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GIOVANNI PASCOLI

LA VITA
La giovinezza travagliata
Giovanni Pascoli nacque il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, da una famiglia della
piccola borghesia rurale. Era una tipica famiglia patriarcale, molto numerosa. La vita serena di
questa famiglia venne sconvolta da una tragedia: il 10 agosto 1867, mentre tornava a casa, il
padre di Pascoli, Ruggero, fu ucciso a fucilate. I sicari non furono mai individuati. La morte del
padre creò difficoltà economiche alla famiglia, che dovette trasferirsi a San Mauro e poi a Rimini.
Al primo lutto ne seguirono altri: nel 1868 morirono la madre e la sorella maggiore, nel 1871 il
fratello Luigi e nel 76 Giacomo. Giovanni fin dal 1862 era entrato nel collegio degli Scolopi ad
Urbino, dove ricevette una formazione classica. Nel 1871 dovette lasciare il collegio ma, grazie alla
generosità di uno dei professori, poté proseguire gli studi a Firenze. Nel 1873 ottenne una borsa di
studio presso l’Università di Bologna, dove frequento la Facoltà di Lettere. Pascoli subì il fascino
dell’ideologia socialista. Partecipò a manifestazioni contro il governo, fu arrestato nel 1879.
L’esperienza per lui fu traumatica e determinò il suo distacco dalla politica militante. Restò fedele
anche dopo all’ideale socialista. Si laureò nel 1882 e iniziò subito la carriera di insegnante liceale,
a Matera e poi a Massa. In questa città chiamò a vivere con lui Ida e Mariù, le sue sorelle,
ricostruendo così quel nido familiare distrutto dai lutti. Nel 1887 si trasferì a Livorno e ci rimase fino
al 1895.

Il nido familiare
La chiusura nel nido familiare rivela la fragilità della psiche del poeta che cerca nel nido la
protezione da un mondo esterno. A ciò si unisce il passato di glutine di dolori, inibendo al poeta
ogni rapporto con la realtà esterna. Tutto ciò inibisce anche i legami con “l'altro" in generale, non vi
sono infatti relazioni amorose nell’esperienza del poeta, che conduce una vita molto casta. La vita
amorosa ai suoi occhi è un qualcosa di proibito e misterioso, di lontano. Le esigenze affettive del
poeta sono soddisfatte dal rapporto morboso con le sorelle. È comprensibile perché il matrimonio
di Ida, determinò in Pascoli una reazione con manifestazioni depressive. Questa complessa
situazione affettiva del poeta è importante per comprendere il carattere tormentato e morboso della
sua poesia, che si cela dietro l’innocenza fanciullesca.

L’insegnamento universitario e la poesia


Nel 1895 Pascoli si trasferì a Castelvecchio di Barga. Qui si trovo a contatto col mondo della
campagna, che per lui fu una sorta di Eden pacifico. Sembrava una vita serena ma in realtà era
tormentata da angosce e paure per la presenza ossessiva della morte. Nello stesso anno ottenne
la cattedra di Grammatica Latina e greca a Bologna e poi di Letteratura Latina a Messina. Passo a
Pisa e nel 1905 tornò a Bologna per subentrare al posto di Carducci nella cattedra di Letteratura
italiana. Agli inizi degli anni Novanta pubblicò le Myricae, che si ampliava ogni nuova edizione. Nel
97 uscirono i Poemetti, nel 1903 i Canti di Castelvecchio, nel 1904 i Poemi conviviali. Nel 92 per
ben 12 anni vinse la medaglia d’oro al concorso di poesia Latina di Amsterdam. Negli ultimi anni
gareggiò con Carducci nella funzione di poeta civile, diventando così anche letterato ufficiale. Egli
inoltre tenne numerosi discorsi pubblici. Pascoli, ormai affetto dal cancro allo stomaco, si
trasferisce a Bologna per le cure ma morì poco dopo, il 6 aprile del 1912.
LA VISIONE DEL MONDO
La crisi della matrice positivistica
La formazione di Pascoli fu essenzialmente positivistica, impregnati di questa cultura restavano
anche gli ambienti accademici in cui lo scrittore operò in seguito. Nei suoi versi infatti, egli usa la
nomenclatura botanica e ornitologica, e spesso le fonti sono di natura positivistica; ad esempio
abbiamo i temi astrali, derivati dalle letture di astronomia, che occupano un posto rilevante nella
sua poesia. Ma in Pascoli si riflette quella crisi della scienza che caratterizza la cultura di fine
secolo, segnata all’affermarsi delle tendenze spiritualistiche e idealistiche. In lui quindi insorge una
sfiducia nella scienza, anche per lui si apre l'ignoto, il mistero, l’inconoscibile. Questa tensione
verso l’ignoto in Pascoli non si concreta in una fede religiosa positiva. Il fascino su di lui esercitato
dal cristianesimo non resta nei limiti del messaggio morale di fraternità e mansuetudine
evangelica. Il mondo, nella visione pascoliana, appare frantumato, disgregato. Non esistono
neppure gerarchie d’ordine fra gli oggetti: ciò che è piccolo si mescola con ciò che e grande. Tutto
ciò ha riflessi importanti sulla costruzione dei testi e sulla scelta delle parole.

I simboli
Gli oggetti materiali ha un grande rilievo nella poesia pascoliana: i particolari fisici si caricano di
valenze allusive e simboliche, rimandano all’ignoto di cui sono come messaggi misteriosi e
affascinanti. Anche la precisione botanica e ornitologica assume diverse valenze: il termine preciso
permette di andare al cuore della realtà, di attingere all’essenza segreta delle cose. Data questa
soggettivazione del reale, alla precisione scientifica della terminologia può accostarsi una
percezione visionaria, onirica: il mondo è visto attraverso il velo del sogno, in un gioco di
metamorfosi tra apparenze illusorie. La conoscenza del mondo avviene attraverso strumenti
interpretativi non razionali. Tra io e mondo esterno non sussiste quindi per Pascoli nessuna
distinzione. La sfera dell’io si confonde con quella della realtà oggettiva, le cose acquistano una
fisionomia antropomorfizzata. La visione del mondo pascoliana si colloca nella visione decadente,
e presenta molte affinità con la visione dannunziana.

LA POETICA
Il fanciullino
Da questa visione del mondo scaturisce la poetica pascoliana, che trova la sua formulazione
nell’ampio saggio Il fanciullino, pubblicato nel 1897. L’idea centrale è che il poeta coincide col
fanciullo che sopravvive al fondo di ogni uomo: un fanciullo che vede tutte le cose per la prima
volta e deve usare un linguaggio che si sottragga ai meccanismi mortificanti della comunicazione
abituale. Dietro questa metafora è facile scorgere una concezione della poesia come conoscenza
immaginosa. Grazie al suo modo alogico di vedere le cose, il poeta-fanciullo ci fa sprofondare
nell’abisso della verità. L’atteggiamento irrazionale e intuitivo permette di cogliere direttamente
l’essenza segreta delle cose. Non solo, ma il fanciullino scopre quella trama di rispondenze
misteriose tra le presenze del reale. Il poeta appare come un veggente, dotato di una vista più
acuta di quella degli uomini comuni. Si vede chiaramente come anche la poetica pascoliana rientri
in un ambito decadente.
La poesia pura
In questo quadro culturale si colloca la concezione della poesia pura: il poeta canta solo per
cantare, non si propone obiettivi civili o morali. Tuttavia, precisa Pascoli, la poesia, in quanto
poesia pura, assolutamente spontanea e disinteressata, può ottenere effetti di utilità morale (cita
come esempio Virgilio). Il sentimento poetico infatti plaga gli odi e gli impulsi violenti che sono
propri degli uomini, induce alla bontà e all’amore. Nella poesia pure del fanciullino per Pascoli è
implicito un messaggio sociale, un’utopia umanitaria che invita all’affratellamento di tutti gli uomini.
Questo rifiuto della lotta tra le classi si trasferisce al livello dello stile. Pascoli ripudia il principio del
classicismo che esige una separazione tra ciò che e alto e ciò che è basso ed accetta solo la
prima categoria di oggetti nel campo della poesia. Per Pascoli la poesia è anche nelle piccole
cose, che hanno una dignità non minore di quelle auliche. Tra gli oggetti aulici e umili non vi è più
conflitto ed esclusione. A questo principio Pascoli si propone sia come cantore delle realtà umili e
dimesse, sia come celebrare delle glorie nazionali.

L'IDEOLOGIA POLITICA
L’adesione al socialismo
Dai principi letterari di Pascoli affiora una concezione di tipo socialista, di un socialismo umanitario
e utopico, che affida alla poesia la missione di diffondere l’amore e la fratellanza. Durante gli anni
universitari, il giovane Pascoli subì l’influenza delle ideologie anarco-socialiste. L’adesione
all’anarchismo e al socialismo era un fenomeno diffuso tra gli intellettuali piccolo borghesi del
tempo. La protesta contro le ingiustizie risalivano ad un clima ancora romantico, ma comunque il
gruppo anarco-socialista si sentiva minacciato dall’avanzata delle civiltà industriale moderna; a ciò
si univa il risentimento per i processi di declassazione a cui il ceto medio tradizionale era
sottoposto. In questo quadro sociologico rientrava perfettamente la figura del giovane studente
Giovanni Pascoli. Pascoli sentiva soprattutto gravare su di sé il peso di un’ingiustizia, l’uccisione
del padre. Aderì quindi all’Internazionale socialista. Il movimento anarco-socialista non aveva basi
ideologiche rigorosamente definite, il suo impegno politico obbediva più al cuore che alla mente. Di
tal genere fu l’adesione di Pascoli. La sua militanza si scontrò ben presto con la repressione
poliziesca. Arrestato per una manifestazione, il giovane studente venne tenuto per mesi in carcere
e processato. Fu per lui un’esperienza terribile: quando fu assolto, abbandonò definitivamente ogni
forma di militanza attiva.

Dal socialismo alla fede umanitaria


Ma questo distacco non va fatto risalire solo a traumi personali, esso deve essere collocato
nell’ambito più vasto di una generale crisi della sinistra. Il 1879, l’anno del processo di Pascoli, fu
anche l’anno di una svolta capitale del socialismo romagnolo, ovvero l’avvicinamento al pensiero di
Marx. Il socialismo marxista si fondava essenzialmente sul concetto di lotta di classe e sullo
scontro violento e rivoluzionario. Era questo un principio che ripugna alle tendenze più profonde
dell’animo di Pascoli, il quale non poteva accettare conflitti violenti, ma sognava un affratellamento
di tutti gli uomini. Il poeta non rinnego gli ideali socialisti, ma li trasformò in una generica fede
umanitaria. Socialismo per lui era un appello alla bontà, all’amore, alla solidarietà fra gli uomini.
Alla base vi era un radicale pessimismo, la convinzione che la vita umana non è che dolore e
sofferenza: per questo gli uomini devono cessare di farsi del male fra loro. Dal cristianesimo
primitivo, Pascoli traeva la concezione del valore morale della sofferenza, che purifica ed eleva:
dolore e lacrime possono diventare un tesoro prezioso, le vittime del male sono per un certo senso
delle creature privilegiate perché la sofferenza le rende moralmente superiori.
La mitizzazione del piccolo proprietario rurale
Tali principi dovevano per lui valere in particolar modo nei rapporti tra le classi. Ogni classe doveva
conservare la sua distinta fisionomia ma doveva collaborare con tutte le altre. A questo fine era
necessario evitare la bramosia di ascesa sociale. Il segreto dell’armonia sociale consiste per
Pascoli nel fatto che ciascuno si contenti di ciò che ha, che viva felice anche del poco. Il suo ideale
di vita si incarna nell’immagine del proprietario rurale. La proprietà è per il poeta un valore sacro e
intangibile. Ma il poco è preferibile al molto, il piccolo al grande. Pascoli mitizzazione così il mondo
dei piccoli proprietari agricoli come mondo sereno e saggio. Era un mondo che in realtà stava
ormai scomparendo, cancellato dai processi di concentrazione capitalistica. Al posto del piccolo
proprietario subentrano le grandi banche e società. Pascoli lo sapeva bene, ma innalzata
egualmente il suo inno a quella realtà che andava scomparendo, rifugiandosi nel sogno di un
passato idealizzato.

Il nazionalismo
Il fondamento dell’ideologia di Pascoli è la celebrazione del nucleo familiare. Ma questo senso
geloso della proprietà del nido chiuso ed esclusivo, si allarga agevolmente ad inglobare l’intera
nazione. Si collocano qui le radici del nazionalismo pascoliano. Per questo egli sente con tanta con
tanta partecipazione il dramma dell’emigrazione. La tragedia dell’emigrazione induce Pascoli a far
proprio un concetto corrente del nazionalismo italiano primo novecentesco: esistono nazioni ricche
e nazioni povere. Tra questi vi è l’Italia che deve esportare mano d’opera, destinata ad essere
schiavizzata e disprezzata. Le nazioni proletarie hanno il diritto di cercare la soddisfazione dei loro
bisogni anche con la forza. Pascoli arriva dunque ad ammettere la legittimità delle guerre condotte
dalle guerre condotte dalle nazioni proletarie per le conquiste coloniali. Nel 1911 Pascoli celebra la
guerra di Libia come un momento di riscatto della nazione italiana. In tal modo Pascoli fonde
insieme socialismo umanitario e nazionalismo colonialistico.

I TEMI DELLA POESIA PASCOLIANA


Il cantore della vita comune
La poesia pascoliana rivela una sensibilità decadente e quegli aspetti della sua sensibilità e della
sua visione scaturiscono da una sua esperienza originaria. Pascoli è l’esatto contrario del poeta
maledetto, che rifiuta la normalità borghese e ostenta atteggiamenti provocatori. Pascoli incarna
l’immagine dell’uomo comune, appagato dalla sia vita modesta. Dal punti di vista letterario Pascoli
si presenta come il cantore della realtà comune e dei suoi valori. Una parte cospicua della sua
poesia è destinata proprio alla funzione di proporre quella visione della vita, in nome di intenti
pedagogici, morali e sociali. È la celebrazione del piccolo proprietario rurale. In questo ambito di
poesia rientra l’invito ad accontentarsi del poco, l’ideale utopistico di una società in cui ogni ceto
viva entro i propri confini. A questo filone della poesia pascoliana appartiene anche il sogno di
un’umanità affratellata, che nella solidarietà trova una consolazione al male di vivere. Da questo
umanitarismo scaturisce una serie di temi collaterali (mendicanti, madri che hanno perso i figli)
tipici della letteratura di fine Ottocento. Questa predicazione si avvale anche di miti: il fanciullino
che è al fondo di ognuno di noi e il nido familiare caldo e protettivo. Col nodo si collega il motivo
ricorrente del ritorno dei morti. Anche qui però l’ossessione privata è assorbita entro l’intento
pedagogico: la tragedia familiare scaturita dall’assassinio del padre è trasformata da Pascoli in una
vicenda esemplare, da cui si può ricavare l’idea del male che serpeggia tra gli uomini, il perdono e
la concordia. (Pascoli perdonò chi uccise il padre, ma non perdonò lomerta).
Il poeta ufficiale
Proprio perché crede nel valore pedagogico della poesia, Pascoli può allargare la sua predicazione
a temi più vasti che investono l’umanità intera. Può anche assumere le funzioni del poeta ufficiale,
che canta la gloria della patria. Pascoli interpretava la visione della vita e i sentimenti di larghi strati
della popolazione italiana: mentre d'Annunzio offriva alle masse piccolo borghesi un segno evasivo
di gloria, Pascoli radicava invece nel pubblico le convinzioni profonde che esso già possedeva la
fede in alcuni valori elementari ma fondamentali (la famiglia, accontentarsi di poco). Questa
sintonia instauratasi tra il poeta e il pubblico è la sua fortuna scolastica: per tanti anni il Pascoli
presente bei libri di testo fu proprio questo poeta, il poeta prediletto dalla scuola elementare e
schiere di bambini impararono a memoria i suoi versi. Questa immagine di Pascoli fu accolta
anche dalla critica che ne fornì un’immagine edulcorata e riduttiva, e ne rimuoveva gli aspetti più
inquietanti ma anche più validi, quelli che fanno i lui il maggiore poeta italiano e uno dei più grandi
in assoluto.

Il grande Pascoli decadente


Le trasformazioni del clima culturale e del gusto hanno portato alla luce un Pascoli del tutto
diverso, scoprendone la straordinaria novità e forza d’urto. È il Pascoli che proietta nella poesia le
sue ossessioni profonde portando alla luce i mostri, le zone oscure e torbide della psiche; che sa
esprimere le delusioni dell’anima moderna, il senso di inadeguatezza della realtà rispetto al sogno;
che sente ovunque in ciò che lo circonda la presenza della morte e trasfigura il reale in un clima
visionario; che trasforma i dati oggettivi in un gioco di illusioni. Al di là del poeta pedagogo, si
delinea un grandissimo poeta dell’irrazionale capace di raggiungere profondità inaudite. Pascoli è
ben più radicale di d'Annunzio, perciò il poeta fanciullino può a buon diritto essere ritenuto lo
scrittore più autenticamente decadente.

Le angosce e le lacerazione della coscienza moderna


I due Pascoli individuati hanno una radice comune, sono connessi da legami profondi e necessari:
la celebrazione del nido, delle piccole cose. In un discorso del 1900, capiamo con quale animo
Pascoli guardasse alla realtà contemporanea. Il poeta dimostra di avere ben chiari i processi
contemporanei della concentrazione monopolistica, il pericolo dell’instaurarsi di regimi totalitarismo
che renderanno schiava tutta l’umanità, e ne prova orrore. La soluzione per Pascoli è quella di
chiudersi nei confini del nido, al fine di neutralizzare ciò che è oscuro in fondo all’anima. Però non
tutta la sia poesia obbedisce a questo bisogno di rimozione: Pascoli sa anche scandagliare quel
fondo buio e guardare in faccia i mostri.

LE SOLUZIONI FORMALI
Il modo nuovo di percepire il reale si traduce in soluzioni formali fortemente innovative che aprono
la strada alla poesia novecentesca

LA SINTASSI
L’aspetto che colpisce più immediatamente è quello sintattico. La sintassi di Pascoli è diversa da
quella tradizionale: nei suoi testo poetici la coordinazione prevale sulla subordinazione, di modo
che la struttura si frantuma in serie paratattiche di bravi frasi allineate senza rapporti gerarchici tra
di loro, spesso collegate per asindeto. Di frequente le frasi mancano del soggetto o del verbo o
assumono forma nominale. La frantumazione pascoliana rivela il rifiuto do una sistemazione logica
dell’esperienza, il prevalere della sensazione immediata, che indica una trama di corrispondenze
segrete tra le cose. È una sintassi che traduce perfettamente la visione del mondo pascoliana, una
visione fanciullesca, alogica, che svaluta e scompone i rapporti gerarchici abituali. Gli oggetti
quotidiani e comuni, presentano una fisionomia stranita, appaiono immersi in un’atmosfera
visionaria o di sogno.

IL LESSICO
Pascoli non usa un lessico normale, mescola tra loro codici linguistici diversi, allinea fianco a
fianco termini tratti da settori più disparati. È un principio formulato nel Fanciullino: il poeta, come
vuole abolire la lotta tra le classi, così vuole abolire la lotta fra le classi di oggetti e di parole.
Troviamo quindi nei suoi testi termini preziosi e aulici, termini gergali e dialettali, della realtà
campestre, del linguaggio dei contadini della Garfagnana; usa una precisa terminologia botanica
ed ornitologica, termini dimessi e colloquiali e parole provenienti da lingue straniere.

GLI ASPETTI FONICI


Grande rilievo hanno gli aspetti fonici. Quelle che colpiscono di più sono le forme definite
pregrammaticali. Sono in prevalenza riproduzioni onomatopeiche do versi di uccelli, suoni di
campane, non a caso in Pascoli questi suoni hanno intenso valore simbolico. Queste onomatopee
rientrano in quella visione alogica del reale che è propria di tutta la poesia pascoliana. Al di là delle
vere onomatopee i suoni usati da Pascoli possiedono un calore fonosimbolico. Tra questi suoni si
crea una trama di rimandi al passato. Questa trama costituisce la vera struttura interna del testo.
Allo stesso fine concorrono anche altri procedimenti, quali assonanze ed allitterazioni.

LA METRICA
La metrica pascoliana che impiega i versi più consueti della poesia italiana (endecasillabi) e gli
schemi di rime e strofe più usuali (rime baciate, terzine). Questi materiali sono piegati dal poeta in
direzioni personalissime. Pascoli sperimenta cadenze ritmiche inedite. Anche il verso è di regola
frantumato al suo interno. La frantumazione del discorso è accentuata dell’uso frequente degli
enjambements.

LE FIGURE RETORICHE
Pascoli usa largamente il linguaggio analogico. Il meccanismo è quello della metafora. Ma
l’analogia pascoliana non si accontenta di una somiglianza facilmente riconoscibile: accosta due
realtà fra loro remote costringendo così ad un volo dell’immaginazione. Un procedimento affine
all’analogia è la sinestesia in cui avviene uno spostamento tra concreto e astratto. L’effetto è quello
di una maggiore indefinitezza: la realtà corposa sfuma con un effetto puramente suggestivo.

MYRICAE
La prima raccolta vera e propria fu Myricae, uscita nel 1891e contenente 22 poesie dedicate alle
nozze di amici. Il volume si ampliò nel 1892 con 62 componimenti e in seguito nel 1897 con 116. Il
titolo è una citazione virgiliana, dalle Bucoliche, myricae è il termine aulico per indicare le tamerici.
Pascoli assume invece le umili piante proprio come simbolo delle piccole cose che egli vuole porre
al centro della poesia. Si tratta di componimenti molto brevi che si presentano come quadretti di
vita campestre. Ma in realtà i particolari su cui il poeta fissa la sua attenzione si caricano di sensi
misteriosi e suggestivi, sembrano alludere ad una realtà ignota e inafferrabile. Spesso le atmosfere
che avvolgono queste realtà evocano l’idea della morte; ed uno dei temi più presenti è il ritorno dei
morti familiari. Già a partire da Myricae, Pascoli delinea quel romanzo familiare che è il nucleo
doloroso della sua visione del reale. Compaiono poi l’insistenza di onomatopee, il valore simbolico
dei suoni, l’uso di un linguaggio analogico e la sintassi frantumata.
I POEMETTI
Il romanzo georgico
Una fisionomia diversa possiedono i Poemetti, raccolti nel 1897 poi pubblicato con aggiunte nel
1900 ed infine divisi in due raccolte, Primi poemetti e Nuovi poemetti. Si tratta di componimenti più
ampi di Myricae, hanno un più disteso taglio narrativo, ai verso bravi subentrano le terzine
dantesche. Anche qui assume rilievo dominante la vita della campagna. Si viene a delineare un
vero e proprio romanzo georgico, cioè la descrizione di una famiglia tirare di Barga. La narrazione
è articolata in veri e propri cicli, che traggono il titolo delle varie operazioni del lavoro dei campi, La
sementa, L'accestire, La fiorita e La mietitura. Questa raffigurazione si carica di intenti ideologici: il
poeta vuole celebrare la piccola proprietà rurale, presentandola come una serie di valori
tradizionali e autentici. La vita del contadino appare al poeta come un rifugio rassicurante. Pascoli
proietta il suo ideale nel passato, in forme di vita che stanno scomparendo. È evidente perciò
come questa raffigurazione non abbia punti in comune col Verismo né con Verga: il mondo rurale
pascoliano è idealizzato e idilliaco, ignora gli aspetti più crudi della realtà popolare. Pascoli si
sofferma sugli aspetti più quotidiano, umili e dimessi di quel mondo, designando con precisione gli
oggetti e le operazioni del lavoro nei campi. Il poeta vuole quindi mettere in rilievo quanto di
poetico si trova nelle realtà umili, la loro dignità sublime. Si ha quindi, nei Poemetti, una singolare
mescolanza di elementare semplicità e di preziosa raffinatezza.

Gli altri temi


Al di fuori di questi ciclo georgico si collocano però numerosi poemetti, che presentano temi più
inquietanti e torbidi, come Digitale purpurea con al centro un fiore di morte che emana un profumo
inebriante; L'aquilone tutto giocato sul tema della memoria; Italy che affronta il tema sociale
dell'emigrazione.

I CANTI DI CASTELVECCHIO
I Canti di Castelvecchio sono definiti dal poeta stesso come myricae, quindi si propongono di co
continuare la linea della prima raccolta. Anche qui ritornano immagini della vita di campagna e
ricompare una misura più breve, lirica anziché narrativa. Il ciclo naturale si presenta come un
rifugio rassicurante e consolante dal dolore e dall’angoscia. Ricorre con frequenza ossessiva il
motivo della tragedia familiare e dei vari morti. Vi è anche il rimando continuo del nuovi paesaggio
di Castelvecchio a quello antico dell’infanzia in Romagna. Non mancano però anche in questa
raccolta i temi più inquieti e morbosi: l’Eros, contemplato col turbamento del fanciullo, e la morte,
che a volte appare un rifugio dolce in cui sprofondare.

I POEMI CONVIVIALI
Molto diversi dai Canti di Castelvecchio sono i Poemi conviviali così intitolati perché gran parte di
essi era comparsa sulla rivista Il Convito. Al clima estetizzante rispondono anche i componimenti
pascoliano. Si tratta di poemetti dedicati a personaggi e fatti del mito e della storia antichi, dalla
Grecia sino al cristianesimo. La ricostruzione del mondo antico si fonda su un’erudizione che
esplora aspetti poco noti del mito e della storia. Anche il linguaggio è estetizzante e spesso mira a
riprodurre in italiano il clima e lo stile della poesia classica

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