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I TRE PRINCIPI DELLA LOGICA CLASSICA:

-principio di identità: à afferma che dato A, A è A. Tale principio non è formalmente presente negli scritti
aristotelici, ma da Parmenide. Il significato dei termini deve mantenersi che costante.
-principio di non contraddizione: sostiene che, in un enunciato, non si può affermare e negare un predicato
del soggetto, nello stesso tempo e nello stesso senso. Non possiamo dire che Mario è più grande di
Giovanni e, contemporaneamente, dire che non lo è.
-il principio del terzo escluso: afferma che in un sistema a due valori, Vero e Falso - com’è la logica
estensionale che stiamo trattando - un enunciato è vero o è falso: una terza possibilità è esclusa.

Enunciato classico: la sua struttura è sempre del tipo “S è P”: per esempio, “Socrate è calvo”. ‘S’ indica il
soggetto, ‘è’ la copula e ‘P’ il predicato, ossia ciò che si predica del soggetto, la sua proprietà.
4 enunciati categorici:
-enunciato universale affermativo: “Tutti gli S sono P”. In tal caso, l’enunciato afferma che tutto ciò che è S
ha la proprietà di essere P, cioè gli si predica l’essere P (per esempio, “Tutti i greci sono europei”)
-enunciato universale negativo: “Nessun S è P”. In tal caso, l’enunciato afferma che nulla di ciò che è S ha la
proprietà di essere P, cioè gli si predica il non essere P (per esempio, “Nessun greco è persiano”)
-enunciato particolare affermativo: “Qualche S è P”. In tal caso, l’enunciato afferma che solo qualche S ha
la proprietà di essere P, cioè gli si predica l’essere P (per esempio, “Qualche greco è calvo”)
-enunciato particolare negativo: “Qualche S non è P”. In tal caso, l’enunciato afferma che qualche S ha la
proprietà di non essere P, in altre parole gli si predica il non essere P (per esempio, “Qualche greco non è
giovane”.
Si noti che ogni enunciato categorico si caratterizza per la qualità (l’essere affermativo o negativo) e per la
quantità (l’essere universale o particolare).

Contradditorietà: due enunciati sono contraddittori quando non possono essere entrambi veri o entrambi
falsi.
Contrarietà: due enunciati sono contrari quando non possono essere entrambi veri, pur potendo essere
entrambi falsi. Un enunciato di tipo A (“Tutti i greci sono calvi”) e di tipo E (“Nessun greco è calvo”) non
possono essere entrambi veri, ma possono essere entrambi falsi, perché vi sono solo alcuni greci calvi.
Subcontrarietà: due enunciati sono subcontrari quando non possono essere entrambi falsi, pur potendo
essere entrambi veri. Vi è questa relazione tra gli enunciati di tipo I (“Qualche greco è calvo ”) e di tipo O
(“Qualche greco non è calvo”) che non possono essere falsi entrambi, mentre possono benissimo essere
veri entrambi.
Subalternità: due enunciati sono subalterni quando sono entrambi veri o entrambi falsi e uno descrive una
situazione che è derivabile dalla situazione descritta dall’altro. Non può essere vero A (“Tutti i greci sono
calvi”) se non è vero anche I (“Qualche greco è calvo”), analogamente a quanto avviene tra O (“Qualche
greco non è calvo”) ed E (“Nessun greco è calvo”).

OPPOSIZIONE TRA TERMINI: si può parlare di contrario e contradditorio.


-la contrarietà è la negazione che trasforma un termine nel suo opposto all'interno di uno certo genere: per
esempio ‘coraggioso’ e ‘vile’, sono contrari quando uno è la negazione dell’altro all’interno dello stesso
genere.
-Il contraddittorio nega il termine dato e rimanda a tutto ciò che quel termine non è, sia all’interno che
all’esterno del genere di cui si tratta: il contraddittorio di ‘italiano’, cioè ‘non-italiano’, indica non solo le
persone che non appartengono alla nazione italiana ma anche gli animali, le piante, le cose inanimate, cioè
tutto ciò che non è cittadino italiano.

SILLOGISMO: dato un enunciato, permettono di derivarne un altro mediante un terzo enunciato.


Un sillogismo è perfetto quando le sue premesse sono vere: in questo caso, come dice Aristotele,
l’inferenza è necessaria e siamo quindi in presenza di una dimostrazione. Ogni inferenza sillogistica è che
costituita da tre enunciati: la premessa maggiore, che collega un termine detto estremo maggiore ad un
altro detto medio; la premessa minore, che collega un termine detto estremo minore al medio; la
conclusione, che unisce i due estremi, nell’ordine il minore e il maggiore.
La premessa maggiore, che collega un termine detto estremo maggiore ad un altro detto medio; la
premessa minore, che collega un termine detto estremo minore al medio; la conclusione, che unisce i due
estremi, nell’ordine il minore e il maggiore.
Definendo con M il termine medio, con P l’estremo maggiore e con S l’estremo minore, possiamo
considerare un esempio di sillogismo come il seguente:
premessa maggiore (MP) Tutti gli uomini [M] sono mortali [P]
premessa minore (SM) Tutti gli ateniesi [S] sono uomini [M]
conclusione (SP) Quindi tutti gli ateniesi [S] sono mortali [P]
Come si vede il termine medio non compare nella conclusione, ma consente di collegare la premessa
maggiore alla premessa minore al fine di ottenere la conclusione.

Metodo indiretto o assurdo di dimostrazione: se dalla contro-tesi segue una contraddizione; pertanto è da
considerarsi falsa. Ma se la contro-tesi (cioè la negazione della tesi) è falsa, allora la sua negazione (cioè la
negazione della negazione della tesi, ovvero la tesi) è vera.

Per Parmenide il vero oggetto del pensiero è l’essere, unico, eterno, intero, immutabile, immobile e finito:
«Il non essere né lo puoi pensare (non è infatti possibile), né lo puoi esprimere»: su questo si basa il
ragionamento che consiste nel sostenere una tesi dimostrando che il suo opposto è contradditorio.
Il principio fondamentale è: l’essere è e non può in alcun modo non essere.
Si viene così a creare un sistema a due valori (essere e non essere) dove si afferma l’essere e quindi si nega
il non essere. Vi sono cioè le premesse per costruire una giustificazione della tesi attraverso la riduzione
all’assurdo della tesi opposta.
C’è un frammento iniziale di un testo di Parmenide – sulla Natura – nel quale narra di essere stato rapito e
portato al cospetto di una dea e grazie al suo insegnamento lui apprende la via della verità, che nega il non
essere, afferma l’essere e definisce i suoi attributi.
La tesi da giustificare per Parmenide è che se l’essere fosse generato deriverebbe da qualcos’altro ovvero il
non essere ma essendo che il non essere non è, l’essere è ingenerato. Allo stesso modo egli giustifica altri
attributi dell’essere (unico, senza fine, intero, immutabile, immobile).
Il ragionamento parmenideo si basa su sette punti:
1. Affermazione di un principio assunto come vero: “L’essere è e non può in alcun modo non essere. Il non-
essere non è e non può in alcun modo essere”
2. Tesi: si afferma ciò che si vuole dimostrare, cioè “l’essere è ingenerato”.
3. Contro-tesi: si nega la tesi e si sostiene che “l’essere è generato” (= non è ingenerato).
4. Da questa contro-tesi si traggono delle conseguenze logiche: nel nostro caso se l’essere è generato, esso
deriva da altro da sé. Non trattandosi di essere, esso sarà non-essere. Quindi, se è generato, l’essere deriva
dal non-essere.
5. Si rileva una contraddizione tra una conseguenza della contro-tesi (cioè “l’essere deriva dal non essere”)
e quanto si è assunto in 1 (cioè “Il non essere non è e non può in alcun modo essere”).
6. Si rileva che si è violato il principio di non-contraddizione e quindi la contro-tesi, che porta a una
contraddizione, è falsa.
7. Applicazione del principio del terzo escluso: se la contro-tesi è falsa, allora la tesi è vera. Ed è proprio ciò
che si voleva sostenere, cioè che “l’essere è ingenerato”.
Questa è un’argomentazione e non una dimostrazione, perché se si mette in discussione il principio di
partenza crolla tutto il ragionamento.
La critica di Melisso di Samo, un discepolo di Parmenide, utilizza la stessa struttura argomentativa per
correggere il suo maestro, infatti Parmenide sosteneva che l’essere fosse finito ma non aveva portato un
argomento a sostegno di questa tesi: egli ritiene, come gran parte della cultura greca antica, che ciò che è
perfetto, concluso, finito, sia superiore qualitativamente a ciò che è infinito spazialmente.
Melisso invece sostiene che “come è sempre, così anche l’essere deve essere sempre infinito in grandezza”.
Come affermiamo che l’essere è eterno, così dobbiamo affermare che è infinito. Infatti se fosse finito nel
tempo, cioè non eterno, allora ad un certo punto esso finirebbe, il che significa che l’essere diventerebbe
non-essere: ma il non-essere non è e quindi l’essere è eterno. Analogamente, se l’essere fosse finito
spazialmente sarebbe limitato da qualcos’altro, cioè dal non-essere: ma il non essere non è e quindi
l’essere è infinito spazialmente.
La struttura argomentativa è infatti la stessa di Parmenide: si usa la riduzione all’assurdo (per cui partendo
da un principio si nega la tesi, da ciò si traggono conseguenze logiche che contraddicono il principio
ammesso).
Il paradosso è un ragionamento contro (parà) l’opinione (dòxa), tale cioè da apparire formalmente corretto
pur essendo contrario al comune modo di intendere le cose, nasce con la filosofia eleatica.
Il primo ad utilizzarlo è Zenone di Elea, discepolo di P., il più famoso è quello di Achille e la tartaruga: se
Achille, il più veloce tra gli uomini, sfidasse in una corsa la tartaruga, il più lento tra gli animali, lasciandole
un esiguo vantaggio, diciamo qualche metro, secondo lui il Achille non vincerebbe la gara, il che è contrario
a quanto ci dice l’opinione comune: ecco il paradosso. Mentre Achille si sposta per raggiungere la tartaruga,
passa un intervallo di tempo e pur se ridotta, vi è quindi ancora una distanza tra Achille e la tartaruga. Ogni
volta che Achille raggiunge il luogo dove essa si trovava, la tartaruga si è spostata, anche di poco. Il tratto
che separa Achille e la tartaruga si riduce all’infinito ma non si annulla, secondo questo dobbiamo dire che
Achille non raggiungerà mai la tartaruga, anche se sappiamo benissimo che, nell’esperienza, ciò avviene.
Quattro argomenti riportati nella Metafisica che Zenone per mostrare che la molteplicità e il divenire non
sono razionali se riferiti all’essere.
Primo – “Meta irraggiungibile” quello sulla inesistenza del movimento per la ragione che il mosso deve
giungere prima alla metà che non al termine. Secondo Zenone non si possono percorrere elementi spaziali
infiniti o toccare nella traslazione uno per uno infiniti elementi spaziali in un tempo determinato.
Secondo – detto Achille, sostiene che il più lento non sarà mai raggiunto nella sua corsa dal più veloce.
Questo sostiene che il più lento non sarà mai raggiunto nella sua corsa dal più veloce. Infatti è necessario
che chi insegue giunga in precedenza là di dove si mosse chi fugge, di modo che necessariamente il più
lento avrà sempre un qualche vantaggio.
Terzo - è l’argomento della freccia, che appare in movimento ma, in realtà, è immobile. In ogni istante
difatti essa occuperà solo uno spazio che è pari a quello della sua lunghezza; e poiché il tempo in cui la
freccia si muove è fatto di singoli istanti, essa sarà immobile in ognuno di essi.
Quarto - Zenone afferma che se due masse in uno stadio si vengono incontro, risulterà l'assurdo logico che
la metà del tempo equivale al doppio.
Zenone sostiene la posizione di Parmenide: l’essere è uno e quindi non esiste il molteplice; l’essere è
immobile e quindi non esiste il movimento. Zenone nega che l’esperienza sensibile possa essere razionale,
cioè possa venire descritta e compresa dalla ragione perché il non essere non si può pensare, poiché
pensare ed essere coincidono. E’ possibile usare la ragione, il logos, solo in ordine all’essere. Questa è la
tesi fondamentale che Zenone intende difendere. Il paradosso nasce per mostrare che, quando si applica la
razionalità a ciò che è molteplice o in divenire, la ragione va in corto circuito, mostra una realtà impossibile,
dove il più veloce degli uomini non raggiunge il più lento degli animali.
Il paradosso agisce come giustificazione: egli mostra che, traendo conseguenze coerenti, appare
un’incongruenza tra le nostre più comuni opinioni e ciò che dice la ragione. Il paradosso trova posto nella
tensione tra ragione ed esperienza.
Paradosso come critica: Con il movimento sofistico, nel V sec. a.C., il ricorso ai paradossi ed alle
confutazioni delle tesi avversarie si diffonde. Vedi paradossi di Zenone
Paradossi dei megarici: del mentitore: se dici che menti, o menti, e allora dici il vero, o dici il vero, e allora
menti. Sorite: Un solo chicco di grano non fa un mucchio; se a questi ne aggiungo uno, anche così non
ottengo un mucchio;
Uomo incappucciato: Conosci tuo padre? - Certamente sì. - Se io presentandoti un individuo incappucciato
ti chiedessi: “Conosci costui?” che cosa risponderesti? - Certamente no. - Eppure quello era proprio tuo
padre: cosicché conosci tuo padre e non conosci tuo padre.
Il cornuto: Tu hai ciò che non perdesti, ma non perdesti le corna, quindi tu hai le corna.
La confutazione: un’argomentazione che stabilisce la verità di un enunciato mostrando che quello opposto
è impossibile. Già Parmenide, con la riduzione all’assurdo, aveva agito così. Inizia con Aristotele.
I seguaci di Parmenide sostengono che nulla diviene e che l’essere è immobile. A questa tesi Aristotele
oppone una confutazione. Se “tutto è immobile” fosse un enunciato vero, allora non potremmo esprimerlo
perché il farlo implicherebbe un mutamento e ciò contraddirebbe la stessa tesi per cui tutto è immobile.
La confutazione è un modo per criticare tesi alternative alla nostra, non è un modo per giustificare le
proprie: si applica l’autofagia ovvero quell’argomento quasi-logico che porta una regola all’estremo e ne
saggia così la tenuta.
La confutazione per Aristotele è un procedimento dialettico perché si basa sul dialogo in cui si sostengono
tesi diverse. Occorre che i termini presenti nella tesi siano intesi nello stesso modo; ma occorre anche che
chi discute condivida il principio di non-contraddizione. Giustificare razionalmente qualcosa senza usare il
principio di non -contraddizione è impossibile.
Non usare il principio di non-contraddizione significa affermare qualcosa e negarla contemporaneamente e
dallo stesso punto di vista.
La confutazione scettica si rivolge alla semplice distruzione della posizione avversa, senza la pretesa di
sostituirla con un’altra tesi. Credono che il conoscere sia impossibile
Chi sostiene che non tutte le cose sono relative si oppone allo scettico per cui, invece, tutto è relativo. Ma
così facendo egli mostra che la stessa affermazione “non tutto è relativo” è relativa a chi la espone, infatti in
relazione a lui è vera, in relazione allo scettico non lo è. Quindi, conclude Enesidemo, chi sostiene che non
tutte le cose sono relative viene a confermare la relatività di tutte le cose.

Alla distinzione tra verità e opinione Parmenide fa corrispondere due diverse e distinte facoltà umane: il
pensare e il sentire.
Parmenide sostiene però la superiorità del pensiero: solo il pensiero può conoscere “ciò che è” perché la
sensazione è invece sempre mutevole e incerta.
Secondo il pensiero, “un solo cammino resta dunque al discorso: che l'essere è e che non può non essere”.
Il problema dell'essere e del suo rapporto col pensare è il principio della filosofia: Solo il pensiero però può
cogliere l'essere; infatti tutto ciò che il senso percepisce si trasforma e svanisce. Tra essere e pensiero si
stabilisce dunque una relazione indissolubile: «l'essere e il pensare sono la stessa cosa”. Ciò che non è, dice
Parmenide, non puoi né pensarlo né esprimerlo quindi il non essere non può essere.

L'essere è ingenerato e imperituro, cioè eterno (altrimenti proverrebbe dal non essere o andrebbe a finire
nel non essere; ma il non essere semplicemente non è, non è pensabile, non è niente); e inoltre che l'essere
è uno, cioè unico (se fosse due, il non essere dovrebbe separare i due supposti esseri), e poi immobile (non
potendo né venire dal, né andare verso il non essere) e compatto, cioè privo di parti (o le parti dovrebbero
di nuovo venir distinte dal non essere). Esso, dice Parmenide, è finito, simile alla massa di una perfetta
sfera, di eguale forza dal centro in tutte le direzioni.

Freccia: ma se una freccia, muovendosi, compie il tragitto da A a B, bisogna ammettere che essa deve
anzitutto compiere la metà di tale tragitto, e prima ancora la metà di questa metà e così via; siccome ogni
frazione di spazio è composta da un numero infinito di punti, non si può mai dire con coerenza che la
freccia abbia percorso un tragitto qualsiasi (poiché prima deve aver già percorso la metà di tale tragitto).
Ma ammettiamo pure che la freccia abbia effettivamente compiuto il tragitto da A a B; essa allora è passata
tra gli infiniti punti di questo tragitto, il che significa che, almeno per un istante, essa si è trovata a essere,
cioè a essere immobile, in ognuno di questi punti; ne deriva che il supposto movimento del tragitto
risulterebbe dalla somma di infiniti momenti di immobilità, il che è assurdo

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