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I LUOGHI DELL’ESPERIENZA A VILLA GIULIA

I Introduzione

'Qui a Roma, avevo


sempre qualche
occupazione come il
visitare le antichità e le
vigne, le quali sono
giardini e luoghi di delizie
d’una singolare amenità.
(…) Fra le più belle vi
sono quelle di Papa
Giulio.’

Michel De Montaigne,
Journal du Voyage de
Michel de Montaigne en
Italie, par la Suisse et
l’Allemagne, en 1580 et
1581.

Villa Giulia (Figura 1), proprietà della famiglia del Monte dal 1519, sorgeva lungo via
Flaminia, l’antica strada romana di accesso per chi giungeva a Roma da nord. Nel 1539, quando era
ancora cardinale, Giovanni Ciocchi del Monte, futuro Papa Giulio III, progettava di rendere la
proprietà ‘bella per quando sarò a Roma’, trasformandola nel luogo in cui eternare il nome e la
magnificenza della sua famiglia, i del Monte. La sua posizione privilegiata, posta ad un miglio da
Porta del Popolo, consentì a Giulio di servirsene come luogo dove alloggiare ambasciatori e
dignitari stranieri che durante le loro brevi visite in città potevano ammirarne i fasti promossi dal
proprietario.
Il Papa la concepì come ritiro suburbano a imitazione delle antiche ville romane: una
‘casotta tutta per dilettatione’ come scrive lui stesso, un luogo di piacere in cui ritirarsi durante le
calde estati romane e immergersi nelle occupazioni intellettuali, sfuggendo così all’afosità e agli
oneri della città. Nell’elegia satirica che Joachim du Bellay scrisse per la morte del Papa traspare
tutto il carattere gioviale del "grande Giulio", amante smodato dei piaceri e degli svaghi:

Agli, cipolle, porri e piante in fiore,


1
produrranno qui i loro semi chiusi,
E tu, che sei privo di incenso e lozioni,
se hai qualche rimpianto nei confronti del grande Giulio,
scegli di cospargere una fragranza così sofisticata sulla sua tomba.

Descritta dai contemporanei come ‘l'ottava meraviglia del mondo’, villa Giulia rispecchiava
l’inclinazione al divertimento del suo proprietario, che la allestì come un dispositivo sensoriale per
intrattenere gli ospiti, coinvolgendoli in un’esperienza totale del luogo. Concepita come uno
spettacolo interattivo, al suo interno i visitatori erano chiamati a vivere attivamente gli spazi e a
lasciarsi sopraffare dalle imprevedibili sorprese del luogo. La risoluzione contenuta nel testamento
di renderla tenuta privata di famiglia dopo la morte di Giulio rivela però un altro tratto del
pontefice: dietro alla facciata di lusso e divertimento si celava in realtà la volontà di rafforzare il
prestigio e il potere del proprio lignaggio. Fiori profumati, alberi da frutto, sentieri ombreggiati,
decorazioni vegetali, uccelli, giochi d'acqua, fontane erano alcuni tra gli espedienti impiegati per
intrattenere il visitatore e celebrare se stesso, esibendo lo splendore del luogo. Una volta lasciata la
villa, il visitatore avrebbe collegato quest’esperienza sontuosa alla famiglia del Papa, i cui simboli
di potere erano sparsi in tutto il luogo.
Nel 1555 però il suo successore, Paolo IV, ordinò di confiscarla, incolpando il suo predecessore
di aver svuotato le casse apostoliche e sottoponendolo alla damnatio memoriae. L’esperienza del luogo
andò così irrimediabilmente perduta. In realtà, la sua antica bellezza sopravvive tuttora negli echi delle
rapite descrizioni letterarie di coloro che un tempo la visitarono, come testimoniano le parole di
Montaigne scelte in apertura dell’articolo.

II Percorso verso il Casino


Papa Giulio si recava spesso in villa. La mappa di Giovanni Dosio (Figura 2) lo rappresenta
mentre muove con un corteo di uomini, alcuni a cavallo, altri a piedi, da Borgo Vaticano verso il
porto. Qui si imbarcava per discendere poi nel parco della proprietà e da lì intraprendere un
percorso nella natura, passeggiando sotto ad un pergolato (Figura 3) che fungeva da ‘corridoio
cerimoniale’, fiancheggiato da alberi da ombra sotto i quali agli ospiti era offerto riparo dal caldo
soffocante dell'estate. Immersi nel parco, i visitatori potevano sostare presso panchine coperte da
piante rampicanti, circondate da voliere in cui centinaia di tortore e quaglie messe all’ingrasso
facevano risuonare l’aria con i loro canti.
L'intero parco era costellato di diversi tipi di piante: Bartolomeo Ammannati, uno degli
architetti del Casino, afferma che il capo giardiniere, Scipione Hortolano, arrivò a piantarvi 36.000
alberi. Le personalità più importanti del tempo ‘facevano a gara per offrire piante e arbusti di
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pregio’ a Giulio nella speranza di ‘ingraziarsi’ il nuovo pontefice. Il vicere di Napoli, ad esempio,
gli inviò piante rare e delicate: alberi di pesco, nespoli e melograni che profumavano il parco della
villa in primavera. Alberi dalle ampie chiome come olmi, pioppi e castagni fungevano poi da
ombrelli naturali, abbellendo il sentiero che conduceva al Casino.

III Il portico
Al pari di un "proscenio" il percorso dal porto al Casino immergeva gradualmente i visitatori
nel dominio dei sensi. Una volta nell’edificio, superato il vestibolo, gli ospiti si affacciavano su un
ampio cortile, racchiuso da un portico semicircolare (Figure 4-7), affrescato con elementi vegetali e
motivi a grottesche. Qui si consumava un gioco di rimandi tra la ricca flora del parco e la
vegetazione dipinta, che esponeva il visitatore all'esperienza del luogo, appannando secondo il
gusto pienamente rinascimentale dell’inganno i confini tra natura e arte: gli uccellini dipinti posati
su graticci fittizi richiamavano immediatamente alla memoria degli ospiti le voliere appena
incontrate; le viti della decorazione echeggiavano quelle del parco; le rose affrescate si affacciavano
sui letti di rose del primo cortile. Gelsomini, rose e viti erano un motivo familiare nelle decorazioni
dei giardini: intimamente correlati al tema della fertilità della natura segnalavano la ricchezza di
luoghi pieni di ogni delizia fin dal tempo di Giovanni Boccaccio che, nel suo Decameron descrive
‘vie ampissime tutte diritte come strali coperte di pergolati di viti a lato delle quai vie tutte di rosai
bianchi e vermigli e di gelsomini erano quasi chiuse’.
Nei singoli riquadri del portico satiri e putti giocosi celebravano e celebrano tuttora
l’abbondanza (Figure 8-10): rappresentati come monelli che s’arrampicano sulle cornici lignee per
fare la vendemmia invitavano i loro ospiti a soccombere a un’esperienza radicata nella natura e
nella percezione. Padroni di casa poco cortesi i putti urinavano sugli ospiti, si toccavano in modo
esplicitamente erotico davanti a loro, trasgredendo le regole del buon costume e riversando fluidi
corporei come auguri di salute, fortuna e fertilità. L'incisione di Jean-Jacques Boissard, raffigurante
una stuatua di Priapo (Figura 11) originariamente presente nell’antiquarium del primo cortile,
dimostra ulteriormente la centralità della fertilità della natura come motivo vivo della villa. Figlio di
Bacco Priapo era il dio romano delle campagne, custode dei giardini e della natura in generale e
veniva rappresentato con un'erezione permanente, simbolo di fertilità e abbondanza. Inoltre, la
presenza di satiri tra i putti degli affreschi alludeva alle processioni bacchiche, rituali propiziatori
tenuti in onore di Bacco per celebrare l'abbondanza del raccolto e i legami del dio con la
vegetazione e l'agricoltura.
La villa era intesa come una 'performance cinetica' con cui Giulio si aspettava che i suoi
ospiti interagissero attivamente passeggiando lungo i sentieri, annusandone le piante odorose,
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rilassandosi, pescando e persino acquistando le piante dal giardiniere. L’insistenza sulla prosperità
del luogo era poi volta a celebrare la munificenza dei del Monte, che si presentavano come
elargitori di un’esperienza totalizzante. Gli spazi della villa erano infatti disseminati con dispositivi
encomiastici, segni e simboli che marcavano il legame tra la ricchezza del luogo e il lignaggio di
Giulio come testimoniano i putti recanti lo stemma dei del Monte nello spettacolo degli affreschi
del portico (Figura 12). Come reca la Lex Hortorum (raccolta delle regole da adottare durante la
visita indirizzata agli ospiti) sulla via del ritorno, ai visitatori veniva consigliato di visitare
l'adiacente chiesa di Sant'Andrea e pregare per l'eterna salvezza di ‘Giulio III Pontifex maximus,
suo fratello Baldovino e tutta la loro famiglia’.

IV Il ninfeo e il giardino secreto


Bartolomeo Ammannati in una lettera dedicata al suo patrono, Marco Benavides, si riferisce
al ninfeo (figura 13-15) come ‘il punto di fuga’ al quale l’intero complesso architettonico tendeva.
In effetti, questo potrebbe essere considerato il nucleo insolito del Casino: un gioiello architettonico
inaspettato per chi si trovava a guardare la sobria facciata d’ingresso per la prima volta. Infatti,
superata la Loggia dell’Ammannati alla fine del primo cortile, si apriva una una struttura unica, che
affondava nel terreno sprofondando per due livelli. Il ninfeo era in realtà un’architettura piuttosto
diffusa nelle ville suburbane rinascimentali: quello di Villa Giulia, per la sua complessità e
ingegnosità, venne però subito considerato dai contemporanei il prodotto più alto del ‘talento dei
creatori’ (‘ingenium artificium’).
Un paio di scale curve conducevano a un livello intermedio dove, secondo la descrizione
dello stesso Ammannati, quattro platani dal fogliame denso davano riparo agli ospiti dalla luce
abbagliante del sole estivo. Interamente pavimentato, non incoraggiava la crescita del verde e perciò
aranci e allori venivano disposti in vasi durante la stagione estiva. Al termine di due scale a
chocciola si apriva poi il livello più basso: qui, al contrario, la presenza di vasche d’acqua
incoraggiava la crescita della vegetazione.
Il vero nucleo del ninfeo e dunque di Villa Giulia era infatti l'acqua. Un sistema idraulico di
canali e tubi, realizzato dall’architetto Jacopo Barozzi da Vignola, consentiva di collegare l’antico
acquedotto romano dell’acqua Vergine al Casino, impreziosendo Villa Giulia con ‘un’incessante
fonte giocosa e perenne’ (A. Peregrinus). Il ninfeo incarnava così la sacralità della Vergine e
rappresentava il luogo in cui le sue acque perenni, perpetuamente incontaminate, potevano essere
custodite.
L'acqua veniva in realtà impiegata soprattutto a scopi decorativi, sfruttandola come elemento
metamorfico che animava il luogo con i suoi movimenti naturali. Coralli, piccoli scogli, granchi e
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conchiglie di madreperla popolavano le vasche al di fuori dalle quali, secondo le testimonianze,
pesci vivaci guizzavano spruzzando i visitatori. Getti improvvisi bagnavano i corpi degli ospiti,
generando effetti tattili del tutto inaspettati. Si giocavano divertimenti acquatici che contribuivano
ad animare questo spazio, travolgendo il visitatore e causandogli veri e propri ‘shock percettivi’
(Fausto Testa). Dietro quattro cariatidi che fungono tutt’ora da elementi architettonici di supporto,
superfici calcaree si alternavano ritmicamente a rilievi marmorei, con piante che crescevano
spontaneamente grazie alla vicinanza di vasche d’acqua. Allungando appena le braccia, i visitatori
potevano toccare l’asperità del materiale che gli architetti avevano intenzionalmente provocato a
imitazione delle pareti delle grotte naturali e che alcuni letterati cominciavano a visitare in quegli
anni. Il grado di sofisticatezza era tale che perfino i livelli di ossigeno e umidità venivano calcolati
scrupolosamente, immergendo così i visitatori in un coinvolgimento totale dei loro sensi. L'acqua si
rivolgeva anche all'olfatto dei visitatori: in estate, quando nel ninfeo gli ospiti si radunavano per
cenare insieme, ricche portate di cibi venivano servite accompagnate da bacinelle di acque
profumate alla rosa, mescolate da abili profumieri, insieme agli aromi di vini delicati invecchiati
nelle vicine grotte di tufo.
Dal ninfeo ogni ulteriore movimento sembrava poi interrompersi improvvisamente (Figura
16). Indotti a superare una delle due soglie laterali, gli ospiti entravano in una grotta sotterranea e
buia, al termine della quale una scala stretta li conduceva ad un'altra loggia, infine in un giardino
segreto (Figure 17-19). Quasi completamente nascosto al visitatore, causava una certa sorpresa a
chi, disorientato e in cerca di una via d’uscita fosse riemerso dal livello sotterraneo, trovandosi
improvvisamente davanti questo giardino rettangolare, adornato di cedri e aranci, ricco di panchine
e sedute i cui schienali erano coperti di piante rampicanti. Il meccanismo labirintico faceva
probabilmente parte dell'idea di gioco alla base del percorso in villa, di cui i visitatori erano le
vittime ingenue. La difficoltà ad accedervi e il suo carattere intimo portano infine a pensare che
fosse stato ideato come rifugio personale di Giulio e della sua cerchia più ristretta di ospiti (solo per
quelli in grado di trovarlo)

V Conclusione

Giulio III è stato definito ‘l'ultimo Papa rinascimentale’ (John Coolidge). Non solo egli
incarnò quell’inclinazione al godimento che rese famose le parole di Leone X ‘Dio ci ha dato il
papato, adesso godiamocelo!’. Favorì soprattutto gli interessi della sua famiglia, nella speranza di
eternarne il nome, in perfetta continuità con la tendenza dei pontefici romani a sposare la politica
papale a quella personale.
5
E Villa Giulia fu concepita proprio come il luogo che per eccellenza doveva esprimere il
carattere e le intenzioni del suo proprietario. La sua rappresentazione nel piano nobile come ‘ottavo
monte’ dimostra l'intento di Giulio di rifondare Roma su un un nuovo ‘monte’, quello della sua
famiglia, i ‘del Monte’. Tutto a Villa Giulia parlava infatti del loro splendore: seppur perduta, oggi
ricostruirne l’esperienza significa comprenderla alla luce della sua originaria ricchezza e dell’’uso
culturale’ (Eugenio Battisti) che il suo proprietario, Papa Giulio III, volle attribuirle.

Silvia Zanni

VI Bibliografia

6
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VIII Illustrazioni

10
Figura 1. Villa Giulia, immagine di Wikipedia

Figura 2. Dettaglio della mappa di Roma incisa nel 1561 da Sebastiano del Re e disegnata da
Giovanni Dosio, rappresentante Papa Giulio e la Curia mentre muovono verso Villa Giulia,
immagine di Europeana

11
.
Figura 3. Mario Cartaro, Novissima Urbis Romae Accuratissima Descriptio, 1576, incisione, 91 x
113 cm, dettaglio con il pergolato, il Tevere e Villa Giulia, immagine di John Coolidge

12
Figura 4. Vista di Villa Giulia, dettaglio del portico

Figura 5. Paul Letarouilly, Portico circolare visto dal primo cortile, 1853, incisione, Édifices de
Rome moderne

Figura 6. Pianta di Villa Giulia


13
Figura 7. Pietro Venale e assistenti (attr.), portico di Villa Giulia, decorazione a motivi vegetali
della volta e a grottesche delle pareti, immagine di Turismo Roma

14
Figura 8. Dettaglio di putti che giocano, immagine di Wikipedia

Figura 9. Dettaglio di un putto che urina, immagine di Wikipedia

15
Figura 10. Dettaglio di putti che si toccano in modo esplicitamente erotico, immagine di Wikipedia

16
Figure 11. Jean Jacques Boissard, Priapus affiancato da due statue femminili, 1597, incisione in
Romane Urbis Topographiae & Antiquitatum, Immagine da Getty Research Institute

17
Figura 12. Dettaglio dei putti che portano lo stemma della famiglia del Monte, immagine di
Wikipedia

18
Figura 13. Vista di Villa Giulia, dettaglio del ninfeo

Figura 14. Antonio Lafreri, Cortile del ninfeo, 1582, incisione

19
Figura 15. Pianta di Villa Giulia

Figura 16. Shchuko, Vista del ninfeo con particolare dei passaggi sotterranei

20
Figura 17. Dettaglio del giardino segreto nella vista di Villa Giulia

Figura 18. Paul Letarouilly, vista di Villa Giulia, 1853, incisione, Edifici di Roma moderna

Figura 19. Pianta di Villa Giulia

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