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Non siamo fatti per stare da soli ma nemmeno per stare con chiunque.
1
INDICE
Introduzione p. 3
2
INTRODUZIONE
3
Nel terzo capitolo, dopo aver analizzato le due opere ho scelto di considerare lo
schermo in modo più concreto e dunque non ho potuto non addentrarmi nell’universo
dei mezzi di comunicazione di massa, identificandoli in tutte le loro sembianze e
funzioni fino all’avvento della televisione: strumento di benessere negli anni ’60,
vetrina di fama nel 2000 fino al ruolo di ospite «inosservata» durante le cene in
famiglia. La televisione, infatti da regina indiscussa del boom economico ha attraversato
molti decenni da protagonista, rendendo piacevoli giornate vuote con i suoi programmi
di intrattenimento e i varietà così tanto graditi, al punto da diventare un appuntamento
fisso. La voglia di apparire e di spettacolarizzare gli eventi ha dato vita ai reality, prima
esperimenti antropologici, in seguito tempio della vanità dello spettatore medio. Con
l’avvento dei social network, l’amata scatola nera è stata soppiantata dalle foto di
Instagram, post che ritraggono particolari di vita quotidiana di comuni mortali in
contrapposizioni con immagini su meravigliose spiagge tropicali e cene in ristoranti
lussuosi di molte star e personaggi noti, aumentando la brama di possesso, scorciatoia
dell’apparenza. Un ruolo fondamentale, anche se ha perso popolarità negli ultimi anni,
lo riveste sicuramente Facebook, considerato precursore di tutti i social network. La
piattaforma inizialmente prevedeva chat con la possibilità di scambiarsi messaggi con
persone lontane. Di anno in anno sono state introdotte numerose funzioni che hanno
arricchito il social come l’introduzione di dati personali, foto, ricorrenze o pensieri
istantanei. Gli utenti spinti dalla curiosità hanno scelto di avventurarsi nel mondo social
fornendo dettagli sulla propria vita come i posti frequentati durante le vacanze o nel
tempo libero tra una pausa e l’altra dal lavoro. A poco a poco anche molte aziende e
giornali hanno scelto di sfruttare la popolarità del social e l’immediatezza del
messaggio, garantendo informazioni continue e brevi, mossa che ha decisamente
soppiantato il ruolo della televisione (e ancor prima di giornali e libri), correndo il
rischio però di bombardare il social con notizie fasulle «acchiappa-like», le quali
traggono in inganno gli utenti più ingenui.
Quello dei media è un mondo in continua evoluzione, infatti i vari mezzi di
comunicazione di massa sono entrati in punta di piedi nelle nostre case e hanno finito
con il diventare parte integrante della nostra vita, al punto da favorire una
spettacolarizzazione del mondo ma soprattutto hanno contribuito in un certo senso alla
4
vendita della nostra personalità, generando una scissione del nostro io e una
conseguente perdita di esso.
In una realtà globalizzata e all’avanguardia non è possibile fare a meno degli
strumenti che la tecnologia ci offre ma possiamo scegliere l’importanza che vogliamo
attribuirgli nella lista delle nostre priorità.
5
CAPITOLO I
«1984», LOTTARE O RINUNCIARE
ALLE PROPRIE IDEE?
1. L’opera
«La guerra è pace». «La libertà è schiavitù». «L’ignoranza è forza» 1: sono questi i tre
slogan che risaltano sulla facciata della piramide di cemento dal bianco abbagliante, che
maestosa si impone nel centro di Londra. Era impossibile ignorare le scritte a caratteri
cubitali, tanto notevoli quanto grandi, da rimanere impresse nella mente di ogni
cittadino in ogni momento della giornata fino a divenire parte dell’individuo stesso, una
sorta di mantra da seguire e tenere sempre a mente.
Questo è lo scopo infatti, del Grande Fratello2, individuo misterioso con i baffi
che nessuno ha mai visto se non su manifesti propagandistici ma con una fama che
precede il suo nome, colui che tiene sotto controllo tutto: strade, edifici, interni di ogni
casa per il bene e la sicurezza altrui e che fa della guerra l’unico mezzo per garantire la
pace, così come egli stesso ammette, contro il nemico di sempre: l’Eurasia. Winston
continuava a domandarsi se davvero l’Oceania fosse in guerra con essa da sempre,
eppure gli sembrava che proprio quattro anni fa il nemico fosse l’Estasia, quasi ci
avrebbe giurato; tuttavia sui libri di storia non vi era traccia alcuna. Questo pensiero
continuava a tormentare la sua mente, proprio lui che, impiegato al Ministero della
Verità, aveva il compito di riscrivere la storia secondo le indicazioni del partito affinché
tutti conoscessero ciò che era stato e chi fosse il nemico e di cancellare il passato
attraverso “il buco della memoria”. Winston, uomo comune come gli altri all’apparenza,
lavora, mangia, beve, vive esattamente come ogni cittadino e odia il partito come molti
di essi; eppure, sembra esserci qualcosa di diverso in lui, una strana consapevolezza di
quello che sarebbe stato il futuro tenendo conto il presente della sua realtà, al punto tale
da essere definito quasi come se fosse “l’ultimo uomo in Europa”3. Tante, infatti sono le
1
George Orwell,1984, (1949), trad. di Stefano Manferlotti, Mondadori, Milano 2015, pag. 8.
2
In inglese «Big Brother» significa «fratello maggiore», ma in italiano è diventata più comune
l’espressione «Grande Fratello». Non si è potuto non conservarla.
3
Titolo che Orwell voleva dare in un primo momento al libro.
6
domande che lo accompagneranno per molto tempo ma soprattutto non il come ma il
perché sarà ciò che lo guiderà verso la sua disperata ricerca della verità. Proprio la
ricerca della verità può essere considerata il fulcro dell’opera orwelliana ma in realtà
essa è molto altro. Svariati sono i temi che emergono durante l’analisi del romanzo, in
particolare la spaventosa realtà in cui viviamo profetizzata già dallo scrittore nel lontano
1948.
Probabilmente chiunque legga quest’opera scorgerà un ritratto triste e per certi
versi molto simile a quella che è la nostra società odierna. Attraverso il personaggio di
Winston, Orwell vuole denunciare le inevitabili conseguenze di quelli che sono i
totalitarismi e le privazioni che derivano da essi, e ci riesce molto bene con la realtà
distopica descritta nel libro. Infatti, egli stesso, essendosi interessato al socialismo e
avendo vissuto gli effetti del regime sovietico, era a conoscenza di tutti i meccanismi
purtroppo innescati da questa forma di governo.
Non a caso, il protagonista di 1984 possiede il nome del Primo Ministro inglese
Winston Churchill, uno dei principali oppositori della Germania nazista e un cognome
molto comune che potrebbe appartenere a chiunque: Smith. Il personaggio infatti
inizialmente può sembrare un uomo qualsiasi che assume gli stessi comportamenti delle
persone che gli stanno attorno: cammina per strada, parla con i colleghi di lavoro, beve
gin vittoria e fuma sigarette vittoria, rispetta le regole e i principi del Socing, imposti
dal Grande Fratello. Tuttavia, più che avanzare come un automa, riflette sulle azioni che
compie e sul loro significato, ma soprattutto su cosa fosse accaduto anni addietro, e
questa proprio sarà una delle tante domande a cui non riuscirà facilmente a trovare
risposta.
«Lo scarno stile orwelliano esalta le idee su cui si basa il romanzo. Il fascino
di questo romanzo infatti è soprattutto dovuto alla coinvolgente visione che Orwell pone
a base della storia. Una visione non semplicemente futuristica e per questo ancora più
inquietante.»4. È ciò che emerge dal romanzo distopico, il quale non si limita ad essere
classificato solo in questo modo ma sembra assumere le sembianze di una profezia, o
meglio di qualcosa che sta già accadendo, «come un libro sull’attualità, più che come un
4
Alessandra Buschi, 1984- George Orwell- Una breve analisi, 2012, <<Tracce di Studio>>, 21 agosto
2012.
7
libro sul futuribile»5, come definisce Umberto Eco. Lo studioso, sostiene che il successo
del romanzo distopico, sia dovuto alle numerose analogie che vi si trovano con il
presente offrendo un importante spunto di riflessione a proposito dello scontro continuo
dell’Oceania con gli altri due stati:
la guerra non è qualcosa che dovrà scoppiare, ma qualcosa che scoppia ogni giorno,
in aree determinate, senza che nessuno pensi a soluzioni definitive, in modo che i tre
grandi gruppi in contrasto possano lanciarsi avvertimenti, ricatti, inviti alla
moderazione. Non è che non muoia nessuno, anzi la morte di alcuni è messa in
conto, così che la guerra da epidemica si fa endemica. Ma al postutto ha proprio
ragione il Grande Fratello, “la guerra è pace”. La propaganda di Oceania una volta
tanto non mente: dice una verità così oltraggiosa che nessuno riesce a capirla. 6
Per Eco, senza dubbio ciò che rende più avvincente 1984, è l’invenzione del Grande
Fratello, «Orwell ha intuito che nel futuro-presente di cui egli parla si dispiega il potere
dei grandi sistemi sovranazionali, e che la logica del potere non è più, come al tempo di
Napoleone, la logica di un uomo. Il Grande Fratello serve, perché bisogna pur avere un
oggetto d’amore, ma basta che egli sia una immagine televisiva.»7. Parole forti, che
senz’altro sono lo specchio della triste società odierna.
2. Trama
Non riusciva a ricordare se fosse sempre stato tutto così, se un tempo Londra era sempre
stata così grigia, sporca e decadente. Se le sigarette avessero avuto sempre quel sapore
così aspro e quando il Grande Fratello aveva ottenuto il potere indomito sulla città.
Tutto era così sbiadito come i ricordi della sua infanzia e su tutto ciò che era stato in
precedenza. Ciò di cui era certo, era il senso di frustrazione che lo accompagnava di
giorno in giorno e quell’ulcera fastidiosa sulla gamba non era certamente d’aiuto, anzi
non faceva altro che affaticare il suo cammino. Quello però non era il problema più
5
Umberto Eco, Orwell o dell’energia visionaria, in George Orwell, 1984, Mondadori Milano 1984, pag.
7.
6
Ibidem, pag. 9.
7
Ibidem, pag. 12.
8
grave; era così insoddisfatto della sua condizione da non riuscire a trovare pace, e
ancora meno a mascherare il suo odio verso il Grande Fratello, infatti non vi era bisogno
che lo manifestasse apertamente, il suo sguardo rivelava. A volte ancora ripensava
all’odio che aveva per l’ex-moglie, donna frigida che si concedeva a lui solamente un
giorno a settimana prestabilito, senza coinvolgimento e piacere ma con il solo scopo di
procreare, così come voleva il partito; infatti quest’ultimo non poteva permettere che
l’atto sessuale divenisse un puro e semplice appagamento dei sensi ma lo considerava
solo come un’altra forma di servitù nei confronti del partito. Ad aggiungersi a ciò,
l’intolleranza verso il proprio vicino di casa, Parsons, uomo insopportabile, «grassoccio
ma dinamico, di una stupidità sconfortante, un concentrato di entusiasmo imbecille, uno
di quegli sgobboni adoranti e votati alla più cieca obbedienza»8. Purtroppo era costretto
a convivere con lui e con gli ancor meno sopportabili figli, canaglie istruite nel migliore
dei modi dal programma di disciplina del partito rivolto ai giovani, essi infatti erano
educati sin dalla tenera età nell’individuare possibili nemici del governo anche in
semplici gesti ma in realtà ciò rappresentava il più pericoloso dei crimini: psicoreato.
In un mondo in cui non esistevano leggi scritte e alcun tipo di proibizione, tutto
in realtà era negato, soprattutto pensare, avere una propria idea e battersi per essa; ciò
non corrispondeva ai principi del Socing e del Grande Fratello. C’era lui a garantire il
benessere dei cittadini o almeno era quello che proclamava in ogni teleschermo presente
in qualsiasi angolo della città, controllando con il suo immenso occhio ciò che accadeva
in ogni dove; sempre pronto però, a fornire informazioni al popolo sulle guerre in cui
erano coinvolti e in particolare sul nemico peggiore che avesse mai avuto: Emmanuel
Goldstein. Costui aveva militato nel partito, ed era stato un fervido sostenitore di esso o
almeno lo era stato solo agli inizi, in seguito intraprese attività di spionaggio nei
confronti della propria nazione, alleandosi con l’Eurasia. Era uno di quelli che era
riuscito a fuggire senza ricevere percussioni, o meglio ancora non le aveva ricevute, era
riuscito a scappare, nessuno conosceva il suo nascondiglio e come fosse riuscito a
raggiungerlo; si diceva che egli fosse il leader di un’organizzazione segreta “la
Confraternita” volta ad eliminare il partito ma sconosciuta era la sede di essa e quale
fosse il modo per entrare a farne parte.
8
George Orwell, 1984 (1949) trad. di Stefano Manferlotti, Mondadori, Milano 2015, pag. 27.
9
Il clima di terrore e oppressione in cui vive Winston di certo non aiuta a trovare
la risposta alle sue continue domande, nessuna via di fuga eccetto quando troverà in una
vecchia bottega del centro un diario dalle pagine bianche, polveroso e con il fascino di
un prodotto appartenente ad un’altra epoca. Rimase affascinato non appena vide davanti
ai suoi occhi quel misterioso oggetto che sembrava parlargli quasi come se gli dicesse di
poter essere la sua unica valvola di sfogo e forse l’unica testimonianza del passato per i
posteri. 4 aprile 1984 era ciò che scrisse sulla prima pagina bianca del diario, non era
certo che fosse la data esatta ma era l’unico elemento spazio-temporale a cui poteva fare
riferimento, in una realtà in cui nulla era dato per certo. Con la sua calligrafia piccola e
infantile iniziò a scrivere impressioni sui film di guerra, unico programma che
trasmettevano maggiormente, in modo tale da incrementare l’odio che già scorreva nel
sangue di ogni cittadino. Improvvisamente, con un movimento voluttuoso della mano
non riuscì a trattenersi dallo scrivere a carattere maiuscolo ciò che non poteva esprimere
ad alta voce ma che ebbe un effetto liberatorio e allo stesso tempo spaventoso:
ABBASSO IL GRANDE FRATELLO! Questa mossa gli sembrò molto più che
rischiosa ma era sicuro di aver evitato ogni teleschermo mentre compieva il misfatto.
Nonostante ciò, una sensazione di panico pervase il suo corpo. Era accaduto qualcosa di
importante: aveva iniziato a scrivere. Era un puro atto rivoluzionario.
La vera e propria svolta per Winston arriva quando conosce Julia. La prima volta
che l’aveva vista era durante i Due Minuti D’odio imposti dal partito. Questi
prevedevano un’inspiegabile rabbia al punto da sfuggire al controllo dell’individuo
stesso, il programma cambiava ogni giorno ma al centro vi era sempre Goldstein. Era
stato proprio in quel frangente che l’aveva vista, subito gli sembrò che fosse una spia
del partito e che stesse osservando proprio lui, probabilmente fu questo il motivo per il
quale aveva provato un fastidio immediato nei suoi confronti, non riusciva a capire
perché ma aveva il desiderio di ucciderla ed era convinto che anche lei provava la stessa
cosa. Non si sarebbe mai aspettato che nei giorni successivi sarebbe stata proprio Julia a
mettersi in contatto con lui e soprattutto dopo i Due Minuti D’odio. Dopo una serie di
peripezie, i due riescono a parlare lontano da occhi indiscreti e a trovare un punto
d’incontro, un luogo ideale, un nascondiglio perfetto che sarà la culla dei loro sogni di
ribellione. Durante gli incontri con Julia, che avvenivano di rado per non destar sospetti
nonostante si svolgessero lontano da quella macabra realtà, Winston si sentiva sempre
10
più vicino a quella che era una rivoluzione o qualcosa di simile nei confronti del partito:
adesso aveva una compagna speciale e astuta. Julia era un membro della lega giovanile
del partito, o almeno in apparenza; aveva fatto parte di esso sin dall’adolescenza, era tra
le giovani donne più promettenti e brillanti, mai un richiamo mai un sospetto, aveva
fatto persino volontariato ed era stata ideatrice di alcune campagne d’odio.
Nel profondo della sua persona giaceva un odio viscerale nei confronti del Grande
Fratello, eppure non aveva mai dato modo di pensare cosa tramasse: era una talpa
perfetta.
Ogni volta fra i due era un susseguirsi di amplessi, uno più potente e piacevole
dell’altro, metafora della lotta contro l’odio abituale a cui erano sottoposti; era questo il
loro atto rivoluzionario. Da quella campagna così lontana da una Londra costantemente
sorvegliata passarono ad un altro nascondiglio, il piano superiore di un’insolita bottega
del centro, la bottega del Signor Charrington, la stessa nella quale Winston aveva
comprato per pochi spiccioli il suo prezioso quaderno. Il padrone del negozio sembrava
avere un’aria così vissuta, l’aria di un uomo appartenente ad un’epoca ormai lontana ma
che portava ancora memoria di ciò che fu, sembrava l’unica ancora nel mare di
incertezza in cui Winston versava e l’unico a poter fornire un indizio per arrivare alla
verità: come fosse il passato, quando era avvenuta l’ascesa al potere del Grande Fratello
e quali erano i suoi scopi; ancora una volta la domanda era non come ma perché.
Purtroppo, l’ormai vecchio signore era in grado solo di raccontare quei pochi ricordi che
affioravano alla mente, così per caso.
Winston non aveva ancora perso le speranze. E fu proprio quando scoprì suo
alleato O’Brien, che gli sembrò di avere la strada spianata. Lavorava anch’egli al
Ministero della Verità, aveva sempre pensato che costui fosse un membro del partito e
che era in attesa di un suo passo falso per poterlo consegnare alle autorità, o in altre
occasioni aveva pensato che potesse essere un formidabile compagno con cui
condividere uno psicocrimine. Non sapeva quale atteggiamento avesse dato
l’impressione ad O’Brien che lui potesse essere un eventuale collaboratore ma non
importava ciò, era certo che egli facesse parte della Confraternita. Era riuscito
finalmente a trovarla.
Ebbe la certezza quando lui e Julia si recarono a casa di O’Brien, era anche lui
un membro del partito ma con una celata avversione verso di esso, nonché uno dei
11
principali componenti dell’organizzazione avversaria e ovviamente in contatto con
quello che era il più grande nemico del Grande Fratello, Goldstein; di quest’ultimo fu
ceduto a Winston una copia del suo famoso libro, elemento prezioso per l’impiegato
tormentato, finalmente credette di poter soddisfare ogni suo dubbio. Insomma, O’Brien
era un uomo di cui potersi fidare ciecamente e al quale i due confessarono ogni
dettaglio, non solo quali fossero i posti dove avvenivano le loro piccole proteste
personali, ma soprattutto quali fossero le loro idee. Erano in mani così sicure.
La delusione di Winston fu immane quando venne a conoscenza del contenuto
del libro. Non era ciò che credeva di trovare, o meglio erano elencate tutte le malefatte
del partito e come esso agiva controllando non solo le vite ma anche le menti di ogni
singolo cittadino, ma già era a conoscenza di questo, lui voleva sapere perché. Tutte le
speranze furono perse, vani i tentativi di esaudire le sue mille domande.
Era stato catturato insieme a Julia in un pomeriggio che sembrava essere come
gli altri, nella bottega del signor Charrington, nel loro posto perfetto. Si ritrovò
improvvisamente solo e in un luogo che non aveva mai visto in vita sua ma era certo di
trovarsi all’interno del Ministero dell’Amore. Si guardò intorno e improvvisamente vide
Parsons e molti altri, aveva la sicurezza che erano tutti lì per lo stesso motivo:
psicoreato. Winston era, però, in cerca di una sola persona, il suo fidato amico O’Brien,
sentiva il bisogno di fargli sapere che era divenuto ormai prigioniero del Grande
Fratello, che era stato scoperto e che aveva bisogno del suo aiuto, nonostante fosse a
conoscenza del fatto che la Confraternita non avrebbe potuto fare nulla per provare a
salvare i membri catturati.
Come un miraggio apparve proprio lui. Winston non credeva ai suoi occhi, era
stato preso anche lui. O’Brien accompagnato da una guardia con manganello, si era
avvicinato senza timore al suo discepolo, e tutto ciò che disse fu: «mi hanno preso da
tempo»9 con voce molto sarcastica.
Ormai Winston era vittima di continui pestaggi e interrogatori giornalieri che
alternavano violenza a compassione, volevano sapere se in lui vi fosse rimasto ancora
un briciolo di lealtà verso il partito. Continuava a chiedersi con disperazione cosa in
realtà volessero sapere, iniziò a confessare di aver fede religiosa, di essere acerrimo
nemico del partito, di aver ucciso membri dello stesso e anche l’ex-moglie, pur sapendo
9
Ibidem, pag. 263.
12
che loro erano certi che lei fosse ancora in vita, e di essere in contatto diretto con
Goldstein. Stava raccontando la storia della sua vita su un palcoscenico in cui recitava il
monologo sulla propria vita ad un pubblico senz’anima che conosceva già il finale. Gli
interrogatori continuavano accompagnati da ricordi sconnessi.
Improvvisamente apparvero Julia, il signor Charrington, O’Brien che ridevano di
gusto alle sue affermazioni ma ora tutto era al suo posto, persino il dolore, «e i casi della
sua vita erano lì, nella loro nudità, fatti oggetto di comprensione e perdono»10. Durante
gli interrogatori gli era parso di sentire sempre la stessa voce, una voce che gli risultava
così familiare, era quella di O’Brien. Era lui l’artefice di tutto, decideva quando
Winston dovesse provare dolore, a quali domande dovesse essere sottoposto, quando era
il momento di assumere farmaci e quando era possibile porre tregua alle sue sofferenze.
Lunghi erano i colloqui giornalieri tra i due: O’Brien cercava di manipolare i pensieri
dell’uomo, sapeva che Winston aveva capito l’inganno tempo prima ma il suo scopo era
quello di trasformarlo in un acceso sostenitore del Grande Fratello, di amarlo e di
considerare esso come verità assoluta. Winston ancorato alle sue convinzioni come un
capitano al timone della propria nave in un mare tempestoso, non cedeva a quelle parole
fittizie, il partito non poteva controllare le idee. Non poteva entrare dentro di lui.
Di giorno in giorno continuavano le torture su Winston, era sempre più magro,
pallido, sofferente, non si guardava allo specchio da giorni ma aveva come
l’impressione di essere diventato completamente calvo e molto magro. Si chiedeva
perché non era ancora stato ucciso non avendo intenzione di fornire la sua
collaborazione. O’Brien continuava ad esercitare il suo potere su Winston, sapeva di
avere il potere di farlo soffrire, ed era proprio questo il modo per avere il totale
controllo sull’uomo. Era così debole che non avrebbe mai potuto contrastarlo in nessun
modo ma non si limitava a ciò, quello che tentava di inculcargli era il bipensiero.
Qualunque affermazione oggettivamente falsa, se ritenuta vera dal partito, allora
diveniva verità. Winston aveva capito finalmente quale fosse lo scopo del Grande
Fratello: quello di fare in modo che tutti gli uomini l’amassero, non attraverso la
costrizione o un’adesione apparente ma nel modo più sincero e puro, credendo ad esso;
credendo alla paura che inculcava, la paura verso un nemico di cui non si aveva certezza
della sua esistenza, un nemico creato probabilmente ad arte, sul quale riporre odio e
10
Ibidem, pag. 269.
13
frustrazione, perché era il capro espiatorio ideale per distrarre la massa dai loschi intenti
di colui che tutto controllava. Un popolo mosso dall’odio verso l’altro e guidato dal
terrore aveva bisogno di credere in qualcosa, di credere che ci fosse qualcuno a
proteggerlo, a rassicurarlo, ad illuderlo che in realtà la vita fosse migliore rispetto agli
anni precedenti, cancellando però ogni traccia di questi.
Un popolo così, era un popolo facile da controllare. I pensieri di Winston
fluivano senza sosta, si chieda dove fosse Julia, cosa le avessero fatto e se anche lei era
rimasta fedele ai propri principi. I giorni trascorrevano lenti Winston aveva la
sensazione di essere in fin di vita, sentiva il suo corpo sempre più debole ormai
sottoposto a troppi soprusi, aveva come l’impressione che anche la sua spina dorsale
stesse per spezzarsi; era stato privato della sua dignità, mancava solo la sua libertà. Il
programma imposto dal Ministero dell’Amore per tutti i prigionieri era composto da tre
stadi: apprendimento, comprensione, accettazione. A Winston toccava l’ultimo, doveva
accettare il bipensiero e imparare ad amare il Grande Fratello, era la prassi
fondamentale prima di eliminarlo definitivamente, ogni uomo sarebbe finito con
l’amare il partito prima della morte.
Il recupero di Winston fu lento e graduale, erano passate molte settimane o forse
mesi. Aveva rimesso su peso, il colore della pelle era ritornato al suo stato naturale e
avevano persino provveduto a sostituirgli i suoi denti ormai caduti con una dentiera;
inoltre gli era stato fornito un letto comodo sul quale riposarsi. Ebbe come
l’impressione di esser cambiato interiormente, lo capì quando tra le mani aveva una
penna e con calligrafia grande su un foglio scrisse: «LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ».
Non sapeva cosa avesse scaturito quest’impulso, sembrava aver accettato tutto,
accettato che il passato potesse essere cambiato o meno a seconda del volere del Grande
Fratello; eppure non ci credeva ancora fino in fondo, ciò aveva ancora il sapore di una
menzogna. Non era riuscito ancora a convertirsi ai principi del Socing. O’Brien lo
sapeva. Ad ogni stadio della sua prigionia era a conoscenza dei progressi di Winston, di
tutto ciò a cui pensava e delle idee che aveva ma soprattutto delle sue paure. Esisteva un
solo luogo dove le paure di un uomo prendevano forma e lo tormentavano, quel luogo
era la “Stanza 101”, tutti sapevano della sua esistenza ma nessun prigioniero sapeva
cosa vi fosse. Winston fu costretto ad entrarvi e ciò che vide fu disgustoso: c’erano dei
topi. Winston sapeva cosa stava per succedere, stava per diventare il pasto delizioso di
14
quelle bestioline ripugnanti, pronte a divorarlo. Il terrore lo assalì, avrebbe desiderato
che una sola persona provasse il dolore al posto suo, Julia. O’Brien lo aveva capito, era
riuscito nel suo intento: cancellare ogni traccia di umanità e buon sentimento nell’uomo;
non vi era più nemmeno l’ombra di qualcosa che assomigliasse vagamente ad un
sentimento verso la ragazza. Aveva smesso di amarla, l’aveva tradita. Ora era libero.
Le sue giornate trascorrevano in tutta calma e tranquillità al Bar del Castagno,
era servito in ogni modo dai camerieri che non facevano altro che riempire il suo
bicchiere di gin vittoria, eppure aveva sempre l’impressione di pagare meno rispetto a
quello che fosse il prezzo reale. Di rado aveva incontrato Julia, ormai anch’ella aveva
perso la sua bellezza, aveva l’animo spento, era diventata anche lei una vittima del
partito. Le conversazioni fra i due erano sempre più vuote nonostante potessero parlare
senza pressioni persino davanti ai teleschermi, il loro trascorso sembrava ormai esser
finito nell’oblio. Non vi era più complicità. Non vi era più niente, solo l’indifferenza di
chi sa di aver tradito l’altro a vicenda e di non aver nessun rimorso.
Dalla televisione si udivano schiamazzi e trombe di festa, l’Oceania aveva vinto
la guerra, adesso possedeva l’intero controllo dell’Africa. Grande era l’eccitazione dei
cittadini, Winston era rimasto seduto ma il suo pensiero era con la folla intenta a
festeggiare, tuttavia la gioia di costoro si placò a mano a mano. Pensava a quante cose
erano cambiate dal giorno in cui era stato catturato e a quanto fosse cambiato lui, quasi
si sentiva in colpa per aver dubitato poco prima sull’esito della battaglia. Adesso aveva
fiducia nel partito. Quanto tempo che aveva impiegato per capire cosa si celasse dietro
quei grandi baffi neri! Ora sedeva in tribunale, era stato assolto da ogni colpa, era stato
perdonato, attendeva solamente la sua fine. «Ma tutto era a posto adesso, tutto era a
posto, la lotta era finita. Era riuscito a trionfare su se stesso. Ora amava il Grande
Fratello»11.
3. La prigione e la paura
Dopo aver letto 1984 comprendiamo che il libro non tratta solamente di una denuncia
politica nei confronti dei regimi totalitari e in particolare di quello sovietico ma
11
George Orwell, 1984, cit., pag. 326.
15
rappresenta più di questo, presentandosi come una denuncia nei confronti dell’uomo
manipolato e oppresso in una sorta di prigione invisibile, un «Panottico», utilizzando
come riferimento l’omonimo edificio ideato da Bentham. Egli, illustrava il progetto con
cartine e disegni, strutturato secondo un’idea ben precisa: «tante gabbie, altrettanti
piccoli teatri, in cui ogni attore è solo, perfettamente individualizzato e costantemente
visibile»12. La struttura era un progetto architettonico nel quale vi era una torretta
centrale, dalla quale il guardiano-controllore poteva sorvegliare tutti i prigionieri che
erano a conoscenza del fatto di essere visionati ma non potevano vedere chi vi fosse a
controllare loro. Bentham ipotizzò che questo modello di prigione, nato per risolvere il
problema di queste, poteva essere applicato ad ogni campo della vita quotidiana, dove vi
sia bisogno di controllare un certo numero di persone come ospedali, scuole fabbriche.
Secondo il filosofo questo modo di sorvegliare i prigionieri, avrebbe indotto loro ad un
tipo di comportamento di obbedienza, al punto da poter essere acquisito e diventare
parte del carattere, che egli stesso definisce come un modo per ottenere potere mentale
sulla mente, in maniera e quantità mai vista prima. È evidente che il Grande Fratello di
Orwell è proprio questo, una torre bianca e imponente che non rappresenta solo un
modello di carcere in cui punire il trasgressore, è molto di più: il suo scopo è quello di
controllare, di seguire l’individuo solo in mezzo agli altri di pari passo, pur non
ponendo nessun recinto, eccetto quello della libertà del pensiero. Un vero e proprio
carcere mentale. Si tratta di un’invenzione efficace quanto diabolica: un potere che non
si manifesta apertamente ma pervade l’individuo intrinsecamente, si insinua nella
coscienza, attuando un controllo invisibile, assumendo le sembianze di una sorta di dio
che dalla cima controlla indisturbato.
Arrigo Colombo, infatti definisce il teleschermo del quale il Grande Fratello si
serve, come una sorta di «parodia della metafora religiosa dell’occhio di Dio, che è
sempre presente e ti vede in ogni momento: l’occhio da metafora che sottolineava un
principio divino e morale, è diventata una macchina di controllo sociale » 13. Il risultato
del controllo assoluto da una sola parte delinea un futuro tragico che Bauman descrive
così:
12
Ibidem, pag. 218.
13
Arrigo Colombo, Utopia e Distopia, Dedalo, Bari 1993, pag. 53.
16
una libertà individuale ridotta non soltanto a mera finzione o completamente a zero,
ma apertamente ripudiata da una popolazione addestrata e adusa ad ubbidire agli
ordini e seguire routine prestabilite; di una piccola èlite che manovrava tutti i fili , di
modo che il resto dell’umanità si muovesse attraverso le loro vite, come dei pupazzi;
di un mondo suddiviso in amministratori e amministrati, pianificatori ed esecutori,
con i primi sempre attenti a tenere i progetti ben nascosti e i secondi del tutto
disinteressati o incapaci di sbirciare nelle carte e capire il senso di quanto stava
accadendo; di un mondo che aveva reso inimmaginabile qualsiasi alternativa a se
stesso.14
Il partito non riuscirebbe nel suo intento se non avesse al suo fianco la
collaborazione di un eccezionale corpo di spionaggio, la psicopolizia, essenza stessa del
Socing. Uomini vestiti di nero con tanto di borchie e manganello, sempre pronti a
castigare e intimorire chi non venera nel profondo il Grande Fratello, di certo non era
possibile sapere quando la sorveglianza fosse in atto e secondo quali principi agisse;
giocando su codesti elementi perseguitano la mente dell’individuo terrorizzato e spinto
ad obbedire per paura di una crudele condanna. È importante capire come la paura
soggiogasse i personaggi del mondo orwelliano, e li spingesse a quella che era una
sottomissione volontaria, scopo del partito, appunto. Il concetto prende forma nella
famigerata Stanza 101, la stanza dove erano presenti le paure di ogni individuo, nel caso
del nostro sfortunato «eroe», i topi. I prigionieri erano sottoposti a continue torture e ad
una macabra lotta con la propria paura, disarmati e impotenti in un faccia a faccia con i
loro “mostri” che da una vita perseguitavano l’animo di ciascuno. Ognuno vi è
introdotto con l’accusa di psicoreato.
Vietato pensare! Sembra essere questo l’elemento su cui si fonda lo scopo del
Grande Fratello. Questo infatti, il reato più grave. Urge trovare una soluzione. Bisogna
che avvenga il cambiamento ed è proprio in questo spazio degli orrori che avviene la
trasformazione. La prassi avviene secondo dei principi fondamentali che puntano
all’identità dell’individuo, sugli atteggiamenti di costui che si ripercuotono sulla
comunità e su un importante valore, la solidarietà. Su di esso, infatti si fondano legami
importanti che portano l’uomo al confronto con sé stesso e gli altri in modo tale da
conferire un’individualità unica e originale, peculiarità che però, non è conforme ai
dettami del Grande Fratello. Il Grande Fratello non permette che ci sia un briciolo di
14
Zygmunt Bauman, Modernità liquida, trad. di Sergio Minucci, Laterza, Bari 2011, pag. 49.
17
umanità, Winston contro Julia, l’uomo contro l’altro uomo, contro il proprio simile
perché se «l’unione fa la forza» allora essere soli, diventa categorico. Winston è
l’esempio lampante di un uomo che si arrende al proprio destino, vittima del sistema. Il
punto cruciale si evince nel momento in cui riesce finalmente ad affermare, e non solo
ima a credere fino in fondo, così come voleva O’ Brien ,« scrisse con le dita sul tavolo
coperto di polvere: 2+2 = 5».15
Questa è la sua disfatta, ha piegato la sua mente, ha ceduto alla legge del più
forte che con la paura e la solitudine indotta muove l’uomo come una marionetta in uno
spettacolo raccapricciante. La sconfitta è avvenuta! Winston non ha più paura ma è
privo anche di sentimenti, di solidarietà, e di determinazione e di qualcosa che forse
sembra essere ancora più importante: il coraggio, ciò che non prevede l’assenza di paura
ma permette di dominarla.
Molti altri sono i mezzi di cui il Grande Fratello si serve per annichilire ogni forma di
pensiero indipendente. Stefano Manferlotti nell’appendice del libro, nell’edizione16 da
lui stesso curata, offre una descrizione impeccabile su uno degli aspetti presenti nella
storia, più interessanti da analizzare: la Neolingua. Questa era divenuta la lingua
ufficiale dell’Oceania, su imposizione del Socing in quanto rappresentava
«l’escamotage» perfetto per la sua propaganda.
Il linguaggio prevedeva una riduzione netta di molte parole o comunque una
semplificazione di queste. Un esempio può essere la parola «libero», era permesso
utilizzarla ma in determinati contesti cioè, era possibile dire «il cane è libero da pulci»
ma il termine non poteva essere utilizzato per esprime altri concetti, ossia
«intellettualmente libero», in quanto non vi dovevano essere i presupposti per una
libertà di pensiero e di conseguenza, parole per esprimere essa. L’obiettivo non era solo
quello di eliminare parole considerate «eretiche» ma anche quello di ridurre il lessico, in
modo tale da impedire l’espressione articolata di un concetto e soprattutto di un’idea.
Sono distinti tre tipi di lessico: A, B, C. Il primo gruppo comprende parole d’uso
comune e utilizzate nella vita quotidiana come «zucchero». È completamente assente la
15
George Orwell, 1984, cit., pag. 318.
16
18
parola «pensiero» sostituita da «pensare», che fungeva non solo da verbo ma anche
sostantivo. Il secondo era costituito da parole di implicazione politica che avevano
anche lo scopo di imprimere un certo atteggiamento mentale a coloro che la utilizzano.
Conoscendo i principi del Socing a fondo, era impossibile non utilizzare correttamente
determinate parole. Per lo più in questo gruppo sono presenti parole composte come
sessoreato, il cui sostantivo racchiude un’infinità di concetti: la fornicazione, la
perversione sessuale, l’adulterio e l’omosessualità, erano tutti reati e quindi punibili con
la morte. Inoltre, tantissime le parole abbreviate come la stessa «Socing» diminutivo di
«Socialismo Inglese». L’uso di queste parole favoriva un modo di parlare definito
«meccanico», e infatti era questo l’obiettivo del partito, permettere che chiunque le
utilizzasse di esprimere concetti in modo automatico in modo tale da impedire l’atto del
pensare attraverso la scelta del linguaggio. Il lessico del gruppo C comprende termini
d’uso tecnico-scientifico. Questi seguono le medesime regole delle parole appartenenti
ai gruppi precedenti ma quantitativamente erano molto di meno. Infatti, non esisteva
alcun termine come «scienza» e i rispettivi significati connessi in quanto essa era
ascritta alla parola «Socing». Ciò impediva la formulazione di teorie poco ortodosse e
per questo non coerenti alla propaganda del partito, in quanto «l’abbondanza di parole e
la molteplicità di significati sono strumenti del pensiero, ne accrescono la potenza e la
capacità critica: parallelamente, la ricchezza di pensiero richiede, e anzi esige, ricchezza
di linguaggio»17, per cui un incremento della riduzione delle parole scaturisce non solo
un impoverimento della lingua ma anche una corrispondente inibizione del
pensiero,«ogni idea di sovversione diventerà impensabile e si autodissolverà appunto
perché risulta indicibile». 18
Dunque, con una riduzione netta del lessico risultava impossibile tradurre in
modo letterale documenti del passato, infatti perdevano di significato con un linguaggio
così scarno, e risultava difficile conservare per i posteri memorie del passato. E se il
passato è identità, patrimonio di ciò che sarà allora non c’è via di scampo, bisogna
cambiare esso.
17
Giancarlo Carofiglio, La manomissione delle parole, Rizzoli (BUR), Milano 2013, pag. 26.
18
Fiammetta Ricci, Tra utopia e ideologia. Controllo e potere del linguaggio in 1984 di G. Orwell, «Il
Contributo», 2012, pag. 21.
19
«Chi controlla il presente, controlla il passato»19, questa la gelida frase
pronunciata da O’Brien. Ed è così che il partito cerca di manipolare la mente di ogni
cittadino, per farlo si serve di un’arma potentissima: il bipensiero. Esso era un insieme
di affermazioni false e paradossali etichettate come vere. Il continuo utilizzo di esse
agisce come un meccanismo irreversibile secondo il quale una costante ripetizione
afferma per verità, il falso. L’inganno è questo, e infatti il Grande Fratello sa che un
popolo che è a conoscenza di menzogne e manipolazioni, è un popolo che si ribellerà,
pronto per riscuotere la libertà di avere un’idea, d’altronde «il potere ha sempre avuto
paura della memoria»20. Perciò è necessario per egli, intervenire attuando un
“revisionismo storico” occultando o variando il passato a proprio piacimento poiché in
assenza di un esempio concreto sul quale basarsi, non vi è la facoltà di giudicare e di
assumere un pensiero razionale secondo precedenti modelli oggettivi:
È chiaro che il Grande Fratello ha il potere di cambiare la storia e cancellare ogni tratto
di individualità, di ciò che è stato. Un presente senza passato, è un presente senza
19
George Orwell, 1984, pag. 274.
20
Giuseppe Campione, La composizione visiva del luogo, Rubbettino, Catanzaro 2003, pag. 190.
21
Lorenzo Di Paola, Maurizio Vicedomini, Fausto Maria Greco, Andrea Vitale, L’oggetto
fantascientifico. Terrori tecnologici e disumanizzazione, «Status Quaestionis», 12 (2017), pag. 353-354
20
futuro. E un popolo senza passato è un popolo senza identità, pronto ad essere plasmato
nel modo più infimo da chi sta al vertice. Non sfugge certamente un elemento più che
degno di attenzione: la mancanza di libri nel testo. Gli unici presenti sono il diario di
Winston e il libro di Goldstein, scritto dal partito stesso.
Questi infatti, risultano di estrema pericolosità in quanto i libri sono un prodotto
fondamentale ai fini della riflessione umana e perciò severamente vietati proprio perché
capace di sviluppare la coscienza umana e di insegnare l’uomo a pensare, «sono la
resistenza all’impoverimento dell’umanità, alla deprivazione di ciò che la rende tale»22.
Un altro tema fondamentale che emerge durante la lettura del mondo distopico descritto
da Orwell è senz’altro la repressione degli istinti sessuali, questi infatti sono ridotti ad
un puro e semplice atto volto alla procreazione, dunque sono del tutto proibiti rapporti
sessuali destinati ad appagare i sensi. Il Grande Fratello proibisce questa pratica in
quanto è consapevole che la sessualità esprime gli istinti più profondi di un individuo ed
è testimonianza ed affermazione dell’essenza di quest’ultimo. A proposito della
sessualità Michele Ortore offre una visione dettagliata:
21
Risulta chiaro, a questo punto l’importanza dell’atto sessuale compiuto da Julia e
Winston in “1984”. I due non si limitano a quella che è una soddisfazione delle proprie
pulsioni sessuali represse dal partito, infatti l’atto che coloro compiono assume un
significato che va ben oltre questo; poiché costretti a rintanarsi in un luogo discreto, a
causa delle rigide restrizioni imposte dal Socing, sono consci di aver compiuto un
importante gesto di ribellione che appunto, è pura espressione della loro personalità e di
conseguenza, protesta dell’omologazione imposta.
Una visione interessante a proposito dell’argomento, vi è nel saggio di Danilo
Caruso «Il Medioevo futuro di George Orwell»24. Lo studioso analizza gli aspetti
«puritani» che caratterizzano le idee del partito, in quanto è lecito il buonsesso ovvero il
concetto di castità, che prevede un «amore meccanico» destinato solamente alla
continuazione della specie, in modo tale da poter controllare al meglio la prole di ogni
cittadino che non era stata educata secondo i principi dell’amore genitoriale ma era stata
concepita come una sorta di cortesia al partito, prova della sudditanza nei confronti di
esso, quindi progenie priva di vero e proprio amore, era molto più semplice da
plasmare.
Inoltre, la figura femminile viene designata come uno strumento di corruzione per
l’uomo, in quanto è in grado di stregare con un semplice profumo, e per questo ritenuto
un oggetto peccaminoso, concordando con una visione medievale della Chiesa. Julia
che indossa il profumo durante uno degli incontri con Winston, è simbolo di ribellione
alla misoginia del partito, espressione della propria femminilità e della propria identità
di genere, peculiarità così tanto represse dal partito. Il tema della misoginia è sottile ma
molto presente in 1984, in quanto esso non è un atteggiamento tipico del Socing, ma
anche dagli altri personaggi, infatti le donne che Orwell inserisce nel romanzo distopico,
sono fonte di irritazione, frustrazione o tentazione. Un esempio rilevante è senza dubbio
la moglie di Winston, per la quale quest’ultimo prova una sensazione di rigidità e di
repulsione durante l’atto, poiché questo era programmato un giorno a settimana, scelta
conforme ai dettami del Grande Fratello. Un ruolo fondamentale, però è assunto da
Julia, ella nonostante sia apprezzata da Winston, risulta essere collocata ugualmente ai
margini del mondo e considerata come un semplice oggetto di desiderio.
24
Danilo Caruso, Il Medioevo futuro di George Orwell, academia.edu, Palermo 2015.
22
«Una ribelle solo dalla cintola in giù » 25, è il modo in cui Winston definisce Julia,
egli infatti pur provando attrazione per le sue forme sinuose e stima per la donna
coraggiosa che effettivamente è, mantiene l’opinione, secondo la quale ella sia stupida,
per il fatto che non sia interessata agli aspetti più profondi della politica. «Tutte le volte
che lui cominciava a parlare dei principi del Socing, del bipensiero, del carattere
mutevole del passato e della negazione di ogni realtà oggettiva, oppure usava parole in
neolingua, lei si annoiava, si sentiva confusa,e diceva che non aveva mai prestato
attenzioni a robe del genere»26. Anche nel momento del colloquio fra Winston e
O’Brien, si evince la scarsa considerazione riservata alla giovane donna già dal fatto che
entrambi gli uomini daranno per scontato che uno dei due parlerà per Julia, la quale non
avrà voce in capitolo se non quando esprimerà di non voler una separazione da Winston,
dichiarazione che Winston non prenderà allegramente, poiché quella richiesta risulta
come una sorta di interruzione del gioco tra domanda e promessa fra i due uomini.
Orwell, quindi lascia l’impressione che in 1984, gli uomini partecipino attivamente
ignorando le donne. D’altronde, buona parte dell’opera è concentrata sui dialoghi fra
O’Brien e Winston e sull’ammirazione che quest’ultimo prova verso il primo. Si tratta
quindi di una strana competizione che in realtà avviene tra Julia e O’Brien, entrambi
con un solo nome, battaglia che alla fine viene vinta da O’Brien, anche non essendo mai
stati sullo stesso piano. Julia, infatti possiede solamente un amore sfuggente, effimero
che spesso sembra essere costituito più da una sorta di alleanza contro il partito, mentre
O’Brien ottiene un’ammirazione incondizionata, che gli permette di avere un totale
controllo sullo sfortunato uomo. Persino nel momento successivo alla conversione di
Winston, quando incontrerà Julia, la sua attenzione sarà rivolta al suo aspetto ormai
deteriorato e al corpo non più slanciato come lo ricordava. Durante il dialogo, la ragazza
gli rivelerà di aver visto qualcosa di feroce nella stanza 101 e solo dopo aver subito un
episodio traumatico in essa, ammetterà di essere stata costretta al tradimento; anche in
questo caso però le parole di Julia non sembrano aver valore, poiché Winston rimane
ancorato all’idea che ella lo abbia tradito sin dal primo momento, così come gli aveva
raccontato O’ Brien.
25
George Orwell, 1984, cit., pag. 173.
26
Ibidem.
23
Ulteriore prova dell’imparzialità dell’opinione maschile che vige. Come afferma
Daphne Patai:
La visione delle donne come inferiori, e la loro idealizzazione simultanea come specialisti
della riproduzione e del sesso, costituisce una parte essenziale di questa nozione e quindi
non è in conflitto con i valori impliciti di Orwell. Ma come ideologia è in conflitto con i
suoi attacchi alla gerarchia e all'ingiustizia, che rimangono tristemente incompleti, anche
ipocriti. 27
Quindi Patai, non si sofferma su quale sia il motivo per cui Orwell abbia deciso di
rendere le opinioni di Winston verità insindacabile, un po’ come quelle del
Grande Fratello, ma invita a leggere in modo critico l’opera al di là della realtà
presentata dall’autore e a riflettere su molteplici aspetti meno apparenti, che
offrono comunque considerazioni più attente.
Più la gabbia è stretta, più si ha voglia di scappare: è proprio questa la causa che
Stefano Brugnolo, nel suo saggio ispirato a Francesco Orlando e alla sua teoria del
desiderio e la repressione, attribuisce ad un «disagio della civiltà»28. Egli infatti, sostiene
che l’uomo essendo un animale, differente dagli altri, in quanto dotato non solo di
istinto ma anche di pulsioni e desideri, rimane un animale scontento, appunto perché
propendendo per questi, nonostante abbia in possesso oggetti immediati e specifici, è
alla continua ricerca verso il compimento dei propri piaceri, che purtroppo però
difficilmente avviene in un contesto sgradevole, motivo per il quale l’individuo è
destinato a rimanere insoddisfatto, non potendo soffocare ciò che desidera.
Brugnolo conclude la sua tesi affermando che alla repressione dei desideri
corrisponda una reazione uguale e contraria, secondo la quale «va in scena anche il
ritorno del desiderio ‘cattivo’, asociale, politicamente e moralmente sconveniente. Si
tratta sempre e comunque di un desiderio che va contro il discorso comune e
ragionevole, che lo contraddice, che lo critica anche quando lo sottoscrive» 29. E per
27
Daphne Patai, The Orwell Mystique: A Study in Male Ideology, University of Massachusetts Press,1984
pag. 88.
28
Brugnolo, Stefano, Desiderio e ritorno del represso nella teoria di Francesco Orlando, «Between»,
III.5 (2013), pag. 2.
29
Ibidem, pag. 7.
24
questo ritiene fondamentale il ruolo del gioco linguistico che con qualche
approssimazione chiamiamo letteratura, e i discorsi che nascono dall’immaginazione
più profonda e che l’individuo dona all’altro, ancor prima che sia concesso a livello
istituzionale. Per questo reputa che sia possibile reinventare la realtà sulla base dei
nostri desideri.
Questo il motivo per il quale in letteratura e ancor più nello specifico nell’opera
esaminata, il libro risulta una sorta di «medicina» nei confronti dell’oppressione, perché
se questo oggetto non è in grado di appagare la condizione di represso, è un’arma
indispensabile per combattere chi reprime. Allo stesso modo il dialogo interpersonale
con l’altro è uno scambio di opinioni, riflessioni, un «motore» di idee. Nonostante
Winston rimanga per buona parte inerte, quasi passivo alle catene invisibili del Grande
Fratello, sembra essere segnato il suo ineluttabile tragico destino, non possiede
nessun’arma, il minaccioso dittatore conosce bene i suoi istinti, desideri e pulsioni e non
lascerà ad egli via di scampo, se non l’inevitabile resa dai suoi principi; «non si dà
desiderio senza norma, così come simmetricamente non si dà norma senza desiderio»30.
CAPITOLO II
IL CORAGGIO DI VIVERE LA PROPRIA VITA
30
Ibidem, pag. 8.
25
1.Truman Show
Eppure per Weir vale più una vita autentica, per quanto dolorosa, di una comodamente falsa
e asservita: è in nome di questo che Truman ingaggia la sua lotta, che da grottesca diventa
quasi titanica. Il momento chiave è quando la barchetta del protagonista, novello Ulisse,
giunge al limite del mondo, cozzando contro la parete finta del cielo, in una sorta di
26
pirandelliano "strappo nel cielo di carta". L'immagine dell'eroe che si avventura nel
riquadro nero della porta che lo condurrà oltre i confini del suo mondo è la sintesi definitiva
di trent'anni di cinema all'insegna del chiamarsi fuori, una estrema dichiarazione di
indipendenza del giovane nel confronto dell'adulto, ma anche dell'individuo rispetto al
potere sociale.31
Inoltre, numerose sono alcune metafore presenti all’interno dei film. Ciò che
non sfugge all’occhio di uno spettatore attento, è sicuramente il nome non del tutto
casuale dei personaggi. «Truman infatti è la crasi di true (vero) e man (uomo), in quanto
l’unico a non recitare all’interno dello show; sua moglie Meryl e il suo migliore amico
Marlon rimandano alle due star del cinema hollywoodiano, Meryl Streep e Marlon
Brando, ciò sottolinea la finzione che si cela dietro ai rapporti tra i due personaggi e
Truman. La città, Seahaven, è l’Eden in cui vive, un porto sicuro, una sorta di paradiso
terrestre dove il protagonista non incontrerà mai le vicissitudini della vita reale. Infine,
Christof, demiurgo e burattinaio di Seaheaven, è un collegamento diretto a Cristo»32.
4. In quel di Seaheaven
Truman non si era mai allontanato da Seaheaven, e perché avrebbe dovuto? Sembrava la
città perfetta, vicini gentili, moglie perfetta e un buon lavoro. Eppure, questo non gli
bastava, avrebbe voluto viaggiare per il mondo da nord a sud e magari scoprire terre mai
viste prima, il suo sogno era quello di conoscere.
Nel suo grigio ufficio sognava l’azzurro delle acque delle isole Figi. Era il suo
chiodo fisso. Un po' per evadere dalla monotonia e un po' perché aveva la speranza di
trovarvi Lauren. L’aveva conosciuta all’università, subito era stato colpito dai suoi
lunghi capelli biondi e dal suo sorriso, sembrava interessata nonostante cercasse di
sviare sempre ogni approccio ad una conversazione. Ricordava spesso il momento in cui
misteriosamente gli aveva dato appuntamento in riva al mare di sera, in modo molto
furtivo, in quanto la ragazza, in realtà era solamente una silenziosa comparsa all’interno
31
Lorenzo Salzano, Peter Weir. Dedicato a chi è in fuga. «Ondacinema», 13 marzo 2020.
32
Alessandro Marotta, The Truman Show. Una finzione dentro la finzione, www.zai.net, 12 febbraio
2020.
27
del programma. Truman non era a conoscenza di ciò e la ragazza, inaspettatamente
aveva attirato l’attenzione dell’uomo, creando problemi al piano di Christof.
Non l’aveva più vista da quella notte sulla spiaggia, dalla quale il padre l’aveva
portata via con la scusa di una crisi schizofrenica, comunicandogli che non l’avrebbe
più vista perché portata in cura alle Figi. Eppure sembrava irreale quello che era
successo.
A volte si chiedeva se davvero amasse Meryl, era sempre stata una donna devota
e non aveva mai opposto resistenza su niente, ma sembrava che nulla lo legasse a lei. Il
suo matrimonio era una delle cose più felici della sua vita, non che nella sua vita ci
fossero cose brutte. In effetti la vita di Truman era sempre stata perfettamente lineare e
armoniosa tranne un tragico episodio accaduto durante la sua infanzia, la morte del
padre che aveva perso la vita in mare. L’evento fu così traumatico da generare in lui una
paura per il mare, accentuata dalle continue raccomandazioni dei propri cari, eppure
sentiva che era arrivato il momento di combatterla ma sembrava sempre che ci fosse
qualcosa che lo ostacolasse. In verità ogni ostacolo era stato ideato appositamente
affinché Truman non si allontanasse dall’isola.
La vita di Truman assume una svolta nel momento in cui nota la caduta di una
telecamera dal cielo, la situazione risulta alquanto strana e per nulla reale, infatti
l’accaduto desterà in lui il sospetto di essere spiato. Un altro errore fatale da parte della
produzione di cui egli è inconsapevolmente sorvegliato sin dalla tenera età, è quello di
non aver avuto sotto controllo un’interferenza alla radio nel momento in cui l’uomo si
reca a lavoro, egli infatti ode una voce che segue i suoi spostamenti comunicando tutte
le coordinate. Sarà questo il momento in cui Truman inizia a rendersi conto che c’è
qualcosa nel suo mondo che non va e che generà in lui una sorta di instabilità mentale
accentuata da continui errori da parte dei produttori. Un esempio è senza dubbio la
riassunzione nel cast dell’attore che impersonava il povero padre scomparso anni prima
e che in seguito ricoprirà il ruolo di un mendicante che Truman incontrerà sull’autobus e
accorgendosi della somiglianza impressionante, seguito da un arresto da parte della
polizia senza ragione alcuna. Questo aumenterà il sospetto di una sorta di complotto nei
suoi confronti.
The show must go on. Il regista non può permettere che Truman scopra
l’inganno e la sua più grande creazione, il reality più visto in tutto il mondo sia
28
cancellato a causa di errori imperdonabili dei suoi dipendenti. Christof, metterà in atto
una serie di colpi di scena come il divorzio da Meryl, ormai stanca dai comportamenti
aggressivi del marito, scaturiti da una situazione di crisi dovuta agli ultimi eventi e
l’incontro con una nuova donna. Nonostante ciò, la vita di Truman sembrerà essere
tornata normale ma in realtà, il protagonista conserva ancora dentro di sé la voglia di
fuggire da quel mondo monotono e privo di stimoli, e continuerà a trovare altri
espedienti per potervi evadere. Ancora una volta, subentrano altri colpi di scena,
continui impedimenti anche di causa efficiente manovrati dalla produzione, affinché
Truman non abbandoni Seaheaven e il programma non fallisca. Il colpo di grazia
avverrà nel momento in cui Christof, deciderà di sferrare l’asso nella manica, ossia una
commovente conversazione con Marlon, nella quale quest’ultimo aprirà il suo cuore a
Truman, utilizzando parole su suggerimento del regista, ma in grado di toccare il cuore
dell’uomo ignaro della menzogna di cui fa parte.
Milioni di telespettatori con il fiato sospeso, incantati dalle parole e dalla scena
così coinvolgente, ma ciò che riempie di gioia ancora di più il cuore di tutti coloro che
guardano, è la sicurezza ben salda che Truman si è rassegnato grazie alle parole
dell’amico; non cercherà di fuggire da quella che è la vita creata su misura per lui,
continuerà a respirare, mangiare, lavorare e ad essere il prodotto televisivo più amato in
tutto il pianeta, perché Truman è un uomo vero, che non finge pur facendo parte di un
immenso teatro a cielo aperto, è se stesso, coltiva le sue passioni, i suoi sogni e non si
arrende a quello che è il grigiore della vita borghese nonostante sia intrappolato in esso
e l’unica via di fuga da questo mondo sembra essere un sottoscala, laddove le
telecamere non arrivano e dove conserva tutti gli oggetti a lui cari che gli ricordano in
qualche modo chi è veramente e cosa desidera di più.
Sarà una vecchia foto di famiglia e il ricordo di Lauren a dargli il coraggio di
scoprire cosa si nasconde lontano dalla città in cui ha sempre vissuto, a spronare in lui la
forza per abbattere ogni ostacolo sul proprio cammino.
Avviene l’inaspettato, Truman decide di affrontare una volta per tutte la sua
paura più grande, quella del mare. Tra ansia e timore per quello che potrebbe accadere
Truman come un cavaliere senza macchia e senza paura, decide di avventurarsi e di
correre tutti i rischi che potrebbero esservi. L’uomo sta per giungere al suo scopo,
annientare la propria paura che l’ha relegato ad uno status di immobilità e passività.
29
Christof non può permetterlo, il più grande spettacolo a cui abbia mai dato vita
non può cessare. Bisogna trovare un modo. Dunque, non sarà mai abbastanza ogni sua
mossa, nemmeno un repentino cambiamento climatico da lui voluto che porterà ad una
conseguente tempesta in mare, potrà fermare il coraggio dell’uomo. Nel momento in cui
Truman penserà che ogni tentativo è stato vano, scoprirà di non essere in mare aperto
ma in uno studio televisivo dove tutto è fittizio: l’inganno è stato svelato. Ciò che
risulterà vero, sarà la voce di Christof, l’uomo che l’ha sempre accompagnato in ogni
passo della sua vita, il suo progenitore, il creatore di Truman: l’uomo vero di
Seaheaven.
Come in ogni storia costellata di angustie e di voglia di rivalsa, arriva il
momento della scelta per il protagonista. Alludendo a «Matrix» 33, Truman deve
scegliere quale «pillola» prendere: continuare a vivere una vita felice nell’illusione di un
mondo contraffatto o avere il coraggio di lasciare tutto e avventurarsi verso l’ignoto,
verso ciò che ancora non si conosce e che non potrebbe sempre regalare rose e fiori?
Ed è a questo punto che Truman sceglie di abbandonare il paradiso
televisivo che lo aveva tenuto in gabbia per troppo e di affrontare la vita vera, con i suoi
alti e bassi ma con Sylvia a suo fianco, la splendida ragazza di cui si era innamorato
nello show e che lo attende fuori, pronta ad accompagnarlo verso una nuova vita.
3. Ribalta e retroscena
Erving Goffman nella sua opera «La vita quotidiana come rappresentazione» 34 affronta
il tema della realtà come palcoscenico in cui ogni individuo recita una parte e infatti, lo
scopo della sua tesi riguarda lo studio dei comportamenti umani come prodotto della
società preconfezionata di cui ne è parte e che di conseguenza, porta ad un ineluttabile
«sonno della ragione». Lo scopo del sociologo infatti, è quello di destare un risveglio
della coscienza nell’individuo, celebre a proposito di ciò è la sua affermazione: «posso
solo suggerire che chi vuole combattere la falsa coscienza e destare la gente ai suoi veri
interessi ha molto da fare, perché il sonno è molto profondo. Ed io non intendo fornire
33
Andy e Larry Wachowski, Matrix, USA1999..
34
Goffman, Erving, La vita quotidiana come rappresentazione, traduzione di M. Ciacci, Il Mulino,
Bologna 1997.
30
una ninna-nanna, ma semplicemente entrare furtivamente e osservare il modo in cui la
gente russa»35, che ha preceduto l’omonima opera sopracitata e «Stigma» 36, un
contributo altrettanto fondamentale nel campo della sociologia e non solo.
La prima edizione originale de «La vita quotidiana come rappresentazione» è
stata pubblicata nel 1959, risulta essere un saggio sulle azioni umani, prendendo in
considerazione il teatro: metafora di quella che è la grande recita della vita. Il tema
centrale è la contrapposizione tra palcoscenico e ribalta, ossia la parte finale che
protende verso la platea. Secondo Goffman, ogni attore recita una parte conforme al
contesto in cui si trova, con i dovuti elementi di una recita quali retroscena, suspense e
colpi di scena, ricoprendo anche il ruolo di spettatore inconsapevole o meno.
Questa teoria, prende forma nelle vite di ciascuno, ed è evidente che un esempio
concreto si scorge in Truman Show. Nel saggio «The Truman Show, ovvero quando la
teoria di Goffman prende vita»37, considera tutti gli aspetti dell’opera letteraria presente
nel film, infatti analizzando capitolo per capitolo il precetto di Goffman evincono molti
aspetti di esso presenti. Il sociologo pone come prologo della recita, la definizione della
situazione, ovvero il contesto in cui gli attori sono in armonia tra loro ma non per
un’affinità naturale tra essi piuttosto per una repressione naturale degli istinti, quindi
l’individuo reprimendo questi rinuncia ad esprimere ciò che è veramente in modo tale
da essere quanto più conforme alla società onde evitare disguidi con terzi. Questo è
quello che accade un po' anche ai cittadini di Seaheaven, all’apparenza così coesi e
cortesi con gli altri ma soprattutto con il protagonista, costoro consapevoli di rivestire
un ruolo all’interno di un grande palcoscenico, recitano un ruolo imposto dal regista,
molto spesso non conforme alla loro personalità. Per garantire la riuscita dello show,
essi molto spesso sono costretti a subire azioni che potrebbero mettere in pericolo la
loro vita, un esempio lampante è sicuramente l’attrice che riveste il ruolo di Meryl,
moglie di Truman che in preda ad una crisi di quest’ultimo rischia quasi la pelle, azione
35
Citazione di Erving Goffman in risposta chi lo criticava di non essere un intellettuale impegnato. Fonte:
Salvatore Palidda, Sociologia e antisociologia: La sperimentazione continua della vita associata degli
esseri umani, libreriauniversataria.it, 2016, pag.28.
Erving Goffman,Stigma. Note sulla gestione dell'identità degradata, a cura di Roberto Giammanco,
36
Claudia Leonardi, The Truman Show, ovvero quando la teoria di Goffman prende vita,
37
31
che porterà alla rinuncia della parte nel reality; ciò rappresenta, come spiega Goffman,
un’imposizione delle regole da parte di un individuo che per sé stesso risultano
dogmatiche mentre per altri potrebbero essere più o meno rilevanti, generando appunto
un conflitto che rompe gli equilibri nella società. Nonostante ci sia la possibilità di
attuare tecniche di difesa come l’interazione faccia a faccia, a volte questa alternativa
non sembra essere efficace e si conclude con una rassegnazione da parte dell’individuo
ad un’indifferenza o un distacco irreversibile, come nel caso della moglie di Truman che
decide di uscire dallo show, spaventata seriamente per la sua incolumità.
Goffman si sofferma in alcuni capitoli sulla rappresentazione della recita e la
facciata. Tali elementi si dimostrano fondamentali per la perfetta realizzazione dello
spettacolo, infatti il fattore fondamentale affinché lo spettatore sia convinto, è senz’altro
la rappresentazione sincera, cioè che crede in ciò che comunica. Senza dubbio questo fa
parte della performance eccelsa di Marlon, nel momento in cui impiega tutte le sue doti
di attore per convincere l’amico a desistere dal suo obiettivo di lasciare l’isola in cui ha
sempre vissuto. Truman sembra esser colpito dalle parole dell’amico, al punto tale da
convincere a sua volta Marlon, affermando di aver cambiato quelle che erano le sue
intenzioni. Il povero Truman non sa di essere vittima degli inganni del regista e dalle
parole fasulle di quello che in apparenza è il suo migliore amico ma in realtà non è altro
che un attore che si comporta secondo esigenze di copione. Ciò che è interessante è il
fatto che Marlon non riveste solo il ruolo di esecutore di scena ma al tempo stesso è
spettatore della recita di Truman, il quale con la sua abilità, è riuscito a interpretare il
più grande ruolo della sua vita, essendo stato il più convincente possibile. Secondo la
teoria dell’idealizzazione di Goffman, per il quale, prevale un’opinione su un individuo
soprattutto in base ad impressioni, e in base al decoro che essa ha mantenuto in più
situazioni e che inevitabilmente portano a idealizzare gli atteggiamenti, così come
avviene nel dialogo fra Truman e Marlon.
Goffman attribuisce molta importanza al ruolo dell’équipe, in quanto la
coerenza del singolo alla propria parte permette la riuscita dello spettacolo e quindi
dell’intero corpo di attori; inoltre questi hanno il compito di mantenere un cauto riserbo
circa gli scopi del regista e i mezzi utilizzati per raggiungerli, caratteristica che emerge
nel film è appunto questa, la coesione dell’equipe riguardo il fatto che si trovino a far
32
parte di una recita, nel quale il protagonista è all’oscuro come una sorta di «Enrico VI»38
i cui attori non sono interessati ad un comportamento più o meno giusto da utilizzare ma
alla riuscita della performance, per questo fondamentale è accertarsi che non ci siano
ruoli incongruenti quali spie tra i personaggi in grado di organizzare cospirazioni per
boicottare lo show o addetti ai servizi che potrebbero danneggiare a causa di errori di
distrazione gli sforzi ottenuti. In Truman Show vi sono entrambi questi elementi, infatti
rientrano nel primo ruolo senza dubbio, Lauren, ex attrice del programma, destinata ad
essere una semplice comparsa, però spinta da un forte sentimento di umanità decide di
tradire la propria parte, rivelando a Truman l’inganno di cui è parte, ella ovviamente
risulta pericolosa e perciò viene allontanata dal reality, generando comunque dubbi nella
mente dell’uomo. Allo stesso modo, l’incontro fortuito in autobus con un mendicante,
ex attore che interpretava il padre e in seguito esecutore del nuovo ruolo, grande errore
dovuto al fatto che l’attore desiderava avere ancora una presenza nel cast dello show più
visto al mondo; risulta essere un elemento pericoloso, infatti sarà da qui che le domande
di Truman diventeranno sempre più numerose e insinueranno in lui il sospetto di essere
spiato e che tutte le persone da cui è circondato sono in realtà attori, così come avviene
nella sindrome di Capgras, patologia che prevede testuali sintomi. In ultimo Goffman si
sofferma sulla messa in scena del sé e di come esso cambi a seconda del contesto in cui
si trovi, non solo per effetto della drammaturgia ma anche perché influenzato da vari
fattori quali di natura psicobiologica, per il fatto che entra in contatto con parte del
pubblico, con l’équipe e inevitabilmente l’individuo subisce dei cambiamenti, che
saranno fondamentali per la crescita personale. Per prepararsi al meglio
all’interpretazione della parte, in quanto attraverso questi tipi di contatto, l’individuo
riesce a costruire la propria identità e con essa arricchisce il suo ruolo all’interno della
messinscena. Ciò si scorge nella parte finale dell’opera cinematografica, poiché il ruolo
di Truman essendo stato frutto della drammaturgia di contorno e quindi i suoi
comportamenti prodotto dei ruoli altrui, si discosta inizialmente da quella che è la
propria identità, ricoprendo esclusivamente le sembianze di personaggio, ma nel
momento in cui scoprirà l’inganno, egli verrà a conoscenza del sé nascosto e che
riemergerà inesorabilmente, conferendo ulteriore personalità e concretezza a quello che
è sempre stato.
38
Luigi Pirandello, Enrico VI, (1921), Einaudi, Torino 1997.
33
4. «Il Risveglio della coscienza» nel film
Dopo la visione del film, senz’altro, lo spettatore rimarrà colpito da ciò che accade in
Truman Show, quasi sembrerà strano vivere in un mondo artefatto per molto tempo
senza accorgersene, però meraviglioso apparirà il momento in cui Truman avrà il
coraggio di vivere la propria vita.
Soprattutto grazie allo strepitoso finale, l’opera cinematografica può essere letta
in chiave filosofica, infatti non sfugge il fatto che ci sia un rapporto di vicinanza con il
mito della caverna platonico. Il mito è una delle teorie più famose conosciute
appartenenti al filosofo ateniese Platone, è raccontato all’inizio del VI settimo libro de
«La Repubblica».
Il mito suppone che ci siano degli schiavi legati a delle catene fin dalla nascita,
in una caverna oscura e che alle spalle dei poveri prigionieri sia stato acceso un fuoco il
quale proietta sulla parete frontale oggetti e immagini portate da altri uomini. Egli
avranno l’illusione il mondo sia quello, in quanto non hanno la possibilità di scoprire la
verità a causa delle catene da cui sono imprigionati. Platone ipotizza la liberazione di
uno di essi, costretto a rimanere in piedi di fronte all’entrata della caverna, costui
potrebbe rimanere accecato dalla luce abbagliante e le ombre gli risulterebbero più
fasulle ma non essendo abituato alla luce del sole così forte, potrebbe volgere
nuovamente lo sguardo verso i compagni e la parete che ha sempre fissato. In modo
analogo il prigioniero potrebbe essere costretto ad uscire fuori dalla caverna, egli
soffrirebbe molto non essendo abituato a tutta quella luce, e ci vorrebbe un po’ di tempo
affinché si abitui a guardare ciò che lo circonda durante il giorno, ma con il passare del
tempo sarebbe capace di osservare non solo gli astri di notte ma anche il cielo di giorno
e riuscirebbe a specchiarsi nell’acqua, giungendo alla conclusione che egli stesso è
responsabile di ciò che intende vedere. Il primo pensiero sarà quello di liberare i propri
compagni, anch’essi schiavi delle catene ma non potrebbe ottenere il risultato sperato, in
quanto costoro abituati al buio della caverna, potrebbero accusarlo di avere «gli occhi
rovinati» e di deriderlo fino al punto di portarlo alla morte, poiché secondo loro non
varrebbe la pena allontanarsi dalla caverna e scoprire cosa ci sia al di fuori di essa.
34
Platone utilizzando quest’allegoria, intendeva far riferimento al momento in cui
l’uomo decide di liberarsi per sempre dalle catene dell’oscurantismo e dell’ignoranza,
scegliendo di giungere alla conoscenza, identificata con il Sole e acquisire lo stato di
uomo consapevole:
Truman è vissuto tutta la vita in una totale illusione di realtà, finchè si accorge di essere
vissuto sempre in una rappresentazione, il cui regista è nascosto dietro un falso cielo. Come
in Platone, Truman/il prigioniero vuole sapere, non si accontenta più delle ombre, ma lotta
per raggiungere la verità. Una volta esperimentate le illusioni caratteristiche del suo mondo,
non gli si può impedire di lottare per la verità. 39
Nel momento in cui Truman sceglierà di affrontare il mondo per come si presenta, ha
scelto di vivere a stretto contatto con la realtà, senza illusioni. È questo il momento in
cui la luce al di fuori della caverna ha illuminato, prima accecando e poi mostrando in
modo chiaro tutta la realtà circostante.
Lo schiavo liberato dalle catene rappresenta il filosofo che sceglie di intraprendere
la dolorosa strada della conoscenza, consapevole dei rischi che comporta il mondo fuori
dalla caverna e la niente affatto semplice ricerca della verità:
Truman è allora come lo schiavo della caverna che si è liberato delle catene. Ha preferito il
mondo reale, crudo e cattivo, a quello illusorio e tranquillo del mondo apparente. La sua
scelta, come quella dello schiavo, è rischiosa: gettarsi nella verità non è semplice e spesso
può portare a gravi conseguenze. Gli viene, però, resa la libertà, che gli permette di
guardare alle cose con più chiarezza e lo rende più responsabile.40
Truman Show è un film che invita non solo alla riflessione sul mondo da cui siamo
circondati ma anche su noi stessi, infatti a questo proposito Peter Senge sostiene:
Come avviene a Truman, anche noi abbiamo una percezione immediata e inconfondibile
della nostra consapevolezza. Un tavolo. Un libro. Una frase o una parola. Ma c’è sempre
qualcosa in più di ciò che “vediamo”. In un tavolo ci sono una fabbrica e degli operai, un
albero, una foresta, acqua, terreno, piogge. Anche un libro contiene tutti questi elementi. E
39
Daniela Carpi, Platone nostro contemporaneo. L’influsso di Platone nella letteratura del XX secolo,
Librati Editore, Roma 2005, pag. 16.
40
Anna Laprano, Il mito della caverna in The Truman Show, «La Cooltura», 27 ottobre 2017.
35
una semplice frase o parola che ci toccano nel profondo parlano di una vita intera: di scuola
e insegnanti, di domande e di sogni, di problemi attuali e possibilità. Basta fare una piccola
pausa per iniziare ad apprezzare la sinfonia di attività ed esperienze, di passato e di presente
che si riuniscono in ogni semplice momento di consapevolezza. Ma in genere di tale
sinfonia riusciamo ad udire soltanto un paio di note. Che, nella maggior parte dei casi, sono
quelle a noi più familiari. 41
Per cui risulta fondamentale evadere dalla propria zona di comfort e spezzare la routine,
in modo tale da poter dar vita ad una sinfonia propria, quella su cui ogni individuo si
muove e che è espressione dell’essenza dello stesso.
6. L’uomo vero
«La fantascienza, nelle sue espressioni migliori, continua a proporsi come commento in
termini simbolici, ma estremamente efficaci, dei pericoli della realtà quotidiana: è il caso
di The Truman show (1998) di P. Weir, esempio di un cinema che spietatamente analizza
una società o un sistema per metterne in evidenza i limiti e i rischi in modo macroscopico e
angosciante»42.
Peter Weir, senz’altro con Truman Show ha predetto la dipendenza dalla fama
procurata dai reality e il ruolo della televisione che era entrata nelle case dei paesi
sviluppati di tutto il mondo intorno agli anni ’60 e che a poco a poco è divenuta oggetto
d’arredamento irrinunciabile.
Il film, infatti è considerato da molti critici e studiosi come una profezia, l’idea
lungimirante di quella che sarebbe diventata la società attuale, ovvero il sopravvento dei
reality e la dipendenza da essi, al punto di fondere la propria quotidianità con uno show
televisivo:
The scene in which Cristof is interviewed from the luar room of the omnicam ecosphere
presents him as an isolated man who has separated himself from the real world as much as
41
Peter Senge,Otto Scharmer, Joseph Jaworski, Presence. Esplorare il cambiamento profondo nelle
persone, nelle organizzazioni e nella società, Franco Angeli, Milano 2013.
42
«Fantascienza», in Enciclopedia Treccani, www.treccani.it.
36
he has separated Truman from it. As a televisionary honoured by the 'viewing public' it is
debatableas to how much he himself a media creature. Beginning the scene with the
composure of a man in control (body language, tone of voice, framing and camera angles
all contribute to this apparence ) his conflict with Sylvia gives us a different sight.43
Quindi non è solamente che Hollywood ha allestito un’apparenza di reale svuotata dal peso
e dell’inerzia della materialità. Nella società consumistica del tardo capitalismo anche la
“reale vita sociale” acquisisce in qualche misura l’aspetto di un falso organizzato, con i
nostri vicini che si comportano nella vita “reale” come attori e comparse sul palco. Di
nuovo, la verità definitiva dell’universo utilitarista de-spiritualizzato del capitalismo è la
43
Valerie Sutherland, Truman Show directed by Peter Weir, Pascalpress, 2000, pag. 60
37
de-materializzazione della stessa “vita reale”, il suo rovesciamento in uno spettacolo
spettrale.44
Per questo la soluzione può sembrare mostrare il «vero sé», agendo con coerenza
ai nostri desideri senza rinunce e costrizioni imposte dalla società. Non è garantita una
gioia illimitata senza dubbio, in quanto la felicità, come si suol dire, è fatta di piccoli
attimi e non senza il braccio destro: la fortuna. E dunque se «fortuna caeca est» 45, allora
il privilegio non è per tutti, e a chi non vuol rinunciare a rincorrere un’idealizzazione
propria della felicità, l’unico rimedio è quello di rimanere incollati davanti allo schermo
creato dalla mente e diventare spettatori della felicità altrui, piccolo assaggio di un
boccone amaro.
44
Slavoj Zizek, Benvenuti nel deserto del reale. Cinque saggi sull'11 settembre e date simili, trad. di
Pietro Vereni, Meltemi, Milano 2017, pag. 18.
45
Marco Tullio Cicerone, Laelius de Amicitia, Paravia, Milano 1955, pag. 126.
38
CAPITOLO III
IL GRANDE SPETTACOLO DEL MONDO
Il confronto tra 1984 e Truman Show analizzate nei capitoli precedenti risulta chiaro: in
entrambi è evidente la rappresentazione di una realtà distopica con i rispettivi
protagonisti caratterizzati da un destino piuttosto particolare.
Winston Smith un antieroe che si arrende alla sorte già designata, ancor prima
della ribellione da sempre monitorata dal Grande Fratello. Dall’altra parte Truman
Burbank, un uomo che non sa di essere una star di uno show televisivo sin dalla nascita,
costretto a vivere con una famiglia che non è la sua e una moglie scelta dalla regia. Tutti
e due i personaggi accomunati da un’entità che sorveglia, il primo non scoprirà mai chi
è il «regista» della sua vita ma si piegherà comunque alla sua volontà, il secondo avrà
un dialogo con colui che l’ha sempre sorvegliato riuscendo ad ottenere il diritto di
vivere la propria vita.
Truman con la sua genuinità induce a riflettere su come gran parte dell’ambiente
circostante sia finzione e Winston dimostra, invece quanto sia facile cadere in questo
tranello. Il bagaglio lasciato dalle due opere non è limitato alla sola riflessione sulla
differenza tra realtà apparente ed effettiva, infatti entrambi risultano profetiche,
anticipando non solo il ruolo dei media e dei reality negli anni 2000 ma anche quella
che poi effettivamente è diventata la società attuale.
1. Il potere dell’informazione
39
mezzi di comunicazione sviluppati sin dall’Ottocento ai giorni nostri sono la stampa, il
cinema, la radio, la televisione, i media per la produzione e internet, il quale «l'incontro
di informatica e telematica ha trasformato il computer in un terminale di comunicazione
e ha dato avvio alla 'rivoluzione di Internet', che ha permesso un processo di
comunicazione di tipo interattivo e di dimensioni globali»46.
I media non procurano esclusivamente informazioni che riguardano luoghi o
eventi sconosciuti o lontani ma con il passare del tempo hanno assunto ulteriori ruoli,
divenuti sempre più importanti. Come sostiene Margherita Zizi:
È evidente l’importanza della funzione assunta dai mass media riguardo la diffusione
capillare di informazioni e più in generale contenuti, sussiste a questo punto però il
problema del controllo che può essere di due tipi: il primo riguarda una classe elitaria
che controlla i messaggi che in seguito giungeranno ad ogni individuo; il secondo
attribuisce importanza ai mezzi di comunicazione e ai prodotti che essi offrono in base
alla domanda di ogni singolo. Infine, come afferma la studiosa: nuovi problemi e nuove
prospettive si presentano con lo sviluppo di Internet e delle comunicazioni in rete,
46
Margherita Zizi, Voce: <<comunicazioni di massa>>, in <<Enciclopedia Treccani>>, www.treccani.it.
47
Ibidem.
40
poiché permette il possesso di informazioni aggirando coloro che le controllano. Inoltre,
la funzione di verifica e filtro delle informazioni è nelle mani del fruitore, il quale non
dispone molto spesso degli strumenti necessari per acquisirla in modo compatto.
Manuel Castells a tal proposito sostiene:
Le nuove tecnologie consentono ai cittadini di filmare eventi e fornire prove di abusi, come
fanno le organizzazioni ambientaliste globali che distribuiscono videocamere ai gruppi
locali di tutto il mondo per denunciare crimini ambientali ed esercitare pressioni su chi li
commette. Il potere della tecnologia amplifica in misura straordinaria tendenze implicite
nella struttura e nelle istituzioni sociali: le società oppressive possono diventare ancora più
oppressive grazie a nuovi strumenti di sorveglianza, mentre le società democratiche e
partecipative possono accrescere la propria apertura e rappresentatività distribuendo
ulteriormente il potere politico grazie al potere della tecnologia.48
La facilità con cui è possibile reperire senza troppe difficoltà numerosi dati
riguardo organizzazioni criminali durante alcune interferenze con le comunicazioni
della polizia, è sicuramente un punto a favore. Nonostante ciò, esiste l’altro lato della
medaglia, infatti per quanto internet possa essere serbatoio di molteplici informazioni
utili ai più svariati scopi, incorre il pericolo che i dati di ogni singolo individuo possano
essere svelati da terzi con un semplice click. « È la carta di credito, più che quella
d’identità, a compromettere la privacy: è questo lo strumento attraverso il quale la vita
delle persone può essere designata, analizzata e presa di mira per scopi di marketing (o
di ricatto)»49.
La carta di credito assume questo ruolo scomodo, in quanto con essa è possibile
risalire non solo ai dati personali dell’intestatario ma anche ai suoi gusti, in base a ciò
che acquista, questo anche grazie al possesso di carte fedeltà o abbonamenti. «Al posto
di un oppressivo “Grande Fratello”, abbiamo una miriade di «piccole sorelle», legate
personalmente a ciascuno di noi, perché sanno chi siamo»50.
Quindi i computer consentono la raccolta e l’elaborazione dei dati che possono essere
divulgati con molta semplicità o controllare la trasmissione di informazioni a grandi
48
Manuel Castells, Il potere delle identità, Egea, Milano 2014, pag. 320.
49
Ibidem, pag. 321.
50
Ibidem.
41
livelli; un esempio la tecnologia V-chip che permette di programmare la censura
servendosi di codici preinseriti nei segnali televisivi emessi dalle diverse stazioni, in
modo tale da accentuare un controllo serrato anziché un decentramento della
sorveglianza.
Inoltre, lo studioso analizza anche un altro aspetto fondamentale che riguarda il
controllo dei media: lo scontro con lo Stato. Esempi degni di nota, senza dubbio sono la
divulgazione di opinione in merito alla questione Tampax da parte dei reali inglese,
episodio che generò scalpore tra i monarchici britannici e l’opinione comune o ancora
quando nel 1991 un’emittente radio spagnola pubblicò una conversazione regista
tramite telefono cellulare tra due funzionari del partito socialista, le cui critiche rivolte
al primo ministro scatenarono una crisi politica. Non è nuova la notizia che i media
siano sempre stati fonte di pettegolezzi, strumento di minaccia per lo stato e di difesa
per i cittadini ma la crescita esponenziale della tecnologia moderna ha favorito il potere
dell’informazione, dando natura ad una situazione in cui «lo stato odierno è più
sorvegliato di quanto egli stesso non sorvegli» 51. La soluzione per lo stato per riottenere
il monopolio del potere sarebbe quella di ricorrere ad uno stato di emergenza che
legittima la violenza, però attuando permanentemente questo privilegio che possiede
potrebbe generare una difficoltà ad esercitarla su ampia scala, dando luogo ad
un’inevitabile riluttanza nell’uso di quest’arma, perdendo il diritto di possedere questo
potere.
In conclusione, Castells afferma che la potenza dell’informazione sia di gran lunga
superiore rispetto a qualsiasi altra, in quanto essa è in grado di attraversare più confini e
di penetrare nelle case di ogni singolo individuo, al contrario dello Stato che per quanto
possa ricorrere alla sorveglianza e al controllo, non è più in grado di esercitare il
comando attraverso i propri confini.
La profezia di Orwell riguardo i teleschermi presenti ovunque e il potere che
detiene chi controlla le informazioni, risulta avverata. L’autore infatti sembra aver
incluso nella sua opera anche altri aspetti che scaturiscono con il monopolio della rete:
51
Ibidem, pag.323.
42
parole capaci di esprimerlo». Difficile non pensare alle semplificazioni in atto nella lingua
di oggi, non solo su Internet, e alle possibilità di controllo delle società che questo implica.
La diffusione della cosiddetta Internet of Things ha reso il monitoraggio molto più
capillare. I Big Data contengono i valori della nostra pressione sanguigna, i nomi dei nostri
amanti, tutti i nostri gusti e le nostre abitudini.52
E ancora:
Primo: le fake news sono confezionate per essere molto più originali e “nuove” di quelle
vere. Secondo lo studio, le notizie false retwittate hanno in comune la caratteristica di
essere molto diverse da tutti i tweet comparsi nei singoli account nei due mesi precedenti. E
chi condivide storie considerate nuove e originali conquista un maggior seguito.
52
Riccardo de Palo, "1984" di Orwell, 70 anni dopo: il Grande Fratello vive sulla Rete, «Il Messaggero»,
24 febbraio 2019.
53
Ibidem.
43
In secondo luogo, le “fake” fanno abilmente leva su forti emozioni umane molto più dei
normali tweet. Sono in grado di suscitare curiosità, sorpresa, disgusto, spavento, mentre
quelle vere sono più di frequente associate a stati d’animo come fiducia e tristezza. A
questo va aggiunto che di solito le “fake” si concentrano su temi molto popolari come la
politica, il terrorismo, i disastri naturali, la finanza e la scienza. Taglio emozionale, tema
gettonato, storia originale e percepita come nuova: ecco come il falso, su Twitter, batte
regolarmente il vero. Sono le dinamiche dei social, bellezza, e i media tradizionali non ci
possono fare niente.54
Il giornalista, prendendo in considerazione lo studio del MIT, ritiene che le notizie false
si diffondano molto più velocemente a differenza di quelle vere, in quanto appunto si
basa su fattori emozionali come originalità o altri che possano toccare in qualche modo
la sensibilità del lettore che finisce per credere all’assurdo e ad assumere atteggiamenti
piuttosto ambigui. Un articolo di psicologia spiega il motivo per quale crediamo alle
fake news, adducendo questo comportamento alle credenze inconsce che appartengono
ad ogni persona:
Secondo tutti gli esperti il meccanismo che ci porta ad accettare come reali notizie poco
credibili è il cosiddetto «pregiudizio di conferma», un fenomeno che porta a prendere per
oro colato tutto quello che va d’accordo con quel che già sappiamo: dal punto di vista
cognitivo ed emotivo è infatti meno faticoso accettare informazioni che avallano le nostre
credenze, giuste o sbagliate che siano, e «dimenticare» quelle contrarie. 55
E anche:
Per capire dove si fabbricano i falsi miti bisogna risalire indietro fin nell’infanzia secondo
quanto sostiene Eve Whitmore, psicologa dello sviluppo della Western Reserve
Psychological Associates in Ohio, che ha presentato la sua ipotesi al congresso. «Molti
pregiudizi e false credenze si formano da piccoli, quando impariamo a distinguere tra realtà
e fantasia e i genitori giustamente favoriscono il gioco di finzione: inscenare situazioni reali
o meno aiuta i bambini a recepire, assimilare e far proprie le norme sociali di riferimento e
in più facilita lo sviluppo dell’empatia. C’è però il rovescio della medaglia: i bimbi,
Enrico Marro, Come nasce una fake news (e perché viene cliccata più di quelle vere), IlSole24ore, 16
54
marzo 2019.
55
Elena Meli, Crediamo alle «fake news» perché continuiamo a pensare come i bambini, Corriere della
Sera, 6 dicembre 2018.
44
diventando abili a “far finta di”, imparano anche l’auto-inganno e a illudere un po’ se stessi.
Soprattutto, imparano che in alcuni casi si può fingere che ciò che è falso sia vero e
viceversa». Nell’adolescenza poi è naturale che si sviluppi il senso critico e si metta in
discussione ciò che è proposto dagli adulti, siano essi insegnanti o genitori; alcuni ragazzi,
però, non riescono ad andare contro le credenze famigliari, perché non tollerano i conflitti
che si creerebbero. Così, se in casa mamma e papà danno credito a qualche leggenda
metropolitana, ecco che il figlio (già «allenato» fin da piccolo a credere che qualcosa di
irreale potrebbe non esserlo) può seguire la scia e fidarsi di idee bislacche. 56
45
-colui che fornisce la notizia ha il compito di informare e quindi risultare imparziale;
-l’URL del sito può fornire molte informazioni circa la sua attendibilità, infatti
l’abbreviazione di esso comunica il tipo di organizzazione o provenienza. Ad
esempio: .biz, .com, .gov, .edu, e molti altri simili, risultano veritieri.
Ciò che non va trascurato oltre ai criteri sopracitati, è la facoltà intellettiva che possiede
ogni singolo individuo, la quale permette di riconoscere sulla base di un bagaglio
culturale assodato e un senso critico sviluppato, quello in cui bisogna credere.
2. But first…Tv!
«È un bel lavoro, sapete. Il lunedì bruciare i luminari della poesia, il mercoledì Melville,
il venerdì Whitman, ridurli in cenere e poi bruciare la cenere. »57. Questa una delle
folgoranti frasi contenute in Farneheit 451, il cui titolo fa riferimento alla temperatura
in cui la carta prende fuoco, che nel Sistema Internazionale corrisponde a circa 233
gradi. L’opera di Bradbury è una denuncia contro un sistema dittatoriale, tra le tante
cose proibisce il possesso di libri e molte altre attività che possano indurre l’uomo ad
avere un’idea propria. Il protagonista Guy Montag è uno degli happyness boy: pompieri
che sotto il comando del capo Beatty, hanno il compito di bruciare ogni libro affinché
non rimanga nemmeno una copia. Montag è convinto dell’inutilità dei libri fino al
momento in cui incrocia sul suo cammino Clarisse, la quale appartiene ad una famiglia
tra i cui membri avviene ancora un continuo scambio di opinioni e di idee, inoltre non
possiedono alcun televisore. La giovane donna invita Montag a leggere libri, al riflettere
sul messaggio che trasmettono e a porsi domande sul mondo circostante. Il pompiere si
ravvede e inizia a nascondere libri nel condotto di areazione di casa; dunque riflette
anche sul rapporto con la moglie Mildred, donna vuota e superficiale, con la quale non
ha niente in comune in quanto il suo unico scopo è avere ogni parete della casa occupata
da televisori. Sarà lei stessa a denunciare il marito per possesso di libri, il quale verrà
perseguitato dal corpo di polizia che invano cercherà di catturarlo. Montag riuscirà a
fuggire al lato opposto del fiume, in quel luogo incontrerà un gruppo di esuli capeggiati
da un tale Granger, costoro costituiscono la memoria letteraria dell’umanità in quanto
ognuno di loro ha memorizzato un testo letterario da tramandare alle generazioni future
57
Ray Bradbury, Fahrenheit 451, trad. di Giorgio Monicelli, (1953), Mondadori, Milano 1999, pag. 9.
46
nel momento in cui la società sarà libera dal regime tirannico. Il fuggitivo si unirà al
gruppo mentre la città sarà bombardata e in seguito distrutta. I sopravvissuti alla strage
si recano in città con lo scopo di fondare un nuovo mondo:
In questo romanzo i libri sono nocivi al punto da essere messi al rogo dai pompieri. Un
corpo istituito proprio allo scopo di bruciare le opere letterarie, per portare avanti un’ideale
di felicità di una civiltà depauperata della propria essenza. I libri rappresentano il
ragionamento critico, la capacità stessa di pensare e discernere individualmente la realtà
oltre una visione unificata. La lettura è un comportamento assolutamente sconveniente in
un’ottica in cui la felicità è raggiungibile solo con l’eliminazione di tutti i contrasti. 58
Bradbury lancia un messaggio fondamentale, ossia la potenza sovversiva dei libri, il cui
corretto utilizzo permette di cambiare il mondo stimolando la mente, concetto in
contrasto con la presenza assidua della televisione, la quale rende l’individuo una
marionetta pronta a ripetere o imitare ciò che gli viene propinato. Il personaggio di
Mildred, moglie di Montag ricopre queste caratteristiche, infatti ossessionata dal
possesso di televisori, è assuefatta completamente dai mezzi di comunicazione di massa
imposti dal regime totalitario, risultando un prodotto dello stesso.
A proposito dell’argomento un interessante punto di vista che risulta molto
attuale è offerto da Franco La Cecla:
58
Lorenzo Di Paola, Maurizio Vicedomini, Fausto Maria Greco, Andrea Vitale, L’oggetto
fantascientifico. Terrori tecnologici e disumanizzazione, «Status Quaestionis», pag.352-353.
59
Franco La Cecla, Surrogati di presenza: media e vita quotidiana, Mondadori, Milano 2006, pag.57-58.
47
La pubblicità, al pari della televisione, sublima, cioè metafisicizza il desiderio, lo aliena dal
soggetto e lo sposta al di là dello schermo. In questo senso, se la tv è figlia di
un’archeologia di desideri a occhi aperti, è però anche la macchina che serve a frustrare gli
stessi. Tutto ciò che il pubblico potrebbe vivere per sé, compresa l’avventura stessa del
comprare, viene vissuto dalla televisione. Non è importante che vi alziate dal divano per
andare a comprare il prodotto pubblicizzato, mentre è importante che ne vediate ancora lo
spot. Per questo chi pensa che la pubblicità e la televisione facciano comunicazione si
sbaglia: sono scatole nere che si chiudono su sé stesse.60
In televisione l’unica cosa che non si vedrà mai è la gente che sta di fronte al televisore. E
questo già dimostra che la tv non produce consenso o identificazione, perché se così fosse
chi la guarda sarebbe indotto a spegnerla per dedicarsi alle attività praticate da quelli che
stanno in televisione, che si amano, si odiano, viaggiano, leggono, suonano, cantano,
ballano, fanno sport, si ammazzano, giocano, rischiano, insomma fanno di tutto meno che
guardare la televisione. La tv manda le immagini di quella vita che della tv si è liberata:
gente sulla spiaggia, che cavalca, che fa l’amore, che corre e compra, gente la cui vita vale
la pena di essere vissuta. Il teleutente sa che fin quando rimane attaccato al televisore la sua
non è vita, e ci rimane attaccato proprio per questo, perché staccarsene significa
soggettivizzarsi, accettare che la propria esperienza singolare prenda il sopravvento, e
questo, oggi, sempre meno persone lo desiderano.61
Egli descrive la società attuale come colma di passività, in quanto sa che molti individui
preferiscono appunto, assistere alle vite altrui, ad una felicità fatta di plastica, inodore,
anziché impegnarsi per rendere tale la propria vita, attribuendo al telespettatore non solo
una pigrizia intellettiva ma anche una codardia nell’ammettere che la propria vita non
sia un granché. Conclude infatti:
60
Ibidem.
61
Ibidem, pag.61-62.
48
parlarsi o fare l’amore è perché sanno che se spegnessero la tv si annoierebbero molto di
più: dovrebbero fronteggiare la mancanza di argomenti o il nulla del loro desiderio e della
loro curiosità l’uno per l’altro. Se la gente ha qualcosa di meglio da fare, è ben lieta di
spegnere la tv.62
La riflessione di La Cecla rimanda senza dubbio, per alcuni aspetti, alla realtà
illustrata in Il Mondo Nuovo63 di Aldous Huxley. Citando Neil Postman:
Orwell temeva che i libri sarebbero stati banditi; Huxley, non che i libri fossero vietati, ma
che non ci fosse più nessuno desideroso di leggerli. Orwell temeva coloro che ci avrebbero
privato delle informazioni; Huxley temeva chi ce ne avrebbe dato troppe, fino a indurci alla
passività e all'egoismo. Orwell temeva che la nostra sarebbe stata una civiltà di schiavi;
Huxley, che sarebbe stata una cultura cafonesca, ricca solo di sensazioni e bambinate. Nel
Ritorno al mondo nuovo, i libertari e i razionalisti — sempre pronti ad opporsi al tiranno —
«non tennero conto che gli uomini hanno un appetito pressoché insaziabile di distrazioni»64.
Nella società immaginata dallo scrittore organizzata secondo una dittatura che
basa il proprio potere sulla concessione del piacere prevedendo un costante benessere
emotivo per ogni individuo: non esistono vincoli affettivi, ogni uomo è libero di poter
avere rapporti sessuali con chiunque desideri, ogni svago può essere svolto dopo la
giornata lavorativa, persino le droghe sono legalizzate, un esempio è il soma: sostanza
euforizzante e priva di effetti collaterali. Inoltre, non vi sono più malattie o guerre, ogni
individuo è nato tramite manipolazione genetica in modo da controllare le nascite e
sopperire al problema della sovrappopolazione, per di più i bambini durante il sonno
sono sottoposti ad un’ipnosi, ai quali viene inculcato un determinato modo di pensare.
«Ed è proprio agendo sui gusti, sugli interessi, sulle motivazioni che secondo
Huxley, si perviene alla situazione paventata nel Mondo Nuovo, in cui si dà
all’individuo tutto ciò che soddisfa i suoi bisogni, ma attenzione non i suoi reali,
62
Ibidem.
63
Aldous Huxley, Il Mondo Nuovo. Ritorno al Mondo Nuovo, (1932), trad. di Lorenzo Gigli e Luciano
Bianciardi, Mondadori, Milano 2000.
64
Neil Postman, Divertirsi da morire, Marsilio, Venezia 2002, pag. 15
49
naturali bisogni bensì quelli che fin dall’infanzia, una lunga continua, capillare, opera di
condizionamento sociale gli ha fatto – e continua a fargli – credere tali»65.
Cheli analizza un’importante tematica:
Una funzione che incanala energie tali da retroalimentare uno dei filoni più ricchi
dell’intrattenimento proposto dai media: quello della cronaca sportiva, corredata da un
imponente apparato collaterale di analisi e commento dei fatti, di dietrologia, di dibattiti. A
riguardo non si possono accusare i media di aver creato artificialmente l’interesse per lo
sport, ma è innegabile il loro ruolo nell’averne enfatizzato l’importanza, portando alcuni
sport al ruolo di fenomeni nazionali, di simboli collettivi positivi che consentano anche –
anzi – soprattutto agli appartenenti alle classi più svantaggiate della popolazione di
identificarvisi: in qualità di tifoso, anche il più emarginato, frustrato, sfruttato degli
individui può godere vicariamente il momento di un’illusione di gloria per la vittoria della
sua squadra o della nazionale, avendo altresì nella squadra e tifoseria avversaria un simbolo
negativo verso cui incanalare e sfogare il suo malcontento (di ben altra origine che non
sportiva).66
Cheli muove una critica alla spettacolarizzazione compiuta dalla tv, ovvero la sua
tendenza nel rendere uno spettacolo qualsiasi evento, anche di effimera importanza
generando nello spettatore un approccio superficiale, che potrebbe essere applicato
anche nella realtà. Lo studioso sostiene che tale caratteristica sia comunque una
conseguenza della versatilità della televisione, e se essa sfrutta questa versatilità verso la
spettacolarizzazione degli eventi, è dovuta anche all’azione di uomo e non solo alla sua
peculiarità intrinseca. Infatti, la tv nasce come strumento di intrattenimento ispirato al
cinema, teatro e varietà, e per questo risulta inevitabile che abbia un bagaglio tendente
ad uno spettacolo di un certo tipo che lascia poco spazio alla cultura. «Orwell temeva
che saremmo stati distrutti da ciò che odiamo, Huxley da ciò che amiamo»67.
3. Il Grande Fratello.
65
Enrico Cheli, La realtà mediata. L’influenza dei mass media tra persuasione e costruzione sociale
della realtà, FrancoAngeli, Milano 2006, pag. 175
66
Ibidem, pag.176
67
Neil Postman, Divertirsi da morire, cit., 15.
50
Orwell ha previsto il controllo dei media, Weir la loro efficacia nel persuadere i fruitori.
Entrambi hanno in comune un personaggio che opera da dietro le quinte, il primo non
conosce il volto di chi ha il potere, il secondo lo scoprirà. Il Grande Fratello controlla
per sottomettere, Cristof per rendere felice la vita di Truman in moda da distogliere
l’attenzione della propria. Nella loro diversità risultano due figure intriganti, oltre che
profetiche in quanto diventeranno modello d’ispirazione per quella che sarà la
televisione negli anni successivi.
In particolare, il Grande Fratello, definito «il padre di tutti i reality show», che si
confà senza subbio, all’omonimo personaggio di 1984.
La trasmissione nata nel 2000 aveva come scopo uno studio socio-antropologico
su un gruppo di persone comuni rinchiuse in una casa, lontane dalla realtà e costrette
quindi, a vivere senza alcun legame con l’esterno. Come si legge in un articolo della
rivista «Focus»68, il format fu così avvincente da riscuotere successo in tutto il mondo e
da meritarsi un premio per l’esperimento concepito, in quanto risultava molto vicino
alla realtà dello spettatore. Purtroppo però, con il passare degli anni e l’incremento del
successo del programma, si è giunti ad una degenerazione al punto da sfiorare il ridicolo
poiché al centro non vi sono stati più gli aspetti sociologici da esaminare ma il business
più spietato. Per poter raggiungere picchi altissimi di audience, lungo gli anni sono state
inserite novità e personaggi che potessero creare scalpore, con l’effetto collaterale però
di portare lo spettacolo verso un’inesorabile decadenza, verosimilmente specchio dello
spettatore e della società di cui fa parte. Tant’è che all’interno del reality sono state
inserite molteplici situazioni pressappoco irreali, lontane dalla realtà, perdendo appunto
quell’elemento di «autenticità» ma che allo stesso tempo fosse in grado di attirare
ulteriormente l’attenzione del pubblico. Plausibilmente risulta essere questa la
componente principale che lo rende reality più longevo in tutto il mondo della storia
della televisione, infatti affinché fosse accresciuta la popolarità dello show e in modo
tale da assicurarsi il coinvolgimento dei telespettatori, è stata conferita a quest’ultimi la
possibilità di decidere la sorte dei concorrenti tramite sms, scegliendo di eliminarli dal
programma e di conseguenza ottenendo un ruolo di «giudice imparziale»; di anno in
anno è stato introdotto anche l’ingresso di star dello sport, della televisione o aspiranti
tali comunque già noti ai telespettatori attraverso i social, in modo tale da pubblicizzare
68
Eugenio Spagnuolo, La scienza del Grande Fratello (e degli altri reality show), «Focus», 24 ottobre
2017.
51
ulteriormente la ormai rinomata trasmissione. Ad aggiungersi a ciò anche il continuo
monitoraggio di quello che accade nella prigione dorata più celebre della tv, mandato in
onda da parte degli autori costantemente e condotto come una sorta di storia a puntate
con estrema minuziosità dei dettagli, da guardare appassionatamente, attribuendo allo
show un artificio che si discosta dall’idea inziale.
Il reality ha avuto un forte impatto sulla cultura di massa, al punto da
commercializzare il format, attraverso la vendita di gadget, t-shirt e oggettistica.
La partecipazione dei concorrenti al reality inoltre, ha assunto la funzione di trampolino
di lancio nel mondo dello spettacolo; molti salotti televisivi infatti, hanno scelto di
ospitare all’interno del programma i reduci del reality, sottoposti a continue interviste su
dettagli privati, con lo scopo di incuriosire e intrattenere il pubblico sempre più
desideroso di poter assaporare dieci minuti di fama, invidiando la vita sotto i riflettori
dei personaggi.
Quest’aspetto è ben rappresentato in Reality film di Matteo Garrone. Il
protagonista Luciano vive in un quartiere malfamato e povero di Napoli. Cerca di
sbarcare il lunario con una pescheria piuttosto fatiscente, dedicandosi anche ad
espedienti poco regolari ovvero un traffico illegale di robot da cucina insieme alla
moglie Mery. Il pescivendolo grazie anche alla sua vena comica, è molto stimato dalla
propria famiglia che incoraggerà l’uomo a partecipare ai provini per il Grande Fratello.
Da qui la discesa verso il baratro, Luciano sopraffatto dall’ossessione di entrare nel
reality, in preda alla paranoia e alla follia, perderà la percezione della realtà:
In questo senso, l’ansia di Luciano non è per nulla diversa da quella dei tanti aspiranti
famosi che il cinema ha conosciuto sin dai suoi esordi: la celebrità è un miraggio potente
che anima passioni spurie e violente. Il film di Garrone, però, non ritrae uno show
televisivo ma una reale avventura popolare: un uomo che perde la testa per il Grande
Fratello. Non è televisione, quindi (se ne vede pochissima), ma vita vera. Reality, allora,
non è messinscena, ma letterale accadimento autentico, realtà. La vita di Luciano e della
sua famiglia è diventata essa stessa televisione popolare, intrattenimento kitsch, spettacolo e
competizione retti dalle regole di Canale 5. La lotta del pescivendolo per giungere alla
celebrità è uno show reale e lui si regola di conseguenza secondo la più scontata etica della
tv: dedicarsi anima e corpo ai propri sogni, astenersi dalle truffe, aiutare i poveri e,
soprattutto, never give up! – non arrendersi mai.69
69
Roberto Tallarita, Reality, ww.spietati.it, 10 gennaio 2012.
52
Il protagonista del film è il perfetto esempio di uomo che si prepara tutta la vita ad un
provino per un reality, in nome della tanto agognata notorietà che conferisce gloria per
molto tempo (o quasi). L’impegno e la devozione di tali soggetti, è notevole, al punto di
cambiare le proprie abitudini. « Quello che per l’elite era ebbrezza libertaria o
provocazione dandy (era Wilde che voleva la vita come un’opera d’arte), per il popolo è
un format Endemol»,70 come si vede infatti, nel film l’imbroglione senza scrupoli
subisce la trasformazione in uomo magnanimo e altruista credendo di essere osservato,
si sforza di proiettare un’immagine di sé lontana dalla realtà, percorrendo la strada della
caritas, per poi giungere ad un pentimento ipocrita e scontato ma che non passa mai di
moda, soprattutto per gli amanti del finto buonismo. Il film si apre con un’atmosfera
fiabesca che, purtroppo viene smentita pochi minuti dopo: la telecamera dall’alto verso
il basso indugia su una carrozza di cavalli e uno sfarzoso castello di cerimonie, in realtà
cafonesco, tutto ciò metafora dell’apparenza che si cela dietro un mondo che di vero
possiede solo una tendenza alla volgarità.
L’epilogo non è certo dei più felici, non c’è un happy ending. Luciano ha perso
tutto, tranne un grammo di felicità dopo aver varcato la porta rossa tanto bramata. Sullo
sfondo i prescelti Endemol vivere la rara opportunità che gli è stata concessa, ignari di
essere oggetto di invidia di tanti ma ammirati dal pescivendolo con un sogno forse
irrealizzabile. Ad egli basta essere lì, ad osservare per sentirsi parte di un mondo
fantastico. La telecamera dal basso verso l’alto si sofferma sullo studio di Cinecittà, così
illuminato come il cielo nelle notti d’estate. Nell’ambiente circostante è tutto buio. C’è
solo una luce e una grossa risata, la risata amara di chi ha perso per sempre se stesso.
70
Ibidem.
71
Pernigo, Carolina, La televisione e la massificazione dell’ideale, in Schermi. Rappresentazioni,
immagini, transmedialità, a cura di F. Agamennoni, M. Rima, S. Tani, «Between», VIII. 16 (2018), pag.
14.
53
La televisione e la massificazione dell’ideale72, analizza le cause del degrado morale che
attanagliano la nostra società, le quali derivano, appunto da un’uniformità di pensiero
che si è adattata nel corso degli anni ai canoni imposti dal mondo dello spettacolo e
dalla finzione che deriva da alcuni contesti ad essi legati. Ella ritiene infatti che lo show
diventa, quindi costruito su menzogne sulle quali gli stessi concorrenti si servono, pur di
giungere alla fine e acquisire la tanto bramata notorietà. Questa dimensione fittizia però
ha il potere di condizionare estremamente chi guarda, diventando una realtà
commercializzata, un prodotto che si fonda su continue novità che ammaliano lo
spettatore, il quale rimane completamente assuefatto.
Le conseguenze senza dubbio saranno devastanti in quanto l’uomo nonostante
abbia libero arbitrio sulle proprie decisioni e un discreto controllo dei propri istinti, nel
momento in cui si lascia ipnotizzare dai programmi «spazzatura» propinati dalla tv,
incorre in alcune conseguenze spiacevoli per se stesso. Il telecomando diventa
un’invenzione letale nelle mani del pubblico: esso infatti spinto da questo strapotere che
può appagare solo il narcisismo di coloro che guardano, in maniera pressoché
soddisfacente, al punto da appiattire la morale del singolo e di partecipare alla
spettacolarizzazione della violenza imposta dagli autori dei programmi, tutto per amore
dell’audience. L’uomo illuso da questo dominio assoluto apparente, però finisce con il
compiere un gravissimo errore, ossia quello di svendere la propria dignità e i propri
valori plasmandosi a favore di ciò che la tv fa passare come modello di turno da seguire,
diventando anch’egli un oggetto e perdendo quella soggettività che lo caratterizza.
La studiosa conclude la sua tesi, affermando che la televisione e in particolare i
reality o programmi d’intrattenimento che richiedono la partecipazione degli spettatori,
contribuiscono ad un processo di «deindividuazione», ossia l’individuo conscio
dell’anonimato, saprà di rimanere impunito per le sue azioni. Inoltre, basandosi sul fatto
che vi sono più telespettatori coinvolti, sentono le loro responsabilità meno cariche e si
cullano sul fatto che le decisioni del gruppo valgono molto di più rispetto a quelle del
singolo. La conseguenza è una progressiva accettazione di alcuni processi che
l’individuo singolarmente rifiuterebbe ma consapevole di una collettività che lo
protegge, finisce con il ritenere normale determinati atteggiamenti, massificandosi con
la restante parte, peculiare anch’essa da una spersonalizzazione. Senza dubbio, lo
72
Ibidem.
54
spettatore acquisirà anche comportamenti egoisti, ritenendo di poter processare le vite
altrui secondo il proprio giudizio e di decidere quale sia più conforme al proprio modo
di pensare, paragonandole quasi ad una cernita di abiti al mercato.
Un importantissimo spunto di riflessione sulla questione è offerto dal libro
Reality. Assalto al Grande Fratello73. La storia ruota attorno ad un gruppo di terroristi
islamici che prende il comando di un’emittente televisiva in modo da poterla sfruttare
per i suoi messaggi di propaganda. Con grande sorpresa scoprono che si sta girando
un’edizione del Grande Fratello. In seguito alla scoperta eccezionale, assumono il
controllo della sceneggiatura, manovrando i concorrenti a loro piacimento secondo le
proprie indicazioni, fino al punto da portarli a commettere gesti aberranti e giungere poi
fino all’ultima puntata dello show, con lo scopo di mostrare la corruzione
dell’Occidente. Persino i genitori dei finalisti sono costretti ad osservare inorriditi la
propria prole prestarsi ad atti di meschinità, come il lancio di slogan antisemiti da parte
di uno dei concorrenti o prestazioni sessuali molte promiscue nelle quali sono coinvolte
altre due ragazze, ognuno di essi minacciato di eseguire gli ordini affinché non avvenga
la morte di uno di loro. Con il degenerare della situazione, la polizia deciderà di
accerchiare gli studi della rete televisiva dove sta avvenendo il raggelante spettacolo, in
modo da poter negoziare con i terroristi; ma la posta in gioco è alta: chiedono uno dei
traditori in cambio, salvando la vita dei concorrenti.
Il romanzo di Bizzio è ricco di ironia, adrenalina e suspense che mette in luce la
falsità dei reality e il mondo della televisione, la sfrenata ricerca del successo e la
costante voglia di chi prende parte alla messinscena, dall’altro lato il crudele modo di
vivere la vita secondo i dogmi imposti dalla religione. Un libro che lascia spazio alla
riflessione, che condanna l’individuo ormai schiavo del pubblico e delle apparenze, che
vende sé stesso per un minuto di fama, pronto a seguire ad ogni soffio di vento questo o
l’altro, purché si imponga con il potere e prometta a loro soldi e successo. L’unica via
sembra essere la scelta di pensare con la propria testa, rinunciando a trasmissioni che
non regalano nulla in quanto a cultura o valori alla coscienza dell’uomo e dedicarsi a
tutto ciò che può stimolare la mente umana e spingere essa oltre ogni limite prefissato;
scelta che però sembra essere improbabile nell’età del materialismo, in quanto una
società fondata sulla superficialità, dissolutezza e parvenza, difficilmente rinuncerà a
73
Sergio Bizzio, Reality. Assalto al Grande Fratello, E/O Roma 2010.
55
tutto ciò che non rende le tasche più pesanti, la pelle più luminosa ma la testa priva di
idee.
Il concetto di finzione, condito in una salsa di disgusto è ben più concreto nel
racconto Papà va in tv74 frutto della penna umoristica di Stefano Benni.
Una storia sarcastica e a tratti surreale. Benni non sarebbe riuscito meglio a spiegare il
principio del «purché si appaia». Il protagonista, un uomo in ansia per la sua prima
apparizione in tv, un momento unico ed irripetibile: sarà il primo uomo ad essere
condannato con una scossa da sedia elettrica in diretta tv. Dunque ultimo momento di
gloria per l’assassino, diventato famoso con gli omicidi che ha commesso. Dall’altra
parte dello schermo, i membri della famiglia e gli amici più cari pronti ad assistere allo
show, è un momento sacro che non va profanato con parole a caso, solo onore per
Augusto Minardi che ha raggiunto la fama, non importa in che modo becero.
Antonio Scurati spiega ciò: «Si rischia insomma che l’abietta ambiguità
dell’espressione ricorrente nel mondo giornalistico -covering atrocity, “coprire le
atrocità”, cioè descriverle e, al tempo stesso, occultarle nel loro spettacolo – si attagli
anche al racconto letterario del genocidio»75. Lo studioso pone una riflessione sulla
spettacolarizzazione della violenza, in particolare su coloro che guardano, i cosiddetti
testimoni: « sull’altro versante, soltanto un passo più in là, una massa ancora più grande
di viventi assiste in posizione di quasi totale passività e anestetica estraneità alla
sofferenza altrui ergendosene a testimone proprio perché non l’ha vissuta né mai, si
presume e si spera, la vivrà.»76 Scurati sostiene che a causa di questo, è nato un rapporto
di complicità tra il carnefice e chi guarda, da un lato c’è chi infligge la sofferenza,
dall’altra chi guarda lo spettacolo inorridito o meno, ma circondato comunque da un
mare di indifferenza, «il risultato è lo sprofondamento nel processo perverso di
sostituzione del tragico con l’osceno»77.
Egli sostiene che la rappresentazione dell’orrore riscuota molto più successo sullo
schermo perché è dinamismo che scuote lo spettatore dal torpore esistenziale, che va dal
74
Stefano Benni, L’ultima lacrima, Feltrinelli, Milano 2013.
75
Antonio Scurati, Dal tragico all’osceno, Bompiani, Milano 2016, pag. 16.
76
Ibidem, pag. 18
77
Ibidem, pag. 21
56
gradimento per i film horror fino alla visione al telegiornale di notizie di cronaca nera
che molto spesso sono vere e proprie tragedie. Lo studioso colpevolizza, inoltre coloro
che incrementano trasmissioni di questo tipo per puro scopo di audience delineando un
quadro della società attuale:
Attualmente il veicolo di informazioni più efficace è il Web, considerato uno dei tanti
servizi offerti dal mondo di Internet:
Nell’arco di pochissimi anni (dal 1996 al 2000) emerge con estrema rapidità l’ecosistema
composto da tecnologie, processi comunicativi, attività economiche che ora possiamo
contrassegnare con l’espressione Web 1.0. Composto prevalentemente da documenti di tipo
testuale con qualche immagine e pochissimi suoni o video organizzati in pagine HTML
statiche, si tratta di un Web accessibile mediante connessioni dial-up che supportano non
oltre 56 kbit/s di larghezza di banda, del tutto insufficienti quindi per i formati
multimediali. Molti sono gli elementi sfavorevoli: l’instabilità della tecnologia, le
imprecisioni delle pagine costruite con il linguaggio di formattazione (HTML), i costi orari
del servizio di accesso e l’impossibilità di telefonare usando il modem. 79
Nonostante piccole imperfezioni nel sistema, queste non hanno impedito l’ascesa del
Web 2.0. Infatti, il Web da veicolo di ricerca e conoscenza si tramuta in veicolo di
informazione e di commercio. Cresce il numero degli host, server che ospitano i domini
registrati. L’incremento di utenti risulta fondamentale per le aziende, esse dunque
78
Ibidem, pag. 23
79
Alberto Marinelli, Internet e Web, «Enciclopedia Treccani», 2008.
57
comprendono che la loro presenza in rete non è un optional, ma anzi necessaria, in
quanto permette uno scambio di relazione con gli utenti/clienti e la promozione di beni e
servizi, un esempio è Amazon, il bookstore più grande del mondo, che grazie alle
spedizioni online, gli è stato permesso di delocalizzare la propria sede facilitando
l’acquisto della merce per gi utenti e quindi il conseguente guadagno dell’azienda.
Inoltre:
58
I motivi per cui i social hanno riscosso molto successo sono i più disparati: uno è
il linguaggio semplice, caratterizzato da emoji e parole abbreviate già presenti ai tempi
degli SMS (short message system), dando luogo ad una nuova Neolingua, auspicata in
un certo senso da Orwell. L’impiego di emoji, ossia faccine che esprimono stati
d’animo ha facilitato l’espressione delle proprie emozioni riducendo il tutto ad una
scelta frettolosa e incurante di una faccina. Ciò che spaventa è il fatto che l’uomo possa
regredire, riutilizzando una comunicazione formata da simboli e segni, abbandonando
l’uso della scrittura che risulta fondamentale per l’uomo in quanto ha accompagnato lo
stesso lungo il corso della sua evoluzione e ha permesso un’interazione efficace tra gli
individui, portando inevitabilmente ad un progresso notevole.
Dunque, seppur rappresentino una semplificazione della lingua in quanto
permettono ad ogni modo una comunicazione accessibile ai più, sono comunque un
pericolo per la stessa, poiché appunto inibiscono la capacità di utilizzare un linguaggio
adatto che permette di far trapelare le emozioni in modo chiaro, e quindi si giunge ad
una conseguente perdita della padronanza del linguaggio e ad una deindividuazione: il
modo di comunicare risulta uguale per ognuno:
Le emoticon hanno cambiato faccia: sono sempre meno faccine e sempre meno stilizzate.
Grazie alla loro progressiva naturalizzazione come strumenti di comunicazione e grazie al
continuo progresso tecnologico (in termini di capacità di stoccaggio di bit e quindi di
informazione supportata), si sono arricchite accumulando tratti e funzioni, passando da un
“hardware” tipografico e da una funzione squisitamente emozionale a un “hardware”
grafico e a funzioni pienamente rappresentative e, da ultimo, narrative. Dal “faccino
sorridente” :-) o :) si è passati a (Microsoft Word traduce automaticamente le prime due
nella terza) e ͡° ͜ʖ ͡°. Dallo “scettico” : -/ si è passati a “Babbo Natale” *<|:-). Si è passati dal
“testo naturale” all’ASCII e all’Unicode e poi, da quest’ultimo, alle emoji, che non sono
più solo faccine ma interi personaggi e ci appaiono come veri e propri disegni animati,
capaci di raccontare da soli, a cavallo tra smartphone e social, intere situazioni e intere
storie. Lo mostrano molto bene e con il giusto humour i videoclip musicali di artisti come
Katy Perry e Oneohtrix Point Never (o i fan video realizzati a partire dai brani di Beyoncé e
Rick Ross, una nuova forma di lyrical e literal video). Il fatto che queste nuove emoticon
non siano solo facce o corpi ma possano essere praticamente qualsiasi cosa, oggetti-che-
sono-Soggetti inclusi, non va letto come un’eccezione alla regola che la nostra sia una
59
“società facciale”, ma anzi come la conferma che, da bravi indigeni del “villaggio globale”,
“in noi dappertutto è il volto”.81
Quindi ciò rappresenta un ulteriore prova del fatto che la società odierna è fondata
sull’immagine e sul peso che viene data ad essa. Questa modalità risulta pericolosa, in
quanto il frequente uso di tali «faccine», è spesso fuorviante poiché non essendo chiaro
il significato, si giunge ad una libera interpretazione di queste e una conseguente
confusione durante la comunicazione. Per questo motivo è necessario conservare l’uso
della scrittura che fornisce un messaggio chiaro, immediato e quindi risulta
insostituibile in quanto rappresenta un patrimonio d’identità, di un individuo, di una
comunità, di un popolo.
Il senso di perdita della realtà si manifesta nel momento in cui ci si sente costretti a
compiere un’azione che, non è solo vietata dal codice della strada, ma è pericolosa
per il soggetto -, per soddisfare un bisogno urgente che alla fine non esiste, che è
creato arbitrariamente da noi, dal legame di appartenenza ad una relazione sociale e
da un attaccamento ad un oggetto tecnico.82
81
Gabriele Marino, :-) come emoticon. Più che semplici faccine, www.doppiozero.com, 09 febbraio 2015.
60
Questo bisogno potrebbe essere soddisfatto con l’attenzione verso i rapporti
interpersonali, con uno sviluppo del dialogo con l’altro che favorisce lo scambio di
pensieri, favorendo la crescita personale del singolo e la nascita di rapporti veri e
duraturi che permettono ad ognuno di avere la sensazione di essere meno soli e insicuri
in un mondo in cui vige la legge dell’ostentazione, in cui i vincitori sono coloro che
hanno più degli altri, in cui mostrano finte sicurezze e dunque, si sentono in diritto di
esercitare un potere conferito da oggetti e apparenza, quindi non può che essere definito
come un potere meramente illusorio.
BIBLIOGRAFIA
Bibliografia primaria
82
Luciano di Gregorio, La società dei selfie. Narcisismo e sentimento di sé nell’epoca dello smartphone,
FrancoAngeli, Milano 2017, pag. 99.
61
BIZZIO Sergio, Reality. Assalto al Grande Fratello, E/O, Roma 2013.
BRADBURY Ray, Farneheit 451, trad. di Giorgio Monicelli, Mondadori, Milano 1999.
ORWELL George, 1984 (1949), trad. di Stefano Manferlotti, Mondadori, Milano 2015.
Testi critici
BAUMANN Zygmunt, Modernità liquida, trad. di Sergio Minucci, Laterza, Bari 2011.
62
CASTELLS Manuel, Il potere delle identità, Egea, Milano 2014.
CHELI Enrico, La realtà mediata. L’influenza dei mass media tra persuasione e
costruzione sociale della realtà, FrancoAngeli, Milano 2006.
DE PALO Riccardo, “1984” di Orwell, 70 anni dopo: il Grande Fratello vive sulla
Rete, «Il Messagero», 24/02/19
GOFFMAN Erving, Stigma. Note sulla gestione dell’identità degradata (1970), trad. di
Roberto Giammanco, Ombre Corte, Milano 2003.
LAPRANO Anna, Il mito della Caverna in The Truman Show, «La Cooltura», 27
ottobre 2017.
LEONARDI Claudia, The Truman Show ovvero quando la teoria di Goffman prende
vita, sociologicamente.it, 27 settembre 2019.
63
MARINELLI Alberto, Internet e Web, «Enciclopedia Treccani», 2008.
MARINO Gabriele, :-) come emoticon. Più che semplici faccine, www.doppiozero.com,
09 febbraio 2015
MARRO Enrico, Come nasce una fake news (e perché viene cliccata più di quelle vere),
«ilSole24ore», 16/03/2019.
MELI Elena, Crediamo alle «fake news» perché continuiamo a pensare come i
bambini, «Corriere della Sera», 06 dicembre 2018
RICCI Fiammetta, Tra utopia e ideologia. Controllo e potere del linguaggio in 1984 di
George Orwell, «Il Contributo», 2012.
64
SPAGNUOLO Eugenio, La scienza del Grande Fratello (e degli altri reality show),
«Focus», 24/10/2017.
ŽIŽEK Slavoj, Benvenuti nel deserto del reale. Cinque saggi sull’11 settembre e date
simili, trad. di Pietro Vereni, Meltemi, Milano 2017.
FILMOGRAFIA
RINGRAZIAMENTI
65
Alla professoressa Marialaura Raimondi, insegnate formidabile che sin dal liceo mi ha
insegnato a coltivare la mia passione per la letteratura, e in seguito, ad inseguire i miei
sogni. Grazie per la continua disponibilità e per la dolcezza con cui ha ammorbidito
intensi pomeriggi di studio. Porterò con me sempre tutti gli insegnamenti che mi ha
donato, con l’augurio, un giorno di diventare come lei.
A mia madre, forte come due ma sei solo una. Grazie per aver creduto in me ancora
prima che ci credessi io. Sei stata per me un sostegno fondamentale nei momenti in cui
ho pensato che non fossi in grado di poter fare qualcosa ma grazie ancora prima di tutto
per avermi insegnato a lottare, trasmettendomi sin da bambina valori importanti come
l’impegno, il sacrificio e il rispetto che mi accompagnano tutt’ora nel mio cammino, che
mi hanno reso fiera della persona che sono oggi. Sei per me il modello di donna che un
giorno vorrei essere.
Ringrazio mia sorella Martina per la pazienza nel sopportare ogni crisi prima di un
esame. Grazie per il supporto e l’aiuto che in molte circostanze mi ha dato. Nonostante
le nostre tante differenze che spesso ci portano a piccole incomprensioni, so di aver
sempre una spalla su cui piangere e una bella persona su cui poter contare, nella fortuna
e nell’avverso. Cane e gatto ma con lo stesso sguardo di chi non ci sta.
Ringrazio la mia famiglia, le mie radici. Ringrazio Zio Luigi che sin da piccola mi ha
trasmesso l’importanza per l’istruzione e la disciplina, grazie a Zia Rosa per aver
cercato di infondermi calma prima di ogni esame, sapendo già quanto fossi preoccupata.
Grazie a tutte le mie cugine, sorelle più grandi, alla loro costante presenza e attenzione
nel corso di questi lunghi anni e alla loro rassicurazione nei momenti più bui. Al piccolo
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grande Tommaso, sempre così protettivo verso di me nonostante sia io la più grande e al
suo entusiasmo mai assente. Grazie a Zio Giovanni e Zia Anna, per aver creduto in me
sin dal primo giorno e per il loro continuo interesse sui miei obiettivi e le mie piccole
vittorie, il vostro supporto è stato importante per me.
A Vittoria, l’altra parte di me. Quando per la prima volta abbiamo parlato, poco più che
bambine, non avrei mai immaginato che potessi diventare parte integrante della mia
vita, il mio braccio destro, amica fidata, compagna di mille avventure, complice
perfetta. La tua dolcezza e la tua sensibilità sono state fondamentali nei momenti di
sconforto, hai sempre saputo usare le parole giuste quando ce n’era bisogno, mai
indifferente ai miei appelli di aiuto. Grazie per aver deciso di rimanere al mio fianco e
di affrontare insieme tutto ciò che la vita ci ha riservato e ancora ci riserverà, sempre
tenendoci per mano.
A Daniela, odi et amo. Più di tutti, forse la persona che mi ha insegnato a non abbattersi
di fronte ai piccoli ostacoli della vita, la tua determinazione è ammirevole. Grazie
soprattutto per la dedizione che hai sempre messo nel nostro rapporto, per tutte le volte
che hai messo da parte il rancore di fronte ai miei sbagli, grazie per essermi stata vicino
in ogni momento, in particolare in quelli più brutti. Per me sei come un porto quando
sono in tempesta, lo specchio in cui mi ritrovo quando mi perdo un po’ e le gambe sulle
quali mi sorreggo quando da sola non riesco. Grazie perché scegli di essere mia amica
ogni giorno.
A Claudia, tra le persone più speciali che ho avuto la fortuna di incontrare lungo il mio
percorso universitario. Senza di te ciò non sarebbe stato lo stesso, grazie per il tuo
sostegno costante, grazie perché mi hai capita sin dal primo momento senza bisogno di
troppe parole, grazie perché ogni giorno mi aiuti a credere in me stessa ma grazie
soprattutto perché dietro la donna forte che sei, c’è anche un grande cuore che scegli di
mostrare a me, la fiducia che mi hai dato significa molto per me.
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A Mena, mia amica storica. Il nostro rapporto così vero e sincero, fatto di mille
chiacchierate, risate e qualche volta lacrime mi ha insegnato che qualche volta l’anima
gemella è una grande amica. I miei “grazie” non saranno mai abbastanza paragonati a
tutte le volte che mi hai confortata, ascoltata e aggiungo anche sopportata. Porterò
sempre nel cuore i momenti che abbiamo collezionato insieme e tutto ciò che abbiamo
condiviso.
A Conny, mia compagna di studi. Se oggi sono qui, è soprattutto grazie a te.
Accomunate dalla stessa passione, grazie per avermi spronata a scegliere questo
cammino, sapendo che fosse quello più adatto a me. Ti ringrazio per tutte le volte che
hai asciugato le mie lacrime nei momenti in cui ho pensato di mollare ma grazie, in
particolare perché non hai creduto mai che potessi farlo davvero, incoraggiandomi ancor
di più ad andare avanti.
A Martina, la tua spontaneità, lealtà e il tuo senso di giustizia ti rendono una persona
speciale che sono felice di avere nella mia vita. Grazie per il modo in cui mi rassicuri e
per tutte le volte che hai risollevato il mio umore.
A Ilaria, mia confidente. Splendida persona che è entrata nella mia vita, per caso, grazie
all’università. Grazie per aver scelto di rimanere nella mia vita non per casualità, grazie
per tutti i consigli che con gelosia conservo come preziosi. La tua purezza e la tua bontà
mi fanno sentire al sicuro sempre, sei stata per me una grande scoperta.
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Ringrazio Mafalda, per aver colorato le pause studio all’università che con il suo sorriso
mi ha rallegrato l’animo e i brutti momenti. Nessuna giornata è mai abbastanza grigia se
ci sei tu.
A Teresa, donna intelligente e sensibile, l’altra faccia della medaglia, così diverse ma
così simili. Sono fiera di averti incontrata lungo questo percorso. Le nostre pause caffè e
le pagine che abbiamo divorato durante le ore di studio insieme sono uno dei ricordi più
belli che conserverò.
A Deborah, alla sua esuberanza e sincerità. Il tempo trascorso con te non è mai
abbastanza. Sei il mio riflesso.
Grazie a Emanuela, Sabrina, Susy, Sarah, Maria e Anna per aver atteso così tanto questo
giorno, la felicità che avete avuto per me, mi è arrivata dritta al cuore.
Agli amici di sempre per avermi sostenuta nel corso di questi anni e per tutto l’affetto
che ogni volta mi dimostrate. Alle nuove amicizie che hanno gioito con me nel corso di
questi mesi in attesa di questo primo piccolo traguardo tanto ambito. Questo momento è
anche vostro.
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