“Re-ingegnerizzare i processi” è il mantra predominante quando si discute sulla digitalizzazione
della PA. E’ un mantra ma anche una verità, una tragica verità...se si pensa che AIPA ne parlava già in una sua storica pubblicazione, Gedoc 2, una ventina d’anni fa. Diamo per assunto che sia chiaro il perché farlo: per semplificarli, per rendere possibile la valorizzazione delle tecnologie disponibili evitando di porre queste ultime come fine, per sapere chi fa cosa, etc… Ma quello che appare come il vero problema sta nel come re-ingegnerizzare. E qui urge una doppia premessa: 1) ingegnerizzare implica l’adozione di metriche. 2) il prefisso “ri” presupporrebbe una precedente ingegnerizzazione… Quello che si è visto sino ad oggi, quasi esclusivamente, consiste in disegni (alias: diagrammi di flusso), magari dei bellissimi “power point” ma nulla basato su misure, su numeri: risorse necessarie, tempi medi e/o esiziali, etc..un po’ la differenza che c’è tra il disegno di un ponte ed i suoi calcoli strutturali. L’adozione di metriche determina un duplice vantaggio: la riproduzione del cosiddetto “as is” e una reale fattibilità di analisi “what if” → ecco perché sarebbe più appropriato parlare, piuttosto, di modellazione dei processi. Questo approccio ha fatto sviluppare, nel mondo industriale, il BPM o Business Process Management: un framework in continua evoluzione composto da diverse metodologie e diversi tool. Anche la PA ne avrebbe enormi vantaggi: modellando i propri processi secondo l’as is e analizzando i what if in relazione alle tecnologie disponibili, si otterrebbe una mappatura con diversi focus e specifiche metriche -> performance, carichi di lavoro, gestione dei dati in ottica di tutela e di safety, tracciabilità, valutazione dell’adottabilità di nuovi strumenti, analisi dell’impatto organizzativo di una nuova norma o di un nuovo servizio, misura della qualità… Insomma: si traccerebbe la strada del miglioramento continuo in un mondo in continua trasformazione digitale.