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Filosofia (1984-)
di Gianni Paganini
Non si può certo dire che l'accostamento fra Thomas Hobbes e la trad
ne dell'ermetismo si sia imposto come un oggetto storiografico 'normal
ancora in una recente rassegna tedesca sulla Hobbes-Forschung tra il 197
1988 l'articolo di Karl Schuhmann1 con cui si è inaugurato quel tipo di r
veniva citato erroneamente, sostituendo al termine «ermetico» del titolo que
di «ermeneutico», come se quest'ultima connotazione, pur così anacronis
suonasse tuttavia più accettabile che non il riferimento esatto all'insegnamen
magico, teosofico e misticheggiante del Trismegisto. Del resto, dopo que
ticolo comparso nel 1985 («Rapidità del pensiero e ascensione al cielo: a
motivi ermetici in Hobbes») le indagini sull'argomento hanno fatto prog
così lenti e misurati che è facile riassumerli in breve.
In primo luogo, si deve sottolineare il fatto che nonostante l'apparenza ano-
dina dell'accostamento Schuhmann ha potuto delineare in modo convincente e
storicamente accurato l'esistenza di un preciso rapporto tra la riflessione di
Hobbes e il Corpus Hermeticum , con particolare riferimento ali 'Asclepius e ai
trattati X e XI. Degli interessi 'ermetici' Schuhmann ha ritrovato una traccia
* Questo articolo riprende il testo della relazione presentata al Congresso "Forme del
Neoplatonismo. Dall'eredità ficiniana ai Platonici di Cambridge", Firenze, Istituto Naziona-
le di Studi sul Rinascimento, 25-30 ottobre 2001.
1 . Karl Schuhmann, Rapidità del pensiero e ascensione al cielo: alcuni motivi ermetici
in Hobbes , «Rivista di Storia della Filosofia», XL (1985), pp. 203-27. La rassegna alla qua-
le si fa riferimento è quella di Bernard Willms: Der Leviathan und der Delische Taucher.
Zur Entwiklung der Hobbes-Forschung seit 1979 , «Der Staat», XXVII (1988), pp. 569-88
(in part, vedi p. 572). Per lo sfondo umanistico e rinascimentale del pensiero di Hobbes
sono importanti i recenti studi di Quentin Skinner: Thomas Hobbes and the Renaissance
studia humanitatis», in Writing and Politicai Engagement in Seventeenth-Century England ,
ed. by Derek Hirst and Richard Strier, Cambridge University Press, Cambridge 1999, pp.
69-88 e soprattutto il volume Reason and Rhetoric in the Philosophy of Hobbes, Cambrid-
ge University Press, Cambridge 1996.
riconoscibile in uno de
to NLW, indicato da H
della sua propria filoso
bre metafora dello spir
tema della celerità del
Heaven to Earth», sen
pious imagery» accum
vamente ne'V Answer t
termini più sintetici ne
definitiva del De corp
spetto al Corpus Herm
platonica antica e mod
mundo a Nemesio, da
venne strettamente i
come la lettura di Hob
ca aveva dato Francesc
mendazione migliorat
zioni precedenti) legge
2. Hobbes e YAsclepius
bliografia e l'ampio commento contenuti in: Hermetica. The Greek Corpus Hermeticum
and the Latin Asclepius in a new english translation with notes and introduction , by Brian
P. Copenhaver, Cambridge University Press, Cambridge 1992.
4. CHX 25 (t. I p. 126 11. 7-8).
5. K. Schuhmann, art. cit., p. 226.
6. Ivi, p. 227.
7. Lev. XVII p. 187/227 (tr. it. p. 143): «This is the Generation of that great LE-
VIATHAN, or rather (to speake more reverently) of that Mortali God , to which we owe un-
der the Immortali God , our peace and defence».
8. Horst Bredekamp, Thomas Hobbes visuelle Strategien. Der Leviathan : Urbild mo-
12. Asclepius 37 (C H t. II p. 347 11. 8-11): «omnium enim mirabilium uincit admiratio-
nem, quod homo diuinam potuit inuenire naturam eamque efficere». Poco oltre: «inuene-
runt artem qua efficerent deos» (ibid. 11. 13-14).
13. Asclepius 37 (C H t. II p. 348). Ha sottolineato la relativa originalità di questa teoria
della fabbricazione degli dèi Claudio Moreschini, Storia dell 'ermetismo cristiano , Morcel-
liana, Brescia 2000, pp. 150-51, anche se lo stesso autore riproduce (dal commento di Nock
e Festugière ad locum nota 197) due passi di Porfirio (De imaginibus , fr. 2-3) e di Massimo
di Tiro (Diss. I, 8, 3) in cui viene riproposta questa convinzione relativa alla presenza del
dio nella statua. Commenta il Moreschini: «Una dottrina, questa del 'creare gli dèi' e della
magia, estremamente imbarazzante per gli ermetici cristiani». Sul tema del creare dèi nella
tradizione ermetica cfr. Walter Scott, Hermetica , prima edizione 1924-36, 4 volumi; reprint
Dawsons, London 1969, vol. IV, p. 180 sgg.; Jean-Pierre Mahé, Hermes en haut-Egypte ,
due volumi, Presses de l'Université Laval, Quebec 1978-82, vol. II, pp. 98-102, 223 sgg.,
315, 385; B. Copenhaver, Hermetica cit., (commento) pp. 238 sgg., 254 sgg.
metica, ricondotta a una sorta di magia naturale ben distinta da quella propria-
mente demonica, divario su cui hanno giustamente insistito sia Walker che la
Yates. È singolare rilevare il fatto che nei commenti all' Asclepius, ripresi nel-
l'opera ficiniana ma scritti invece da Lefèvre d'Etaples, questa diversa e più po-
sitiva valutazione sia stata completamente obliterata, per dare nuovamente spa-
zio alla tradizionale condanna agostiniana: Lefèvre accuserà senz'altro Mercu-
rio di «empietà» per aver raccomandato delle pratiche che in nulla si distinguo-
no dall' «idolatria» e si avvicinano anzi ai riti stregoneschi dell'epoca moderna,
all'invocazione di veri e propri demoni malvagi15.
Dal racconto mitico áz'Y Asclepius (e dal corredo di commentari che lo
aveva accompagnato nella cultura occidentale antica e moderna) si possono
dunque estrarre tre aspetti che si prestano ad essere comparati con la genera-
zione di quel «dio mortale» che è il Leviathan: 1) in entrambi i casi si tratta di
un processo artificiale, descritto come una tecnica («facere», «efficere», «com-
ponere» sono i verbi usati nel Corpus Hermeticum ); 2) la fabbricazione riguar-
da pur sempre una divinità, seppure di rango inferiore e 'secolare', essendo
l'aggettivo «mundanus» quello più appropriato a descrivere questo dio; 3) infi-
gionata nella 'macchina' della costruzione politica. Con l'aggancio al tema er-
metico, sia pure filtrato attraverso il razionalismo hobbesiano, l'automa viven-
te o uomo artificiale riacquista così almeno una parte della sua potenza mitica
veicolata da una plurisecolare tradizione21.
A ulteriore sostegno di questa lettura si potrebbe aggiungere che non man-
ca all' Asclepius neppure il motivo retorico dell'antitesi, sia pure declinata al
plurale, come si addice ad un contesto spiccatamente politeistico come quello
ermetico, che fa anche della divinità celeste e non solo dell'uomo un fabbrica-
tore di dèi: se l'uomo è autore di divinità («deorum fictor est homo»), alla stre-
gua che i «dii caelestes» mantengono l'ordine delle regioni superne, così i
«terreni dii» provvedono alle cose di quaggiù aiutando gli uomini «amica qua-
si cognatione» sia mediante la divinazione, sia con il soccorso e l'assistenza22.
I paralleli si arrestano però a questo punto, lasciando in ombra una divergenza
più netta, che è sfuggita al Bredekamp e che è tale da inficiare seriamente la
pertinenza di quei luoghi d t'Y Asclepius da lui invocati rispetto al testo hobbe-
siano: perché appunto l'antitesi ermetica batte in quei passi sulla coppia terre-
no («terrenus», «mundanus») / celeste («caelestis»), mentre il Leviathan insi-
sterà piuttosto sulla coppia mortale / immortale per qualificare il ruolo rispetti-
vo dei due tipi di divinità terrena e celeste. Sono altri invece i luoghi in cui ri-
corre la coppia divinità/mortalità ed essi riguardano però la natura «duplice»
(«ex utraque natura») del fabbricatore, l'uomo, e non del fabbricato, al punto
che l'autore dell' Asclepius vi ritrova un vantaggio, quasi una superiorità ri-
spetto agli dèi, che hanno soltanto la natura immortale23.
mata e fusa in una persona civile unica». Come Prometeo, che ha pagato con lo strazio con-
tinuo del fegato il furto del fuoco sacro, così aristrocrazia e democrazia «scontano la pena
di essere torturati da continue preoccupazioni, esposti in alto luogo a sospetti e dissensi»
(questa nota aggiunta alla seconda edizione del de cive chiarisce il fatto che i governi diver-
si dalla monarchia «sono stati messi insieme dall'artificio degli uomini con i rottami della
monarchia abbattuta dalle sedizioni» (De cive , p. II "Imperium", cap. X, iii, Annotatio, ed.
cit. pp. 172-73; trad. it. cit. p. 169).
21. Sul carattere 'occulto' della generazione del Leviathan si è soffermato soprattutto
Cari Schmitt, che sembra però metterla in relazione, seppur crípticamente, con la tradizione
cabalistica e mistica giudaica (contro la quale il suo testo ha punte di insopportabile pregiu-
dizio antisemita). Cfr. Cari Schmitt, Der Leviathan in der Staatslehre des Thomas Hobbes.
Sinn und Fehlschlag eines politischen Symbols , hrsg. v. Günter Maschke, Köln-Lövenich
1982, p. 44, 243.
22. Asclepius 38 (C H t. II p. 349).
23. Si tratta di Asclepius 22 (t. II p. 324 11. 17-22): «denique et bonum hominem et qui
posset immortalis esse ex utraque natura conposuit, diuina atque mortali, et sic compositum
est per uoluntatem dei hominem constitutum esse meliorem et diis, qui sunt ex sola inmor-
tali natura formati, et omnium mortalium». In un altro passo Y Asclepius insiste sul fatto che
la mortalità non sia di per sé un tratto di inferiorità: «animai ergo homo, non quod in eo mi-
nor, quod ex parte mortalis sit, sed eo forte aptius efficaciusque conpositus ad certam ratio-
nem mortalitate auctus esse uideatur» (9, t. II p. 307 11. 19-22). Cfr CHX 24-25 commen-
tato infra.
24. Per una panoramica dei testi e della letteratura critica sull'argomento cfr. Ugo Pa-
gallo, Homo homini deus. Per un'introduzione al pensiero giuridico di Francis Bacon , CE-
DAM, Milano 1995, pp. 301-2. Dello stesso autore cfr. il saggio recente: Hobbes and the
homo homini Deus formula, «Hobbes Studies», XI (1998), pp. 61-69, che però non affron-
ta il problema del contesto ermetico.
25. A conclusione del capitolo sul ruolo dei magistrati nel regno di Cristo, Hobbes scri-
ve: «To conclude this chapter: since God speaketh not in these days to any man by his pri-
vate interpretation of the Scriptures, nor by the interpretation of any power, above, or not
depending on the sovereign power of every commonwealth; it remaineth that he speaketh
by his vice-gods, or lieutenants here on earth, that is to say, by sovereign kings, or such as
have sovereign authority as well as they» ( Elements of Law, II, vii, 11, ed. Ferdinand Tön-
nies, Simpkin, Marshall and Co., London 1889, p. 167). Nel Summary di questo paragrafo,
si legge: «God speaketh to man by his vicegerents».
26. De cive, 111 Religio , cap. XV, xvii, ed. cit. p. 231 (trad. it. cit. p. ¿51).
27. De cive , III, cap, XV, xix, p. 233 (trad. it. p. 235).
28. De cive, III, cap. XVIII, xiii, pp. 291-92 (trad. it. p. 293).
33. C H X 25 (t. I p. 126 11. 9-11). Il commento suggerisce il paragone con Asclepius 6 (t.
II p. 312 sgg). ove peraltro manca il riferimento alla divinità. Più calzante il rinvio a Heracl.,
fr. 62 Diels. Altri riferimenti in W. Scott, Hermetica , voli. 4 (completato da A.S. Ferguson):
t. II, p. 284 n. 2. Il passo sarà poi da mettere in parallelo con C H X 24 (t. I p. 125 1. 16 - p.
126 1. 2) ove si afferma che l'uomo è un «vivente divino» (Çépov...' 0£Îov) da paragonare non
agli altri viventi, ma agli dèi, perfino superiore o quanto meno eguale a loro. In C H XII 1
Ermete ricorda a Tat che il buon demone (Agathodemon) ha chiamato gli dei «uomini im-
mortali» (oc0aváxo')ç < àv0pcÓ7ioDç >) e gli uomini «dei mortali» (0£oi)ç Ovrixoúç) e questo
proprio per il carattere divino dell'intelletto, mediante il quale alcuni uomini «sono dèi e la
loro umanità si avvicina alla divinità» (8io Kaí xiveç xa>v ávOpamcov 0eoí eiai, rní t1 oròxéov
òcv0pco7uÓTriç éyyuç éaxi xflç Geóxrjxoç) (t..I p. 174, 1. 8-12). Per un'analisi di C H X 24-25
cfr. l'opera classica di A. J. Festugière, La révélation d'Hermès Trismégiste , 4 volumi, Ga-
balda, Paris 1949-1954: vol. I, p. 316 e vol. IV, p. 127 nota 1, ove peraltro Festugière liqui-
da la formula del dio mortale come banale: «Cela encore sent l'école: le bon élève croit avoir
trouvé quelque vérité profonde, qui n'est au fond qu'un emploi abusif des mots». Sulla tra-
scendenza divina nell'ermetismo, messa a confronto con le dottrine platoniche del secondo
secolo, cfr. ivi, vol. IV, pp. 92-140. Si noti che stranamente la dottrina át'Y Asclepius sulla
creazione di stautue animate è assente dall'opera del Festugière, almeno dai tre volumi (I, III
e IV) più espressamente dedicati alle dottrine ermetiche (il vol. II, com'è noto, riguarda prin-
cipalmente le filosofie stoiche: «Le dieu cosmique»). Per un quadro più generale della gnosi
ermetica si veda anche: A. J. Festugière, Hermétisme et mystique païenne , Aubier Montaigne,
Paris 1967, soprattutto cap. I e Edouard Des Places SJ, Syngeneia. La parente de l'homme
avec Dieu d'Homère à la Patristique , Klincksieck, Paris 1964 (p. 167 sulla divinizzazione -
dell'uomo nei testi ermetici, con rif. soprattutto a OH VIII 5 e X 22). La Yates (G. Bruno ...
cit.) ha sottolineato l'importanza del tema teurgico veicolato dall' Asclepius, ma non ha appa-
rentemente notato il rilievo assunto dal tema del «dio mortale».
34. È interessante riportare la traduzione del contesto antecedente a questa conclusione
lapidaria: «Homo enim divinum animal est. Ñeque cum brutis animalibus comparetur, eo-
rum quae in terra sunt. Sed ijs qui sursum in coelo dicuntur Dij. Vel potius si debet auden-
tius dici verum: etiam superior illis est, qui uere est homo, vel omnino aequipollentem sibi
inuicem. Nemo enim coelestium in terram descendet, terminos coeli relinquens. Homo uero
etiam in coelum ascendit, & illud metitur. Et nouit, quae non eius sunt sublimia, & quae in-
fera. Et omnia alia exacte discit. Et quod omnium maius est, neque terram relinquens sursus
fit. Tanta est eius magnitudo naturae. Ideo audendum est...» ( Hermetis Trismegisti Libelli
integri XX. Et fragmenta. Asclepii eius discipuli libelli III. A Francisco Patricio locis plu-
squam mille emendati. Ferrariae, Ex Typographia Benedicti Mammarelli, 1591, p. 12 r.).
Per la traduzione ficiniana cfr. Mercurii Trisme gisti Liber de Potestate et Sapientia Dei , cui
titulus Pimander Marsilio Ficino Fiorentino Interprete , in Opera cit., t. II p. 1849: «Qua-
mobrem audendum est dicere, hominem quidem terrenum, Deum esse mortalem: Deum
vero cœlestem, immortalem hominem».
35. CHX22 (t. Ip. 124 ).
36. Asclepius 6 (t. II pp. 301-302).
37. Asclepius 6 (t. II p. 301 11. 18 sgg.). Cfr. anche p. 302 11. 10-12: «sic ergo feliciore
loco medietatis est positus, ut, quae infra se sunt, diligat, ipse a se superioribus diligatur»
38. C H I 15 (t. I p. 11 11. 19-20). Cfr. su questo stesso tema della «duplicità»: Asclepius
7 (C H t. II p. 304 1. 1 sgg.): «solum enim animai homo duplex est; et eius una pars sim-
plex, quae, ut Grace aiunt, oúaicoôriç, quam uocamus diuinae similitudinis formam». Cfr.
ibid. 8 (p. 305 1. 15).
39. Commento all' Asclepius, in Ficini Opera cit., t. II, p. 1860.
40. M. Ficino, Theologia platonica , XIII, iii (nell'edizione a cura di Raymond Marcel,
Théologie platonicienne ou l'immortalité des âmes , 3 voll., Les Belles Lettres, Paris 1964-
1970, vol. II, p. 225). Per Ficino le capacità tecniche e teoretiche dell'uomo attestano la sua
immortalità (si tratta del terzo segno della medesima, come recita il tit. del cap. iii: «Ter-
tium signum. Ab artium et gubernationis industria», vol. II, p. 223 sgg.) e anche la sua par-
tecipazione alla natura divina: «Similis ergo ferme vis hominis est naturae divinae, quando-
quidem homo per seipsum, id est per suum consilium atque artem regit seipsum a corpora-
lis naturae limitibus minime circumscriptum, et singula naturae altioris opera aemulatur»
(ivi, p. 224).
41. M. Ficino, Theologia platonica XIV, ii, ed. cit., vol. II, p. 246. Una pluralità di segni
attestano la natura divina dell'anima umana, come recita il titolo del cap.: «Quod anima nita-
tur Deus fieri, ostendimus signis duodecim secundum duodecim Dei dotes» (ivi, p. 246).
42. Ivi, p. 249. E continua: «Deus autem ac Dei aeternitas idem». In precedenza (XIII,
iii, vol. II, p. 225) Ficino aveva parlato più cautamente di una funzione vicaria della divinità
esercitata dall'anima nel governare gli elementi e gli animali: «Vicem gerit Dei qui omnia
elementa habitat colitque omnia, et terrae praesens non abest ab aethere». E poco oltre:
«Qui tot tantisque in rebus corpori dominatur et immortalis Dei gerit vicem est proculdubio
immortalis» (ibidem).
43. Ivi, p. 223.
44. M. Ficino, Epistolarum liber III , in Opera, cit., t. I, p. 741. Le lettera merita di es-
sere citata per esteso: «Marsilius Ficinus Iacobo Bracciolino uiro doctissimo, S. D. Triste
lupus stabulis. Triste gallinaceis uulpercula pullis, sed triste magis hominibus homo. Nam
& leo, & lupus, & uulpes est hominibus homo, sicut optimum animalium est, si usquam re-
che essa assumerà nella filosofia hobbesiana, questa ambivalenza è ben presen-
te nel commento 'ermetico' ali 'Asclepius di Lefèvre e gli conferisce un tratto
di sobrio realismo, giocando appunto sull'alternativa divinità/animalità: giac-
ché, osserva l'umanista francese, quando in luogo della «divina intelligentia»
domina nelle menti umane la sua ombra sensibile («obumbratio»), essa «mali-
tiam parit, & transformat hominem, natura quidem optimum, & diuinum ani-
mal, in naturam fere moresque bestiarum»45.
Non si può certo pensare ad un influsso diretto e immediato di queste te-
matiche ermetiche sulla filosofia di Hobbes: esse ricompaiono infatti filtrate da
una trama concettuale completamente rinnovata e caratterizzata da alcune
profonde cesure tipiche della temperie secentesca: viene infatti abbandonato il
tema metafisico della «cognatio», che doveva apparire come un lascito caduco
della metafisica platonica, è dimessa l'enfasi umanistica sulla centralità del-
l'uomo, troppo compromessa con i temi finalistici, anche se viene mantenuta
la celebrazione delle capacità conoscitive e tecniche dell'umanità; viene infine
respinta ogni ipotesi di sdoppiamento dell'umanità, in forza di quel rigoroso
corporeismo che colloca Hobbes agli antipodi del dualismo platonizzante. Ma
proprio a causa di questo approccio molto selettivo, colpisce maggiormente
che si ripresenti per così dire allo stato puro il tema della divinizzazione del-
l'uomo, sia pure di quel particolare uomo o corpo artificiale che è lo stato, in-
castonato nell'antitesi divinità/mortalità su cui risultava imperniato anche il te-
sto ermetico.
periatur, homo optimus, ita pessimum animai est homo pessimus. Prudentissimus est, mi
Braccioline, qui cautissimus. Cautissimus autem omnium, qui diligenter cauet ab homine,
sed hic opus est Lynce atque Aedippo, hic opus est Argo. Solum hominis ingenium consi-
liumque tenebit, qui semper meminerit aut nullo pacto, aut certe raro admodum difficillime-
que posse teneri».
45. Questa osservazione conclude il commento al cap. III dell' Asclepius (di Lefèvre) e
trae spunto in particolare dal brano finale in cui si distingue nell'uomo tra una parte «essen-
tialis» o divina, e una corporea o «mundana»: «Solum enim animal homo duplex est...»
(M. Ficino, Opera, cit., t. II, p. 1860). Il riferimento esatto è: Asclepius 7 (C H t. II p. 304 1.
1 sgg.). La lettera ficiniana è stata citata, in relazione al problema delle fonti dell' «homo
homini lupus» da K. Schuhmann, Francis Bacon und Hobbes ' Widmungsbrief zu De cive,
«Zeitschrift für philosophische Forschung», XXXVIII (1984), p. 179, il quale però non ha
rilevato il passo del commento pseudo-ficiniano all' Asclepius qui sopra ricordato.
divinum»49, da paragonare non agli altri esseri viventi, ma agli dèi celesti, a
cui egli risulta essere superiore, o almeno pari, se è «veramente uomo» («is,
qui vere homo est»). Accanto alla puntuale ripresa quasi filologica dei luoghi
canonici e più espliciti del Corpus ermetico, si ritrova tuttavia in Lipsio una
nota di maggiore cautela. L'autore della Physiologia si preoccupa infatti di at-
tenuare ogni volta la portata umanistica dei passi in questione: mentre sfuma il
primo asserto citando il motivo biblico della figliolanza divina dell'uomo, al
secondo (quello sul dio mortale) appone invece un commento restrittivo, casti-
gandone 1' «audacia», senza però negarne l'approssimazione al vero («Praefatur
audaciam. & siquid supra verum, non longé à vero»); per il terzo passo infine
(quello sull' «animale divino»), l'invito alla «modestia» tempera l'ambizione
ermetica che spinge a considerare Dio come «vere homo»50.
In definitiva, la prudenza lipsiana mirava a reinserire la mistica ermetica in
un contesto ebraico-cristiano: sia comprimendo il più complesso rapporto a tre
(dio-mondo-uomo) entro una relazione più diretta di discendenza dell'uomo
da Dio51, sia ancora con il derivare le prerogative eccezionali dell'uomo «à
diuino instinctu»52. Che questo elemento divino fosse in primo luogo la ragio-
ne, a Lipsio doveva risultare chiaro dalla lettura di tutte le fonti antiche, ma in
primo luogo dalla conoscenza delle fonti platoniche e neoplatoniche, secondo
un concordismo dossografico che andava dal Filebo sino a Porfirio e che aveva
il suo fulcro nel motivo del «conoscer se stessi»53. A Lipsio sembrava che in
questo centro convergesse anche la sapienza ermetica, con la sua teoria del-
l'uomo «duplex», «Vnus materialis, alter Essentialis», essendo chiaro che solo
il secondo può essere considerato «princeps alterius, ductor, & rector», in
quanto possiede «l'unico vero e proprio bene dell'uomo, la ragione»54. Dalla
49. Lipsius, Physiologia, cit., p. 146. Il passo ermetico ("ò yap avOpcorcoq Çóoóv éaxi
0eîov...") è tradotto così da Lipsio: «Homo animai est diuinum, aliisque animantibus non
confertur, sed iis qui sursum in caelo Dij dicuntur. Imo vero, si verum libere dicendum est,
etiam super illos est is, qui vere homo est: aut certe pari cum iis aestimatione»). Si tratta di
C H X 24 (t. I, p. 125 1. 16-p. 126, 1. 2). Sulla "cognatio" che unisce l'uomo agli dèi si veda
anche Asclepius, 5-6, ed. cit. t. II, pp. 300-303.
50. Lipsius, op. cit , p. 146: «Euge attollere, sed cum modestia. & pietatem ac Deum si
colis (is vere Homo est, in Mercurio) ad beatos Genios, aut supra eorum quosdam, ascen-
de».
51. Ivi, p. 146, commenta così il passo citato supra: «Imo verum si dicimus, nos Dei fi-
lij, & velut proximi ab ilio sumus».
52. Ivi, p. 146.
53. E da vedere la diss. III, iii, p. 146-49, dal titolo: «Nosce te ipsum, hoc fine vtiliter
edictum ».
54. Dopo aver citato un passo di Filone ( Quod deterius meliori insidietur) che distin-
gue all'interno dell'uomo (xò Ôupuèç Çéoov) la «parte migliore dell'anima», cioè l'intellet-
to, Lipsio prosegue: «Est profectò ita. Duplex in nobis homo, ut Termaximus ait, ò ^lèv
')ÀakÒç, ò 8è oÚGiobôriç: Vnus Materialis, alter Essentialis : atque iste vere Homo est,
princeps alterius, ductor, & rector. Mancipium est, inquam, pars altera: & homo quoque,
siquis eam colit» (Lipsius, op. cit., p. 148). Nel C H XIII 14 Ermete distingue tra l'uomo
«dissolubile» e «mortale» e la parte «indissolubile» e «immortale» (t. II p. 206 11. 13-15).
Cfr. anche C H I 15, II 4, IX 5, Asclep. 7-8.
conoscenza di sé a que
Dio non vi era, nella P
poteva anche ritrovare
ca implicazione fra um
stato su un registro fo
nouit; & in se, Deum»
co topos del Nosce te i
Hobbes, dopo essersi so
le», porrà alla base di t
to da lungo tempo», i
Dio, che in questo conte
alla costruzione della d
variabili degli appetiti
dell'umanità, «lette» d
quel particolare uomo»
Ancora un altro contes
fonti ermetiche e il pe
XIX) della Physiologia
stantia Animi». In essa
della divinizzazione de
velocità e dall'onnipre
Schuhmann - la rileva
paenè diuinitatem eius
Quid dicam? Paene vbi
tazioni classiche (Sallus
ne De finibus , Filone,
Lipsio fa un altro impor
tato XI (cap. 19-20) ch
mi più sicuri con il test
quelle prime due linee
latina utilizzata dal d
Animae tuae ilio abire,
rimè illic erit, non vt
Jube in caelum euolet
ardor, non aether, non
dens ad extremam Nat
tueri tibi licet»57. An
umanistica («Mira & m
tolinea il fatto che anc
tiae, inuentionis, mem
«vere imago ac simulac
già (come poi in Hobbes) il riferimento alla celebre frase dell' Asclepius sul-
l'uomo «magnum miraculum», ma il concetto è neHìammingo ben presente e
radicato, tanto più che la citazione ermetica poteva essere surrogata da altre di
autori diversi ma di simile tenore, come il passo di Seneca riferito dalla Phy-
siologie ove - a proposito dell' «animus» - si dice: «cui magno nihil est ma-
gnum»59.
Non è dunque affatto improbabile che, tra gli autori a lui più vicini nel tem-
po e per interessi, sia stato proprio Lipsio ad attirare l'attenzione di Hobbes
sulla pregnanza di quei due motivi ermetici (la velocità del pensiero, il dio
mortale) che si riscontrano nella sua opera. Entrambi i temi però furono sotto-
posti a notevole rielaborazione da parte del pensatore inglese, in forme di cui
non si riscontra il parallelo né in Lipsio né negli altri filosofi moderni (Ficino,
Bacone, Campanella) che sono stati evocati al riguardo. Del primo motivo (la
rapidità del pensiero e l'ascensione al cielo) Schuhmann ha sottolineato come
esso venisse prendendo nella riflessione hobbesiana un deciso carattere 'feno-
menistico'; del secondo rileveremo invece il significato 'politico', assai origi-
nale e inconsueto, che come tale non ha riscontro né nelle fonti ermetiche ori-
ginarie né nei commentatori.
Innanzitutto, anche se può apparire scontato, è necessario sottolineare il
fatto che mentre nei testi ermetici l'apoteosi passa attraverso la gnosi e l'eser-
cizio dell'intelletto, riservati di fatto a pochi 'eletti'60, nel Leviathan invece è il
detentore della sovranità, dunque colui che impersona tutti i contraenti il patto
sociale, ad acquisire i tratti del «Mortai God». La divinizzazione passa attra-
verso la politica, con il delicato processo artificiale di «generazione dello sta-
to», e non attraverso la conoscenza, o meglio quest'ultima fornisce soltanto gli
strumenti per la tecnica razionale necessaria ad elaborare la sovranità, median-
58. Il passo merita di essere citato per esteso. Lipsius, op. cit., III, xix, p. 187: «Mira &
maxima haec aestimanti sunt: quid reliquae dotes intelligentiae, inuentionis, memoriae? Pela-
gus rerum & laudum: & vere imago ac simulacrum Dei».
59. Seneca, Epist. VIII (cit. da Lipsius, op. cit., p. 187). Del resto, verso la fine della
dissertazione, Lipsio ritrova un altro passo senechiano (Epist. LXV : «quem in hoc Mundo
locum Deus obtinet, hunc in homine Animus») che commenta nel senso della funzione di-
rettiva della mente: «id est imperet regatque, colatur à nobis, & affectus, cupidines, omnia
humana domita habeat ac subiecta».
60. Trai molti passi che si potrebbero citare a proposito dell'apoteosi attraverso la gno-
si si vedano: dal Poimandres (CHI 26, t. I p. 16), ove è enunciato l'ideale di «diventare
dio» (0£co0Tļvai), 1. 12-13, prendendo parte all'immortalità mediante la conoscenza (ibi, 28
p. 17 11. 2-3). In C H IV si chiarisce che l'uomo è «un vivente mortale ornamento del vi-
vente immortale» (t. I p. 49 11. 11-12) e poiché l'intelletto non è concesso a tutti (ivi 3 p.
50), solo gli «uomini perfetti» conseguono l'immortalità (4-5 pp. 50-51).
te la stipula di patti e
sia Lipsio sia Hobbes si
plicita nel tema ermet
contesto biblico giudai
diverse dall'uno all'al
un'interpretazione più
fida piuttosto ad una pa
tolineare la subordinaz
le». Le origini prime d
conto della caduta: il p
funesto della mortalit
che dà ascolto alla pro
colare lettura del testo
mangiare dei frutti d
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stabilire il bene e il m
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Si tratta, come Hobbe
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re alla luce della teoria
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come «dio», cioè di pot
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distogliere da ogni pre
ples aveva messo in gu
buendola sì ai «daemo
parte malvagia e decad
rispetto al puro dettato
runt suum principátům, reliquisse suum domicilium, & in iudicium magni Dei uinculis
aeternis sub caligine reseruatos: qui etsi simulent se hominum amatores, minime tarnen
amant, sed ad praecipitia pertrahunt, quod à principio fecerunt: amare enim simulantes, cum
mortem hominibus intulerunt, dicebant nequaquam moriemini, sed eritis sicut dij scientes
bonum & malum» (in M. Ficino, Opera, cit., t. II, p. 1859).
64. De cive , VII, ix, p. 139 (The Latin Version, edited by Howard Warrender, Claren-
don Press, Oxford 1983) - trad. it. a cura di Tito Magri, Editori Riuniti, Roma 1979, p. 133.
65. Ivi, xvi, p. 145 (trad. it. p. 140). Per maggiori dettagli circa l'interpretazione hobbe-
siana del tema del peccato originale sia consentito rinviare a G. Paganini, Un ' allegoria teo-
logico-politica. Appunti sul peccato originale in Thomas Hobbes , di prossima pubblicazio-
ne. Sul confronto Bacon-Hobbes ha richiamato l'attenzione Jeffrey Barnouw, Bible , science
et souveraineté chez Bacon et Hobbes , «Revue de théologie et de philosophie», CXXXIII
(2001), pp. 247-265. Sulla differenza tra conoscenza della natura e principi morali verte an-
che la dottrina baconiana del peccato. Molto esplicito un passo dell' Advancement of Lear-
ning cit. da Barnouw: «As for the knowledge which induced the fall, it was [...] not the na-
tural knowledge of creatures, but the moral knowledge of good an H evil».
ricato di significati univocamente negativi: egli non riteneva che i motivi etici
costitutivi della società fossero «ricostruibili razionalmente dagli uomini» e in-
dicava anzi in questa pretesa «il vero motivo della caduta»68. Sarebbe dunque
impossibile ritrovare nei suoi scritti un'affermazione risoluta e positiva come
quella che per Hobbes stava a giustificare la piena legittimità di una conoscen-
za scientifica della politica e della morale, basata sulla loro ricostruzione artifi-
ciale da parte dell'uomo: «I principi grazie ai quali si conosce che cosa siano il
giusto e l'equo, e per contro l'ingiusto e l'iniquo, cioè le cause della giustizia,
e precisamente le leggi e i patti, li abbiamo fatti noi»69. A differenza del testo
baconiano, per Hobbes è dunque al sovrano (istitutore del giusto e dell'ingiu-
sto) che compete di assumere su di sé entrambe le conseguenze della situazio-
ne instaurata con il mangiare del frutto dell'albero del bene e e del male: quel-
la di essere come dio, pur venendo ad essere nel contempo mortale. Questa
pretesa, condannabile nei primogenitori che vivevano sotto il regno naturale di
Dio, diventa invece inevitabile e anzi lodevole dopo che Dio si è ritratto dalla
storia umana, almeno nei suoi attributi di monarca politico, per lasciare che gli
uomini costruiscano le loro società artificiali.
Sarebbe alquanto difficile trovare teorie propriamente 'politiche' all'interno
del Corpus Hermeticum , così come risulterebbe vano cercarvi paralleli all'in-
terpretazione hobbesiana del peccato originale: quest'ultimo continua ad esse-
re, per gli scrittori ermetici, il risultato di una caduta legata al vizio dell'igno-
ranza e alla contaminazione del corpo70, mentre per quel che riguarda gli spun-
ti lato sensu politici non si va molto al di là della stilizzazione della divinità
del monarca («il re è l'ultimo degli dèi in genere, ma il primo degli uomini»),
in linea con le concezioni egizie e tolemaiche della sovranità71. Si deve dunque
68. U. Pagallo, op. cit., p. 165-66. Si noti che Pagallo cita YAsclepius tra le fonti possi-
bili dell' «homo homini deus» (ivi, p. 346). Sulla figura del «mago» come essere semidivi-
no, erede dell'apoteosi ermetica, in Pico, Ficino, Patrizi e soprattutto Bruno sono da vedere
le osservazioni di F. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, cit., pp. 81 sgg., 129
sgg., 205 sgg., 221 sgg.; ma non meno importanti sono i commenti di E. Garin, Medioevo e
Rinascimento , Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 151-52, 163.
69. De Homine X, 5 (OL II p. 94): «Praeterea politica et ethica, id est scientia justi et
injusti, œqui et iniqui , demonstran a priore potest; propterea quod principia, quibus justum
et aequum et contra, injustum et iniquum , quid sint, cognoscitur, id est justitiae causas, ni-
mirum leges et pacta, ipsi fecimus».
70. Vedi ad es. il passo assai eloquente di C H X 15 (t. I p. 120), ma l'idea naturalmen-
te è molto diffusa in tutto il Corpus.
71. Vedi ad es. il fragm. XXIV 3 (t. IV p. 53). Sarebbe interessante forse prendere in
esame la descrizione dello stato di violenta anarchia in cui precipita il mondo in seguito al
diffondersi dell' «ignoranza» del bene e del vero. Questo stato è descritto nella c.d. Kore
Kosmou ed è seguito dall'intervento provvidenziale di Iside e Osiride che svolgono un'ope-
ra civilizzatrice ponendo fine allo «stato selvaggio di uccisioni reciproche». Essi introduco-
no gli uomini anche alla conoscenza del «grandissimo dio il Giuramento» (C H XXIII 53
sgg. - 1. IV pp. 18 sgg.). La Yates ha messo in relazione il programma 'politico' dell'erme-
tismo con la corrente utopistica: dall'accenno (contenuto mWAsclepius) alla fondazione di
una nuova città solare all'estremo confine d'Egitto, alla raffigurazione della città magica
a Hobbes il merito di av
'dio mortale', marcand
alle fonti antiche quann
na compagnia (Ficino, B
legiare il filone più ot
gnostiche presenti nell
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la metafora ricollega, at
visti, il 0eòç 0VT1TÓÇ d
(Adocentyn) contenuta in
(cfr. Yates, G. Bruno cit.,
72. Nel senso di un marc
dualismo ricorrente nelle t