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E-book: La scuola e i problemi di comportamento


Strategie per riconoscere e intervenire con le manifestazioni di bullismo e di iperattività
Versione 002
Il presente E-book è stato progettato e realizzato dalla dott.ssa Monica Delbue
Capitolo 3

Caratteristiche del comportamento iperattivo

Un sintomo tante cause

Ridurre le manifestazioni di iperattività
o
A proposito dei farmaci
o
Principi cardine
Caratteristiche del comportamento iperattivo
Negli ultimi anni, è comune sentire insegnanti di scuola primaria e secondaria dichiarare di avere a
che
fare con alunni vivaci quando non francamente iperattivi.
Questi bambini possono rappresentare un elemento di disturbo per lo svolgimento regolare delle
lezioni, poiché gli insegnanti sostengono di riuscire con difficoltà a riportare un contegno adeguato
tra gli alunni, e qualora ci riescano, sono costretti a constatare come alcuni bambini sembrino
comunque mal disposti a stare attenti.
Le indagini condotte negli ultimi anni attestano come sia sempre più nutrito il numero di bambini in
età scolare che, pur essendo intelligenti, faticano ad adattarsi ai tempi dell’apprendimento scolastico
(Molin, Poli, Gardinale, 2002). Gli insegnanti presentano spesso un quadro delle loro classi dove,
accanto a molti bambini con lievi difficoltà a prestare attenzione, ve ne sono alcuni che sembrano
incapaci di autocontrollarsi (Molin, Poli, 2000), di rispettare le regole e che esibiscono spesso
manifestazioni di iperattività motoria (faticano a stare fermi e zitti quando richiesto).
Eugenia Scabini (1998) ha suggerito come alcuni aspetti della vita moderna si possano ritenere
responsabili del carente sviluppo di abilità di autoregolazione cognitiva e comportamentale: oggi i
genitori tendono a porre più attenzione agli aspetti affettivi che a quelli normativi nell’educare i
figli, i quali sono immersi in contesti di vita eccessivamente stimolanti dal punto di vista cognitivo,
dove è privilegiata la risposta rapida e non meditata (Molin e Poli, 2000). Tuttavia, nella realtà
quotidiana il carico di lavoro riduce la considerazione che i genitori dedicano alle esigenze emotive
dei bambini, e d’altra parte spesso gli insegnanti non sono disposti a colmare eventuali lacune
educative degli alunni, poiché ritengono necessario un certo grado di autocontrollo
comportamentale per intervenire sugli aspetti propriamente cognitivi
.E-book: La scuola e i problemi di comportamento
Strategie per riconoscere e intervenire con le manifestazioni di bullismo e di iperattività
Versione 002
Il presente E-book è stato progettato e realizzato dalla dott.ssa Monica Delbue
Capitolo 3

Caratteristiche del comportamento iperattivo


Un sintomo tante cause


Ridurre le manifestazioni di iperattività


o

A proposito dei farmaci


o

Principi cardine
Caratteristiche del comportamento iperattivo
Negli ultimi anni, è comune sentire insegnanti di scuola primaria e secondaria dichiarare di
avere a che
fare con alunni vivaci quando non francamente iperattivi.
Questi bambini possono rappresentare un elemento di disturbo per lo svolgimento regolare delle lezioni,
poiché gli insegnanti sostengono di riuscire con difficoltà a riportare un contegno adeguato tra gli alunni,
e qualora ci riescano, sono costretti a constatare come alcuni bambini sembrino comunque mal disposti
a stare attenti.
Le indagini condotte negli ultimi anni attestano come sia sempre più nutrito il numero di bambini in età
scolare che, pur essendo intelligenti, faticano ad adattarsi ai tempi dell’apprendimento scolastico (Molin,
Poli, Gardinale, 2002). Gli insegnanti presentano spesso un quadro delle loro classi dove, accanto a
molti bambini con lievi difficoltà a prestare attenzione, ve ne sono alcuni che sembrano incapaci di
autocontrollarsi (Molin, Poli, 2000), di rispettare le regole e che esibiscono spesso manifestazioni di
iperattività motoria (faticano a stare fermi e zitti quando richiesto).
Eugenia Scabini (1998) ha suggerito come alcuni aspetti della vita moderna si possano ritenere
responsabili del carente sviluppo di abilità di autoregolazione cognitiva e comportamentale: oggi i genitori
tendono a porre più attenzione agli aspetti affettivi che a quelli normativi nell’educare i figli, i quali sono
immersi in contesti di vita eccessivamente stimolanti dal punto di vista cognitivo, dove è privilegiata la
risposta rapida e non meditata (Molin e Poli, 2000). Tuttavia, nella realtà quotidiana il carico di lavoro
riduce la considerazione che i genitori dedicano alle esigenze emotive dei bambini, e d’altra parte spesso
gli insegnanti non sono disposti a colmare eventuali lacune educative degli alunni, poiché ritengono
necessario un certo grado di autocontrollo comportamentale per intervenire sugli aspetti propriamente
cognitivi.
Lavoro a cura della dott.ssa Monica Delbue
OPsonline.it: la Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in Psicologia
Bullismo e iperattività® - http://www.opsonline.it
Copyright© 2001–2007 E’ vietata la distribuzione e riproduzione anche parziale senza l’espressa autorizzazione dell’autore
.L’iperattività è uno stile di azione e di pensiero caratterizzato dal rapido susseguirsi di
esplorazioni
ambientali e di produzioni mentali, dove gli elementi presenti – stimoli ambientali o
pensieri che siano –
giungono con più difficoltà ad essere esplorati o elaborati in modo completo ed accurato.
Alcuni autori considerano le manifestazioni iperattive proprio come una difficoltà specifica nel controllo
dello spazio intorno a sé. Apparentemente, questi soggetti sanno benissimo come appropriarsi
dell’ambiente circostante e, infatti, non c’è luogo che essi non invadono: in realtà, tale comportamento
sembra un tentativo di controllare sentimenti di ansia e depressione, a seguito del mancato
apprendimento spaziale.
In sostanza, il bambino sembra incapace di controllare la profondità delle sue esplorazioni ambientali: le
ragioni di tale carenza sono le più diverse. Può accadere che la responsabilità del comportamento
inadeguato del bambino sia uno stile educativo genitoriale troppo permissivo e trascurante o al contrario
autoritario, mentre in altri casi la vivacità temperamentale di alcuni ragazzi può risultare mal contenuta a
scuola ma non a casa. A volte invece, specie quando il bambino appare emotivamente immaturo
rispetto ai coetanei ed estremamente impulsivo e movimentato, non è più possibile rintracciarne le
cause nella scarsa disciplina impartita a casa e/o a scuola.
Quando non sono chiari i motivi dello scarso autocontrollo del bambino, si deve ipotizzare la presenza di
un disturbo del comportamento, cioè di un’anomalia, in eccesso o in difetto, che può riguardare la
frequenza, l’intensità e/o la durata di un’azione o di una serie di azioni.
Il disturbo del comportamento in questione è ilDisturbo da Deficit d’Attenzione /Iperattività, una sindrome
neuropsichiatrica che, secondo il DSM-4 (APA, 1994), è caratterizzata da due aspetti -o dimensioni-
cardine che corrispondono ad anomalie rispetto al funzionamento dei bambini non affetti dal disturbo:
ladisattenzione e l’iperattività-impulsività. L’ICD 10, invece, si riferisce a questo disturbo con il nome
diSindrome Ipercinetica, che definisce in modo qualsi del tutto analogo (OMS, 1992).
In generale le caratteristiche discriminanti del Disturbo da Deficit d’Attenzione/Iperattività
(in inglese
ADHD,Attention Deficit/Hyperactivity Disorder) possono essere delineate nel modo seguente: a
scuola il bambino conSDA (Sindrome da Deficit Attentivo) spesso non riesce a prestare la dovuta
attenzione, lavora in modo disorganizzato e ha molte difficoltà in compiti che richiedono un elevato livello
di concentrazione; a casa le difficoltà a concentrarsi e l’impulsività si traducono nell’incapacità di seguire
le istruzioni, nella disorganizzazione delle attività ludiche o lavorative e nella difficoltà a svolgere compiti
impegnativi secondo una sequenza fissa di azioni.
Un’altra caratteristica dell’ADHD è l’iperattività che, pur non presente in tutti i casi, viene descritta come
l’eccessivo correre, il saltare, l’arrampicarsi, il non riuscire a stare seduti, ecc (Kirby e Grimley, 1989).
Questo disturbo si presenta nel 3-5% dei bambini in età scolare e risulta di gran lunga più frequente nei
maschi che nelle femmine: le stime infatti vanno da un rapporto maschi-femmine di 4:1 ad uno di 9:1 (Di
Pietro, Bassi e Filoramo, 2001).
Dell’ADHD esistono diverse sottocategorie la cui distinzione, seppur poco pregnante in un
manuale non
rivolto a specialisti, può aiutare per approntare una diagnosi più corretta.
Il primo sottotipo è quelloCombinato (ADHD-C) in cui coesistono sintomi di Disattenzione e di
Iperattività/Impulsività, e per il quale è più elevato il rischio dello sviluppo di concomitanti Disturbi del
Comportamento (Di Pietro, 1995). Quando, invece, il bambino manifesta un disturbo dell’attenzione che,
tuttavia, non è accompagnato da iperattività, potremmo trovarci comunque dinnanzi un caso di ADHD,
pur se apparentemente di minor gravità
In questi soggetti, la diagnosi può risultare difficile, poiché generalmente non danno molto
disturbo
durante le lezioni a scuola. Stanford e Hind (1994), in base ai loro studi, affermano che questi bambini
sarebbero più isolati socialmente rispetto ai bambini che presentano anche iperattività, più <<sognatori
ad occhi aperti>>, più timidi, maggiormente <<sottoattivati>> e più simili al gruppo di soggetti con
Disturbi di Apprendimento. (Di Pietro, 1995; Marzocchi e Cornoldi, 2000).
Nei bambini di età prescolare che riceveranno diagnosi di ADHD, infine, il Disturbo dell’Attenzione può
non essere evidente, mentre sono ben delineate le caratteristiche di Iperattività/Impulsività. Detto questo,
il sottotipo di ADHD più frequente rimane sempre quello in cui i sintomi di Disattenzione sono associati a
quelli di Iperattività/Impulsività (Barkley, 1997) (Offredi, Marzocchi e Vio, 1999).
Per quanto riguarda le cause del Disturbo dell’Attenzione, è utile identificare i diversi fattori
da cui esso
sembra trarre origine, nonché la percentuale di varianza1 spiegata da ognuno di essi:

Fattori ereditari. Esistono teorie secondo cui le cause dell’ADHD sarebbero ereditarie. Ciò che si
trasmette dai genitori ai figli sono alcuni geni alterati che modificherebbero l’equilibrio neurochimico della
dopamina, un neurotrasmettitore normalmente presente nel cervello che presiede a molte funzioni
motorie e congnitive. Oltre a ciò, risulterebbe anomalo lo sviluppo dei circuiti neurali frontali e striatali del
cervello, che sembrano operare per un controllo cosciente di molte funzioni automatiche (come guidare
l’automobile o scrivere). Tali fattori sembrano avere un ruolo preponderante nello sviluppo dell’ADHD,
poiché rendono conto di una percentuale di casi che va dal 50 all’80%;

Condizioni patologiche acquisite. Vi sono alcuni agenti ambientali (ad es. intossicazione da piombo,
esposizione a fumo di sigaretta e/o alcool durante la gestazione, nascita prematura, parto prolungato,
traumi perinatali o dovuti a incidenti durante la prima infanzia) che minano lo sviluppo del cervello. Tuttavia,
di per sé questi agenti intervengono in non più del 30% dei casi di ADHD.

Un danno neurologico rilevabile (i cosiddetti “segni neurologici lievi”) la cui causa è ignota.
Tale
fattore causale spiega non più del 5% dei casi di ADHD segnalati (Fedeli, 2003).
Nonostante la serie di cause sopra riportata, fino a che non ne verrà identificata con
precisione una specifica per l’ADHD (che pare frutto della trasmissione ereditaria), tale
schema ha carattere speculativo.
A questo punto, una riflessione che sorge spontanea è il fatto che è naturale osservare nei bambini
un’ampia variabilità comportamentale, e quindi incontrare bambini più o meno vivaci ed estroversi, così
come bambini diversamente timidi, educati, riservati e così via. Ma attenzione, i bambini iperattivi non
sono semplicemente vivaci, e spesso i loro problemi non si risolvono con l’età, anzi. Un ADHD non
trattato, infatti, può risultare in esiti disastrosi per l’adattamento sociale, scolastico (o lavorativo) e
personale del bambino.
Infatti, sebbene l’agitazione motoria tenda ad attenuarsi durante l’adolescenza, può rimanere un senso di
irrequietezza interna, che predispone il ragazzo ad attività pericolose, in un periodo in cui la costruzione
del sé è un imperativo primario.
Le difficoltà di concentrazione e la mancanza di autocontrollo permangono, continuando a
connotare lo
stile di apprendimento e di relazione del ragazzo.
Il rischio di frequentare compagnie di giovani delinquenti e di abusare di droghe (in
particolare stimolanti)
e/o alcol è molto alto, specialmente se è presente aggressività o disturbi della condotta. In
età adulta
1Varianza: con tale termine si intende la percentuale di casi per la qualeè possibile identificare una causa ben
precisa di
un problema o disturbo (Pedrabissi e Santinello, 1997).
l’ADHD può, in alcuni casi, evolvere in una vera e propria patologia della personalità
(Antisociale o
Borderline) (Maschietto, 2003).
Al seguente linkhttp://www.educare.it/Scuola/difficolta/disturbi/disturbo_attenzione_iperattivita.htm è
riportato una descrizione dettagliata dei sintomi che caratterizzano l’ADHD.
Un sintomo, tante cause
È opportuno, a questo punto, mettere in guardia genitori e insegnanti circa le
difficoltà insite
nella diagnosi del disturbo.
Spesso sono insegnanti e genitori gli osservatori più attendibili per identificare un bambino con
ADHD, almeno per quanto riguarda la prima e la seconda infanzia (non è lo stesso per gli
adolescenti).
Ciò è indicato anche nei criteri diagnostici riportati a pagina 31, quando si fa riferimento alla
necessità che i sintomi si presentino con un’intensità tale da causare disadattamento
personale, sociale, scolastico e/o lavorativo, in almeno due contesti di vita in cui di solito il
soggetto trascorre le sue giornate (appunto casa e scuola).
Questo perché fare diagnosi di ADHD basandosi solo sull’osservazione in studio con lo
psicologo non è proficuo, in quanto questi bambini in ambienti nuovi possono tenere un
comportamento abbastanza adeguato, in particolare nel rapporto uno-a-uno (APA, 1994).
Infatti, se ad essi vengono proposte attività nuove, non ripetitive e interessanti in ambienti
strutturati, solitamente si osservano meno difficoltà di concentrazione e iperattività (Torrioli,
2001).
D’altra parte, sintomi di disattenzione e iperattività possono manifestarsi qualora l’ambiente di
vita del bambino sia inadeguato ad uno sviluppo armonico: l’attenzione, così come tutte le
altre funzioni cognitive, va esercitata e i primi anni di vita sono importanti per determinare le
capacità di apprendimento future.
Se il bambino è cresciuto in un ambiente familiare caotico, se è stato vittima di abusi,
abbandoni e/o affidi ripetuti e qualora la programmazione didattica non sia stata commisurata
al suo livello intellettivo (che nell’ADHD può essere superiore, nella norma o lievemente
inferiore), è molto probabile osservare in lui un comportamento irrequieto e poco controllato
(APA, 1994; Masi e Zuddas, 2002).
L’iperattività, l’impulsività e la disattenzione sono sintomi che possono comparire
in diversi
disturbi, seppur come manifestazioni secondarie.
Nello schema sottostante sono indicati i disturbi e le condizioni che entrano, come si suol dire
in gergo clinico, in diagnosi differenziale con l’ADHD, ponendo dubbi circa la presenza di
questo disturbo del comportamento.
Alcuni di questi disturbi, inoltre, possono associarsi ai disturbi dell’Attenzione, andando così a
costituire un quadro clinico complesso, dove le possibilità di miglioramento sono commisurate
al numero e al tipo di disturbi che si associano a quello primario (ciò presentatosi per primo).
Nella scheda alle pagine seguenti, troviamo un prospetto dei disturbi che si associano con più
frequenza all’ADHD, oltre ad alcune avvertenze che genitori e insegnanti devono tener
presente quando osservano sintomi di disattenzione e iperattività nei loro bambini, poiché il
loro significato non è sempre lo stesso.
Disturbi probabilmente
a
associati all’ADHD
sociati all’ADHD
Disturbi che confondono
Disturbi che confondono
la diagnosi di ADHD
la diagnosi di ADHD
Altri
Disturbi
del
Altri
Disturbi
del
co
comportamento
portamento
Disturbo della Condotta(20-30%
dei bambini e 30-40% degli adolescenti con ADHD): questi soggetti violano con persistenza i diritti fondamentali degli altri, incluse norme e
regole sociali.
Disturbo
Oppositivo-
Provocatorio(30-40%): quei
soggetti che adottano atteggiamenti ostili di sfida e opposizione verso adulti e le regole sociali (Di Pietro, Bassi e Filoramo, 2001).
È importantissimo considerare che
non è affatto inevitabileche
l’ADHD si associ ad altri Disturbi del Comportamento come il Disturbo della Condotta: la discriminante tra il primo
e
quest’ultimo
è l’intenzionalità a recare offesa o danni agli altri, che non emerge nell’ADHD. Stesso discorso
si può fare per il Disturbo Oppositivo- Provocatorio: esistono bambini con ADHD che non sono oppositivi.
Disturbi
Specifici
Disturbi
Specifici
(Dislessia,
Disgrafia, Disortografia, Disturbi del Calcolo)e
Aspecifici
e
Aspecifici (estesi a più aree e solitamente meno gravi)
dell’Apprendimento
dell’Apprendimento
I Disturbi dell’Apprendimento di presentano in bambini di intelligenza normale. Tra i due tipi di disturbi vi è una probabilità di compresenza che
si aggira tra il 27 e l’80%.
I Disturbi dell’Apprendimento possono produrre irrequietezza in classe (Cornoldi et al., 2001) così come deficit nelle abilità sociali: ciò rende
difficile distinguere tra le due sindromi (Cornoldi, 1999).
Disturbi
dell’Umore
Disturbi
dell’Umore
(Depressione
e
Disturbo Bipolare)
Tra ADHD e Disturbi dell’Umore vi è una probabilità di compresenza compresa tra il 15 e il 75% (Masi, 2003). Il Disturbo dell’Umore più
spesso associato con l’ADHD è il
Disturbo Bipolare: esso prevede
umore ed autostima elevati, scarso bisogno di sonno, eccessiva loquacità e coinvolgimento in attività rischiose (Rapaport e Ismond, 2000).
Può essere difficile discriminare tra i due disturbi (sintomi comuni: distraibilità, iperattività, impulsività); i bambini con disturbo bipolare, tuttavia,
sono più irritabili ed aggressivi, anche se raramente euforici, e inoltre possono presentare episodi depressivi. Il loro livello di iperattività è
altalenante, a differenza dell’ ADHD.
Disturbi d’Ansia
Disturbi d’Ansia
Un 25-30% di bambini con ADHD presentano concomitanti disturbi d’ansia (Ansia Generalizzata,
fobie, Ansia da Separazione,
Fobia Sociale), soprattutto se non
mostrano iperattività ma solo disattenzione. Sono meno impulsivi di quelli con ADHD semplice, il che può proteggerli dallo sviluppo di
comportamenti antisociali ma che ostacola a genitori e insegnanti la consapevolezza di un problema (Masi, 2003; Rizzo, 2003). il
Disturbo Ossessivo-Compulsivo
si associa all’ADHD nel 20-30% dei casi (Masi, 2003). Prevede la persistenza di ossessioni (pensieri sgradevoli e ripetitivi) e compulsioni (atti
che il soggetto si sente “costretto” a compiere) (Rapaport e Ismond, 2000).
Tra ADHD e Disturbi d’Ansia vi sono difficoltà di discriminazione, poiché in entrambi è presente iperattività che comunque nelle patologie ansiose
tende a fluttuare (Rapaport e Ismond, 2000).
Tabella 1: disturbi associati all’ADHD e altri disturbi che ostacolano una diagnosi corretta.

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.In questi soggetti, la diagnosi può risultare difficile, poiché generalmente non danno molto
disturbo
durante le lezioni a scuola. Stanford e Hind (1994), in base ai loro studi, affermano che questi bambini
sarebbero più isolati socialmente rispetto ai bambini che presentano anche iperattività, più <<sognatori
ad occhi aperti>>, più timidi, maggiormente <<sottoattivati>> e più simili al gruppo di soggetti con
Disturbi di Apprendimento. (Di Pietro, 1995; Marzocchi e Cornoldi, 2000).
Nei bambini di età prescolare che riceveranno diagnosi di ADHD, infine, il Disturbo dell’Attenzione può
non essere evidente, mentre sono ben delineate le caratteristiche di Iperattività/Impulsività. Detto questo,
il sottotipo di ADHD più frequente rimane sempre quello in cui i sintomi di Disattenzione sono associati a
quelli di Iperattività/Impulsività (Barkley, 1997) (Offredi, Marzocchi e Vio, 1999).
Per quanto riguarda le cause del Disturbo dell’Attenzione, è utile identificare i diversi fattori
da cui esso
sembra trarre origine, nonché la percentuale di varianza1 spiegata da ognuno di essi:

Fattori ereditari. Esistono teorie secondo cui le cause dell’ADHD sarebbero ereditarie. Ciò che si
trasmette dai genitori ai figli sono alcuni geni alterati che modificherebbero l’equilibrio neurochimico della
dopamina, un neurotrasmettitore normalmente presente nel cervello che presiede a molte funzioni
motorie e congnitive. Oltre a ciò, risulterebbe anomalo lo sviluppo dei circuiti neurali frontali e striatali del
cervello, che sembrano operare per un controllo cosciente di molte funzioni automatiche (come guidare
l’automobile o scrivere). Tali fattori sembrano avere un ruolo preponderante nello sviluppo dell’ADHD,
poiché rendono conto di una percentuale di casi che va dal 50 all’80%;

Condizioni patologiche acquisite. Vi sono alcuni agenti ambientali (ad es. intossicazione da piombo,
esposizione a fumo di sigaretta e/o alcool durante la gestazione, nascita prematura, parto prolungato,
traumi perinatali o dovuti a incidenti durante la prima infanzia) che minano lo sviluppo del cervello. Tuttavia,
di per sé questi agenti intervengono in non più del 30% dei casi di ADHD.

Un danno neurologico rilevabile (i cosiddetti “segni neurologici lievi”) la cui causa è ignota.
Tale
fattore causale spiega non più del 5% dei casi di ADHD segnalati (Fedeli, 2003).
Nonostante la serie di cause sopra riportata, fino a che non ne verrà identificata con
precisione una specifica per l’ADHD (che pare frutto della trasmissione ereditaria), tale
schema ha carattere speculativo.
A questo punto, una riflessione che sorge spontanea è il fatto che è naturale osservare nei bambini
un’ampia variabilità comportamentale, e quindi incontrare bambini più o meno vivaci ed estroversi, così
come bambini diversamente timidi, educati, riservati e così via. Ma attenzione, i bambini iperattivi non
sono semplicemente vivaci, e spesso i loro problemi non si risolvono con l’età, anzi. Un ADHD non
trattato, infatti, può risultare in esiti disastrosi per l’adattamento sociale, scolastico (o lavorativo) e
personale del bambino.
Infatti, sebbene l’agitazione motoria tenda ad attenuarsi durante l’adolescenza, può rimanere un senso di
irrequietezza interna, che predispone il ragazzo ad attività pericolose, in un periodo in cui la costruzione
del sé è un imperativo primario.
Le difficoltà di concentrazione e la mancanza di autocontrollo permangono, continuando a
connotare lo
stile di apprendimento e di relazione del ragazzo.
Il rischio di frequentare compagnie di giovani delinquenti e di abusare di droghe (in
particolare stimolanti)
e/o alcol è molto alto, specialmente se è presente aggressività o disturbi della condotta. In
età adulta
1Varianza: con tale termine si intende la percentuale di casi per la qualeè possibile identificare una causa ben
precisa di
un problema o disturbo (Pedrabissi e Santinello, 1997).
Lavoro a cura della dott.ssa Monica Delbue
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.l’ADHD può, in alcuni casi, evolvere in una vera e propria patologia della personalità
(Antisociale o
Borderline) (Maschietto, 2003).
Al seguente linkhttp://www.educare.it/Scuola/difficolta/disturbi/disturbo_attenzione_iperattivita.htm è
riportato una descrizione dettagliata dei sintomi che caratterizzano l’ADHD.
Un sintomo, tante cause
È opportuno, a questo punto, mettere in guardia genitori e insegnanti circa le
difficoltà insite
nella diagnosi del disturbo.
Spesso sono insegnanti e genitori gli osservatori più attendibili per identificare un bambino con
ADHD, almeno per quanto riguarda la prima e la seconda infanzia (non è lo stesso per gli
adolescenti).
Ciò è indicato anche nei criteri diagnostici riportati a pagina 31, quando si fa riferimento alla
necessità che i sintomi si presentino con un’intensità tale da causare disadattamento
personale, sociale, scolastico e/o lavorativo, in almeno due contesti di vita in cui di solito il
soggetto trascorre le sue giornate (appunto casa e scuola).
Questo perché fare diagnosi di ADHD basandosi solo sull’osservazione in studio con lo
psicologo non è proficuo, in quanto questi bambini in ambienti nuovi possono tenere un
comportamento abbastanza adeguato, in particolare nel rapporto uno-a-uno (APA, 1994).
Infatti, se ad essi vengono proposte attività nuove, non ripetitive e interessanti in ambienti
strutturati, solitamente si osservano meno difficoltà di concentrazione e iperattività (Torrioli,
2001).
D’altra parte, sintomi di disattenzione e iperattività possono manifestarsi qualora l’ambiente di
vita del bambino sia inadeguato ad uno sviluppo armonico: l’attenzione, così come tutte le
altre funzioni cognitive, va esercitata e i primi anni di vita sono importanti per determinare le
capacità di apprendimento future.
Se il bambino è cresciuto in un ambiente familiare caotico, se è stato vittima di abusi,
abbandoni e/o affidi ripetuti e qualora la programmazione didattica non sia stata commisurata
al suo livello intellettivo (che nell’ADHD può essere superiore, nella norma o lievemente
inferiore), è molto probabile osservare in lui un comportamento irrequieto e poco controllato
(APA, 1994; Masi e Zuddas, 2002).
L’iperattività, l’impulsività e la disattenzione sono sintomi che possono comparire
in diversi
disturbi, seppur come manifestazioni secondarie.
Nello schema sottostante sono indicati i disturbi e le condizioni che entrano, come si suol dire
in gergo clinico, in diagnosi differenziale con l’ADHD, ponendo dubbi circa la presenza di
questo disturbo del comportamento.
Alcuni di questi disturbi, inoltre, possono associarsi ai disturbi dell’Attenzione, andando così a
costituire un quadro clinico complesso, dove le possibilità di miglioramento sono commisurate
al numero e al tipo di disturbi che si associano a quello primario (ciò presentatosi per primo).
Nella scheda alle pagine seguenti, troviamo un prospetto dei disturbi che si associano con più
frequenza all’ADHD, oltre ad alcune avvertenze che genitori e insegnanti devono tener
presente quando osservano sintomi di disattenzione e iperattività nei loro bambini, poiché il
loro significato non è sempre lo stesso.
Lavoro a cura della dott.ssa Monica Delbue
OPsonline.it: la Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in Psicologia
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Copyright© 2001–2007 E’ vietata la distribuzione e riproduzione anche parziale senza l’espressa autorizzazione dell’autore
.
Disturbi probabilmente
Disturbi probabilmente
a
associati all’ADHD
sociati all’ADHD
Disturbi che confondono
Disturbi che confondono
la diagnosi di ADHD
la diagnosi di ADHD
Altri
Disturbi
del
Altri
Disturbi
del
co
comportamento
portamento
Disturbo della Condotta(20-30%
dei bambini e 30-40% degli adolescenti con ADHD): questi soggetti violano con persistenza i diritti fondamentali degli altri, incluse norme e
regole sociali.
Disturbo
Oppositivo-
Provocatorio(30-40%): quei
soggetti che adottano atteggiamenti ostili di sfida e opposizione verso adulti e le regole sociali (Di Pietro, Bassi e Filoramo, 2001).
È importantissimo considerare che
non è affatto inevitabileche
l’ADHD si associ ad altri Disturbi del Comportamento come il Disturbo della Condotta: la discriminante tra il primo
e
quest’ultimo
è l’intenzionalità a recare offesa o danni agli altri, che non emerge nell’ADHD. Stesso discorso
si può fare per il Disturbo Oppositivo- Provocatorio: esistono bambini con ADHD che non sono oppositivi.
Disturbi
Specifici
Disturbi
Specifici
(Dislessia,
Disgrafia, Disortografia, Disturbi del Calcolo)e
Aspecifici
e
Aspecifici (estesi a più aree e solitamente meno gravi)
dell’Apprendimento
dell’Apprendimento
I Disturbi dell’Apprendimento di presentano in bambini di intelligenza normale. Tra i due tipi di disturbi vi è una probabilità di compresenza che
si aggira tra il 27 e l’80%.
I Disturbi dell’Apprendimento possono produrre irrequietezza in classe (Cornoldi et al., 2001) così come deficit nelle abilità sociali: ciò rende
difficile distinguere tra le due sindromi (Cornoldi, 1999).
Disturbi
dell’Umore
Disturbi
dell’Umore
(Depressione
e
Disturbo Bipolare)
Tra ADHD e Disturbi dell’Umore vi è una probabilità di compresenza compresa tra il 15 e il 75% (Masi, 2003). Il Disturbo dell’Umore più
spesso associato con l’ADHD è il
Disturbo Bipolare: esso prevede
umore ed autostima elevati, scarso bisogno di sonno, eccessiva loquacità e coinvolgimento in attività rischiose (Rapaport e Ismond, 2000).
Può essere difficile discriminare tra i due disturbi (sintomi comuni: distraibilità, iperattività, impulsività); i bambini con disturbo bipolare, tuttavia,
sono più irritabili ed aggressivi, anche se raramente euforici, e inoltre possono presentare episodi depressivi. Il loro livello di iperattività è
altalenante, a differenza dell’ ADHD.
Disturbi d’Ansia
Disturbi d’Ansia
Un 25-30% di bambini con ADHD presentano concomitanti disturbi d’ansia (Ansia Generalizzata,
fobie, Ansia da Separazione,
Fobia Sociale), soprattutto se non
mostrano iperattività ma solo disattenzione. Sono meno impulsivi di quelli con ADHD semplice, il che può proteggerli dallo sviluppo di
comportamenti antisociali ma che ostacola a genitori e insegnanti la consapevolezza di un problema (Masi, 2003; Rizzo, 2003). il
Disturbo Ossessivo-Compulsivo
si associa all’ADHD nel 20-30% dei casi (Masi, 2003). Prevede la persistenza di ossessioni (pensieri sgradevoli e ripetitivi) e compulsioni (atti
che il soggetto si sente “costretto” a compiere) (Rapaport e Ismond, 2000).
Tra ADHD e Disturbi d’Ansia vi sono difficoltà di discriminazione, poiché in entrambi è presente iperattività che comunque nelle patologie ansiose
tende a fluttuare (Rapaport e Ismond, 2000).
Tabella 1: disturbi associati all’ADHD e altri disturbi che ostacolano una diagnosi corretta.
Ridurre le manifestazioni di iperattività

. A proposito di farmaci
I farmaci psicostimolanti (e in particolare ilMetilfenidato, il cui nome commerciale èRitalin)
sono
attualmente il trattamento più usato e testato nei bambini con ADHD.
Queste sostanze hanno alle loro spalle 60 anni di sperimentazioni cliniche controllate e rappresentano
perciò la classe di farmaci per l’età evolutiva più studiata, almeno negli USA (Zuddas, 1999). Sebbene
molti ricercatori americani siano favorevoli al loro uso (Spencer et al., 1996; Greenhill, 1998), altri
(Rapaport e Castellanos, 1996) sono scettici circa l’efficacia del farmaco se usato da solo (Fabio, 2001).
In Italia si avverte molta diffidenza circa l’efficacia e le implicazioni morali dell’uso sui bambini di questi
farmaci. Tuttavia, è prioritario discutere di questo tema, vista l’imminente reintroduzione commerciale di
questi preparati.
In alcune zone del nostro paese l’ADHD non viene riconosciuto come entità clinica concreta: se
sommiamo tra loro le difficoltà diagnostiche, i casi in cui sono presenti disturbi associati, i problemi nel
distinguere tale patologia da altre, il ridotto numero di clinici esperti nel riconoscerla, è comprensibile che
vi siano ostacoli all’accettazione dei farmaci (D’Errico et al., 2001).
Di Pietro nega l’efficacia a lungo termine degli stimolanti, anche dopo anni di trattamento.
Tuttavia l’autore ritiene utili tali farmaci nelle seguenti condizioni:
a)Una sintomatologia estremamente accentuata con gravi alterazioni del comportamento;
b)Impossibilità di ottenere la collaborazione dei genitori a causa di grave disagio familiare
(deprivazione culturale, disabilità, disturbi psichici o grave stress);
c)Mancanza di risorse nella comunità e rifiuto di collaborazione da parte della scuola (Di Pietro,
2001).
Nonostante sia pienamente giustificabile la prudenza con cui molti clinici somministrano il Metilfenidato ai
bambini, i media hanno condannato senza appello l’uso del farmaco, aumentando la confusione di
genitori, insegnanti e di tutti coloro che si occupano a titolo professionale dei bambini con ADHD.
Per fare un esempio, nel numero 7 dell’Espresso uscito il 15 febbraio del 2001 si sosteneva che “gli
esperti si chiedono se non sia in atto una medicalizzazione di massa per coprire un fenomeno ben più
semplice di una malattia neurologica seria come l’ADHD. Niente farmaci, insomma: solo un po’ di relax.
E tanta attenzione (D’Errico et al., 2001) ”.
Molti specialisti giustificano la prudenza nella somministrazione del farmaco con la tesi che l’aumento
delle diagnosi di ADHD sia in parte frutto di una truffa commerciale (Fabio, 2001). Molti genitori e
insegnanti sono scettici verso l’utilità della terapia farmacologica in quanto ritengono che costituisca la via
d’accesso alla tossicodipendenza o all’abuso di alcool.
Non si deve però dimenticare lo studio di Barkley e coll. (2003) sugli effetti a lungo termine degli
stimolanti: secondo questi autori i farmaci stimolanti non condurrebbero ad una dipendenza da sostanze
in età adolescenziale e adulta, ma piuttosto proteggerebbero l’individuo da tale rischio.
In merito all’efficacia della terapia, Taylor (1998) sostiene come ci sia un 20-30% di
soggetti che non
risponde al trattamento con psicostimolanti (Vio, Marzocchi e Offredi, 1999).
Altri dati di ricerca suggeriscono tuttavia come la terapia farmacologica sia efficace sui sintomi cardine in
almeno l’80-90% dei casi, pur se gli effetti non sono così evidenti nei casi in cui vi siano condizioni
associate quali disturbi della condotta, disturbi di apprendimento o difficoltà di interazione sociale
(Cantwell, 1996; Elia et al. 1998; Guevara e Stein, 2001) (Masi e Zuddas, 2002).
Castellanos e coll. hanno compiuto ricerche in base a cui non sono emersi danni al cervello
dovuti all’uso
di stimolanti: se tali danni esistevano erano da attribuirsi semmai all’ADHD, che pertanto
indurrebbe sia
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.lo sviluppo ritardato di alcune aree del cervello, sia un tracciato EEG anomalo con anomale
risposte agli
stimoli in talune aree cerebrali (Castellanos, Lee, Sharp et al., 2002).
Nonostante questi dati tutto sommato confortanti, quando ad un bambino viene prescritto ilRitalin, le dosi
e le modalità di somministrazione (2/3 volte/giorno, una sola somministrazione a dosaggio prolungato,
ecc.) vanno attentamente monitorate dal neuropsichiatra, tanto più se il soggetto è in età prescolare.
Se non si osservano effetti, anche dopo aggiustamenti nella dose (mg/die), il farmaco va
immediatamente sospeso. Qualora nel bambino/ragazzo (o nella sua famiglia) siano presenti tics,
disturbi cardiaci, ipertiroidismo o tireotossicosi, glaucoma, epilessia, Disturbo Bipolare o precedenti
disturbi da Uso di Sostanze, il farmaco non va usato o deve essere interrotto (Masi e Zuddas, 2002).
Il clinico incaricato di somministrare il Ritalin, dunque, dovrebbe essere franco con genitori e insegnanti,
spiegando loro che non è possibile aiutare il bambino iperattivo solo a livello farmacologico, ma che sono
necessari interventi su molteplici fronti, poiché i farmaci spesso inducono nel ragazzo e nei genitori una
condizione di passività (Fabio, 2001).
Infatti, gli interventi centrati sulla modificazione dell’ambiente educativo, familiare e scolastico, oltre a
quelli mirati a incrementare l’autocontrollo comportamentale, attentivo e cognitivo del bambino stesso,
se, da una parte, richiedono molto tempo e impegno, dall’altra portano a risultati certamente più duraturi.
Inoltre, siccome tali interventi hanno come effetto secondario quello di aumentare le capacità dicoping2
del bambino e del suo ambiente, rendono protagonisti i soggetti che ne beneficiano, i quali possono
imparare un approccio generale verso le difficoltà della vita, poiché interpretano i problemi come sfide e
opportunità,
non
come
fonte
di
sofferenza.
Il farmaco, invece, infonde nel bambino e in chi gli ruota intorno un senso di impotenza
verso gli
accadimenti
della
vita.
Infine, vantaggio non secondario, l’aiuto attivo offerto al bambino da genitori, insegnanti e
operatori fa sì
che egli non si senta solo di fronte ai suoi deficit.
Principi cardine
Per ridurre i deficit caratteristici dell’ADHD, risulta importante il livello di motivazione al cambiamento del
bambino e della sua famiglia, oltre che la fiducia che insegnanti e coetanei ripongono verso le sue
possibilità di miglioramento.
Tale motivazione è influenzata dall’autostima del bambino, che dipende tra l’altro dal grado di
accettazione dell’entourage relazionale e dall’aiuto che questi ritiene di ricevere dall’esterno (Barkley,
1997) (Vio, Marzocchi e Offredi, 1999).
La motivazione al cambiamento agisce sul grado di collaborazione al trattamento del
soggetto, della sua
famiglia e del team di insegnanti.
Inoltre, qualora il trattamento coinvolga un unico soggetto (ad esempio il bambino) o sia condotto tramite
un solo presidio terapeutico (farmaco o terapia psicologia, oppure lavoro con la famiglia o con la scuola),
esso avrà un’efficacia relativa, e i suoi risultati non si generalizzeranno a tutti i contesti di vita e perciò
non dureranno nel tempo (Douglas, 1994) (Vio, Marzocchi e Offredi, 1999). Secondo Arcelus e Munden
(2001) il trattamento dell’ADHD ha senso solo se organizzato a livello di èquipe, la quale dovrebbe
coinvolgere i seguenti soggetti:
2 Coping: dall’inglese “far fronte”, “affrontare”.
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.
• il bambino e la sua famiglia;
• il medico pediatra che compie la valutazione;
• gli insegnanti, curricolari e di sostegno, e gli psicologi dell’educazione;
• gli infermieri e il medico che operano a livello scolastico;

• i servizi sociali;

• gli psicologi e i terapisti familiari;

• la famiglia allargata e le agenzie di volontari;


•i gruppi di sostegno per genitori.
Naturalmente, la collaborazione di tutti questi soggetti è una condizione ideale che
è molto
difficile ricreare nel contesto italiano.
Quelli che seguono sono alcuni principi che genitori e insegnanti dovrebbero sempre aver
presenti nella
modificazione dell’ambiente del bambino con ADHD.
Per favorire il cambiamento esterno occorre stabilire, sia a casa che a scuola, delle regole formulate in
maniera positiva e semplice (Di Pietro, Bassi e Filoramo, 2001). Un esempio di regola positiva è la
seguente: “Luca, cammina piano lungo il corridoio”; molti di noi, invece, sono abituati a formulare le
regole in negativo, quasi come fossero intimidazioni: “Luca! Non correre lungo il corridoio!”: ciò può
rendere la relazione tra bambino e adulto piuttosto tesa e conflittuale.
Le regole devono far riferimento alla specificità dei vari contesti, cioè contenere indicazioni concrete sul
comportamento da esibire in momenti e luoghi precisi della giornata: ad esempio, l’insegnante può
spiegare alla classe: “quando suona la campana per l’inizio delle lezioni, vi alzerete tutti in piedi e direte
<<buongiorno!>>”.
Inoltre, si deve tener conto del fatto che i bambini iperattivi non possono ricordarne un numero eccessivo
prima di interiorizzarle, per cui è bene insegnarne non più di 3 alla volta. Durante la costruzione di queste
regole sarebbe bene coinvolgere anche il bambino per poter discutere con lui cosa gli accadrà se le
segue o le trasgredisce (Di Pietro, Bassi e Filoramo, 2001).
Ancora, è importante che genitori e insegnanti stabiliscano delle routine, poiché sapere in quale giorno
della settimana e a quale ora si svolgeranno le diverse attività (il pranzo, la cena, andare a dormire o
andare a scuola, le materie scolastiche in una successione precisa) dà molta sicurezza al bambino
iperattivo, che può così prevedere il comportamento da adottare nelle diverse situazioni (Barkley, 1999).
Per quanto riguarda le routine a scuola, gli insegnanti dovrebbero stabilire rituali di ingresso, saluto e
uscita dalla classe, nonché controllare subito ad inizio lezione il materiale e i compiti assegnati per casa.
È bene non assegnare tali compiti negli ultimi minuti di lezione, perché non è possibile verificare se tutti
gli alunni li hanno annotati.
Anche le pause e i giochi durante la ricreazione dovrebbero essere programmati secondo un
programma giornaliero o settimanale. Analogamente, è importante determinare e comunicare agli alunni
i tempi di lavoro delle varie attività, in modo da poterle eventualmente suddividere in parti più piccole
secondo i dettami dell’analisi del compito praticata dai terapeuti comportamentali (Cornoldi et al., 2001).
Evitare il sovraccarico di informazioni per non saturare la memoria di lavoro, stabilire fin dall’inizio quali
sono i comportamenti più disturbanti all’interno della classe e dare al bambino la possibilità di riporre
lontano dal banco o dal tavolo di lavoro i materiali che al momento non servono, sono altri esempi di
interventi che risparmiano un gran numero di rimproveri (Di Pietro, Bassi e Filoramo, 2001).
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