivano queste ristrutturazioni, resta il fatto
che certi limiti non potevano essere superati, senza
compromettere gli equilibri complessivi del processo di
sviluppo avviato.
Va poi precisato che nella maggior parte dei casi,
la ristrutturazione consisteva quasi esclusivamente nella
specializzazione delle colture, restando il processo pro-
duttivo affidato quasi sempre al piccolo Attuario. Orga-
nizzava questi certamente il processo produttivo in modo
più efficiente del piccolo-contadino «castellanese» che
abbiamo descritto, anche perché minute clausole contrat-
tuali lo vincolavano ad una conduzione fissata secondo le
più rigorose «regole dell'arte» come richiedeva un prodot-
to - l'olio - che era destinato all'esportazione 47. Ma anche
a non voler supporre che l'aggravamento dei fitti 48 , specie
negli ultimi decenni del secolo, non abbia provocato un
calo del livello medio di produttività, resta il fatto che
il processo produttivo era affidato solo ai limitati mezzi
tecnici della piccola conduzione.
Se questa era la condizione dei piccoli-contadini del-
la zona del vigneto che si estendeva a sud-est di Bari e
dei piccoli Attuari della zona ad oliveto specializzato, diffu-
so attorno ai centri di esportazione dell'olio, alquanto
diversa era la situazione dei piccoli-produttori nella
Murgia cerealicolo-pastorale. Aveva qui importanza fon-
damentale per la condizione contadina l'avanzata dell'in-
dividualismo agrario, che nella seconda metà del Sette-
cento fu così ampia da intaccare seriamente i diritti dei

46 Per i dati desunti dal Catasto Provvisorio confronta D. Demarco, La proprietà


fondiaria in Provincia di Bari al tramonto del sec. XVIII, in Terra di Bari
all'aurora del Risorgimento, Bari 1970, pp. 260-61. I dati a metà Settecento sono
tratti da una tesi di laurea sul Catasto ondano di Fasano, depositata presso
l'Istituto di Storia Moderna della Facoltà di lettere dell'Università di Bari.
47 Vedi nota n. 25.

48 L. Palumbo, Il prezzo delle derrate agricole sulla piazza di Molfetta dal 1778
al 1805, in «Annali dell'Istituto di Storia Economica e Sociale di Napoli», 1967,
p. 6 dell'estratto.

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cittadini e dei locati e da mettere in crisi persino la


rete intricata di promiscuità che legava i comuni tra
loro. Certo la reazione congiunta delle classi subalterne,
dei locati, della piccola borghesia armentizia, insieme a
contraddizioni interne alla stessa classe dirigente, con-
sentirono di contenere, soprattutto prima della pram-
matica del 1792, la spinta irresistibile alla privatizzazione.
Tanto che a Cassano nel 1753 e poi nel 1775 si ottenne
che fossero ridotte «esecutivamente ad pristinum tutte
le innovazioni fatte dal Principe di Acquaviva» insieme
a quelle fatte «dallo stesso Principe di Acquaviva e suoi
concessionari tanto cittadini quanto della Terra di S.
Eramo, Cassano ed altri luoghi convicini» 49. E a Noci, sot-
to l'egemonia della piccola borghesia armentizia, si riuscì
a strappare all'ingordigia degli usurpatori borghesi e
del Conte di Conversano la privatizzazione di due vasti
boschi, mantenendo così la possibilità di esercitare su
una vasta estensione gli usi civici dietro tenue pagamento
di fida e, nello stesso tempo, riducendo col ritratto le
gabelle che pesavano gravemente sui ceti popolari 50 .
Tuttavia, specie dove più saldo e vasto era l'arco delle
forze sociali che premevano per la privatizzazione, l'usur-
pazione dei demani fu quasi piena, e gravemente leso
fu il livello di vita delle classi subalterne.
Il grosso dei piccoli-produttori era costituito nella
zona murgiana da una fascia cospicua di terraggieri che.
con la messa a coltura di vasti territori, soprattutto
dopo la crisi del 1764, era notevolmente aumentata. Ma
le modificazioni intervenute nel regime delle terre e
nell'assetto complessivo della società avevano gravemen-
te minato il loro livello di vita e la stabilità stessa del
loro rapporto con la terra. L'emancipazione dal terraggio
dei terreni condotti direttamente dai borghesi aveva aggra-
vato le prestazioni dei terraggieri sui demani feudali ed ec-

49 A.S.Ba., Demani Comunali, fase. 352.


50 Ibidem, fase. 958.

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clesiastici 51, mentre sulle terre concesse dai feudatari allo


sfruttamento borghese i novelli terraggieri pagavano, ol-
tre la prestazione in natura al feudatario, anche un fitto
in denaro52. Laddove i borghesi erano riusciti ad eman-
ciparsi dalla tutela feudale anche sui terreni non con-
dotti direttamente, la prestazione era spesso tutta in
denaro e acquisiva la caratteristica di un vero e proprio
fitto, ma in questo caso i terraggieri non ne erano avvan-
taggiati, perché erano costretti a pagare tutto in denaro,
quando in altri casi pagavano in parte in natura. Anche
a voler considerare quanto pesasse sulle spalle dei ter-
raggieri l'ordinario terraggio prestato sui demani ex-
feudali, cioè 1 tomolo di grano per un tomolo di terra,
la loro situazione doveva essere molto precaria. Se nel
decennio francese la resa media del grano nel distretto
di Alt amura superava di poco, in una annata normale,
il rapporto di 1 a 5 53, possiamo ben comprendere che
cosa restasse a questi terraggieri, una volta detratta
la semenza per l'anno successivo (1 tomolo) la presta-
zione al feudatario (1 tomolo), i pesi catastali, le gabelle,
gl'interessi usurai, l'intermediazione dei medi e grossi
incettatori di grano; soprattutto se si aggiunge che il
grano da essi prodotto veniva pagato molto al di sotto
dei prezzi correnti perché non era esportabile sui mer-
cati esteri, e che la mancanza o la inadeguatezza anche
dei più comuni ed elementari strumenti agricoli, la
necessità di andare a giornata proprio nei periodi dei
coltivi e la sterilità naturale delle terre che venivano loro
lasciate, dovevano certamente far cadere le rese dei
terraggieri molto al di sotto del livello medio. Questi
terraggieri avevano spesso un asino e qualche pecora ed
era loro essenziale l'esercizio degli usi civici per portare

51 Archivio Pomarici - Santomasi di Gravina, Per lo Duca di Gravina contra U


Capitolo di quella Chiesa, Napoli 1783, pp. 30-31.
52 A.S.Ba., Sacra Regia Udienza, Fascicoli Civili, fase. 400.
53 Archivio di Stato di Napou, Ministero Interno, II Inventario, fase. 5C5.
D'ora innanzi A.S.Na.

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a pascere gli animali e per lucrare qualcosa andando a


legnare, a spigare, a raccogliere galle, etc. Ma l'avvio del
processo di privatizzazione anche per questo verso limitò
gravemente il loro livello di vita portandolo ai limiti della
proletarizzazione.
Ancora più drammatico fu il destino di coloro che,
pur seminando talora qualche pezzo di terreno, vivevano
prevalentemente conducendo al pascolo qualche decina
di pecore, quando la nuova borghesia privatizzò ampie
estensioni demaniali, s'impossessò degli acquari e co-
strinse i piccoli pastori a pagare canoni di fitto esosi
per ottenere l'uso di quei pascoli che prima erano aperti
a tutti. Per l'industria armentizia poi, la sperequazione
della resa in rapporto alle dimensioni aziendali era an-
cora più grave che in agricoltura. Tanto osservava al
proposito il Sottintendente del distretto di Altamura in
un rapporto del 1807: «[...] l'industria degli animali,
acciò sia profittevole, richiede un numero competente
dei medesimi, 1) perché la manipolazione dei latticini è
più perfetta, quanto maggiore è la quantità del latte che
si coagola, e minore sfrido si ottiene nella manipolazione
di una grande massa, che in quella di una quantità
eguale divisa in molte parti. 2) Per la conservazione delle
razze, e per non farle imbastardire, è necessario che gli
animali pascolino separati in certe stagioni dell'anno, le
pecore per esempio in disparte dalle agnelle, i montoni
dalle pecore. Per ottenere questo si richiedono tanti
custodi separati. Ora qual Padre di famiglia sarà tanto
cattivo economo, che per cinquanta o sessanta pecore,
voglia addossarsi la spesa di due o tre custodi?»
Così si spiega come nel 1835, a compimento di un
processo che era iniziato nella seconda metà del Sette-
cento gli animali ovini che pascolavano isolatamente,
cioè che erano condotti da piccoli pastori, si erano
ridotti in Terra di Bari appena a 2.000 capi, pari allo
0,6% del patrimonio complessivo e permanevano nei

54 A.S.Ba., Demani Comunali, fase. 721.

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soli comuni di Alberobello, Casamassima, Castellana,


Noci, San Michele, San Nicandro e Terlizzi 55 . Dove vanno
a finire dunque i piccoli pastori del Settecento? Parte
passano ad altre attività, parte vengono assorbiti nelle
nuove grandi masserie di pecore che la borghesia viene
organizzando sui terreni demaniali usurpati e solo alcuni
sopravvivono riunendo in mandrie «collettizie» 56 le pro-
prie pecore. Di questa crisi non mancò di profittare
la borghesia che, almeno ad Altamura, usava largamente
condurre in proprio la masseria di campo e fittare con
estagli esosi i terreni erbosi a questi piccoli pastori con
l'impegno reciproco di dare il pastore il letame dei
propri animali al proprietario e questi al pastore una
determinata quantità di paglia e di pagliaccia che ser-
vivano agli animali57. Tuttavia nelle zone murgiane più
che altrove si organizzò attorno alla masseria un'ampia
produzione basata sul lavoro salariato e destinata al
mercato. Sorsero in questi anni nuove masserie e si
migliorarono quelle già esistenti ed anche il ceto nume-
roso dei fittavoli che non avevano grossi mezzi finanziari,
profittando dei più contenuti livelli dei canoni58 e dei
salari, seguiti alla crisi degli anni Sessanta, poté dare un
certo contributo allo sviluppo delle forze produttive59
D'altro canto però agivano da forza frenante e le con-
seguenze negative della rottura sempre più evidente
dei tradizionali equilibri fra pastorizia e agricoltura, così
necessari in una agricoltura che permaneva sostanzial-
mente arretrata, e la nuova aggressività dei pastori e
degli allevatori di bestiame che, ristretti in margini
sempre più limitati, spesso finivano per deludere gli
sforzi degli agricoltori. Sicché, in fondo, solo un numero
molto ristretto di grossi proprietari e di grandi fittavoli
dotati di grossi mezzi finanziari riuscirono ad orga-

55 A.S.Na., Ministero Interno, II Inventano, fase. 546.


56 V. Ricchioni, La Statistica del Reame di Napoli del 1811, Trani 1942, p. 156.
57 Vedi nota n. 25.
ss Vedi nota n. 25.

59 A.S.Ba., Sacra Regia, Udienza, Fascicoli Civili , fasc.li 52, 63 e 70.

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nizzare su basi più moderne la produzione delle loro


masserie e ad avere la forza e il prestigio sociale ne-
cessari per impedire l'invasione del bestiame altrui sulle
proprie terre. Anzi per questi il regime delle terre aperte
finiva per divenire un vantaggio, giacché essi commette-
vano sui terreni altrui quel che agli altri non era consen-
tito sui propri. Perciò nella zona murgiana il modesto
sviluppo delle forze produttive che si registrò rimase
ristretto sostanzialmente alle poche masserie condotte
dai grossi proprietari e dai grandi fittavoli e, quel che
è più, l'aumento delle rese che in esse si registrò fu
dovuto meno alla trasformazione del processo produttivo
di quanto dipendesse dal prestigio sociale e dall'arro-
ganza dei grandi proprietari.
Anche nella Murgia, dunque, come altrove e per le
stesse ragioni che abbiamo innanzi addotte, la grossa
massa dei terraggieri e dei piccoli pastori non viene in
senso proprio proletarizzata, pur se lo è di fatto. Ma
solo così si riesce ad ottenere un equilibrio del corpo
sociale e del sistema economico. La parte proletarizzata
costituisce il nuovo esercito dei salariati più o meno
fissi delle masserie borghesi che vanno sorgendo sui
terreni demaniali usurpati, la grossa fascia dei terrag-
gieri offre una manodopera aggiuntiva nei momenti di
punta della fase di coltivazione, i piccoli-contadini pro-
letarizzati della fascia costiera e della Basilicata rappre-
sentano un serbatoio di manodopera da cui attingere
nel periodo della mietitura, senza del quale sarebbe
stato impensabile avviare quel tipo di riorganizzazione
del paesaggio agrario murgiano che si era realizzata
attorno alla masseria. C'è dunque una profonda unità
che lega la possibilità di organizzare più modernamente
la produzione in poche masserie della Murgia, alla de-
gradazione colturale della piccola vigna del contadino
castellanese o del campo di grano del «terraticante»
altamurano; che lega l'economia della zona interna a
quella della fascia costiera. Ed è proprio questo squili-
brio fra un ristretto numero di aziende che non raggiun-

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gono mai una organizzazione capitalistica del processo


produttivo e una fascia numerosissima di piccoli pro-
duttori proletarizzati a definire il carattere «coloniale»
del tipo di sviluppo che investì il mezzogiorno nel sec.
XVIII e a giustificare la successiva stagnazione dell'eco-
nomia meridionale fino alla regressione del Sud ad area
sottosviluppata.
A completare il quadro delle classi subalterne in
questi anni resta da esaminare come si era venuta
modificando la condizione di quella fascia di proletariato
agricolo che era divenuta molto consistente dopo la
crisi del '64.
Abbiamo già detto avanti che quella crisi comportò
una contrazione dei salari. La situazione non si modificò
in seguito, soprattutto perché lo sviluppo demografico
e la emarginazione lenta ma continua di piccoli produt-
tori assicuravano quasi naturalmente quell'aumento del
proletariato agricolo che era necessario a sostenere il
non impetuoso processo di riorganizzazione produttiva
che la nuova borghesia andava realizzando. Ma co-
minciò a farsi grave quando, in una situazione di persi-
stente stabilità salariale, continuarono a salire le pigioni
di casa e i prezzi delle derrate, al di là di ogni limite
prima raggiunto. Particolarmente esposto agli aumenti
dei fitti delle case era il proletariato urbano che nel
1772 aveva a Barletta quasi aggredito l'ufficiale della
Regia Udienza inviato in loco dietro ricorso della stessa
Università, a rendersi conto della situazione. E questa
doveva essere davvero tesa se lo stesso magistrato am-
metteva che le alterazioni dei fitti ascendevano «a somme
non piccole anzi talune per il terzo, altre per il quarto
dippiù dei prezzi primieri ed altre meno» e lo stesso
sindaco affermava che ormai non si poteva più andare
avanti perché «le fatiche dei poveri quasi tutte si spen-
dono e s'impiegano per detti alterati piggioni» fino a
non poter «alimentar per tal effetto le povere famiglie».
Nel generale rincaro dei fitti, quelli che maggiormente
subiscono gli aumenti sono i ceti popolari. Alcuni notai

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barlettani testimoniano di «sapere benissimo» che i pa-


droni di case «nei nuovi affitti e locazioni che anno ad
tempus conceduti, àn procurato sempre alterarne per
quanto àn potuto l'annuo estaglio, spezialmente colla
Gente Plebbea, con cui sono stati perloppiù soliti con-
cederle per un sol anno, e per tali motivi di continuo ne
sono precorse, come tuttavia ne precorrono le doglianze,
e si rendono inabilitati detti affittatori per simili altera-
zioni all'adempimento degli altri pesi che loro sovra-
stano». Senza dire che «a tal miseria si aggiungeva]
l'altra delle persecuzioni perché non possono adempire
al più del dovere»
Anche l'aumento dei prezzi delle derrate contribuiva
non meno a far cadere il potere d'acquisto dei salari
e non tanto perché prima dell'ultimo decennio del secolo
i prezzi, secondo la voce, fossero aumentati di molto
rispetto al passato, ed anzi si erano mantenuti quasi
stabilmente intorno ai 15-16 carlini, su livelli cioè ancora
sostenibili. Il fatto nuovo e preoccupante era costituito
dall'elevarsi notevole delle oscillazione stagionali che or-
mai stabilmente si aggiravano attorno al mezzo ducato 61 .
Se poi aggiungiamo le spese di molitura e di panifica-
zione e la gabella sulla farina, voci tutte che, in una
situazione surriscaldata, tendevano anch'esse ad elevarsi,
possiamo comprendere la decurtazione che i salari reali
andavano subendo. Né la disciplina annonaria poteva
valere a preservare il livello di vita delle masse popo-
lari. L'annona fu nelle mani della borghesia locale, né
poteva essere diversamente, un altro strumento di spere-
quazione sociale. A parte il fatto che di regola ai ratizzati
veniva concesso un carlino in più sul prezzo di mercato
che correva quando veniva fatta l'annona, la capacità
di controllo che la borghesia aveva ormai acquisito nelle

60 A.S.Ba., Tribunali Superiori Antichi, fase. 103.


61 A.S.Ba., Monasteri Soppressi , Bari, fasc.li 8-10; e Demani Comunali, fase.
850. Vedi inoltre L. Palumbo, Art. cit., pp. 10-11 dell'estratto: e G. Masi, Op. cit.,
pp. 110-11.

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amministrazioni comunali le consentiva di obbligare i


piccoli produttori a consegnare i loro grani nei magazzini
comunali quando si era certi che i prezzi sarebbero saliti
e a impedire che questi li potessero vendere all'università
quando i prezzi erano alti e non si poteva sperare di più,
monopolizzando in questo caso una ristretta cerchia di
grossi produttori i vantaggi della favorevole situazione.
Ma c'era anche un altro sistema per profittare del regime
annonario, allorché le oscillazioni stagionali dei prezzi as-
sunsero un andamento profondamente contrastante: i
grossi produttori locali vendevano i propri grani all'anno-
na quando i prezzi erano in cima alla curva ascendente;
quando poi i prezzi del grano calavano e l'università era
costretta a mantenere invece allo stesso livello di prima il
prezzo del pane, gli stessi profittavano di ciò, facendo pa-
nizzare privatamente i loro grani che in quel momento va-
levano molto meno. Così i grani dei privati si panizzavano
e quelli comprati a caro prezzo col pubblico denaro re-
stavano invenduti. Le soluzioni praticate in queste circo-
stanze erano due: o gravare sull'erario comunale per
equiparare il prezzo del pane annonario al prezzo di
mercato del grano, oppure - ed era la soluzione più
frequente e più favorevole ai grossi produttori locali -
ratizzare in quote uguali su centinaia di produttori anche
piccoli e medi i grani rimasti invenduti, allo stesso
prezzo con cui erano stati comprati. In ambedue i casi
i sovraprofitti di pochi speculatori finivano per essere
pagati dai piccoli produttori e più generalmente dalle
masse popolari62. Fu così che a poco a poco cominciò
a modificarsi la composizione della dieta ordinaria delle
classi subalterne, investendo non solo il proletariato
agricolo, ma anche una fascia cospicua di piccoli produt-
tori. Al pane di grano si sostituiva in parte il pane
d'orzo e la fava e, quando i prezzi si mantenevano parti-

62 A.S.Ba., Tribunali Superiori Antichi, fasc.li 5-6, 11. Vedi inoltre G. Masi,
op. cit., pp. 107-9 e D. di Gennaro, Annona ossia Piano Economico di pubblica
sussistenza, Milano 1805, pp. 27-28.

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colarmente alti, la quota dei cereali inferiori e dei legumi


diveniva così prevalente da far scomparire quasi com-
pletamente il grano dalla mensa di gran parte delle
classi subalterne.
A deteriorare poi il livello di vita e del proletariato
agricolo e dei piccoli produttori era intervenuto in questi
anni un altro fattore importante: la caduta della fun-
zione sociale degli enti ecclesiastici63. Sarebbe inutile
qui ricordare minutamente le varie fasi della legislazione
antiecclesiastica del governo borbonico. Basterà rilevare
soltanto che i provvedimenti legislativi divennero sem-
pre più incisivi nel mettere in crisi questo supporto fon-
damentale dell'antico regime e che, su questo come su
altri piani, la borghesia non sarebbe mai riuscita a
vincere la propria battaglia, se non avesse guadagnato
ai suoi interessi l'apparato repressivo dello stato. Limi-
tata fortemente l'autonomia prima goduta nei confronti
del potere statale, posti alle leve di comando dell'orga-
nizzazione ecclesiastica del Regno una serie di convinti
assertori del «nuovo corso», impossibilitati da una serie
di leggi opportunamente studiate a fruire delle possi-
bilità di rafforzamento che il recente sviluppo consentiva,
ed anzi taglieggiati in tutti i modi fino alla liquidazione
e alla soppressione completa di una grossa fetta di beni
che possedevano, gli enti ecclesiastici furono lasciati in
pasto alla feudalità laica o alla borghesia locale che
spesso, saldamente rappresentata all'interno dei capitoli
e degli enti ecclesiastici, riuscì a fare la parte del leone.
Una parte degli ecclesiastici reagisce a questa espro-
priazione violenta e qualche volta giunge persino a solle-
citare e ad organizzare la reazione delle masse alla ge-
stione discriminatoria e di rapina degli enti condotta da

63 Per Terra di Bari interessanti al riguardo sono gli articoli di G. Mast,


I monti frumentari e pecuniari in Provincia di Bari, in «Studi in onore di Amintore
Fanfani», Milano 1962, vol. V, pp. 341-409; e di L. Palumbo, Le confraternite laicali
di Molfetta nella seconda metà del settecento, in «Terra di Bari all'aurora del
Risorgimento», Bari 1970, pp. 565-81.

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986

elementi filoborghesi64. Ma questa difesa rimane sempre


confinata entro i limiti di una lotta di potere, che non
riesce quasi mai ad assumere un significato più ampio.
Uno degli obiettivi preferiti della lotta della borghesia
furono i monti frumentari e dei pegni che tradizional-
mente avevano assolto al sostegno delle iniziative dei pic-
coli coltivatori. Ad Acquaviva sin dal 1589 era stato
fondato un «Monte di pietà di pegni dei Poveri» che con-
sentiva ai poveri di «pignorare e spignorare ciocché l'ag-
grada senza alcun interesse». Durante la crisi del '63-'64,
quando maggiore si fece l'urgenza, l'amministrazione filo-
borghese rese impraticabile alle masse popolari il ricorso
a questa benefica istituzione, provocando una reazione
così violenta da giustificare l'invio di un regio ministro.
Si venne quindi nel novembre del '64 alla stipulazione di
una convenzione che avrebbe dovuto garantire «i poveri»
dagli abusi di potere e dalla corrotta amministrazione
borghese. Ma nel '65, quando ancora non si era usciti
dall'occhio del tifone, nonostante fosse stabilito per
statuto che il Monte dovesse essere tenuto aperto almeno
una volta la settimana, gli amministratori lo tenevano
chiuso «senza potervisi pignorare, quantunque rade volte
si fosse dato luogo per spignorare, di che tutti li poveri
altamente si dolgono». E allorché nel marzo '66 il Monte
fu riaperto i criteri di elargizione dei prestiti rimasero
sempre gli stessi. Lo stesso giudice inquirente ammise
che soleva «accadere, come infatti anni addietro è avve-
nuto, che i pegni che si ricevevano i Governatori, per far
cosa grata ai pignoranti e forse anche per far loro qualche
profitto, non erano equivalenti nemmeno per la metta del
danaio che davano; anzi alle volte si sono ricevuti pegni
fittizi o falsi» 65 . Quali poi potessero essere, così stando le
cose, i destinatari di questa assistenza ognuno può imma-
ginare.
Ma quel che più pesò sul livello di vita delle classi

64 A.S.Ba., Tribunali Superiori Antichi, fasc.li 3 e 13.


65 Ibidem, fase. 3.

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987

popolari non fu soltanto il venir meno della tradizionale


struttura assistenziale, quanto ormai la partecipazione
attiva degli stessi enti ecclesiastici alla decurtazione del
reddito dei ceti popolari, attraverso una gestione delle
confraternite dei mestieri, tutťaffatto contraria alle fi-
nalità che le avevano viste sorgere. A Barletta i marinai
e i padroni di barche avevano sempre fatto parte della
locale confraternita di San Cataldo. La quota di parteci-
pazione era ascesa fino al 1774 a 8 ducati per ogni barca,
pari all'I % del salario complessivo che una barca poteva
distribuire annualmente fra i marinai. Queste elemosine
in passato, oltre ad assicurare le spese dei funerali dei
confratelli che morivano, era servita soprattutto «a sov-
venire i confratelli [...] poveri infermi ed impotenti».
Negli ultimi tempi non solo si era dismessa ogni assi-
stenza ai marinai, riducendosi le spese «alle messe nei
soli dì festivi, alla festa del Santo, ed alle spese dei
funerali dei marinai confratelli», ma dal 1774 la contri-
buzione era stata elevata a due. 25 per ogni barca, fa-
cendo salire le entrate della confraternita a circa 850
ducati all'anno. Si aggiungeva a questo che i marinai,
pagando la loro rata al padrone della barca, non potevano
sottrarsi alla contribuzione, mentre non sempre i padroni
la versavano alla confraternita e spesso intascavano addi-
rittura le rate dei propri marinai66. Non diversa era la
situazione delle numerose confraternite di bracciali. A
Toritto i locali amministratori della Congregazione del
Santissimo Sacramento usavano rendere i conti ma tene-
vano «in mano loro» il denaro invece di depositarlo in
cassa «per servire ad ogni richiesta e bisogno della Con-
fraternita».
Il magistrato inquirente, appurata la fondatezza della
denuncia, fece depositare in cassa dagli amministratori
passati morosi una buona somma e impegnò gli altri che
avevano chiesto una dilazione, a ricostituire subito il
peculio della Confraternita che ascendeva a ben 780

66 Ibidem, fasę. 109.

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ducati. «Ma che! non solo non si è incassata la detta


somma, giusta l'obligo fatto, ma si è tolta dalla Cassa la
poca somma che il [magistrato] Caldoni vi fece met-
tere» 67 .
Anche a Noicattaro i bracciali iscritti alla Congre-
gazione di San Donato si lamentavano perché i Padri Car-
melitani si erano impossessati di circa 1.000 ducati «sotto
il finto pretesto di celebrarne tante messe dal fruttato dei
medesimi», avevano occupato il loro antico oratorio
costringendoli a sostenere una nuova spesa per costruirne
un altro, e li avevano infine obbligati a «contribuire in
tutte le feste solenni la cera per gli altari» della loro
chiesa e a «sborsare» due. 27 per ogni confratello che
moriva, quando la sola quota di iscrizione e l'ordinaria
rata annuale pagata dai confratelli bracciali aveva fino
allora assicurato loro i funerali senza alcuna spesa68.
Ma ormai «lo spirito del secolo» investe gli uomini
e le istituzioni, travolgendo ogni residua funzione sociale
svolta nel passato dagli enti ecclesiastici. Anzi spesso sono
proprio questi enti ad essere alla testa di iniziative spe-
culative che danneggiano gravemente gli interessi po-
polari, rincarando i fitti di case69, panizzando privata-
mente i grani quando il pane annonario corre a prezzo
più alto del prezzo del grano70 o succensendo «con
scandaloso mercimonio» terreni per i quali essi non
pagavano che canoni irrisori 71 . Tanto scriveva in un rap-
porto ufficiale a Sua Maestà la Sacra Regia Udienza di
Trani dopo il forte rialzo dei fitti registratosi a Barletta
nel 1772 : «[...] siamo di parere che debba frenarsi l'ecce-
dente avidità dei possessori delle case, e segnatamente de-
gli Ecclesiastici, li quali richiamando in pratica quei senti-
menti di carità e l'obbligo loro corre verso i poveri, non

67 A.S.Ba., Sacra Regia Udienza, Fascicoli Civili , fase. 466.


68 Ibidem, fase. 380.
69 A.S.Ba., Tribunali Superiori Antichi, fase. 103.
70 Ibidem, fase. 11.
71 A.S.Ba., Sacra Regia Udienza, Fascicoli Civili , fase. 204.

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osino di moltiplicare le di loro entrate con mezzi che si


oppongono alla virtù ed alla ragione [. . .]»72.

4. Crisi di -fine secolo : forme di lotta e livello della


coscienza di classe dei contadini meridionali

Queste furono dunque le modificazioni che grosso


modo dal '64 fin verso la fine degli anni '80 erano inter-
venute ad aggravare la condizione complessiva delle
classi subalterne. E tuttavia la loro capacità di resistenza
non era stata ancora piegata completamente. Sul fronte
piccolo contadino la favorevole situazione del mercato
aveva consentito, pur sempre all'interno del quadro che
abbiamo descritto, una notevole stabilità della proprietà
piccolo-contadina rilevabile dal calo deciso delle vendite
dei piccoli appezzamenti che seguì alla crisi degli anni
'60 73. D'altra parte il proletariato agricolo, profittando
delle strozzature che in certi momenti venivano a veri-
ficarsi nel mercato del lavoro a seguito delle trasfor-
mazioni e della messa a coltura di vaste zone incolte, era
riuscito ad imporre tra la fine del settimo e l'inizio del-
l'ottavo decennio ritocchi consistenti dei salari fino a
superare decisamente i livelli salariali degli anni prece-
denti la crisi del '64 74. Così la nuova fase espansiva por-
tava ad una nuova situazione di rigidità dei salari che
aggravò notevolmente la tensione sul mercato del lavoro,
soprattutto verso la fine degli anni '80, quando i prezzi
delle derrate giunsero a livelli ancora più alti del '64 7S.
A Bitonto nel 1789 la caparra che si dava ai mietitori era
giunta ad «un prezzo alteratissimo» e i padroni erano ri-
corsi addirittura alla magistratura per far condannare i
braccianti che non si «erano presentati al lavoro» in ob-

72 Vedi nota n. 69.


73 Vedi nota n. 25.
74 Vedi nota n. 28.
75 Vedi nota n. 61.

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990

bedienza alle clausole contrattuali 76 . Nel 1791 la fretta che


in tutti c'era di raccogliere le olive attaccate dalla mosca
olearia, aveva fatto «incarire a tal segno il prezzo delle
raccoglitrici che taluni [proprietari] in alcuni luoghi cre-
derono miglior partito abbandonare le ulive»77.
D'altra parte la sempre più ampia fascia di prole-
tariato agricolo, dismesso ogni rapporto stabile con la
terra e compresso nelle sue esigenze vitali, aveva ormai
perduto i costumi e la mentalità piccolo-contadina, ac
cumulando nel suo seno una carica eversiva, che in questi
anni già emergeva chiaramente attraverso l'intensificarsi
dei furti e il costituirsi di comitive di briganti. Così un
documento del 1783 registra questo nuovo clima:
«Era usanza non molti anni addietro, che le ragazze
e li ragazzi, li quali andavano in campagna a ricogliere le
olive, le suscelle, o per altre faccende, non partivano la
mattina né ritornavano la sera senza essere accompagnati
col massaro: ora questa usanza è cessata, ed altra nuova
in suo luogo n'è sopravvenuta, che li ragazzi e le ragazze
vanno e tornano solo e sola, e con quella compagnia che
più lor piace, senza guida, per che due mali ne sono soprag-
giunti: lo uno si è che nel ritornare la sera rubano olive,
suscelle ed altra frutta secondo porta la stagione; l'altro
è il libertinaggio li cui pessimi effetti per rapporto all'a-
gricoltura e il riparo da darsi sono stati riconosciuti
anche nella Toscana [. . .]»78.
Anche la tradizionale solidità della famiglia contadina
era uscita profondamente scossa dalle modificazioni in-
tervenute nella società:
«E' anche osservazione fatta in questa provincia, che
in quelli paesi nelli quali i lavoratori sogliono ritirarsi
dalla campagna il giorno circa le ore venti, la mercede
ossia la giornata se la mangiano e bevono dentro le

76 G. Masi, Op. cit., p. 75.


77 G. M. Giovene, Discorso meteorologico campestre per Vanno 1791, in «Raccolta
di tutte le opere», parte II, Bari 1840, p. 86.
78 Archivio Provinciale db' Gemmis, Atti Comunali , cart. XV, fase. 3.

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taverne coi loro compagnoni, e lasciano digiune la moglie


e le figlie» 79 .
Espulso violentemente dalla società, il proletariato
reagiva altrettanto violentemente. Così uno scrittore con-
temporaneo guardava con preoccupazione all'addensarsi
di grosse concentrazioni di operai agricoli nelle grosse
masserie pugliesi :«[...] gli operai che la cultura di si am-
pie masserie sostengono sono i fuggitivi delle più lontane
provincie del Regno o per cagion di debito o di delitto
[...], essi uccidono i buoi, rubano la caparra e la sementa,
appiccano il fuoco alle mete ed esercitano, singolarmente
nella state, la infame arte dei grassatori» 90 . Per contenerne
l'aggressività sociale le amministrazioni comunali avevano
già in questi anni cominciato ad erogare «elemosine» a
favore dei braccianti nei periodi di forzata inattività81.
Ma i furti, gli incendi, le grassazioni dei braccianti agri-
coli non erano qualcosa da potersi accostare alla delin-
quenza comune, erano una risposta di classe ai soprusi
commessi dai padroni, come il Giovene aveva acutamente
osservato descrivendo la condizione della punta più a-
vanzata del proletariato agricolo, i mietitori: «I mietitori
[. . .] scorrono da una Provincia all'altra. Felici, se ripor-
tassero sempre nelle loro case prospera salute, ed un one-
sto guadagno, che ristori le loro improbe fatiche! Ma acca-
de talvolta, che portino di ritorno il seme di terribili ma-
lattie, che spargono miseramente nelle loro famiglie [. . .]
e spesso la loro giusta mercede è dimidiata con frodi,
con pretesti, e con false misure dall'ingordigia, anzi dirò
meglio, dalla iniquità, e dall'inumana barbarie di qual-
cuno dei proprietari [...]. Si è detto, e si dice, che i
contadini sono divenuti astuti, ingannatori, e fraudolenti.
Sì, perché la corruzione, ed il contagio da noi si è propa-
gato ad essi. I contadini si veggono defraudati, ingannati,
e credono una giustizia di compenso l'ingannare e il

79 Vedi nota precedente.


80 V. Ricchioni, Op. cit., p. 164.
81 G. Masi, Op. cit., p. 74.

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defraudare. Non sono però certamente i contadini quelli,


che portano la battuta, e danno il tuono, e la voce in
questa musica»82.
Ma verso la fine degli anni '80 l'evolversi della si-
tuazione metteva seriamente in crisi anche la fascia pic-
colo-contadina, che dagli anni successivi alla crisi del '64
alla fine dell'ottavo decennio, aveva costituito un supporto
fondamentale dell'equilibrio sociale complessivo. Il gene-
rale rincrudimento della pressione fiscale83 e la volontà
ormai dichiarata da parte della borghesia di privatiz-
zare completamente le terre aperte costituiva, soprat-
tutto per i piccoli produttori della zona murgiana, più
che un nuovo attacco al loro livello di vita, una lotta
ormai aperta alla loro stessa sopravvivenza. D'altra parte
i recenti bruschi aumenti dei prezzi delle derrate 84 e degli
affitti delle case 85 elevatisi ormai stabilmente a livelli
superiori a quelli registrati nella stessa crisi degli anni
'60, costituivano un moltiplicatore formidabile della ten-
sione salariale e sociale complessiva, alla quale non c'era
sbocco al di fuori di uno scontro di vasta portata che
ridefinisse per un intero ciclo storico i nuovi rapporti di
forza tra le varie classi.
Che la crisi apertasi avesse portata storica, emerge
chiaramente e dal carattere tutt'affatto nuovo, proleta-
rio, delle reazioni delle classi subalterne al massiccio
attacco che si stava portando al loro livello di vita, e
dalla necessità per la borghesia di portare a termine,
con un ultimo scontro vigoroso, la lotta fino allora con-
dotta entro i binari legali contro le vecchie classi privi-
legiate. E' in questi anni che il processo di espropria-

82 G. M. Giovene, Discorso meteorologico campestre per Vanno 1796, in Op. cit.,


pp. 213-14.
83 La pressione fiscale pesò sulle classi subalterne non solo direttamente,
ma soprattutto indirettamente, per la forza che la classe dirigente ebbe di scaii-
care su di esse una parte consistente dei suoi pesi. Per tutti vedi L. Bianchini,
Storia delle Finanze del Regno di Napoli, Napoli 1859.
84 Vedi note n. 61 e n. 107.
85 Vedi note n. 105 e n. 106.

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zionę violenta degli enti ecclesiastici attraverso il sistema


delle liquidazioni acquista una progressione ed una in-
tensità senza precedenti86 e che la borghesia, abban-
donata la via del ricorso alle supreme magistrature,
non solo si sottrae di fatto al pagamento di pretesi diritti
e crediti feudali ma, attraverso scontri violenti, intacca
seriamente il prestigio e la consistenza economica della
feudalità rifiutandosi in modo generalizzato di prestare
il terraggio 87. A Turi, a Toritto, a Spinazzola, a Sanni-
candro, a Putignano, a Santeramo e in altri centri la lotta
contro il pagamento del terraggio diventa una parola
d'ordine che unifica il fronte borghese nello scontro anti-
feudale, come ad Acquaviva, a Cassano, a Noci, a San-
teramo, a Gravina, ed in altri centri la lotta per la parti-
zione completa e definitiva dei demani aveva in quegli
stessi anni unificato lo stesso fronte in senso anticon-
tadino **ê Ormai la borghesia si sente matura per assumere
il potere e lo chiede con la consapevolezza che solo una
sua indiscussa egemonia avrebbe potuto consentire di tro-
vare i mezzi per arginare la nuova e preoccupante insubor-
dinazione delle classi subalterne e per dare soluzione alla
crisi produttiva che in quegli anni aveva investito l'eco-
nomia del Regno. Insieme ai prezzi delle derrate erano
infatti aumentati notevolmente anche i canoni di fitto dei
terreni. I grossi proprietari redditieri, e soprattutto gli
enti ecclesiastici, per reggere agli aumenti dei pesi fiscali
e del costo della vita, elevarono mediamente del 100%
circa i canoni praticati negli ultimi due decenni, provo-
cando come nel '64 una notevole riduzione dell'estensione

M A.S.Ba., Opere Pie, Contabilità, fase. 811; Tribunali Superiori Antichi, fase. li
15, 142 e 148; Sacra Regia Udienza, Fascicoli Civili, fase. 383. Vedi inoltre in
A.S.Na., Visite Economiche, voli. 418-19 e 585-86; Pandetta Nuovissima, fasc.li
3.546, 89.398, 2.516, 60.501 e 3.546, 89.397.
87 A.S.Ba., Demani Comunali, fasc.li 1.297, 1.406-7, 1.410, 1.260, 1.176-77 e
1.056; Sacra Regia Udienza, Fascicoli Civili, fasc.li 307 e 435.
ss A.S.Ba., Demani Comunali, fasc.li 1, 5, 7, 352-53, 368-69, 358, 362, 394, 944, 721,
725 e 1.218; Tribunali Superiori Antichi, fase. 325; Sacra Regia Udienza, Fascicoli
Civili, fasc.li 370 e 431.

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994

delle terre seminate89. Ma questa volta le conseguenze


furono ben più gravi: Io, perché nel frattempo la do-
manda era notevolmente aumentata; 2°, perché il grosso
delle terre, condotte da un ceto di fittavoli che avevano
scarsi mezzi finanziari, si erano via via isterilite; 3°, perché
messi a coltura nuovi terreni attraverso la privatizzazione
dei demani, si era ancor più scompensato quell'equilibrio
fra agricoltura e pastorizia, tanto necessario nell'eco-
nomia agricola del tempo, facendo cadere notevolmente
le rese produttive rispetto al secolo precedente. Giusta-
mente Michelangelo Calderoni, uno degli esponenti più
attivi della borghesia gravinese e fra i più acuti cono-
scitori dei problemi dell'agricoltura, osservava in rapporto
al calo delle rese: «Quando le terre erano in fresco,
quando la semina si riduceva [a Gravina] a due mila
tomoli di grano, come ve n'è l'esempio nei tempi passati,
allora si raccoglieva l'otto, il dieci e il dodeci per uno.
Questo era il frutto non dell'arte ma della natura. Es-
sendosi allargata la semina si è ristretta la raccolta,
perché la natura non può essere agiutata dall'Arte per
gl'intoppi della legge. Se si estendesse maggiormente
nello stato presente, più si ristringerebbe la raccolta per
l'istessa ragione, che più si restringerebbero li mezzi onde
soccorrere la natura. Ecco la paralisi. Nel tempo istesso
che si accresce lo stimolo in una parte del corpo, si ac
cresce la debolezza in un'altra parte: in conseguenza il
corpo non può resistere, e deve necessariamente perire» 90 .
Per risolvere questa crisi produttiva, in cui si ritro-
vano tutti i nodi del tipo di sviluppo che aveva investito
il Mezzogiorno nel secolo XVIII, la borghesia chiede il
potere per riorganizzare su nuove basi il processo pro-
duttivo, i rapporti con le altre classi e la struttura stessa
della società e dello Stato. Ma frattanto la persistenza

89 Vedi nota 25. Cfr. inoltre L. De Rosa, La crisi economica del Regno di
Napoli (e la Terra di Bari 1794-98), in «Terra di Bari all'aurora del Risorgimento
(1794-1799)», Bari 1970, pp. 59-77.
90 Archivio Pomarici - Santomasi di Gravina, Dono Calderoni fase. n. 4.

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di questa crisi approfondiva ancor più i contrasti sociali


e modificava i rapporti di forza tra le varie classi a favore
della borghesia. Le vecchie classi privilegiate infatti, se
riuscirono ad aumentare le proprie rendite mediante il
forte rialzo dei fitti dei terreni e delle case, dovettero
far fronte e all'aumento dei pesi 91 e del costo della vita,
e all'attacco deciso e generalizzato della borghesia che si
tradusse in una decurtazione consistente delle loro en-
trate. Fortemente avvantaggiata fu invece la borghesia
che aveva, a differenza dei fittavoli costretti a ridurre la
terra seminata, i mezzi finanziari per profittare larga-
mente degli aumenti dei prezzi delle derrate e la forza
sociale per ottenere rese decisamente superiori alla media.
Non esagerava infatti il Calderoni nell'affermare che se
il livello produttivo delle masserie condotte moderna-
mente si fosse generalizzato, la produzione «sarebbe stata
doppia di quella che oggi si può sperare, se si fusse semi-
nato il triplo» 92 . Ma proprio questo dislivello produttivo
dovette consentire alla borghesia guadagni favolosi qua-
si ininterrottamente dal 1788 al 1817, quando si iniziò
un nuovo ciclo di prezzi molto più contenuti.
Ma la borghesia si rafforzò notevolmente non solo
profittando degli alti prezzi o emancipandosi dal terraggio,
privatizzando i demani comunali o comprando a prezzi
irrisori i beni degli enti ecclesiastici. Come nel '64 anche
in questi anni, e soprattutto nel triennio '92-95, una
massa cospicua di piccoli produttori fu costretta a sven-
dere ai creditori borghesi presso i quali si era indebitata
il proprio pezzo di terra93 e ad aumentare l'esercito dei
proletari, proprio quando la persistente crisi produttiva
cominciava a rendere sempre più alto il numero degli
«oziosi» e più bassa la remunerazione del lavoro. Le
conseguenze per le classi subalterne furono gravissime

91 A. Massafra, Fisco e baroni nel Regno di Napoli alla fine del secolo XVIII,
in «Studi storici in onore di Gabriele Pepe», Bari 1969, pp. 625-675.
92 Vedi nota n. 90.
93 Vedi nota n. 25.

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soprattutto tenendo conto dell'aumento del costo della


vita e della pressione fiscale. E' in questi anni che si
modificò in modo irreversibile la dieta ordinaria delle
masse popolari e che il pane di grano scomparve dalle
loro mense.
Ma se la borghesia era riuscita a trovare la forza per
imporre la sua egemonia alle altre forze sociali, non
riuscì però ad impedire che una nuova forza, le masse
popolari, entrasse a modificare profondamente la cor-
nice storica entro la quale si erano articolati i contrasti
che avevano caratterizzato la storia del secolo XVIII. Non
è che fosse mancato del tutto, nel corso soprattutto della
seconda metà del 700, un ruolo delle classi subalterne,
ma era rimasto strumentalizzato all'interno della lotta
di potere che aveva opposto la vecchia alla nuova classe
dirigente. E' solo in questi anni che, anche in seguito
alle modificazioni intervenute per il prevalere delle forze
progressive, emerge con evidenza la spaccatura verticale
che ormai divide la società.
Certo le classi subalterne non costituivano ancora
una forza sociale omogenea. Riguardo al grosso problema
della privatizzazione delle terre aperte, ad esempio, le
tre componenti fondamentali delle classi subalterne, i
piccoli contadini, la piccola borghesia armentizia, e il
proletariato agricolo mostrarono in determinate condi-
zioni di avere interessi divergenti; e specie laddove più
alto era il grado di proletarizzazione e più forte la ri-
chiesta dei proletari di quotizzare i demani, non man-
carono scontri anche violenti all'interno del fronte delle
classi subalterne. Ma scontri del genere furono sporadici
nei primi decenni dell'800 e avvennero soltanto in qualche
centro avanzato a ridosso della costa94. Nella gran parte
dei comuni interni invece, in cui la questione demaniale
e il regime delle terre avevano ancora una importanza
fondamentale, la situazione era così arretrata che la
piccola borghesia armentizia assunse per un intero pe-

94 A.S.Ba., Demani Comunali, fasc.li 258, 263, 1.286, 1.289, 1.290-92.

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997

riodo storico che va fino alla crisi del '48, una funzione
egemonica nella lotta delle classi subalterne contro la
borghesia usurpatrice.
Anzi fu proprio sotto l'egemonia della piccola bor-
ghesia armentizia che le classi subalterne trovarono la
forza per reagire alla nuova aggressività della borghesia
all'inizio dell'ultimo decennio. Particolarmente signifi-
cativa fu al riguardo la lotta condotta a Noci. Qui sin
dal 1770 la piccola borghesia armentizia ingaggiò una
lotta durissima contro gli usurpatori borghesi e il conte
di Conversano che volevano impedire il diritto da parte
dell'Università alla parietazione dei vasti boschi Poltri
e Bonelli, necessaria per la vendita delle ghiande ai pos-
sessori di maiali. Gli usurpatori che vantavano diritti
superficiari su quei boschi e controllavano gli invasi di
acqua necessari per l'ingrasso dei neri, si valsero di
quest'ultima circostanza per impedire che l'Università e
il partito della «parata» riuscissero ad affermare i propri
diritti. Ma la reazione popolare diretta dai possessori di
animali senza terra, fu così forte da imporre il fitto obbli-
gatorio del più importante invaso d'acqua da parte del
feudatario, permettendo così al comune di abolire ora
con i nuovi introiti - circa 3.000 ducati - la gabella della
farina di 3 tornesi a rotolo che pesava sulle classi po-
polari95. Era così saldata una solidarietà profonda fra
la piccola borghesia armentizia e gli altri strati delle classi
subalterne, che ebbe modo di esprimersi nuovamente nel
1792 e nel 1799, quando «buttarono a terra li pareti e
recisero tutti l'arboscelli dei [. . .] Giacobini»96.
Anche a Santeramo la lotta delle classi subalterne
ottenne nel 1803-04 dei risultati tangibili, soprattutto sul
piano di una più equa distribuzione dei pesi fiscali
conseguita riducendo il testatico da 12 a 10 carlini, sgra-
vando le once caricate per le case di uso proprio, aumen-
tando la tassa sulle once a più di grana 6 per oncia; un al-

95 Ibidem, fase. 958.


96 Ibidem, fase. 944.

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998

tro impegno deiramministrazione popolare fu poi quello


della lotta agli usurpatori dei demani universali, contro i
quali fu intentato il giudizio di revindica delle mezzane u-
surpate ^7. Le lotte condotte dalla piccola borghesia armen-
tizia ottennero a favore delle classi popolari il risultato
di ritardare il processo di privatizzazione delle terre e di
conseguire una riduzione delle imposte. Ma l'interesse
che anche altre forze sociali interne alla stessa classe
dirigente avevano a mantenere lo status quo, soprattutto
le classi privilegiate, resero talora ambigua ima lotta ch
pure in momenti di particolare tensione come nel '92-'93,
nel '99, nel 1805-06, quando le masse popolari erano corse
ad abbattere le chiusure degli usurpatori, era riuscita a
raggiungere il significato di un moderno scontro di classe
Un carattere meno ambiguo assunse invece l'iniziativa
delle masse su altri piani di lotta. Alberobello, per ini-
ziativa della borghesia locale, era riuscita con dispaccio
del 23 maggio 1797 ad ottenere la erezione a comune.
Ma essendosi anticipati dai grossi proprietari del luogo
- a loro dire - ducati 4.000 per le spese di giudizio, si
ratizzarono fra i cittadini. Sicché i borghesi avevano
ottenuto il vantaggio di emanciparsi dalla pesante tutela
del conte di Conversano e ora chiamavano le masse po-
polari a sopportarne le spese. Ma la reazione di queste
fu decisa. Chiesero che si «ripartisse] tutto sopra dei
Ricchi». Così l'ufficiale inviato dalla Sacra Regia Udienza
a costringere i ratizzati a pagare, descrive la loro viva
protesta: «Appena seguita la pubblicazione ed affissione
dell'editto suddetto [di pagamento] nella pubblica piazza
[. . .] si erano veduti girare uniti per detta piazza alcuni
naturali di qui e tra questi un tal Andrea Sumerano, il
quale sparlando con gli altri, avea financo avuto l'ardi-
mento di profferire le sediziose seguenti parole: 'Vo-
limmo fare come li Francesi'. Tutto ciò è stato causa che
fino a questo punto niuno dei cittadini ha curato, né

97 A.S.Ba., Sacra Regia Udienza, Fascicoli Civili, fase. 426.

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999

tuttavia cura di venire a pagare» *. Lo stesso ufficiale che


invano aveva «minacciato l'esterminio dei poveri» reni-
tenti a pagare, conclude la relazione affermando che per
imporre la esazione forzosa occorreva inviare una forza
adeguata, e suggeriva di ritornare all'attacco solo dopo
aver richiamato a Trani i capi del «complotto». Ormai,
qui come altrove, lo stato può riuscire ad imporre nuovi
aggravi solo con la forza e deve cominciare a controllare
attentamente i capipopolo che l'iniziativa delle masse
volta a volta esprime, per isolarli dalle masse e rendere
più facile la loro repressione.
Talvolta la reazione popolare all'aggravio delle im-
poste si esprime a livello individuale, ma per le circo-
stanze che l'accompagnano finisce per assumere il signi-
ficato di una risposta collettiva come avvenne ad Alta-
mura nel 1802. Quando l'esattore dei pesi catastali si
recò in casa di tal Paolo De Sabato per esigere, nacque
fra i due una contestazione e il De Sabato arrivò persino
a chiamarlo «ladro, e gli soggiunse che non intendea pa-
gare». Mentre l'armigero che era al suo seguito lo con-
duceva verso la corte, il De Sabato aiutato dal fratello
cercò di fuggire. Nella colluttazione seguita l'armigero
rimase colpito mortalmente. Fatti del genere non erano
nuovi. Ma quel che ora colpisce non è solo la frequenza
di simili attentati all'ordine costituito, quanto il favore
attivo che essi trovano nelle masse popolari. Così il co-
mandante delle forze dell'ordine di Altamura scrive alle
autorità provinciali: «[...] quel che recommi maraviglia
si fu che nonostante una quantità di plebaglia eravi sul
fatto e che potevano infallibilmente arrestare l'uccisore
con il fratello, questi dietero mano alla salvezza, e non
vi fu veruno che l'avesse almeno tentato; anzi per quanto
ho potuto scorgere gioiva quella Gente di un sì lagri-
mevole e funesto accaduto [...]». Nonostante alle au-
torità locali constasse l'abuso commesso dall'esattore,

98 A.S.Ba., Tribunali Superiori Antichi, fase. 19.

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1000

pure l'iniziativa repressiva fu immediata, perché biso-


gnava mortificare «la perfida idea che nutrisce questo ceto
basso» facile agli «sconcerti» e che «ad onta di tanti mezzi
usati dimostra di non intendere, ho non capire, ho non
reprimere l'audacia»
Ma la reazione più autenticamente proletaria alla
espropriazione delle masse rurali operata dalla borghesia
e alla brusca compressione del loro livello di vita venne
dal brigantaggio che ormai trovava tutte le condizioni
oggettive per propagarsi.
Prima però di esaminare queste nuove forme di
lotta messe in atto soprattutto dal proletariato agricolo
sarà bene ricostruirne la condizione in questi anni, esa-
minando i salari, il costo della vita, l'occupazione, cioè
le varie voci che ormai determinano il livello di vita di
una parte già cospicua delle classi subalterne.
Messi a confronto i salari praticati dal Monte Zaza
nel 1745-46 con quelli erogati dal Convento di S. Antonio
di Altamura nel 1806-07 100 risultano le seguenti variazioni :

1745-46 1806-07

Roncare gr. 13 gr. 13


Arare gr. 13 gr. 13Î4
Cacciar fumiero gr. 13-14 gr. 14
Falciare gr. 20 gr. 20
Mietere gr. 26-27 gr. 22-40

Dunque, a parte il leggero aument


dei mietitori, i salari nominali all'inizi
erano rimasti gli stessi di sessantan

99 A.S.Ba., Processi Penali Antichi, fase. 6.


100 per i salari praticati dal Monte Zaza di Ruvo vedi nota n. 6. Per quelli
erogati dal Convento di S. Antonio di Altamura cfr. in A.S.Ba., Monasteri Sop-
pressi, Altamura, fasc.li 7-8.
101 II confronto pare significativo, anche se i salari si riferiscono a due

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1001

più gravi, se consideriamo il potere d'acquisto dei salari,


sono le conclusioni cui si giunge raffrontando i dati che
si riferiscono alle retribuzioni dei salariati fissi :

1745-46 1806-07

Massaro due. 48 due. 16 +


26 pese di
pane

Comune due. 43 due. 12,50


+ 26 pese
di pane

Ragazzo due. 26 due. 7 +


15 pese di
pane

C'è stata dunque una profonda modificazione nella


composizione del salario, soprattutto se si tien conto che
dalla quota in denaro del salario praticato dal Convento
di Sant'Antonio di Altamura, si devono ancora sottrarre
per fave consumate due. 2 per l'operaio comune e il
ragazzo e due. 3 per il massaro. Tuttavia a voler consi-
derare il prezzo del pane a gr. 6 a rotolo, quanto me-
diamente quotava in quegli anni 102, i salari nominali sareb-

masserie poste in comuni diversi: Io) perché il mercato della manodopera all'inizio
dell'800 poteva dirsi ormai unificato; 2°) perché le masserie considerate erano
poste nella stessa area economica.
102 V. Ricchioni, Op. cit., pp. 111-12. Quando un rotolo di pane costa grana 6.
il grano non corre a meno di 3 ducati a tomolo, prezzo certo superiore a quello
medio degli anni considerati. Sicché possiamo ritenere i salari riportati per il
1806-7 rappresentativi ad abundantiam del calo dei salari reali all'inizio dell'800
rispetto a quelli di 60 anni prima. A conclusioni diverse giunge il Masi, che
peraltro sottolinea la incidenza negativa della disoccupazione sulla caduta de!
livello di vita delle classi subalterne. Al riguardo cfr. G. Masi, La crisi dell'antica
regime in Terra di Bari ( 1791-1814 ), Matera 1968, pp. 96-100.

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1002

bero rimasti sostanzialmente stabili, come risulta dalla


traduzione in danaro della parte di salario liquidato in
natura dal Convento di Sant'Antonio:

1745-46 1806-07
Massaro due. 48 due. 16,00+31,20=47,20
Comune due. 43 due. 12,50+31,20=43,70
Ragazzo due. 26 due. 7,00+18,00=25,00

Ma fatto sta che non tutti, per gli impegni in


che avevano, consumavano i 520 rotoli di pane a
al salario in denaro. E quando i salariati non lo
mavano, la quota non consumata veniva liquidata
2,7 a rotolo, con evidente vantaggio da parte pa
I salari nominali dei «lavoratori» erano quindi
rimasti sostanzialmente immutati, anche a voler dar cre-
dito alle cifre alquanto più ottimistiche che il Bisceglia
riporta per questi anni nel suo rapporto su Terra di
Bari ,0' D'altra parte per i salari degli «sporgatori» e
degli «zappatori» che rappresentavano il grosso dei lavo-
ratori agricoli della fascia costiera, dopo qualche leggero
aumento dei salari conseguito nella seconda metà del
'700 1M, non si verificò una spinta al rialzo, mentre dalla
fine degli anni '80 il costo della vita era quasi raddop-
piato.
A Bari la rendita dei fitti di case del Monastero di

103 Abbiamo diviso gli operai agricoli di Terra di Bari in «lavoratori», «zap-
patori», e «sporgatori», secondo la classificazione che ne dà il Bisceglia, relatore
di Terra di Bari per la «Statistica». In base ad essa i «lavoratori» sono coloro
che arano, seminano, mietono, trebbiano, ecc., cioè la maggior parte dei brac-
cianti della zona murgi ana. Gli «zappatori» «si impiegano alla coltivazione della
vigna ed a tutto ciò che le ha rapporto; zappano una porzione delle terre ad-
dette alla semina, agli orti, ai giardini: s'intendono eziandio della coltura degli
alberi, ed al suo tempo mietono nei territori dei loro comuni, e vanno anche
fuori»; rappresentano quindi il grosso della manodopera comune della zona
costiera. La manodopera qualificata e specializzata di questa zona è invece rap-
presentata dagli «sporgatori». Vedi V. RiccmONl, Op . cit., pp. 194-95.
104 Confronta l'andamento dei salari praticati per queste categorie di lavo-
ratori dal Monastero di S. Maria del Buon Consiglio di Bari. Vedi nota n. 28.

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1003

Santa Maria del Buon Consiglio passò nel quinquennio


1800-1805 da 1.136 a 1.342 ducati con un incremento del
18%, che si eleva al 48% se consideriamo solo le 26 abi-
tazioni che subirono gli aumenti, cioè quelle fittate pre-
valentemente ai ceti popolari 105. Anche a Barletta ci fu-
rono aumenti notevoli, e forse anche superiori, se in una
deposizione del notaio Don Giacomo Lupoli resa nel 1801
al magistrato inquirente, si afferma che i proprietari «da
pochi anni a questa parte han ridotto 1 estaglio al doppio
e taluni più del doppio» 106 . Non certo migliore era la
situazione sul fronte dei prezzi delle derrate. Dal 1788 al
1817 il prezzo del grano si mantenne quasi costantemente
sui 2-3 ducati a tomolo, raggiungendo punte anche di
5-6 ducati 107. Correlativamente si muovono i prezzi degli
altri cereali inferiori e dei legumi, anzi si nota un aumento
maggiore di queste derrate rispetto al grano, soprattutto
delle fave 108 che ormai costituiscono il cibo fondamentale
delle masse popolari più proletarizzate, come abbiamo
rilevato anche dall'esame dei salari praticati dal Convento
di Sant'Antonio di Altamura all'inizio del nuovo secolo.
Se al rialzo dei fitti delle case e delle derrate si aggiun-
gono le conseguenze dell'aggravio delle imposte e della
crisi del regime comunitario delle terre, ci si renderà
conto che le reazioni delle classi subalterne erano ormai
imposte da esigenze vitali. Con un tipo di sviluppo che
aveva comportato un isterilimento progressivo della
fecondità naturale della terra, la distruzione di gran
parte del patrimonio boschivo, la degradazione dell'or-
ganizzazione produttiva piccolo-contadina, registrando al
suo attivo soltanto un aumento della produzione agricola,

105 A.S.Ba., Monasteri Soppressi, Bari, fase. 11. Vedi anche R. Romano, Prezzi,
salari e servizi a Napoli nel secolo XVIII, Milano 1965, pp. 139-40.
106 A.S.Ba., Tribunali Superiori Antichi, fase. 122.
107 A.S.Ba., Demani Comunali, fasc.li 852 e 859; Tribunali Superiori Antichi ,
fase. 11 Sacra Regia Udienza, Fascicoli Civili, fase. 377. Vedi anche in A.S.Na.,
Visite Economiche, voli. 488, 423 e 432. Vedi infine le indicazioni archivistiche c
bibliografiche riportate nella nota n. 61.
108 Vedi nota precedente.

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1004

certo superiore al calo verificatosi nei prodotti della pa-


storizia ma ottenuto solo in minima parte attraverso
una riorganizzazione produttiva di tipo capitalistico, era
inevitabile che ad un certo punto si arrivasse alla stretta
e si dovesse imporre a grandi masse di alimentarsi con
prodotti, che fino allora erano serviti soltanto per gli
animali. I progressi compiuti erano infatti ben poca
cosa a fronte delle nuove bocche da sfamare e della
necessità di esportare una grossa fetta della produzione
agricola. Il pane di orzo, i legumi, le erbe selvatiche
costituiscono ormai il cibo ordinario delle masse popo-
lari 109. Rispetto al grano questi prodotti hanno rese più
alte, spese di coltivazione minori, e offrono maggiori
possibilità di profitto ai produttori 110 e ai commer-
cianti 111 da quando sono diventate il cibo ordinario di
grandi masse. Perciò notevolissimo fu l'aumento dello
sfruttamento quando si passò a questo nuovo regime
alimentare.
Ma anche a tener conto di queste modificazioni
intervenute nella dieta ordinaria delle masse popolari,
nessuno dei relatori che ebbe il compito di indagare lo
stato delle tre province pugliesi nel decennio murattiano,
riuscì a far quadrare il bilancio di una famiglia tipo;
e realisticamente il relatore di Terra d'Otranto ammet-
teva che per molti non restava che «arrubare» m. Questo
fu dunque il terreno su cui prosperò per oltre mezzo
secolo il brigantaggio nell'Italia meridionale e fu proprio
l'ampiezza sociale del fenomeno, a renderlo storicamente

109 V. Ricchioni, Op. cit., pp. 111-16.


Ibidem, pp. 166 e 197-99.
111 Dai libri di cassa di una società commerciale di Noci risulta che nel

1792-93 mentre per il grano il profitto lordo per la ditta ascese a grana 25 a tom
per l'orzo fu di grana 36 e per le fave addirittura di grana 70 a tomolo. La
diversa remunerazione dei capitali commerciali investiti apparirebbe ancora più
approfondita se, come sarebbe giusto, si calcolasse il rapporto tra capitale in-
vestito e profìtto lordo per ciascuna delle derrate considerate. Per questi dati
vedi in A.S.Ba., Sacra Regia Udienza, Fascicoli Civili, fase. 377.
i" V. Ricchioni, Op. cit., pp. 107-8, 116-17, e 135-36.

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significante e meritatamente famoso.


Una delle prime comitive di briganti che si vennero
a formare in Terra di Bari in questo periodo fu quella
capeggiata da Giuseppe Calia 113, un barbiere di 50 anni
circa, nativo di Tricarico, ma residente da tempo ad
Altamura. La sua famiglia non doveva essere proprio
di umili origini se un suo fratello esercitava l'avvocatura
a Napoli. Dovette certo cominciare ad assumere la tutela
delle classi popolari, se si meritò l'appellativo di «Giusto»,
fino a diventare il capo riconosciuto di una specie di
«milizia popolare», che ormai aveva acquisito per l'appog-
gio e il favore che godeva nelle masse una forza di
contrattazione notevole nei confronti dell'autorità costi-
tuita. I componenti della comitiva non avevano infatti
a loro carico delitti comuni, ma reati di esimizione di
carcerati, di aggressione a pubblici ufficiali della corte o
alle forze dell'ordine, piccoli furti commessi per fame
o anche furti di grosse somme, ma commessi per ritor-
sione ai danni di alcuni fra i più cospicui borghesi di
Altamura; e molti di essi erano addirittura incensurati.
Non potendo più sopportare una simile situazione il
Governatore nell'aprile del 1794 si recò a Trani e dopo
aver conferito col Preside, tornò ad Altamura con un
caporale e due miliziotti, inteso a farla finita con la
«banda» del Calia. Si procedette subito a tre carcerazioni.
Ma mentre si stava traducendo alle carceri Filippo Mi-
glionico, scattò la reazione popolare capeggiata dal Calia.
Il Miglionico era stato già carcerato per via di un credito
che nei suoi confronti vantava Don Giuseppe Del Vento.
Ammalatosi in carcere, era stato «abilitato colla cauzione

113 La funzione svolta da questo brigante a favore delle classi subalterne non
rappresenta una eccezione e se abbiamo insistito sulla sua figura gli è perché
solo così era possibile, profittando della ricca documentazione al riguardo,
ricostruire dall'interno un fenomeno (il brigantaggio) di enorme rilevanza storica
in questi anni. Per una sistemazione del significato storico e teorico del bri-
gantaggio nell'età moderna, E. J. Hobsbawm, I ribelli, Torino 1966; e II banditismo
sociale nell'età moderna, Torino 1971.

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di docati trecento di presentarsi ad ogni ordine di questa


Corte, e quanto prima si sarebbe ristabilito» 114. Godendo
evidentemente la protezione del Calia, il Miglionico non
era più ritornato in carcere ma ora il Governatore aveva
deciso di riaffermare la propria autorità. Lo scontro,
quasi cercato, non mancò. Così lo descrive uno dei
testimoni: «[...] in atto veniva il Miglionico condotto
alle carceri, vidde il deponente nel mezzo di quella
strada adunarsi molti uomini di campagna [. . .] schie-
randosi e facendo ritornello in diversi siti di quella e per
insino alla contrada del Palazzo Pretoriale [. . .] dicen-
dogli tra l'altro che non avessero azzardati più di far
carcerazioni di paesani per querele della Corte, altri-
menti ne avrebbero fatta una stragge [,..]»115.
A questo punto il Calia, quasi ad eccitare la reazione
del Miglionico, per favorirne la fuga, a voce alta disse:
«Ecco qua vidite come si fanno portare carcerati li pae-
sani nuostri a guisa di capre da questi sbirri senza fare
na guapparia, e se la facesse Giuseppe Giusto saria ben
fatta» 116. Chiedendo il caporale che cosa pretendesse, il
Calia rispose: «Con noi appunto ve la volete pigliare!».
Fu il segnale dello scontro. Il caporale cercò riparo in
una bottega, ma gli fu chiusa la porta in faccia, poi,
mentre i due miliziotti fuggivano, raggiunto fu ucciso.
Calia insieme ad alcuni dei più esposti compagni si
allontana immediatamente. Ma si mantiene sempre
nella zona e la sera si ritira addirittura in città. Il favore
goduto presso le masse popolari è tale che il Governatore
stesso, non sentendosi «sicuro della vita», decide di chiu-
dere la Corte fino all'arrivo della forza pubblica «giacché
due o tre servienti inabili [. . .] da questo successo si
son ben'anche licenziati, e il Mastrodatti non può ritirarsi
in casa, anche per timor della vita» 117. Giunta la forza,

114 A.S.Ba., Processi penali antichi, fase. 4.


115 Ibidem.
Ibidem.
117 Ibidem.

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1007

la Corte si riapre, ma nessuno parla «atteso il costume


perverso e la durezza di questa gente non così facile ad
indursi di dire la verità, volendo garantire li paesani e
li facinorosi» 118. Lo stesso magistrato inquirente inviato
da Trani si sente poco sicuro della propria vita e così
descrive il comportamento dei testimoni convocati :
«[...] quei testimoni chiamati ed intesi, facendo uso
della bizzarria della nazione, mi hanno parlato con teme-
rità e minacce, senza volersi ubbidire all'ordine di tratte-
nimento in mia casa di residenza, sperando con tal modo
ricavarne la verità, e subito se ne sono andati» 119. La
renitenza dei testimoni a parlare non era casuale, ma
era stata guadagnata dagli inquisiti attraverso un'azione
di difesa strenua degli interessi popolari, capace di oppor-
si efficacemente alla società e alla giustizia borghese.
La comitiva riusciva a potere impunemente scorazzare
per le masserie circostanti ottenendo cibo e riparo, per
la complicità dei lavoratori addetti alle masserie, guada-
gnata tutelandone gli interessi nei rapporti con i padroni
e dividendo con loro il bottino dei furti commessi ai danni
di commercianti di panni o di derrate che passavano per
Altamura120. E quando qualcuno dei potenti o qualche
suo aderente «sgarrava» gli si faceva per avvertimento
un «carizzo», come capitò a Giovanni Clemente che si
era messo a servizio della giustizia governativa.
Lo sorpresero in aperta campagna mentre «da una
sua vigna si portava in un'altra anche propria per pagare
i fatigatori» e lo portarono in una masseria «alla veduta
di molti operari, e colà impugnandoli nuovamente li
schioppi, l'obligarono ad inginocchiarsi [...], ripete le
preghiere il Clemente, acciò l'avessero dato tempo di
confessarsi, giacché vide che esso [Scalera] e Compagni
si altercavano tra loro per chi dovea essere il primo ad

»* Ibidem.
119 Ibidem.
120 Ibidem, fase. 4b.

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1008

ucciderlo, ma poi alle preghiere avendolo accertato che


non l'avrebbero ucciso, per non imbrattarsi le mani con
una Carogna, si fecero chiedere in publico perdono e
promettere di non incerirsi più colla squadra del Tri-
bunale [...], dopo aver tanto promesso ed essersene
essi compiaciuto, il Gaetano Valecce propose di volersi
portare un segno del Giovanni Clemente, e così dicendo
lo afferrò per la testa e gli recise con un lungo stile
l'orecchio destro, che dopo averlo mostrato agli astanti,
lo avvolse in un poco di carta e se lo conservò nella
sua panettiera» 121 .
Di fronte ad attacchi che mostrano ormai una vo-
lontà eversiva dell'ordine costituito e investono larga-
mente Terra di Bari e il Regno, soprattutto nelle zone
dove più pesante si era avvertita la forza disgregatrice
del recente sviluppo e la stretta di fine secolo, la bor-
ghesia decide di intervenire duramente. Tuttavia, nelle
condizioni date, non era facile reprimere le nuove comi-
tive soprattutto per i saldi legami che, nella difesa dei
loro interessi, avevano stretto colle masse popolari. Lo
Stato borbonico non aveva mai organizzato ima struttura
repressiva, quale ormai la situazione richiedeva, perché
mai se ne era sentita la necessità. Occorreva quindi
costruirla dalle fondamenta e non era facile perché i
giovani proletari rifiutavano di mettersi al servizio della
giustizia borghese, e quando erano costretti a farlo, al
momento dello scontro passavano spesso dall'altra par-
te122. Così la borghesia è costretta a scendere diretta-
mente in campo e ad assoldare individui senza scrupoli
disposti a difendere i propri interessi. Si costituivano,
al servizio dei grossi proprietari, le prime bande della
storia contemporanea, che agiscano al di sopra degli
stessi organismi dello Stato preposti alla repressione e
alla difesa dell'ordine costituito. Ad Altamura, a Casa-

121 Ibidem.

122 A.S.Ba., Polizia Antica, fase. 155/8.

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massima ed in altri centri dove maggiore era stata la


capacità organizzativa e la forza contrattuale che le
masse popolari avevano acquisito attraverso comitive
come quella del Calia, è questa la linea seguita dalla
borghesia. Così ad Altamura le autorità che rappresen-
tano lo Stato prendono atto della loro incapacità ad
intervenire efficacemente nello scontro: «[...] siccome
si vide che per la loro [della comitiva] carcerazione non
bastava la forza del Tribunale, quel Regio Governatore
per mezzo dell'Università fe' prescegliere un numero di
cacciatori, fra i quali vi furono [. . .] Don Giuseppe
Spoto e Don Mario Giannuzzi [...ļ»123. A Casamassima
è lo stesso Preside Cav. Spiriti ad affidare nel 1796 poteri
straordinari a tal Stefano Fiermonte, che si era impegnato
ad organizzare una banda al servizio degli interessi bor-
ghesi per distruggere la locale comitiva di Michele Ac-
cadia: «[...] essendosi considerato [. . .] che [. . .] inutili
sono state le spedizioni dell'Ill.mo Sig. Preside e del
Sig. Uditore Pisa e del Governatore di Modugno, nonché
quelle di subalterni e squadre, perciò si è rivolto il Tri-
bunale a baglivi paesani e specialmente a Stefano Fier-
monte, il quale [. . .] [si è] offerto di unita ad altra
gente non inquisita [. . .] di procurare l'arresto, persecu-
zione e, nel caso della propria difesa, anche resterminio
[dei malviventi ...]»124. Quindi dà ordine «alle Corti
Regie e Baronali di dare al Fiermonte ogni aiuto e
favore», soprattutto alla Corte, all'agente e agli altri
ufficiali baronali di Casamassima, stabilendo «la pena
dell'immediata carcerazione e di docati 500 per ogni
contro veniente » .
L'obiettivo principale dell'iniziativa diretta della
borghesia è quello di spezzare, prima di perdere il
controllo della situazione, i legami tra le masse popolari
e le comitive, di stanare i «malviventi» dal centro abitato,

123 A.S.Ba., Processi Penali Antichi fase. 4b.


124 Ibidem, fase. 58.

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costringendoli a cercar riparo nella campagna, dove più


facile sarebbe stato sorprenderli e dove comunque i
briganti sarebbero rimasti isolati dalle masse popolari,
che costituivano il loro punto di forza e il referente
stesso della loro iniziativa «sociale». Fuori dal centro
abitato presto sarebbero diventati dei comuni malviventi
e sarebbero stati costretti, se avessero voluto sopravvi-
vere, a passare prima o poi al servizio degli interessi
delle classi dominanti.

Ad Altamura la banda di «cacciatori», organizzata


dai grossi proprietari, la sera del 3 gennaio 1795 trova
l'occasione da tempo cercata di sorprendere il Calia
mentre ritornava a casa. Dal palazzo ove abitava D. Giu-
seppe Spoto partono due colpi d'arma da fuoco, ma il
Calia riesce fortunatamente a sfuggire all'attentato, men-
tre rimane a terra ferito un suo compagno di comitiva.
La reazione da parte dei familiari del Calia e degli altri
compagni di comitiva fu violenta ed immediata. La
«moglie e figlie di Calia si unirono col [. . .] di loro figlio
[. . .] Tommaso, con [Scalera], cogli altri suoi compagni
Giovanni Salvagiuolo e [. . .] Gaetano Valecce, nonché
con Donato Cannito, che si era a loro anche unito, ed
armati a guisa di Banditi andiedero ad assalire la casa
del suddetto Spoto per ritrovare il D. Giuseppe e il com-
pagno D. Mario Giannuzzi, ed ivi commisero molti gravi
eccessi, maltrattando con codarciate di schioppo la vec-
chia [. . .] vedova D. Luzia Ugenti [. . .] e non contenti
di tanto [. . .] rubarono [. . .] una canna di schioppo ed
altri mobili, dopo di che usciti da detta casa dello Spoto,
passarono in quella del Giannuzzi, sparando a terrore
molti colpi di arma da fuoco, in modo che temendo
tutta la famiglia di detto Giannuzzi di restare vittima
del loro furore, fu obligātā di rompere un muro della
casa, per andarsi [. . .] a salvare in un'altra vicina».
Quindi lasciati alcuni «di posta» attorno alla casa del
Giannuzzi «andiedero gli altri ad insultare ed a minacciare
la vita a quel Regio Governatore [...], avanzandosi

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1011

financo a dire di voler mettere fuoco al Palazzo della


Regia Corte» 125 .
Era ormai quasi un anno che durava questa guer-
riglia e i primi risultati erano già stati raggiunti dalla
borghesia. Dopo questo scontro era infatti divenuto
sempre più pericoloso per Calia e compagni ritornare di
sera ad Altamura, mentre la stessa durezza dello scontro
e l'azione intimidatoria condotta dalle squadre dirette
dai borghesi cominciavano a sgretolare il fronte avver-
sario. Per la delazione di una «buona donna» nel feb-
braio '95 veniva sorpreso e ammazzato a colpi di schioppo
il figlio stesso di Calia. Il suo teschio fu portato per
molti giorni in giro per Altamura e per altre città della
provincia: era il primo trofeo della «leonessa» delle
Puglie. Quindi, a perpetuo ricordo del destino che sa-
rebbe toccato a chiunque non avesse appreso la lezione,
il teschio venne situato «sopra una colonna di fabrica
all'uopo costrutta sull'arco della Porta detta dei Fuggiali
di Altamura». I compagni di comitiva riuscirono una
notte «a diroccare la colonna e ad involare il teschio»,
apponendo anche «due cartelli di minacce ai portoni
delle case del sindaco D. Biaggio Cursolo e di D. Ottavio
Giannuzzi». Ma ormai si trattava di una reazione difen-
siva. Lo stesso Calia è sempre più costretto a far capo
a Tricarico, sua patria natale, e poi, stringendosi il
cerchio, a riparare a Napoli in casa del fratello avvocato.
Proprio qui nel dicembre '95 venne sorpreso e carcerato.
Gli altri compagni di comitiva resistettero per qualche
tempo, ma venne presto anche per loro il giorno della
resa dei conti. La comitiva del Calia era ormai finita,
ma la borghesia non aveva ancora vinto. La lotta che
il Calia aveva condotto, nella misura in cui aveva saputo
legarsi alle masse popolari e difenderne gli interessi,
non fu combattuta invano, che molti degli inquisiti di
secondo piano di questo processo, diventeranno i pro-
tagonisti anonimi della grande reazione popolare del '99.

125 Ibidem, fase. 4b.

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5. La creazione dello stato borghese : repressione


senza sviluppo

Due elementi nuovi avevano dunque modificato il


panorama della società di Terra di Bari e del Regno
verso la fine degli anni Ottanta: 1) la crisi produttiva,
che aveva messo a nudo le carenze di un tipo di sviluppo
già di per sé fortemente contraddittorio e sperequato,
e tuttavia costretto ancora a sopportare la pesante tutela
delle vecchie classi privilegiate e il condizionamento
del regime delle terre aperte; 2) l'ingresso minaccioso
e aggressivo delle classi subalterne nella storia come
forza ormai autonoma e potenzialmente alternativa. Per
dare soluzione ad una situazione così grave occorreva
anzitutto liberarsi dei vincoli e delle limitazioni che il
vecchio regime poneva allo sviluppo e, nello stesso tempo,
organizzare uno stato moderno capace di reprimere ogni
qualsiasi reazione delle masse popolari, perché non sa-
rebbe stato più possibile garantire a queste il livello
di vita e la sicurezza di un tempo, senza mettere in
discussione 1 equilibrio complessivo del sistema e il tipo
di sviluppo avviato. La borghesia era l'unica forza sociale
capace di realizzare questi obbiettivi perché solo essa
aveva saputo prefigurare i modi per superare la crisi
produttiva, e trovare gli strumenti per arginare la nuova
insubordinazione delle classi subalterne.
A distanza di sette anni dal '99, la borghesia ripren-
deva stabilmente il potere e poteva così avviare quella
ristrutturazione complessiva della società e dello stato
resasi ormai necessaria.
Nella memoria indirizzata nel 1802 al sovrano, Mi-
chelangelo Calderoni indicava sostanzialmente in tre
punti le cause della persistente crisi produttiva: 1) la
cattiva distribuzione della proprietà: i Comuni, gli enti
ecclesiastici e i feudatari possedevano ancora il grosso
delle terre; 2) il regime delle terre aperte; 3) la presta-
zione del terraggio che andava ad aggiungersi ai canoni

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1013

di fitto già alti126. La legislazione francese non trascurò


nessuno dei suggerimenti che un interprete così lucido
degli interessi della borghesia aveva proposto. Eppure i
risultati non furono così brillanti come il Calderoni ipo-
tizzava. I limiti dello sviluppo impresso dalla borghesia
meridionale, le gravi modificazioni intervenute sul mer-
cato internazionale fortemente lesive per un'economia
subalterna come quella del Regno di Napoli, la capacità
di recupero delle forze privilegiate, non consentirono
di conseguire dalle riforme realizzate nel decennio quel
«balzo in avanti» che ci si aspettava.
Tutto ciò ebbe conseguenze gravi, perché l'inade-
guatezza della riorganizzazione produttiva non permise
di alleggerire la tensione nei rapporti sociali. E così si
venne a creare un circolo vizioso, per cui i limiti della
borghesia esaltavano la reazione delle classi subalterne e
questa reazione impediva alla borghesia di conseguire
anche quei modesti risultati che le sue interne contrad-
dizioni potevano consentire, finché con la Restaurazione
la borghesia non fu costretta addirittura ad arretrare il
punto di equilibrio della società.
Era scontato che il nuovo assetto dato al regime
delle terre avrebbe colpito gravemente gli interessi delle
classi subalterne. Ma persino le leggi abolitive della feu-
dalità o quelle sulla quotizzazione dei demani, che
avrebbero potuto avvantaggiare le masse popolari, per il
modo come furono concepite o eseguite, finirono per
approfondire i contrasti sociali.
Le prestazioni territoriali furono abolite quasi esclu-
sivamente sui territori controllati dai grossi proprietari
borghesi ma continuarono ordinariamente ad essere cor-
risposte dalla piccola proprietà contadina. Per Putignano,
Rutigliano, Triggiano, Montrone, ed altri centri di Terra
di Bari ci furono sentenze della Commissione Feudale
che, dichiarando di natura feudale ristretti territori su-
burbani, colpivano la piccola proprietà contadina che si

u* Vedi nota n. 90.

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1014

accentrava proprio nel «ristretto» 127. A volte poi, stabi-


lendo la Sentenza che le prestazioni erano abolite a
meno che i feudatari non mostrassero di avere radicali
strumenti di concessione delle terre in contestazione, si
dava adito alle vecchie classi privilegiate di poter con-
tinuare, come avvenne a Sannicandro 128 e a Castellana 12- ,
a percepire le tradizionali prestazioni dai piccoli pro-
prietari, laddove i borghesi riusciranno a liberarsene
contando sulla propria forza sociale e sull'appoggio della
magistratura. In quasi tutti i piccoli centri attorno a
Bari, poiché una consistente piccola proprietà contadina
si era costituita sui demani ex feudali e comunali, le
forze borghesi e privilegiate riuscirono ad ottenere che
ufficialmente si dichiarasse che non vi erano terreni
demaniali 13°. Nella zona murgiana, infine, quando si trat-
ta di piccoli terraggianti la Sentenza riconosce ordinaria-
mente la natura feudale o addirittura burgensatica della
terra in contestazione e mantiene la prestazione, quando
si tratta di borghesi accampa il carattere abusivo della
prestazione 131 . La stessa sperequazione di trattamento si
registra sui demani comunali132. Così la nuova intesa
borghese-aristocratica che si realizzò nel decennio fu
pagata dalla piccola proprietà contadina. La feudalità era
stata in fondo abolita solo per i borghesi. E quando
si procedette alle quotizzazioni che dovevano costituire
per le popolazioni il compenso per la perdita degli usi
civici, la reazione dei borghesi congiunta a contraddizioni
interne alle stesse classi subalterne ne impedì la realizza-
zione.
La controffensiva delle classi subalterne a questo
nuovo attacco, ormai sanzionato dalla legge, ai suoi diritti

127 A.S.Ba., Demani Comunali , fasc.li 1.066, 1.393, 1.058-59, 1.063, 928 e 931.
128 Ibidem, fase. 1.178.
129 Bullettino delle Sentenze, vol. II, pp. 118-31.
130 A.S.Ba., Demani Comunali, fasc.li 245, 247, 278-79.
131 Ibidem, fasc.li 347 e 279. Vedi inoltre in A.S.Na., Cassa di Ammortizzazioni
fase. 2.389/95.
132 A.S.Ba., Demani Comunali, fase. 1.262.

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1015

e al suo livello di vita fu violenta e articolata, anche


perché la borghesia di Terra di Bari andava usurpando
proprio in questi anni una parte notevole dei vasti de-
mani comunali rimasti ancora liberi 133 .
Quasi in ogni comune della Murgia la piccola bor-
ghesia armentizia riesce ad arginare con la sua lotta l'ir-
ruenza degli usurpatori, garantendo con la difesa dei
demani comunali la sopravvivenza della «piccola pastura»
e un alleggerimento della pressione fiscale sulle classi
subalterne 134. A Minervino i piccoli terraggieri riescono
addirittura a strappare nel 1812 un giudicato favorevole
che li abilita a non pagare più la prestazione fino allora
dovuta a quei borghesi che nel corso del 700 avevano
chiuso ampi territori demaniali, terraggiando al pari del
feudatario 135. A Terlizzi e a Bitetto, zone ad alto grado di
proletarizzazione e con territorio comunale quasi com-
pletamente privatizzato, i braccianti e i contadini poveri
riescono ad ottenere la quotizzazione dei demani 136. Ma
la lotta forse più dura e violenta la ingaggiano i proletari
delle zone interne ai quali non importa più il diritto di
pascere, perché se avevano qualche pecora se la sono
venduta, ma per la cui sopravvivenza è essenziale man-
tenere il diritto di spigare, di legnare, di raccoglier galle
o ghiande. Sono frequenti nelle carte di polizia rapporti
del genere: Covato , 3 novembre 1810 : «Vari naturali [. . .]
erano dediti a raccoglier ghiande nel bosco sito nella
masseria denominata La Grotta dei Sigg. Patroni Griffi.
Un garzone della medesima [. . .] accortosi di ciò accorse
e volle rimproverarli che le ghiande erano del suo Pa-
drone e non già demaniali. Tutt'i delinquenti erano nel
voto di maltrattarlo, ma uno di essi [...] cacciò dal
petto un lungo coltello appuntito e gli tirò un colpo,
per cui ne rimase ferito dietro le spalle» 137. Casamassima,

i" Ibidem , fase. 362, 927, 929, 944, 1.214, 1.196 e 1.076.
134 Ibidem, fase. 269-72, 475 , 721, 944-45 , 947, 949-51, 1.077-78.
"s Ibidem, fase. 851-52.
136 Vedi nota n. 94.

13e7 A.S.Ba., Polizia Antica, fase. 289.

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23 marzo 1811 : «Angelo Michele Fanelli [. . .] guardiano


degli erbaggi della Difesa del Duca di Casamassima,
avendo voluto [. . .] depignare una donna di Gioia, che
recideva alcune legna, venne ferito con un colpo di ac-
cetta nell'osso temporale da un tale denominato Ficac-
cella, che volle prender parte in difesa della donna.
La ferita è stata giudicata pericolosa di vita» 138. Conver-
sano , 22 agosto 1810 : «Cinque naturali di Turi stavano
[. . .] raccogliendo le galle nel Bosco [. . .]• Quattro civici
[. . .] li sorpresero. Dopo averli maltrattati e battuti coi
schioppi li legarono e li portarono nella Casella detta
Marchione. Ivi per liberarli progettarono di voler due. 10
e spedirono uno in Turi a prender il denaro, che non
avendo potuto riunire che soli due. 5 li portò e glieli
diedero e così furon lasciati dopo tanti pianti e pre-
ghiere» 139.
Alla situazione di tensione creata dall'applicazione
delle leggi eversive e demaniali si aggiungeva il persi-
stente alto costo della vita determinato dai livelli sempre
alti dei prezzi delle derrate, dall'aumento continuo dei
fitti e dall'ormai insostenibile pressione fiscale. Gli stessi
sconvolgimenti di questi anni e il blocco continentale
frenarono la ripresa produttiva, aggravando la disoccu-
pazione del proletariato agricolo. Il numero strabocche-
vole dei furti commessi per fame nei frutteti e nei
giardini, indica che ormai una larghissima parte delle
classi subalterne, per poter sopravvivere deve violare le
leggi della convivenza borghese. A Terlizzi nel 1810 addi-
rittura un prete, tal Giuseppe Elia, viene arrestato per
furto. Interrogato, risponde che «l'avea fatto per la fame
e per la grande miseria in cui si trovava» 14°. In queste
condizioni sono frequenti anche suicidi mossi «dalla di-
sperazione per la eccessiva miseria», soprattutto da parte
dei vecchi, degli inabili, delle zitelle, che ormai non pos-

138 ìbidem.
Ibidem.
140 Ibidem.

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1017

sono più contare sulle elemosine degli enti ecclesiastici 141 .


Ma se i vecchi preferiscono morire, gli altri devono
sopravvivere. E quando non ci riescono si fanno giustizia
con la violenza. Si rifiutano di pagare le tasse e se l'esat-
tore insiste lo prendono a botte o vanno in campagna a
danneggiargli la proprietà 142. Ne nascono spesso collutta-
zioni e omicidi, anche perché ormai gli esattori e i loro
subalterni vanno armati ad esigere i tributi. A Monopoli
Felice Carbonara ferisce «a colpi di mazza» il suo pa-
drone di casa «perché volea licenziarli la casa in cui
abita» 143. A Barletta nel 1810 contro gli aumenti del
grano fu trovato affisso «un cartello di minacce di non
far uscire o caricare grani né per mare né per terra» 144.
A Bitetto nel 1814 fu trovata una «satira» contro l'esat-
tore del dazio sul vino che diceva: «Sarai ricco; prepa-
ratevi, scellerato, a soffrire una morte atroce ed infame,
e siccome voi state succhiando il sangue degli altri, così
sarà succhiato il sangue vostro» 145.
Ma a volte intere comunità si sollevano e a stento
si riesce dopo giorni a riportare la calma. A Gioia, a
Sannicandro, a Bitonto, a Bitritto, a Santeramo ci furono
tumulti di popolo146. Particolarmente gravi furono in
quest'ultimo centro, dove il promotore, Gaetano Silletti,
messo al bando insieme ad altri si fece brigante.
Soltanto la organizzazione di un moderno apparato
repressivo, la presenza delle truppe francesi, e la parte-
cipazione attiva della borghesia locale alla difesa dell'or-
dine costituito consentirono di evitare un nuovo '99. Nei
primi anni gli sforzi fatti dal governo in tal senso non
sempre sortirono i risultati sperati; che non si poteva

141 Ibidem.

142 Ibidem, fasc.li 288/3 e 289. Sulla insopportabilità del carico fiscale in questi
anni vedi G. Masi, La crisi, cit. pp. 153-72.
143 Ibidem, fase. 289.
144 Ibidem.

145 A.S.Ba., Processi Penali Antichi, fase. 32.


146 A.S.Ba., Polizia Antica, fasc.li 288/1, 25, 40, 155/8.

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costituire una forza efficiente con proletari in uniforme


che alla prima minaccia di scontro passavano dall'altra
parte. Così la borghesia fu costretta ad abbandonare le
campagne alle scorrerie dei briganti, e a concentrare la
sua difesa nei centri abitati, ormai trasformati in fortezze
ben munite contro l'assalto che veniva dalle campagne.
Nei centri più esposti alle scorrerie dei briganti si sta-
biliscono piani dettagliati di difesa in caso di attacco dei
briganti, studiati nei minimi particolari. A Minervino a
dirigere le operazioni di difesa si costituì un consiglio di
sicurezza di cui facevano parte tutte le autorità e i più
grossi proprietari. Come prima misura il consiglio decise
addirittura di «riattarsi le mura antiche della Città e
chiudersi alcune aperture, dalle quali riesce facile l'in-
gresso dei briganti» 147. Misure così estreme non potevano
giustificarsi solo con il timore di un'aggressione dei bri-
ganti. Non era mancata in passato qualche fugace incur-
sione dei briganti 148, ma lo scopo effettivo di simili
apprestamenti era quello di spezzare ogni possibilità
di intesa tra le masse contadine e proletarie e i briganti,
perché questo avrebbe significato un nuovo '99.
Tuttavia se stenta ad organizzarsi una forza adeguata
soprattutto a livello circondariale e provinciale, le misure
repressive diventano sempre più efficaci. Con le dispo-
sizioni che impongono per la prima volta a tutti i citta-
dini di portare la carta di «ricognizione» e di potere con-
tinuare a tenere le armi solo dietro licenza, si conse-
guirono strumenti indispensabili di controllo e di repres-
sione delle masse popolari 149. E ad essere disarmate, è
chiaro, furono solo queste. Molto opportunamente il Mi-
nistro di Polizia raccomandava all'Intendente di Terra di
Bari la maggiore prudenza «onde il disarmo cada solo
sulle persone nostre nemiche» 15°. A tutti gli organizzatori

147 Ibidem, fase. 155/8.


148 Ibidem, fase. 155/1.
149 Ibidem, fasc.li 22 e 288/1.
īso Ibidem, fase. 288/1.

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delle masse popolari, ai loro aderenti, ai sospetti gli am-


ministratori borghesi si rifiutarono di consegnare le carte
di ricognizione e questi, braccati dappertutto, finivano
spesso per diventare briganti. Si controllava ormai tutto
e tutti, e quando non si trovavano i responsabili si re-
primeva all'impazzata. Irritato per il forte aumento dei
furti e gli scarsi successi delle forze dell'ordine, così
scrive il Ministro di Polizia all'Intendente nel novembre
1806: «Mettete in attività la polizia onde conoscere i
mezzi che anno gli oziosi di vivere e così riuscirete a
prevenir molti delitti» m. E gli ordini furono eseguiti: a
Gravina tal Pasquale Coretta fu arrestato su sospetto che
fosse autore di piccoli furti domestici, «dacché viveva
nell'inerzia» ^2.
Periodicamente i comuni inviavano alle autorità com-
petenti prospetti in cui erano indicati non solo le gene-
ralità di quelli di cui si avevano positive informazioni che
si fossero dati al brigantaggio, ma anche dei sospetti o di
coloro di cui non si avevano più notizie. Le masse po-
polari furono sottoposte ad un'azione di controllo con-
tinuo e capillare, mai prima d'allora sperimentato. Una
scelta del genere presentava certo aspetti negativi, perché
finiva per alimentare il brigantaggio di nuove reclute e
per gravare sul bilancio dello stato e dei comuni al di là
di quanto il livello delle forze produttive consentisse. Ma
offriva un vantaggio inestimabile : quello di espellere dal
corpo sociale i più riottosi, i ribelli, i potenziali organiz-
zatori di un nuovo '99. E questo importava soprattutto
alla borghesia.
Le comitive di briganti che imperversavano in Terra
di Bari durante il decennio non riuscirono mai ad impen-
sierire seriamente la borghesia locale. Se altrove, come
in Basilicata153, erano riuscite a formarsi comitive della

151 Ibidem.

152 Ibidem, fase. 289.


153 Ibidem, fase. 32.

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consistenza anche di qualche migliaio di briganti e si era


avuto un tentativo di attacco persino alla stessa città di
Potenza 154, in Terra di Bari la minore ampiezza del pro-
cesso disgregativo delle vecchie strutture, la forte con-
centrazione della popolazione soprattutto nella zona più
scoperta agli attacchi dei briganti, la presenza in ogni
centro di un consistente numero di galantuomini e di
artigiani, consentirono alla borghesia locale di mantenere
anche nei momenti più difficili il controllo della situa-
zione, soprattutto isolando i briganti nelle campagne
e impedendo loro ogni possibilità di organizzare la rivolta
delle masse proletarie e contadine.
L'attenzione della borghesia ad evitare «contagi» era
giustificata dalla forte carica sociale del brigantaggio
sviluppatosi in questi anni. La stessa base di massa rag-
giunta dalle comitive e il continuo ricambio degli ade-
renti lo preservavano da qualsiasi possibilità di dege-
nerazione. Certo le grosse comitive forse non si sarebbero
formate né sarebbero sopravvissute a lungo senza colle-
garsi con tutto il fronte delle forze che all'interno e all'e-
stero erano interessate ad un rovesciamento della situa-
zione e senza guadagnare la condiscendenza, più o meno
forzosamente strappata, di una parte degli stessi grossi
proprietari. E questo valse a contenere la forte carica
eversiva del brigantaggio di questi anni. Tuttavia non si
può negare che esso rappresentò in Italia meridionale
come in altri paesi arretrati investiti da un processo di
sviluppo di tipo moderno, una forma elementare e rozza
di lotta di classe. L'assalto alle masserie da parte delle
grosse comitive, i ricatti imposti ai grossi proprietari,
non erano indiscriminati; erano soltanto «gli attaccati
al presente Governo» a subirne le conseguenze, mentre
gli altri ordinariamente venivano risparmiati 155. Sono i
Viti di Altamura, i Tupputi di Andria, gli Albanese di

»m Ibidem, fase. 155/8.


155 ibidem.

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Noci, i Caputi di Ruvo, i Di Blasi di Ceglie e Carbonara, i


Polini di Gravina e tutti gli altri tra i più ricchi ed im-
pegnati borghesi di Terra di Bari, non esclusi alcuni ex
feudatari come il duca di Calabritto di Minervino e il
duca di Casamassima, ad essere fatti oggetto della per-
secuzione continua da parte delle comitive 156. Ed é facile
immaginare lo spirito di rivalsa che poteva animare i
contadini e i proletari che si erano «arrollati» nelle co-
mitive, quando s'incendiavano i grani o si ammazzavano
gli animali delle masserie dei grossi proprietari borghesi,
che si erano rifiutati di pagare il riscatto richiesto. Spesso
ci si «arrollava» proprio per potersi vendicare dei «torti»
subiti dal proprio padrone, come fece Michele Perrone
contro il signor Raffaele De Luca di Corato, uccidendogli
a colpi di fucile sei giumente e portandosi via un
cavallo 157. Malgrado la iniziativa dei capi briganti la lotta
restò sempre strumentalizzata dalle forze reazionarie, un
rozzo ma sincero odio di classe animò sempre la loro azio-
ne, come mostra questa lettera che Scarola, uno dei più
famosi briganti che nel decennio imperversarono in Terra
di Bari, inviò a D. Luca Cancellare, suo accanito perse-
cutore: «Eccell.mo Sig.r Don Luca Cancellare, già vi sete
preso incomodo di venire con quaranta caudavari, e non
avete saputo manoperare con la vostra guardia de scar-
ponari, voi venistivo alla rosamarina [. . .] e noi vi stavamo
aspettanno a vossignoria, voi avestivo la spia e vi piglia-
stivo la strada del lago de tre confini, a voi Signore ve
compatimo per la grossa fama che voi portate e la nostra
compagnia sta bene formata, noi tutti galioti scappati e
sotto il Tenente Sciarola appresentati, noi portiamo centi
cartucci [. . .] per fare un buco alla vostra trippa, ed il
Tenente Sciarola con la sua compagnia non à avuto mai
paura di squadre e nemeno di chiunque persona che viene
appresso» 158.

i* Ibidem, fasc.li 155/8 e 289.


w7 Ibidem , fase. 155/8.
158 Ibidem.

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Tuttavia se le grosse comitive, una volta tagliate


fuori dal contatto con le masse popolari riuscirono
ad essere abbastanza facilmente controllate, molto più
impensierì la borghesia di Terra di Bari l'iniziativa di
diverse piccole comitive, che allignarono un po' ovunque
in quegli anni, ma soprattutto nelle zone ad alto grado
di proletarizzazione della fascia costiera, laddove la
Murgia era stata invece il campo di azione preferito dalle
grosse comitive. Si trattava in genere di «bande» com-
poste di una decina di unità, che avevano un campo di
azione limitato a non più di due-tre comuni, ma mantene-
vano saldi legami tra le popolazioni, perché i briganti di
queste comitive non si erano mai allontanati dai loro paesi
di origine e, datisi alla macchia, avevano continuato ad o-
perare nella loro zona, avendo come punto di forza della
loro iniziativa proprio il favore e l'appoggio delle masse
popolari. Queste comitive non riescono come le altre a
garantire 20-30 grani al giorno 159 agli «arrollati», né sono
altrettanto attrezzate di munizioni, cavalli e «coccarde
rosse». I loro aderenti «vanno vestiti da contadini e tutti
laceri», eppure destano gravi preoccupazioni, perché la
loro iniziativa è completamente autonoma da qualsiasi
strumentalizzazione delle forze reazionarie e profonda-
mente radicata nelle masse. A Terlizzi, Bitonto, Ceglie,
Noicattaro, Turi, Modugno, Casamassima, Putignano, San-
teramo, Noci, Alberobello, si ha notizia dell'attività di
comitive del genere160. La più famosa di esse fu quella
capeggiata da Francesco Sforza di Terlizzi 161 . Per tre mesi
da marzo a giugno del 1816, lo Sforza tiene saldamente
in pugno la situazione nel suo paese. Non sicuro della
propria vita, il giudice di pace si dimette e il primo sup-
plente si rifiuta di rimpiazzarlo. Lo stesso sindaco di-
chiara di essere stato minacciato mentre dormiva, «di-
cendo da fuori che pure nella custodia gli avrebbero fatto

159 Ibidem.

w® Ibidem, fasc.li 156/3 e 289.


i" Ibidem, fase. 156/3.

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la festa». Uscito sulla strada, aveva invocato l'aiuto dei


vicini, ma nessuno si era «scosso». Il sostegno popolare
era tale che sembrava non dovesse esserci riparo alla
situazione. Non solo quelli già individuati dalle autorità,
ma anche altri «incogniti» uscivano ed entravano da Ter-
lizzi «per fornirli di comes tibili e darli tutte le notizie»,
mentre i gendarmi intimoriti e forse solidali «non vedonsi
occupati se non se a passeggiare la Piazza». Ma la reazione
borghese organizzata a livello provinciale con dovizia di
mezzi non tardò a scattare. Si scelsero alcuni legionari
fidati, si assoldarono privatamente altri, e sotto la dire-
zione dello stesso latta, uno dei più grossi proprietari
di Ruvo e capitano comandante la gendarmeria reale in
Terra di Bari, si iniziò a battere palmo a palmo la cam-
pagna circostante. Frattanto si ordinava l'immediata car-
cerazione dei familiari dei briganti più noti ed anche dei
sospetti favoreggiatori della comitiva. I risultati di così
vasta azione repressiva non tardarono a venire. Lo Sforza
insieme alla moglie e al suo braccio destro si dava alla
fuga, ma vicino a Taranto veniva sorpreso e carcerato,
mentre il resto della comitiva rimasto nei dintorni di
Terlizzi incontrava la stessa sorte. Nonostante gli ade-
renti alla comitiva di Sforza fossero ormai tutti assicurati
alla «giustizia», pure il Procuratore Generale di Trani fu
costretto a chiedere rinforzi perché molti terlizzesi stan-
ziavano nei dintorni di Trani coll'intento di favorire la
fuga dello Sforza che stava per essere tradotto nelle car-
ceri di quella città.
L'iniziativa di Francesco Sforza aveva dunque
lasciato un segno duraturo nella coscienza popolare.
Ciononostante queste piccole comitive non potevano de-
stare serie preoccupazioni a un apparato repressivo che
si andava sempre più perfezionando. La loro incidenza
rimase infatti sempre ristretta entro un ambito locale
e non si legò mai alla iniziativa condotta dalle grosse
comitive. Ormai il momento di maggiore tensione era
stato superato e l'impegno organizzativo del governo nel
metter su una forza adeguata a reggere ogni evenienza,

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cominciava a dare i suoi frutti. La battuta generale con-


dotta per due settimane nel giugno 1817 contro la comi-
tiva dei Vardarelli dimostra, per il grado di organiz-
zazione raggiunto e per i mezzi che ormai sono a dispo-
sizione delle forze dell'ordine, il salto di qualità che in
pochi anni lo stato borghese era stato capace di compiere
nell'allestire un apparato repressivo efficiente. Sulla base
delle carte militari approntate in quegli anni si stabilirono
con precisione la masserie da difendersi, si determina-
rono i contingenti necessari alla difesa di ogni posta, si
impose ai padroni delle masserie non difese di trasportare
altrove le derrate, per impedire che i briganti potessero
rifornirsene. E mentre la borghesia locale organizzava
la difesa delle masserie, le forze dell'ordine battevano
giorno e notte le campagne. Al comandante in capo della
battuta vennero affidati poteri eccezionali, al di sopra di
ogni autorità militare e civile, per le tre province di Basili-
cata, Terra di Bari e Capitanata, in modo da impedire ai
Vardarelli di poter giostrare impunemente sulle linee di
confine, come sempre avevano fatto i briganti per pro-
fittare dei conflitti di competenza che sorgevano fra le
varie autorità in simili circostanze. I Vardarelli, braccati
dappertutto, nonostante fossero riusciti ad evitare lo
scontro, preferirono contrattare la resa di fronte ad uno
spiegamento di forze e di mezzi così ampio ed efficiente 162.
Alla fine del decennio la borghesia di Terra di Bari
e del Regno poteva considerarsi dunque al sicuro da ogni
possibile rovesciamento del nuovo ordine, anche perché
la tensione si era ormai allentata. Ma questo allentamento
della tensione la borghesia lo aveva dovuto pagare fa-
cendo nuovo spazio agli interessi e alle esigenze e delle
vecchie classi privilegiate e delle classi subalterne. La
linea di sviluppo proposta dalla borghesia nel decennio,
proprio per la sua moderazione e limitatezza, doveva es-
sere corretta con la restaurazione in senso peggiorativo.

162 Ibidem, fase. 156/3-7. Vedi anche al riguardo A. Lucarelli, Il brigantaggio


politico del Mezzogiorno d'Italia 1815-18, Bari 1942, pp. 1-99.

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La lotta delle classi subalterne aveva avuto un peso


notevole nel rovesciare sulla borghesia quelle contrad-
dizioni che la borghesia aveva cercato di far pagare ad
esse. Il processo di proletarizzazione finirà così per atte-
nuarsi negli anni della Restaurazione, e nello stesso tempo
perdurerà nella lotta delle classi subalterne quella ambi-
guità che derivava dalla condizione piccolo-contadina di
larga parte di esse. Sarà soltanto verso la fine degli anni
Trenta che, con il dissolversi a livello europeo delle con-
dizioni storiche che presiedettero al compromesso della
restaurazione, una nuova accelerazione investirà l'Italia
meridionale e l'Europa tutta e quel proletariato agricolo,
che era ancora minoranza esigua nel '99, egemonizzerà gli
altri strati delle classi subalterne, imprimendo un carat-
tere ormai proletario a quella lotta che le masse popolari
avevano iniziato con la crisi di fine secolo.

Aldo Cormio

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