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I moti del 1820-21 in Piemonte

I moti del 1820-1821 furono tentativi di insurrezione contro i regimi assolutisti. Nati
in Spagna, si diffusero poi in diversi altri paesi europei, tra cui diversi stati italiani.
In Spagna si accese, il 1º gennaio 1820, una ribellione guidata da alcuni ufficiali
dell'esercito: presso il porto di Cadice, essi si rifiutarono di partire alla volta delle
Americhe per stroncare i governi indipendentisti che si stavano creando. Il tentativo
parve riuscire: fu concessa una Costituzione, fu convocato il Parlamento; ma, dopo
quei primi successi, la rivolta fu soffocata nel sangue. Con la battaglia del Trocadero,
alla quale partecipò anche il principe Carlo Alberto di Savoia, erede al trono di
Sardegna, i soldati francesi misero fine definitivamente ai disordini.
Sulla spinta degli avvenimenti spagnoli, anche in Italia si moltiplicarono i primi
tentativi insurrezionali: prima nel giugno 1820 in Sicilia e poi nel luglio a Napoli
andarono organizzandosi gruppi di ribelli, mentre nel marzo 1821 scoppiò la
rivoluzione in Piemonte. Quei moti, che miravano ad ottenere una Costituzione e
l'indipendenza dallo straniero, erano però destinati a spegnersi: nel napoletano
intervennero truppe austriache fatte chiamare dal re Ferdinando, che si era
precipitato al Congresso di Lubiana, e i rivoltosi vennero sbaragliati; in Piemonte i
ribelli, che non avevano come obiettivo il ribaltare la monarchia sabauda, anzi
chiedevano al re di unificare l'Italia, furono sconfitti; furono eseguite alcune
condanne a morte, e in molti furono costretti a fuggire. Nel Lombardo-Veneto la
scoperta di alcune società segrete portò a processi e condanne contro molti degli
oppositori del dominio austriaco.
Solo nel dicembre 1825, in Russia, scoppiò un moto insurrezionale, il cosiddetto
moto decabrista dal nome del mese, ma venne immediatamente represso.

L'insurrezione piemontese
Già da tempo in Piemonte, e in particolare a Torino, alcuni gruppi, di idee borghesi e
liberali, avevano coltivato l'idea di una campagna militare, che avrebbe dovuto
essere guidata dal re di Sardegna Vittorio Emanuele I di Savoia, allo scopo di liberare
i territori italiani dalla dominazione straniera. Inoltre, riteneva che il Re si dovesse
impegnare a concedere ufficialmente una costituzione ai sudditi del regno, fatto che
avrebbe testimoniato l'impegno dei Savoia ad allearsi con i patrioti e ad assumere la
guida del movimento liberale italiano. Tuttavia, fin dall'inizio del suo mandato,
Vittorio Emanuele I si impegnò a restaurare in Piemonte e negli altri territori sotto il
suo controllo un soffocante regime assolutistico, che contribuì ad andare in
direzione opposta alle idee liberali della Carboneria e della borghesia in generale.
Si pensò quindi di cercare un altro alleato, che si palesò nella figura del giovane
erede al trono sabaudo, Carlo Alberto di Savoia, principe di Carignano, per indurlo
ad assumere la guida dei rivoluzionari. Carlo Alberto era stato infatti l'unico
esponente della famiglia sabauda ad esprimere la propria solidarietà agli universitari
torinesi che, nel gennaio 1821, avevano organizzato contro l'Austria una
manifestazione pacifica e liberale contro gli arresti avvenuti il giorno precedenti nei
pressi di un teatro, manifestazione repressa subito nel sangue; per questo motivo, si
pensò che Carlo Alberto avesse davvero a cuore la questione italiana. I primi contatti
si rivelarono più che positivi e sembrava che il giovane esponente di Casa Savoia
avesse davvero intenzione di aderire all'impresa.
Nel 1820 le insurrezioni scoppiate in Spagna, Portogallo ed Italia meridionale
contribuirono a rafforzare il patriottismo italiano, in particolare quello piemontese, i
cui sostenitori pensarono che la loro rivolta sarebbe stata appoggiata e seguita, con
ogni probabilità, da parte dei patrioti siciliani e napoletani. Inoltre, i patrioti
piemontesi cercarono in ogni modo di sostenere militarmente gli omologhi
napoletani, ma non vi riuscirono per motivi legati alla scarsa organizzazione ed alla
tardiva notizia della partenza dell'esercito asburgico per il Regno di Napoli. Nella
seconda metà del 1820, Santorre di Santa Rosa, uno dei principali esponenti
dell'organizzazione dei moti, si incontrò spesso segretamente con alcuni generali,
politici (tra cui Amedeo Ravina) e con il giovane principe di Casa Savoia per definire
la data e le modalità della ribellione; dopo molte riunioni, si stabilì che la rivolta
dovesse scatenarsi non prima dell'inizio del nuovo anno, in modo che l'esercito
austriaco, ancora impegnato nella repressione dei moti di Nola e di Napoli dello
stesso anno, non fosse subito pronto ad intervenire in quanto bisognoso di qualche
tempo per riorganizzarsi.
Il 6 marzo 1821, durante la notte, Santorre e altri generali si riunirono nella
biblioteca del principe, insieme allo stesso Carlo Alberto, per organizzare nei dettagli
l'impresa che, secondo un accordo precedente, sarebbe dovuta iniziare nel mese di
febbraio: nel corso dell'incontro, Carlo Alberto mostrò alcuni tentennamenti,
soprattutto sulla loro intenzione di dichiarare guerra all'Austria, che portarono
Santorre ad avere qualche dubbio sul principe e sulle sue vere intenzioni. Tuttavia
Carlo Alberto lasciò intendere il suo appoggio, e per questo motivo Santorre e i suoi
associati fecero pervenire il messaggio di prossimo inizio della rivolta ai reparti
militari di Alessandria, che, il 10 marzo, diedero inizio all'insurrezione issando la
bandiera tricolore per la prima volta nella storia risorgimentale, insieme a quella
carbonara, seguiti subito dopo dai presidi di Vercelli e Torino. In quell'occasione fu
emesso da parte dei generali insorti il famoso Pronunciamento, un proclama con il
quale si decise l'adozione di una costituzione, improntata su quella spagnola di
Cadice del 1812, che prevedeva maggiori diritti per il popolo piemontese e una
riduzione del potere del sovrano. Ma il re, dopo aver tentato di convincere gli insorti
all'obbedienza e ricevuto da Lubiana le delibere delle potenze che negavano ogni
sorta di innovazione liberale all'Italia, piuttosto che concedere il documento, preferì
abdicare in favore del fratello Carlo Felice di Savoia, che si trovava però a Modena.
La reggenza venne così affidata al principe Carlo Alberto che, assunto l'incarico,
dapprima fu assalito da dubbi poiché non volle prendere decisioni senza consultare
Carlo Felice, ma premuto dai Federati concesse la Costituzione, nominò una giunta,
concesse l'amnistia agli insorti e nominò Santorre di Santarosa ministro della guerra
del governo provvisorio. Il Congresso di Lubiana aveva deliberato di raccogliere delle
truppe per riordinare l'Italia e Carlo Felice intimò a Carlo Alberto di raggiungere
Novara, dove andava formandosi l'esercito di Vittorio Sallier De La Tour, per offrire i
propri uomini; egli ubbidì e successivamente volendo raggiungere Carlo Felice a
Modena gli fu negata la possibilità. Sull'entusiasmo suscitato dai moti torinesi
Alessandro Manzoni compose l'ode "Marzo 1821"celebrando quello che sembrava
stesse accadendo: l'attraversamento del Ticino da parte dell'armata sarda in
appoggio ai patrioti lombardi contro gli austriaci.
Di ritorno nella capitale, il nuovo sovrano revocò la costituzione e impose a Carlo
Alberto di rimettersi al suo volere, abbandonando Torino e recandosi a Novara,
rinunciando definitivamente alla sua carica e alla guida del movimento di rivolta.
Nella notte del 22 marzo, mentre alcuni, tra cui lo stesso Santa Rosa, annunciavano
una prossima guerra contro l'Austria, Carlo Alberto fuggì segretamente a Novara
abbandonando gli insorti al loro destino. Poche ore dopo Santorre, alla guida di un
piccolo reparto, si recò nella città piemontese per tentare di convincere il principe e
le sue truppe a tornare dalla sua parte, ma la missione si rivelò del tutto infruttuosa.
Privi di un appoggio, i costituzionali decisero di sciogliersi. Fu proposto un nuovo
tentativo di insurrezione a Genova, ma subito si decise di non intervenire. Inoltre
giunsero a Torino, come supporto all'esercito regio, plotoni austriaci che inflissero
una pesante sconfitta ai costituzionali: il neonato governo cadde dopo neppure due
mesi e il sogno dei rivoluzionari si infranse.

 
3. La rivoluzione del 1821 in Piemonte
 
In Piemonte gli elementi moderati del patriziato subalpino volevano coinvolgere la
dinastia sabauda nella rivoluzione, a patto che concedesse una costituzione liberale.
Il piano consisteva nel convincere il re Vittorio Emanuele I (1759-1824) ad accordare
la Costituzione e marciare su Milano, per cacciarne gli austriaci. nel frattempo i
settari lombardi si sarebbero sollevati e avrebbero gridato Vittorio Emanuele Re
costituzionale dell’Italia del nord. Erano della congiura alti ufficiali sabaudi come il
Conte Santorre De Rossi di Santarosa (1783-1825) l’aiutante di campo del Re, Carlo
Asinari di San marzano (1791-1841) e lo scudiero del principe di carignano, Giacinto
Provana di Collegno (1794-1856).
 Il Santarosa doveva prendere accordi con il giovane Carignano. Carlo Alberto non
nascondeva simpatie per la fazione rivoluzionaria. Non fu quindi difficile al santarosa
persuadere il giovane principe a aderire al piano settario. Egli doveva a sua volta
indurre il Re a concedere la Costituzione e scatenare la guerra all’Austria. Carlo
alberto, però, di fronte all’avversione di Vittorio Emanuele per i progetti carbonari,
s’intimorì, e cominciò a tentennare, cercando di differire l’impresa. I settari,
esasperati dal comportamento del principe e timorosi dell’Austria, che in poco
tempo e senza incontrare resistenza, stava soffocando la rivolta nel napoletano,
ruppero gli indugi e il 10 marzo 1821 alcuni ufficiali della guarnigione di Alessandria
si ammutinarono, imitati da altri sparuti reparti in Torino, al grido di Evviva la
Costituzione e Viva Vittorio Emanuele I Re d’Italia.
  Il Re rimase fermo nel suo rifiuto e abdicò in favore del fratello Carlo felice (1765-
1831) che in quei giorni si trovava a Modena, lasciando il Carignano come reggente.
Carlo Alberto allora diede la costituzione, mentre Santarosa lo scongiurava di
guidare l’esercito in Lombardia. Nonostante l’inopinato vantaggio, la congiura
languiva: poche erano le truppe che si erano ribellate, non più di qualche migliaio;
Torino era rimasta indifferente ai sollevati. Nelle province la massa del popolo non
rispose affatto agli appelli dei rivoluzionari. Anzi i Carabinieri reali avevano tentato
una controrivoluzione e ad Alessandria i soldati minacciavano di fucilare gli ufficiali
carbonari, se non desistevano dalla sollevazione.
  Il nuovo Re si dimostrò di tutt’altra tempra rispetto al fratello. Il 16 marzo giungeva
a Torino, come un fulmine a ciel sereno, un proclama di Carlo Felice, che dichiarava
ribelli gli aderenti alla rivoluzione e sconfessava l’operato del cugino. Se Carlo
Alberto non si fosse subito presentato a Novara, presso le truppe fedeli al monarca,
sarebbe stato diseredato a vantaggio del suo primogenito ancora bambino. Il
reggente, dinanzi all’ordine perentorio, abbandonò la partita e raggiunse Novara. Il
piccolo esercito carbonaro, guidato da Santarosa, si accinse ad entrare nel milanese,
sperando di ricongiungersi con i ribelli lombardi, ma, nei pressi di Vercelli, l’8 aprile
1821, l’armata imperiale li disperdeva con facilità. Finiva così in un fiasco completo
la prima rivoluzione ‘italiana’.
 

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