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物勢 : “L’energia delle cose”

Traduzione dell’incipit del capitolo Wushi 物勢


appartenente al Lunheng 論衡 di Wang Chong 王充

Tesina di ‘Lingua cinese classica’


a cura di Angelica Sivieri
a.a. 2014/2015
Nota introduttiva

Questa tesina nasce come una riflessione su Wang Chong 王充, intellettuale tra i più
controversi e poliedrici nella storia del pensiero cinese. In particolare, essa si
concentra sulla traduzione dell’incipit del capitolo 14, intitolato Wushi 物勢, ovvero
“L’energia delle cose”, tratto dal Lunheng 論衡, “Bilancia di discussioni”, opera
principale del suddetto autore.
Si è pensato di focalizzare l’attenzione su questo specifico brano dal momento
che le convinzioni di Wang Chong riguardo all’umanità e alla posizione che questa
occupa nell’economia del cosmo, per l’epoca rivoluzionarie e straordinariamente
moderne, vengono in queste righe esplicitate con la chiarezza e l’abilità dialettica che
contraddistinguono questo pensatore dalla forma mentis singolarmente analitica.
Pertanto, avendo stabilito di gettar luce sulla figura e sul pensiero di Wang Hui
attraverso l’analisi di un passaggio significativo da lui composto, si è suddiviso questo
lavoro in due fasi: la prima si è basata su un’attività di documentazione e
approfondimento sullo stesso Wang Chong, mentre la seconda è consistita nella
traduzione in italiano dal testo in cinese classico della soprammenzionata sezione del
Lunheng.
Nota biografica

La domanda che occorre innanzitutto porsi è: chi è Wang Chong? E, di conseguenza:


quali dati possediamo sulla sua vita? E da dove provengono tali dati?
Due sono le fonti principali da cui possiamo attingere informazioni; una di esse è
lo Hou Hanshu 后汉书, la “Storia degli Han Posteriori”, compilata da Fan Ye 范晔. La
sezione della storia dinastica riguardante Wang Chong fornisce diversi dettagli sulla
sua vita che contribuiscono a gettare una luce positiva su di lui. Ad esempio, si
sottolinea come la gente del suo villaggio nativo ne lodasse la pietà filiale, di cui, morti i
genitori, diede ampia dimostrazione. Nonostante le non rosee condizioni economiche,
Wang Chong riuscì a trasferirsi nella capitale, Luoyang, per studiare, ed è interessante
notare come qui, stando a quanto riportato dallo Hou Hanshu, egli divenne allievo di
Ban Biao 班彪 (3 – 54 d.C.) , il quale, assieme al figlio Ban Gu 班固, e, caso celebre e
singolare, alla figlia Ban Zhao 班昭, si occupò di compilare la storia dinastica degli Han
Anteriori. In seguito, egli fece ritorno al paese natale, dove si dedicò all’insegnamento.
Più avanti, Wang Chong ebbe inoltre occasione di svolgere alcuni incarichi pubblici, ad
esempio lavorando alle dipendenze dell’ispettore regionale; tuttavia, forse a causa
dell’apparente mancanza di ambizione, che faceva sì che egli non nutrisse particolare
desiderio di ottenere grandi profitti o ricoprire posizioni di prestigio, pare che, giunto
a quella che avrebbe potuto rivelarsi una decisiva svolta nella sua carriera, Wang
Chong abbia preferito consegnare le proprie dimissioni e tornarsene a casa. Questi dati
già di per sé ci fornirebbero degli indizi per abbozzare la personalità di questo
intellettuale, ma altre parole vengono spese per descriverlo più nel dettaglio: veniamo
quindi a sapere che fin da giovane aveva amato apprendere gli insegnamenti dei testi
classici, e che, nonostante non potesse permettersi di possederne delle copie, ne aveva
appreso con facilità il contenuto grazie all’ottima memoria di cui era dotato. Un forte
accento viene posto anche su quanto egli amasse discutere e dialogare, spesso
sconcertando gli interlocutori con i suoi ragionamenti insoliti per l’epoca.
Appare evidente come in realtà lo Hou Hanshu non abbondi di informazioni
precise; ad esempio, se esso colloca la data di morte di Wang Chong nell’era Yongyuan
(89 – 105 d.C.), nulla viene riportato sulla data di nascita. E’ qui che interviene l’altra
fonte, forse ancora più rilevante della prima in quanto si tratterebbe di una biografia
redatta di proprio pugno dallo stesso Wang Chong, e che costituirebbe l’ultimo capitolo
del Lunheng, che non a caso prende il titolo di Ziji 自己, “Autobiografia”. Grazie ad esso
apprendiamo che egli sarebbe nato nel 27 d.C., e dunque due soli anni dopo la fine
della dinastia Xin 新, che aveva visto regnare l’usurpatore Wang Mang 王莽: un’epoca
caratterizzata da instabilità politica e disastri naturali (come l’inondazione del Fiume
Giallo dell’11 d.C.), che venivano superstiziosamente interpretati come punizioni o
moniti di avvertimento agli uomini. Abbiamo inoltre modo di venire a conoscenza di
quella che si presenterebbe come una contraddizione con quanto annotato nella storia
dinastica: Wang Chong infatti tiene a specificare che, nonostante l’eloquenza che lo
contraddistingueva, non amava tuttavia discutere, e talvolta poteva rimanere giorni
interi senza pronunciare una parola.
Pensiero

Si incontrano notevoli difficoltà quando ci si domanda in quale corrente di pensiero


sarebbe corretto collocare Wang Chong. Non si tratta di un quesito banale, poiché la
posizione intellettuale di un autore è la chiave di volta dell’interpretazione della sua
opera: un testo scritto da un autore confuciano si leggerà in tutt’altra maniera rispetto
a quello scritto da un taoista.
“Definire è limitare”, e difatti, è sufficiente leggere alcune righe per rendersi
conto di quanto affibbiare a Wang Chong una qualsiasi etichetta risulterebbe non solo
limitante, ma palesemente errato. Egli, infatti, non si avvicina ad alcuna scuola di
pensiero, ma, tenendosi a una giusta distanza da tutte, le osserva e le analizza con
attenzione, per poi criticarne e demolirne i pali fondanti. In particolare, si può
affermare che la maggior parte delle sue critiche pungenti si scaglino contro il taoismo.
Due esempi sono lo scetticismo nei confronti della tipica credenza taoista
nell’esistenza degli immortali e della convinzione antropocentrica per cui Cielo e Terra
– il cosmo – siano stati creati a beneficio dell’uomo.
Wang Chong riserva giudizi più blandi al confucianesimo, condividendone a sua
volta diversi precetti; per citare un caso, egli non si oppone al sistema di sacrifici
prescritti nel Liji 禮記, e anzi li approva. Ciononostante Wang Chong pare concepire
questo complesso sistema di riti più come una lodevole tradizione di rispetto e onore
nei confronti degli antenati, piuttosto che come l’ossatura essenziale che sorregge la
società, e perciò non sarebbe propriamente corretto interpretare la figura di Wang
Chong come quella di un intellettuale confuciano tout court. Inoltre, egli si distacca dai
confuciani anche nel momento in cui non condivide l’idea del progressivo decadimento
della società da una originaria epoca gloriosa; discutendo degli omina (ovvero i segni
fausti o nefasti, spesso associati alla nascita e al crollo delle dinastie), egli ammonisce
gli eruditi, che sostenevano che i segni di buon auspicio si fossero diradati rispetto
all’antichità, a osservare la società contemporanea con occhio razionale e realistico, al
fine di scorgerne i lati positivi, anziché perdersi nelle reminiscenze di un’ormai
trascorsa aetas aurea. Eppure, è proprio relativamente agli omina, che non sarebbe
così illecito dubitare per un attimo dello spirito razionalista di Wang Chong: infatti,
com’è possibile che egli arrivi ad ammettere l’esistenza di presagi positivi, sostenendo
non solo che essi avvenivano nel passato, ma che si riscontrano anche nel presente,
quando uno dei suoi obiettivi nella stesura del Lunheng è proprio la demolizione delle
credenze superstiziose? È possibile che vi creda veramente? La scarsità di fonti rende
assai arduo dare una risposta netta; tuttavia, ritengo verosimile un’ipotesi per cui egli
sosterrebbe il verificarsi di presagi positivi in epoca Han principalmente per non
risultare un intellettuale scomodo alle autorità: negarne l’esistenza avrebbe potuto
equivalere a dichiarare che la dinastia Han non era in effetti degna del tianming 天命, e
ciò si sarebbe potuto ripercuotere su Wang Chong con gravi conseguenze. Come si può
intuire, quest’ipotesi tende dunque a perdonare all’autore questa défaillance,
giustificandola non come un’assenza di razionalità, ma come un comprensibile
pragmatismo. In fin dei conti, dopo il rigore logico da lui applicato nel campo
scientifico delle scienze naturali e dell’astronomia, un’effettiva credenza nei confronti
dei presagi risulterebbe singolarmente incongrua.
La verità è che Wang Chong non può essere perfettamente incasellato in una
precisa categoria proprio grazie alla mente razionale al massimo grado. Essa gli rende
impossibile affidarsi ciecamente all’una o all’altra filosofia; invece, con un
atteggiamento quasi illuministico, egli predilige mettere in atto un’analisi critica:
mentre pondera razionalmente le varie scuole di pensiero del suo tempo
(confucianesimo e taoismo, ma anche legismo), Wang Chong da un lato ne demolisce
gli aspetti che ritiene irragionevoli, ma allo stesso tempo ne trae quei principi che
ritiene validi e pertanto degni di essere conservati e rielaborati. Ad esempio, del
taoismo, che critica con tanta durezza, adotta il principio di spontaneità, ziran 自然,
anche se, come avremo modo di vedere nella traduzione che seguirà, Wang Chong
paradossalmente finisce per adoperarlo nella confutazione della convinzione taoista
per cui Cielo e Terra agiscono a beneficio dell’uomo.
Pertanto, se proprio è necessario definire Wang Chong, di lui possiamo
affermare con sicurezza che si tratta di un pensatore “iconoclasta”, secondo le parole di
Lanciotti, ma anche scettico, metodico, razionale, che sincreticamente riunisce e
rielabora alcuni principi fondanti delle maggiori scuole di pensiero della propria epoca
in una nuova e inaspettata forma, grazie all’originalità del proprio pensiero.
Opere

Lunheng
Per quanto riguarda le opere di Wang Chong, l’unica che viene nominata nello Hou
Hanshu è proprio il Lunheng; peraltro, questa è anche l’unica sua opera che ci sia stata
trasmessa. “Bilancia di discussioni”, suddivisa in 85 capitoli1 – anche se la divisione in
capitoli o libri varia a seconda dell’epoca e del curatore – è un lavoro complesso, in cui
l’autore prende in considerazione, analizzandole, criticandole, confutandole, una
varietà di tematiche che interessavano da vicino la società in cui viveva, e di cui la
cultura dell’epoca era intrisa; alcuni di questi temi, come ad esempio i riti e le profezie,
sono più concreti e attinenti alla vita quotidiana, mentre altri, primo fra tutti la
questione della natura umana, si staccano dallo sfondo della vita concreta per
assurgere al livello di una riflessione teorica che pure non risulta slegata dalla realtà.
Ad esempio, nel momento in cui Wang Chong arriva a confutare l’idea che Cielo e Terra
(tiandi 天地) agiscano a beneficio dell’uomo, è chiaro che una simile conclusione non
può non inficiare tutto quel concreto, tangibile sistema di riti (confuciani, ma anche
tutti quei riti spesso grossolanamente raggruppati sotto l’etichetta di wu 巫,
“sciamanici”) e credenze su cui poggiava le proprie basi la società Han del I secolo d.C.
Per quanto riguarda i commentari, ve ne sono almeno tre: uno a opera di Huang
Hui 黃暉 (il Lunheng jiaoshi 論衡校釋), uno più antico, il Lunheng jijie 論衡集解, a cura
di Liu Pan 劉盼(su cui si basa anche Huang Hui), e il commentario Lunheng zhushi 論衡
注釋 compilato nel XX secolo dallo studioso Gao Suheng 高蘇垣.
Piuttosto scarsi sono i riferimenti al Lunheng presenti in altre opere; è
opportuno segnalare, comunque, come esso venga citato all’interno del Baopuzi 抱樸
子, ovvero “Il maestro che abbraccia la semplicità”, opera dello studioso Ge Hong 葛洪,
risalente al IV secolo d.C. Ciò risulta interessante in quanto i fini ricercati dalle due
opere sono diametralmente opposti: a un polo si situa il Lunheng, che con il suo spirito
scettico si ingegna per riportare il lettore a una visione razionale e (proto)scientifica

1I capitoli di cui siamo effettivamente in possesso sono in realtà 84, poiché uno di questi, il 44 (Zhaozhi
招致) non ci è pervenuto.
della realtà, mentre, al polo opposto, il Baopuzi ragiona sull’immortalità, indagando i
metodi alchemici per ottenerla.

Altre opere
Accenni a ulteriori lavori di Wang Chong, che tuttavia non sono giunti fino a noi, si
trovano nuovamente sia nello Hou Hanshu che nel suo capitolo autobiografico. La
storia dinastica riporta il titolo di un’opera in suddivisa in 16 sezioni, Yangxing 養性
(“Alimentare la vita”), che egli avrebbe composto in tarda età, mentre altri due lavori
vengono menzionati dallo stesso Wang Chong: lo Jisu 譏俗 (“Critica delle usanze”) e il
Zhengwu 政 務 (“Affari di governo”). Infine, secondo alcuni un passaggio
dell’autobiografia darebbe adito a pensare che vi venga nominato un'altra opera, lo
Shilun 實論 (“Discorso sulla verità”), ma va da sé che non vi è traccia nemmeno di
questa.
Lingua e stile
La lingua è un elemento che fornisce un contributo fondamentale nel distinguere Wang
Chong dal panorama letterario dell’epoca. Nella sua autobiografia, parlando del
Zhengwu, egli stesso afferma di averlo scritto nutrendo la speranza che la gente
comune, leggendolo, potesse ridestarsi. Pertanto, se la finalità degli scritti di Wang
Chong è condurre all’interpretazione razionale del mondo non solo funzionari e
studiosi, ma anche lettori culturalmente meno raffinati, è evidente che egli dovrà
adoperare un linguaggio e uno stile in grado di adattarsi alle diverse necessità di un
pubblico così eterogeneo. Ne deriva una lingua quasi vernacolare, che tende
maggiormente al colloquiale, senza per questo scadere nel banale o nel poco raffinato:
essenziale e precisa, pulita, piana, priva di quegli arcaismi che ne avrebbero reso
inutilmente difficile la comprensione a chiunque non fosse stato un letterato; al punto
che, traducendo Wang Chong, capita più di frequente di essere messi in difficoltà dalla
complessità del ragionamento che non dall’oscurità del linguaggio. Hu Shi 胡适, grande
studioso cinese del XX secolo, uno dei propugnatori dell’utilizzo del 白话, analizzando
il Lunheng arrivò addirittura a sostenere che Wang Chong fosse stato il primo letterato
a impiegarlo nei propri scritti. Del resto, può forse stupirci questa sua volontà di
avvicinarsi a un pubblico il più ampio possibile? Se il maggiore cruccio di Wang Chong
era dato dalle credenze superstiziose e irrazionali che dominavano quasi ogni aspetto
della vita sociale, allora questo desiderio è più che naturale: come avrebbe potuto
sperare in un effettivo cambiamento della società se si fosse rivolto solo a pochi
destinatari privilegiati?
Per quanto riguarda invece lo stile dei suoi scritti, esso è dominato dalla
presenza del ragionamento dialettico, tipico in effetti dei testi di impianto filosofico:
nel corso del Lunheng, Wang Chong di volta in volta pone il lettore di fronte alla presa
di posizione a cui egli si oppone, e gradualmente ma inesorabilmente la smonta e
infine l’annienta. È curioso come questa sia una tecnica molto simile a quella di cui si
serve anche Ge Hong nel Baopuzi, ad esempio quando controbatte alle obiezioni di chi
non ammette la possibilità per gli uomini di raggiungere l’immortalità; medesima
tecnica, dunque, ma ancora una volta obiettivi radicalmente diversi.
Traduzione dell’incipit del capitolo 物勢, “L’energia delle cose”

Nell’intero capitolo, e in particolare in quest’estratto, si verifica l’energica confutazione


della diffusa idea secondo la quale il cosmo agirebbe a beneficio (o a danno) dell’uomo;
sotto le sferzate dialettiche di Wang Chong, il lettore osserva la relazione tra uomo e
tiandi 天地 spogliarsi di qualsiasi parvenza di intenzionalità.

儒者論曰:「天地故生人。」此言妄也。
Gli eruditi affermano: “La Terra e il Cielo danno intenzionalmente vita all’uomo.”
Queste parole, tuttavia, non sono in accordo con la ragione.

夫天地合氣,人偶自生也。猶夫婦 合氣,子則自生也。
Quando la Terra e il Cielo uniscono il proprio 氣, l’uomo viene generato
spontaneamente e in maniera casuale, allo stesso modo in cui, quando marito e
moglie uniscono il proprio 氣, il bambino viene generato spontaneamente.

夫婦合氣,非當時欲得生子;情欲動而合,合而生子矣。且夫婦不
故生子,以知天地不故生人也。
Quando marito e moglie si uniscono, non è che in quel momento desiderino
generare un figlio; essi si uniscono, spinti dal desiderio, e da quest’unione si
genera il figlio. Dal fatto che marito e moglie non concepiscono un figlio
intenzionalmente, si può dedurre che nemmeno il Cielo genera
intenzionalmente gli uomini.

然則人生於天地也,猶魚之於淵,飢虱之於人也。因氣而生,種類
相產,萬物生天地之間,皆一實也。
Inoltre, l’uomo trae la propria origine dal Cielo e dalla Terra, così come il pesce
nello stagno e il pidocchio dall’uomo. Generandosi dal 氣, ogni specie a sua volta
si riproduce; per tutto ciò che si genera tra Cielo e Terra è valida quest’unica
verità.

La glossa di Huang Hui 黄晖 segnala il carattere 種, specificando che esso è da intendersi

come 眾, carattere che indica la numerosità, la moltitudine, e pertanto la traduzione che in


realtà si avvicinerebbe maggiormente al testo originale sarebbe “tutte le specie”; ad ogni
modo, ritengo che la traduzione “ogni specie” presenti una differenza pressoché nulla,
risultando accettabile ugualmente.

傳曰:「天 地不故生人, 人偶自生。」


Si afferma: “Il Cielo e la Terra non generano intenzionalmente l’uomo; l’uomo viene
generato accidentalmente.”

Verrebbe spontaneo tradurre l’espressione “傳曰” con “I Commentari affermano”. Tuttavia, la


glossa relativa ci informa che questo 傳 va in effetti inteso come 或. Ne risulta l’espressione
「或曰」; di conseguenza, da “I Commentari affermano” la traduzione si trasforma in “Alcuni
affermano / si afferma”.

若此,論事者何故云:「天地為爐,萬物為銅,陰陽為火,造化為工」
乎?
Stando così le cose, se sosteniamo questo punto di vista come possiamo anche
asserire che “il Cielo e la Terra sono la fornace, le diecimila cose il rame, lo yin e lo
yang il fuoco, e i processi generativi il lavoro?”

Due sono le riflessioni che mi si sono offerte traducendo queste parole.


1. La prima riguarda l’interessante termine evidenziato, 造化. Questo termine è stato
generalmente tradotto in due modi: a) “il Creatore”, traduzione datata nonché di chiara
accezione cristiana, e che come tale sarebbe bene adoperare con estrema prudenza 2, e

2Un esempio di tale utilizzo si trova in un estratto del capitolo Dazongshi 大宗师, all’interno del
Zhuangzi 庄子. Questo il testo originale:「今一以天地为大鑪,以造化为大冶,恶乎往而不可哉?成
然寐,蘧然覺。」A fronte di ciò, il sinologo James Legge (1815 – 1897) traduce: “When we once
understand that Heaven and Earth are a great melting-pot, and the Creator a great founder, where can
we have to go to that shall not be right for us? We are born as from a quiet sleep, and we die to a calm
awaking.”
b) “Natura”. Come si può notare, dopo aver escluso la prima accezione, non ho tuttavia
optato per la seconda; ho bensì preferito orientarmi su una traduzione che rendesse a
un tempo giustizia alla complessità che soggiace alla tradizionale resa “Natura”, sia ai
singoli componenti dell’espressione 造化, brevemente, “fabbricare, produrre, creare” e
“trasformazioni”. Questo processo di produrre trasformazioni si riferisce al contesto
naturale: da qui la mia resa “processi generativi”. All’origine della mia scelta
dell’attributo “generativi” vi è poi un’altra ragione: agevolare il dipanarsi lungo il testo
dell’elemento che ne costituisce il fil rouge, ovvero l’atto generatore (合氣, 生) che
pervade il mondo nella sua sfera cosmica.
2. La seconda riguarda le parole inserite tra le virgole. Esse infatti fanno riferimento al
celebre Funiao fu 鵩鳥賦, composto da Jia Yi 贾谊 (200 – 168 a.C.), e nello specifico a
questo segmento: 「 且夫天地為鑪,造化為工;陰陽為炭,萬物為銅,[…] 」
A dispetto delle varianti inserite da Wang Chong (nella sua versione, yin e yang sono il
fuoco, non il carbone, e inoltre egli dispone i termini diversamente), la somiglianza è
evidente e non può non far pensare a una diretta citazione. Ma a quale scopo citarlo? Jia
Yi era un intellettuale dalle forti connotazioni taoiste, legiste e confuciane, e pertanto lo
scopo di Wang Chong, lungi dall’essere una celebrazione dell’autore del noto fu, risulta
invece un tentativo di screditarlo, attaccando proprio quella convinzione per cui il
cosmo non sarebbe altro che una fornace all’interno della quale ogni operazione
avviene premeditatamente, secondo uno schema ben preciso.

案陶 冶者之用火爍銅燔器,故為之也。而云天地不故生人,人偶自生
耳,可謂陶冶者不故為器而器偶自成乎?
Il vasaio e il fonditore creano i propri manufatti col fuoco, e fanno ciò
intenzionalmente. Se si afferma che Cielo e Terra generano l’uomo a prescindere
dalla propria volontà, e che l’uomo si genera in maniera accidentale e spontanea, si
potrebbe allora anche sostenere che il vasaio e il fonditore non producono
intenzionalmente i propri manufatti, e che sono invece i manufatti stessi che
casualmente si realizzano?

夫比不應事,未可謂喻;文不稱實,未可謂是也。
Qualora un paragone non rispecchi i fatti, non lo si può definire un’analogia;
qualora gli scritti non riportino la verità, non si possono definire corretti.

曰:「是喻人稟氣不能純一,若爍銅之下形,燔器之得火也,非謂天
地生人與 陶冶同也。
Si dice:“Quest’analogia, secondo cui il 氣 di cui è permeato l’uomo non è uniforme
come lo stampo in cui si versa il rame liquido, né come il fuoco adoperato per
cuocere i vasi, non afferma che Cielo e Terra generano l’uomo alla maniera del
vasaio e del fonditore.”

La glossa chiarisce che il carattere 形, “forma” è da intendersi come il più specifico 型, che
indicherebbe lo stampo in cui si versa il metallo fuso onde plasmarlo; rimango del parere che
in italiano non vi sia in realtà una differenza apprezzabile, dato che spesso “forma” e “stampo”
vengono utilizzati intercambiabilmente, ma è bene in ogni caso tenerne conto.

(興) 喻,人皆引人事,人事有體,不可斷絕。
Secondo quest’analogia, ogni volta che gli uomini trattano di questioni concernenti
la natura umana, queste devono essere prese come un insieme organico di cose che
non possono essere separate.

以目視頭,頭不得不動;以手相足,足不得不搖。目與頭同形,手與
足同體。
Quando con gli occhi si osserva il capo, il capo non può fare a meno di muoversi;
quando si rivolge la mano verso il piede, il piede non può fare a meno di muoversi.
Gli occhi e la testa hanno la stessa forma, la mano e il piede sono fatti della stessa
sostanza.

La glossa specifica che il carattere 相 è da interpretarsi come 視: questa è la ragione per cui
non ho tradotto “quando la mano afferra il piede”, e ho invece optato per “quando si rivolge la
mano verso il piede”.
今夫陶冶者,初埴作器,必模范為形,故作之 也;燃炭生火,必調和
爐灶,故為之也。
Come il vasaio, per creare un vaso dall’argilla deve elaborare la forma in base a un
modello, così anche il fonditore, per ottenere il fuoco dalla braci ardenti, deve
necessariamente regolare la fornace, ed entrambi fanno ciò intenzionalmente.

及銅爍不 能皆成,器燔不能盡善,不能故生也。
Ma non tutti gli utensili di rame riescono bene, né ogni vaso risulta perfetto, e
questo non accade intenzionalmente.

夫天不能故生人,則其生萬物,亦不能故也。天地合氣,物偶自生矣。
Dal momento in cui Cielo e Terra non possono generare l’uomo in maniera
premeditata, allora anche la creazione delle Diecimila Cose non può essere
intenzionale. Dall’unione del 氣 di Cielo e Terra, tutti gli enti si originano
spontaneamente.

L’incipit si conclude dunque con la negazione di una qualsiasi precisa intenzionalità nei
processi generativi e trasformativi che avvengono nel cosmo: in queste poche righe si
coglie appieno l’estrema modernità del pensiero di Wang Chong, che spoglia 天地 di
ogni orpello ideologico, ricollocando Terra e uomini al proprio posto nell’economia
naturale della realtà empirica.
Bibliografia

Forke A. (tradotto da), Lun-Heng: Philosophical Essays of Wang Ch’ung, vol. 1, Londra,
Luzac, 1907, pp. 103-108

Lanciotti L., Wang Chong l’iconoclasta, Venezia, Cafoscarina, 1997

Wang Chong 王充, Lunheng jiao shi – Huang Hui zhuan (sui Liu Pan Sui jijie) 論衡校釋
– 黄晖撰 (随劉盼遂集解), Beijing, Zhonghua shuju chuban, 1990, pp. 144-145

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