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Filosofia (1984-)
di Marialuisa Lussu
A tentare di risolv
premesse e la loro
sono indirizzate le
Hobbes
1 . Hobbes afferma che «la scienza [delle leggi di natura] è la vera e sola filosofia mora-
le» ( Leviathan , or the Matter , Form, and Power of a Commonwealth Ecclesiastical and Ci-
vil , 1651, in The English Works of Thomas Hobbes , a cura di W. Molesworth, London 1839,
reprint Scientia Aalen 1962, vol. III, p. 146, trad. it. a cura di M. Vinciguerra (che utilizza
l'edizione A. Crooke, London 1651) con introduzione di A. Pacchi, Laterza, Roma-Bari
1974, p. 140); ma anche: «non possono avere alcuna scienza morale quelli che considerano
gli uomini per sé e come fuori della società civile, per la mancanza di una determinata misu-
ra con la quale si possono valutare e definire la virtù e il vizio» (Elementorum Philosophiae
Sectio secunda De homine , 1658, in Th. Hobbes, Opera Philosophica , a cura di W. Mole-
sworth, London 1839-45, reprint Scientia Aalen 1961, II vol., p. 116, trad. it. a cura di A.
Negri in Elementi di filosofia* Il corpo. L'uomo , Utet, Torino 1972, pp. 615-6). Si vedano
inoltre: Elementorum Philosophiae Sectio tertia De cive , 1642, 1647, in Opera Philosophica ,
cit., II vol., pp. 164-5 (per la traduzione italiana utilizzerò Hobbes, Opere politiche , a cura di
N. Bobbio, Utet, Torino 1948, 1959, 1971); Leviathan , p. 41; De homine , pp. 94-8.
di cui due sono gli oggetti principalissimi: l'uno il potere degli spiriti invisibili, l'altro il
potere di quegli uomini, che ne saranno offesi. Di questi due oggetti, benché il primo sia
di un potere più grande, pure il secondo incute un più grande timore. Il timore del primo
è, per ogni uomo, la sua religione, che ha luogo nella natura umana prima che la società
civile; non così l'altro [...]. Sicché prima che si costituisca la società civile, o in un'in-
terruzione di essa, cagionata da una guerra, non vi è nulla, che possa dar forza ad un
patto di pace contro le tentazioni dell'avarizia, dell'ambizione, della concupiscenza o di
altro forte desiderio, se non il timore di un potere invisibile, che ognuno venera come
Dio, e teme come un vendicatore della propria perfìdia ( Leviathan , p. 129, tr. it. p. 124).
In sostanza, per c
leggi giudicando u
Hobbes li qualific
gione sia attraverso
definire la condiz
primi non sono su
dentemente, si trat
mite scritturale d
credenti quanto a
gno puramente na
tami della retta ra
ma facilmente spi
le leggi di natura s
spetto alla definiz
gione. E quindi se
per la filosofia po
implicito per esem
der5, l'obbligazion
3. Leviathan , p. 147,
337.
4. «In quanto è comune a tutti la natura razionale» scrive Hobbes «questo regno è uni-
versale», ma precisa: «cioè diretto a tutti quelli che riconoscono la potenza divina» {De
cive , pp. 333-4, trad. it. p. 290).
5. Secondo A.E. Taylor ( The Ethical Doctrine of Hobbes, 1938, in K.C. Brown, a cura
di, Hobbes Studies , Blackwell, Oxford 1965) la filosofia morale di Hobbes non ha connes-
sione logica necessaria con la sua psicologia egoistica, ma è una vera e propria deontologia
analoga alla morale kantiana; l'obbligazione ad agire da buon cittadino non è creata dal so-
vrano insieme alle leggi civili; è invece un'obbligazione morale ed eterna all'equità basata
sul carattere imperativo della legge di natura, precedente e fondante l'obbligazione alla giu-
stizia; e la normatività di tale legge è a sua volta fondata sul suo essere comando di Dio;
dunque «A certain kind of theism is absolutely necessary to make the theory work» (p. 50).
Per quanto prenda le distanze da Taylor con vari distinguo , H. Warrender ( The Politicai
8. È l'interpretazion
Press, Oxford 1964) s
rità coglibile con la r
velate come comandi d
losofia civile di Hobb
la concezione di una
morale-religioso che,
cipi naturali. Dietro l
ne costituisce la migli
pensa esclusivamente
traditional doctrine o
gnity» (p. 253). Ques
sole cause seconde, c
dunque su presuppost
perniata su concetti f
obbligante per defini
quanto artificiali, «ra
mente reale sul quale
ta nelle Scritture cfr.
le tra legge dichiarat
vece il precetto crist
Se è l'immagine "l
autentico e origina
nizione di leggi di
ogni fondamento r
condivisibile l'inter
hobbesiano, afferm
porta a concludere
Malmesbury tra ate
ciò hanno dato vita
cesso razionalment
delle sanzioni. In qu
non certo secondar
l'ateo, intendendola
Si è dunque tornat
dell'opportunità di
so, evitando cioè di
del suo discorso poli
di quelle di Warrend
carattere di tentat
inevitabilmente a "
gazione della tesi h
gli stessi Warrender
Infatti, a fronte d
discutibilmente la
senza bisogno di a
di posizione sull'at
giustificazione. Qu
Hobbes filosofo la
ligiose, pienament
del suo tempo, or
pur sempre ampia
Dopo aver interpr
pera politica hobbe
la problematica re
ligioso al problem
con felice immagin
"liberale" piuttosto c
(Thomas Hobbes. Lebe
Stuttgart 1971, pp. 2
l'interpretazione «sta
una sorta di dialettica dell'individualismo che culminerebbe nell'idea di stato assoluto e di
sovrano, insieme individuo e superamento degli individui) rinvenendo in Hobbes una chia-
ra dottrina dei diritti dell'individuo. Schmitt, lungo tutto l'arco della sua riflessione sul Le-
viathan (1938-65), tenendo ferma l'idea del "leviatano" come meccanismo tecnicamente
perfetto di comando (Scritti su Thomas Hobbes , cit., p. 96), contesta ogni lettura in chiave
totalitaria, originata dal fraintendimento - forse inevitabile data la sua forza di impatto -
dell'immagine mitica del "leviatano", e sottolinea la presenza, nel pensiero politico hobbe-
siano, di una dimensione di libertà individualistica (p. 176); che poi Schmitt veda nella ri-
serva individualistica della libertà interiore di credere, avanzata da Hobbes, il seme del si-
stema costituzionale liberale, cioè la rovina del "leviatano" come sistema basato sulla rela-
zione tra protezione e obbedienza (pp. 104 sgg., 121-4, 129), è questione che riguarda evi-
dentemente le scelte politiche e ideologiche dello studioso. Il secondo esempio concerne in-
vece la possibilità di leggere Hobbes come giusnaturalista e come positivista giuridico in-
sieme. È quanto fa Bobbio il quale, attraverso una sottile analisi del valore del giusnaturali-
smo per Hobbes (Legge naturale e legge civile , cit.), integrata e corretta più tardi (Hobbes e
il giusnaturalismo , cit.) da una ricerca sul carattere plurale del fenomeno "giusnaturalismo"
e quindi sulla peculiarità di quello hobbesiano, definisce il filosofo un positivista giuridico
per inclinazione mentale e ragionamento, un giusnaturalista per necessità (in Da Hobbes a
Marx r cit., p. 42). Sulla specificità del giusnaturalismo di Hobbes e sulla possibilità insieme
di trovare nelle sue posizioni le basi del giuspositivismo si veda anche A. Loche, Diritto e
legge in Hobbes , in G. Solinas et alii, Studi di filosofia e di storia della cultura , Pubblica-
zioni dell'istituto di filosofia della facoltà di lettere dell'Università di Cagliari, Gallizzi,
Sassari 1978; sulla 'novità' del giusnaturalismo hobbesiano, rispetto per esempio a quello
graziano, tenendo conto soprattutto del Leviathan , cfr. invece Magri (cit., pp. 19 sgg., 28
sgg-)-
16. Cfr. A. Pacchi, Introduzione a Hobbes , Laterza, Roma-Bari 1971, 1979, pp. 45-6;
Hobbes e la teologia , in A. Napoli, a cura di, Hobbes oggi , con la collaborazione di G. Can-
ziani, prefazione di M. Dal Pra, Atti del convegno internazionale di studi, Milano-Locarno
1988, F. Angeli, Milano 1990, p. 107.
Locke
17. Né possono costituire il punto di partenza per un discorso sulle convinzioni per-
sonali in tema di fede religiosa dell '«ateo virtuoso» Hobbes, come per primo lo definì
Shaftesbury. È sufficiente accennare al fatto che, rispetto a W.B. Glover ( God and Tho-
mas Hobbes , 1960, in Brown, cit.) che attua una strenua difesa del filosofo dalle accuse
di ateismo e, dalla parte opposta, rispetto a Strauss - per tacere di Polin - che rintraccia in
Hobbes un progressivo allontanamento dalla tradizione teologica e dalla religione natura-
le fino a una decisa miscredenza, e a B. Willey ( The Seventeenth Century Background.
Studies in the Thought of the Age in Relation to Poetry and Religion , Chatto and Windus,
London 1934, 19679, trad. it. in La cultura inglese del seicento e del settecento , Il Muli-
no, Bologna 1975, pp. 114 sgg.) che dipinge Hobbes sostanzialmente come un non cre-
dente, Bobbio (introduzione a Hobbes, Opere politiche , cit.) e Pacchi {Hobbes e la teolo-
gia , cit.) propongono interpretazioni molto più equilibrate ed attendibili.
la credenza in una di
culative, perché è il f
e le azioni degli uom
verso da una delle pi
siasi forma di società18.
Non devono essere assolutamente tollerati quelli che negano che ci sia una divinità. In-
fatti né una promessa, né un patto, né un giuramento, tutte cose che costituiscono i le-
gami della società, di un ateo possono costituire qualcosa di stabile o di sacro; elimi-
nato Dio, anche solo con il pensiero, tutte queste cose si dissolvono. Inoltre non può
invocare nessun diritto alla tolleranza in nome della religione chi, con l'ateismo, elimi-
na completamente ogni religione19.
L'ateo dunque, in quanto ateo, vale a dire in quanto privo, secondo Locke,
di ciò che fonda e indirizza la vita morale e insieme garantisce la base e la sta-
bilità della vita sociale, in linea di principio è un individuo amorale e asociale.
Egli inoltre non può rivendicare il diritto alla tolleranza, dal quale è infatti au-
tomaticamente escluso perché privo del requisito religioso soltanto in nome
del quale questo diritto può essere fatto valere20. Né Locke potrebbe addurre
per l'ateo, fermo restando il giudizio negativo sullo status delle sue credenze,
18. Essay concerning Toleration , 1667 (pubblicato da H. R. Fox Bourne nel 1876), in
Scritti editi e inediti sulla tolleranza , a cura di C.A. Viano, Taylor, Torino 1961 (sulla base
di un manoscritto posteriore a quello pubblicato nel 1876 e che, a parere del curatore, è la
versione più tarda de'V Essay), p. 86, trad. it. in op. cit., p. 223 (poi riveduta e ristampata in
Locke, Sulla tolleranza , Laterza, Roma-Bari 1989).
19. Epistola de tolerantia (A Letter concerning Toleration ), 1685-6, pubbl. 1689, in The
Works of John Locke , a cura di Th. Tegg, London 1823, Scientia Aalen 1963, vol. VI, p. 47,
trad. it. in Scritti editi e inediti sulla tolleranza , cit., p. 142 (poi riveduta e ristampata in
Locke, Sulla tolleranza , cit.). La posizione negativa nei confronti degli atei viene ribadita
da Locke in A third letter for Toleration, 1692, in The Works , cit., vol. VI, p. 415; viene poi
accentuata in apertura di A Vindication of " The Reasonableness of Christianity", 1695, in
The Works , cit., vol. VII, p. 161. Sullo sviluppo delle riflessioni lockiane in tema di tolle-
ranza cfr. Viano, Locke , con un'antologia di testi, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 15 sgg.
20. L'intolleranza verso gli atei si trova precedentemente ben teorizzata in Utopia di
Th. More che pure difende un'estrema tolleranza con motivazioni di ordine politico (garan-
tire la pace fra i cittadini e conseguentemente la loro unità contro i nemici esterni) e di or-
dine religioso (favorire l'affermarsi della vera religione e piegarsi al volere divino nel qua-
le forse rientra la molteplicità dei culti); cfr. De optimo reipublicae statu deque nova insula
Utopia , Lovanio 1516, trad. it. a cura di T. Fiore, Bari 1942, con introduzione di M. Isnardi
Parente, Laterza, Roma-Bari 1993, pp. 117 sgg.
Che gli uomini debbano mantenere i patti è certamente una delle regole maggiori e in-
contestabili della morale, ma se domandate a un cristiano che crede all'esistenza di fe-
licità e sofferenza nell'altra vita, perché un uomo debba tenere la sua parola, egli darà
questa ragione: che Dio, che è l'arbitro della vita eterna e della morte, ce lo comanda.
Ma un discepolo di Hobbes, al quale venisse fatta la stessa domanda, vi direbbe che il
pubblico vuole così, che il Leviatano vi punirà se fate il contrario. Infine un filosofo
pagano avrebbe risposto a questa domanda, che violare la propria promessa significa
fare cosa disonesta, indegna della dignità dell'uomo, e contraria alla virtù, la quale in-
nalza la natura umana al punto più alto di perfezione cui sia in grado di giungere (I, pp.
37-8, tr. it. pp. 51-2).
Esistono dunque, come più avanti Locke specifica (II, pp. 98 sgg.), tre spe-
cie di leggi morali (divina, civile, filosofica o della reputazione) e conseguen-
temente tre tipi di sanzioni (ultraterrene, politiche, sociali) e tre classi di beni e
mali morali (dovere e peccato, innocenza e delitto, virtù e vizio) non necessa-
riamente coincidenti. Secondo questo schema di ragionamento Locke avrebbe
potuto e dovuto riconoscere all'ateo sia la possibilità di essere virtuoso in
quanto capace di accettare la «law of opinion or reputation» per il timore della
riprovazione altrui, sia la possibilità di mantenere i patti ed essere «innocent»
in quanto capace di accettare l'insegnamento degli antichi filosofi o in quanto
soggetto alla paura delle sanzioni politiche. Che questa impostazione richie-
desse l'ammissione per lo meno di una non contradditorietà tra ateismo e vita
sociale è provato inoltre da un passo del Saggio sulla tolleranza dove è già ab-
bozzata la distinzione fra le tre classi di leggi morali e soprattutto è ben defini-
to il fondamento utilitario della virtù:
21 .An Essay concerning Human Understanding , 1689, 17004, in The Works , cit. (voll.
I, II, III), I, p. 35, trad. it. a cura di C. Pellizzi e G. Farina (che utilizzano l'edizione A.
Campbell Frazer, Oxford 1894, poi P.H. Nidditch, Oxford 1975) con introduzione di C.A.
Viano, Laterza, Roma-Bari 1988, p. 50.
Il magistrato [...] no
[...] riceve il proprio
ti in società, [...] il m
bligano le coscienze
vantaggiose ai rappo
gami e vincoli di ass
Quindi - si badi b
passo, in cui il mag
le religiosa, in qua
stato teorizzata nei
tati sul governo ,
quanto potere inte
premessa importan
ambito sociale.
Tuttavia, ad una lettura più attenta, il fatto che Locke non abbia tratto que-
ste conseguenze e abbia invece optato per una risposta categoricamente negati-
va intorno alla moralità e alla socialità dell'ateo non rappresenta una "devia-
zione". Al contrario, è perfettamente in linea con l'impostazione generale del-
la sua filosofia che prende le mosse dall'identificazione della legge di natura
con la volontà divina e non abbandona mai questo presupposto, neppure in
quegli scritti dove sembra maggiormente discostarsene. La minore insistenza
su di esso infatti è solo il segno che su Locke premono ora altri problemi: il
presupposto perciò resta sullo sfondo, come qualcosa di acquisito sul quale
non sembra più necessario soffermarsi, ma che traspare, come si vedrà, attra-
verso alcuni motivi.
Nei Saggi sulla legge naturale , scritti tra il 1660 e il 1664, la legge di natu-
ra, intesa come regola di condotta morale, è una «disposizione della volontà
divina» che «la ragione, più che istituire [...] ricerca e [...] ritrova [...] senza es-
serne dunque autore, bensì interprete»; questa legge misura quindi un bene e
un male, una virtù e un vizio «per natura» e fonda l'obbligatorietà del potere e
delle leggi civili; essa a sua volta trae la propria forza obbligante da Dio per-
ché egli ha «su di noi diritto e potere» e «siamo tenuti a prestare obbedienza al
comando della sua volontà»; e inoltre perché non è «irragionevole compiere
ciò che è stato deciso da un essere onnisciente e sapiente in grado sommo»23.
Questa impostazione "religiosa" resta sostanzialmente immutata nelle altre
opere e tende anzi ad accentuarsi nell'ultima fase della produzione lockiana.
22. Cfr. Saggio sulla tolleranza , pp. 95-6; Epistola , pp. 46-7; Two Treatises of Govern-
ment, 1690, in The Works , cit., vol. V, pp. 417, 463 (per la traduzione italiana si utilizzerà
quella a cura di L. Pareyson,* Utet, Torino 1948, 1960, 1968). .
23. Essays on the Law of Nature, 1660-4, a cura di W. von Ley den, Oxford 1954, pp.
110, 114, 118, 182, 186, 188, trad. it. a cura di M. Cristiani con introduzione di G. Bede-
schi, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 5, 8, 1 1, 57, 60, 61.
il vero fondamento della morale [...] non può essere altra cosa se non la volontà e la
legge di Dio, il quale vede gli uomini anche nell' oscurità, tiene nelle sue mani le pene
e le ricompense, ed ha potere sufficiente per chiamare alla resa dei conti anche i più or-
gogliosi peccatori. [...] Dio [...] [infatti ha] messo un legame indissolubile fra la virtù
e la pubblica felicità, e [...] [ha] reso la pratica della virtù necessaria alla conservazio-
La concezione dei
nell'opera maggior
morale, assente nel
Dio che attua il lega
C'è infine da tener
va che Locke ritien
turale come scienz
Ebbene, tale moral
stessi come creatu
finito nella sua po
dipendiamo»30.
Se il fondamento
immortalità dell'
umana (II, p. 360)
di necessario il ri
teo, al di là della
na cittadinanza n
cezione sociale de
Il pensiero di Loc
separa "laici" e "r
punto fisso ma si
al punto di vista d
ta posizione di un
versi e quindi alt
spetto a quella or
di Locke potesse es
lutazione delle ve
anche, benché no
rità. E non è un c
ritorno agli inter
anzi affinati dura
riflessioni condott
Per Locke insom
"di troppo", un c
gione razionale, o
torizzato da quell
perciò salvaguard
dalle incrostazioni
fede e ragione, tr
stessa convinzione
ducendo Y above Re
Ciò, oltre a consen
tanti deisti, nello s
dei pensatori che, a
loro tematiche, si
parere, è storicam
derstanding», «Lar
usare le parole di S
zioni per le quali l
dente con la prim
equilibrio instabile3
te al caso di Locke
re una filosofia po
ta religiosa. Al di
se indubbiamente i
tolleranza nei conf
universo di pensie
ti lockiani), Giappich
esclusivamente in ch
John Locke , Cambri
37. È un'opinione, qu
M. Rossi, risalente al
Italia, Firenze (cfr. in
laneous Reflections o
racteristicks of Men
vol. Ill, pp. 305-6.