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POLITECNICO DI MILANO

FACOLTÀ DI INGEGNERIA DEI SISTEMI


Corso di Laurea in Ingegneria Biomedica

MODELLAZIONE NUMERICA
DI DISTRETTI VENOSI
A PARTIRE DA MODELLI
MATEMATICI
MONODIMENSIONALI

Relatore: Prof. Alessandro VENEZIANI

Correlatore: Dott. Christian VERGARA

Tesina di laurea di:

Anna COSTA

Matr. 632389

Anno Accademico 2005 - 2006


Una frase a me molto cara,
trovata per caso in due testi di bioingegneria,
credo si applichi bene sia alla conoscenza che all'uomo in ricerca:

Aimer,
ce n'est pas
se regarder l'un l'autre:
c'est regarder ensemble
dans la même direction.

A. de St. Exupery, Terre des Hommes


Indice

1 Fisiologia del sistema venoso 5


1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.2 Caratteristiche del sistema venoso . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.2.1 Caratteristiche anatomiche . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.2.2 Caratteristiche siche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.2.3 Dierenze morfo-funzionali all'interno del sistema venoso 15
1.3 Sistema venoso degli arti inferiori . . . . . . . . . . . . . . . . 16
1.3.1 Rete profonda e superciale, vene perforanti . . . . . . 17
1.3.2 Valvole nelle vene degli arti inferiori . . . . . . . . . . . 18
1.3.3 Cenni sulla modellazione matematica della parete venosa 19
1.3.4 Pompe agenti a livello vene arti inferiori . . . . . . . 20
1.3.5 Pompa muscolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
1.3.6 Disfunzioni dirette ed indirette della pompa valvolo-
muscolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
1.3.7 Cenni di patologia del circolo venoso degli arti inferiori 27

2 Modellazione matematica 32
2.1 Obbiettivi del Modello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
2.2 Formulazione del modello 1D per i vasi sanguigni . . . . . . . 34
2.2.1 Derivazione del modello base . . . . . . . . . . . . . . . 34
2.2.2 Legge di spostamento della parete . . . . . . . . . . . . 37
2.2.3 Curve caratteristiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
2.2.4 Condizioni al bordo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
2.3 Modellazione di una valvola unidirezionale e dell'azione mu-
scolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
2.3.1 Valvola come condizione di interfaccia . . . . . . . . . 44
2.3.2 Modellazione analitica dell'azione del muscolo . . . . . 46
2.3.3 Discretizzazione numerica del modello analitico consi-
derato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
INDICE 4
3 Simulazioni numeriche 54
3.1 Introduzione ai casi test . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
3.2 Valvola siologica: confronto al variare del Modulo di Young . 55
3.2.1 Caso test 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
3.2.2 Caso test 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

4 Ringraziamenti 63
Capitolo 1
Fisiologia del sistema venoso

1.1 Introduzione
Se già dagli ultimi anni Cinquanta sono stati fatti grossi progressi nel tratta-
mento di patologie arteriose, non altrettanto si può dire per quanto riguarda
le patologie venose. La siopatologia delle malattie venose, ebopatie, è, per
molti aspetti, più complessa di quella della sua controparte arteriosa. In-
fatti, le patologie arteriose sono riconducibili nella gran parte dei casi alle
conseguenze di occlusioni (stenosi). Nella circolazione venosa, oltre alle oc-
clusioni, che sono comunque di natura trombotica, molti problemi possono
nascere per insucienza valvolare. Inoltre, tra gli eetti legati alle patologie
venose, come per quelle arteriose, ci sono non solo problemi locali, o di un
distretto, ma anche quelli determinati dalla mobilizzazione di trombi verso
la circolazione polmonare. Inoltre la tta rete di circoli collaterali, la bassa
pressione caratteristica delle vene, la natura collassabile della parete venosa,
l'intermittenza del usso venoso sono caratteristiche che rendono complesso
l'approccio al problema e lo studio dei meccanismi siologici in atto. Nonos-
tante questa complessità, c'è un corpo crescente di valide informazioni che
riguardano la siologia venosa. Molto del progresso di questi ultimi anni
nel campo è dovuto allo sviluppo di duplex scanning, che permette la vi-
sualizzazione in continua dei pattern di usso, all'introduzione di ussimetri
magnetici e Doppler, che forniscono dati di usso dinamici, al perfezionamen-
to dei sensori di pressione con risposte alle alte frequenze ed a nuovi metodi
pletismograci. Intenso interesse e continui sforzi sono pertanto continua-
mente fatti dai chirurghi vascolari per svilppare i metodi di trattamento di
tali disturbi. Le tecniche, che ormai sono diventate abbastanza chiare, pos-
sono migliorare la diagnostica. E' in quest' ambito che si inserisce anche lo
studio tramite modellazione matematico-numerica.
1. Fisiologia del sistema venoso 6
In questo capitolo tratteremo delle principali caratteristiche del sistema
venoso e delle principali dierenze morfo-funzionali dei vari distretti. Ev-
idenzieremo, in particolare, le caratteristiche del sistema venoso degli arti
inferiori, che è l'oggetto della prima modellazione qui proposta.

1.2 Caratteristiche del sistema venoso


Le vene sono i condotti per il usso di sangue dai letti capillari in direzione
del cuore.
Il sistema venoso ha tre principali funzioni siologiche: drenaggio dei
tessuti vascolarizzati, regolazione della capacità vasale con conseguente re-
golazione dell'emodinamica caridaca, termoregolazione. Inoltre, i vasi venosi
servono come parte del meccanismo di pompa periferica che assiste il cuore
nel trasporto di sangue durante l'esercizio. L'insucienza venosa mette in
evidenza un'anomalia, più o meno forte, di queste funzioni, il che accade
quando il sistema venoso non riesce ad assicurare un drenaggio unidirezionale
e cardiopete con portata e pressioni idonee alle necessità, qualunque sia la
postura o l'attività muscolare (si veda [16]). Capaci di dilatarsi e restringer-
si, le vene possono immagazzinare o rendere disponibili grandi quantità di
sangue a seconda delle esigenze degli altri settori della circolazione, nonchè
attuare di fatto una propulsione in avanti del sangue con il meccanismo della
pompa venosa ed altresì contribuire alla regolazione della gittata cardiaca.
Il letto venoso della circolazione sistemica è costituito da una serie di
vasi di calibro crescente che hanno origine dal circolo capillare e trasportano
sangue dalla periferia all'atrio destro, dove sboccano le vene cave superiore
ed inferiore. La quantità di sangue che entra nel letto venoso dipende dal
gradiente pressorio artero-venoso e dalla resistenza del microcircolo. L'entità
del usso è regolata dalla pressione in atrio destro, mentre la sua unidirezion-
alità dalla periferia al cuore è garantita dalla presenza di valvole. Le pareti
delle vene sono molto sottili e, nell'ambito delle pressioni siologiche, assai
distensibili. In condizioni normali, il sistema venoso contiene circa lo 80%
del volume ematico. Il sistema venoso è in sostanza un sistema di raccolta
del sangue reuo dai tessuti, che funge anche da serbatoio di volume a bassa
pressione.
Al ne di comprendere i fenomeni che si vericano nelle vene è necessario
considerare una serie di fattori quali gli eetti della gravità sulla pressione
venosa, le relazioni esistenti tra pressione e volume, le peculiarità associate
al usso attraverso condotti collassabili.
1. Fisiologia del sistema venoso 7
1.2.1 Caratteristiche anatomiche

Le vene dieriscono dalle arterie principalmente per la maggiore sottigliezza


e la minore elasticità della loro parete, per essere facilmente depressibili o
dilatabili, per la presenza di valvole, per la frequenza delle anastomosi. Han-
no normalmente forma cilindrica, ma quando sono vuote di sangue possono
apparire appiattite e collabite; se replete, possono dilatarsi no ad assumere
un calibro notevole. Esistono vene (come le vene del collo) che sono forte-
mente ancorate all'ambiente circostante dalle fasce o da loro espansioni e che
pertanto si mantengono sse e costantemente beanti.
Il numero delle vene è maggiore di quello delle arterie; in molti distretti
per ogni arteria si hanno due vene satelliti; esistono, tuttavia, numerose vene,
come le vene sottocutanee, che non sono satelliti di rami arteriosi (si veda [1]
per maggiori dettagli).

Parete
Le pareti delle vene sono molto sottili e nell'ambito delle pressioni siologiche
assai distensibili. Per la loro struttura, più sottili delle corrispondenti arte-
riose e con poche bre elastiche muscolari, data la bassa pressione venosa,
esse tendono a collabire, cosicchè il loro prolo assume spesso forma ellittica;
diventa invece circolare se la pressione transmurale (Ptm ) aumenta (cenni in
[21], si veda [36] per dettagli).

Figura 1.1: Spessore e raggio venoso (da [3], si veda anche [5] e [11]).

Come mostrato in gura 1.1, il rapporto tra lo spessore di parete e il raggio


del vaso è circa 0.01 − 0.02, mentre nelle arterie si raggiunge facilmente un
valore di 0.06 − 0.08.
1. Fisiologia del sistema venoso 8
Le venule, che fanno seguito ai capillari, presentano attorno all'endote-
lio, inizialmente, solo tessuto connettivo; con l'aumentare delle dimensioni
acquistano anche la muscolatura liscia. Nelle piccole vene (no a 0.2 cm di
diametro) il muscolo liscio è disposto in strati separati da tessuto connetti-
vale. A questo livello si possono riconoscere i tre strati caratteristici della
parete vascolare: intima, media, avventizia. La tonaca media è meno spes-
sa di quella delle arterie e l'avventizia, costituita principalmente da bre di
collagene, rappresenta lo stato principale. Le vene della parte declive del cor-
po hanno in generale una tonaca media più spessa (per un'analisi dettagliata
sulla parete venosa si veda [36]). L'aumento della quantità di tessuto elastico
nelle vene di medio calibro e nelle grosse vene è da mettere in relazione con
l'aumento di tensione di contenimento di questi vasi. Per la legge di Laplace,
l'aumento del raggio del condotto determina una crescita di tensione alla
parete, qualsiasi sia il valore della pressione transmurale. Le bre muscolari
lisce sono innervate dal sistema simpatico e in condizioni normali sono in uno
stato di contrazione attiva (tono). Quando l'attività simpatica viene abolita,
le vene si dilatano, aumentando notevolmente l'area della sezione. Le vari-
azioni siologiche dell'area di sezione di una vena sono ben maggiori di quelle
che si osservano per un'arteria: come si è detto, infatti, i vasi venosi hanno
pareti sottili e facilmente deformabili. Piccole variazioni pressorie possono
quindi produrre ampie modicazioni del calibro e di conseguenza del volume
del sangue che essi possono contenere.

Valvole
La maggior parte delle vene, e specialmente quelle nelle quali il sangue scorre
in senso antigravitario, presenta delle valvole a nido di rondine. Queste sono
pieghe membranose dell' intima foggiate a tasca, simili alle valvole semilu-
nari aortiche e polmonari, rivolte con la loro concavità in direzione del cuore.
Generalmente ad un medesimo livello si trovano due pieghe valvolari poste
a coppia una di fronte all'altra che, se distese da reussi di corrente, ven-
gono a contatto con i bordi liberi e realizzano la chiusura del dispositivo
valvolare. Esistono valvole costituite da un unico lembo e più raramente
da tre lembi (si veda [1]). Ciascuna di queste strutture bicuspidali, delicate
ma estremamente resistenti, si trova alla base di un tratto di vena che si al-
larga a formare un seno valvolare che appare all'esterno come una dilatazione
fusiforme o sacciforme del vaso. Questa disposizione permette alle valvole di
aprirsi ampiamente senza venire a contatto con la parete e di chiudersi rapi-
damente quando il usso comincia ad invertirsi (entro 0.5 sec. dall'apertura,
come citato in [33]).
La distribuzione delle valvole non è regolare ed uniforme, ma corrisponde
1. Fisiologia del sistema venoso 9

Figura 1.2: Spaccato di una valvola venosa [1].

a precise esigenze funzionali. Si trovano valvole più numerose nei distretti


dove il deusso del sangue avviene con maggiore dicoltà, come nelle vene
degli arti inferiori, nelle quali il sangue procede verso il cuore in direzione
opposta alla forza di gravità, mentre mancano quasi sempre nelle vene della
testa e del collo. Valvole esistono tuttavia anche in vene di piccolo calibro
dei territori viscerali, indipendentemente dai fattori dinamici sopra ricordati.
Evidentemente, in queste sedi, la presenza delle valvole ha il compito di
limitare gli eetti di eventuali fenomeni di stasi venosa distrettuale.

Anastomosi e plessi
Carattere peculiare del sistema venoso è la grande frequenza di anastomosi
(si veda [1] e, per maggiori dettagli [13]). Vi si riscontrano tutti i tipi e le
varietà di anastomosi (da quelle per inosculazione a quelle per convergenza,
dalle anastomosi trasversali alle longitudinali, alle reti anastomotiche). Co-
municazioni anastomotiche sono presenti a tutti i livelli dell'albero venoso:
esistono anastomosi tra i principali sistemi venosi, tra le vene principali di
uno stesso sistema e, specialmente abbondanti nella periferia, tra i rami
venosi minori, dove possono costituire disposizioni a rete particolarmente
ricche denominate plessi venosi. Anche le vene profonde sono unite a quelle
superciali mediante rami anastomotici che superano le fasce, detti rami per-
foranti. I vasi anastomotici sono spesso provvisti di apparati valvolari. La
grande ricchezza di anastomosi ed in particolare la presenza di estese reti
venose periferiche fanno sì che non possano esistere aree venose rimaste iso-
1. Fisiologia del sistema venoso 10
late. La presenza di numerose comunicazioni tra le vene corrisponde del resto
a precise esigenze funzionali, se si tiene conto che questi vasi hanno pareti
sottili, facilmente depressibili e che, per compressione, possono andare in-
contro a occlusione. Si realizza pertanto la necessità di disporre di circoli
collaterali attraverso i quali possa compiersi il regolare deusso del sangue.
Derivazioni collaterali si eettuano normalmente a livello delle reti venose
periferiche, ma in condizioni particolari, siologiche e patologiche, parteci-
pano alla formazione di circoli collaterali anche le anastomosi esistenti fra
i vasi di calibro maggiore, cosicché possono determinarsi vie anastomotiche
preferenziali attraverso le quali si attua il circolo reuo. Il dispositivo per-
iferico dei plessi venosi, poiché forma complessivamente un letto vascolare di
notevole capacità, nettamente superiore alla capacità del distretto arterio-
lare corrispondente, e poiché possiede numerose vie di drenaggio, costituisce
inoltre uno spazio di riserva del sangue, di grande importanza funzionale.

1.2.2 Caratteristiche siche

Relazione pressione-volume nelle vene, capacità


Le notevoli variazioni di capacità che accompagnano anche piccole variazioni
di pressione sono la caratteristica peculiare dei vasi venosi e condizionano
il comportamento del letto venoso e la regolazione del usso nel circolo sis-
temico (per modellazione 0D si veda [37], per principi siologico-sici si veda
[27]), soprattutto in quei casi (ad esempio l'ortostatismo) in cui entra in gioco
la gravità ad aumentare la pressione.
Quando la pressione è molto elevata la sezione della vena è circolare: in
queste condizioni la parete è assai rigida, perchè le bre di elastina e di colla-
gene sono completamente stirate e si oppongono ad ulteriori deformazioni. Se
la pressione diminuisce, la vena rimane circolare ma la distensibilità ∆V /∆P
è maggiore perchè le bre elastiche possono essere dereclutate gradualmente.
Al di sotto di un certo valore pressorio la vena diventa ellittica e l'area della
sezione diminuisce, ma la distensibilità cresce in proporzione, raggiungendo
un massimo per pressioni di circa 5 mmHg. Il collasso (la pressione trans-
murale diventa negativa, cioè la pressione che agisce sull'esterno del vaso è
maggiore di quella intraluminale) avviene tra i 10 e i −10 mmHg, cioè al
centro dell'ambito siologico. Gran parte delle vene collabisce quando la
Ptm scende al di sotto di 4.5 − 6.6 cmH2 O , ovvero di 0.033 − 0.049 mmHg.
Le variazioni della pressione transmurale dunque inuiscono sulla forma del
vaso venoso e ciò ha notevoli conseguenze sul usso ematico. Per esempio,
quando il prolo delle vene passa da ellittico a circolare, la resistenza al
usso diminuisce, essendo maggiore il calibro vasale, e la capacità aumenta.
1. Fisiologia del sistema venoso 11
La distensibilità venosa media è di circa 1.5 ml/kg/mmHg, mentre quella
delle arterie è trenta volte minore. La distensibilità venosa è più elevata nei
distretti splanico e cutaneo che non nel distretto muscolare. Una conseguen-
za diretta della distensibilità venosa è che quando viene aggiunto o rimosso
sangue al sistema circolatorio, il volume del letto venoso aumenta in modo
maggiore che non in quello arterioso. La vene sono quindi serbatoi di sangue
capaci di accogliere o cedere grandi volumi per piccole variazioni pressorie.
100 mmHg e il volume
In condizioni normali, la pressione arteriosa media è di
750 ml, mentre nel letto venoso i
di sangue contenuto nel letto arterioso di
valori sono rispettivamente 5 mmHg e 2500 ml (si veda per maggiori dettagli
[3]).

Figura 1.3: Andamento del volume in funzione della pressione (da [33]).

Velocità
La velocità di scorrimento del usso è inversamente proporzionale all'area
della sezione del vaso. Ne deriva che, per un vaso posto orizzontalmente, la
velocità aumenta in corrispondenza di una costrizione, la pressione laterale
si riduce nel punto di restringimento. Viceversa, in un punto dilatato la
pressione laterale è maggiore perché diminuisce la velocità di scorrimento,
perciò l'energia cinetica. Ciò è conforme al principio di Bernoulli nell'ipotesi
di vaso orizzontale: se la velocità di scorrimento aumenta, aumenta l'energia
cinetica a scapito dell'energia potenziale. La velocita media del usso ematico
tende ad aumentare dalla periferia al cuore. La supercie della cava è circa
il 50% più grande di quella dell' aorta e, in media, la supercie delle vene è
1. Fisiologia del sistema venoso 12
circa quattro volte superiore a quella delle arterie. Nella vena cava, la velocità
media del sangue è pertanto stimabile in circa 20 cm/s, cioè solo 1/3 più bassa
di quella del sangue nell'arco aortico. Questo dato serve anche a risolvere
l'incertezza che può nascere osservando il lento sanguinamento da una vena
recisa, rispetto al otto prodotto dal taglio di un'arteria. La fuoriuscita (lenta
o rapida) del sangue dal vaso dipende, infatti, più dal gradiente pressorio che
non dalla velocità di scorrimento del sangue (si veda [16], [27]).
In sintesi, la pressione laterale è maggiore dove la velocità di scorrimento
è minore (dilatazione); viceversa è minore dove la velocità di scorrimento è
maggiore (costrizione). Questi sono i ben noti fenomeni di vasodilatazione
e vasocostrizione che sono naturalmente determinati dal controllo da parte
delle cellule nervose che innervano la parete dei vasi. Un aumento del tono
simpatico, con produzione di amine (adrenalina e noradrenalina), per esempio
a seguito di una reazione da stress, stimola i recettori α (stimolazione α-
adrenergica) che determina vasocostrizione: aumenta il ritorno venoso e ciò
facilita l'attività cardiaca. Viceversa un aumento del tono vagale produce
acetilcolina, che determina vasodilatazione e bradicardia (caso estremo, lo
svenimento). Vasodilatazione o vasocostrizione possono essere indotte da
farmaci. Vedremo nei seguenti paragra come entrano in gioco dal punto di
vista siologico.
Inoltre la velocità del usso è più elevata nelle grosse vene che non nelle
venule in quanto la sezione totale del letto vascolare diminuisce progressiva-
mente approssimandosi al cuore.

Flusso e resistenza venosa


L'area di sezione del letto vascolare venoso è molto elevata. Come il sistema
arterioso, anche il sistema venoso ore quindi una bassa resistenza al usso
ematico. Poichè il gradiente pressorio tra capillari e cuore è di circa 15
mmHg, la resistenza media al usso può essere stimata in 3 mmHg/l/min.
La resistenza al usso nelle vene è infatti inuenzata da numerosi fattori (si
veda, per maggiore approfondimento, [5], [16], [27]).
L'attività respiratoria (si veda [13], [33], [16] e [3])favorisce comunque il
usso ematico agendo come pompa aspirante. Durante l'espirazione forza-
ta a glottide chiusa (manovra di Valsalva, tosse), aumentano sia la pressione
addominale che quella toracica e il usso nelle vene di questi distretti è prati-
camente nullo. La maggior parte delle grosse vene che entrano nel torace
subisce compressioni in molti punti, sicchè il usso ematico ne risulta osta-
colato. Per questo motivo le grosse vene orono una notevole resistenza al
usso del sangue, per cui la pressione nelle vene periferiche risulta general-
mente da 4 a 9 mmHg più alta che nell'atrio destro. E' da notare che però
1. Fisiologia del sistema venoso 13
le vene che stanno all'interno del torace non sono mai collassate, grazie alla
pressione negativa endotoracica che le mantiene distese.
Il usso nei vasi venosi cerebrali è continuo, nonostante la pressione sia
nettamente subatmosferica (-30/-40 mmHg) in posizione ortostatica. I fattori
che garantiscono il usso sono la presenza del liquor cefalorachidiano e la
conformazione dei seni venosi. Quando si assume la posizione eretta, sia la
pressione intravasale che quella del liquor (extravasale) subiscono le stesse
modicazioni: la pressione transmurale delle vene rimane pertanto costante.
D'altro canto, l'adesione, dei vasi venosi ai piani ossei e alla dura (seni venosi)
si oppone al collabimento dei vasi.

Pressione venosa periferica e fattore idrostatico


La pressione intravascolare è composta dalla pressione dinamica, prodotta
dalla contrazione del ventricolo sinistro, dalla pressione idrostatica prodotta
dal peso della colonna ematica e da quella statica di riempimento correlata
all'elasticità della parete vascolare.
Diversamente dal sistema arterioso, in cui le pressioni sono elevate, la
componente dinamica all'interno del sistema venoso è moderatamente bassa,
aggirandosi intorno ai 15-20 mmHg nelle venule e cadendo a 0-6 mmHg nel-
l'atrio destro. Quando nell'atrio destro la pressione si innalza al di sopra del
suo valore normale di 0mmHg , il sangue comincia a tornare indietro nelle
grosse vene e a distenderle. Ma la pressione nelle vene periferiche non si
innalza no a che non vengano aperti tutti i vasi collassati lungo il percorso
che va dalle vene periferiche alle grosse vene. Ciò di solito si verica quando
la pressione atriale si innalza sino a raggiungere i 4 − 6mmHg . Se poi la
pressione dell'atrio destro si innalza ancora, ogni ulteriore aumento si riette
sulla pressione venosa periferica determinandovi un aumento corrispondente.
Tuttavia, in qualsiasi posizione diversa da quella orizzontale, la pressione
idrostatica può essere notevolmente superiore a quella dinamica e può essere
determinante per il computo della pressione vasale.
In un soggetto in posizione supina, la pressione venosa transmurale nelle
venule degli arti inferiori è di circa 15 mmHg mentre nelle vene cave si rag-
giungono all'incirca 5 mmHg. La dierenza tra questi due valori rappresenta
il gradiente pressorio che spinge il sangue dalla periferia verso il cuore. Am-
mettendo che la pressione all'esterno dei vasi sia eguale a quella atmosferica,
questi valori indicano anche che i vasi venosi sono normalmente pervi e dis-
tesi. Quando il soggetto assume una posizione eretta, la pressione di spinta
si mantiene pressoché costante, mentre la pressione transmurale rimane in-
variata solo a livello cardiaco. Le vene degli arti inferiori si riempiono infatti
di sangue, no a che la pressione intraluminale non è aumentata di 90-100
1. Fisiologia del sistema venoso 14
mmHg, cioè quanto la pressione idrostatica esercitata da una colonna emat-
ica di circa l m. In queste condizioni, il volume in eccesso che si raccoglie
temporaneamente negli arti inferiori può essere stimato in circa 500 ml. Per
lo stesso motivo, nelle vene del collo, o in quelle di un braccio alzato sopra
la testa, la pressione idraulica è minore di quella misurata a livello cardiaco
e spesso addirittura subatmosferica (si veda [13], [33]).
Facendo una prima sommaria analisi, attraverso il Principio di Bernoulli
1
si può analizzare l'inuenza delle varie componenti sulla pressione sistemica .
Il fattore idrostatico aerma che tutti i punti allo stesso livello hanno
stessa pressione, mentre punti posti al di sotto o al di sopra di un piano
di riferimento, nel nostro caso il piano cardiaco, posseggono una pressione
rispettivamente superiore o inferiore a quelli del piano stesso in relazione
all'entità del loro dislivello. Nell'uomo sdraiato tutti i punti all'interno del-
l'albero circolatorio si trovano circa allo stesso livello del cuore e perciò circa
alla sua pressione. Si misura una pressione di 100 mmHg a livello del ventri-
colo sinistro (Plv ) , circa di 95 mmHg nei vasi arteriosi del capo e dei piedi,
di 2 mmHg a livello di atrio destro (Pra ) e dai 5 mmHg ai 15 mmHg nelle
vene del capo e dei piedi. Nell'uomo in piedi, nei vasi dei distretti al di sopra
del cuore la pressione diminuisce per eetto del fattore idrostatico, mentre
aumenta nei vasi dei distretti al di sotto del cuore di ca 0.75 mmHg per ogni
centimetro di dislivello.

Figura 1.4: Andamento del volume in funzione della pressione (da [33]).

1 Per unità di volume si ha :

E = P + ρgh + 1/2ρv 2 = cost


1. Fisiologia del sistema venoso 15
Per esempio (si veda la trattazione in [3]), in un uomo di ca 1.80 m di
altezza, in posizione eretta, la pressione nei vasi del capo (60 cm sopra il
cuore) si riduce di 44 mmHg: la pressione arteriosa diventa 95 − 44 = 51
mmHg, quella venosa 5 − 44 = −39 mmHg, subatmosferica. Analogamente
capiterebbe alla pressione a livello del polso quando il braccio è alzato (la
componente idrostatica diminuisce di circa 50 mmHg). In questi casi l'eet-
to combinato della pressione atmosferica e della pressione tissutale (circa 5
mmHg) collasserebbe le vene; come accenneremo più avanti, in realtà non è
così grazie a conformazioni e meccanismi in atto nei vari distretti. E' da tener
presente, tuttavia, che le vene al di sopra del cuore tendono a collabire e che
ciò aumenta la resistenza al usso, diminuendo il ritorno venoso. Viceversa,
la pressione nei vasi dei piedi aumenta di 88 mmHg, cosicchè la pressione
arteriosa diventa 95 + 88 = 183 mmHg, venosa 5 + 88 = 93 mmHg. Poichè vi
è un'aumentata pressione intravenosa, si verica una dilatazione delle vene
declivi. Ciò permette al sangue di accumularsi nelle vene delle gambe. Es-
sendo esse vasi a pareti ni, scarse di bre elastiche e quindi collassabili,
quando si passa dalla posizione supina a quella eretta, si dilatano ed hanno
la capacità di contenere un volume totale che è circa 500 ml superiore a quello
in posizione orizzontale (circa 250 ml di sangue vengono spostati in ciascuna
gamba). Ciò evidentemente riduce il ritorno venoso no a causare una sin-
cope, se non ci fosse il meccanismo della pompa muscolare che normalmene
è in funzione in posizione eretta.

1.2.3 Dierenze morfo-funzionali all'interno del sistema


venoso

Per le caratteristiche analizzate, la circolazione venosa è caratterizzata da


un' estrema variabilità di equilibri siologici nei diversi distretti corporei (si
veda ([33])).
Un tipico esempio è rappresentato dalla circolazione venosa intratoracica,
nella quale pressioni e usso risultano dipendenti dalle variazioni di pressione
intratoracica indotte dall'attività respiratoria: l'inspirazione riduce la pres-
sione esercitata sui grossi vasi venosi del mediastino a valori sub-atmosferici;
l'espirazione spontanea la fa ritornare ai valori basali; l'espirazione forzata e
soprattutto la tosse causano un signicativo aumento della pressione intra-
toracica e quindi, indirettamente, della pressione venosa centrale; il ritorno
venoso al cuore risulta quindi `ritmato' dall'attività respiratoria.
Altrettanto signicativo è l'esempio della circolazione venosa cerebrale.
La scatola cranica è un contenitore rigido e non espansibile: l' aumento di
volume da parte di qualsiasi contenuto (per esempio l'insorgenza di tumori
1. Fisiologia del sistema venoso 16
encefalici, di emorragia cerebrale o di edema cerebrale) possono provocare
un marcato aumento di pressione intracranica, che a sua volta inuenza le
pressioni e i ussi di sangue. Inoltre, nella stazione eretta, la testa si trova
20-30 cm al di sopra del cuore: la pressione delle vene cerebrali è dunque
sub-atmosferica.
Il circolo spancnico è privo di valvole ed è dotato di un'enorme capacità:
viene di fatto utilizzato come un serbatoio di sangue da riempire o svuotare
in tempi brevi a seconda delle necessità. Esso è inoltre pesantemente inuen-
zato dalla pressione addominale, che può raggiungere valori elevati quando
la potente muscolatura addominale viene contratta, ad esempio durante la
manovra di Valsalva.
La circolazione venosa degli arti inferiori è totalmente condizionata dal
fattore idrostatico; di fatto, è necessaria la presenza di peculiari meccanismi,
senza dei quali il usso venoso sarebbe impossibile: valvole, pompa musco-
lare, pompa della pianta del piede; quando tali meccanismi perdono la loro
ecienza, le alterazione siopatologiche divengono rapidamente evidenti.

1.3 Sistema venoso degli arti inferiori


La maggior parte delle patologie del sistema venoso si sviluppano a livello
degli arti inferiori (si veda trattazione in [33] e in [13]). In questi distret-
ti il sangue deve tornare al cuore contro gravità, senza che ci siano organi
specici dedicati a questo scopo. Le delicate valvole che si trovano lungo il
sistema venoso degli arti sono apparentemente un adattamento alla posizione
eretta avvenuto durante l'evoluzione della specie umana. Esse dividono la
colonna di sangue che ci sarebbe dalla caviglia all'atrio destro che, se con-
siderata intera, con soggetto in piedi completamente rilassato ed immobile
per qualche minuto, eserciterebe una pressione idrostatica a livello della cav-
iglia di 110-120 mmHg (dipendente dalla distanza tra caviglia e diaframma).
Anche piccoli movimenti, tuttavia, come cambiamenti di peso, contraggono
i muscoli del polpaccio, forzando il sangue nel moto verso il cuore. L'unidi-
rezionalità è appunto garantita dalle valvole. Una delle prime descrizioni di
tale meccanismo fatta da Gunnar Bauer nel 1950 è ancora molto attuale :
Quando le strette fasce muscolari dei muscoli del polpaccio si contraggono,
il sangue raccolto nei tronchi delle vene profonde viene fuori con forza e nelle
vene poplitea e femorale. Quando poi, dopo pochi attimi, i muscoli si rilas-
sano, il sangue non può tornare indietro nella parte sottostante della gamba
grazie alle valvole presenti nei principali tronchi venosi. I muscoli del pol-
paccio agiscono quindi come una pompa aggiuntiva che fa muovere il sangue
1. Fisiologia del sistema venoso 17
nelle parti più periferiche, nelle quali la velocità del sangue tenderebbe ad
essere troppo bassa a causa della larghezza del letto vascolare.
Movimenti regolari e ritmici, come la camminata, pompano il sangue
venoso verso il cuore e riducono la pressione venosa alla caviglia a valori
compresi tra gli 0 e i 30 mmHg. Senza questo meccanismo di pompaggio
veno-muscolare eciente avremmo gambe gone ed emorragie petecchiali
alla ne della giornata. Infatti, in pazienti con paralisi o artriti severe, questi
problemi possono esistere anche senza occlusioni o incontinenza valvolare
del sistema profondo. Una volta che il sangue è nell'addome, al di sopra
del sistema di valvole continenti delle gambe, il ritorno al cuore, come si
descrive nei prossimi paragra, è ulteriormente facilitato dai movimenti del
diaframma.

1.3.1 Rete profonda e superciale, vene perforanti

La rete venosa degli arti inferiori è l'insieme di vasi interposti tra la micro-
circolazione, sistema di capillari e venule che essa drena, e il distretto ad-
dominale che essa va a riempire, costituita da condotti conuenti in numero
decrescente e di calibro crescente dalla periferia al cuore.
Dal punto di vista anatomico, siologico e patologico, il sistema venoso
degli arti inferiori può essere diviso in tre parti: rete profonda, complessiva-
mente arborescente, rete superciale, reticolata, e collegata alla rete profonda
che la drena, e sottosistema delle vene comunicanti. Un processo patologico
in corso in uno di questi sottosistemi ha inuenza sulla siopatologia degli
altri.
Le vene profonde (si veda [1] per questa descrizione) sono contornate da
muscoli scheletrici e si svuotano per compressione muscolare, mentre per le
vene superciali non è così. Le pareti di queste ultime tuttavia sono più
spesse e contengono una porzione maggiore di muscolo liscio, quindi han-
no un sistema di svuotamento intrinseco più sviluppato. Le vene superciali
sono costituite infatti da strutture muscolari larghe, con parete relativamente
spessa, e si trovano appena sotto la cute. Tra le vene superciali si annover-
ano la grande e piccola safena della gamba, le vene cefalica e basilica del
braccio e le giugulari esterne del collo.
Le vene profonde invece hanno pareti sottili con una minore componente
muscolare. Esse decorrono spesso parallele alle rispettive arterie (venae comi-
tantes -lat., da comitor- o vene satelliti) e spesso prendono lo stesso nome.
L'area della sezione trasversale di queste vene è quasi tre volte quella del-
l'arteria adiacente. All'interno dei muscoli scheletrici vi sono, in particolare,
vene larghe, con pareti molto sottili, che talvolta vengono chiamate sinusoidi.
Come parte del meccanismo della pompa muscolare esse svolgono una fun-
1. Fisiologia del sistema venoso 18
zione particolarmente importante durante l'esercizio. Le sinusoidi del soleo
sboccano nella vena tibiale e quelle del gastrocnemio generalmente drenano
la vena poplitea.
Le vene perforanti, da ultimo, collegano i sistemi superciale e profon-
do. Di particolare interesse chirurgico sono una serie di circa sei perforanti
mediali del polpaccio che collegano la vena tibiale posteriore al sistema della
grande safena attraverso una rete di vene supercali conosciute come arcata
venosa posteriore. Altre perforanti collegano la vena peronea con tributarie
superciali della vena safena. Posteriormente, una serie di piccole vene per-
foranti collega il sistema superciale con le vene intra-muscolari; queste, a
loro volta, sono unite, a vari livelli, con la vena tibiale posteriore. Pertanto,
grosse vene intramuscolari forniscono una connessione indiretta tra i sistemi
superciali e profondo. Quando la safena che risale la gamba o qualsiasi al-
tra vena superciale e le vene comunicanti hanno valvole continenti, essendo
queste ultime unidirezionali, svuotano il loro contenuto nel sistema venoso
profondo ed il sangue passa direttamente nella circolazione centrale e ritorna
al cuore. A causa di incontinenza valvolare si sviluppano vari gradi di stasi
venosa, come vedremo in breve alla ne del capitolo.

1.3.2 Valvole nelle vene degli arti inferiori

Vi sono approssimativamente 9-11 valvole nella vena tibiale anteriore, 9-19


nella tibiale posteriore, 7 nella peroniera, 1 nella poplitea e 3 nella vena
femorale superciale. Nei due terzi delle vene femorali è presente una valvola
in corrispondenza dell'estremità superiore, a circa 1 cm dal legamento in-
guinale. Circa un quarto delle vene iliache esterne ed un decimo delle vene
iliache interne presentano una valvola. La vena iliaca comune, generalemnte,
non ha valvole. Le vene superciali hanno poche valvole, approssimativa-
mente da 7 a 9 nelle vene grande e piccola safena. Valvole sono presenti nelle
venule con un diametro di 0.15 mm (si veda [1]).
In tutte le zone delle gambe e delle braccia, le cuspidi valvolari sono orien-
tate in modo da dirigere il usso in direzione centripeta e prevenire il reusso.
Sebbene l'insegnamento classico sia quello che le valvole nelle perforanti con-
sentano al sangue di uire solamente dal sistema superciale a quello profon-
do, alcuni studi hanno suggerito che il usso diretto verso l'esterno si trova in
circa un quinto degli arti normali in determinate condizioni. Non vi è accordo
circa la direzione del usso nelle vene perforanti del piede (si confronti [13] e
[33]). Sebbene, in precedenza, i ricercatori avevano aermato che il piede era
l'unico in cui il usso era diretto dalle vene profonde a quelle superciali, stu-
di condotti da Koslow e De Weese (riferimenti in [33]) hanno suggerito che la
direzione è simile a quella degli altri tratti della gamba (cioè dalla supercie
1. Fisiologia del sistema venoso 19
alla profondità). Durante la giornata, potrebbe vericarsi qualche deterio-
ramento nella funzione valvolare, persino in arti normali. Circa un quinto
di gambe altrimenti normali, mostrano chiaramente un reusso venoso dopo
cinque o più ore di attività in ortostatismo, presumibilmente a causa della
distensione venosa che rende le valvole parzialmente insucienti.

1.3.3 Cenni sulla modellazione matematica della parete


venosa

Nella seguente tabella (si veda [15], cap.8) è presentato un confronto tra il
modulo elastico incrementale al variare dei valori di pressione tra un segmento
di vena safena umana ed arteria carotide canina.

P P vena safena carotide canina


P(cmH2 O ) P(mmHg ) Eθ Eθ
10 1.357 1.61 ± 0.32 0.017
25 1.417 2.03 ± 0.39 0.328
50 1.500 2.75 ± 0.78 0.735
75 1.561 3.18 ± 0.76 1.80
100 1.602 3.56 ± 0.58 3.15
125 1.621 3.98 ± 0.96 4.59
150 1.621 4.75 ± 1.2 5.93

Tabella 1.1: Confronto tra proprietà elastiche di parete di vene e arteria


2 5
carotide canina al variare della pressione P; Eθ (N/m 10 ) è il modulo elastico
incrementale trasversale.

I fattori parietali che determinano la distensibilità o compliance della


parete sono costituiti da una parte dalle strutture passive, elastina e colla-
gene, dall'altra da strutture attive quali bre muscolari lisce della media.
Queste ultime sono sottoposte ad un controllo neuro-umorale, che assicura
un tono permanente, una vasocostrizione o una vasodilatazione a seconda
dei bisogni della termoregolazione e dell' emodinamica cardiaca. La tensione
parietale è la forza che si esercita tangenzialmente sulla parete, che è pro-
porzionale, per la legge di Laplace, al raggio e alla pressione transparietale
(T = Ptm · r). Vale a dire che tra due vasi con stessa pressione e compliance,
quello che ha calibro iniziale più grosso, si dilaterà maggiormente. La com-
pliance della parete non è costante, ma varia secondo il grado di stiramento
con una curva a sigmoide, che mostra una minore distensibilità per i valori
estremi del calibro rispetto a quelli intermedi. La viscoelasticità e l'isteresi
1. Fisiologia del sistema venoso 20
si traducono in una specie di inerzia, in un rallentamento della risposta della
parete alla sollecitazione delle forze in grado di distenderla o ridurla.

Figura 1.5: Andamento della distendibilità della parete.

La curve sforzo defomazione delle vene sono abbastanza simili a quelle


delle arterie. In un ciclo di carico e scarico è necessario precondizionare per
ottenere una risposta in regime stazionario (si veda paragrafo 8.1 e 8.3 di
[15]). Le curve di carico e scarico risultano così stabilizzate ed indipendenti
dall' entità di deformazione (cioè la velocità) a cui è condotto il ciclo. Per
quanto riguarda le caratteristiche di parete delle vene si rientra quindi nel
concetto di pseudoelasticità (per approfondimenti, si veda [4], [14], [15], [28],
[36]; [17] per la dipendenza del Modulo Elastico dalla pressione.).

1.3.4 Pompe agenti a livello vene arti inferiori

A livello del sistema circolatorio venoso degli arti inferiori, quattro sono i
meccanismi che, in modo diverso, agiscono come pompe (si veda [13], [33]).

1. Il cuore è la pompa propulsiva principale del sistema: aumenta volu-


mi, portate e pressioni venose attraverso l'azione del ventricolo sinistro
in sistole, li riduce tramite il riempimento dell'atrio destro in diastole.
Dalla `pressione venosa centrale', cioè dalla pressione in atrio destro,
dipendono in gran parte le pressioni nelle vene periferiche, cosicchè
1. Fisiologia del sistema venoso 21
qualsiasi fattore capace di modicare questa pressione inuenza la pres-
sione venosa in qualsiasi altro distretto dell'organismo. La pressione in
atrio destro è regolata da un equilibrio tra la capacità del cuore di
pompare sangue e la tendenza del sangue ad auire dai vasi periferici
in atrio destro stesso (si veda [11]). Alcuni dei fattori che esaltano la
tendenza al ritorno venoso (quindi all'aumento della pressione in atrio
destro) sono l' aumento del volume di sangue, l' aumento del tono dei
grossi vasi e di conseguenza delle pressioni venose periferiche, la di-
latazione delle arteriole, cioè riduzione della resistenza periferica, con
conseguente facilitazione di un rapido usso di sangue dal distretto ar-
terioso a quello venoso. Gli stessi fattori che regolano la presssione in
atrio destro partecipano ovviamente anche alla regolazione della gitta-
ta cardiaca. Viceversa il sistema venoso, con il suo importante potere
capacitivo consente un più o meno elevato ritono venoso a seconda dei
bisogni.

2. La respirazione ha un forte impatto sull' andamento del usso venoso.


La pompa toraco-addominale agisce attraverso le variazioni di volume e
di pressione nelle cavità toracica e addominale. Esse si trasmettono alle
vene che i due comparti racchiudono. Sul percorso dei ussi si trovano
delle valvole, ma molto distanziate tra loro (valvole delle vene degli arti,
del collo e del ventricolo destro). Il motore di questa pompa è costituito
dal diaframma e dai muscoli dell'addome. Le variazioni emodinamiche
che essi generano si modicano secondo l'atto respiratorio (normopnea,
apnea, iperpnea, manovra di Valsalva), gli sforzi (tosse, defecazione,
trasporto di pesi) e la posizione, a causa del contenuto viscerale del-
l'addome che agisce direttamente col suo peso sulle vene che lo attraver-
sano, in particolare in posizione di decubito dorsale: la cavità addomi-
nale corrisponde ad una scatola chiusa attraverso la quale la vena cava
inferiore, collassabile, deve passare. Pertanto, il gradiente pressorio che
muove il sangue dalle gambe in direzione centrale è rappresentato dalla
pressione venosa nelle gambe meno la pressione intra-addominale. Una
volta che il sangue raggiunge l'addome, sopra alle valvole continenti
delle gambe, il suo ritorno al cuore è ulteriormente inuenzato dai movi-
menti del diaframma. Quando il soggetto inspira, il diaframma scende,
incrementando cosi' la pressione intra-addominale: il sangue nella vena
iliaca e nella cava è soggetto ad una crescente pressione, esterna alla
vena, quindi ad una maggiore resistenza. Ciò determina una dimin-
uzione del gradiente pressorio e del usso ematico. Spesso, l'aumento
della pressione addominale è suciente a far cessare momentaneamente
il deusso venoso dalle gambe. Durante l'espirazione, il diaframma si
1. Fisiologia del sistema venoso 22
rilascia, la pressione intra-addominale scende, la vena cava inferiore si
espande e il sangue contenuto nelle vene delle gambe trova meno re-
sistenza e uisce in direzione cefalica nell'addome. Questi aspetti hanno
un eetto così marcato sugli arti inferiori da costituire un importante
indicatore dell'aldamento del usso venoso in condizioni siologiche.
Variazioni causate dall'ostruzione venosa sono utili nella diagnosi non
invasiva della trombosi venosa con ussimetro Doppler e eboreografo.
Viceversa, considerando il usso proveniente dagli arti superiori o dalla
testa e dal collo, gli eetti della respirazione sono contrari a quanto
appena visto per gli arti inferiori. La cavità addominale in questo caso
non inuisce, mentre quella che favorisce o ostacola il riusso verso il
cuore è la cavità toracica. Dunque l'inspirazione, che determina una
diminuzione di pressione in quest'ultima, favorisce il ritorno venoso
da arti superiori e zone cefaliche, l'espirazione, al contrario, causa una
maggiore resistenza. Gli eetti della respirazione sono più determinanti
per il ritorno venoso dagli arti inferiori che non per quello dai comparti
sopra il cuore. Avendo trattato la cassa toracica come un modello di
`contenitore chiuso', si può aermare che la pressione venosa periferi-
ca non risenta della pressione venosa centrale a meno che quest'ultima
sia davvero elevata. Casi di insucienza cardiaca congestizia, insu-
cienza tricuspidale o ipertensione polmonare fanno sì che la pressione
venosa centrale cresca al di sopra dei valori delle pressioni tissulari ed
addirittura delle pressioni addominali, permettendo che ciò che accade
a livello di parte destra del cuore si rietta nell'andamento del usso
venoso periferico. Le condizioni che determinano un'elevata pressione
venosa centrale danno come risultato un usso pulsatile distale sia nelle
vene degli arti superiori che nelle vene degli arti inferiori.

3. La pompa valvolo-muscolare agisce attraverso variazioni di volume e di


pressione sul sangue contenuto nelle vene grazie alla contrazione e al
rilassamento dei muscoli scheletrici che le circondano. Il meccanismo
di tale pompa verrà descritto in dettaglio ne prossimo paragrafo.

4. La pompa di Lejars è costituita dalle vene profonde della pianta del


piede. Non rappresenta un vero motore muscolare, ma la sistole e la
diastole sono assicurate dai movimenti d'appoggio e di sollevamento
del piede nella deambulazione. Questi `strizzano' il sangue contenuto
nella tta rete venosa del piede e ne favoriscono il ritorno dall'estrema
periferia nelle gambe. In eeti è da notare che il drenaggio della pianta
del piede (suola di Lejars) si ottiene sia con la rete profonda che con
1. Fisiologia del sistema venoso 23
la rete superciale a causa di un'assenza siologica delle valvole nelle
vene perforanti (una signicativa analisi si trova in [13]).

1.3.5 Pompa muscolare

Come più volte detto, in posizione ortostatica rispetto alla posizione di decu-
bito, la pressione transmurale negli arti inferiori è molto aumentata a causa
della componente idrostatica: ciò a dilatare la parete delle vene e a favorire
il ristagno di sangue. La contrazione dei muscoli scheletrici che circondano
i vasi venosi e la presenza delle valvole sono però in grado di contrastare
questo eetto. Un aumento della pressione muscolare riduce infatti il gradi-
ente transmurale, impedisce la dilatazione e spreme il sangue verso il cuore.
Le valvole, a loro volta, garantiscono l'unidirezionalità del usso.
Durante l'esercizio, la contrazione dei muscoli scheletrici comprime le vene
intramuscolari e circostanti, fa aumentare la pressione venosa e spinge il
sangue in direzione cefalica verso il cuore. La direzione del usso è assicura-
ta dalla unidirezionalità delle valvole. Le pompe sono costituite da camere a
doppia apertura e con volume variabile dovuto all'eetto delle contrazioni e
dei rilassamenti alterni dei muscoli circostanti, che imprimono delle pressioni
(sistole della pompa valvolo-muscolare) e delle depressioni (diastole) succes-
sive al volume sanguigno che esse contengono. La valvola a monte, cioè al
di sotto della sede di compressione si chiude durante la sistole ed impedisce
il usso retrogrado. Con il rilassamento, il gradiente pressorio si inverte:
le valvole al di sopra del punto di compressione di chiudono, impedendo
il reusso, e le vene rimangono parzialmente collassate nchè non vengono
riempite dall'inow proveniente dai capillari. Il sangue nelle vene parzial-
mente svuotate viene contenuto all'interno di piccoli compartimenti della
lunghezza di pochi centimetri, all'interno dei quali la pressione diminuisce
secondo la curva di compliance venosa pressione-volume. Questo sequestro
è raramente visibile ebogracamente in quanto le vene, anche all'estrem-
ità superiore di ciascun compartimento, rimangono parzialmente piene. Le
valvole all'estremità superiore di ciascun compartimento rimangono chiuse
sino a che la pressione venosa subito al di sotto della valvola aumenta no a
superare la pressione dell'estremità inferiore del compartimento immediata-
mente al di sopra. Le valvole svuotano verso l'alto e in modo intermittente
il contenuto venoso più velocemente di quanto non si possa riempire per ap-
porto arterioso a causa delle resistenza microcircolatorie, riducendo la massa
e dunque il carico a monte. Finchè il carico a valle rimane superiore del
carico a monte, la valvola rimane chiusa, con la conseguenza di frazionare la
colonna di pressione idrostatica e di ridurre h. Con il continuo riempimento
1. Fisiologia del sistema venoso 24
venoso la colonna idrostatica viene ristabilita lungo tutto il percorso sino al
cuore.
La disposizione di ogni segmento profondo valvolato nell'ambito dei mus-
coli determinerà il rendimento della pompa. Le pompe che sono extramusco-
lari, ma la cui posizione consente ai muscoli vicini di comprimere il comparto
contro un piano resistente (osseo o aponevrotico), hanno un'ecienza minore
ma in ogni caso soddisfacente. I comparti, invece, che, sebbene situati in una
loggia, non sono correttamente sistemati per subire compressione muscolare
possono essere inecienti. Inne la rete superciale sopra, sotto o intra
aponevrotica o fasciale non subisce eetti diretti della pompa valvolo mus-
colare che agisce sul suo usso per aspirazione soltanto nel momento della
diastole.
Il meccanismo della pompa muscolare è molto sviluppato nel polpaccio
dove le voluminose i sinusoidi del soleo e del gastrocnemio costituiscono la
maggior parte dei mantici. La contrazione dei muscoli del polpaccio genera
una pressione superiore ai 200 mmHg, un livello abbastanza alto da com-
primere le vene intramuscolari anche in ortostatismo. A causa del robusto
rivestimento fasciale di questi muscoli, le vene inter-muscolari (tibiale pos-
teriore, tibiale anteriore e peronea) sono soggette a pressioni simili. Molta
della forza viene trasmessa anche alle vene superciali circostanti attraverso
il tessuto connettivo. Così, tutte le vene della porzione inferiore della gamba,
sia superciali che profonde, partecipano, in maggiore o minore misura al-
l'azione di pompa. Tutte spingono il sangue centralmente ad ogni contrazione
muscolare
Sebbene la pressione all'interno delle vene profonde superi quella presente
nelle vene superciali durante la contrazione muscolare, le valvole nelle vene
perforanti impediscono il usso dal sistema profondo a quello superciale. Le
valvole impediscono anche lo spostamento distale del sangue verso il piede
nelle vene tibiali. Quando i muscoli si rilasciano i sinusoidi venosi vengono
riempiti dall'inow capillare e dal usso proveniente dalle vene profonde del-
la parte distale della gamba. Si verica anche un certo inow dalle vene
superciali a quelle profonde, ma l'importanza di questo usso è minore di
quanto si credeva in passato. Alcuni studi propongono che il usso del sangue
diretto verso la parte superiore della gamba potrebbe originare dalla com-
pressione del plesso venoso plantare situato tra i muscoli intrinseci del piede,
superciali e profondi. Questo sangue viene drenato nelle vene profonde del
polpaccio, innescando così la pompa muscolare. Gli eventi che si susseguono
durante una deambulazione normale sono sincronizzati nel seguente ordine:
la dorsi-essione del piede svuota le vene distali del polpaccio, il peso del
corpo svuota il piede, e la essione plantare svuota le vene prossimali del
polpaccio.
1. Fisiologia del sistema venoso 25

Figura 1.6: Dinamica della contrazione muscolare su un ramo venoso


profondo (da [33]).

Questo sistema di pompa e valvole è così ecace da mantenere la pres-


sione venosa inferiore a 30 mmHg in un soggetto che cammina. Con la cam-
minata o la corsa , dopo poche contrazioni muscolari, la pressione a livello
della caviglia scende, in arti normali, anche spesso al di sotto dei 20 mmHg.
Il livello raggiunto durante l'esercizio viene spesso denito pressione venosa
deambulatoria. La gura 1.7 mostra che la pressione venosa in una vena
della caviglia diminuisce con un veloce e signicativo transitorio durante i
primi passi, per poi rimanere costante ad un valore basso durante la cam-
minata e lentamente ritornare al valore di riposo quando il soggetto si arresta.

Le vene superciali non sono in serie con i gradienti delle pompe ma col-
laterali ovvero in parallelo. Pertanto i gradienti non si possono trasmettere
in sistole a causa delle valvole, ma solo in diastole. Così il drenaggio super-
ciale è assicurato essenzialmente durante la diastole della pompa valvolo
muscolare. Tuttavia eccezionalmente il drenaggio delle vene superciali può
essere discretamente assicurato in sistole per l'eetto Venturi quando la ge-
ometria delle vene perforanti rispetto alle vene profonde lo consente (si veda
[13], [12]), oppure ancora dalla pompa della suola di Lejars. Il drenaggio in
diastole avverrà naturalemtne attraverso le vene comunicanti valvolo mus-
colari, soprattutto tronculari ed extratronculari della gamba e delle logge
muscolari posteriori ed anteriori della coscia. Le cross delle safene e delle
1. Fisiologia del sistema venoso 26

Figura 1.7: Andamento della pressione venosa in funzione del tempo (da [3]).

vene comunicanti sono drenate quasi esclusivamente dalla pompa cardiaca e


toraco addominale, poco o nulla dalla pompa valvolo muscolare.

1.3.6 Disfunzioni dirette ed indirette della pompa valvolo-


muscolare

La pompa valvolo muscolare può funzionare male a causa di una parte o


di tutti gli elementi che la costituiscono (si veda, per trattazione completa,
[33], [13]): il motore, ovvero i muscoli, possono essere distrutti o paralizzati,
le valvole della pompa della camera di scarico che possono essere congenita-
mente assenti o distrutte, le valvole delle vie collaterali profonde o superciali,
se assenti o distrutte, possono ostacolare il drenaggio determinando un corto
circuito della pompa, rendendola ineciente o addirittura aggravante nella
sua funzione di riduzione della pressione transmurale. Il mal funzionamento
della pompa valvolo-muscolare determina l'insucienza venosa cronica, che
si manifesta in ortostatismo e scompare con il decubito. Disfunzioni dirette
della pompa sono dunque incontinenza della valvola a monte, incontinenza
della valvola a valle ed insucienza muscolare. La prima provoca anomalia
sistolica con uno scarico bidirezionale (a valle ma anche a monte), ma sen-
1. Fisiologia del sistema venoso 27
za reusso diastolico. E' pregiudizievole quando la pompa è situata in un
segmento intermedio della vena. E' il caso di quelle vene che costituiscono
camere di scarico extramuscolari, come le peronee e tibiali. Le vene che realiz-
zano camere di scarico intramuscolari sono chiuse a monte non da una valvola
ma da un `cul de sac', cosa che impedisce ogni riusso sistolico. La secon-
da provoca riusso diastolico con sistole normale; è sempre patologica ma
variabile per gradi : è la anomalia della diastole che meglio denisce l'insu-
cienza venosa dovuta alla pompa valvolo-muscolare. Come detto, da ultimo,
posso avere decienza di contrazione dei muscoli. La disfunzione indiretta
della pompa è, invece, la formazione di shunt, cioè vie che si aprono anoma-
le e cortocircuitano tratti di vena, rendendo inecace la pompa che agisce
non più solo sul comparto di propria competenza, ma anche sulle suddette,
perdendo enormemente ecienza. Le collaterali di un asse valvolo-muscolare
corretto possono più frequentemente causare una disfunzione indiretta della
pompa valvolo-muscolare a causa della creazione di shunt incontinenti, che
aumentano il lavoro della pompa valvolo-muscolare e compromettono la sua
funzione di svuotamento e di regolazione della Ptm . Ciò signica che non bas-
ta l'incontinenza della collaterale, ma si deve associare un eeto di shunt, che
può essere di tipo diverso a seconda che cortocircuiti l'intera pompa valvolo-
muscolare o solo una valvola. Si dice shunt incontinente completo quando
l'asse incontinente fa comunicare le uscite a monte e a valle della pompa. La
collaterale che realizza lo shunt può essere profonda o superciale. L'incon-
tinenza isolata di una valvola profonda determina molto spesso degli shunt
della valvola a valle (il più frequente è costituito da uno dei rami della vena
femorale sdoppiata). L'incontinenza isolata di una valvola superciale può
creare uno shunt incontinente della pompa solo se è associata ad un'assenza
o ad un'incontinenza delle altre valvole situate sulla stessa via che comunica
con almeno due estremità della pompa, formando tutti i tipi di shunt (safena
interna o grande safena in ortostatismo). (Una trattazione dettagliata sugli
shunt si trova sia in [33] sia in [13]).

1.3.7 Cenni di patologia del circolo venoso degli arti


inferiori

Le principali patologie del sistema venoso degli arti inferiori sono rappre-
sentate dalla trombosi e dalle varici primitive. Entrambe determinano nel
tempo una medesima alterazione siopatologia: l'insucienza venosa cronica
(riferimenti in [33]).
1. Fisiologia del sistema venoso 28
Trombosi venosa acuta
La maggior parte dei trombi venosi sono di limitata estensione. Essendo il
circolo venoso sicuramente molto `adattabile', tali trombi non determinano
evidenti alterazioni siologiche, né sintomi o segni clinicamente riconoscibili;
molti divengono evidenti solo quando, distaccandosi dalla parete venosa, de-
terminano una embolia polmonare; altri determinano dolore nella zona col-
pita, come risultato di una reazione inammatoria locale (tromboebite).
Quando invece l'ostruzione diviene sucientemente estesa, l'aumento della
pressione venosa periferica determina congestione venosa ed edema. Rara-
mente si assiste ad uno shock causato dalla fuoriuscita di liquidi nello spazio
interstiziale. Nei casi gravi l'ostruzione può essere così completa da provocare
un'ischemia dell'arto.
Nella siologia del circolo venoso, un aumento di resistenza costituisce
il principale determinante di un aumento di pressione; esso dipende dalla
localizzazione dei tratti venosi ostruiti, dalla lunghezza dell'ostruzione e dal
numero di vene colpite, dall'adeguatezza dei pre-esistenti circoli collaterali.
Ad esempio un trombo che si sviluppa nella vena femorale comune, dove
blocca non solo la vena femorale superciale ma anche i rientri delle vene
femorale profonda e safena, sarà più devastante di un trombo isolato nella
vena femorale superciale. DeWeese e Rogo hanno visto che le pressioni
venose a livello del piede in pazienti in posizione supina variavano da 8 a 18
mmHg quando i trombi erano limitati alla vena poplitea od a quelle sotto
il ginocchio; le pressioni erano di 20-51 mmHg quando i trombi si trovavano
nella vena femorale superciale e di 32-83 mmHg negli arti aetti da trombosi
femoro-iliaca.
Negli arti con una trombosi venosa clinicamente `silente', non è certo che
vi sia un qualche percettibile aumento della pressione venosa. Misurata a
livello del piede da Husni e coll., la pressione venosa in pazienti aetti da
tromboebite acuta era, in posizione supina, 17 mmHg, circa 2,5 volte mag-
giore rispetto ai sani; non vi era però alcuna dierenza fra soggetti normali
e soggetti aetti da tromboebite acuta quando questi stavano in piedi a
riposo (la componente idrostatica è prevalente e maschera le lievi dierenze
di pressione causate dall'aumentata resistenza al usso); durante la deambu-
lazione, tuttavia, la pressione venosa in arti normali diminuiva a circa il 40%
del valore pre-esercizio, ma variava poco negli arti aetti da trombosi.
Tutte le vene sottoposte ad una maggiore pressione transmurale si di-
latano secondo la curva pressione-volume e riducono la loro compliance.
Le vene superciali divengono più evidenti, fornendo un eccellente segno
diagnostico; talvolta questa dilatazione può stirare a tal punto la parete
venosa che le valvole non riescono a chiudersi adeguatamente e divengono
1. Fisiologia del sistema venoso 29
incontinenti.
Un'ulteriore conseguenza clinicamente importante dell'aumentata pres-
sione venosa è il concomitante aumento della pressione capillare media; questo
sconvolge l'equilibrio di Starling, portando alla formazione di edema tissutale.
L'entità dell'edema è proporzionale all'aumento della pressione venosa. De-
Weese e Rogo hanno trovato un edema nel 70% degli arti aetti da trombosi
poplitea; tale edema era in quasi tutti i casi inferiore ad 1 cm alla caviglia .
L'edema era invece presente nell'86% dei pazienti con trombosi femoro-iliaca;
l'aumento della circonferenza era maggiore di 1 cm alla caviglia, di 2 cm al
polpaccio e di 3 cm alla coscia.

Varici primitive
Le varici dell'arto inferiore che si sviluppano spontaneamente in assenza di
trombosi venosa profonda sono chiamate `varici primitive'. La vena grande
safena e i suoi rami tributari sono colpiti più spesso. Solo circa il 12% delle
varici primitive interessa il sistema della piccola safena.
L'eziologia rimane dubbia: le teorie comprendono la pressione esercitata
dalle vene perforanti incontinenti, l'aumentata distensibilità venosa, l'aumen-
tato usso ematico attraverso le comunicanti artero-venose, le anomalie della
muscolatura liscia o dell'endotelio della parete venosa. La maggior parte
dei rilievi sembrano essere tuttavia a favore di una progressiva insucien-
za valvolare discendente in risposta alla congenita assenza o incontinenza
delle valvole della femorale comune e dell'iliaca; in tali circostanze, la valvola
safeno-femorale, non essendo protetta non solo dalla pressione idrostatica ma
anche dagli episodici incrementi della pressione causati dal torchio addom-
inale o dalla tosse, diventa incontinente; la pressione viene così trasmessa
alla successiva valvola posta più in basso nella vena safena e così via verso
la parte inferiore della gamba; alla ne anche le valvole tributarie perdono la
loro competenza; le vene sottocutanee si allungano, divengono tortuose e si
presentano come tipiche varici.
In posizione supina o durante la stazione eretta a riposo, il usso ematico
attraverso le vene varicose è abbastanza lento ma è diretto nella normale
direzione cefalica. Inoltre, a livello della caviglia la pressione non è diversa
da quella presente negli arti `sani'. Tuttavia, quando il soggetto in stazione
eretta aetto da varici comincia a camminare o contrae in qualche modo i
muscoli della gamba, il usso ematico si inverte, scorrendo distalmente e ab-
bastanza rapidamente verso il piede. In questa situazione, la riduzione della
pressione venosa superciale è molto inferiore rispetto a quanto normalmente
osservato. Infatti, in risposta alla contrazione dei muscoli del polpaccio, la
pressione venosa del sistema profondo diminuisce marcatamente; anche le
1. Fisiologia del sistema venoso 30
varici vengono parzialmente svuotate, ma, per la mancanza di protezione da
parte delle valvole, la pressione all'interno di queste vene superciali subisce
solo una moderata riduzione; pertanto, durante il rilasciamento muscolare, si
sviluppa un gradiente pressorio che genera un usso ematico diretto dal sis-
tema superciale a quello profondo attraverso le vene perforanti. Nell'arto in
esercizio, dunque, si crea un movimento circolare di sangue: il sangue pompa-
to dalle vene del polpaccio e della coscia raggiunge la vena femorale comune,
dove in parte reuisce verso il basso nella vena safena funzionalmente avalvu-
lata; raggiungendo la parte inferiore della gamba, questo sangue ritorna al
sistema profondo attraverso le vene perforanti, completando pertanto il circo-
lo vizioso. Comprimendo il punto di fuga (cioè la giunzione safeno-femorale)
si previene il reusso durante l'esercizio e si consente alla pompa muscolare
di far tornare la pressione venosa a livelli quasi normali: questo costituisce
la base siopatologica per la terapia chirurgica, vale a dire la legatura al-
ta e lo stripping delle varici. Le calze elastiche agiscono invece esercitando
una pressione esterna che può spingere le cuspidi valvolari a giustapporsi, in
modo tale da ripristinare la continenza venosa.

Insucienza venosa cronica


Le alterazioni siologiche presenti nell'insucienza venosa cronica consistono
sia nell'ostacolo al deusso venoso sia nell'insucienza valvolare; in ogni
singolo caso può prevalere l'una o l'altra anomalia.
Di regola, l'ostruzione determinata dalla trombosi venosa acuta tende a
ridursi nel tempo: alcuni trombi possono essere completamente lisati dal-
l'azione delle trombolisine, altri possono organizzarsi e ricanalizzarsi in varia
misura; in ogni caso assistiamo ad un progressivo sviluppo di circoli venosi
collaterali.
L'insucienza valvolare venosa, invece, aumenta nel tempo ed è accom-
pagnata da un progressivo deterioramento emodinamico: l'organizzazione dei
trombi distrugge in modo variabile le valvole venose, lasciandole incontinen-
ti; i piccoli lumi delle vene ricanalizzate sono naturalmente avalvulati; la
dilatazione delle vene collaterali spesso rende le loro valvole incontinenti.'
Nella maggior parte dei pazienti aetti da insucienza venosa cronica
predominano dunque i sintomi della insucienza valvolare.
Clinicamente, l'anomalia funzionale più signicativa consiste nell'inca-
pacità della pompa venosa a ridurre l'ipertensione venosa ortostatica. La
conseguente pressione capillare elevata incrementa la percentuale di uido
che passa attraverso la parete capillare: tanto più a lungo il paziente rimane
in piedi, tanto più l'edema continua ad accumularsi nelle zone declivi, no a
che le pressioni tissutali aumentano a tal punto da ristabilire l'equilibrio di
1. Fisiologia del sistema venoso 31
Starling. I capillari divengono nel tempo eccessivamente permeabili, consen-
tendo a proteine ed eritrociti di passare nel tessuto sottocutaneo; i tessuti
divengono brotici ed iperpigmentati, dando luogo ad una condizione nota
come lipodermatosclerosi.
La diusione dell'ossigeno nei tessuti è ridotta a causa dell'accumulo per-
icapillare di brinogeno e liquidi. Agendo su questo substrato, un trauma
(anche lieve, spesso misconosciuto) può determinare la necrosi del tessuto
e lo sviluppo di un'ulcera cronica. La frequenza con la quale si vericano
alterazioni da stasi e ulcere è correlata alla pressione venosa deambulatorio.
Nicoladaies e coll. hanno dimostrato che l'incidenza di ulcerazioni in gambe
con una pressione venosa deambulatorio superiore a 80 mmHg è di circa 80%.
D'altra parte le ulcere si sviluppano raramente negli arti con pressioni venose
deambulatorie inferiori a 30-40 mmHg.
Poiché la pressione venosa deambulatorio costituisce il parametro che più
strettamente riette la funzione emodinamica della circolazione venosa, essa
è stata riconosciuta come il gold-standard per tutti gli esami di siopatologia
venosa.
Capitolo 2
Modellazione matematica

2.1 Obbiettivi del Modello


Lo sviluppo di modelli matematici atti a descrivere il sistema circolatorio
è molto utile per la ricerca in ambito medico. Di conseguenza, lo sviluppo
di ecaci ed accurati strumenti di simulazione numerica per ottenere infor-
mazioni quantitative circa alcune grandezze siche di interesse è importante
per comprendere in modo approfondito come, ad esempio, il usso cardia-
co si distribuisca nell'albero arterioso o venoso o quale sia la distribuzione
degli sforzi a parete in vasi che presentano anomalie morfologiche. Inoltre, le
simulazioni numeriche possono aiutare il chirurgo a comprendere come dif-
ferenti soluzioni terapeutiche possono incidere sulla circolazione sanguigna e
guidare la selezione della procedura chirurgica più appropriata per lo specico
paziente (si veda [33]).
Esistono diversi modelli per la simulazione della uidodinamica vascolare.
La base comune è costituita da equazioni dierenziali, che sono generalmente
ricavate dalle equazioni di conservazione della massa, del momento e, quando
opportuno dell'energia. Si tratta di equazioni alle derivate parziali ( PDE =
Partial Dierential Equations ) in spazio e tempo. A seconda di quante coor-
dinate spaziali si considerino, distinguiamo modelli 3D, 2D, 1D ed i cosidetti
modelli a parametri concentrati (0D). Questi ultimi sono sostanzialmente
degli equivalenti elettrici che permettono, tramite la corrispondenza tra us-
so Q e corrente i e tra gradiente di pressione nel condotto ∆P e tensione
V, di studiare reti di vasi e strutture più complesse, con una basso cos-
to computazionale, ma fornendo solo informazioni globali, evidenziando dei
componenti elementari, detti `comparti' e studiandone la mutua interazione
(si veda [23] per modelli 0D di usso e pressione nelle arterie e [25] per trat-
tazione più completa a partire dal modello sico). D'altra parte, i modelli 3D
2. Modellazione matematica 33
sono i più realistici e complessi: essi permettono di ottenere informazioni det-
tagliate nello spazio, ma hanno un elevato costo computazionale. Allo stato
attuale sono adatti per lo studio approfondito della uidodinamica in dis-
tretti locali, quali una biforcazione, un aneurisma, uno stent (che determina
una discontinuità nel modulo elastico del vaso) (si veda [26]).

Figura 2.1: Quantità medie nel passaggio da dominio 3D a dominio 1D.

Nei modelli monodimesionali (1D), ottenuti a partire da opportune ipote-


si semplicative, l'albero vascolare viene considerato come una rete di vasi
deformabili, ciascuno dei quali viene descritto da un sistema di due PDE,
che fornisce i valori mediati (su ciascuna sezione ortogonale all'asse del va-
so) di velocità e pressione (Fig. 2.1). Modelli di questo tipo si rivelano
sucientemente accurati per un'indagine di tipo sistemico. Tali modelli, in-
trodotti per la prima volta da Eulero (1775, Pro principia motu sanguiniis
determinando), risultano appropriati per lo studio, in un dominio spazio-
temporale, della propagazione di onde di pressione generate dall'interazione
del usso sanguigno e della parete deformabile del vaso. Se ne deduce che
la propagazione delle suddette onde di pressione è strettamente legata alle
proprietà della parete vascolare, e soprattutto alla sua elasticità. Si riescono
infatti ad ottenere buone descrizioni delle deformazioni della parete dei vasi
e si possono studiare situazioni patologiche legate ad eetti locali, come un
restringimento od un irrigidimento delle pareti di un vaso e i relativi cam-
biamenti nella propagazione delle onde di pressione (si veda [8], [9], [29],
[30]).
In particolare, questo tipo di modello può fornire uno strumento adegua-
to per lo studio del sistema venoso, poiché permette di studiare situazioni
siologicamente signicative con costi computazionali ragionevoli.
2. Modellazione matematica 34
2.2 Formulazione del modello 1D per i vasi san-
guigni
2.2.1 Derivazione del modello base

In questo paragrafo introduciamo (si veda per approfondimenti [10] e [29]) il


più semplice modello 1D non lineare per la modellazione della uidodinami-
ca sanguigna in vasi deformabili, partendo dalle equazioni di Navier-Stokes.
Le equazioni ridotte sono derivate per un tratto di vaso senza biforcazioni,
idealizzato come un tubo cilindrico deformabile (si veda Fig. 2.2).

Figura 2.2: Dominio Ωt rappresentante una porzione di vaso di sezione


variabile S(t, z)

Si consideri il dominio cilindrico Ωt rappresentato in Fig. 2.2. Dato un


istante temporale T > 0, per ogni t ∈ (0, T ) le equazioni di NavierStokes
scritte in coordinate cartesiane sono:

 ∂u

∂t
+ (u · ∇) u + ρ1 ∇p − div [ν(∇u + (∇u)T )] = 0
in Ωt (2.1)

 div u = 0

dove u è la velocità del usso, p è la pressione, ν è la viscosità cinematica


e ρ la densità del sangue (si veda per esempio [29]). Questi parametri sono
assunti essere costanti nella seguente trattazione.
w
Inoltre, siano Γt la parete sica di Ωt

Γtw = {(r, θ, z) : r = R(z, t), θ ∈ [0, 2π), z ∈ (0, L)},


2. Modellazione matematica 35
n la normale uscente da ∂Ωt e S(t, z) la sezione ortogonale all'asse z , in
generale funzione del tempo e della coordinata assiale z, la cui misura A è
data da:
Z
A(t, z) = dσ = πR2 (t, z) = π(R0 (z) + η(t, z))2 . (2.2)
S(t,z)

ove η(t, z) = R − R0 rappresenta lo spostamento rispetto al raggio di


riferimento R0 .
Deniamo la velocità media u come:
Z
−1
u = A uz dσ .
S

Indichiamo inoltre con α il coeciente di correzione del momento di


usso, spesso anche chiamato Coeciente di Coriolis :
R R
u dσ
S z S
s2 dσ
α = = ≥ 1. (2.3)
Au2 A
Una scelta possibile per il prolo di velocità è quella di prolo parabolico,
corrispondente al usso di Poiseuille, caratteristico di ussi stazionari in tubi
2 4
circolari, rigidi e rettilinei, in cui si ha s(y) = 2(1 − y ) e α = . In
3
questo lavoro si è scelto γ = 9 quindi α = 1, che corrisponde ad un prolo
completamente piatto.
Introduciamo di seguito le ipotesi semplicative utilizzate per ottenere il
modello ridotto:

A.1 Simmetria assiale: tutte le quantità sono indipendenti dalla coordinata


angolare θ. Di conseguenza ciascuna sezione assiale z = cost rimane
circolare durante lo spostamento della parete. Il raggio R del tubo è
funzione di z e t.

A.2 Spostamento radiale: Si considera che lo spostamento della parete


avvenga solo in direzione radiale. Questa ipotesi è accettabile, in quan-
to gli spostamenti lungo l'asse del vaso sono eettivamente molto piccoli
[29] .

A.3 Asse del cilindro sso: questa ipotesi tiene in considerazione solo es-
pansioni e contrazioni del vaso attorno al proprio asse, precludendo
l'analisi degli eetti dello spostamento rigido dell'asse del condotto.

A.4 Pressione costante su ogni sezione: si assume che la pressione P sia


costante su ogni sezione, cioè sia funzione solo di z e t.
2. Modellazione matematica 36
A.5 Assenza di forze di volume: sono trascurate le forze di volume

A.6 Prevalenza della componente assiale della velocità: le componenti della


velocità nelle altre direzioni sono considerate trascurabili rispetto a
quella lungo z. La velocità assiale è indicata con uz ed è una funzione
del tipo:
uz (t, r, z) = u(t, z) s(rR−1 (z)) (2.4)

dove u é la velocità media su ogni sezione assiale, r = r(t) il raggio


del tubo all'istante te s:R→R il prolo di velocità. Assumiamo che
s sia funzione della sola coordinata spaziale. Si fa notare come dalla
(2.4) segua che s deve essere tale che
Z 1
1
s(y)y dy = .
0 2

Di conseguenza, sotto tali ipotesi semplicative, le equazioni di conser-


vazione del momento lungo z e di continuità sono:
(
∂uz + div(u u) + 1 ∂P − ν4u = 0
∂t z ρ ∂z z
(2.5)
div u = 0
Sulla parete sica abbiamo inoltre la seguente condizione di continuità:

u = η̇er , su Γtw ,
ove η̇er è la velocità della parete del vaso e er è il versore in direzione radiale.
Siano Q Z
Q = uz dσ = Au (2.6)
S
e Z
1
P = p dσ. (2.7)
A S
Integrando le equazioni (2.5) sulla generica sezione S si ottiene il seguente
modello ridotto costituito dalle equazioni di continuità e di conservazione
della quantità di moto nelle incogniteA, Q e P :

 ∂A + ∂Q = 0
 ∂t ∂z


 2 (2.8)
∂Q Q A ∂P + K Q = 0,
 


+α ∂ + ρ ∂z r

 ∂t ∂z A A
dove z ∈ (0, L) e t ∈ I e Kr = −2πνs0 (1) è il parametro di frizione che
dipende dal prolo di velocità scelto. In particolare per un prolo parabolico
si ha Kr = 8πν e per un prolo piatto Kr = 22πν .
2. Modellazione matematica 37
2.2.2 Legge di spostamento della parete

Il problema dato da (2.8) è un sistema di due equazioni in tre incognite. Per


la sua chiusura è necessario quindi introdurre un'ulteriore relazione.
Una trattazione completa esigerebbe un modello meccanico per la stut-
tura della parete del vaso dato da un'equazione dierenziale che leghi lo
spostamento della parete alle derivate temporali delle forze applicate al uido
(si veda [18], [29] e [30] per trattazione più approfondita).
Tuttavia, in questo lavoro, i termini inerziali sono trascurabili e gli sforzi
elastici nella direzione circonferenziale sono dominanti. Inoltre si trascurano
i contributi viscosi e quindi sforzo normale agente sulla parete è dovuto solo
alla pressione. Sotto queste ipotesi, la meccanica della parete può essere
descritta da una relazione algebrica che lega la pressione alla deformazione
della parete e quindi all'area A della sezione del vaso:

P − Pext = ψ(A(t, z); A0 (z), β(z)) , (2.9)

per un'opportuna funzione ψ che dipende dall'area corrente A > 0, dall'area


in condizioni di riposo A0 = πR2 > 0 e dal vettore di coecienti β =
(β0 , β1 , ..., βn ) che tengono in conto delle proprietà meccaniche e siche del
vaso. Inoltre, Pext rappresenta la pressione esercitata sulla parete del vaso da
tessuti ed organi circostanti. Essendo un valore di riferimento, spesso viene
considerata nulla. Per ogni valore ammissibile di A, A0 e β, la funzione ψ
deve soddisfare i seguenti vincoli:

∂ψ
> 0 e ψ(A0 ; A0 , β) = 0.
∂A
Ad esempio, sviluppando la legge elastica lineare per un vaso cilindrico
ed essendo √ √
A − A0
η = √ ,
π
si può vericare che si ottiene la (2.9) con
√ √
A − A0
ψ(A(t, z) ; A0 (z) ; β(z)) = β̃0 , (2.10)
A0

πEh0
dove β = β̃0 = 1−ξ 2
, ξ è il coeciente di Poisson, E il modulo di Young
e h0 lo spessore della parete.
Un'altra possibile relazione area-parete è data da:
" β1 #
A
ψ(A; A0 , β) = β0 −1 (2.11)
A0
2. Modellazione matematica 38
con β = (β0 , β1 ), ove β0 > 0 è un coeciente elastico mentre β1 è ottenuto
interpolando la curva di risposta sforzo-deformazione ricavata sperimental-

πh0 E
mente. Si osservi come nel caso in cui β1 =
1
2
e β0 = √
(1−ξ 2 ) A0
= √β̃A0 0 , la
(2.11) e la (2.10) coincidano.
Esplicitando la legge (2.9) è possibile eliminare l'incognita P dall' equazione
(2.8). Si ponga
s
A ∂ψ
c1 = c1 (A; A0 ; β) = , (2.12)
ρ ∂A
che ha le dimensioni di una velocità ed è legato alla velocità di propagazione
2
di onde semplici lungo il tubo; sia poi C1 una primitiva di c1 rispetto all'area
A, data da Z A
C1 = C1 (A; A0 ; β) = c21 (τ, A0 , β)dτ. (2.13)
A0

Di conseguenza, le equazioni (2.8) si possono scrivere come sistema sotto le


due forme seguenti:
Forma quasi-lineare :

∂U ∂U
+ H(U ) + S(U) = 0 (2.14a)
∂t ∂z
dove
 
A
U= (2.14b)
Q
 
0 1
H(U) = A ∂ψ (2.14c)
ρ ∂A
− α( Q
A
)2
2α Q
A
 
0
S(U) = Q
 A ∂ψ dA0 A ∂ψ dβ (2.14d)
Kr A
+ ρ ∂A0 dz
+ ρ ∂β dz

dA0
Il termine nell'espressione (2.14d) è diverso da zero in caso di stenosi o
dz
in presenza di tapering
, cioè quando la sezione iniziale del vaso non è costante

per tutta la sua lunghezza. Il termine , invece, tiene in conto eventuali
dz
variazioni lungo l'asse delle proprietà meccaniche del vaso. Si noti come nel
caso in cui l'area A0 della sezione all'istante iniziale e β sono costanti, le
precedenti espressioni si semplichino notevolmente (si veda [10]).
Forma conservativa :

∂U ∂
+ [F(U)] + B(U) = 0 (2.15a)
∂t ∂z
2. Modellazione matematica 39
dove

 
Q
F(U) = Q2 (2.15b)
α( ) + C1
 A 
0
B(U) = S(U) − ∂C1 dA0 ∂C1 dβ (2.15c)
∂A0 dz
+ ∂β dz

cioè
 
0
B(U) = Q
 A ∂ψ dA0 A ∂ψ dβ ∂C1 dA0 ∂C1 dβ
Kr A
+ ρ ∂A0 dz
+ ρ ∂β dz
− ∂A0 dz
+ ∂β dz

La matrice H(U) possiede due autovalori reali se A≥0 e in particolare


se A>0 i due autovalori sono distinti ed il sistema (2.14a) è di conseguenza
strettamente iperbolico. Tali autovalori sono

s  2
Q 2 Q
λ1,2 = α ± c1 + α(α − 1) . (2.16)
A A

La matrice H(U) può dunque essere decomposta come segue :

H(U) = RΛR−1 = L−1 ΛL, (2.17)

con

l 1T
   
λ1 0
L = , R = [r 1 r2 ] , Λ = diag(λ1 , λ2 ) = .
l 2T 0 λ2
(2.18)
e L R = I . L, R sono rispettivamente
 gli autovettori
 sinistri
 e destridella
cα − αū (−cα − αū)
matrice H. In particolare, l1 = e l2 = . In
1 1
questo modo il sistema (2.14a) può essere riscritto nella forma equivalente:

∂U ∂U
+ RΛL + S(U ) = 0 , z ∈ (0, L) , t ∈ I , (2.19)
∂t ∂z
e moltiplicando a sinistra l' equazione precedente per L si ha

∂U ∂U
L + ΛL + LS(U ) = 0 , z ∈ (0, L) , t ∈ I. (2.20)
∂t ∂z
2. Modellazione matematica 40
2.2.3 Curve caratteristiche

Due quantità W1 e W2 tali per cui

∂W1 ∂W2
= l1 , = l2 , (2.21)
∂U ∂U
vengono denite variabili caratteristiche del sistema iperbolico (trattazione
in [10] e [29] e, più approfondita, in [9] e in [31]) ed esso può essere trasformato
nel seguente sistema che ha come incognite le variabili caratteristiche:

∂W ∂W
+Λ + G(W ) = 0 , z ∈ (0, L) , t ∈ I, (2.22)
∂t ∂z
dove W = [W1 , W2 ]T e

∂W dA0 ∂W dβ
G = LS − − . (2.23)
∂A0 dz ∂β dz
In questo modo le due equazioni che costituiscono il sistema risultano dis-
accoppiate. In particolare, esplicitando l'equazione (2.22) per componenti si
ha:
∂Wi ∂Wi
+ λi + Gi = 0, i = 1, 2 , (2.24)
∂t ∂z
dove in generale Gi dipende sia da W1 che da W2 , attraverso la dipendenza
di S da U . Nel caso in cui Gi = 0 , i = 1, 2 , (cioè S = 0 e A0 e β sono
costanti) le relazioni (2.24) risultano ulteriormente semplicate:

∂Wi ∂Wi
+ λi = 0, i = 1, 2. (2.25)
∂t ∂z
Ciascuna di queste è un'equazione delle onde del primo ordine non lineare
(poichè λi possono dipendere da W1 e da W2 ). Se consideriamo le curve
caratteristiche y1 a e y2 (nel piano (y, t) ) descritte dalle equazioni dierenziali
ordinarie:

dy1 dy2
(t) = λ1 (t, y1 (t)), (t) = λ2 (t, y2 (t)) . (2.26)
dt dt
la (2.25) può essere riscritta come

dW1 dW2
(t, y1 (t)) = 0, (t, y2 (t)) = 0, (2.27)
dt dt
d
essendo la derivata totale lungo le curve y1 e y2 rispettivamente. Le
dt
precedenti relazioni mostrano che la Wi è costante lungo la i-esima curva
caratteristica. Nel caso più generale lungo le linee caratteristiche avremo

d
Wi (t, yi (t)) = − Gi (W1 , W2 ), i = 1, 2. (2.28)
dt
2. Modellazione matematica 41

Figura 2.3: Rette caratteristiche in ingresso al sistema in z=0 e z=L

Si fa notare come, nel caso in cui α=1 e si consideri una legge algebrica
con funzione ψ data dalla (2.10), si possano ottenere direttamente le variabili
caratteristiche: s
Q β̃0 1/4
W1,2 = ±4 A (2.29)
A 2ρA0
da cui si ottiene
2
(W1 − W2 )4

2ρA0 (W1 + W2 )
A= , Q=A . (2.30)
β̃0 84 2

2.2.4 Condizioni al bordo

Si puó dimostrare (si veda [10], [19]) che gli autovalori del sistema (2.14a)
sono sempre di segno opposto per le condizioni emodinamiche di nostro inter-
esse. Di conseguenza, tale sistema è di natura iperbolica e la sua soluzione
è data dalla somma di due onde semplici viaggianti con velocità opposta.
Quindi, il problema dierenziale (2.14a) richiede esattamente di prescrivere
una condizione di bordo in ingresso e una in uscita. Tuttavia, assegnando su
ogni sezione articiale un valore arbitrario di una delle due variabili siche, si
generano delle onde spurie di riessione, non siche, causate dal trattamento
scorretto del fenomeno di propagazione in corrispondenza del troncamento
2. Modellazione matematica 42
articiale del dominio. Una possibile soluzione è data dall' imposizione di
condizioni non riettenti, che ricorrono proprio alle variabili caratteristiche,
imponendo un valore corretto per la caratteristica entrante. Per semplicità
assumiamo che tale valore sia nullo. Ad esempio, se λ1 ≥ 0 e λ2 ≤ 0, in z = 0
la caratteristica entrante è W1 , mentre in z=L è W2 . Questo signica che
le condizioni non riettenti sono della forma:

W1 (t) = 0, in z = 0, t > 0 (2.31)

W2 (t) = 0, in z = L, t > 0.

Le variabili siche possono poi essere ricavate a partire dalle relazioni (2.29).
Il problema matematico richiede di prescrivere solo una condizione al bor-
do in ciascuna estremità del tubo. Tuttavia, a livello numerico, la soluzione
del problema richiede di prescrivere entrambe le incognite area e usso su ogni
sezione articiale. Infatti, lo schema numerico utilizzato (si veda paragrafo
2.3.3) introduce una viscosità articiale, ottenendo un problema paraboli-
co. E' necessario perció prescrivere un'ulteriore condizione al bordo su og-
ni sezione. Un modo matematicamente corretto per ricavare quest'ultima è
quello di ricorrere alle cosiddette condizioni di compatibilità. Tali condizioni
sono estrapolate dall'interno del dominio, garantendo la continuità della vari-
abile caratteristica uscente. In particolare, esse possono essere determinate
proiettando le equazioni dierenziali lungo le direzioni della caratteristica
uscente:
 
∂U ∂F
lT1 + (U ) − B(U ) = 0, z = 0, t > 0, (2.32)
∂t ∂z
 
T ∂U ∂F
l2 + (U ) − B(U ) = 0, z = 0, t > 0.
∂t ∂z

2.3 Modellazione di una valvola unidirezionale


e dell'azione muscolare
Si consideri in questa sede un modello costituito da due domini cilindrici
al ne di modellare due comparti venosi Ω1 e Ω2 in cascata (gura (2.4)).
Utilizzando un approccio di decomposizione di domini (si veda per esempio
[32]) bisogna garantire la continuità all'interfaccia di alcune grandezze siche
delle soluzioni ottenute nei singoli domini.
Nel seguito (si vedano le ipotesi considerate in [18]), non viene considerato
il tapering del vaso, quindi l'area di riferimento A0 si mantiene costante per
tutta la lunghezza del tubo. Analogamente vengono considerati costanti il
modulo di Young E e lo spessore di parete h0 : di conseguenza β0 nella legge
2. Modellazione matematica 43

Figura 2.4: Domini Ω1 ed Ω2 ottenuti tramite Decomposizione di Domini


2. Modellazione matematica 44
(2.11) di parete risulta costante. Anche β1 , ottenuto da curve sperimentali
di sforzo-deformazione, viene scelto costante ed in questo caso pari a 0.5. Ne
dA0 dβ
consegue che nei sistemi (2.14a) ed (2.15a) sono nulli i termini e e
dt dt
perciò si ottiene S(U ) = B(U ).
Si è inoltre considerata la legge di parete data dalla (2.10). Ne segue che

s
β̃0 1/4 β̃0 3/2
c1 = A , C1 = A (2.33)
2ρA0 3ρA0

2.3.1 Valvola come condizione di interfaccia

Si è scelto di implementare la valvola come condizione di interfaccia tra i due


domini considerati Ω1 e Ω2 , mostrati in gura (2.4).

La tecnica di decomposizione dei domini permette di risolvere, ad ogni


timestep da tn a tn+1 , i problemi nei due domini Ω1 , Ω2
separatamente,
fornendo all'algoritmo di avanzamento in tempo i valori di Qn+1
i
n+1
ed Ai
delle incognite all'interfaccia Γ . Nel nostro caso, viene usato un metodo di
discretizzazione di tipo Taylor-Galerkin di ordine 2 (si veda, ad esempio, [10],
[18], [29]).
Le normali condizioni di interfaccia che garantiscano la conservazione di
massa e momento sono la continuità del usso e della pressione totale :


Q1 = Q2 in z = Γ, t > 0
(2.34)
pt,1 = pt,2 in z = Γ, t > 0

Tali condizioni rappresentano la struttura di valvola aperta. Accanto a queste


condizioni vengono aggiunte le condizioni al bordo ottenute per estrapo-
lazione lungo le curve caratteristiche. Si perviene così ad un sistema algebrico
non lineare di quattro equazioni in quattro incognite:

 n+1
 Q1 − Qn+1 2 =0
  n+1 2  n+1 2
ρ Q1 ρ Q2

 ψ(An+1 ; A ; β ) + − ψ(A n+1
; A ; β ) − =0


1 0,1 0,1 2 A1n+1 2 0,2 0,2 2 An+1
2
n+1 (2.35)
q
Q1 β0,1 n+1 1/4 n+1
n+1 + 4 (A 1 ) − W 1,1 = 0
q 2ρA0,1

 A1

 Qn+1
 β0,2
(An+1 )1/4 − W n+1 = 0
 2
An+1
+4 2ρA0,2 2 2,2
2

Questo sistema viene risolto mediante un classico metodo di Newton.


Si è qui scelto di implementare il modello per il funzionamento della
valvola nel seguente modo :
2. Modellazione matematica 45
- per la condizione di valvola aperta, come detto, si impongono le (2.35);
- in condizioni di valvola chiusa si è distinto il caso di chiusura siologica,
quindi totale, dal caso di chiusura patologica, che prevede un riusso
di sangue di maggiore o minor entità a seconda del danneggiamento
valvolare.

In particolare nel caso di valvola chiusa siologica si impongono:


 n+1
 Q1 = α
n+1

 Q2 = αq


n+1
Q1 β0,1 (2.36)
 An+1 + 4 2ρA 0,1
(An+1
1
n+1
)1/4 − W1,1 =0
 1
n+1
q
 Q2
 β0,2

An+1
+ 4 2ρA 0,2
(An+1
2
n+1
)1/4 − W2,2 =0
2

Tale condizione procura ovviamente degli eetti di riessione che, tuttavia,


non sono spuri, ma corrispondono alle riessioni siche generate dalla valvola
chiusa. Data la sua semplicità, il sistema (2.36) non necessita il ricorso al
metodo di Newton e può essere risolto direttamente, snellendo i tempi di
calcolo.
E' bene precisare che le condizioni di compatibilità sono calcolate nel
codice tramite linearizzazione intorno ad uno stato di riferimento U. Si
ricorda (2.21) che:
∂W i
= li
∂U
Sviluppando in serie di Taylor e troncando al primo ordine, si ricavano i valori
n n
di Wi,f t al piede della singola caratteristica a tn attraverso la soluzione Uf t
ricavata dall'interpolazione lineare tra nodo di bordo e nodo interno adiacente
(si veda anche [20]).

W ni,f t = li U nft
Dall'equazione (2.28) si ricava in modo esplicito il valore della variabile
caratteristica a tn+1 :

W imp = W n+1
i (Γ ) = −Gi (W1n , W2n )∆t + W ni,f t
Nel caso patologico, seguendo [39], poniamo

Qn+1 ∆P
= Qn+1
(
1 = ρK 2
qv (2.37)
Qn+1 β0,2
2
An+1
+4 2ρA0,2
(An+1
2 )1/4 n+1
− W2,2 =0
2

dove ∆P è la dierenza di pressione a cavallo della valvola, ρ è la densità del


sangue e Kv è una costante che indica il grado di patologia valvolare. Come
2. Modellazione matematica 46
visibile, più Kv è piccolo, più alta sarà la percentuale di riusso attraverso
la valvola incontinente. Viceversa, per Kv → ∞ la valvola si avvicina alla
condizione siologica, in cui il riusso è nullo. Numericamente si è vericato
2 7
che 10 ≤ Kv ≤ 10 .
La valvola è stata implementata come mostra il diagramma di usso di
gura 2.5 e lo pseudocodice che segue:

if (open_closed == 0)
if ( P_monte - P_valle > 0 )
{open_closed = 1
valvola aperta}
else {valvola chiusa}
if (open_closed == 1)
if ( Q <= 0 )
{open_closed = 0;
valvola chiusa}
else {valvola aperta}

ove open − closed è un boolean che indica lo stato della valvola al tempo
precedente, P − monte e P − valle sono rispettivamente le pressioni a monte
e a valle della valvola, Q il usso al bordo (si veda anche [8]).
In questa rappresentazione si escludono ritardi nella chiusura della valvola.
Una possibile estensione del lavoro prevede di introdurre possibili tempi non
innitesimi di chiusura.

2.3.2 Modellazione analitica dell'azione del muscolo

Viene qui introdotta una prima formulazione analitica della componente di


forza muscolare agente dall'esterno sul vaso venoso (si veda [39], [24]). La
pressione dovuta alle forze muscolari, agenti sul singolo comparto venoso,
è stata modellata con una funzione g(z, t) indipendente dalle variabili del
sistema (A e Q). Ciò signica che nella realazione (2.9) la Pext non viene più
considerata nulla, bensì pari alla g(z, t). Avremo pertanto:

P − g(z, t) = ψ(A(t, z); A0 (z), β(z)) .

Deniamo dunque una P∗ t.c.

P ∗ = ψ + g(z, t)

ove, nel nostro caso, ψ = β0 [( AA0 )β1 − 1].


Scegliamo g(z, t) in modo che sia una distribuzione di forza lungo z nulla
in corrispondenza delle valvole, cioè agli estremi di ciascun dominio cilindrico:
2. Modellazione matematica 47

Figura 2.5: Diagramma di usso che illustra il funzionamento della valvola


unidirezionale (i pedici m e v stanno per monte e valle).

idealmente, se il modello fosse inserito in una rete, avremmo anche condizioni


di valvola al bordo di sinistra e al bordo di destra. Ad esempio scegliamo:

 πz 
g(z, t) = Amax A(t) sin (2.38)
L
ove (Amax A(t)) sia l'ampiezza della funzione sinusoidale che presenta due
componenti: Amax è una costante che stabilisce il valore del massimo del-
πz

la funzione sin a seconda del valore massimo della pressione muscolare
L
esercitata sulla vena, mentre A(t) è una funzione denita a tratti che de-
scrive l'andamento temporale della suddetta pressione, cercando, in prima
approssimazione, di simulare l'andamento quasi periodico della contrazione
muscolare durante la camminata, ovvero:


sin(2πf t + η) 2kπ ≤ t ≤ (2k + 1)π
A(t) = (2.39)
0 (2k + 1)π ≤ t ≤ (2k + 2)π
1−cos(2kπt)
In alternativa si può scegliere anche A(t) = sin2 ( 2kπt
2
)=2
. In questo
modo l'azione muscolare è descritta da una funzione regolare in spazio e nulla
agli estremi.
Seguendo il calcolo proposto sul [10] che integra sulla sezione l'equazione
2. Modellazione matematica 48
(2.5) e porta alla (2.8), si verica che la funzione g(z, t) rappresenta un
contributo in aggiunta al solo termine sorgente S(U ).
Ripercorrendo i passaggi, proposti appunto in [10], in dettaglio, calco-
liamo:
1 ∂P ∗
 
1 ∂P ∂g(z, t)
= +
ρ ∂z ρ ∂z ∂z
Si calcola l'integrale sul volumetto di vaso P, si divide per dz e si passa al
limite per dz → 0. Per la linearità dell'operatore di derivazione :
Z Z  
∂ ∂P ∂g
(P + g(z, t))dP = + dP
P ∂z P ∂z ∂z
Z Z Z Z
∂P 1
dP = − P dσ + P dσ + P nz dσ =
P ∂z S− S+ ΓPw
       
dz dz dz dz
= A z̄ + P z̄ + − A z̄ − P z̄ − +
2 2 2 2
Z
+ P (z̄) nz dσ + o(dz) (2.40)
ΓPw
Z Z Z
nz dσ = O ⇒ nz dσ = − nz dσ
∂P ΓPw ∂P\ΓPw

L' integrale calcolato sulla parete laterale diventa così:


Z Z Z
P nz dσ = P (z̄) nz dσ + o(dz) = −P (z̄) nz dσ + o(dz) =
ΓPw ΓPw ∂P\ΓPw
    
dz dz
= −P (z̄) A z̄ + − A z̄ − + o(dz)(2.41)
2 2
Passando al limite:

Z
1 ∂P ∂AP ∂A ∂P
lim dP = (z̄) − P (z̄) (z̄) + o(1) = A (z̄) + o(1) (2.42)
dz→0 dz P ∂z ∂z ∂z ∂z
Analogamente procediamo per il termine g(z, t) :

Z Z Z Z
∂g
dP = − gdσ + gdσ + gnz dσ =
P ∂z S− S+ ΓPw
       
dz dz dz dz
= A z̄ + g z̄ + − A z̄ − g z̄ − +
2 2 2 2
    
dz dz
− g(z̄) A z̄ + − A z̄ − + o(dz)
2 2
2. Modellazione matematica 49

Z
1 ∂g ∂Ag ∂A ∂g
lim dP = (z̄) − g(z̄) (z̄) + o(1) = A (z̄) + o(1) (2.43)
dz→0 dz P ∂z ∂z ∂z ∂z

Si ottiene quindi un nuovo sistema di PDE in cui la funzione g(z, t)


compare come termine aggiuntivo del termine sorgente :


 ∂A + ∂Q = 0

∂t ∂z  
2 (2.44)
∂Q ∂ Q A ∂P + A ∂g(z, t) + K Q = 0
 
 ∂t + α ∂z

A + ρ ∂z ρ ∂z r
A

in z ∈ (0, L) e t ∈ I,. Il termine sorgente diventa :

" #
0
B(U
e ) = S(U
e )= Q
 
A ∂g(z, t) (2.45)
Kr A + ρ ∂z
Rideniremo di conseguenza i vettori e le matrici (2.15b), (2.14c), (2.15c),
dei sistemi (2.14a e 2.15a), come segue :

" #
Q
F(U) = 2 (2.46)
α QA + β̃
3ρA0
A3/2
" #
∂F 0 1
H(U) = = 2 (2.47)
∂U −α QA2
β̃
+ 2ρA 0
A1/2 2α Q A
   
B̃1 0
S̃(U) = B̃(U) = = = (2.48)
B̃2 Kr Q A
+ Aρ ∂g(z,t)
∂z
 
0
Kr Q
A
π
+ ρL AAmax sin (2πf t + η) cos ( πz L
)

2.3.3 Discretizzazione numerica del modello analitico


considerato

Il sistema è discretizzato con uno schema ad elementi niti di TaylorGalerkin


del secondo ordine, scelto per le sue eccellenti caratteristiche di dispersione
dell'errore e per la semplicità dell'implementazione (si veda, per esempio,
[10]).
2. Modellazione matematica 50
n
Si considerino gli intervalli di tempo (t , tn+1 ), per n ∈ N, con tn = n4t
(4t è il passo temporale). L'approssimazione in tempo è ottenuta dallo
n+1
sviluppo in serie di Taylor di U troncato al secondo ordine:

n+1 n ∂U n ∆t2 ∂ 2 U n
U = U + ∆t + + o(∆t2 ) (2.49)
∂t 2! ∂t2
Riarrangiando i termini del sistema (2.15a) e derivando, si ottiene:

∂U ∂F
= −B
e −
∂t ∂z
2
 
∂ U ∂B
e ∂ ∂F
= − −
∂t2 ∂t ∂t ∂z

Essendo B
e come in (2.48), ne segue che la derivata è:

 
  0
n
 1 ∂A π  πz  ∂A 
∂B
f  k R Q − + A max sin(2πf + η) cos + 
=  A 2 ∂t ρL L ∂t =
∂t 
KR ∂Q πA  πz  
+ Amax
 
+ 2πf cos(2πf t + η) cos
A ∂t Lρ L
   ∂A 
0 0

Q

π  πz  K   ∂t 
= R  ∂Q  +
KR − 2 + Amax sin(2πf + η) cos
A ρL L A
  ∂t
0
+ π A  πz  
Amax

2πf cos(2πf t + η) cos
Lρ L

Si noti, rispetto alla discretizzazione del modello di base, trattata in [10],


l'aggiunta due termini:

π  πz  ∂A ∂A
- il primo, Amax sin(2πf + η) cos , dipende da ,
ρL L ∂t ∂t
πA  πz 
- mentre il secondo, Amax 2πf cos(2πf t + η) cos , dipende da
Lρ L
A e dunque può essere trattato come una componente aggiuntiva al
termine sorgente.

Di conseguenza, deniamo:
2. Modellazione matematica 51

 
0 0
n
BU =  Q π  πz  K 
R =
−KR 2 + Amax sin(2πf t + φ) cos
A ρL L A
" #
0  πz  0
= B nU + π
Amax sin(2πf t + φ) cos 0
ρL L
dove " #
0 0
B nU = Q KR (2.50)
−KR
A2 A
come in [10]. Ne segue:

" #
∂2U n ∂U n
0
= −B n U n − 2 + (2.51)
∂t2 ∂t Amax 2πρLf A cos(2πf t + η) cos( πz
L
)
∂ ∂F n ∂U n
 
− · =
∂z ∂U n ∂t
" #
 n
∂F 0
= −B n U n −B fn − − 2 +
∂z Amax 2πρLf A cos(2πf t + η) cos( πz
L
)
 n
∂ n fn n ∂F
− −H B − H =
∂z ∂z
" #
n
∂F 0
= BnU n B
fn + B n U n − 2 +
∂z Amax 2πρLf A cos(2πf t + η) cos( πz
L
)
 n
∂  n fn  ∂ n ∂F
+ H B + H
∂z ∂z ∂z
Ne deriva che:

∂F n
 
n+1 n n
U = U + ∆t −B − f + (2.52)
∂z
n
∆t2

n n fn n n ∂F
+ B U B +B U +
2 ∂z
" #
∆t2 0
− 2 +
2 Amax 2πρLf A cos(2πf t + η) cos( πz
L
)
n 
∆t2 ∂
 
n fn ∂ n ∂F
+ (H B ) + H
2 ∂z ∂z ∂z
2. Modellazione matematica 52

 
n+1 n ∂ n ∆t n fn
U = U − ∆t F − H B + (2.53)
∂z 2
∆t2 ∂F n n 
 
∂ n ∂F
+ BU + H +
2 ∂z ∂z ∂z
" " ##
fn − ∆t ∆t 0
−∆t B (B n U B
fn ) − 2
2 2 Amax 2πρLf A cos(2πf t + η) cos( πz
L
)

La discretizzazione in spazio è sviluppata con il metodo di Galerkin a el-


ementi niti (si veda, per esempio, [31]). La formulazione debole ad elementi
niti si esprime come segue (si veda anche [10] e [29]).
Sia Vh lo spazio delle funzioni lineari a tratti(funzioni a capanna) e V h =
[Vh ]2 , mentre V 0h = [Vh0 ] = {v h ∈ V h | v h = 0 in z = 0 e z = L}
e φh ∈ V h il vettore delle funzioni test. Ad ogni time step cerchiamo la
soluzione U h ∈ V h che sia combinazione lineare delle funzioni test, cioè
U nh (z, t) = N
P +1 n n n n
i=0 U i φi (z, t), con U i = [Ai , Qi ] l'approssimazione di A e Q
nei nodi zi . Moltiplicando il sistema (2.53) per φh ed integrando sul dominio
0
(integrando per parti sulla derivate in spazio, data U h , soluzione a t = 0
n+1
ottenuta come interpolazione dei dati iniziali, per n ≥ 0, trovare U h ∈Vh
che soddis la seguente equazione per i nodi interni :

n ∂φh
(U n+1 n
h , φh ) = (U h , φh ) + ∆t(F LW (U h ),
e )+ (2.54)
∂z
n
∆t2
 
n ∂F (U h )
+ B U (U h ) , φh +
2 ∂z
∆t2
 
n ∂F n ∂φh
− H(U h ) (U h ), +
2 ∂z ∂z
−∆t(B e LW (U n ), φh ) ∀φh ∈ Vh0
h

ove sono state usate le seguenti notazioni:

e LW (U ) = F (U ) − ∆t H(U )B(U
F e )
2 " #
2 0
fn − ∆t ∆t
Be LW = B (B nU B)
e − 2
2 2 Amax 2πρLf A cos(2πf t + η) cos( πz
L
)

Queste equazioni vengono completate da equazioni di bordo e di compati-


T T
bilità, come visto nella Sezione 2.2.4. Prendendo φh = [φ, 0] e φh = [0, φ] ,
2. Modellazione matematica 53
per i = 1, . . . , N si ottengono N euquazioni discrete rispettivamente per
continuità e momento per un totale di 2(N + 2) incognite (Ai e Qi per
i = 0, . . . , N + 1). Le condizioni al bordo e le condizioni di compatibilità
forniranno quattro ulteriori relazioni.
E' importante ricordare che con lo schema di Taylor-Galerkin del secondo
ordine scelto, per avere stabilità è necessario che sia rispettata la condizione
CFL (Courant-Friedrichs-Lewy), che lega il passo temporale a quello spaziale:


3 hi
∆t ≤ min (2.55)
3 0≤i≤N max(λ1,i , λ2,i )

3
Questa condizione corrisponde ad un numero CFL di tipico di uno schema
3
di Taylor-Galerkin in una dimensione.
Capitolo 3
Simulazioni numeriche

3.1 Introduzione ai casi test


Il modello trattato è stato realizzato tramite l'utilizzo di un codice C++
a elementi niti per problemi monodimensionali (si veda [26], [38], [20]),
sviluppato in seno alla libreria Lif eV , realizzata da École Polytechnique
Fédérale de Lausanne, MOX (Politecnico di Milano), INRIA (Parigi), per
l'implementazione di metodi numerici agli elementi niti per la risoluzione di
problemi dierenziali.
Il modello implementato in questo lavoro è costituito dai due domini
cilindrici in Fig. 2.4, separati da una valvola: questo al ne di simulare
la condizione di due comparti venosi. La lunghezza scelta per il singolo
comparto è 8cm: questa distanza rappresenta una possibile distanza media
che intercorre tra due valvole nella rete venosa degli arti inferiori. In questo
capitolo si simula il funzionamento della valvola secondo lo schema di Fig.2.5.
Si ricorda che le condizioni al bordo sono :

- all' inow del tubo a monte si impone una condizione sull'area, quindi
indirettamente sulla pressione;

- all' interfaccia si ha: a valvola aperta, condizione di continuità del usso


e delle pressioni totali; a valvola chiusa, si impongono le condizioni
riettenti (2.36)

- all' outow si ha una condizione completamente assorbente, descritta


in (2.31).

Alcuni parametri che vengono utilizzati nelle simulazioni, che riguardano


sia la struttura della parete sia il uido, vengono riassunti in tabella (3.1)
(si veda anche, per confronti, [2], [22], [39]). Si noti che con α =1 (come
3. Simulazioni numeriche 55
assunto in [29]) i calcoli risultano semplicati, poichè esistono in tal caso
variabili caratteristiche globali.

Parametri

STRUTTURA Raggio di riferimento 0.25 cm


Spessore di parete 0.05 cm
Modulo di Poisson 1/3

FLUIDO Densità 1g/cm3


Viscosità 0.035 Poise
α = coeciente di Coriolis 1

Tabella 3.1: Parametri sici utilizzati nelle simulazioni

3.2 Valvola siologica: confronto al variare del


Modulo di Young
3.2.1 Caso test 1

In questo caso si vuole analizzare il comportamento del sistema in caso di


funzionamento siologico della valvola (2.37) nel caso in cui il Modulo di
Young della parete dei due comparti sia uguale.
Si è scelto inoltre di cambiare il Modulo di Young per studiare l'anda-
mento del sistema in casi di regimi pressori molto diversi, tipici della nor-
male funzionalità venosa (1.3.3). In particolare, mostriamo due simulazioni
6 2
in cui il Modulo di Young vale rispettivamente E1 = 1 · 10 dyne/cm e
E2 = 2.5 · 106 dyne/cm2 : il primo valore rispecchia regimi pressori in cui la
vena è in parte collabita, il secondo il caso limite superiore, in cui la parete
si trova già in stato completo di sforzo.
Al ne di simulare l' azione della muscolatura sul condotto venoso si
è imposta in ingresso una curva in pressione sinusoidale con ampiezza di
50 mmHg e frequenza f = 2s, che può essere intesa come la frequenza di
camminata di un idividuo.
Si descrive di seguito l'andamento della pressione in un periodo T (in
questo caso T = 0.5s) per il caso con E1 . Come si vede in gura (3.1) la
pressione parte da 0 e cresce. A t = 0.125s = 14 T si raggiunge il massimo
di 50 mmHg nella sezione iniziale. Nella sezione nale si raggiunge soltanto
il valore massimo di circa 38 mmHg al tempo t = 0.185sec. La riduzione
del picco é probabilmente dovuta al fatto che il modello tiene in conto delle
3. Simulazioni numeriche 56
perdite di carico del uido lungo il vaso e che il tempo di propagazione della
perturbazione nel sistema è di 0.060 s (Fig. 3.2).
Si può inoltre notare che la pressione impiega un tempo di 0.025 s per
raggiungere la sezione di uscita(Fig. 3.1).

Figura 3.1: Pressione all'istante t=0.025 s.

Figura 3.2: Pmax a t=0.1250 (sx) e t=0.185 (dx)

Per quanto riguarda il usso (Fig. 3.3,(a)), il tempo di propagazione


dell'onda è di 0.02 s: infatti il massimo nella sezione iniziale si osserva a
t = 0.12, mentre raggiunge la sezione nale a t = 0.14. Si fa notare come il
primo istante di chiusura è a 0.27sec:
Si nota, dopo la chiusura, una componente di onda riessa, dovuta al fatto
che all'interfaccia sono imposte condizioni riettenti (Fig.3.3,(b)).
La valvola si apre di nuovo a 0.53s leggermente in ritardo rispetto al periodo
dell'ingresso sinusoidale (Fig. 3.4). Questo ritardo è dovuto al fatto che il
test in pressione che comanda l'apertura della valvola è fatto sui nodi interni
adiacenti ai nodi di interfaccia dei due domini. Si può notare, inoltre, che nel
3. Simulazioni numeriche 57

Figura 3.3: Flusso al primo istante di chiusura della valvola (a) e riessioni
dovute alle condizioni di bordo (b)

Figura 3.4: Pressione nel primo vaso pochi istanti dopo l'apertura della
valvola
3. Simulazioni numeriche 58
secondo vaso, quando la valvola è chiusa il usso imposto è nullo, ma anche
la pressione si mantiene prossima allo zero. Subito dopo la chiusura della
valvola si osserva una depressione a valle (Fig. 3.5).

Figura 3.5: Depressione riscontrata nel secondo vaso in prossimità della


chiusura della valvola

Consideriamo una seconda simulazione con gli stessi parametri sici in


tabella (3.1), con lo stesso ingresso sinusoidale in pressione, ma modulo
6
di Young pari a 2.5 · 10 per entrambi i vasi. Si osserva che il tempo di
propagazione della perturbazione nel sistema è inferiore e pari a 0.015 s
(Fig.3.6). Il vaso è più rigido e l'onda propaga più velocemente.

Figura 3.6: Pressione a t=0.0155 con E = 2.5 · 106 s2gcm

3.2.2 Caso test 2

In questa simulazione si considerano due vasi con le stesse caratteristiche ge-


ometriche del Caso 3.2.1, gli stessi parametri sici in tabella (3.1), e ingresso
3. Simulazioni numeriche 59
sinusoidale in pressione, ma con modulo di Young del secondo vaso diverso
rispetto a quello del primo vaso.
In un primo caso si pone il Modulo di Young del primo vaso pari a
E1 = 1 · 106 s2gcm ,
quello del secondo vaso pari a E2 = 2.5 · 10 2
6 g
s cm
. Si
confermano gli stessi tempi di propagazione osservati nei casi precedenti per
i rispettivi moduli di Young, come si può facilmente dedurre da Fig. 3.9.
La prima perturbazione arriva alla sezione nale del secondo vaso dopo un
tempo complessivo di 0.040 s.

Figura 3.7: Propagazione del usso nel primo vaso pochi istanti dopo la
chiusura della valvola.

Figura 3.8: Pressione nel vaso 1 a t=0.025 s (sinistra) e nel vaso 2 a t=0.04 s
(destra).

Inoltre, la valvola si chiude a t = 0.275s > T /2 perchè la propagazione del


usso ha un ritardo dovuto alla maggiore resistenza data dal vaso a valle
(Fig. 3.8).
L'istante di apertura, essendo determinato dalla pressione, ed essendo il
modulo di Young del primo tubo più basso del secondo, non presenta ritardi
3. Simulazioni numeriche 60

Figura 3.9: Propagazione del usso nel primo vaso all'istante di chiusura
della valvola.

rispetto al Caso 1 trattato in precedenza. Da notare, come si vede dalla


Fig.3.10, in questo caso non si riscontra una pressione negativa nel secondo
vaso subito dopo la chiusura della valvola. Ancora una volta, per la maggiore
rigidità del condotto, l'onda propaga più velocemente e smorza maggiormente
le oscillazioni.

Figura 3.10: Pressione positiva a valle della valvola dopo chiusura.

Viceversa, consideriamo il caso in cui il vaso a monte sia più rigido del
E1 = 2.5 · 106 ed E2 = 1 · 106 . Osserviamo che i tempi di
vaso a valle, ovvero
propagazione del usso nei due comparti, rimangono gli stessi (Fig. 3.11).
Di conseguenza, la valvola si chiude prima rispetto al caso trattato in
precedenza, poichè essendo il primo vaso piú rigido e il tempo di propagazione
minore, si arriva prima all'inversione di usso (Fig.3.12,(a)). Inoltre dopo la
chiusura, a monte, si nota che la pressione è minore rispetto al caso prece-
dente (Fig.3.12,(b)). Essendo il vaso a monte più rigido, l'onda propaga piú
velocemente anche in verso opposto.
3. Simulazioni numeriche 61

Figura 3.11: Propagazione dell'onda pressoria nel vaso a sinistra - t=0.015 s


6
- modulo elastico 2.5 · 10 (a); propagazione dell'onda pressoria nel vaso a
6
destra - t=0.04 s - modulo elastico 1 · 10 (b).

Figura 3.12: Flusso nel primo vaso dopo la chiusura della valvola (a).
Pressione negativa a seguito della chiusura della valvola (b).
3. Simulazioni numeriche 62
Anche l'apertura della valvola avviene ad una pressione minore rispetto
al caso precedente (Fig. 3.13): questo perchè la resistenza da vincere a valle
della valvola è molto minore.

Figura 3.13: Pressione all'istante di apertura della valvola.

Inoltre si osserva, subito dopo la chiusura della valvola, una pressione ne-
gativa nel vaso a valle: essendo esso più deformabile, si genera una depres-
sione determinata dall'istantanea chiusura.
Concludiamo che, trattando due comparti a modulo elastico diverso, os-
serviamo che i tempi di propagazione delle onde pressorie e di usso si man-
tengono gli stessi, sottolineando una forte dipendenza dal modulo elastico del
vaso. La dinamica di apertura e chiusura della valvola, invece, è inuenzata
dalla variazione di elasticità che ne denisce i tempi. Si può così studiare il
usso in casi di stasi venosa di sangue a valle o a monte di una certo com-
parto. In questi casi i vasi vengono riempiti e la loro distensibilità diventa
massima con conseguente crescita del modulo elastico. Tali casi possono sus-
sistere non solo in ambito patologico, ma anche in ambito siologico. Sono
quindi di interesse generale.
Capitolo 4
Ringraziamenti
Ringrazio i miei genitori e mio fratello Ezio che mi hanno SEMPRE sostenuto
in questi anni di studio.
I miei nonni per tutto quello che mi hanno dato.
Ringrazio in particolare il Prof. Alessandro Veneziani per la possibilità
che mi ha dato di lavorare con lui, per la sua grande umanità, che manifesta
con la sua persona, con la sua grande passione ed impegno nel lavoro.
Ringrazio il Dott. Christian Vergara per avermi chiesto insistentemente
di farcela da sola.
Inne, e qua la gratitudine è smisurata, ringrazio tutti i miei amici che
mi hanno accompagnato in questi anni, che mi hanno sostenuto, che mi
hanno insegnato ad essere più realista, a stare con i piedi per terra, e mi
hanno insegnato ad accettare un amore più grande di quello mai sperato e a
desiderare sempre di più che fosse anche da parte mia per loro.
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