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Fiaba

▪ Fiaba Classica
▪ Fiaba d’autore
▪ Fiaba Moderna

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


Fiaba Classica

 Tradizione orale

 Precursori: Giovan Francesco Straparola (1480-1557)


Le piacevoli notti (1550-53- 56)
Giambattista Basile (1566-1632)
Lo cunto de li cunti (1643-46)

 1697 I racconti di mamma Oca Perrault

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


Giovan Francesco Straparola
• 75 novelle e fiabe + canzoni all’inizio ed enigmi
alla fine

5 storie ogni notte per 12 notti = 60


+
13 storie l’ultima notte = 73

Nel 1556 per motivi religiosi viene tolta la 5 storia


dell’ottava notte e ne vengono aggiunte 2 =75.

La prima fiaba dell’11 a notte è Costantino


Fortunato prima versione de Il Gatto con gli stivali

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


Costantino Fortunato
C’era una volta in Boemia una donna di nome Soriana; ella era poverissima, e aveva tre figlioli, che si
chiamavano: Dosolino, Tesifone, e Costantino Fortunato. Gli unici beni posseduti da questa donna erano, una
madia per l’impasto del pane, un’asse di legno dove stenderlo, e infine, una gatta. Soriana, sentendo il peso
degli anni, prima di morire fece testamento. Al figlio maggiore lasciò la madia, al mezzano l’asse di legno, e a
Costantino lasciò la gatta. Quando fu morta e sepolta, le vicine di casa, se capitava che ne avessero bisogno,
andavano dai figli di Soriana a chiedere in prestito, ora la madia, ora l’asse, e, siccome sapevano che i
poveretti vivevano in estrema povertà, in cambio preparavano loro una focaccia, e con quella essi si
sfamavano, lasciando però indietro il fratello minore: quando Costantino chiedeva loro qualcosa, quelli
rispondevano di rivolgersi alla gatta, che ci avrebbe pensato lei. Costantino e la sua gatta pativano molto la
fame, ma la bestiola, che in realtà era fatata, mossa a compassione verso il suo povero padroncino, e, adirata
con i fratelli di lui per la loro crudeltà, disse un giorno: “Costantino, non ti rattristare, perché da questo
momento provvederò io ai bisogni di tutti e due”. Così dicendo, uscì da casa e sgattaiolò in aperta campagna,
e, fingendo di dormire, cacciò una lepre mentre le passava accanto, e la uccise. Allora, si recò al palazzo
reale, e, interpellati alcuni cortigiani, chiese udienza presso il re, il quale, sentendo che si trattava di una
gatta, volle incontrarla. Le chiese che cosa volesse, e la bestia rispose che il suo padrone Costantino, gli
inviava in dono una lepre che aveva acchiappato a caccia. Il re accettò il dono, e domandò alla gatta chi fosse
questo misterioso Costantino, ed essa rispose che il suo padrone era un gran signore, bello, buono e potente
da non avere eguali. Allora il re accolse con tutti gli onori la gatta, e le fece servire da mangiare e da bere. La
gatta, quando fu satolla, senza farsi vedere, con le sue zampettine svelte e delicate, riempì la bisaccia di cibo,
e, congedatasi dal sovrano, corse a portare i viveri a Costantino. I fratelli, vedendo tutto quel ben di Dio,
pregarono Costantino di poter favorire alla sua tavola, ma egli, ben conscio del trattamento ricevuto, rese
loro pan per focaccia e li cacciò. E da quel momento essi furono invidiosi nei confronti del fratello.
Costantino, nonostante non fosse bello di viso, anche a causa di tutte le privazioni subite, aveva pure il corpo
pieno di rogna e di tigna, e questi parassiti gli causavano una grandissima irritazione cutanea; così, un giorno,
si recò con la gatta al fiume, e lì, essa gli fece un bel bagno di saliva dalla testa ai piedi, sicché in pochi giorni
fu completamente guarito. 17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo
Dunque, come dicevamo, la gatta, intanto, continuava a presentarsi al palazzo reale portando frequenti
doni al sovrano a nome del padrone, e siccome tutto quell’andirivieni era per lei una gran fatica, e,
temendo di dare fastidio ai cortigiani, un giorno disse a Costantino: “Padrone, se ascolterai quanto ti dico,
ti prometto che in breve tempo sarai immensamente ricco”. “ E in che modo?” E la gatta rispose: “Fidati di
me; seguimi e non farmi altre domande, che io sono decisa a fare la tua fortuna”. Costantino seguì la gatta
fino al fiume, che si trovava proprio nelle vicinanze del palazzo reale; di comune accordo, egli accettò di
spogliarsi ed essa lo buttò in acqua, dopo di che incominciò a strepitare: “Aiuto! Aiuto, correte! Messer
Costantino sta affogando!”. La voce giunse alle orecchie del re, il quale, grato per i doni fino a quel
momento ricevuti, mandò subito i suoi cortigiani a soccorrerlo. Quando uscì dall’acqua, e fu vestito con
abiti nuovi, Costantino fu scortato dal re, il quale lo accolse a braccia aperte, e gli domandò come mai era
finito nel fiume, ed egli non seppe cosa rispondere, così, intervenne la gatta: “Sappiate, Maestà, che, a
causa delle sue ricchezze, alcuni ladroni avevano tenuto d’occhio il mio padrone, ben sapendo che quelle
gioie erano destinate a Voi. Così, lo hanno spogliato e gettato al fiume, sicuri che sarebbe affogato, e così
sarebbe stato, se non fossero venuti i Vostri gentiluomini a soccorrerlo”. A sentire ciò, il re ordinò che
Costantino fosse messo sotto la sua protezione, e, siccome lo trovò di bell’aspetto, e credendolo ricco,
decise di concedergli la mano di sua figlia Elisetta, assegnandole una ricchissima dote. Quando furono
sposati, il re fece dono a Costantino di dieci muli d’oro e altrettanti servitori, e inviò la figlia a casa del
genero, scortata dal suo bel corteo. Costantino, però, nonostante si ritrovasse improvvisamente ricco e
onorato, si sentì presto sulle spine, poiché non sapeva dove portare la moglie, non avendo una casa
adeguata; così, si consigliò con la gatta, la quale disse: “Non dubitare, padrone mio, che sistemeremo
tutto”. Così, mentre il corteo cavalcava allegramente, la gatta corse avanti; dopo che si fu allontanata di
parecchio, incontrò alcuni cavalieri ai quali disse: “Cosa fate qui, poveretti? Andatevene subito, presto, che
sta per arrivare un mucchio di gente, e se vi trovano qui, per voi saranno guai! Ecco che arrivano, sento il
rumore dei cavalli”. Quelli, impauriti, dissero: “E allora noi cosa dobbiamo fare?” E la gatta: “Farete così: se
vi chiederanno di chi siete cavalieri, voi risponderete, di Messer Costantino, e vi lasceranno stare”.
17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo
Detto ciò, la gatta corse più avanti, finché trovò immensi greggi di pecore, ai quali padroni
raccomandò lo stesso, e così fece con tutti quelli che incontrava. Intanto, il corteo che
accompagnava Elisetta, domandava di volta in volta: “Di chi siete, voi, nobili cavalieri? A chi
appartengono queste mandrie?” E tutti rispondevano a gran voce: “Di Messer Costantino”. Allora,
domandarono al padrone: “Messer Costantino, stiamo dunque entrando nei vostri territori?” Al
che egli affermava di sì con il capo, a tutte le domande che gli facevano, così, il corteo della sposa
si convinse che egli fosse davvero un gran signore.
La gatta giunse poi a un bellissimo castello, che era pressoché disabitato, e disse: “Cosa fate,
gentiluomini? Non sapete che stanno per piovervi in testa grandi sventure?” “Cosa?” risposero i
castellani. “Fra poco meno di un’ora, passeranno di qua i soldati del re, e loro vi faranno a pezzi. Non
sentite i cavalli che nitriscono? Non vedete il polverone che hanno sollevato? Se non volete fare una
brutta fine, ascoltate il mio consiglio. Se vi domanderanno chi è il vostro padrone, e a chi appartiene
questo gran castello, voi rispondete che è di Messer Costantino Fortunato”. E così fecero. Quando la
sposa arrivò col suo corteo, quelli domandarono ai guardiani per chi lavorassero, e tutti risposero senza
esitazione: “Per Messer Costantino Fortunato”. Così, presero alloggio nel castello. Ora, dovete sapere
che quel castello era stata la dimora del signor Valentino, un valoroso soldato che un giorno era uscito
per andare incontro alla moglie; ma, per sua sfortuna, fu colto da un terribile accidente, e morì sul
colpo, lasciando il suo castello disabitato. Così, Costantino Fortunato rimase con la sua sposa e i suoi
nuovi cortigiani al palazzo e divenne un gran signore davvero. Non passò molto tempo che Morando, il
re di Boemia suo suocero, morì, ed egli fu acclamato nuovo re dal popolo, essendo consorte della
principessa figlia del re defunto, e quindi, suo successore di diritto.
In questo modo, Costantino, da povero mendicante, diventò di punto in bianco un gran signore e
sovrano, e con la sua Elisetta visse a lungo, lasciando in eredità ai loro figli, le terre, i possedimenti, e il
regno.
17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo
Giambattista Basile
Lo cunti de li cunti – overo lo trattenimento de’ Peccerille
Pentamerone
50 fiabe raccontate in 5 giorni presso la corte del principe Tadeo
1 racconto = cornice narrativa da qui gli altri 49, narrati da 10 personaggi in 5 l’ultima fiaba riporta alla
vicenda principale. Cornice: la principessa Lucrezia, detta Zoza, è una principessa triste, non riesce più a
ridere. Vani i tentativi del padre che chiama a palazzo ogni sorta di saltimbanchi, buffoni e uomini di
spettacolo. Un giorno, affacciata alla finestra della sua stanza, Zoza scoppia a ridere nel vedere una
vecchia cadere, e poi compiere un gesto osceno di rivalsa e di protesta. La vecchia si vendica della risata
della giovane principessa con una maledizione: Zoza potrà sposarsi solo con Tadeo, un principe che a
causa di un incantesimo giace addormentato in un sepolcro in uno stato di morte apparente, e che
riuscirà a svegliarsi solo se una fanciulla riuscirà a riempire in tre giorni un’anfora con le proprie lacrime.
Zoza inizia a piangere ma quando l’anfora è quasi colma si addormenta.
Una schiava si sostituisce a lei, versando le ultime lacrime in modo da
svegliare il principe, e si fa sposare. Zoza però riesce a infondere nella schiava
il desiderio di ascoltare fiabe, e dà l'incarico a dieci orribili vecchie di narrare
ciascuna una novella al giorno, per cinque giorni. Alla fine Zoza si sostituisce
all’ultima novellatrice, raccontando la propria storia
come ultima novella. Così il principe viene a conoscenza dell’inganno che le è
stato teso, condanna a morte la schiava e sposa Zoza.

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


G. B. Basile, Gagliuso, 1634-36
Gagliuso, grazie alla benignità di una gatta lasciatagli dal padre, diventa un signore; ma poi, le dimostra
ingratitudine, ed essa glielo rinfaccia.

C’era una volta nella mia città di Napoli, un vecchio pezzente miserabile e senza un soldo, dalle tasche così
vuote, senza il minimo gonfiore al borsellino, che se ne andava in giro nudo come un pidocchio. E un giorno,
nel mentre che sentì svuotarsi i sacchi della vita, chiamò a sé Oraziello e Pippo, i suoi due figli, dicendo loro:
“Sono stato ormai citato in giudizio a pagare il mio debito con la Natura; e credetemi, se siete dei buoni
cristiani, che proverei un gran sollievo alla sola idea di essere finalmente liberato da questo inferno
d’affanni, da questo porcile di travagli, se non fosse che vi lascio in una miseria immensa quanto la chiesa di
Santa Chiara, abbandonati come straccioni sulle cinque vie di Melito, puliti come la bacinella di un barbiere,
leggeri come l’acqua e secchi come un nocciolo di prugna, senza una briciola di beni che trasporterebbe una
mosca su una zampa sola, che, manco se correste cento miglia potreste perdervi per strada uno spicciolo. E
tutto questo perché il mio destino infame e crudele mi ha condotto alla merda dei cani, e come cacca son
rimasto anch’io, tanto che ora m’abbandona persino la vita, e come mi vedi, così mi puoi descrivere, che
sempre, come sapete, ho fatto sbadigli e segni della croce, e alla fine son andato a letto senza candela.
Nonostante tutto questo, ora che sto per morire, voglio ugualmente lasciarvi un qualche segno d’amore;
perciò, a te, Oraziello, che sei il mio primogenito, voglio lasciare quel setaccio che sta appeso al muro e con
il quale ti potrai guadagnare il pane; e tu, che sei il cucciolo di casa, pigliati la gatta, e ricordatevi sempre del
vostro papà”. E così dicendo, scoppiò in lacrime e poco dopo disse: “Addio che è notte!”. Oraziello, dunque,
una volta sepolto il padre, si prese per sé il setaccio e cominciò a correre a destra e a manca per
guadagnarsi da vivere, tanto che, più setacciava, e i più guadagnava. Mentre Pippo, presa con sé la gatta,
cominciò a dire: “Ma tu guarda che grama eredità che mi ha lasciato mio padre! Non mi resta un centesimo
bucato per me, e ora mi tocca sfamare anche te! Che cosa dovrei farmene di questo misero lascito? Quasi
quasi sarebbe stato meglio se non mi avesse lasciato nulla!” Ma la gatta, sentendo tali lamentele, gli disse:
“Tu ti lamenti anzitempo, senza neanche immaginare lontanamente la fortuna che ti è capitata per le mani,
perché io son capace anche di farti diventare ricco, se mi ci metto!”.
17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo
Pippo, nel sentire una simile dichiarazione, ringraziò Sua Gatteria, e, facendole tre o quattro carezze
sulla schiena, prese a raccomandarsi caldamente, tanto che la gatta, che ebbe compassione per il povero
disgraziato Gagliuso, ed ogni mattina, quando il Sole, attirato all’amo d’oro della luce, pesca le ombre
della Notte, s’appostava alla spiaggia di Chiaia o alla Pietra del Pesce, e, avvistando qualche grosso cefalo
o una bella orata, con le sue zampette afferrava le sventurate prede e andava dritta di filato a
consegnarle al re, dicendo: “Il mio padrone, Messer Gagliuso, fedele suddito di Vostra Maestà per
l’eternità, vi omaggia di questo pescato con queste precise parole: «Un piccolo dono, per un grande
uomo»”. Il re, tutto lusingato come accade in questi casi, fece una faccia allegra, e rispose alla gatta: “Dì
al tuo signore che non lo conosco, ma che lo ringrazio infinitamente”.
Qualche altra volta, invece, la gatta si recava in zone di caccia, nella palude o agli Astroni, e s’appostava,
aspettando che i cacciatori facessero cadere in terra le loro prede, che potevano essere, una volta un
rigogolo, altre, una cinciallegra o ancora, una capinera, e, furtivamente le catturava e dritta, volava a
portarle al re, richiamandosi ogni volta alla medesima ambasciata. E usò questo trucco così a lungo, che
una mattina il re le disse: “Io mi sento così obbligato nei confronti del tuo padron Gagliuso, che desidero
conoscerlo, per poter ricambiare tutta la gentilezza che egli ha usato verso di me”. Al che, la gatta
rispose: “L'unica missione che ha nel cuore il mio padrone, è quella di impiegare la sua vita e il suo
stesso sangue per servire la Vostra Sacra Corona; pertanto, uno di questi giorni, quando il Sole avrà dato
fuoco alle stoppie dei campi dell’aria, verrà senz’altro a rendervi omaggio”. Così, quando fu il momento,
la gatta tornò dal re, e gli disse: “Signore mio, Messer Gagliuso Vi porge le sue più umili scuse, ma non
può venire, perché stanotte certe cameriere disoneste sono fuggite e l’hanno lasciato in maniche di
camicia”. Il re, sentendo tutto ciò, ordinò ai servi di prelevare dal suo guardaroba personale biancheria e
abiti e li inviò a Gagliuso. Non passarono due ore che il ragazzo si recò al palazzo reale, scortato dalla sua
gatta; il re lo ricevette con tutti gli onori, lo fece sedere accanto a sé, e ordinò per lui un banchetto
luculliano. Ma mentre mangiava, di tanto in tanto Gagliuso diceva alla gatta: “Micetta mia, ti
raccomando quei quattro stracci, fà in modo che non vadano perduti”. E la gatta rispondeva: “Zitto,
stolto, o ci scopriranno!” E il re, volendo sapere cosa stesse succedendo, la gatta rispose che l’era venuta
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una voglia tremenda di limoni, così, il re mandò un servo in giardino a prendergliene un cestino pieno.
Ma dopo un po’, Gagliuso si rifaceva sotto con la stessa musica, rampognando sugli stracci e le pezze, ed
ecco che la gatta doveva affrettarsi a trovare un’altra scusa per rimediare alle fesserie di Gagliuso. Finito il
lauto pasto, dopo aver mangiato e chiacchierato in abbondanza di questo e di quello, Gagliuso si congedò,
mentre quella volpe della gatta si trattenne con il re, facendogli una bella sviolinata sulle qualità e sul valore
del padrone, vantandosi dell’ingegno di quell’idiota di Gagliuso, e soprattutto, lodandone le vaste ricchezze
sparse per le campagne lombarde e romane, e facendogli notare che una tal virtù lo rendeva degno di
diventare parente di un sovrano. Il re volle sapere a quanto ammontasse il patrimonio di Gagliuso, ma la
gatta rispose che non si poteva tenere il conto dei mobili, degli stabili e delle suppellettili di questo riccone,
che non sapeva quello che aveva, ma che se il re avesse voluto informarsi, avrebbe potuto inviare i suoi
fedeli a vedere, e avrebbe avuto la prova che non v’era al mondo ricchezza più grande.
Così, il re mandò a chiamare i suoi dignitari e ordinò loro di prendere precise informazioni sui possedimenti
di Gagliuso, ed essi seguirono la gatta, la quale, con la scusa di fargli trovare un po’ di frescura per la strada,
appena furono fuori dai confini del regno, quatta quatta s’affrettò a distanziarli, ed ogni volta che incontrava
qualche gregge di pecore, delle mandrie di vacche, o di altri animali di valore, diceva a gran voce ai pastori e
ai guardiani: “Ehi, voi, se ci tenete alla pellaccia, vi consiglio di andarvene subito, perché ci sono in giro dei
banditi che razziano per tutta la campagna! Perciò, se volete salvarvi e preservare i vostri averi, dite che
tutto quello che si trova qui intorno, appartiene a Messer Gagliuso, e non vi torceranno un solo capello”.
Lo stesso diceva quando incontrava delle fattorie: ovunque arrivava il corteo del re, trovava la zampogna
accordata, e chiunque confermava che tutto quanto c’era nei paraggi, apparteneva al signor Gagliuso. Così, a
forza di domandare, alla fine si stancarono e tornarono dal re, raccontando mari e monti sui possedimenti di
Messer Gagliuso. A quel punto, il re promise un lauto compenso alla gatta se avesse combinato il
matrimonio, e la bestiola, una volta fatta la spola di qua e di là, concluse gli accordi e le nozze furono
celebrate. Il re consegnò una grosse dote a Gagliuso, ed egli, dopo un mese di baldoria, disse che desiderava
portare con sé la sposa a visitare le sue terre, e, accompagnati dal re fino al confine, se ne andò in
Lombardia, dove, sotto consiglio della gatta comprò svariate terre e proprietà, finché diventò un barone.

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


Così, Gagliuso, che si vide arricchire a piene mani, ringraziò a non finire la gatta, dichiarandosi suo eterno
debitore, perché riconosceva che senza il suo aiuto, non avrebbe mai conseguito fama e ricchezza. Si
disse immensamente grato a quella gatta, che con i suoi artifici era riuscita a cambiargli la vita, molto di
più di quanto avesse mai fatto l’ingegno di suo padre, e aggiunse che da quel momento essa poteva fare
e disfare della sua vita come più le aggradava, e le diede la sua parola d’onore che se fosse morta, di lì a
cent’anni, l’avrebbe fatta imbalsamare e mettere dentro ad una gabbia d’oro, e che l’avrebbe custodita
per sempre in camera sua, per tenere per sempre vivo il suo ricordo. La gatta, di fronte a quella sparata,
dopo neanche tre giorni si finse morta e si distese per la lunga in giardino; il fatto, però, non sfuggì agli
occhi della moglie di Gagliuso, la quale gridò: “Oh, marito mio, vieni a vedere! Che disgrazia! La gatta è
morta!”. E Gagliuso: “Oh, bhè, che il diavolo la porti. Meglio lei che noi!” “Ma cosa ne faremo?” replicò la
moglie. “Prendila per una zampa e buttala dalla finestra”.
La gatta, sentendo tanta ingratitudine come mai si sarebbe sognata, cominciò a dire: “Bhè, sarebbe
questo il ringraziamento per tutti i pidocchi che t’ho leccato via dal collo? Sarebbero questi i tuoi mille
grazie per gli stracci che ti ho fatto buttare, che a malapena ti coprivano il culo? Questo è quanto ho
guadagnato dopo che ti ho ripulito e rivestito? Dopo che da pezzente, sbrindellato, pidocchioso,
straccione e miserabile, ti ho sfamato quando morivi di fame, e trasformato in gran signore? Sì, sì, ecco
quel che si guadagna a fare del bene agli asini! Vattene, e maledetto il giorno che ti ho incontrato, visto
che ti sei già scordato tutto quello che ho fatto per te! Vattene, scalzacane, che meriteresti soltanto uno
sputo in un occhio per la tua ingratitudine! Bella gabbia d’oro che mi avevi costruito, bella sepoltura che
avevi programmato per me! Vattene, sgobba tu, lavora, fatica, stenta, suda tu, adesso, per essere
ringraziato in questo modo! Reietto sia chi mette sul fuoco la pignatta per le speranze del suo prossimo.
Diceva bene quel filosofo: Chi asino nasce, asino crepa! Insomma, chi più fa, meno aspetta. Ma sono solo
belle parole e pessimi fatti che ingannano solo i matti e i saggi”. E così dicendo, scappò via, e, per quanto
Gagliuso, con il polmone dell’umiltà, cercasse di farsi d’ingraziarsela, non ci fu più verso di farla ritornare
sui suoi passi, ma, correndo via senza neanche guardarsi più indietro, diceva:
“Dio ci scampi dal ricco quando è impoverito
e dal pezzente quando s’è arricchito”. 17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo
Perrault
Il gatto con gli stivali 1697 vedi pdf

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


Fiabe dal mondo arabo e orientale
Le mille e una notte tradotte da 1704 da Antoine
Galland

Shahrazād la protagonista delle Mille e una


notte, che racconta una favola dietro l’altra al
re persiano Shāhrīyār per placare il suo odio nei
confronti delle donne.
Racconta rimandando il finale di ogni storia alla
sera successiva e in questo modo tiene salva la
vita e alla fine il sultano si innamora.

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


Jacob e Wilhelm Grimm (1785/86- 1863/64)
(Kinderund Hausmarchen) Fiabe dei bambini e della casa
Raccolgono le fiabe per interesse scientifico/filologico
(ad inizio XIX secolo la Germania è minacciata dall’invasione dell’esercito napoleonico,
frammentata in stati regionali e principati tenuti insieme dalla lingua tedesca. Necessità di
una storia letteraria e unificante sul piano culturale)
Primo volume nel 1812 il secondo nel 1815
Dal 1812 al 1864 (morte dell’ultimo Grimm W.)
Pubblicata 17 volte la raccolta includendo complessivamente 201 fiabe: linguaggio
asciutto, senza abbellimenti lessicali modi e paesaggi narrativi così come raccolti dalla
tradizione orale
Ambientazioni tenebrose: foreste fitte e impraticabili, streghe arcigne e cattive, lupi e
orchi, fatti truculenti

Diversa la platea
Finalità culturali ed educative più ampie

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


[…] Quando fu sera, Cenerentola se ne andò e il principe volle accompagnarla, ma ella fuggì via
così rapida che non riuscì a seguirla. Ma il principe era ricorso a un’astuzia e aveva fatto
spalmare tutta la scala di pece: quando la fanciulla corse via, la sua scarpetta sinistra vi rimase
appiccicata. Il principe la raccolse: era piccola, elegante e tutta d’oro. La mattina dopo andò dal
padre di Cenerentola e disse: – Sarà mia sposa soltanto colei che potrà calzare questa scarpa
d’oro – . Allora le due sorelle si rallegrarono, perché avevano un bel piedino. La maggiore andò
con la scarpa in camera sua e volle provarla davanti a sua madre. Ma il dito grosso non entrava
e la scarpa era troppo piccolina; allora la madre le porse un coltello e disse: – Tagliati il dito;
quando sei regina, non hai più bisogno di andare a piedi – . La fanciulla si mozzò il dito, serrò il
piede nella scarpa, contenne il dolore e andò dal principe. Egli la mise sul cavallo come sua
sposa e partì con lei. Ma dovevano passare davanti alla tomba; due colombelle, posate sul
cespuglio di nocciolo, gridarono:
– Volgiti, volgiti, guarda:
c’è sangue nella scarpa.
Strettina è la scarpetta.
La vera sposa è ancor nella casetta.
Allora egli le guardò il piede e ne vide sgorgare il sangue. Voltò il cavallo, riportò a casa la falsa
fidanzata, e disse che non era quella vera e che l’altra sorella provasse a infilare la scarpa. Essa
andò nella sua camera e riuscì facilmente a infilare le dita, ma il calcagno era troppo grosso.
Allora la madre le porse un coltello e disse: – Tagliati un pezzo di calcagno; quando sei regina,
non hai bisogno di andare a piedi – . La fanciulla si tagliò un pezzo di calcagno, serrò il piede
nella scarpa, contenne il dolore e andò dal principe. E questi la mise sul cavallo come sposa e
andò via con lei. Quando passarono accanto al nocciolo, le due colombelle gridarono:
– Volgiti, volgiti, guarda:
c’è sangue nella scarpa.
Strettina è la scarpetta.
La vera sposa è ancor nella casetta.
17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo
Egli le guardò il piede e vide il sangue che sgorgava dalla scarpa, sprizzando purpureo
sulle calze bianche. Allora voltò il cavallo e riportò a casa la falsa fidanzata. – Neppur
questa è la vera, – disse, – non avete altre figlie?
– No, – disse l’uomo, – c’è soltanto una piccola Cenerentola tristanzuola, della moglie che
mi è morta: è impossibile che sia la sposa – . Il principe gli disse di mandarla a prendere,
ma la matrigna rispose: – Ah no, è troppo sporca, non può farsi vedere – . Ma egli lo volle
assolutamente e dovettero chiamar Cenerentola. Ella prima si lavò ben bene le mani e il
volto, poi andò a inchinarsi davanti al principe, che le porse la scarpa d’oro. Allora ella si
mise a sedere sullo sgabello, tolse il piede dal pesante zoccolo e l’infilò nella scarpetta: le
stava a pennello. E quando si alzò, e il re la guardò in viso, egli riconobbe la bella fanciulla
con cui aveva danzato e gridò: – Questa è la vera sposa! – La matrigna e le due sorellastre
si spaventarono e impallidirono dall’ira, ma egli mise Cenerentola sul cavallo e se ne andò
con lei. Quando passarono accanto al nocciolo, le due colombelle bianche gridarono:
– Volgiti, volgiti, guarda:
non c’è sangue nella scarpa,
che non è troppo piccina.
Porti a casa la vera sposina.
E poi scesero a volo, si posarono sulle spalle di Cenerentola, e lì rimasero, l’una a destra,
l’altra a sinistra.
Quando stavano per esser celebrate le nozze, arrivarono le sorellastre, che volevano
ingraziarsi Cenerentola e partecipare alla sua fortuna. E mentre gli sposi andavano in
chiesa, la maggiore era a destra, la minore a sinistra di Cenerentola; e le colombe
cavarono un occhio a ciascuna. Poi, all’uscita, la maggiore era a sinistra, la minore a
destra; e le colombe cavarono a ciascuna l’altro occhio. Così furono punite con la cecità di
tutta la vita, perché erano state false e malvagie.
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La fiaba permette di affrontare la paura …
… gli episodi crudeli vanno conservati e non espunti
(cfr. Bettelheim)
Vi è analogia tra le fiabe di magia e i riti di iniziazione dei
popoli primitivi, attraverso cui si sanciva il passaggio dalla
fanciullezza all’età adulta
(cfr. Propp; James Frazer; Cocchiara)
esempio
IL BOSCO:
luogo di passaggio, d’incontro, di prove da superare, di
metamorfosi, il suo attraversamento produce cambiamento,
lì succede di tutto
Raperonzolo
I dodici fratelli

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


La fiaba si inserisce in quel riconoscimento del “meraviglioso” secondo
la definizione che ne diede il critico Tzvetan Todorov:
meraviglioso antitetico al realistico che richiede da parte del fruitore
una capacità di sospensione dell’incredulità che per molti adulti è
una caratteristica dell’infanzia

Le fiabe recuperate per iscritto dalla tradizione orale sono di per sé


contaminate. Il collegamento con la cultura di un popolo è garantito
dalla quota parte di contaminazione che l’autore riesce a fissare nel
trascriverle. Si vedano i fratelli Grimm.
La fiaba allora è un materiale argilloso, pronto ad essere manipolato.
Così si giustificano le circa 400 versioni di Cenerentola e le circa 40
versioni di Cappuccetto rosso. Rimane comunque e sempre lettura
affascinante
(C. Rodia, L’evoluzione del meraviglioso)

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


Fiabe d’autore
Nata dalla fantasia dello scrittore senza essere attinta dalla
tradizione orale.
«ne dilata i confini […] esaspera il meraviglioso e ne smorza il
realismo, secondo un gioco più libero della composizione del
fiabico, del magico e del fantastico, anche il paesaggio viene a
mutare: a perdere la sua fissità, la sua storicità, talvolta anche il
suo netto simbolismo, ma viene anche ad acquistare una
maggiore complessità di forme e una strutturazione più aperta di
rimandi simbolici»
(F. Cambi)

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


Fiabe d’autore
Hans Christian Andersen (Danimarca,1805-1875)
1835 pubblica i primi racconti fantastici di derivzione popolare
(L’acciarino, La principessa sul pisello, I dodici cigni selvatici, Il
guardiano dei porci)

1836 prima raccolta di fiabe nuove


Ampia articolazione: simili a matriosche, grandi costruzioni fantastiche
Fiabe rutilanti (novelle fiabesche)
Esempi di un procedere per astrazione in un processo di articolazione
del testo narrativo
Animazione degli oggetti: ripresa dalla scuola disneyana

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


romanzi con sFondamenti nella Fiaba d’autore

E. T. Hoffman (1776-1822)
Schiaccianoci e il re dei topi
1816

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romanzi con sFondamenti nella Fiaba d’autore

Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie 1865


Attraverso lo Specchio 1871 Lewis Carroll

Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino (1881-83 a


puntate “Giornale per bambini”, in volume 1883)
Fiaba (ricorda traduzioni collodiane) + favole (animali parlanti e
moraleggianti)
Fiabesco intrusione del meraviglioso nelle vicende reali senza
sorpresa (burattino)
Fiabesca dimensione temporale e spaziale e linguaggio

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romanzi con sFondamenti nella Fiaba d’autore

Oscar Wilde (1854-1900)


1887 Il fantasma di Canterville racconto dove si mescolano
fiabesco, fantastico, avventura e realismo-ironico.
1888 Il Principe felice e altri racconti (5 racconti a sfondo
educativo scritti per i figli: Il Principe felice, L’usignolo e la
rosa, Il Gigante egoista, L’amico devoto, Un razzo
eccezionale)
1891 La casa dei Melagrani (4 racconti: Il giovane re, Il
compleanno dell’Infante, Il pescatore e la sua anima, Il figlio
delle stelle) leggende aperte al magico

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


romanzi con sFondamenti nella Fiaba d’autore

Lyman Frank Baum (1856-1919)


1900 Il meraviglioso Mago di Oz
Lunga e articolata fiaba d’iniziazione dove
attraverso intrecci e peripezie si svolge il processo
di formazione di Dorothy e degli altri coprotagonisti
Funzioni Propp

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


Fiabe moderna
“terza fase” della fiaba – dopo quella popolare-arcaica e quella
colta d’autore – nel secondo dopoguerra: si pongono le basi per
la fiaba moderna: si dilatano i confini,
si estendono le procedure narrative
si carica di fatti ludici, sociali e filosofici

La fiaba moderna si invischia con problemi e dinamiche


quotidiane

Gianni Rodari Marcello Argilli: la fiaba ricompone un mondo con


la fantasia, utilizzando le informazioni che la società produce

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


Gianni Rodari 1920-1980

Giornalista dal 1947 «L’Unità»


Dirige «Il Pioniere», settimanale per ragazzi legato al partito
comunista (1949-1965)
Nuovi temi: offerti dalla realtà, con un certo impegno politico,
sapiente e raffinata denuncia (Il vecchio muratore)
1951 Il romanzo di Cipollino - Il libro delle filastrocche
1958 Gelsomino nel paese dei bugiardi
1959 Filastrocche in cielo e in terra non temi politici (1972 + 14
Storie nuove + 21 Le filastrocche del cavallo parlante (delle 29
del1970)
1962 Favole al telefono
1973 Grammatica della fantasia
17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo
Marcello Argilli (1926-2014)

Messaggio di pace e solidarietà tra gli umili che diventa anche


critica sociale
• Le avventure di Chiodino 1955

• Fiabe aggiornate con umorismo ed ironia


• Fiabe dei nostri tempi 1968
• Il sommergibile innamorato e altri racconti 1968

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo


“Mai il mondo è stato tanto fantastico; oggi il bambino vive
questa avventura favolosa, ma è sommerso da un fantastico
reale di cui non ha coscienza. E finisce per subirlo passivamente.
Allora, la favola moderna offre la presa di coscienza del
fantastico che c’è nel reale, dei rapporti umani che lo reggono
[…].
Quando il bambino inizia un’esperienza di vita tutta dominata da
una realtà industriale e metropolitana che più niente ha a che
vedere con quella contadino-artigianale che era la matrice della
fiaba popolare, le fate, i maghi, il castello, le damigelle
scompaiono, perdono attrattiva e devono essere seguiti da
elementi della fantasia moderna”
(M. Argilli, 1995)

17 e 18 ottobre 2017 G. Merlo

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