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Il voto religioso

«Con i voti o altri impegni sacri simili ai voti secondo il modo loro proprio, il fedele si obbliga
all’osservanza dei tre predetti consigli evangelici; egli si dona totalmente a Dio amato al di sopra di
tutto»1. Lo sviluppo delle varie forme di vita consacrata, soprattutto nella Chiesa latina, ha portato
alla professione dei consigli mediante l’emissione dei voti religiosi. Concludendo la prima sezione
di questo testo ci chiediamo come intendere il voto e di esso che cosa sia veramente essenziale.

1. Il dato biblico
L’Antico Testamento conosce il concetto di voto come offerta a Dio di un sacrificio o di se stessi
come nazir. Il termine usato in questi casi è ‫ נֶדֶ ר‬che esprime una promessa solenne rivolta a Dio2. La
versione greca dei Settanta traduce normalmente con εὐχή (il cui senso primo è la preghiera), ma
talvolta anche con ὁμολογία (confessione).
Il Nuovo Testamento, però, non conosce nulla di tutto questo. Gli Atti degli Apostoli (18,18)
raccontano che Paolo si fece radere il capo per un voto (εὐχή) che aveva fatto, probabilmente come
nazir, e di quattro uomini che avevano emesso il medesimo voto per i quali egli paga le spese
(21,23-26). Questi sono i due unici casi in cui il termine è usato nel senso di voto3 e si tratta di usi e
riti veterotestamentari. Non esiste nulla di simile nel messaggio evangelico.

2. L’introduzione dei voti nella vita religiosa


Nei primi tempi la vita monastica non conosceva niente di paragonabile al voto. L’inizio della vita
come monaco si manifestava nella cessione dei beni e nell’allontanamento dalla città, verso il
deserto. Ricevere l’abito ne diviene il segno esterno4.
Presto si avvertì il bisogno di un periodo di prova. Nei Precetti di Pacomio si stabilisce che chi
chieda di essere ammesso nel monastero debba essere esaminato per un tempo e solo dopo,
«ammaestrato e trovato perfetto in ogni opera buona, sia unito ai fratelli. Lo spoglieranno allora
degli abiti secolari e lo vestiranno dell’abito dei monaci»5. Nei giorni di prova l’aspirante monaco
era informato di ciò che comportava la vestizione per conoscerne le disposizioni. Chi chiedeva di
ricevere l’abito sapeva, perciò, di impegnare la sua vita. Tutto questo, però, non si può ancora
considerare una vera professione.
Le Regole diffuse di Basilio parlano, invece, esplicitamente di confessione (ὁμολογία) di verginità
da parte del monaco6. Lo stesso Basilio considera che questa è una innovazione7.
Guardando alla tradizione occidentale vi incontriamo una certa evoluzione, sebbene molto graduale.
Agostino ha usato il concetto di voto varie volte nelle sue opere, ma non nella regola. La Regola del
Maestro prescrive che, al termine del periodo di prova, il nuovo monaco dichiari dinanzi all’abate e
alla comunità: «Voglio servire Dio nel tuo monastero, secondo la disciplina della regola che mi è
stata letta […] È cosa che prima di tutto piace a Dio, quindi anche a me»8. Qui è prevista una
dichiarazione pubblica con l’impegno a vivere secondo la Regola, ma ancora non si parla di voti.
Benedetto, come già abbiamo visto, stabilisce che chi debba essere accolto «in oratorio, davanti a
tutti, prometta la propria stabilità, vita di conversione nei costumi e obbedienza»9. Il verbo che qui
viene utilizzato (promittere) si avvicina al concetto di voto, ma non ha ancora tutta la forza

1
LG, 44.
2
Cf. O. KAISER, ‫נָדַ ר‬, in GLAT, 5, 642-659.
3
Cf. H. GREEVEN, εὔχομαι, in GLNT, 3, 1214-1216.
4
Cf. J. M. LOZANO, La sequela di Cristo. Teologia storico-sistematica della vita religiosa, Ancora, Milano 1981,
290. Sull’evoluzione storica oltre a questo testo (288-305) vedi M. J. SEDANO, Voti religiosi. 1. Storia, in A.
APARICIO RODRÍGUEZ-J. M. CANALS CASAS (dirr.), Dizionario teologico della Vita Consacrata, Ancora, Milano
1994, 1922-1936.
5
Precetti, 49, in PACOMIO E I SUOI DISCEPOLI, Regole e scritti, Qiqajon, Magnano 1988, 73. [PL 73,23].
6
BASILIO DI CESAREA, Regole diffuse, in ID, Le Regole, Qiqajon, Magnano 1993, 129.
7
Cf. J. M. LOZANO, La sequela di Cristo…, 298-299.
8
Regola del Maestro, 89,8.10, I, Paideia, Brescia 1995, 169.
9
RB 58,17.
dell’impegno sacro e inviolabile che il termine votum aveva nel diritto romano. Una cosa, invece, le
diverse tradizioni monastiche hanno sviluppato in modo sostanzialmente concorde, cioè la duplice
dimensione dell’impegno assunto dal monaco: nei confronti della comunità che lo accoglie e di cui
si impegna a rispettare la regola, ma prima ancora nei confronti di Dio nel suo cammino di
conversione.
È nel medioevo che l’impegno della vita monastica assume la configurazione di voto. L’idea è già
sviluppata in Bernardo:
«La Regola di san Benedetto è proposta ad ogni uomo, e non è imposta a nessuno. Se è un bene
accettarla e osservarla devotamente, non accettarla, tuttavia, non è un male. Ciò che appartiene alla
volontà di chi accetta, senza essere in potere di chi propone, non si può evidentemente definire
obbligatorio, ma volontario. Nondimeno, quando uno si è impegnato, di sua propria volontà, a
mantenere, da un momento in poi questa stessa promessa volontaria, la trasforma, per sé, in qualcosa
di obbligatorio, non avendo più la libertà di venire meno a ciò che precedentemente, tuttavia, era
libero di non accettare. Manterrà quindi, di necessità, quanto di sua volontà ha accettato, perché
strettamente obbligatorio osservare i voti che formularono le sue labbra, per condannarsi o salvarsi,
ormai, con la sua stessa voce»10.
L’impegno assunto liberamente fa sì che quanto era solo proposto alla libera decisione divenga
obbligatorio per il monaco. Bernardo qui usa il concetto di voto con tutta la sua forza di impegno
sacro. Per il monaco la fedeltà a quanto ha promesso con il voto non è solo decisiva per la sua
permanenza nel monastero, ma lo è anche per la sua salvezza eterna.
Tommaso d’Aquino si incontra già con la consuetudine che i religiosi emettano un voto. Egli
applica questo in modo coerente alla sua visione dello stato religioso affermando che
specificamente la povertà, la continenza e l’obbedienza siano assunti tramite il voto. La professione
dei consigli evangelici, infatti, deve essere l’offerta di tutta la vita, «ma l’uomo non può offrire a
Dio tutta la vita in atto, perché non è tutta contemporaneamente, ma si svolge in fasi successive.
Perciò l’uomo non può offrire a Dio tutta la vita se non tramite il voto»11. Il voto, ormai, è diventato
parte fondamentale della vita religiosa, ma anche per Tommaso l’elemento veramente essenziale è
l’offerta della vita a Dio.

3. Gli elementi essenziali


Il percorso storico che abbiamo richiamato ci può aiutare a cogliere ciò che è veramente essenziale
nella tradizione che ha portato a professare i cosiddetti consigli evangelici tramite l’emissione di
voti pubblici. Questo non può essere il voto in quanto tale, un concetto, come si è visto estraneo al
Nuovo Testamento. Sembra, anzi, di poter dire che l’assunzione di questo concetto romano, sia pure
adattato alle esigenze della vita monastica, abbia contribuito ad aumentare attorno allo “stato
religioso” un’aura di sacralità che non si può giustificare con il dato evangelico.
Ciò che è veramente importante, e che si trova nella tradizione monastica molto prima che si
pensasse di usare la categoria del voto, è che l’impegno di vita assunto è contemporaneamente verso
Dio e verso la comunità. È Dio che chiama e a lui si offre la vita; vi è l’impegno a vivere in una
comunità concreta che accoglie e accompagna. Si tratta certamente di un impegno religioso ed
ecclesiale al tempo stesso12.
In questa prospettiva si è mosso il Concilio Vaticano II quando, accanto ai voti, parla di «altri
impegni sacri» (alia sacra ligamina)13 ed ugualmente il rinnovamento del Codice di Diritto
Canonico, eliminando ogni distinzione tra voti solenni e semplici. L’elemento fondante non è la
forma giuridica del voto, ma l’impegno nella sequela, nella conversione, reso pubblicamente
dinanzi alla comunità che accoglie e verso la quale ugualmente ci si obbliga.

10
BERNARDO, Il precetto e la dispensa, I, 2, in ID., Trattati, (= Opere di San Bernardo 1), Scriptorium Claravallense,
Milano 1984, 506.507.
11
STh II-II, q. 186, a. 6, ad 2.
12
Cf. J. M. LOZANO, La sequela…, 309-316.
13
LG, 44.

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