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Sul principio del Novecento, a seguito di importanti scoperte in svariati ambiti della scienza, le certezze

deterministiche e positivistiche sulle quali si fondava il pensiero dell’uomo ottocentesco furono demolite; e
così nell’ambito culturale prese vita un insieme di movimenti i quali sperimentarono nuove e varie forme
espressive, sancendo lo scisma con i caoni e i linguaggi precedenti: letteratura, musica, arti figurative,
cinema e teatro subirono profonde trasformazioni, se non proprio violenti stravolgimenti. In Italia, il
movimento d’avanguardia che maggiormente calcò la scena culturale del primo Novecento (guardando
anche alla politica) fu sicuramente il Futurismo, la cui paternità s’ha da attribuire a Filippo Tommaso
Marinetti. Tale movimento risponde alla nuova realtà industriale che andava affermandosi nelle grandi città
del Nord Italia e, fra tutte le correnti avanguardistiche, risulta la più irruente e scismatica nei confronti del
passato: toni declamatori, idee oltremodo provocatorie e “oltraggiose”, linguaggio caratterizzato da termini
mutuati dai campi semantici della guerra e del mondo industriale, il tutto convergente in un’ideologia che
va oltre il mero movimento culturale, diventando un vero e proprio stile di vita alla volta dell’esaltazione
incondizionata del progresso in tutte le possibili declinazioni.

Simbolicamente, il movimento futurista nasce il 20 febbraio 1909, giorno in cui Marinetti pubblica il
Manifesto del Futurismo sul quotidiano francese Le Figaro. Si tratta di un testo articolato in una serie di
punti attraverso i quali vengono espresse le idee e le tematiche sopra le quali si sviluppa il Futurismo,
fornendo informazioni precise, definite e inequivocabili. Riflettendo sulle intenzioni e sul significato di
questo manifesto, lo si potrebbe paragonare alle 95 tesi di Martin Lutero, anch’esse mirate ad affermare un
nuovo ordine di cose criticando e condannando il vecchio e l’arretrato corrotti. Sin dal primo punto, il
lettore viene trascinato in uno stato di allerta, di eccezione: questa, sembra dirgli, non è una pacata
riflessione teorica, ma una vera e propria rivoluzione, la quale richiede da parte delle truppe ribelli
coraggio, audacia, addirittura baldanzosa imprudenza e amor del pericolo (proprio le qualità richieste agli
Arditi durante la Grande Guerra). Definiti i modi di procedere, Marinetti indica con vigore i bersagli da
colpire, in primis ante omnia la letteratura del passato, con la sua stanca ripetizione degli stessi schemi, i
quali celebrano l’interiorità, l’incanto e il sogno (l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno r.3). L’arte deve
liberarsi dalle istituzioni culturali imbalsamate (i musei, le biblioteche, le accademie r.24) che la
imprigionano, risultando assolta dalla vita pulsante; l’artista nuovo è chiamato al contrario a prodigarsi per
esaltare le forze originarie dell’universo, del quale la sua opera è parte (per aumentare l’entusiastico
fervore degli elementi primordiali rr.12-13) e per celebrare una nuova, imprevista bellezza, ovvero quella
della modernità frenetica dominata da gesti irruenti, notti insonni, corse affannose (il movimento
aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa r.4), ma soprattuto dell’esaltante splendore della velocità.
Da questo temerario rovesciamento del canone estetico tradizionale scaturisce una feroce provocazione:
Marinetti ripudia l’armonia e la bellezza dell’incontestato capolavoro esposto in un museo (la Vittoria di
Samotracia), preferendo ad esso l’automobile da corsa ruggente, veloce, con la carrozzeria aggressiva. La
modernità intera, con i suoi arsenali e le sue officine fumanti, viene rappresentata come un organismo
vivente multiforme e pulsante: le immense folle ondeggianti che vanno a lavorare, a divertirsi o a
manifestare; le stazioni che ingoiano voracemente i treni simili a serpi che fumano; i ponti che sembrano
agili acrobati giganti che scavalcano i fiumi; i piroscafi che fiutano l’orizzonte. Logicamente, ad illuminare
questa bellezza artificiale non è più né un chiaro di luna (emblema del romantico ottocento che Marinetti
avrebbe proposto di “uccidere” in un manifesto successivo), né uno stucchevole tramonto, bensì
l’esaltante fulgore dell’elettricità, evocato con truculenta violenza nell’espressione cantieri incendiati da
lune elettriche. La totale, enfatica adesione di Marinetti ai valori del nuovo rivela tutta la sua ambiguità nel
passaggio dal piano estetico a quello dell’azione: oltre alla bellezza della modernità, egli propone infatti un
nuovo modo di sentire che, appropriandosi di un vocabolario bellicoso, identifica lo spirito rivoluzionario
con il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei liberatori, invoca il disprezzo della donna e del
femmnismo e celebra la guerra come sola igiene del mondo. Lo scopo di questo manifesto (nonché di
quelli successivi) non è quello di convincere il lettore attraverso le tradizionali tecniche narrative, bensì
quello di scuoterne l’inerzia e scandalizzarlo, adoperando una retorica energica e impetuosa. Più che ad un
pubblico, Marinetti si rivolge ad una nuova generazione di poeti, e lo fa con l’enfasi del generale che chiama
a se le sue truppe, parlando a nome loro attraverso il “noi”. Come già accennato, il tono è quello tipico dei
manifesti: declamatorio, assiomatico, esclamatorio e urlato. Lo stile è esuberante e denso di metafore,
analogie e folgoranti sintesi visive: questi artifizi retorici rappresentano proprio l’essenza della scrittura
futurista, e Marinetti e i suoi erano abilissimi maestri nella formulazione e nell’impiego di queste soluzioni
poetiche.

CONTESTO STORICO: L’ITALIA IN GUERRA: GLI SCHIERAMENTI POLITICI DI FRONTE ALLA GUERRA

Il Futurismo si colloca nel complesso mosaico di partiti e correnti di pensiero che alla vigilia della Grande
Guerra dibatterono, si confrontarono e si scontrarono per imporre il proprio atteggiamento di fronte al
primo conflitto mondiale.

Nell’agosto del 1914, il governo presieduto da Antonio Salandra proclamò la neutralità dell’Italia
appellandosi alle clausole della Triplice Alleanza, che prevedevano solo guerre difensive: in questo caso,
invece, l’Austria e la Germania erano gli aggressori, non gli aggrediti. Accantonata l’ipotesi di una guerra a
fianco dei due imperi centrali, si aprì un animato dibattito sulla possibilità di un intervento contro l’Austria,
che avrebbe consentito di riannettere il Sudtirolo e il Friuli all’Italia, quindi si formarono due schieramenti
contrapposti e al contempo eterogenei al loro interno: i neutralisti e gli interventisti.

Alla prima fazione apparteneva la maggioranza parlamentare orientata dall’autorevole voce di Giolitti, il
quale sosteneva di poter ottenere le terre irredente sopracitate offrendo in cambio la neutralità dell’Italia.
Di conseguenza, complice l’influenza di Papa Benedetto XV, anche i cattolici e i liberali sostennero la
neutralità.

Gli interventisi si raggrupparono in due sottogruppi a seconda dell’orientamento politico, adducendo quindi
motivazioni differenti per le quali impegnarsi nel conflitto. Gli interventisti di destra erano animati dallo
spirito nazionalista e irredentista: molti di loro erano illustri letterati e intellettuali del calibro di Verga,
Ungaretti, Pirandello, D’Annunzio e dello stesso Marinetti, il quale definiva la guerra “sola igiene del
mondo”: la loro azione si esplicò principalmente nel convincere, fomentare ed esaltare le masse attraverso
la propaganda, oltre che con le più evocative parole anche attraverso esempi concreti, arruolandosi come
soldati e combattendo al fronte.

A sinistra, invece, le tendenze interventiste si esprimevano tra le fila dei democratici (Salvemini), dei
repubblicani e dei socialisti (Bissolati e Labirola), secondo i quali l’Italia aveva da schierarsi al fianco delle
potenze democratiche contro i regimi oppressori dell’ Alleanza. In questa situazione, fondamentale è la
posizione di Benito Mussolini il quale, in un primo momento, conforme ai valori del socialismo
rivoluzionario, aveva difeso la neutralità dell’Italia: la guerra era dettata da interessi capitalistici
contrapposti, quindi i proletari sarebbero stati solo danneggiati. Tuttavia, in un secondo momento, egli
rovesciò questa posizione propugnando strenuamente l’interventismo, e così abbandonò le posizioni
socialiste estremiste, orientandosi alla volta del nazionalismo.

Nel complesso, gli interventisti costituivano una minoranza; tuttavia, col supporto dalla monarchia e
attraverso il carismo, l’autorevolezza e l’esuberanza delle suddette personalità, riuscirono ad ottenere che
l’Italia entrasse in guerra al fianco della Triplice Intesa. Il 20 maggio 1914 il Re concesse i pieni poteri a
Salandra, quindi il 24 maggio fu dichiarata guerra all’Austria-Ungheria.

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