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Endocrinologia #1
Classificazione, epidemiologia e complessità del diabete
Prof. Perseghin – 09/03/2020 – Autore: Serena Giossi – Revisore: Greta Tavecchi
1. Introduzione al diabete
Il diabete è una delle patologie croniche più frequenti nel nostro Paese.
In questo corso verranno toccati 6 aspetti particolari di questa malattia:
1) Classificazione, complessità ed epidemiologia.
2) Fisiopatologia del diabete di tipo 2.
3) Fisiopatologia del diabete di tipo 1.
Il diabete di tipo 1 e quello di tipo 2 hanno meccanismi fisiopatologici completamente diversi,
i pazienti hanno caratteristiche differenti, anche se, nelle ultime decadi, la lunga
sopravvivenza dei pazienti affetti da diabete di tipo 1 fino all’età avanzata ha portato ad
avere pazienti con diabete di tipo 1 con caratteristiche simili a quelli con diabete di tipo 2,
soprattutto dal punto di vista trombometrico.
4) Prevenzione: stili di vita.
La qualità di vita di queste persone cambia in modo radicale, perciò si ha una certa difficoltà
nello svolgere le azioni di prevenzione. Bisogna agire sia dal punto di vista della terapia
medico-nutrizionale sia da quello dell’esercizio fisico.
5) Complicanze micro- e macro-vascolari e renali.
Negli ultimi anni si sta cominciando a considerare le complicanze vascolari come un
continuum: ci sono pazienti che iniziano ad avere complicanze micro-vascolari che poi
diventano macro-vascolari e viceversa. La distinzione tra pazienti affetti da complicanze
micro-vascolari e quelli affetti da complicanze macro-vascolari è un po’ artificiosa, perché
nella maggior parte dei casi i due tipi di complicanze sono presenti simultaneamente.
6) Ipoglicemia.
È una complicanza molto comune che colpisce i soggetti diabetici, ma è sempre una
condizione iatrogena, cioè indotta dal medico che cura il paziente, oppure dal paziente
stesso per una incongrua somministrazione di terapie anti iperglicemiche.
In questo grafico possiamo vedere sull’asse delle ordinate la classificazione del diabete, mentre
sull’asse delle ascisse è rappresentato a che cosa corrisponde questa classificazione in termini di
alterazione del metabolismo del glucosio.
2.1 Iperglicemia
Il primo stadio dell’iperglicemia è rappresentato dall’alterata tolleranza al glucosio o alterata
glicemia a digiuno.
Ci sono valori ben precisi e definiti di normalità della glicemia, che si basano su convenzioni legate
a dati epidemiologici, i quali mostrano che al di sopra di certi valori (stabiliti per convenzione come
valori di normalità) aumenta il rischio di sviluppare le complicanze vascolari del diabete; perciò sono
valori arbitrari ma associati ad un aspetto prognostico molto importante.
Le alterazioni dei valori di glicemia possono permettere di identificare un soggetto come pre-
diabetico, sia in relazione al fatto che la sua glicemia al mattino a digiuno risulti essere al di fuori
della normalità (seppur inferiore a quella di un soggetto con un franco diabete), sia per alterata
tolleranza al carico orale di glucosio. La tolleranza al carico orale di glucosio si valuta attraverso un
test standardizzato in cui si somministra glucosio per bocca. Se dopo la somministrazione di una
quota stabilita di glucosio, si ottiene una risposta della curva glicemica alterata, si può definire la
condizione di pre-diabete. La curva si costruisce monitorando la glicemia a tempi stabiliti dopo la
somministrazione di glucosio.
Si parla di franco diabete quando i parametri di metabolismo del glucosio superano le soglie
convenzionali stabilite per la diagnosi di diabete.
terapia con farmaci anti iperglicemici e con il passare del tempo si arriva alla necessità di
somministrare insulina. Tutto ciò vale per il diabete di tipo 2.
Per quanto riguarda il diabete di tipo 1 o le forme di diabete autoimmune è necessario fin da subito
somministrare la terapia insulinica, perché si è di fronte a una malattia che non è metabolica nella
sua patogenesi ma autoimmune. Questa patologia si caratterizza per la distruzione del tessuto e
delle cellule in grado di produrre insulina, perciò si ha totale assenza della capacità di produrre
insulina e questo richiede da subito la terapia insulinica.
Il diabete mellito di tipo 1 si caratterizza per essere di base autoimmune. Questo provoca
l’incapacità di produrre insulina a seguito di un processo di distruzione delle cellule deputate alla
sua produzione. Esse sono le cellule beta, presenti nelle isole del Langerhans, la componente
endocrina del pancreas. I pazienti affetti da diabete di tipo 1 sono una quota molto più piccola
rispetto a quelli affetti da diabete di tipo 2 e, all’insorgenza della malattia, questi pazienti hanno
caratteristiche completamente diverse rispetto agli affetti da diabete di tipo 2. Gli affetti da diabete
di tipo 1 sono prevalentemente persone in età infantile/adolescenziale o giovani adulti; essi da
subito necessitano di essere trattati con la terapia insulinica.
LADA e MODY sono dei quadri intermedi. Il MODY ha caratteristiche simili a quelle del diabete di
tipo 2, i pazienti affetti non necessitano da subito della terapia insulinica ma sono giovani adulti,
individui in cui ci si aspetterebbe una forma di diabete di tipo autoimmune. MODY è una forma di
diabete geneticamente determinata, con una famiglia di deficit enzimatici a livello beta-cellulare o
a livello epatico, i quali possono spiegare i motivi per cui il paziente si caratterizza per
un’iperglicemia.
Il LADA è una forma di diabete autoimmune, con caratteristiche sovrapponibili a quelle del diabete
di tipo 1, che, però, si manifesta in persone con un’età più avanzata. Le caratteristiche della malattia
Endocrinologia #1 – Prof. Perseghin – Classificazione, epidemiologia e complessità del diabete Pag. 4 a 11
sono simili a quelle del diabete di tipo 1, anche se, per manifestarsi pienamente, possono richiedere
un po’ più di tempo, non sono immediate. Il paziente per un certo numero di mesi o di anni può
essere trattato con farmaci anti iperglicemici, come se fosse affetto da diabete di tipo 2, anche se
spesso in questi pazienti si ha un’oggettiva difficoltà a ottenere un buon controllo glicemico senza
dover utilizzare l’insulina. Il LADA è una forma di diabete che tende ad avere un’evoluzione piuttosto
rapida verso la necessità di dover trattare i pazienti con insulina, oppure lenta, in relazione al titolo
anticorpale che caratterizza questa malattia su base autoimmune.
Le sindromi genetiche sono forme più rare di diabete, che si associano in un contesto sindromico
ad altre alterazioni, tra cui disturbi cognitivi (che caratterizzano fin dalla nascita questi individui) e
obesità.
4. Epidemiologia
Sono molto numerose le persone affette da diabete, sia in Italia che nel resto del mondo. Il dato
ISTAT del 2010 parla di una prevalenza di diabete in Italia del 5% circa; tuttavia questo è un dato
sottostimato, in quanto in questa indagine la diagnosi doveva essere auto-dichiarata dal paziente,
ma spesso le persone hanno un po’ di paura a dichiarare di essere affette da diabete, perché questo
potrebbe portare ad alcune limitazioni sociali, tra cui la limitazione alla guida degli automezzi. Infatti,
da un’indagine eseguita presso i medici di medicina generale pochi anni dopo, è emerso che la
prevalenza del diabete era superiore al 6%, con una predominanza nei confronti degli individui di
sesso maschile rispetto agli individui di sesso femminile.
Utilizzando i criteri diagnostici
per la diagnosi di diabete noto
si stima che circa 3 milioni di
italiani sono affetti da diabete
(in Lombardia circa 600.000).
Ma esistono anche molte
persone in cui le procedure di
screening non vengono
eseguite e che, pur non
sapendolo, sono affette da
diabete; questi individui sono
circa 1.500.000 in Italia. Perciò
in Italia ci sono circa 4.500.000 persone affette da diabete, divise tra quelle che hanno una
consapevolezza relativa alla malattia, quindi possono gestirla al meglio e quelle che non hanno
consapevolezza di essere affette dalla malattia, perciò non innescano nessuna forma di terapia né
di prevenzione delle complicanze.
In Italia altri 4.500.000 individui sono in una condizione di prediabete: si trovano in una fase precoce
della malattia, in cui sono già identificabili delle alterazioni del metabolismo del glucosio, le quali
costituiscono un fattore di rischio per cui queste persone potrebbero arrivare allo sviluppo del
diabete in un tempo relativamente breve.
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È piuttosto difficile individuare le persone affette da diabete, in quanto c’è anche una scarsa
consapevolezza da parte della classe medica nel ricercare coloro che ne sono affetti.
Una volta identificati questi individui, si ha una certa difficoltà anche nel curarli, in quanto la
popolazione ha una scarsa consapevolezza relativa alla gravità della patologia e perciò agisce con
una scarsa aggressività nel curarsi da questa malattia.
Circa ¼ delle persone affette da diabete non sa di
esserlo e ci vogliono mediamente 6/7 anni prima che
ricevano una diagnosi formale di diabete. Poco più
della metà dei pazienti affetti ha innescato una
terapia per il diabete, sia comportamentale che
farmacologica. Tra coloro che assumono la terapia in
maniera virtuosa, solo una quota piuttosto piccola
raggiunge l’obiettivo terapeutico fissato allo scopo di
minimizzare il rischio che questi pazienti possano
sviluppare delle complicanze. Solo il 49% dei pazienti
raggiunge una quota di emoglobina glicata (HBA1C) <
8%. L’emoglobina glicata è un marker indiretto dell’omeostasi del glucosio e dell’insulina, che
fotografa l’andamento delle glicemie medie degli ultimi tre mesi. L’obiettivo terapeutico è quello di
portare i livelli di emoglobina glicata al di sotto del 7%, in modo tale da minimizzare il rischio di
complicanze micro-vascolari del diabete. Le complicanze macro-vascolari del diabete non sono pari
a quelle di una persona sana nemmeno con valori di HBA1C < 7%, in quanto occorre controllare
anche altri fattori di rischio, tra cui dislipidemia, ipertensione e il fumo di sigaretta.
precocemente. Essi hanno delle aspettative dal punto di vista sociale e la necessità di
fronteggiare una vita lavorativa con delle prospettive di carriera; questo li porta ad avere
delle esigenze nella gestione della malattia ancora diverse rispetto agli anziani o ai bambini.
La terapia del diabete prevede che entrino in gioco diversi specialisti nella gestione della persona:
o Il dietista o il dietologo aiutano il paziente nelle scelte nutrizionali appropriate.
o Il laureato in scienze motorie aiuta il paziente con l’esercizio fisico, sia per massimizzarne i
benefici che per minimizzarne i rischi associati.
o Il diabetologo e il medico di medicina generale possono somministrare i farmaci
antidiabetici. I farmaci si dividono in:
Ø quelli somministrati per bocca (divisi in 6 classi);
Ø quelli somministrati per via sottocutanea che non sono insulina, come i GLP1
receptor agonist;
Ø insuline, tra le quali distinguiamo l’insulina umana e gli analoghi dell’insulina, i quali
a loro volta si dividono in analoghi lenti (con effetto prolungato nel tempo) e analoghi
rapidi (tipicamente somministrati prima dei pasti).
o Chirurgia bariatrica: costituisce uno strumento terapeutico efficace per i pazienti affetti da
diabete di tipo 2 e in parte anche per gli affetti da diabete di tipo 1 di lunga durata. Se il
paziente è affetto da obesità severa, con BMI > 35 kg/m2, la presenza del diabete costituisce
una forte indicazione a considerare la chirurgia bariatrica come intervento terapeutico,
perché può permettere di ottenere una riduzione ponderale e spesso anche una remissione
del diabete, la quale può durare fino a 5-10 anni; in questo modo si posticipa nella vita
dell’individuo il rischio di sviluppare complicanze e morte.
o Gli individui affetti da diabete di tipo 1, soprattutto in passato, erano afflitti dalle
complicanze micro-vascolari, retiniche, del sistema nervoso autonomo, del sistema nervoso
sensitivo-motorio. In particolare la retinopatia e la nefropatia hanno portato questi individui
alla necessità di trapianti, sia del pancreas come organo intero, sia delle isole pancreatiche,
a volte associati al trapianto di rene in pazienti con insufficienza renale terminale secondaria
alla nefropatia diabetica. Questo perché, una volta che il paziente deve essere sottoposto
alla terapia immunosoppressiva per il trapianto di rene, è utile associare il trapianto di
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Il diabete di tipo 2 in età infantile e adolescenziale di solito è tipico di alcuni gruppi etnici particolari
oppure dei caucasici affetti da una grave obesità di lunga durata; questo rende difficile la gestione
della terapia in quanto i farmaci per bocca utilizzati negli adulti per il trattamento del diabete di tipo
2 non sono utilizzabili in età infantile e adolescenziale. Perciò per questi pazienti diventa necessaria
la terapia insulinica anche se non sono affetti da diabete di tipo 1.
Nei pazienti anziani, a causa della riduzione para-fisiologica del filtrato renale, molti farmaci
normalmente utilizzati per trattare il diabete possono essere utilizzati solo a dosaggio ridotto o non
possono essere utilizzati; ciò complica la gestione del diabete nel paziente anziano.
Il diabete è un problema di gestione anche a livello ospedaliero: il paziente ricoverato per patologie
intercorrenti non può essere trattato dal punto di vista del diabete con i farmaci che utilizza a
domicilio, ma si ricorre all’insulina. Nei pazienti diabetici che durante il ricovero sono trattati con la
nutrizione artificiale è molto difficile la gestione della glicemia.
Tutto ciò dimostra una notevole complessità della terapia del diabete.
Le malattie acute intercorrenti possono indurre alla necessità di dover cambiare il trattamento e la
terapia utilizzata di base in un paziente; per esempio, a seguito di un’infezione può esserci la
necessità di trattare un paziente con la terapia insulinica, spesso in maniera reversibile, in quanto
una volta risolta la malattia intercorrente nella maggior parte dei casi si può tornare alla terapia
precedente.
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Nei pazienti con tante patologie c’è anche il rischio di interazione tra i diversi farmaci.
Un altro rischio importante è quello dell’ipoglicemia, alla quale si può andare incontro con la terapia
insulinica e con alcune classi di farmaci somministrati per bocca. L’ipoglicemia è una complicanza
sempre iatrogena, cioè sempre determinata dal trattamento che viene proposto al paziente.
La terapia del diabete è molto complessa perché non bisogna solo controllare la glicemia, ma anche
prevenire le complicanze macro-vascolari e micro-vascolari.
Per prevenire le complicanze macro-vascolari bisogna controllare la pressione arteriosa, la
dislipidemia, ridurre il fumo di sigaretta e assumere una terapia anti-aggregante (prevenzione
secondaria).
Le complicanze micro-vascolari si dividono in:
o Oftalmologiche, per cui si richiede l’intervento dell’oculista attraverso terapie fisiche come
la laser-terapia o farmacologiche, con l’iniezione intra-vitreale di farmaci.
o Renali, come proteinuria e riduzione del filtrato glomerulare; entra in gioco il nefrologo con
diverse terapie, fino alla dialisi che rappresenta la terapia dello stadio terminale
dell’insufficienza renale.
o Complicanze proprie del sistema nervoso periferico, come la neuropatia sensitivo motoria
dolorosa e non e la neuropatia autonomica; si interviene con strumenti terapeutici
abbastanza aspecifici, cioè non focalizzati specificatamente su una neuropatia su base
metabolica come quella indotta dal diabete.
Le complicanze vascolari a livello degli arti inferiori, in associazione alla neuropatia, danno luogo a
una complicanza definita piede diabetico, molto importante perché ha un peso prognostico
particolarmente sfavorevole per i pazienti, ne limita tantissimo l’autonomia e ha un impatto
pesantissimo sulla qualità di vita.
Inoltre il paziente affetto da diabete ha un rischio cardiovascolare molto alto, infatti le malattie
cardiovascolari costituiscono la principale causa di morte e di comparsa di complicanze nelle
persone con diabete.
Come si può vedere nel grafico sottostante, considerando una persona che scopre di avere il diabete
a 40 anni, ciò implica una riduzione di circa 7 anni della sua aspettativa di vita. Il grafico si basa su
dati raccolti in Europa nel primo decennio di questo secolo. L’area sottesa dalla curva nera, che fa
riferimento alle cause di morte cardiovascolari, è la parte predominante sia negli uomini che nelle
donne; ma non va dimenticato che il diabete e in parte l’obesità si associano a un aumento del
rischio di cancro, in
particolare tumori del
tratto gastroenterico. Ci
sono anche cause di
morte non vascolari e non
relative al cancro, che
tendono ad essere più
frequenti nelle persone
affette da diabete; alcuni
esempi sono il suicidio e le
malattie
neurodegenerative.
Parlando di rischio cardiovascolare in un soggetto affetto da diabete (rischio doppio rispetto a una
persona sana), bisogna considerare sia il rischio assoluto che il rischio relativo. Non c’è molta
differenza tra il rischio assoluto di un soggetto sano e quello di un soggetto affetto da diabete se si
considera una persona in età piuttosto avanzata. Invece, considerando soggetti giovani si ha una
notevole differenza; nei giovani il rischio assoluto è minore che negli anziani. Il rischio relativo, cioè
quello comparato a una persona della stessa età, è enormemente più alto nei giovani diabetici
rispetto ai sani.
Prendendo in considerazione una persona con una recente insorgenza di diabete, il suo rischio di
avere un evento cardiovascolare è molto più alto rispetto quello di una persona che non ha il
diabete, in maniera proporzionale all’età di insorgenza di malattia (più bassa è l’età, più alto è il
rischio relativo).
Il rischio assoluto tende invece, come nella popolazione generale, a crescere con l’età.
Alla fine degli anni 80 del secolo scorso, una persona con diagnosi di diabete di tipo 1 aveva
un’aspettativa di vita piuttosto ridotta. Nel grafico sottostante si possono vedere i dati dello studio
DCCT in cui sono state monitorate le persone americane affette da diabete di tipo 1. Se i pazienti
vengono trattati in maniera intensiva in riferimento al controllo glicemico, la prognosi può
migliorare; infatti si può vedere che dopo 30 anni di trattamento intensivo (curva arancione) il
rischio di morte nella popolazione è notevolmente minore rispetto ai pazienti sottoposti al
trattamento convenzionale (curva blu), si passa, infatti, dall’11% al 7%. Tuttavia il trattamento
intensivo presenta dei problemi nella
gestione, per esempio il fatto che il rischio di
ipoglicemia sia superiore rispetto al
trattamento convenzionale. Proprio per
questo, l’andamento delle curve diventa
favorevole solo dopo 15 anni di trattamento
intensivo, infatti dal grafico si può notare
che nei primi tre lustri non c’è una grossa
differenza di mortalità tra le persone
trattate in maniera intensiva e quelle
trattate in maniera convenzionale. L’effetto
del trattamento intensivo si vede a distanza
di 15 anni, perché è proprio dopo questo
arco di tempo che iniziano a manifestarsi le
complicanze vascolari del diabete di tipo 1.
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Anche per il diabete di tipo 2, l’andamento nel tempo è decisamente migliorato. Nel grafico
sottostante, a sinistra è rappresentato l’andamento delle complicanze vascolari e renali nelle
persone con diabete di tipo 2. Dal 1990 al 2010, l’insorgenza di complicanze macro-vascolari molto
invalidanti (come infarto e ictus) si è notevolmente ridotta. Lo stesso vale per le amputazioni. La
gestione delle complicanze renali, invece, è ancora complessa, infatti molto spesso i pazienti vanno
incontro a insufficienza renale terminale e necessitano di dialisi; tuttavia le nuove classi di farmaci
disponibili da qualche anno sembrano essere utili in questo senso.
Nel grafico a destra sono rappresentati i rischi di infarto, ictus, amputazione e insufficienza renale
terminale nella popolazione generale. Confrontando i due grafici possiamo vedere che, nonostante
i miglioramenti nell’aspettativa di vita e nel rischio di sviluppare complicanze vascolari nelle persone
con diabete di tipo 2, i soggetti affetti da questa malattia hanno comunque un rischio molto più
elevato rispetto alla popolazione generale.