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APPUNTI STORIA ROMANA

Le magistrature repubblicane mature


- I magistrati sono “coloro che possono di più”, e sono le persone che ricoprono le cariche politiche nello stato romano.
- In età repubblicana matura, le magistrature romane sono collegiali (cioè basate sulla complicità di più persone, tranne il
dittatore), elettive (cioè elette da una determinata assemblea), temporanee (cioè con durata limitata nel tempo, tutte
annuali, ma i censori diciotto mesi ed il dittatore al massimo semestrale, tranne i senatori, a vita) ed onorifiche (cioè non
retribuite, basate solo sull’honos di avere la carica).
A tutti i magistrati è esteso il ius intercessionis, inizialmente riservato solo ai tribuni della plebe, per il quale si ha il
diritto di porre il veto alla proposta di un magistrato di grado pari od inferiore al proprio.

- Per divenire magistrato sono necessari una certa età, diversa per ogni magistratura, l’aver prestato servizio militare, in
diversi settori e per diversi anni, ed appartenere ad una superclasse di censo, ma non sicuramente l’essere patrizio o
plebeo. La questione del censo si spiega poiché le cariche non sono retribuite, dunque bisogna essere agiati, anzi sono
spesso necessarie costose campagne elettorali e persino elargitiones, ossia donazioni in cambio di voti.
- Il cursus honorum, cioè il percorso delle cariche politiche, è flessibile, e regolato solo nel 180 aC colla lex Villia
annalis: questura, tribunato (per plebei), edilità (di queste tre solo la questura è obbligatoria), pretura, consolato,
censura.
- Esistono due tipi di magistrati, divisi in base al possesso o alla mancanza dell’imperium, il potere, in particolare quello
militare: gli unici cum imperio sono pretori e consoli, ed anche il dittatore. Costoro possono avere una prorogatio imperii,
cioè un allungamento del periodo di carica per portare a termine un compito, ed una volta terminata la carica, possono
divenire governatori di una provincia, col titolo di proconsoli o propretori.
- L’assetto costituzionale della repubblica romana non è stato qualcosa di statico, bensì un processo in trasformazione
dal punto di vista dei tipi di cariche politiche, del numero dei loro componenti, dei loro compiti e dei loro metodi elettivi.

- I questori, a durata annuale, amministrano il denaro pubblico, cioè l’erario, incassano i tributi, pagano lo stipendium ai
soldati ed ai funzionari dello stato. Inizialmente sono stati due, in età matura sono arrivati a 40. Il primo questore plebeo
è stato eletto nel 409 aC.
- Gli edili, a durata annuale, hanno la cura urbis: sovrintendono ai mercati ed alle fiere, all’approvvigionamento della
città, all’allestimento degli spettacoli e delle feste, e si occupano della manutenzione di strade, edifici ed opere pubbliche.
Inizialmente sono stati due, poi nel 367 aC ne sono nominati altri due, avviando una divisione tra due plebei e due
patrizi, detti curuli (dalla sella curulis). Cesare ha infine creato altri due edili plebei, detti ceriali. Sono eletti dai comizi
tributi, tranne quelli plebei che sono eletti dai concili tributi.
- I pretori, a durata annuale, si occupano di amministrare la giustizia, presiedendo processi e tribunali, ed emanano un
editto con la propria linea d’esercizio ad inizio carica. In principio hanno avuto compiti simili o sostitutivi di quelli
consolari, infatti assieme ad essi sono componenti cum imperio e possono convocare il senato e le assemblee popolari.
Nel 336 aC compare il primo pretore plebeo. Nel 242-41 aC vengono a differenziarsi i pretori urbani, con incarichi in
Roma, ed i peregrini, con incarichi fuori Roma. Se all’inizio sono solo due, in età matura se ne hanno 14/16. Sono eletti
dai comizi centuriati.
- I censori, a durata di diciotto mesi, hanno il compito di effettuare il censimento del numero dei cittadini e dei loro
patrimoni, dunque sono solo due (in età matura 6) e vengono eletti solo ogni cinque anni, quando avviene il censimento
sul campo Marzio, preceduto dalla cerimonia del lustrum. Inoltre gestiscono gli appalti pubblici. Colla nota censoria
possono estromettere chi non rispetta i mores al di fuori della propria assemblea (comizio, concilio, centuria, tribù,
senato). A partire dal 312 aC, col plebiscito Ovinio, hanno il potere della lectio senatus, cioè decidono chi, tra gli ex
magistrati, è degno di essere senatore. Sono eletti dai comizi centuriati.

- Il dittatore è unico, con durata al massimo semestrale, ed è una carica straordinaria nominata colla dictio dai consoli,
su consenso senatorio, in casi eccezionali di guerra o catastrofe, con pieni poteri in ogni ambito. È affiancato da un
magister equitum di sua scelta. La procedura dittatoriale si estingue alla fine del II aC, tranne per Silla e Cesare.

- I tribuni della plebe nascono nel 471 aC dopo la secessione della plebe. Inizialmente sono due, ma in età matura
passano a dieci. Hanno durata annuale. Essi hanno inizialmente rappresentato i plebei, poi sono divenuti una
magistratura ufficiale repubblicana, con diversi poteri: il ius intercessionis, inizialmente riservato solo a loro, per il quale
hanno il diritto di porre il veto, alzando semplicemente la mano, alla proposta di un qualsiasi magistrato ordinario; il ius
auxilii, per il quale hanno il potere di farsi garanti della plebe vessata; la sacrosanctitas, cioè l’incolumità fisica e morale.
Possono inoltre convocare le assemblee ed il senato. Colla lex Hortensia del 287 aC le loro delibere, i plebisciti, hanno
valore di legge, ed inoltre i loro elettori iniziali, i concilia plebis, passano ad essere concili tributi.
- I consoli, a durata annuale, sono la magistratura romana più importante, tanto da essere eponimi, cioè dare, col
proprio nome, il nome all’anno. All’inizio della repubblica sono due collaboratori del magistrato supremo, detti consules o
consides, ma col tempo, forse coll’episodio di Lucio Valerio e Marco Orazio, divengono i consoli tradizionali, detentori
dell’imperium a Roma. Essi sono due, con pari poteri, ma avendo troppi compiti da sbrigare, o si spartiscono tra di loro
l’esclusività di alcune competenze, o, con un sistema di turni, se le alternano. Se un console muore in carica, ne è eletto
un sostituto, detto consul suffectus. Assieme ai pretori sono componenti cum imperio. In casi straordinari, possono
essere investiti dal senato, tramite il senatus consultum ultimum, di pieni poteri in ogni ambito. Essi si occupano di
comandare l’esercito, convocare e presiedere senato ed assemblee popolari, avanzare proposte di legge dette
rogationes, avere il supremo controllo delle attività pubbliche. Hanno anche minori compiti di giustizia, finanza,
censimento ed edilizia. Essi sono seguiti da una guardia privata, formata da dodici littori. Nel 367 aC una delle leggi
La guerra tarantina o pirrica (280-272 aC)
- Le città greche nell’Italia meridionale sono esposte alle aggressioni dei popoli italici del meridione, dunque chiedono il
soccorso di Roma, vista come il grande organo democratico e potente, che se ne fa garante e stabilisce dei presidi in tali
città. Emblematico è il caso di dell’invocazione d’aiuto del 282 aC da parte della città di Turi verso Roma, dato che è
stata attaccata dai Lucani. Tuttavia, sconfinando colle navi a Turi, area di influenza tarantina, Roma va a violare un patto
del 302 aC con Taranto. Con diverse ambascerie (celebre quella del romano Postumio, che subisce l’oltraggio del
tarantino Filonide il quale orina sulla sua toga) e riunioni da una parte e dall’altra, si valuta a lungo se è il caso di iniziare
una guerra tra metropoli. Se i Romani sono entusiasti di totalizzare il loro controllo nel Sud Italia, tramite una guerra con
la greca Taranto, i Tarantini scendono in guerra solo perché Pirro, re dell’Epiro, accetta di scendere in campo dalla loro
parte, smanioso di fondare un regno ellenistico tutto suo nel meridione, vistosi negato il trono di Macedonia.
- Sbarcato Pirro nel 280 aC, è subito guerra. L’aiuto di popoli italici (Lucani, Bruzi, Sanniti), le tecniche falangitiche
greche e l’uso degli elefanti conducono il re dell’Epiro alla sconfitta di Eraclea del 280 aC, in una battaglia sanguinosa,
pirrica appunto (è dopo tale battaglia che si colloca l’episodio del console Gaio Fabrizio, che non sottostà alla corruzione
in soldi offerta da Pirro per chiudere la guerra). Inoltre, le città greche presidiate e protette da Roma passano al nemico,
visto come un protettore più forte. Una vittoria piuttosto rischiosa per Pirro arriva ad Ascoli Satriano nel 279 aC.
- Le fallite trattative di pace tra Roma e Taranto e la smania di fondare un regno ellenistico nel meridione fanno deviare
l’attenzione di Pirro sulla Sicilia, che tenta di conquistare. Ma il feroce individualismo delle città siciliane è fatale per Pirro,
che è abbandonato e si riconcentra sullo scontro coi Romani.
- Nel frattempo Roma s’è ricostituita ed ha avuto aiuti da Cartagine: Pirro ed i Tarantini sono sconfitti a Malevento nel
275 aC (da allora Benevento). La sottomissione delle altre città greche, la deduzione di colonie fino a Reggio e la
sconfitta dei popoli italici come Lucani e Bruzi non tardano a venire, e la resa di Taranto arriva nel 272 aC: tutto il
meridione (tranne la Sicilia) è possesso romano.Licinie-Sestie consente ai plebei di divenire consoli, ed addirittura un
plebiscito del 342 aC obbliga che uno dei due consoli sia plebeo. Sono eletti dai comizi centuriati.
- Il senato, eredità del consiglio di senes, cioè l’assemblea dei trecento patres d’età regia, ora non è eletto dai comizi
curiati (ormai con altri compiti), bensì formato inizialmente da alcuni ex consoli o pretori scelti dai magistrati superiori, ed
a partire dal 312 aC, col plebiscito Ovinio, dai migliori ex magistrati di ogni magistratura scelti sulla base della lectio
senatus, effettuata dai censori ogni cinque anni, che, in ordine di magistratura e di merito e di età, ne permettono
l’ingresso (e colla nota censoria, i censori possono estrometterli per non rispetto dei mores). Colla riforma sillana
passano da trecento a seicento, con Cesare divengono novecento. In età repubblicana, ha funzione consultiva verso
qualsiasi magistrato, visto che col ius agendi cum patribus si ha il diritto di sottoporre i propri progetti alla sua
auctoritas, di rappresentanza indiretta del popolo e di interregnum (ma tale prassi si esaurisce già nel IV aC). Il loro
consiglio verso i magistrati non è vincolante, se mai alcuni senatori presentano la propria sententia rispetto alla rogatio di
un magistrato, e tutti gli altri prendono posto dietro di questi per mostrare se lo assecondano o no. Il senato è
convocabile dai magistrati cum imperio (pretori, consoli, dittatore) e dai tribuni della plebe. Tramite il senatus consultum
ultimum possono investire di pieni poteri in ogni ambito i consoli. La carica senatoria è l’unica vitalizia.

La società nell’età repubblicana: il confronto patrizio-plebeo


- Nel V aC si ha la cosiddetta “serrata del patriziato”, per la quale un insieme di gentes latino-sabine si proclama patrizia.
Infatti, l’elemento etrusco è fuoriuscito, la monarchia è caduta da poco e le istituzioni repubblicane non sono ancora a
punto, allora i patrizi si mettono a capo della situazione politica, attribuendosi l’esclusività di tutte le magistrature, e
dandosi dei privilegi. Nato per autoproclamazione, il patriziato è una condizione di potenza, prestigio e talora anche
ricchezza (ma ciò non necessariamente), poiché esso è portatore dei valori gentilizi dell’età regia.

- Ai patrizi si oppongono i plebei, cioè i non patrizi, coloro che non sono potenti, prestigiosi e talora nemmeno ricchi (ma
non necessariamente), senza i valori gentilizi dell’età regia: è la massa d’età monarchica dei “senza gente”. Quelli più
poveri chiedono il miglioramento delle condizioni di sussistenza, quelli più ricchi l’istanza d’accesso alle magistrature.

- Durante le guerre della “lunga notte del V secolo”, l’esercito romano è formato in gran parte da plebei, i quali sono
costretti ad un’assenza prolungata dal lavoro, cosa che causa pesanti perdite economiche, data l’impossibilità di
commerci o coltivazione o allevamento.
I patrizi allora promettono di allentare i debiti, ma, disattendendo quest’impegno, causano un ammutinamento della parte
plebea dell’esercito: i plebei si ribellano e per protesta fondano un’altra città, tramite la celebre secessio plebis, la
secessione della plebe, che secondo alcune versioni avviene sull’Aventino, secondo altre sul Monte Sacro,
tradizionalmente nel 494 aC. Non tutti i plebei vi partecipano, in specie i clientes che vivono grazie ai patroni patrizi.

- Nella nuova Roma, governata dai plebei, vi sono nuove istituzioni, magistrature e leggi: la triade religiosa è dedita agli
dei Cerere, Libero e Libera; nascono nel 471 aC i concilia plebis, cioè le assemblee della plebe, organizzate su base
territoriale in tribù e guidate da due tribuni plebis; non è concesso il matrimonio tra patrizi e plebei; ecc...
- Sulle ragioni iniziali di irritazione reciproca prevalgono le ragioni della riunificazione delle due Rome, dovute alla
vicinanza, alla vecchia unione in età monarchica, a comuni interessi economici ed all’avere le stesse leggi. Famosa a tal
proposito è la vicenda di Menenio Agrippa, patrizio stimato da entrambe le parti che si reca sul colle a quietare gli animi
dei plebei, riconciliandoli coi patrizi grazie all’apologo del ventre e delle membra, di origine esopica, per il quale lo stato,
cioè l’organismo umano, funziona correttamente solo colla concordia, cioè se sia il ventre, i patrizi senatori, sia le
membra, la plebe, collaborano alla sua sopravvivenza, assumendo e digerendo il cibo.
- Lentamente la risoluzione del confronto patrizio-plebeo ha esiti anche giurisdizionali. Nel 445 aC il plebiscito canuleio è
un eccezionale plebiscito con valore di legge, che abroga la proibizione del matrimonio tra patrizi e plebei.
Nel 367 aC sono emanate le tre leggi Licinie-Sestie, le quali affermano che: 1) i debiti risentono degli interessi ma
sono pagabili in rate; 2) c’è un limite al possesso massimo di ager publicus per un cittadino romano; 3) i plebei possono
avere accesso al consolato. Rilevante è il fatto che in seguito un plebiscito del 342 aC obbliga che uno dei due consoli
sia plebeo. Tra fine del V e prima metà del IV aC censura, pretura, questura ed edilità sono aperte ai plebei, e persino il
senato (ecco che ai “patres” gentili-patrizi si aggiungono i “conscripti” plebei).

Le XII tavole
- Nel 451 aC, una commissione straordinaria di dieci laici patrizi, i decemviri legibus scribundis, è incaricata di
sottoscrivere dieci tavole del diritto privato (civile e penale); si dice che si siano recati in Grecia, più probabile Magna
Graecia, per studiare il diritto, forse in contatto con Ermodoro di Efeso, discepolo di Eraclito. L’anno successivo, nel 450
aC, cinque degli incaricati patrizi sono sostituiti da corrispettivi plebei, e si emanano altre due tavole del diritto, per un
totale di XII. Il tutto è approvato dai comizi centuriati, infatti probabilmente le leggi sono istituite per volontà dei plebei nel
mezzo del confronto patrizio-plebeo. Esse sono state scritte probabilmente in caratteri arcaici, con alfabeto etrusco-
greco, con grand’enfasi retorica e metrica, per dar loro un valore sacrale ed inviolabile. Fatte probabilmente di bronzo,
sono state esposte nel foro, sino alla loro distruzione durante il sacco di Roma del 390 aC.
- Nei frammenti del corpus, riportatici in citazione da testi e documenti, si spiega come si debba comportare un civis
romanus. Le leggi riguardano procedure civili, diritto di famiglia, processi, pene per crimini (è presente la legge del
taglione), eredità e proprietà, matrimoni e funerali, illeciti, igiene ecc... compare la provocatio ad populum (assente in
Grecia), cioè il diritto di appello in genere e, nel caso di condanna capitale, il diritto per cui un civis non può essere
condannato a meno che ciò non sia approvato dai cittadini tutti, riuniti nei comizi centuriati. Serve da balance of powers
ad equilibrare il potere tra i magistrati ed i comizi.

-
- Redatto il codice, il capo della commissione, Appio Claudio Crasso, nel 449 aC tenta di procrastinare i poteri della
giunta e di renderli assoluti, affinché il patriziato possa nuovamente opprimere la parte plebea. La leggenda vuole che
Appio Claudio, invaghitosi della bella Virginia, dato che questa non l’ha corrisposto, abbia indetto un processo per
dichiararla schiava e se la sia fatta assegnare: la ragazza si lascia pugnalare dal padre piuttosto che subire tale
disonore, e scoppia allora la rivolta del popolo. Tale rivolta sarebbe una seconda secessione della plebe, repressa e
normalizzata da due consoli patrizi, forse leggendari, Lucio Valerio e Marco Orazio; ad essi si fanno risalire tre leggi,
dette leges Valeriae-Horatiae, in realtà esplicazione di leggi già emanate o ancora da emanare, che avrebbero
rappacificato il conflitto patrizio-plebeo; appare molto più veritiero il fatto che questa coppia consolare, Valerio ed Orazio,
rappresenti i primi veri e propri consoli nel senso tradizionale, e che dunque elimini il magistrato supremo, parte
dell’assetto iniziale della repubblica.

Il sacco di Roma e le vicende galliche


- Già nel VI aC i Celti hanno scacciato gli Etruschi dall’Italia settentrionale, prendendo poi il controllo della pianura
Padana (con Midland, la “città di mezzo”, ed anche Taurinum, fondata dai Galli Taurini) e dell’Emilia (in specie con quella
che i Romani poi chiameranno Bononia). Infatti nel 390 aC circa i Galli Sènoni, comandati da un leggendario Brenno (in
realtà è il nome di una carica celtica), sconfiggono i Romani presso il fiume Allia ed incendiano Roma: è il primo sacco
della città. Alcuni cittadini si rifugiano nelle città etrusche vicine, come Cere e Veio, altri oppongono resistenza sulla
rocca del Campidoglio. Nottetempo, i barbari vorrebbero cogliere di sorpresa l’ultima resistenza, ma la leggenda vuole
che le oche del Campidoglio, allarmate dai movimenti degli assedianti, abbiano preso a starnazzare, avvertendo i
Romani ed il console Marco Manlio, detto Capitolino. È probabile allora l’arrivo dei rinforzi romani con Marco Furio
Camillo: dopo esiti alterni, i Galli Sènoni, preoccupati di uno stallo, decidono di imporre un tributo ai Romani per
riscattare la città; se dapprima accettano, in seguito i cives romani protestano perché le bilance utilizzate per la pesa
sembrano esser alterate: il mito vuole che allora Brenno abbia gettato sulla bilancia anche la sua spada, pronunciando il
celebre “Vae victis”. Sembra improbabile il prosieguo, per il quale Camillo abbia anch’egli gettato sulla bilancia la sua
spada e sconfitto Brenno. Ad ogni modo, i Galli si allontanano dalla città, proseguendo verso Sud dove diverranno
mercenari per i Greci. Roma impiega trent’anni (il cosiddetto “trentennio postgallico”) per ricostruire la città, vivendo
perennemente nel metus dello straniero.

La guerra tarantina o pirrica (280-272 aC)


- Le città greche nell’Italia meridionale sono esposte alle aggressioni dei popoli italici del meridione, dunque chiedono il
soccorso di Roma, vista come il grande organo democratico e potente, che se ne fa garante e stabilisce dei presidi in tali
città. Emblematico è il caso di dell’invocazione d’aiuto del 282 aC da parte della città di Turi verso Roma, dato che è
stata attaccata dai Lucani. Tuttavia, sconfinando colle navi a Turi, area di influenza tarantina, Roma va a violare un patto
del 302 aC con Taranto. Con diverse ambascerie (celebre quella del romano Postumio, che subisce l’oltraggio del
tarantino Filonide il quale orina sulla sua toga) e riunioni da una parte e dall’altra, si valuta a lungo se è il caso di iniziare
una guerra tra metropoli. Se i Romani sono entusiasti di totalizzare il loro controllo nel Sud Italia, tramite una guerra con
la greca Taranto, i Tarantini scendono in guerra solo perché Pirro, re dell’Epiro, accetta di scendere in campo dalla loro
parte, smanioso di fondare un regno ellenistico tutto suo nel meridione, vistosi negato il trono di Macedonia.
- Sbarcato Pirro nel 280 aC, è subito guerra. L’aiuto di popoli italici (Lucani, Bruzi, Sanniti), le tecniche falangitiche
greche e l’uso degli elefanti conducono il re dell’Epiro alla sconfitta di Eraclea del 280 aC, in una battaglia sanguinosa,
pirrica appunto (è dopo tale battaglia che si colloca l’episodio del console Gaio Fabrizio, che non sottostà alla corruzione
in soldi offerta da Pirro per chiudere la guerra). Inoltre, le città greche presidiate e protette da Roma passano al nemico,
visto come un protettore più forte. Una vittoria piuttosto rischiosa per Pirro arriva ad Ascoli Satriano nel 279 aC.
- Le fallite trattative di pace tra Roma e Taranto e la smania di fondare un regno ellenistico nel meridione fanno deviare
l’attenzione di Pirro sulla Sicilia, che tenta di conquistare. Ma il feroce individualismo delle città siciliane è fatale per Pirro,
che è abbandonato e si riconcentra sullo scontro coi Romani.
- Nel frattempo Roma s’è ricostituita ed ha avuto aiuti da Cartagine: Pirro ed i Tarantini sono sconfitti a Malevento nel
275 aC (da allora Benevento). La sottomissione delle altre città greche, la deduzione di colonie fino a Reggio e la
sconfitta dei popoli italici come Lucani e Bruzi non tardano a venire, e la resa di Taranto arriva nel 272 aC: tutto il
meridione (tranne la Sicilia) è possesso romano.

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