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BERNADETTE
E LOURDES
Rizzoli
Proprietà letteraria riservata
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Madame Elfrida venne a chiedere se fosse necessa
rio ravvivare con nuova legna il fuoco nel caminetto.
Clarens e lo studioso italiano concordarono sul fatto
che s’era fatto tardi. Meglio andare a dormire. Lo stra
niero salutò il suo nuovo amico, con il quale si sarebbe
ro ritrovati in uno dei giorni successivi.
Il giorno dopo si svegliò tardi. La stanchezza per il
viaggio da Tarbes aveva richiesto un riposo più lungo
del solito. Si alzò e spalancò la finestra che dava sul
piccolo cortile interno assaporando l’aria frizzante che
portava sentori di neve. Indugiò con pigrizia nella toe
letta e scese finalmente per la colazione soltanto alle
nove.
Salutò Marie, la cameriera che serviva ai tavoli,
chiedendole le novità del giorno. La risposta soprag-
giunse con madame Elfrida che s’avvicinava per avere
informazioni sul suo riposo.
« Non sentite? Monsieur, questa mattina a Lourdes
c’è agitazione. Alle cinque, la piccola Bernadette è
andata a Massabielle e tutto lascia credere che l’accom
pagnasse un’autentica folla. Un’ora fa è venuto il le
gnaiuolo per la fornitura del giorno, m’ha parlato di
almeno centocinquanta persone. Pare che tra la folla
non mancassero neppure i signoroni del luogo. Ber
nard assicura d’aver riconosciuto tra quella gente il
dottor Dozous, l’avvocato Dufo, Jean-Baptiste Estra
de. Dovrò decidermi ad andarci anch’io. Penso addirit
tura a domani, se l’invito di monsieur Clarens e di
Estrade sarà ancora valido. »
Poco prima delle 10 andò a far visita a fra’ Léo-
bard-Marie che lo accolse con semplicità e molta cor
dialità. Cercò di sondarne gli umori, poiché era la pri
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ma volta che aveva contatti con un religioso di Lour
des.
Il frate fu molto cauto, l’avvertì che la persona più
adatta a fornirgli lumi sulla questione, così almeno dis
se, era senza dubbio Dominique Peyramale, il curato di
Lourdes.
«Per quanto posso dirvi» aggiunse «gli abitanti del
villaggio sono in maggioranza poveri. Molti lavorano
nelle cave ricche di marmo che ci sono qui intorno o
nel taglio della pietra e dell’ardesia che abbonda nelle
nostre montagne. Le donne, dal canto loro, si arrangia
no alla bell’e meglio raccogliendo legna da vendere a
pochi soldi. La trovano in una vicina foresta demania
le. »
Fra’ Léobard-Marie armeggiò con alcuni attrezzi di
falegnameria, quindi riprese il discorso.
« Qualcuna, e può dirsi più fortunata, fa la serva in
qualche casa borghese. Però la gente di Lourdes, chec
ché ne dicano i cosiddetti illuministi del Café Francis,
è tutta solidamente credente. Peraltro, monsieur, cre
do che alla vostra curiosità di storico l’archivio comu
nale potrà rivelare molte cose interessanti sul piano:.,
ecco, diciamo sul piano civile. Se avrete la grazia d’at
tendere qualche minuto, sistemo un piccolo guaio in
refettorio e potrò accompagnarvi io stesso. »
Dopo qualche minuto s’incamminarono verso il
municipio. Fra’ Léobard-Marie aveva il passo svelto e
vedendo che lui faticava a stargli dietro rallentò un
poco. Nacque allora l’occasione per chiedergli notizie
sulla famiglia di Bernadette Soubirous.
« Marie-Bernarde, sapete Bernadette è diminutivo
come usa qui da noi, è nata quattordici anni fa, in gen
naio. All’epoca» iniziò il buon frate «il padre Francois
e sua madre, Louise Castérot, erano mugnai a Boly. La
famiglia a quei tempi poteva dirsi persino agiata, l’ec
cessiva generosità doveva poi travolgerli. So che molti
andavano al mulino di Boly per macinare la loro farina
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e molto spesso ottenevano dilazioni di pagamento che
finivano per neppure onorare. Ma c’è di più. Chiunque
fosse capitato al mulino dei Soubirous si vedeva accol
to come ospite gradito alla tavola dei padroni e rifocil
lato di tutto punto. »
Fra’ Léobard-Marie salutò una donna anziana e
mise mano alla borsa consegnandole qualche soldino.
« E una donna sola e malata, le ho dato un poco di
speranza spicciola», sorrise. «N el 1845 e nel ’51 sono
morti due fratellini di Bernadette. L ’anno successivo il
mulino che i Soubirous ritenevano d’aver ereditato fu
messo invece all’incanto, due anni più tardi l’intera
famiglia fu cacciata da Boly. Così dovette adattarsi alla
fortuna, fino a rintanarsi e confinarsi nel cachot di rue
des Petits Fossés. E una ex prigione, fradicia d’umidi
tà, i muri sono un pericoloso veicolo di malattie. »
Il frate si fermò nuovamente, all’incrocio d’una
stradina, davanti a una bancarella che offriva le poche
verdure fresche che la fredda stagione consentiva.
Chiese il prezzo d’un cesto di verze, contrattò a lungo
prima d’ordinare che venisse recapitato alla scuola.
Ripresero il cammino in direzione del municipio,
inframezzandolo con numerose ma brevi soste ogni
volta che un uomo o una donna, per lo più vestiti mol
to modestamente, s’avvicinavano al frate per salutarlo
o per chiedergli qualche minuto favore.
« Quasi un anno fa, » fra’ Léobard-Marie riavvitò il
discorso troppo spesso interrotto «se non erro il 27
marzo, il padre di Bernadette è stato arrestato con l’ac
cusa d’aver rubato due sacchi di farina. Erano stati
rubati nella panetteria Maisongrosse, è quella che ab
biamo superato da poco all’incrocio. Va sottolineato,
del resto, che proprio Maisongrosse aveva testimoniato
in favore di Francois Soubirous. Lui stesso ne aveva
encomiato la fedeltà dimostrata quando l’aveva avuto a
lavorare con sé. Ma, vedete monsieur, ciò non è valso
granché. E sapete perché il padre di Bernadette si tro
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vò implicato in un affare da malfattori, dal quale biso
gna aggiungere fu ben presto prosciolto? Lo stesso
Maisongrosse aveva dichiarato che il sospetto su Fran
cois gli era appunto venuto proprio per le condizioni
di miseria in cui versavano i Soubirous. Secondo lui,
erano condizioni che avrebbero potuto spingere Fran
cois al furto. Monsieur, ecco la storia della famiglia di
Bernadette. »
Erano arrivati in municipio. Fra’ Léobard-Marie lo
precedette e si fermò a parlare con un uomo di piccola
statura che portava, forse per uno strano gioco dei con
trasti, due grandi baffi e una criniera foltissima.
« Questo è Marcel » l’awertì « ed è l’addetto all’a-
nagrafe. Monsieur, ha promesso di fornirvi l’elenco
con i dati del censimento del 31 maggio 1856. Comun
que, è a vostra completa disposizione. Ma ora scusate
mi, devo rientrare alla scuola dove sarò felice di rice
vervi per ogni futura vostra necessità. »
Lo straniero ringraziò il religioso e seguì Marcel
che lo fece accomodare davanti a una grande scrivania
sulla quale ben presto gli portò in visione il volume che
conteneva tutti i dati del censimento.
E dalle cifre poteva ricostruire la vita di Lourdes.
Pur nella loro aridità, quei numeri gli fornivano un
quadro quasi millimetrico della realtà umana di quelle
genti di montagna. Era un affresco non dissimile da
quello che poteva ritrarre una dimensione civile non
diversa in tantissime parti d’Italia. Segno, dunque, che
povertà e lotta per l’esistenza non hanno patrie definite
o confini precisi che ne delimitino la presenza.
I fogli con le annotazioni diligenti d’un oscuro
impiegato racchiudevano la storia più attuale della cit
tà. Lourdes dunque contava 4135 abitanti, ospitati in
459 case. L ’agglomerato urbano, la città vera e propria,
raggruppava 3369 persone, altre 766 erano sparse in
diverse borgate; ad Anclades e Sarsan, a Saux e nei
quartieri di Lanne-Darré o del Buala e di Biscaglia,
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d’Arriouet e in altri ancora. Trovò anche la suddivisió
ne per sesso. A Lourdes c’erano 1793 uomini e 2162
donne, tra i primi 1151 gli scapoli. Costituivano la
componente femminile 1249 donne nubili e 703 sposa
te, 210 le vedove.
Anche a Lourdes, come in altre parti e non solo
della Francia, il tasso di mortalità infantile era molto
alto. Se nascevano bambini, molti di essi non avrebbe
ro superato il traguardo dei dieci anni.
L ’elenco gli forniva, con burocratica esattezza,
anche lo spaccato sociale della città. C’erano 995 elet
tori in età superiore ai 24 anni, la città aveva mandato a
Parigi un suo deputato, Dauzat-Dambarrère. Sindaco
era il notaio Anseime Abbadie-Lacadé; il suo amico,
come già lo definiva, Pierre Dozous divideva le cure di
quella gente con il collega Balencie, medico dell’ospi
zio. Due cerusici, un altro notaio, tre farmacisti, 38
funzionari nell’ufficio del procuratore imperiale Vital
Dutour e del suo sostituto, qualche altro notabile com
pletavano la lista degli abbienti.
Continuò a sfogliare le pagine del volume. In altri
elenchi comparivano centoventicinque commercianti,
centonovantatré artigiani, quattrocentottanta lavorato
ri manuali. Infine, cinquantacinque nominativi recava
no a fianco la qualifica di giornalieri, tra essi Francois
Soubirous veniva etichettato come ex mugnaio. Il
padre di Bernadette si trovava così inserito nella classe
più bassa e miserevole.
Solo altri tre nomi, in quella graduatoria negativa,
seguivano il suo. Sul piano della povertà lo battevano
due mendicanti e un uomo «senza professione». A 43
anni d’età Francois Soubirous poteva contare quindi
solo sulle sue braccia e a quell’unico capitale poteva
affidarsi per tirare avanti.
Chiamò Marcel e lo ringraziò. Gli chiese anche se
potesse dargli qualche indicazione sul genere di vita
che si conduceva a Lourdes.
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« Certo non è un villaggio esclusivamente contadi
no» rispose di buon grado l’usciere «e neppure una
città di borghesi. La stragrande maggioranza della gen
te si arrabatta come può. Vede monsieur, a Lourdes un
chilo di pane bianco costa 37 centesimi, per quello di
segale e crusca ce ne vogliono 24. Rispetto a due anni
addietro, però, le cose adesso vanno meglio. All’epoca
della carestia occorrevano 63 centesimi per un chilo di
pane bianco. Si trattava in effetti d’una vera leccornia
se si pensa che un muratore sgobba tutto il giorno per
due franchi e che un giornaliero, quando e se ha la
fortuna di trovare un lavoro, raggranella appena un
franco e 25 centesimi. »
Uscendo dal municipio evitò di proposito il Café
Franqais e si diresse all’albergo. Il pranzo stava andan
do in tavola e madame Lacrampe gli fece cenno d’af
frettarsi. Annuì e prese posto senza troppa voglia.
Madame Elfrida s’accorse del suo silenzio e chiese
se per caso gli occorresse qualcosa o se il menù, uno
stufato che dal profumo si presentava al contrario mol
to appetitoso, magari non fosse di suo gradimento.
«Monsieur desidera qualcos’altro?»
Lui accennò uno sbiadito ringraziamento. Le con
fessò il desiderio di poter parlare con la giovane Berna
dette.
«Monsieur, a quanto mi si dice» obiettò lei con
una punta di delusione « credo che la giovane Berna
dette non ami molto ripetere la sua storiella. Soprattut
to considerando che tante persone ve l’hanno già spin
ta. So però che il vostro intento di storico è più che
legittimo e penso allora che il mio pasticciere Delue, il
quale è fra l’altro parente dei Soubirous, potrebbe
intercedere. Manderò da lui Marie per chiedergli se
può farmi, in nome vostro, questo favore. Ma ora servi
tevi monsieur, dovete fare onore allo stufato della mia
brava cuoca.»
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Scambiò qualche battuta con gli altri commensali.
Marie gli preannuncio che ben presto avrebbe raggiun
to il laboratorio di Delue per fare la commissione di
madame e confermò inoltre d’aver consegnato al coc
chiere, che all’alba era partito con i due sposini alla
volta di Tarbes, la lettera per il professore Dufour.
S’era persino dimenticato della cosa, evidentemen
te quella strana situazione di Lourdes contribuiva a
distoglierlo dai suoi studi. Nel messaggio inviato al suo
illustre amico di Tarbes scriveva di non sapere quanto
tempo si sarebbe ancora fermato a Lourdes. Dava
qualche giustificazione alla propria curiosità collegan
do con eccessiva superficialità, e di ciò ora si doleva, la
storia delle apparizioni con le ricerche sugli eventi reli
giosi del sedicesimo secolo. Concludeva, peraltro, salu
tando l’amico al quale comunque preavvertiva un suo
ritorno a Tarbes il più presto possibile «non appena
esaurite», così terminava, «le mie modeste indagini sui
fatti di qui».
Le parole di Marie l’avevano d’altra parte riportato
nuovamente alla realtà dei suoi scopi. Salutò gli altri
ospiti dell’albergo e salì nella sua camera per riprende
re la lettura della recentissima Storia di Francia dell’An-
quetil.
Prese appunti su Pio VI, il cardinale di Lorena tru
cidato dagli alabardieri di Enrico III. Uno spunto
importante di riflessione gli veniva con l’analisi della
mediazione di papa Morosini che chiedeva al re di
« sostenere la religione » ma senza approvare o biasima
re la morte del duca di Guisa. Allineava altre noterelle
sulla duchessa d’Angouillème, sorella naturale di Enri
co III e vedova di Orazio Farnese. Eventi e intrighi di
quell’epoca remota si delineavano con nuove forme nel
quadro generale delle ricerche e dei suoi studi.
Bussarono alla porta. Era Marie che saliva per
avvertirlo che il pasticciere Delue era già arrivato e
attendeva di sotto per accompagnarlo alla casa dei
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Soubirous. Guardò l’orologio, da poco erano passate le
tre.
Delue si rivelò un ottimo intermediario.
«Sapete» gli confessò «io non so proprio cosa dire
di tutto quanto sta accadendo. Bernadette è però una
ragazza semplice e molto buona. »
Attraversarono place Marcadal, girando intorno al
municipio proseguirono per rue Municipale. All’incro
cio con rue des Petits Fossés Delue si fermò un attimo,
come se avesse un’esitazione.
«L a petite» commentò «parla e capisce solo il
patois, voglio dire monsieur il dialetto di queste zone, e
spero che per questo motivo vi accontenterete di me
come traduttore nella lingua colta che voi, persone di
rango, usate d’abitudine.»
Si fermarono davanti a una porta un po’ sconnessa
che dava sulla strada. Delue bussò e venne a aprire
l’uscio una donna miseramente vestita, in testa portava
il tipico cappuccio pirenaico. Era Louise Castérot, la
mamma di Bernadette, alla quale il suo accompagnato
re lo presentò.
In patois spiegò a May, così la chiamava, chi era
quello straniero e quali fossero gli scopi della sua visita.
La donna guardò il signore con preoccupata timidezza
e girò lo sguardo sull’unica e angusta stanza. Poi repli
cò sempre usando il dialetto qualcosa che gli parve
suonare come un’impacciata obiezione. Annuì infine
con la testa e l’invitò a entrare. Il luogo era veramente
piccolo.
A colpo d’occhio si vedeva che era appena più
grande d’una normale cella di prigione e del resto a
quello scopo aveva servito in passato. Dall’unica fine
stra entrava poca luce nel cachot, al di là d’una tavola si
intravedevano due giacigli. Da un buco scavato nel
muro era stato ricavato un camino e sul fuoco borbot
tava una pentola di coccio. Vicino alla finestra, nell’an
golo, una ragazzina li guardava con i suoi grandi occhi,
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accanto al letto c’era un sacco imbottito di foglie di
granturco sul quale se ne stava appollaiato un bim-
betto.
Bernadette, la riconobbe per istinto, era seduta su
una panca vicino al tavolo, intenta a rattoppare su un
pezzo di stoffa. Alzò gli occhi solo quando May Louise
aveva accettato di far entrare quei nuovi visitatori.
Salutò con un sorriso squillante suo cugino Delue e si
rivolse allo straniero con un gesto di cordialità, privo
però di qualsiasi affettazione.
Si sentì finalmente a suo agio, in lui era svanita la
sensazione spiacevole di essere un intruso. Delue pregò
Bernadette di spiegare « all’italiano » cosa avesse visto.
« So che ha già ripetuto molte altre volte il suo rac
conto », si scusò lui « e capisco che tutto questo viavai
di curiosi le crea anche fastidio. Non ho però scopi
inquisitori e vorrei soltanto ascoltare direttamente dal
la sua voce quanto è accaduto. »
«O h no, monsieur nessun disturbo», si schernì
Bernadette. « Sarò felice di raccontarvi quanto ho visto
e sentito alla grotta. »
La ragazza andò a sedersi un po’ più vicino a loro.
« Quel giorno » iniziò con garbo « mancava la legna
in casa. Così May aveva chiesto a mia sorella Toinette,
è quella che vedete vicino alla finestra, di andare a rac
coglierne qualche pezzo. Chiesi allora di poterla
accompagnare, insieme alla nostra amica Baloum. E
dopo aver ottenuto il permesso ci siamo dirette al
Gave. Era una giornata fredda, ma non più di tanto,
monsieur, per questa stagione. Arrivammo al fiume,
all’altezza di Massabielle e Toinette e Baloum lo attra
versarono. Oh, scusate monsieur...»
Bernadette s’alzò e s’avvicinò al letto. D bimbetto
aveva iniziato a piangere. Bernadette con molta premu
ra lo prese in braccio cullandolo. Poi guardò la madre
e dal cenno che lei le fece intuì che avrebbe dovuto
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affidare alle cure di May il fratellino. Tornò a sedersi
accanto a loro.
«Quando mia sorella e Baloum» riprese «furono
sull’altra riva del fiume io mi accorsi che stavano pian
gendo e gliene chiesi la ragione. Mi risposero che l’ac
qua era molto fredda. Così le pregai di aiutarmi a getta
re sassi nell’acqua per fare una specie di passerella, in
modo che anch’io potessi passare dall’altra parte senza
dovermi levare gli zoccoli. Invece, Toinette e Baloum
dissero che dovevo fare come loro. Scesi allora lungo la
riva, un po’ più avanti, per cercare un passaggio da
utilizzare senza dovermi per forza togliere gli zoccoli. »
Il signore italiano osservava il viso calmo e sereno
della ragazza, non vi scorgeva alcuna ombra di fatica o
d’alterazione. Il volto e i modi di quella giovane di
quattordici anni gli apparivano dei più tranquilli.
«N on mi fu possibile monsieur» Bernadette prose
guì «attraversare il fiume come in effetti volevo. Tanto
più che May m’aveva raccomandato di non prendere
assolutamente freddo. Ma io volevo passare sull’altra
riva e così sono ritornata nel punto davanti alla grotta.
Mi sono seduta sulla sponda del fiume per togliermi gli
zoccoli e sfilarmi le calze. E proprio mentre stavo
facendolo intesi un rumore, come un soffio improvviso
di vento. Mi sono voltata verso il prato e ho visto che
gli alberi alle mie spalle non si muovevano affatto. Mi
sono dunque chinata un’altra volta per togliermi gli
zoccoli ma ho inteso lo stesso rumore di prima. Ma
questa volta era come un colpo di vento. Allora ho
alzato gli occhi verso la grotta e ho visto una Signora
vestita di bianco. »
Chiese alla ragazza se per caso non avesse sentito
un tremore, come se un improvviso attacco di febbre
invadesse il suo corpo.
« No monsieur, mi sentivo bene. La Signora indos
sava un abito bianco e aveva una cintura azzurra sui
fianchi. C’era una rosa gialla su ognuno dei piedi e tra
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le mani un rosario che aveva lo stesso colore. Devo dire
che vedendola mi stropicciai gli occhi. Credevo d’in-
gannarmi. Ricordo di aver messo la mano nella tasca e
vi ho trovato la corona del rosario...»
Il bimbetto riprese a strillare. May fece cenno a
Delue, come se volesse chiedergli di interrompere quel
racconto. Anche lo straniero sarebbe stato a ciò dispo
nibile. Ma Bernadette continuò.
«Volevo farmi il segno della croce, però non riusci
vo a portare la mano alla fronte. Il braccio mi ricadeva.
Poi, però, fu proprio la Signora a farsi il segno della
croce. La mia mano tremava, provai anch’io a farlo e vi
riuscii. Ho fatto scorrere i grani della mia corona e la
Signora sgranava il suo rosario. Vedevo bene le sue
mani accarezzarlo, ma la Signora non muoveva le lab
bra. Quando ho finito di recitare il rosario la Signora è
improvvisamente scomparsa. »
Bernadette rivolse lo sguardo a sua sorella.
«Quando Toinette e Baloum ritornarono dal
boschetto chiesi se non avessero visto nulla. Mi dissero
che non avevano visto né udito nulla. Gli dissi anche
che si erano burlate di me. M’avevano avvertito che
l’acqua del fiume era gelida e io l’avevo invece trovata
tiepida quando vi avevo immerso la punta del piede. »
Delue interruppe il racconto e scambiò qualche
parola con la madre di Bernadette.
«Monsieur, Louise si scusa per non avere qualcosa
da offrirvi ma se desiderate un bicchiere di vino posso
fare un salto qui vicino e prenderne una bottiglia. »
Lo pregò di non importunarsi, disse anzi che vole
va ringraziare Louise Castérot per la cortesia con cui
era stato accolto. Preferiva comunque ascoltare ancora
Bernadette sempreché ciò non l’avesse affaticata.
«N o monsieur» intervenne la ragazza «posso
benissimo continuare. Allora ho detto a mia sorella e
alla nostra amica che avevo visto una Signora vestita di
bianco ma non sapevo chi mai potesse essere. A Toi-
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nette e a Baloum raccomandai anche di non farne cen
no con nessuno. Cosa che invece mia sorella non ha
fatto. Anzi, hanno replicato che non avrei dovuto più
ritornare a Massabielle. A quel punto ho detto di no e
che non potevo promettere una cosa del genere. Que
sto, monsieur, è stato venerdì 11. La domenica seguen
te sono ritornata alla grotta perché sentivo dentro di
me una forza prepotente che mi spingeva a andarvi di
nuovo. »
« E cosa avrebbe impedito di tornarvi? » chiese lo
straniero.
«Toinette aveva raccontato ogni cosa alla mamma»
rispose Bernadette « e May m’aveva proibito di ripre
sentarmi alla grotta. Io però, dopo la messa cantata di
domenica, sono andata dalla mamma per chiederle il
permesso di andare a Massabielle. May non voleva, dis
se che aveva paura ch’io cadessi nell’acqua. Temeva
anche che non sarei rientrata in tempo per il vespro. Le
promisi che avrei fatto molta attenzione, non sarei cer
to caduta nell’acqua e sarei rientrata in tempo. Così
May finalmente m’ha dato il permesso di andare alla
grotta. »
«Prima di andare a Massabielle» aggiunse Louise
«Bernadette è andata in chiesa e ha riempito una botti
glia con l’acqua benedetta. »
« L ’avrei gettata sulla Signora» riprese la ragazza
« se mai, una volta giunta alla grotta, fosse ricomparsa.
E in effetti monsieur l’ho rivista e le ho buttato addos
so l’acqua benedetta. Però la Signora sorrideva e china
va la testa. Mi sono inginocchiata per recitare il rosario
e solo quando ho finito di pregare la Signora è scom
parsa. Giovedì scorso sono ritornata a Massabielle in
compagnia di madame Milhet. Prima di avviarci alla
grotta siamo andate in chiesa a assistere alla prima mes
sa. Quindi, per arrivare a Massabielle siamo scese al
ponte vecchio e da lì abbiamo preso il sentiero del
bosco. Madame Milhet m’aveva dato un foglio di carta,
39
una penna e il calamaio pregandomi di chiedere alla
Signora di scrivere il suo nome. Così sapremo chi è, mi
disse madame Milhet. »
Bernadette fece una pausa e s’alzò per bere un bic
chiere di acqua. Si vedeva'che il racconto non l’affati
cava. La ragazza riviveva con gioia quelle immagini di
cui era stata protagonista alla grotta di Massabielle.
Anche Toinette, quasi accucciata nell’angolo della fine
stra da cui non s’era mai mossa, seguiva con trasporto
le parole della sorella. Bernadette tornò a sedersi e con
un sorriso riprese il racconto.
«Finalmente, quella mattina la Signora mi parlò.
Dopo aver recitato insieme il rosario mi sono avvicina
ta alla soglia della grotta e l’ho supplicata di scrivere il
suo nome. Monsieur, io so di averglielo chiesto a voce
alta eppure madame Milhet sostiene di non aver invece
udito niente. E un fatto strano, questo. La Signora mi
ha risposto che non era assolutamente necessario scri
vere il suo nome. M’ha chiesto invece di avere la genti
lezza, queste sono le sue parole precise, di andare alla
grotta per quindici giorni di seguito. Monsieur, l’ho
promesso alla Signora.»
Esattezza e ricordi essenziali punteggiavano dun
que il racconto della ragazza. Nelle parole di Bernadet
te non c’era nessuna infioritura, nessun particolare
superfluo alterava le linee di semplicità che dimostrava
anche nell’aspetto e soprattutto nei modi. Con asciutto
pudore aveva concluso il suo racconto per quello stra
niero che s’era intrufolato, come avrebbe potuto pen
sare e a buon diritto, nella sua casa. Con naturalezza e
disinvolta freschezza aveva quindi ripreso il suo lavoro
di cucito.
May Louise chiese alla figlia Toinette di andare a
prendere dell’acqua al pozzo vicino. Bernadette ac
compagnò la sorella.
«Madame Soubirous» chiese lo straniero «avete
mai osservato, come mamma, nel comportamento di
vostra figlia qualche stranezza?»
40
«N o monsieur. Sin dall’infanzia» rispose senza
alcuna sorpresa «Bernadette ha dimostrato il suo
carattere semplice. E una fanciulla ubbidiente. La peti
te, questo è vero, ha una tendenza molto forte a essere
pia. Certo, non gode purtroppo di buona salute tant’è
vero che dall’età di sei anni ha lo stomaco e la milza
deboli. L ’attacco di colera, una autentica peste che a
Lourdes ha fatto una vera ecatombe, l’ha resa ancora
più fragile. Posso, insomma, dirle che la sua esistenza
non è mai stata priva di sofferenze. Dall’ 11 febbraio di
quest’anno poi è diventata ancora più debole. Lo sto
maco a intervalli le si gonfia e durante questi periodi la
tosse aumenta in maniera penosa. Ma appena sta
meglio, anche se si tratta solo di brevi intervalli, ram
menda e bada ai suoi fratelli. Sì monsieur, posso dirvi e
con tutta sincerità che Bernadette è una brava e ubbi
diente figlia per me e mio marito Francois. »
Lasciarono l’umile casa dei Soubirous. Camminan
do verso place du Porche lo straniero osservava di sbie
co la faccia silenziosa di Deluc. Cercava sul suo volto
qualcosa che gli potesse offrire l’opportunità d’una
nuova domanda. Delue, quasi avesse avvertito la cosa,
si voltò verso di lui.
« L ’altra domenica, il 14, Nicolau che ha il mulino a
Savy, sul canale, ha visto Bernadette inginocchiata
davanti alla grotta. Monsieur, Nicolau m’ha riferito
d’essere rimasto lui stesso colpito per il pallore e i sor
risi che a un tempo percorrevano il volto della ragazza.
S’è avvicinato a Bernadette. Le ha tappato gli'occhi
con le mani cercando anche di farle abbassare il capo.
Però Nicolau dice che tutto è stato inutile. Bernadette
rialzava la testa e i suoi occhi si riaprivano ogni volta
sorridenti, tanto che il mio amico l’ha dovuta trascina
re a forza al mulino di Savy. »
Erano ormai arrivati all’incrocio con il Café Fran
c is . Invitò il suo cortesissimo accompagnatore a
entrarvi con lui per bere un bicchiere di vino.
41
«V i ringrazio monsieur» fu la risposta di Delue
«m a devo correre in laboratorio. E poi, questo è un
luogo non adatto a un tipo come me. »
Al Café c’era parecchia gente. Molte persone attor
niavano un tipo ben vestito seduto al solito tavolo d’an
golo che solitamente ospitava Pierre Dozous, questa
volta assente, e gli altri notabili. L ’uomo affermava
d’aver accompagnato quella mattina un gruppo di gio
vani signorine di buona famiglia che volevano visitare
la grotta.
«Cari amici, l’anno scorso a Bordeaux ho avuto
l’onore di ammirare una recita dell’immortale Rachel,
un’attrice magnifica eppure, devo confessacelo, infini
tamente inferiore a Bernadette. Questa ragazza, ve lo
dice uno che se n’intende, ha davvero davanti a sé un
essere soprannaturale. »
Le parole di quel nuovo venuto accelerarono in lui
la decisione. Sarebbe andato anche lui alla grotta di
Massabielle. Peraltro, una fastidiosa raucedine e qual
che linea di febbre lo costrinsero a letto per tutto il
giorno successivo. Madame Elfrida andò più volte a
fargli visita interessandosi delle sue condizioni. Voleva
a ogni costo avvertire Dozous.
« Non è proprio il caso » obiettò lui « poiché si trat
ta di piccoli malanni di cui soffro ogni tanto. Basta una
giornata di riposo, soprattutto al caldo, perch’io mi
rimetta completamente in sesto. Anzi, approfitterò di
questa pausa momentanea per proseguire negli studi
che da qualche giorno ho troppo trascurato. »
«V i preparerò io stessa, allora, del brodo e una
purea di patate » sentenziò madame Elfrida « e mande
rò su la cameriera con uno sciroppo del farmacista
Pailhasson. Vi garantisco monsieur che è un liquido
capace di fare miracoli e comunque Marie sarà a vostra
completa disposizione. »
Si avviò all’uscio, ma appena arrivata nel vano della
porta si girò ancora una volta. Voleva riferirgli l’ultima
novità della giornata.
42
« A . proposito, questa mattina la nostra giovane
Bernadette è tornata alla grotta. Nel corteo che la
seguiva c’erano almeno trecento persone e la zia Lucile
che l’accompagnava ha riferito a monsieur Estrade, eh
sì anche lui era della comitiva, che Bernadette ha bacia
to più volte la terra. Lucile ha detto che la petite ha
ripetuto più volte la parola penitenza. Più tardi mon
sieur Estrade verrà in albergo, dobbiamo infatti fissare
l’appuntamento per domani mattina. Dovrebbe accom
pagnarmi, anche lui, alla grotta. Se non vi disturba lo
pregherò di salire da voi, potrete così chiedergli altre
notizie. »
Si assopì con il libro dell’Anquetil tra le mani. Ver
so le 11 la fantesca gli portò una tazza di brodo e un
piatto di purea. Marie lasciò sul tavolino accanto al let
to anche una bottiglietta di vetro. Conteneva lo scirop
po di Pailhasson e lo avvertì che doveva prenderne due
cucchiai ogni quattr’ore. S’addormentò invece senza
assaggiare nulla.
Nel pomeriggio madame Elfrida passò ancora una
volta nella sua camera per verificare quelli che, a suo
avviso, avrebbero dovuto essere i miglioramenti. Ma
dame s’accorse che, al contrario, egli non aveva seguito
i suoi consigli, ordini più che altro a dire il vero, e lo
sgridò severamente.
«Monsieur, tutto questo non è affatto simpatico.
Non avete toccato il brodo, la purea è ancora tutta nel
piatto. Spero che almeno lo sciroppo v’abbia dato
qualche sollievo. Manderò su Marie con dell’altro bro
do caldo e tra qualche minuto salirà da voi anche mon
sieur Estrade.»
« Madame, vi ringrazio » si schermì lui « per le cure
premurose che mi dedicate ma non occorre che vi
creiate altri fastidi. Piuttosto, vi sarò riconoscente se
vorrete mandarmi una bottiglia di vino e del migliore,
affinché possa offrire qualcosa di piacevole al vostro
amico Estrade. »
43
Quest’ultimo s’informò in maniera quasi pedante
del malessere che lo affliggeva, aggiunse che con ogni
probabilità gli era insorto a causa del clima freddo e
secco della montagna. C ’era, infatti, un annuncio di
neve e gli augurava una pronta guarigione.
Pregò Estrade di versarsi un bicchiere e chiese un
po’ di vino anche per sé.
« E allora monsieur, so che anche voi questa matti
na siete ritornato alla grotta. »
Jean-Baptiste Estrade lo guardò con una certa per
plessità.
« Sì monsieur, sono ritornato a Massabielle. Ma voi,
se non vi secca, potete dirmi come fate a sapere che ero
già stato alla grotta? »
Gli spiegò che aveva orecchiato, la sera prima al
Café Franqais, il suo paragone con l’attrice Rachel.
« Ma bene » ribattè Estrade « eccovene però il moti
vo. Gli amici del Café, e devo aggiungere soprattutto il
procuratore Dutor, mi motteggiavano. Così questa
mattina sono ritornato a Massabielle dove mi sono tro
vato, per caso, proprio accanto a Bernadette. Posso
dirvi monsieur che la ragazza s’è inginocchiata con
naturalezza. Non c’era in lei nessun turbamento, la
ragazza era priva di qualsiasi difficoltà. Ha preso il
rosario dalla tasca, s’è fatta il segno della croce e ha
iniziato le sue preghiere. E quasi contemporaneamente
l’ho vista mentre fissava lo sguardo, ed era uno sguardo
ansioso, verso l’anfratto nella roccia. Guardava verso il
punto in cui i cespugli s’infittiscono. »
Estrade si alzò per prendere dell’altro vino.
«Posso dirvi monsieur» continuò «che ho assistito
a una scena meravigliosa. Esattamente non so dirvi
cosa capitasse ma evidentemente la Signora di cui parla
Bernadette doveva essere proprio là. La ragazza in
effetti s’era completamente trasformata. Come dire?
Era Bernadette ma senza essere Bernadette. Lo so,
rischio di essere frainteso o bighellonato. Ma lo confes
so, a me è sembrata un angelo del cielo. Né trovo le
parole adatte per descrivervi lo stato d’estasi che l’av
volgeva. »
Jean-Baptiste Estrade ebbe come un attimo di esi
tazione. Il suo sguardo scivolava sul muro della stan
za e fissò un punto indefinito del letto. Poi riprese a
parlare.
« Sì monsieur, ho visto che gli occhi di Bernadette
erano spalancati e pieni d’amore. Pareva che, quasi,
temesse d’abbassare le palpebre. Dava l’impressione
che avesse paura, come se l’immagine che lei, e lei sola,
indubbiamente vedeva potesse volatilizzarsi da un
momento all’altro. Ma quel sorriso... Che sorriso mon
sieur. Mi sforzo di non farmi prendere la mano dall’i
perbole. Eppure, credetemi. Bisogna ricorrere al cielo
per spiegare forse il sorriso che invadeva Bernadette.
Infine, consentitemi un altro paragone. E vi chiedo: chi
di noi non ha osservato il sorriso innocente di un bam
bino mentre sogna? Ebbene, aggiungiamoci allora una
indefinibile espressione di beatitudine e solo così pos
siamo arrivare assai vicino al sorriso luminoso che ho
osservato di persona sul viso di quella giovane in esta
si. »
Lo straniero si raddrizzò sui cuscini chiedendogli la
cortesia di prendere il suo tabarro. Avvertiva sulle spal
le una sensazione di freddo e voleva ripararsi da even
tuali, nuove e fastidiose complicazioni.
« E non è tutto», ricominciò Estrade dopo averlo
aiutato ad aggiustarsi attorno alla schiena il mantello.
«M i sono accorto subito che un commovente collo
quio, non saprei dire altrimenti, s’era stabilito fra la
ragazza e la visione che solo lei percepiva. La ragazza
ascoltava, indubbiamente, parole che solo a lei erano
destinate e lo faceva con profondo rispetto. Bernadette
annuiva, talvolta, con un cenno del capo. Talvolta, un
segno di fuggitiva melanconia le attraversava lo sguar
do. Ma più spesso la vedevo trascinata da una sensazio
45
ne di grande gioia. E monsieur dovevate vederla in
quei momenti. Dio sa il giubilo che doveva regnare nel
l’anima della ragazza. »
Chiese a Estrade se poteva passargli la bottiglietta
di colore scuro con lo sciroppo del farmacista Pailhas-
son. La tosse cresceva e finalmente s’era risolto a segui
re gli ammonimenti di madame Lacrampe. Il liquido
aveva un sapore forte, molto alcolico anche se stempe
rato attraverso la soluzione ricca di zuccheri.
«Poi monsieur» continuò Jean-Baptiste Estrade
«improvvisamente c’è stata una specie di lacerante
contraddizione. Vista da lontano, Bernadette sembrava
al culmine dell’estasi eppure scoppiava quasi nel riso.
Questo almeno è quanto m’hanno riferito altre perso
ne. Ma io mi trovavo, come vi ho detto, quasi al suo
fianco e ho potuto osservare che una nuova, enorme
felicità le bloccava quasi il respiro. Ho drizzato, mon
sieur, le orecchie e posso garantirvi che a Massabielle
questa mattina sono accadute cose straordinarie. »
Chiese a Estrade se la particolare atmosfera, persi
no l’ora decisamente mattutina o altre insondabili sen
sazioni avessero mai potuto contribuire a costruire un
clima di allucinazione collettiva. Naturalmente era sol
tanto una ipotesi...
«O h no monsieur, posso assicurarvi che non s’è
trattato neppure lontanamente d’una cosa del genere »
ribattè Estrade «tanto è vero che Bernadette è uscita
senza scosse, e lo sottolineo, dalla sua visione. Le è
scomparsa ogni traccia d’ispirazione dal volto, il suo
musetto è ridiventato in breve quello di sempre. Del
resto la trasformazione è stata così dolce che non posso
neppure dire quanto tutto ciò s’è verificato esattamen
te. Ma c’è dell’altro. Pur essendo circondata da una
gran folla, Bernadette non ha mai dato l’impressione
d’essere o sentirsi assolutamente protagonista d’un tale
commovente spettacolo. »
Il vino, le buone cure amorevoli di madame Lacrampe,
il riposo lo avevano rimesso in forze. Verso l’ora di
cena madame ritornò da lui scortando Marie che su un
vassoio portava del brodo caldo e frutta. Chiese se
potevano avvertire Jean-Baptiste Estrade.
«Avvertitelo, per favore, che domani andrò con lui
a Massabielle.»
«Monsieur, forse è un po’ troppo presto» ammonì
madame Elfrida «e poi questa storia, ormai dovreste
saperlo, pare debba durare a lungo. Sarebbe quindi
meglio rimandare. Ma, infine, se proprio avete deciso
farò l’ambasciata. Anzi, chiederò a monsieur Estrade
d’essere anch’io della combriccola. Saremo un bel ter
zetto, non vi pare. »
« Ma voi madame » obiettò lui « avete già promesso
a Antoine Clarens...»
«Oh, insomma. Per l’invito di monsieur Clarens...
Suvvia, le occasioni vanno prese al volo. »
L ’indomani uscirono dall’albergo all’alba. Jean-
Baptiste Estrade li attendeva già da tempo quando
madame Elfrida e lo studioso italiano s’affacciarono
alle sei sulla strada. L ’aria era gelida, nella notte una
spruzzata di neve aveva appena infarinato i tetti. Ma il
villaggio era attivo, sin dalle due dopo mezzanotte mol
ta gente s’era diretta a Massabielle.
« E per accaparrarsi i posti migliori» commentò
Estrade « quelli di prima fila, dai quali si può osservare
meglio Bernadette.»
47
Madame si lamentava per il freddo. Donne e uomi
ni, bambini e fanciulle erano intabarrati con scialli e
altri panni pesanti.
« Non potrò mai » sentenziò madame « comprende
re tanto ardore e soprattutto con questo tempaccio.
Eppure eccomi qua, anch’io della brigata. »
Camminavano in silenzio, l’italiano offriva il brac
cio a madame Elfrida come punto d’appoggio. Quan
do arrivarono, a Massabielle c’era già una gran folla.
« Sono più di ieri, almeno 350 persone», li informò
Estrade che nel frattempo aveva riconosciuto un paio
di clienti del Café Francois.
« Evidentemente » aggiunse « sono venuti alla grot
ta per verificare se il confronto con la grande Rachel,
morta un mese fa, è valido e se l’immagine di Bernadet
te regge il paragone. »
Guardò l’orologio, erano le sei e quaranta. Alle set
te, puntualissima arrivò anche la giovane Soubirous.
« E in compagnia di Eléonore Pérard, una sua vici
na di casa» sussurrò madame Lacrampe.
Bernadette reggeva con la mano sinistra un cero e
si dirigeva con calma verso il luogo dove avvenivano di
solito le apparizioni. La folla fece ala e la ragazza s’ingi
nocchiò davanti alla grotta. Nella destra teneva il rosa
rio e incominciò a pregare. Dopo qualche minuto si
accorsero che era caduta in uno stato di estasi.
Aveva affidato il cero all’amica Eléonore, s’era tolta
il cappuccio bianco. In ginocchio stava superando il
declivio che portava all’interno della grotta e ogni tan
to si chinava a baciare la terra. La gente, sempre nel
più assoluto silenzio, si scostava per farla passare e
osservava con estrema attenzione ogni sua mossa.
Quanto a lui, alzandosi sulla punta dei piedi potè vede
re la fenditura verticale nella roccia al cui culmine
doveva trovarsi la nicchia dalla quale probabilmente la
visione si rivelava a Bernadette. Non vi distingueva
48
peraltro alcunché di strano, non c’era nulla che potesse
rivelarglisi come fatto nuovo.
«Muove le labbra, sta parlando con la Signora.»
L ’annuncio trasferito di bocca in bocca, da quelli
ch’erano più vicini alla scena fino alle file più lontane
di spettatori, gli causò una strana tensione interiore.
Guardò le persone che gli stavano intorno e su quei
volti scoprì identica tensione. Si voltò verso madame
Elfrida, sul suo volto c’era solo un acutissimo desiderio
di curiosare. Madame letteralmente scavava con gli
occhi la figura di Bernadette, perlustrava con lo sguar
do la zona che la circondava. La sua escursione visiva
era comunque limitata a poche e ristrette prospettive.
Bernadette s’era voltata, si alzò avviandosi al fiume.
Poi, giunta alla sponda del Gave improvvisamente
s’era arrestata, come se qualche imprevisto la bloccas
se. Fissò lo sguardo, completamente statico, all’interno
della grotta e si diresse verso sinistra, nel punto in cui
la fenditura raggiungeva la parete rocciosa.
«H a un’esitazione», annotò una donna tra la folla.
«M a no, sta cercando qualcosa» aggiunse uno spi
lungone che stava sulla loro destra « ed ecco che s’ingi
nocchia nuovamente. »
Bernadette incominciò a scavare con le mani nella
terra portando alla bocca qualcosa che le impiastriccia
va la faccia e quel gesto venne ripetuto più volte. Quin
di strappò le foglie dalle piante selvatiche che erano
nella grotta e le masticò.
« E pazza. »
Il mormorio di alcuni sibilò fino a loro questo giu
dizio. Guardò incerto monsieur Estrade.
«Sono davvero desolato», questi ammise.
«Jean-Baptiste Estrade, l’avete paragonata alla
grande Rachel. Ebbene, posso dirvi» sbottò madame
Lacrampe «che anziché condurci a vedere una sua
emula ci avete invece costretto a assistere alla recita
d ’una piccola merdosetta. »
49
Madame s’awiò spedita verso il borgo. Estrade,
sbigottito e imbarazzato le andò dietro in silenzio,
dimenticandosi del tutto delPospite.
Quanto a lui, era molto perplesso. Certamente ave
va potuto osservare ben poco di quello che, altrimenti
e nel resoconto fattogli da altre persone che vi avevano
invece assistito nei giorni precedenti, veniva dipinto
come una sorta di estasi soprannaturale. Lo scettici
smo, che del resto non l’aveva mai abbandonato, riaf
fiorava prepotentemente. Udì Eléonore Pérard chiede
re a Bernadette cosa fosse avvenuto.
«L a Signora mi ha chiesto di andare alla fontana
per bere e lavarmi la faccia » le rispose Bernadette « ma
io non ho visto acqua nella grotta e così mi sono avviata
al fiume. Però la Signora mi ha fatto segno con le dita
che dovevo invece recarmi sotto la roccia. Là ho trova
to soltanto una pozzanghera e c’era pochissima acqua,
tanta da poterne appena raccogliere nel cavo delle
mani. Ho cercato per tre volte di berla, ma era troppo
sporca e non vi sono riuscita. Solo alla quarta volta ho
potuto berla. »
«M a tu sai» insisteva Eléonore «perché mai quella
Signora ti ha chiesto di farlo? »
« Non so per quale motivo » spiegò Bernadette « ma
la Signora m’ha chiesto di farlo per i peccatori. »
S’era ormai fatto giorno e la folla sciamava verso
Lourdes. Lo straniero si trattenne ancora a Massabiel
le. Per la verità non si sentiva oppresso da alcun dub
bio, cercava solo di riordinare i frammenti di quanto
aveva visto. Accompagnato da quei pensieri rientrò
con calma in città e si fermò al Café Francis.
Jacomet e Dutour, Estrade e altre persone che non
conosceva stavano discutendo animatamente sulla pre
sunta follia di Bernadette. Il commissario ribadiva che
lui aveva sempre optato per la mistificazione. Il dottor
Dozous se ne stava appartato, all’apparenza intento
solo a gustare un bicchiere di vino. Lo stesso Clarens
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che s’era aggregato alla compagnia taceva. Altri clienti,
a tavoli diversi, commentavano con amara ironia quan-
t’era avvenuto quella mattina a Massabielle.
Salutò con un cenno della mano Dozous e Clarens,
uscì dal Café e si diresse all’albergo.
Nell’atrio dell’Hotel des Pyrénées incontrò il padre
di madame Elfrida e gli chiese se poteva mettergli a
disposizione una carrozza per far ritorno a Tarbes.
Contava di riprendere i suoi studi, lontano da quel bai
lamme che pur sentiva percorrere ancora l’intera popo
lazione di Lourdes. Avvertiva, nel fondo, che una sen
sazione di disagio gli s’era, peraltro, ormai insinuata
nella mente. Infine, cercava soprattutto di convincere
se stesso che le vicende di quella grotta appartenevano
all’anima popolare. Non erano, né potevano comun
que essere tali da indurre il suo spirito scientifico a
farne oggetto impellente di studio.
Decise dunque che il rientro a Tarbes poteva egre
giamente contribuire all’occasione. Salutò madame
Elfrida che trovò, così gli disse, in collera per essersi
fidata dei « rilievi di monsieur Estrade e per l’impreve
dibile sfrontatezza di quella giovane m...»
«Monsieur, che fortuna la vostra» aggiunse.
« Potete uscire da questo serpaio d’isterismi e godere la
più tranquilla e civile atmosfera di Tarbes. »
Suo padre gli aveva prenotato la carrozza condotta
da Pierre, il giovane factotum dell’Hotel des Pyrénées.
Il viaggio alla volta di Tarbes gli parve così molto più
agevole di quello del suo arrivo a Lourdes.
Quella sera stessa andò a far visita al professore
Dufour e gli riferì per sommi capi quel che avveniva a
Lourdes.
« L ’escursione nella città delle visioni» ironizzò
« m’è costata anche una fastidiosa raucedine. »
Il professore lo ascoltò amabilmente in silenzio.
Ebbe però la sensazione che il suo interlocutore notas
si
se in lui qualcosa di diverso, come una minore sicurez
za e persino una sorta d’infastidita nevrosi.
«Consultare vecchie carte, sicure e documentate»
l’interruppe con garbo « ritengo sia per voi un rifugio
utile da simili abbagli, come mi pare voi definiate la
questione di Lourdes, se mi è concesso dirlo, vedrete
che sarà una efficace tisana. D ’altra parte, ho potuto
rintracciare l’antico cartiglio che contiene la bozza del
la relazione che il Morosini inoltrò a Pio VI. Potrete
consultarlo domattina presso lo studio d’un notaio mio
amico. »
Dedicò l’intera mattina di quel venerdì 26 febbraio
1858 a prendere note sul documento, veramente inte
ressante, che il notaio gli aveva dato da consultare.
Rientrò quindi in albergo per consultare altre fonti e gli
parve che la Storia di Francia dell’Anquetil fosse trop
po affrettata sugli avvenimenti che analizzava e che lui
voleva ricostruire. Sapeva, comunque, che nell’archivio
della prefettura esistevano documenti al riguardo e
dicise di far visita al prefetto Massy. Gli avrebbe chie
sto l’autorizzazione a sfogliare le carte ammucchiate in
qualche polveroso scantinato.
Massy l’accolse dopo una breve anticamera. Lo tro
vò disponibile alla sua richiesta. Il prefetto lo rimpro
verò per non essersi più fatto vivo da parecchi giorni e,
soprattutto, per aver disertato il ricevimento che lunedì
sera madame Massy aveva offerto nella loro residenza.
Spiegò a Massy che momentanee curiosità l’aveva
no sollecitato a recarsi a Lourdes e che, peraltro, la
spinta in quella direzione l’aveva proprio ricevuta
durante una conversazione avuta con lui.
«G ià, Lourdes. Quali guai» sospirò Massy «stanno
venendo da questa città. Dai rappresentanti locali dello
stato ricevo rapporti preoccupanti. Mi si dice che
davanti a una grotta situata vicino al Gave ogni giorno
aumenta la folla. Attendo, del resto, da un momento
all’altro un rapporto del direttore della scuola pubbli
52
ca, Antoine Clarens, e mi vedrò presto costretto a far
intervenire la forza pubblica. »
Il prefetto si alzò per andare a prendere una scatola
di sigari e ne offrì uno al suo visitatore.
«M a ditemi, voi siete stato a Lourdes e potreste
segnalarmi qualche fatto preciso, fornirmi un giudizio
che potrebbe risultare utilissimo proprio perché pro
viene da uno studioso sempre attento a ciò che è real
mente avvenuto. Dunque, senza voli pindarici o colori
ture suggestive.»
Espose a Massy succintamente i fatti, pochi a suo
avviso, che aveva lui stesso potuto verificare.
« Conosco monsieur Clarens. E una persona molto
amabile e credo che il suo rapporto, meglio delle paro
le, sarà utile ai vostri uffici di uomo dell’Impero. Tanto
più che, estraneo e straniero, malgrado la cordialità che
quella buona gente m’ha dimostrato posso errare nel
giudizio. Voglio dire che, magari, qualcosa per me insi
gnificante e per voi forse importante o almeno signifi
cativo può sfuggire nella mia relazione. »
Il prefetto Massy ribattè che l’occhio di un estraneo
può, al contrario, sovente veder meglio di quello di chi
è direttamente interessato alle cose del posto dove vive.
« Ho parlato con la giovane Bernadette Soubirous »
cominciò allora « e francamente posso confermarvi che
non ho notato in lei alcun sintomo d’esaltazione. M’è
parsa una ragazza timida e semplice. A mio avviso, la
ragazza è un’anima candida cui certo non difetta l’ar
guzia giovanile. Debbo confessarvi che non ho notato
in lei alcuna malizia né qualche disegno malevolo che
ne alterasse quello che, a me, s’è rivelato, consentite
melo, un genuino vento di fede. »
Massy lo ascoltava con estrema attenzione, soppe
sava ogni sua parola. Il prefetto era molto preoccupa
to, come dimostrava il fatto che aggrottasse spesso le
sopracciglia.
53
«V i ringrazio, mio buon amico. Quanto avete detto
mi convince d’una cosa. In un modo o nell’altro dovrò
prendere dei provvedimenti, lo farò per il bene di quel
la gente e per la difesa dello stato. Non voglio certo
correre il rischio che allucinazioni o, persino, pratiche
di presunta magia s’incardino nelle terre che sono sotto
la mia responsabilità. »
Chiamò il segretario e lo avvertì che nelle prime ore
del pomeriggio il suo ospite sarebbe ritornato. Doveva
pertanto ritenersi a sua completa disposizione per ogni
eventuale esigenza fosse stata necessaria nel consultare
gli archivi conservati nei sotterranei.
«Beninteso monsieur» gli disse congedandosi
« questa sera mi farete l’onore d’essere ospite di mada
me Massy e mio a cena. Mia moglie avrà così modo di
rimproverarvi personalmente per averci privato della
vostra compagnia per così lungo tempo. »
S’attardò per una passeggiata nel corso principale.
Un pallido sole aveva rotto la nuvolaglia del mattino;
indugiò al tavolo dell’Excelsior, il caffè sulla grande
piazza di Tarbes, nella lettura dell’« Univers » che por
tava le ultime novità da Parigi. Rientrò in albergo all’o
ra di pranzo, con l’intenzione di concedersi anche un
breve riposo.
Gli era stato riservato il solito tavolo al centro del
salone. Il fatto di non avere altri commensali con cui
doverlo dividere eliminava il pericolo, se non il peso, di
dover fare conversazione. Ciò che purtroppo avveniva
all’Hotel des Pyrénées, dove madame Lacrampe di
norma teneva banco e non tollerava pause troppo lun
ghe nel chiacchiericcio che lei stessa sollecitava o rin
novava.
Era rilassato, si sentiva nella condizione autentica
cui accenna Cicerone e che è quella dell’uomo libero
che talvolta sa stare senza far niente. Gustò l’eccellente
coulis di pomodori e gamberi di fiume, diede ampia
soddisfazione alla fruite accompagnata da un finissimo
54
burro di montagna, il vino scioglieva in lui voluttuosi
profumi e lo riscaldava. Poteva, alla bisogna, ben dirsi
sazio di cibo e di curiosità.
L ’abbondanza del pranzo e la calma che gli s’era
intrufolata addosso consigliarono una sosta prolungata
al tavolo. Solo quando tutti gli altri clienti avevano già
disertato, e da un pezzo, la sala si decise a passare nel
fumoir. Dalla scatola appoggiata sul caminetto selezio
nò con cura un sigaro scuro spagnolo e si allungò su
una poltrona, vicino al fuoco.
Monsieur Anseime, proprietario dell’albergo, si
avvicinò per dirgli qualcosa.
«Perdonate. So che in questi giorni siete stato a
Lourdes, penso per l’affare di quella ragazza che affer
ma di vedere una Signora. Ora, di là c’è un vetturino
che è appena arrivato da Lourdes. Porta novità strane e
può darsi che v’interessino. Così mi sono permesso di
disturbarvi. »
Qualcosa, dunque, doveva nuovamente farlo uscire
dalla tranquillità che da poco tempo aveva raggiunto.
Ancora Lourdes. Quel nome riaffiorava e gli si inseriva
nella mente.
«Sarei curioso di sapere di cosa si tratta» disse a
monsieur Anseime.
Era, insomma, la curiosità che lo spingeva a ripren
der il filo d’una storia che sembrava appena sepolta?
Gabriel, il cocchiere, stava parlando svelto con due
inservienti e non fu affatto sorpreso che un gentiluo
mo, perdipiù straniero, volesse dedicare qualche atten
zione a ciò su cui lui stesso aveva dato resoconto a
monsieur Anseime e a quei due amici dell’albergo di
Tarbes.
«Il nostro amico» avvertì Anseime «ha lasciato ieri
Lourdes. Riferisci a monsieur quel che è successo in
serata. »
«Ebbene, ieri mattina la ragazza» iniziò Gabriel
« si dice che sia andata a Massabielle per stropicciarsi la
faccia con del fango...»
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«So già tutto questo» lo interruppe lui «perché
c’ero anch’io tra la folla davanti alla grotta. »
«M a proprio qui sta il bello monsieur» riprese il
cocchiere. « La gente, in effetti, hà pensato che Berna
dette Soubirous fosse diventata all’improvviso pazza e
così se n’è tornata al villaggio con parecchia delusione.
Nel pomeriggio, invece, alcuni sono ritornati alla grot
ta e con loro c’era anche una giovane, mi pare si chiami
Eléonore, che aveva accompagnato la petite ieri matti
na. Dunque, questa Eléonore, ha piantato un bastone
nella pozzanghera dalla quale Bernadette ha preso il
fango con cui s’è poi unta la faccia. Eléonore s’è accor
ta allora che c’era veramente dell’acqua. Ha affermato
che scorreva, prima torbida ha sostenuto e quindi è
diventata limpida. Lei stessa e gli altri che erano andati
alla grotta hanno assaggiato l’acqua, l’hanno bevuta
addirittura. Ne hanno persino riempito due bottiglie
che hanno portato al villaggio. »
Gabriel accettò il boccale di birra che una camerie
ra aveva portato e ne bevve grandi sorsi.
«Pare anche», aggiunse «che di quell’acqua ne
abbia bevuta la figlia dell’esattore di Lourdes. Bisogna
sapere, a questo punto, che da qualche tempo la ragaz
za era afflitta da un malanno a un occhio e ciò la
costringeva a portare sempre una benda. Ebbene,
monsieur, dopo poche ore, in serata, il malanno le è
scomparso. Questo, almeno, è quanto sostiene Jacquet-
te Pène, la sorella del vicario. Si trovava anch’essa alla
grotta e ha visto la figlia dell’esattore attingere alla nuo
va fonte.»
«Gabriel, non è che si tratti» intervenne monsieur
Anseime « di fantasie belle e buone? »
«Beh, io riferisco quanto m’è stato detto. In serata,
però, verso le sei, Bernadette è stata accompagnata dal
cugino Sajous nell’ufficio del procuratore Dutour per
un altro interrogatorio. E durato tre ore e v’ha potuto
assistere solo la madre della ragazza, Louise. »
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Chiese al cocchiere se Bernadette ne era uscita pro
vata.
« Direi proprio di no. Comunque, dopo che la gen
te s’era radunata davanti all’ufficio del procuratore e
cominciava a protestare, alle nove finalmente Berna
dette e sua madre sono uscite dall’interrogatorio. Io,
monsieur, stavo all’osteria di suo cugino Sajous e le ho
viste quando sono arrivate per bere qualcosa. Ho così
sentito Bernadette che affermava di aver detto sempli
cemente la verità e ha sostenuto che erano gli altri inve
ce a mentire. Poi ha aggiunto d’essere stata molto col
pita da un fatto. Il procuratore Dutour, ha detto, face
va delle grandi croci sui fogli sui quali prendeva i suoi
appunti. »
«M a Bernadette» insinuò «non era forse eccitata
per tutto quel trambusto? »
« Lo escludo monsieur. Bernadette ha anche riferi
to che il procuratore le ha vietato di recarsi nuovamen
te a Massabielle. Però questa mattina c’era parecchia
gente davanti al cachot di rue des Petits Fossés. La
ragazza è ritornata alla grotta e l’accompagnava una
grande folla. Sua zia Bernarde l’ha, come dire, scortata
fino a Massabielle. »
La cameriera portò dell’altra birra. Gabriel ne tran
gugiò con avidità più di mezzo boccale prima di
riprendere il suo racconto.
«M ia moglie era presente e m’ha detto che Berna
dette ha pregato a lungo. M’ha raccontato che la ragaz
za s’è anche lavata alla nuova fontana, quella che è stata
appunto scoperta ieri da Eléonore. Comunque, pare
che la Signora non le sia apparsa e mia moglie m’ha
detto d’aver inteso Bernadette interrogarsi su cosa mai
avesse fatto per offendere, così s’è espressa la petite, la
sua Signora.»
Pregò monsieur Anseime di dare una bottiglia di
buon vino al cocchiere. Pensieroso, ma non turbato,
rientrò nel fumoir dell’albergo. Gettò nel fuoco il siga
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ro spento e si diresse verso la scatola sul caminetto per
sceglierne un altro. Decise invece e improvvisamente
di non concederselo. Avrebbe inoltre saltato la siesta.
Si recò in prefettura e chiese al segretario di Massy
di accompagnarlo nei sotterranei dove veniva conser
vato l’archivio.
Trascorse molte ore chino su carte antiche e
ammuffite dalle quali, per lui, uscivano notizie, date e
testimonianze sulle lotte politiche e religiose di tre
secoli addietro. Prendeva appunti e sorprese se stesso a
scrivere sul taccuino, a piena pagina, una sorta di mas
sima: nella guerra delle idee è sempre la gente minuta a
morire.
Rilesse più volte la frase, poi vi aggiunse un verso
del poeta inglese William Blake: la verità detta con cat
tive intenzioni è peggiore di qualsiasi menzogna che
uno voglia sfruttare.
La sera, in casa Massy fu oggetto di mille premure.
Madame lo bistrattò, ma con molta amabilità, perché
sosteneva che aveva disertato per tutti quei giorni il suo
salotto.
«Monsieur, senza dubbio non posso gareggiare
con la raffinatezza dei salotti di Torino o Firenze. Spe
ro comunque che da noi, in questa piccola città del
l’Impero voglio dire, possiate trovare identica amicizia
e simpatia.»
Obiettò che la sua abituale ritrosia l’aveva sempre
salvaguardato dal frequentare troppo assiduamente
luoghi che per madame, evidentemente e a buon titolo,
potevano definirsi pieni di charme mentre per lui resta
vano solo occasioni, e rarissime, in cui si sarebbe senti
to soltanto un estraneo. Assicurò, dunque, madame
che il paragone non si poneva e che proprio alla sua
ospitalità doveva la piacevolezza del soggiorno a Tar
bes.
Era una scusa un po’ goffa ma non risultò, almeno
gli sembrò, totalmente fatua. E madame accettò di
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buon grado, persino con una punta di civetteria, le sue
giustificazioni. Ben presto, del resto, madame si dedicò
a intrattenere gli altri ospiti, sazia ovviamente della sua
compagnia, non certo entusiasmante sul piano delle
chiacchiere.
Potè così raggiungere il prefetto che nel salotto
destinato ai fumatori stava discutendo con alcuni uffi
ciali.
«Voilà monsieur. Vi presento il comandante
Renault dello squadrone di gendarmeria. Partirà presto
per Lourdes e darà una buona stretta a quei signori che
turbano l’ordine. Principalmente avrà il compito d’im
pedire che si determinino incidenti e guai ulteriori. »
Un gentiluomo di Argelès, ospite di madame Mas
sy, sedette al clavicembalo e per oltre un’ora i suoi
accordi musicali catturarono l’attenzione generale. Lui
s’era seduto accanto al prefetto e gli riferì quanto aveva
appreso, quel pomeriggio, dal cocchiere Gabriel.
Oscar Massy era peraltro già informato sui fatti.
« Ho ricevuto questo pomeriggio » lo informò
«copia dell’interrogatorio effettuato dal procuratore
Dutour e confesso di esserne contrariato. Monsieur, in
confidenza posso dirvi che da un rappresentante del
l’autorità imperiale sinceramente mi sarei aspettato
ben più di questo. Dutour è un uomo debole, ha con
dotto la cosa senza troppa abilità e la conseguenza è
una sola. Mi vedo costretto a intervenire in qualche
modo, quando avrei preferito piuttosto restarne fuori e
che lo stato soprattutto non dovesse in alcuna misura
metter piede in una bega che poteva facilmente rima
nere limitata. »
L ’indomani, sabato 28 febbraio, dedicò l’intera
giornata a trascrivere con più ordine gli appunti presi
consultando le carte trovate negli archivi della prefet
tura. Catalogò il materiale in suo possesso e preparò lo
schema della memoria che avrebbe scritto. L ’apparen
te diligenza con la quale impostava il lavoro non gli
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impediva tuttavia di riandare con il pensiero anche a
quell’altra storia di Lourdes.
A metà pomeriggio condensò in trenta righe ciò
che si verificava in quella città di montagna e spedì un
dispaccio telegrafico all’« Avvisatore Italiano». In calce
aggiunse un’annotazione. Sarebbe ritornato a Lourdes
e, forse, avrebbe aggiornato con eventuali e più nuove
informazioni il testo spedito. L ’«Avvisatore Italiano»
sarebbe uscito il 10 marzo e pensava che avrebbe potu
to, secondo necessità, fornire al giornale altri riscontri.
Si sentì finalmente più sereno. Alla sua condizione
di storico, che per abitudine si documentava su fatti
precisi e testimoniati, aggiungeva ora l’attenzione pie
namente libera del giornalista.
Ritornò quindi a Lourdes la domenica e prese nuo
vamente alloggio all’Hotel des Pyrénées. Madame
Elfrida e suo padre l’accolsero con gioia. L ’anziano
signore borbottò che strane vicende agitavano il villag-
gio.
« Stamane c’erano oltre mille persone a Massabiel
le» l’informò sua figlia.
« E finalmente il governo ha fatto intervenire la for
za pubblica. Questa mattina » sentenziò suo padre « si
sono visti i gendarmi e in giornata quella sventatella di
Bernadette verrà interrogata dal giudice istruttore Clé-
ment Ribes. »
Passò al Café Francois, luogo ormai deputato per
conoscere ogni novità, e vi trovò l’amico Dozous.
«Monsieur, ben tornato» l’accolse il dottore «spe
ro che i vostri studi continuino senza intoppi. Mi augu
ro che il ritorno a Tarbes non abbia eccessivamente
contribuito a cancellare dalla vostra memoria gli amici
di Lourdes. Ma vedo che così non è stato e vi abbiamo
ancora tra noi, sono molto felice di questa vostra deci
sione. »
Apprezzò molto il tono d’allegra amicizia con il
quale Pierre Dozous, un uomo che stimava, lo faceva
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reinserire e senza alcuna meschina allusione nell’am
biente di Lourdes.
Parlarono delle sue ricerche a Tarbes e informò il
suo amico che, nonostante le scelleratezze dette dalla
gente a proposito del tempo, il clima di quelle zone si
rivelava per lui molto salubre.
«N on sono, evidentemente, della vostra opinione»
replicò con un sorriso Dozous « i tanti che s’ammalano
e debbono ricorrere alle mie cure. Ma tutto ciò, benin
teso, è dovuto alle non buone condizioni di vita e d’ali
mentazione in cui moltissimi si dibattono. »
Quell’uomo gli piaceva, in lui c’era una autentica
sicurezza umana che sapeva persino far sciogliere le
tensioni più forti. Pensò che per la gente di Lourdes
era già una grossa fortuna poter contare sulla saggezza
e la partecipazione d’un uomo come Pierre Dozous.
Il dottore lo accompagnò da Antoine Clarens al
quale doveva portare i saluti del prefetto Massy. Lo
trovarono intento a preparare la memoria che doveva
inviare all’autorità di Tarbes. Li accolse peraltro con
grande cordialità.
« Ho interrogato io stesso la ragazza » li informò « e
Bernadette ha dimostrato una spontaneità genuina e
della quale non ho dubbi. La ragazza ha usato una fra
se che m’ha colpito particolarmente. A Massabielle, ha
ripetuto, l’è stata chiesta soprattutto penitenza per sé e
poi per gli altri. Monsieur, non ho modo di pensare
che ci si possa in qualche misura trovare di fronte a una
mistificazione astuta. »
Nella notte, sin dall’una, a gruppi sempre più folti,
a mano a mano che di porta in porta altri s’aggiungeva
no, millecinquecento persone s’erano dirette a Massa-
bielle e la preghiera, spontanea, di quella enorme mas
sa durò ininterrotta fino all’alba.
Intorno alle nove del mattino anch’egli uscì dall’al
bergo e s’avviò senza fretta verso la grotta. Incrociava
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gente che tornava da MassabieUe e seppe che Berna
dette aveva avuto un’altra visione.
Giunto all’altezza del canale, nel punto esatto in
cui vi confluiva il Gave, incrociò un prete. Si salutaro
no. L ’abate Désirat non era di Lourdes, era giunto a
MassabieUe alle prime luci dell’alba e la fiumana di
gente l’aveva spinto in prima fila. Così aveva potuto
trovarsi vicinissimo a Bernadette, davanti alla grotta.
Gli chiese un giudizio su ciò a cui aveva assistito.
«In realtà, monsieur, non ho visto nulla. La Signo
ra, come quella giovane di Lourdes chiama l’apparizio
ne, a me certo non si è rivelata. Ma il sorriso che ho
visto dipinto sul volto della ragazza, quello sì supera
ogni immaginazione e né il più abile pittore né l’attore
più consumato potrebbero mai riprodurre quella gra
zia particolare. Per chi non l’ha vista stampata sul volto
di Bernadette è d’altronde impossibile figurarsela.»
L ’abate allungò la mano nella saccoccia e dalla sot
tana trasse una tabacchiera. Sul coperchio di essa c’era
un intarsio in argento e raffigurava un ostensorio.
L ’aria era carica di umidità. Si sedettero su un tronco
adagiato lungo i bordi del sentiero.
« Quel che colpisce maggiormente » aggiunse Dési
rat «è proprio quella gioia, una melanconia anche un
po’ triste, che ho visto affacciarsi sul volto della giova
ne donna. E posso dirvi monsieur che gioia e melanco
nia si succedevano con la rapidità del fulmine, eppure
mai bruscamente. La trasformazione, ecco forse la
parola giusta, avveniva in maniera da destare ammira
zione. Ho osservato Bernadette quando è giunta alla
grotta e ne ho seguito con scrupolo ogni gesto. »
L ’abate raccolse un ramoscello e con esso tracciò
sul terreno una serie di ghirigori, gli chiese anche se
gradisse una presa di tabacco.
« E che differenza monsieur» riprese a rievocare
« tra il momento in cui Bernadette è arrivata a Massa-
bielle e quello in cui il suo volto, probabilmente nell’at
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timo stesso in cui le si è rinnovata l’apparizione della
Signora, è diventato addirittura radioso. Tutto è avve
nuto nel più assoluto silenzio, oltre mille persone se ne
stavano zitte. Tutti ce ne stavamo nel più completo rac
coglimento. »
«Può essersi trattato comunque di suggestione»
obiettò lui.
L ’abate ebbe come un gesto di stizza. S’alzò per
avviarsi alla volta della città. Lo guardò fìsso. Désirat lo
squadrava con una certa durezza, poteva quasi leggere
sulla faccia del religioso i segni della collera.
«Monsieur, invece io escludo tassativamente che
possa trattarsi anche lontanamente di ciò che voi osate
insinuare. Questo è ciò che io credo fermamente nel
mio cuore. E ora vi saluto. »
Stette a lungo a guardare il buon prete che faticosa
mente arrancava verso Lourdes. Si voltò quindi a
osservare la grotta dalla quale distava, in diagonale, un
centinaio di metri. A Massabielle c’era ancora gente.
Scoprì che un uomo di forte corporatura stava siste
mandovi delle assi, quasi che volesse costruirvi una
specie di passerella.
Ritornò con calma in città e l’occasione del pranzo
fu, come al solito, uno spunto ulteriore per saggiare gli
umori altrui e riceverne sensazioni.
«Anche Emmanuélite Estrade» esordì madame
Lacrampe « m’ha detto che Giovanna d’Arco fu ritenu
ta all’inizio un’impostora. Io però non riesco a com
prendere quale senso possa esserci e così continuo a
considerare tutto quanto avviene a Massabielle se non
una messinscena almeno come qualcosa di assoluta-
mente ridicolo. »
Dopo il pranzo e prima di arrivare al Café Francis
fece tappa alla piccola mescita di Sajous, il cugino che
aveva accompagnato Bernadette all’interrogatorio nel
l’ufficio del procuratore Dutour.
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S’era diretto al bancone e là se ne stava appoggiato
a assaggiare, in piedi, un bicchiere di vino frizzante.
L ’ambiente era modesto ma pulito. Alla donna che ser
viva domandò se sarebbe stato possibile scambiare
qualche parola con il proprietario.
« Forse più tardi monsieur. Ora mio marito Sajous
è a casa di Francois Soubirous» gli rispose.
Uscì dalla mescita e s’avviò verso il Café Frangais.
Dozous l’invitò dal tavolo d’angolo, quello abitualmen
te riservato ai notabili. Il procuratore dell’Impero Vital
Dutour se ne stava taciturno. Poco dopo il suo arrivo
sopraggiunse Jean-Baptiste Estrade e venne a sedersi
con loro.
Si scambiarono quelle che, a parere di Estrade,
dovevano essere le ultime novità di Tarbes. Gli parlò
dei suoi studi, che continuavano seppure non più lesti
e esclusivi come in precedenza. Si lasciò persino sfuggi
re d’essere ritornato à Lourdes in veste di cronista per
l’«Avvisatore Italiano.»
«M a benissimo. Dunque quel luogo infetto» inter
venne bruscamente Dutour « e tetro che funge da abi
tazione per Bernadette Soubirous e la sua famiglia atti
ra addirittura l’attenzione dei nostri ospiti stranieri.
Forse sarà il caso di affermare che viviamo in tempi
d’invasamento popolare e, ahinoi, accompagnati da
pericolose manifestazioni d’isterismo. »
Si girò di scatto, come se le parole del magistrato
gli avessero sferzato la carne.
«Assolutamente no monsieur e nella maniera più
assoluta. Se il procuratore» sibilò «vuole affermare e
attribuirmi un simile compito posso confermargli che
si tratta, al contrario, di tutt’altra cosa. Sono qui per
cercare invece, e soprattutto, di capire. Sono ritornato
qui per verificare in mezzo alla gente di Lourdes quali
possibili verità possano appunto esserci in siffatte
manifestazioni. E spero di poter fare questo in compa
gnia di questi due signori, sempreché gli amici Dozous
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e Estrade me la concedano. Quanto a lei, signor procu
ratore, aggiungo che personalmente non le reputo
esempi di fede, poiché non mi offro a sollecitazioni del
genere. Ritengo però che si debba almeno, anzi si pos
sa parlare di pietas. Questo sì. »
Vital Dutour fu sorpreso per la reazione e ne restò
colpito. Guardò Dozous, poi Estrade. Finì in fretta il
bicchiere di vermouth e s’alzò accomiatandosi dalla
congrega. Sorvolando sull’incidente, essi continuarono
a parlare ancora dei suoi studi storici ai quali, con non
poca sorpresa da parte sua, sia il dottore che Estrade
dimostravano particolare interesse.
Fu ospite a cena in casa dell’amico dottore. Tra
scorrendo ore piacevolissime potè constatare che mol
te cose in effetti li univano. Si poteva dire che Pierre
Dozous fosse uno spirito liberale, più come scelta di
vita e comunque nello stile filosofico della tolleranza
che per scelta politica.
Il medico gli confessò di nutrire serie preoccupa
zioni sul futuro della Francia. Aggiunse, perdipiù, che
l’unità del paese era più apparente che reale. Dozous
stette garbatamente a ascoltare mentre lui gli esponeva
le più recenti vicende politiche dell’Italia.
«H o letto qualcosa» intervenne in proposito «di
un vostro personaggio politico, Giuseppe Mazzini. In
un suo scritto, m’ha colpito soprattutto un concetto.
Parlando d’una sua tormentata crisi di coscienza, Maz
zini sostiene che dalla nozione di Dio, ente supremo,
discende quella del dovere che è norma suprema alla
quale tenere fede per tutta la vita. Non mi pare che sia
una dichiarazione religiosa, eppure monsieur per me è
quanto di più prossimo alla fede io abbia mai sentito
affermare da uomini liberi e non soggetti comunque a
vincoli di credo. »
La conversazione s’allargò a altri temi, si trasferì
anche sul piano medico. Dozous gli confidò che com
pilava da anni una sorta di statistica.
65
« È una specie di archivio » spiegò « in cui raccolgo
dati e notizie sulle malattie più frequenti nella mia
zona. In particolare vi annoto ogni rilievo sulla sinto
matologia e sulla durata di esse, ma occorrerebbe più
tempo e magari qualche aiuto. Comunque mi tengo
fortunatamente al corrente d’ogni aggiornamento
medico attraverso le gazzette scientifiche che ricevo
regolarmente da Parigi e da Madrid. »
La pendola batteva le undici, s’era fatto tardi. Si
scusò con l’amico per avergli fatto perdere ore prezio
se. I suoi malati avrebbero indubbiamente preteso un
risparmio di forze, a essi meglio destinabili anziché alle
chiacchiere con uno straniero che perdipiù poteva dirsi
in buona salute.
Dozous si schernì e volle che si fermasse ancora un
poco, per un ultimo bicchiere di sherry. E fu verso
mezzanotte che udirono nella strada una specie di
trambusto. Voci d’uomo e di donna si accavallavano,
segno d’un improvviso fermento. Il dottore s’affacciò
alla finestra e lo intese chiamare per nome qualcuno.
Il colloquio era durato abbastanza a lungo. Dozous
richiuse l’imposta e s’avvicinò al caminetto. Una ruga
profonda gli solcava la fronte. Gli chiese se fosse stato
chiamato per una visita improvvisa e urgente. Il dotto
re fissava la fiamma sui ceppi, allungò le mani verso il
fuoco e rimase a lungo in silenzio.
«Una visita urgente e improvvisa? No, monsieur»
disse quasi uscendo a fatica da un certo pensiero «e
comunque non ha nulla a che vedere con la mia profes
sione. C ’è stata una guarigione a Lourdes, ma non è
certo avvenuta per cause mediche. L ’uomo con il quale
prima ho parlato m’ha informato che Catherine Lata-
pie, si tratta d’una donna che abita a Loubajac, è anda
ta alla grotta. Catherine, incinta e ormai alle soglie del
parto, s’è recata a Massabielle insieme ai suoi due
figli...»
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Dozous ebbe un’esitazione, ravvivò il fuoco con
altra legna e versò dell’altro sherry nei bicchieri prima
d’allungarsi di nuovo sulla poltrona.
«N ell’ottobre di due anni addietro Catherine è
caduta malamente mentre se ne stava arrampicata su
una quercia a raccogliere ghiande per i suoi porci. Si è
riusciti, alla bell’e meglio, a metterle in sesto il braccio
sinistro ma due dita le erano rimaste anchilosate, fuori
uso per sempre. Pare, invece, che ora Catherine Lata-
pie abbia immerso la mano malata nella nuova fonte
che sgorga dalla grotta e abbia improvvisamente riac
quistato la mobilità e l’uso di entrambe. C’è dell’altro,
infine. Dopo questo fatto sorprendente, direi anzi
eccezionale, la donna è rientrata a casa sua e ha messo
alla luce da sola un maschietto. La levatrice è arrivata
solo a cose fatte. Monsieur, chi m’ha riferito queste
cose gridava al miracolo. Forse l’avete inteso voi stesso.
E non si trattava d’una sola persona, tutti gli altri face
vano eco nella strada. »
Rientrò in albergo insolitamente tardi. Era in preda
a una inconscia frenesia che gl’impedì per buona parte
della notte di prendere sonno. Eppure aveva necessità
d’un riposo che l’avrebbe potuto ristorare. Si svegliò
confuso e intontito.
Le voci che salivano dalla strada, anche se ovattate
per il fatto che la stanza dava sul retro dell’albergo, su
un cortile che contribuiva egregiamente a isolare dal
chiasso, indicavano che anche quella mattina del 2
marzo 1858 Bernadette era andata a Massabielle e la
Signora, senza dubbio, era nuovamente apparsa alla
ragazza di rue des Petits Fossés. Il tono stesso di quelle
voci, tra l’altro, dimostrava che a Lourdes c’era un’eu
foria singolare. Inducevano realmente a far credere che
qualcosa di nuovo fosse accaduto.
Mezz’ora più tardi scese a chiedere lumi a madame
Elfrida, fu invece suo padre a fornirgli qualche detta
glio.
67
« Bernadette è andata in estasi, anzi monsieur sem
bra che la Signora abbia rivolto alla piccola Soubirous
un’invocazione. Chiede addirittura che si organizzi una
processione. Voilà, come vedete siamo al culmine e
chissà quali altre novità o sorprese ci porteranno i
prossimi giorni.»
Chiese se fossero arrivati i giornali e mentre consu
mava la colazione, uovo annegato in un vino rosato
liquoroso, Marie gli portò la copia appena acquistata
del «Lavedan.»
Il giornale del Dipartimento di Argelès, come il
foglio orgogliosamente recava in testata, era ora molto
più cauto. Aveva, almeno secondo una prima impres
sione, cambiato persino d’avviso. Dava un resoconto
sommario delle vicende di Lourdes.
«Bernadette parte ogni mattina alle sei da Lour
des» informava in un articolo «e s’awia tranquilla
mente. Ha l’aria di chi non s’interessa minimamente
della gente che la precede, la scorta o la segue. La
ragazza arriva a MassabieUe e davanti alla grotta sem
bra che ogni cosa di questo mondo scompaia ai suoi
occhi. Bernadette s’inginocchia, recita il rosario, sta a
lungo in preghiera. Poi, eccola in comunicazione con la
giovane Signora, come lei stessa chiama la visione.
Qualche volta accende un cero. La sua figura s’irrigidi
sce e la testa diventa immobile, i suoi occhi fissano,
scavano la cavità nella roccia. Bernadette è in estasi e
ottocento, mille o più persone s’inginocchiano. E chi
non può compiere questo gesto perché in un punto
dove la folla è troppo fitta prende allora della terra e la
porta alle labbra. Inoltre, bisogna aggiungere che tutto
questo avviene nel più assoluto silenzio e nella calma
più perfetta. Diremmo persino che ogni cosa si svolge
nel raccoglimento più intenso e carico di spiritualità. »
Il tono del «Lavedan» nell’occasione era ben
diverso da quello usato nella prima nota che da Tarbes
l’aveva spinto invece a raggiungere Lourdes. Evidente
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mente, questa volta non s’era fatto ricorso alla penna
caustica dell’avvocato Bibé.
Chiese a monsieur Lacrampe qualche informazione
sul curato di Lourdes.
« L ’abate Peyramale? Oh monsieur, davvero una
gran brava persona» commentò questi. « E un ex cap
pellano militare, senza dubbio ha il suo caratterino ma
forse gli è rimasto in eredità proprio dall’epoca passata
in servizio presso l’Armée. Peyramale però è un uomo
saggio, anche se mi si dice che in quest’ultimi tempi è
diventato più scorbutico del solito. Credo che neanche
a lui, monsieur, vada tanto a genio questa faccenda.
Eppure bisogna dire che è un prete e di pazienza
dovrebbe averne anche per tutti noi. »
Gli chiese dove e come avrebbe potuto incontrarlo.
«Se volete incontrarlo ci sono due possibilità. Se
non lo trovaste a quest’ora ancora in chiesa, che è a due
passi dal municipio, dirigetevi allora verso casa sua. Là
potrete senz’altro scovarlo. Da place du Porche è una
passeggiata brevissima, se prendete a destra per la rue
Basse vedrete subito la casa del nostro curato. »
In effetti, l’abate Peyramale non era in canonica.
Così s’affrettò verso casa sua. Seguì le indicazioni di
monsieur Lacrampe alla perfezione. Sulla strada incro
ciò gruppi di uomini e donne che si dirigevano in chie
sa. Incontrò il curato sul prato davanti alla casa.
Dominique Peyramale era un uomo di taglia media,
né piccolo dunque né alto, ma di corporatura abba
stanza robusta. E sul collo, leggermente ingrossato, gli
troneggiava un vero testone. Recitava il breviario pas
seggiando tra i cespuglietti di fiori. Aveva la tipica
andatura di quanti hanno servito nell’esercito, cammi
nava insomma a grandi e energici passi eppure nella
falcata manteneva una certa leggerezza che non com
prometteva assolutamente le numerose pianticelle che
con tutta probabilità egli stesso aveva piantato e colti
vava.
69
Si fermò a osservarlo per qualche istante. Per istin
to, anche Peyramale si fermò quasi avesse avuto la sen
sazione d’essere oggetto d’attenzione. Alzò la testa dal
libro delle preghiere e incrociò il suo sguardo.
« L ’abate Peyramale?»
«Sono io monsieur. E voi siete straniero» replicò
con prontezza.
«Italiano, abate. Sono giunto a Tarbes per alcuni
studi e ricerche storiche e ora sono a Lourdes per gli
stessi motivi. Perdipiù sono qui anche in veste di croni
sta per un giornale di Genova. Ma, v’informo subito,
non sono arrivato fin qui, da voi, a disturbarvi per
curiosità o intrigo da giornalista. Essendo voi il rappre
sentante religioso di Lourdes, voglio chiedervi cosa... »
«Vedo monsieur» l’interruppe all’istante «che la
storia di Bernadette, perché proprio e soltanto d’una
piccola storia si tratta, fa proseliti in ogni dove. Ebbene
monsieur, non ho nulla da dirvi né tantomeno da
aggiungere. »
Si sentì in imbarazzo, cercò in qualche modo di
rimediare all’impaccio in cui s’era cacciato a ragione di
quel goffo, primo impatto.
«Credetemi, sono mortificato per avervi potuto
dare un’impressione errata sulle mie intenzioni. Sono
qui, al contrario, senza prevenzioni o persuasioni pre
costituite di qualsiasi natura. Solo il caso, infatti, ha
voluto che mi trovassi a Tarbes e che in quella città
apprendessi i fatti, consentitemi di definirli in questo
modo, di Lourdes. Non ho dunque alcun malanimo,
piuttosto mi definirei un osservatore sereno e spassio
nato. Almeno me lo auguro. »
Ebbe la sensazione che il curato non l’avesse nep
pure ascoltato. Peyramale aveva ripreso la sua cammi
nata. Osservandolo meglio, si convinse che dimostrava
più dei suoi 47 anni. Aveva, del resto, nella persona
tracce d’appesantimento. Qualche pena, e grossa, gra
vava sulle sue spalle.
70
A un tratto Peyramale s’arrestò, girandosi verso di
lui chiuse il breviario e con un gesto del braccio lo
invitò a entrare in casa.
«Monsieur, dovete scusarmi per la mia diffidenza
non dovuta peraltro alla vostra visita improvvisa o alle
bizze del mio carattere. Il fatto è che cerco soltanto di
garantirmi intorno la pace che mi è necessaria, specie
in questi momenti. Ma entrate, vi prego, e accettate la
modesta ospitalità che può darvi la casa d’un povero
curato di montagna. »
Affidò mantello e cappello dell’ospite alla sorella
che dopo un po’ riapparve con una bottiglia già aperta
e due bicchieri.
« E un vino aromatizzato che preparo appositamen
te per mio fratello. Spero, monsieur, che sia di vostro
gradimento. »
Si sedettero di fronte al camino. Peyramale si spor
se dalla sedia e allungò il palmo delle mani verso il
fuoco. La giornata era molto fredda e gelide folate di
vento spazzavano l’aria. Dalla canna del camino il tur
binio era sceso anche sulla brace e faceva svolazzare
per la stanza scintille e cenere. Il curato si alzò per
raccogliere un tizzone ch’era saltato sul pavimento e lo
rigettò nel camino.
«Voi chiedete notizie, ma cosa potrei dirvi mon
sieur? Queste sono terre di fede, è vero. Ma c’è sempre
il pericolo che forme improvvise di superstizione, e sia
pure in buona fede lo ammetto, attecchiscano sul tes
suto umano che è e resta profondamente onesto. Come
un’epidemia funesta che s’innesta su genti molto pro
vate dalla miseria.»
«Qualche forma di stregoneria?» alluse lo stranie
ro.
« Oh no monsieur. Non mi riferisco a strumenti di
stregoneria e proprio perché viviamo pur sempre in
epoche in cui queste barbarie del passato credo possa
no dirsi definitivamente scomparse. Anche a Lourdes,
71
per intenderci. Rimane però il rischio d’infausti males
seri che potrebbero serpeggiare e incancrenire sui frut
ti d’una fede che non ha di per sé bisogno di fatti ecce
zionali per essere vissuta. Voglio dire che chi è creden
te è già una persona serena. Non è forse la fede un
miracolo quotidiano della coscienza e del contatto con
D io?»
Dominique Peyramale guardò con estrema atten
zione il viso del visitatore e ne avvertì l’estraneità a
simili argomentazioni.
«Appartenete anche voi, monsieur, alla famiglia»
chiese brutalmente « di quanti eliminano per cosiddet
ta scienza o, peggio, scientismo non dico l’evidenza ma
anche e solo la possibile realtà della fede? »
«Tutt’altro, mio buon curato. Non appartengo,
come voi sostenete, alla famiglia di chi non essendo lui
stesso credente impone di conseguenza l’assenza di
religiosità. Mi definisco, se me lo consentite, un uomo
tollerante. Anzi, m’impongo per scelta proprio la tolle
ranza che consente a ognuno d’avere o meno il suo
credo. »
L ’abate ebbe un sorriso, quell’accenno di contrasto
s’era già sciolto.
«Vedo che avete apprezzato il vino preparato da
mia sorella. E dunque rinnoviamone il brindisi con un
altro bicchiere. Ma per tornare alla piccola storia di
Lourdes e di questa sua giovane figlia, vedete c’è dalle
prime ore del giorno un susseguirsi di persone che mi
sollecitano a esaudire questa richiesta d’una processio
ne alla grotta di Massabielle. Vengono qui a dirmi che
la richiesta è stata avanzata da un qualcuno ch’io non
so ancora chi o cosa sia. Eppoi monsieur, una proces
sione per chi e per che cosa? Siatene certo, mi conse
gnerei al dileggio e al netto rifiuto, quandanche sola
mente la si potesse ipotizzare, di monsignor Laurence
che è il mio vescovo...»
72
Bussarono alla porta e la sorella di Peyramale andò
a aprire. Sulla soglia comparvero tre donne. Riconobbe
Bernadette, seppe poi che l’accompagnavano le sue
due zie Bernarde e Basile.
Entrarono nella stanza e il volto del curato s’in
fiammò di collera improvvisa. Incurante della presenza
dell’ospite, Peyramale apostrofò duramente la ragazza.
« Dunque eccola qui. Sei tu allora che vai alla grot
ta?»
«Sì, signor curato.»
« E sei sempre tu che affermi di vedere la Santa
Vergine. Sei tu insomma che sostieni che la Santa Ver
gine ti appare e che solo tu puoi vederla? »
«N o signor curato, io non ho mai detto che si tratta
della Santa Vergine. »
«Allora dimmi una buona volta di chi si tratta.
Dimmi chi è in realtà questa Signora, come tu la chia
m i?»
« Non lo so. »
« Non lo sai? Così sei anche bugiarda. Quelli che ti
vengono dietro invece lo affermano. Lo scrive anche il
giornale, e tutti sostengono la tua pretesa di vedere la
Santa Vergine. Deciditi dunque, secondo te cosa vedi
veramente? »
«Vedo qualcosa che assomiglia a una Signora.»
«Qualcosa, qualcosa... Sono persino venuti a chie
dermi una processione. Ma andiamo, una Signora, una
processione... e cos’altro? Quanto a voi due, sue zie,
dico soltanto che è davvero una disgrazia trovarsi in
una famiglia come la vostra che crea disordine nel vil
laggio. Alla fin fine, rinchiudetela e impeditele d’uscire
di casa. E ora andate. »
L ’ira di Peyramale s’era abbattuta con fragore sulle
tre donne. Bernadette uscì per ultima. Appena giunta
sulla soglia dette l’impressione che avesse un’esitazio
ne. Una zia le strattonò il braccio, con tutta evidenza
73
voleva che la ragazza sfuggisse e in tempi cortissimi alla
furia del curato.
«Una Signora, una processione e poi che altro...»
continuava a borbottare tra sé l’abate.
Solo dopo qualche minuto gli era sopraggiunta la
calma. Gli si erano spenti gli effetti della collera, ma gli
restava sul volto un colore rubizzo.
«Perdonatemi monsieur. Voi stesso peraltro avete
constatato a quali follie ormai si può giungere. E perdi-
più con l’aiuto di donne in età che, al contrario,
dovrebbero dimostrare maggiore saggezza. »
Si accomiatò da Dominique Peyramale ringrazian
dolo per l’ospitalità e facendogli anche grandi elogi per
il vino aromatico preparato da sua sorella.
«Bene, questo almeno potrà costituire momento
d’un nuovo e felice incontro in altra occasione più
tranquilla e mi auguro che vorrete presto concederme
la. Arrivederci monsieur. »
Lo accompagnò all’uscio e dalla soglia di casa
aspettò che raggiungesse la strada grande per la città.
Ma lui non rientrò subito nel borgo. A sinistra della
casa di Peyramale scorreva un ruscello e ne seguì l’argi
ne per un buon tratto. Si sentiva sollecitato dall’aria
frizzante, una buona passeggiata l’avrebbe messo in
ottima forma. Tagliò attraverso un prato e arrivò a una
stradicciola che in mezzo a due file d’alberi di buon
fusto confluiva in rue de Langelle dove c’erano le pri
me case, a est dell’abitato vero e proprio. Svoltò in rue
des Jardins e poi ancora prese a destra, sulla via dove
s’affacciava il palazzo in cui abitava il commissario
Jacomet.
Fece tappa, ormai abituale anche per lui, al Café
Franqais. Il sindaco Lacadé stava discutendo animata-
mente con il procuratore Dutour. Intese solo la conclu
sione del loro discorso.
«Vietare a Bernadette di ritornare alla grotta di
MassabieUe» sosteneva Lacadé «è impossibile. Non
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esistono le basi legali per farlo. Ormai l’opinione pub
blica è dalla sua parte e con estrema facilità correrem
mo il rischio d’essere linciati se, in qualche modo, agis
simo contro la giovane Soubirous. Senza dubbio va raf
forzata la sorveglianza, ma reprimere no. A mio
giudizio, sarebbe un errore gravissimo. »
Il pranzo all’Hotel des Pyrénées fu un disastro. La cuo
ca s’era ammalata e l’inesperienza di madame Lacram-
pe, malamente coadiuvata dalla cameriera Marie, non
seppe certo rimediare a quella improvvisa assenza.
Ovviamente madame Elfrida era più abile e adatta alle
incombenze di ricevere gli ospiti e intrattenerli che non
a quelle d’un ménage ai fornelli.
Anche la conversazione, e fortunatamente per lui,
languiva. C ’era un evidente nervosismo e ciò contribuì
egregiamente al fatto che potesse con estrema facilità
disertare la tavola comune. Joséphine, l’altra cameriera
che aveva rimpiazzato Marie impegnata in compiti
d’altro genere attorno ai fuochi della cucina, apparec
chiò in camera sua servendogli un gustoso formaggio
di pecora, un’invitante bottiglia di vino rosso e dei dol
ci al miele. Apprezzò ogni cosa e s’infilò quindi a letto
per una saporita dormita.
Verso sera Antoine Clarens venne a cercarlo in al
bergo. L ’amico aveva rovistato in certe antiche carte
che aveva rintracciato anni prima non si sa dove e gli
sottoponeva un documento del quattordicesimo seco
lo, naturalmente una copia dell’originale custodito
negli archivi statali, in cui si attestava la restituzione del
Castello di Lourdes al re Carlo V.
Informò Clarens del suo incontro con Dominique
Peyramale e gli raccontò della sfuriata contro Berna
dette cui aveva assistito. Clarens lo ascoltava con molta
76
attenzione, ma senza replicare o chiedergli ulteriori
particolari.
Il discorso a un certo punto scivolò sulle leggende
popolari che la tradizione si tramandava su Lourdes.
Una di esse si riferiva alla regina d’Etiopia Tarbis e a
sua sorella Lapurda, giunte nei Pirenei per fondarvi
Tarbes e appunto la stessa Lourdes. Clarens riferiva un
particolare che lo colpì. Parlava d’una donna tramutata
in roccia, ai confini della città.
In altre leggende comparivano addirittura i discen
denti dei Visigoti, all’occorrenza ridotti all’eponimo
« cani-goti», e i mori che per primi avrebbero costruito
in quelle terre i mulini lungo le vie d’acqua esistenti.
Clarens affermava inoltre, con un certo interesse, che
secondo la tradizione popolare alcune famiglie di
Lourdes conservavano nella fisionomia persino tracce
ereditarie di quei lontani progenitori.
Personalmente, comunque, Clarens gli disse che
prediligeva, più per spirito romantico che per sostanza
di prova, la leggenda di Mirat. La storia parlava d’un
guerriero arabo che aveva abiurato dalla fede islamica
dopo che un’aquila aveva portato alla corte di Carlo-
magno una trota d’argento.
Uscirono dall’albergo e chiese a Antoine Clarens di
accompagnarlo per un pezzo.
«Volentieri monsieur e anzi» propose l’amico «m i
farete l’onore di restare a cena da me così avremo
ancora il tempo di continuare il nostro scambio
d’idee. »
L ’invito gli suonò pressoché perentorio, ma accettò
con piacere e la serata fu spiritosamente cordiale.
La cena era ormai al termine, ma restavano ancora
seduti a tavola. Il suo ospite ricostruiva fatti e cose del
l’antica Bigorre. Qualcuno bussò alla porta e poco
dopo nella sala s’affacciò una giovane donna abbigliata
secondo il costume pirenaico. Indossava una lunga sot
tana di lana, uno scialle nero pesante le copriva le spal
77
le, in testa portava il tipico cappuccio bianco. Aveva
però l’aria stranita.
«Perdonatemi monsieur Clarens. Mi riconoscete?
Sono Dominiquette Cazénave, la figlia del carrozziere,
e ho una cosa importante e urgente da dirvi. »
«Parla dunque» l’invitò Clarens «anche se mi chie
do cosa mai ci sarà di tant’affare e di così importante a
quest’ora. »
«Ebbene monsieur, questa sera alle sette, due ore
fa, ho accompagnato Bernadette Soubirous dal curato
Peyramale. Dovete sapere infatti che Bernadette
m’aveva confessato in precedenza che doveva assoluta-
mente parlare con l’abate. M’aveva detto che aveva un
messaggio di quella Signora che Bernadette incontra a
MassabieUe. Bernadette era già stata questa mattina
daU’abate, ma lui s’è molto arrabbiato...»
« Lo so » troncò secco Antoine Clarens « e di tutto
questo sono già al corrente. »
«Bene monsieur. Ho accompagnato dunque Ber
nadette a casa del curato due ore fa. Con Peyramale
c’erano altri preti, Pène e Serres, ho visto anche l’abate
Pomian. Bernadette gH ha riferito aUora che la Signora
aveva chiesto che i preti benedicessero una cappeUa.
Monsieur, aveste visto il curato con quanta severità ha
reagito. Ha chiesto a Bernadette se anche la cappeUa
fosse un affare tipo queUo deUa processione. »
Dominiquette era molto agitata, girò gli occhi sul
tavolo. Forse per cercare qualcosa da bere. Clarens
versò acqua in un bicchiere e le fece segno di seder
si. Le disse di tranquiUizzarsi, di prendere un po’ di
respiro.
« Su bevi e non temere nuUa perché qui non trovi
certo dei lupi. Ci siamo soltanto io e U mio amico. Ora,
con calma, cerca di ricordare ogni cosa e diccela per
filo e per segno. »
Dominiquette Cazénave si sentì rassicurata. Guar
dò l’ospite di Clarens e gli sorrise, poi riprese U suo
racconto.
78
« Peyramale ha domandato se quella Signora avesse
finalmente svelato a Bernadette chi fosse e qual era il
suo nome. Bernadette gli ha risposto di non saperlo. Il
curato le ha gridato allora in faccia che bisognava inve
ce chiederglielo. Monsieur, nessuno fiatava più, in
quella stanza c’era il gelo, tutti guardavano l’abate. Poi
Pomian s’è rivolto a Bernadette e le ha chiesto se aves
se mai sentito parlare delle fate. Ma Bernadette ha
subito replicato con un no. »
«Allora, hai mai inteso storie di streghe?» l’ha
incalzata Pomian.
« No, non so neppure di cosa parliate. Ha risposto
la mia amica. »
«T u menti. Tutti a Lourdes» ha gridato a quel
punto l’abate Pène «hanno inteso le storie delle stre
ghe. »
«Allora la piccola, poverina, s’è un po’ spaventata e
così sono intervenuta io. Ho detto all’abate che doveva
usare la parola esatta, quella che usiamo nel nostro
patois, altrimenti Bernadette non avrebbe mai potuto
capire di cosa lui stesse parlando. Così Pène, in dialet
to, ha chiesto alla mia amica di riferirgli le parole che la
Signora aveva pronunciato. Bernadette allora ha rifatto
la richiesta della Signora e ha aggiunto che le aveva
anche rivelato tre segreti ma raccomandandole però di
non rivelarli a nessuno. »
Dominiquette bevve un altro sorso d’acqua. Le si
potevano vedere sul viso i segni d ’una tensione tremen
da.
«Poi siamo uscite dalla casa di Peyramale e ho
accompagnato Bernadette al cachot di rue des Petits
Fossés. Sono contenta perché ho fatto la mia commis
sione mi disse Bernadette uscendo. »
Clarens, che aveva ascoltato con molta attenzione il
resoconto della giovane Cazénave, rivolse lo sguardo
verso l’ospite, come per interrogarlo. I suoi occhi chie
devano se fosse lecito il dubbio o se mai fosse possibile
79
che Dominiquette si prestasse, chissà, a essere compli
ce d’una mistificazione. Ma lui rimase impassibile,
ricambiò lo sguardo di Clarens con eguale fissità ma
senza offrirgli alcun appiglio giustificativo. La giovane
se n’era andata e restarono insieme, comunque in silen
zio. Ognuno dei due ormai inseguiva pensieri‘diversi.
La mattina seguente partì alla volta di Argelès.
Manteneva in tal modo la promessa d’una visita al gio
vane gentiluomo che in casa del prefetto Massy alcune
sere prima aveva allietato la compagnia con le sue
sonate al clavicembalo.
Fu un ospite d’eccezione. Gli fece visitare le sue
proprietà e le scuderie in cui venivano allevati splendi
di purosangue. A cavallo, lo condusse alla scoperta dei
dintorni di Argelès, pranzarono in riva al fiume e
chiacchierarono di molte cose. Quella piacevole escur
sione contribuì non poco a rilassarlo.
Ritornò a Lourdes in serata, contrariando il suo
giovane ospite che avrebbe voluto trattenerlo ancora
per qualche giorno. Al cocchiere ordinò d’essere
lasciato all’altezza della chiesa di Lourdes davanti alla
quale c’era un continuo andirivieni di persone. Rag
giunse a piedi il Café Franqais e là seppe, anche se
straniero faceva già parte stabile della vita cittadina e
ne venne dunque subito informato, che anche quella
mattina Bernadette s’era recata alla grotta di Massa-
bielle.
« C ’erano almeno tremila persone» relazionò in
fretta un cliente del Café « ed è stato davvero uno spet
tacolo mai visto. La gente cercava di farsi strada in ogni
modo. Si arrampicavano addirittura gli uni sugli altri,
salivano sulle rocce, s’appollaiavano dappertutto. Han
no pregato per ore e ore, ma si dice che la Signora
questa volta non è apparsa a Bernadette. »
Il procuratore imperiale sedeva solitario al tavolo
che d’abitudine ospitava Dozous, Estrade e lo stesso
sindaco Lacadé. Vital Dutour fissava cupo un punto
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indefinito fuori dalla finestra. C ’era nel suo sguardo
qualcosa di profondamente malinconico, i suoi occhi
erano lucidi e rivelavano quasi l’effetto d’una febbre
fastidiosa. Non vi potevano essere dubbi, c’era qualco
sa che rodeva all’interno quell’austero rappresentante
del potere dello stato.
Anche lo straniero avvertì una strana sensazione di
malessere. Ordinò del vino brulé, aveva bisogno di
bere qualcosa di caldo per scrollarsi di dosso il freddo
che improvvisamente gli era penetrato nelle ossa. Chia
mò il proprietario e chiese se poteva indicargli la casa
del cocchiere Cazénave. Ottenuta l’informazione vi si
avviò alla ricerca della giovane donna conosciuta la
sera prima in casa di Clarens.
Dominiquette era occupata in faccende domestiche
ma lo accolse senza imbarazzo di sorta. La donna aveva
il grembiule tirato in su, sulla cintura, e le maniche del
corpetto rimboccate. Le chiese se avrebbe potuto dedi
cargli qualche minuto d’attenzione.
«N on voglio però disturbarvi nelle vostre incom
benze. Magari posso ritornare in un altro momento. »
« Non c’è nessun disturbo. Monsieur voi siete sicu
ramente il benvenuto. Stavo facendo un po’ di bucato
e ogni tanto getto un occhio sulla pentola della mine
stra. Non preoccupatevi di nulla, sono qui per servir
vi. »
Chiese notizie su Bernadette.
«Monsieur, la mia amica è andata anche questa
mattina a MassabieUe e ha pregato a lungo davanti alla
grotta. Ma la Signora non è apparsa. Bernadette è ritor
nata a MassabieUe questo pomeriggio. C ’era di nuovo
tantissima gente e tutti affermano che sul volto deUa
piccola Soubirous sono ricomparsi i sorrisi luminosi.
La mia amica ha detto che ha nuovamente parlato con
la Signora ed è tornata a casa del curato. L ’ho di nuovo
accompagnata io.»
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Dominiquette Cazénave si alzò e andò a rimestare
nella pentola. Dalla modestissima credenza tirò fuori
una bottiglietta di liquore spagnolo e un bicchiere.
Voleva offrirgli un sorso di quella specialità catalana.
Tornò verso il fuoco e spostò la pignatta, prese una
specie di radice bianca e la aggiunse nella cottura.
« E mordila » spiegò la donna « serve per fortificare
il gusto d’una minestra che sarebbe altrimenti assai
povera di sapore. Ma torniamo alla visita che abbiamo
fatto questo pomeriggio al curato di Lourdes. La
Signora vuole la cappella, ha confermato nuovamente
Bernadette. »
«M a tu hai chiesto a quella Signora di dirti il suo
nome? » ha replicato brusco il curato.
«Bernadette gli ha risposto allora monsieur che sì,
aveva chiesto alla Signora di rivelare il suo nome ma lei
s’era limitata a sorriderle. Avreste dovuto vedere la fac
cia dell’abate. Gli è rimontata la collera e ha gridato a
Bernadette che quella sua Signora in effetti si beffa di
lei. »
La pentola gorgogliava e Dominiquette s’affrettò a
spostarla su un braccio del camino in modo che il fuo
co non fosse più diretto.
«Poi monsieur è avvenuta una cosa strana. Il cura
to s’è fermato pensieroso davanti al fuoco del caminet
to. Borbottava qualcosa, io me ne stavo quasi sulla por
ta della sala e pensai che da un momento all’altro
avrebbe fatto una nuova sfuriata. Invece, Peyramale s’è
girato verso Bernadette e le ha preso il mento tra le
mani. »
«Se la Signora vuole la cappella» ha detto «deve
dirti come si chiama e dovrà anche far fiorire il rosaio
che si trova nella grotta. »
«Monsieur, questa» continuò Dominiquette «m ’è
sembrata davvero una cosa enorme. Siamo in pieno
inverno e vedere fiorire un rosaio è veramente impossi
bile. Però l’abate Peyramale ha aggiunto che se la
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Signora farà queste cose lui stesso le dedicherà una
chiesa grande grande. Non capisco bene cosa realmen
te il curato abbia inteso dire. So però che domani è
giovedì. Monsieur, è l’ultimo giorno della quindicina
che Bernadette ha promesso e dedicato a quella Signo
ra.»
Ringraziò Dominiquette Cazénave e uscì dalla casa.
Quella sarebbe stata una notte di veglia e non soltanto
per lui. Migliaia e migliaia di persone erano arrivate a
Lourdes in occasione del grande mercato che si sareb
be tenuto l’indomani, giovedì 4 marzo.
Si tenne alla larga dalla tavola comune dell’Hotel
des Pyrénées e cenò nella propria camera. Il cicaleccio
che in un modo o nell’altro avrebbe avuto ancora
madame Lacrampe quale centro propulsore gli sareb
be stato infatti intollerabile. Preferiva restarsene solo e,
soprattutto, non sentirsi costretto a dover fare buon
viso a conversazioni di nessun conto. Verso le nove di
sera andò al Café Frangais.
« C ’è fermento » commentò Jean-Baptiste Estrade.
Arrivò anche il commissario Jacomet e andò a
sedersi al loro tavolo. Il responsabile di polizia era mol
to teso, si vedeva che in lui il nervosismo era appena
dissimulato. Jacomet aveva modi aspri, spesso si estra
niava per i fatti suoi. Frugava con gli occhi, dentro e
fuori la sala del Café Francis, come se cercasse qual
cosa di preciso. Intorno alle dieci andò a chiamarlo la
guardia campestre. Dopo un brevissimo parlottare,
Jacomet e Callet uscirono insieme.
«V a alla grotta per vedere e controllare che non ci
siano trucchi» sentenziò Estrade con un tocco d’iro
nia. « E resterà peraltro molto meravigliato nel vedere
che a Massabielle a quest’ora c’è già molta gente che
prega. Ma suvvia, come si può mai presumere che nella
grotta di Massabielle qualche astuto marchingegno
possa surrogare, sostituirsi alla limpidezza di ciò che
afferma Bernadette.»
83
Lo straniero s’accorse che quell’interrogativo, qua
si un’affermazione del resto, era diretta specialmente a
lui. Il Café Francis non era certo un luogo dove si
coltivavano eccessive simpatie per Bernadette. Ritrovo
e occasione d’incontro per spiriti radicali e liberi pen
satori, il Café non vedeva di buon occhio tutta quella
faccenda. Tra i suoi frequentatori, così, il dubbio resta
va totale.
Quella notte però il Café Frangais non chiuse i bat
tenti. Gente d’ogni specie e persino un po’ fuori dallo
stile che contraddistingueva i suoi abituali clienti fre
quentò il locale fino all’alba.
« E un fatto straordinario, degno in effetti solo di
avvenimenti grandissimi» rilevò in proposito Jean-
Baptiste Estrade.
Poco oltre le due di quella notte ricomparve Jaco
met.
«H o bisogno di bere qualcosa di forte» confessò
con un certo imbarazzo al proprietario «e alle cinque
tornerò a MassabieUe per un’ultima ispezione. »
In realtà, il fermento aumentava in tutto il borgo.
Poco prima dell’alba erano arrivati anche gli uomini
delle gendarmerie di Argelès e di Saint Pé. S’erano
disposti a presidio davanti al municipio e rafforzavano
nel compito i soldati della guarnigione del forte di
Lourdes. La truppa, d’altra parte, era stata dislocata
lungo tutto il cammino che portava a Massabielle.
Intravide sulla strada Sajous e lo rincorse per avere
notizie fresche di Bernadette.
«Monsieur, la ragazza è tranquilla» lo informò
questi. « Bernadette ha pregato per tutta la sera insieme
alla sua famiglia ma a quest’ora dorme da un pezzo. »
Rientrò al Café per bere qualcosa di caldo, la notte
era fredda e piena d’umidità. Poi, con Estrade decise
d’avviarsi alla grotta e sulla strada per Massabielle
incrociarono un incredibile miscuglio di persone.
84
In quel fiume di gente non c’erano più e soltanto
gli abitanti di Lourdes. Si vedevano facce diversissime.
Moltissime le donne venute da fuori, da paesi talvolta
molto lontani come Estrade le riconosceva e gliele
segnalava secondo i cappucci di colore differente che
recavano in capo.
« All’incirca ci sono ottomila persone » segnalò loro
un sergente della gendarmeria.
Ma era una folla eccezionalmente ordinata, compo
sta e in continua preghiera. Quella massa apparente
mente non aveva dubbi d’alcun genere.
«H o fatto più di quaranta leghe per venire qui.
Sono partita» confessò una mamma che si trascinava
dietro due ragazzini un po’ assonnati « due giorni fa e
eccomi finalmente a Massabielle per dividere anch’io,
come tutti, la gioia della vedente. »
Vedente; era la prima volta che ascoltava questa
definizione riferita alla piccola Soubirous. Gli sembrò
che la parola potesse persino servire da condivisione
d’una apparizione che comunque solo per Bernadette
s’era rivelata. C ’era in quel termine, ripetè a se stesso,
anche l’ottimismo di chi attende un evento. Come
dimostravano quelle migliaia di persone giunte a Mas
sabielle.
Alle sette e cinque minuti comparve Bernadette.
« Eccola. »
Il grido risvegliò l’attenzione nel mare di gente.
Una nuova inquietudine serpeggiò tra la folla.
« La petite è accompagnata da una donna » osservò
Estrade. «Bernadette è con sua cugina Jeanne Védè-
re. »
«L e due donne hanno assistito alla prima messa
nella chiesa di Lourdes » riferì Antoine Clarens che nel
frattempo li aveva raggiunti « e a loro, sulla strada per
qui, s’è aggiunto Gancio, l’uomo che guida la diligen
za. »
85
Il servizio d’ordine allestito da Jacomet funzionava
alla perfezione. Bernadette non trovò ostacoli, le assi
che qualche giorno prima erano state sistemate sul
Gave le consentirono di raggiungere senza difficoltà la
grotta.
La ragazza, a un tratto, si fermò. Non vedeva al suo
fianco la cugina e la chiamò. Jacomet intervenne pron
tamente. Dopo aver attraversato la passerella individuò
Jeanne Védère tra la folla, sull’altra riva del fiume.
«Fatela passare» ordinò «deve raggiungere la peti
te Soubirous. »
Si trovavano in un punto non troppo vicino alla
grotta, ma con l’aiuto dei binocoli poteva osservare
bene Bernadette. La ragazza s’era inginocchiata e reci
tava il rosario. Quasi subito notò che il suo viso si tra
sformava, era già stata rapita dall’estasi.
Guardò l’orologio, segnava le sette e un quarto. Per
oltre mezz’ora Bernadette restò inginocchiata, comple
tamente estraniata dalla folla enorme che s’assiepava in
quei luoghi.
Vide Jacomet appostato sull’alto della roccia che a
picco dava sulla grotta. Il commissario teneva in mano
un taccuino e vi annotava qualcosa. Nel pomeriggio, al
Café F r a n c is gliene avrebbe confessato il motivo.
«H o segnato ogni cosa, monsieur. Bernadette ha
sorriso per trentaquattro volte e ha salutato, voglio dire
che ha fatto dei gesti di saluto in direzione della grotta,
in ventiquattro occasioni. Ho visto che la gente intorno
a me si faceva il segno della croce ogni volta che anno
tavo qualcosa. Ho parlato di tutto questo con il sinda
co Lacadé, era anche lui a Massabielle, e mi ha confer
mato di aver visto gli stessi segnali. »
Poco prima delle otto di quella mattina Bernadette
si alzò e si avviò dentro la grotta. Il suo volto era diven
tato più allegro, comunque dopo un certo tempo s’era
fatto improvvisamente serio. Osservava la ragazza con i
binocoli e la scopriva pensierosa, come se un’ombra di
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tristezza si fosse insinuata nei suoi lineamenti. Ma poi
era sopravvenuta la gioia, non sapeva com’altro defi
nirla, dell’estasi. Una nuova estasi, e Bernadette era
tornata a inginocchiarsi nello stesso punto di prima per
recitare ancora il rosario.
La preghiera si prolungava ancora, il rapimento
della giovane durò tre quarti d’ora. Infine Bernadette
ripóse la sua corona, spense il cero che teneva nella
mano sinistra e si alzò. Con calma attraversò la passe
rella sul Gave é si diresse alla volta di Lourdes.
La folla si animò di chiacchiere. La richiesta delle
prove che il curato Dominique Peyramale aveva prete
so perché la Signora finalmente si rivelasse era nota a
tutti. Ma non c’era stato nessun segno di esse, tantome
no il rosaio nella grotta era fiorito. Con i binocoli lui
non aveva mai perso di vista Bernadette e ne aveva
potuto osservare le labbra che si muovevano, segno
che la ragazza aveva certamente avuto nella grotta un
colloquio con qualcuno.
Ora la vedeva avviarsi al villaggio pervasa da una
grande serenità. Passò a pochi metri dal punto in cui si
trovava. Gancio la teneva per mano, sua cugina Jeanne
le camminava accanto. E avvenne un fatto inatteso.
«Per favore fate avvicinare quella ragazza.»
Bernadette chiamava una giovane che aveva una
benda sull’occhio destro. Portava sulla testa un cap
puccio rosso e da ciò si arguiva che la giovinetta, più o
meno della stessa età di Bernadette, non era di Lour
des. La ragazza si avvicinò per abbracciare Bernadette
ma prima s’era tolta la benda che le copriva il volto per
metà.
«Miracolo, una cieca è stata guarita» urlò una don
na e l’annuncio si propagò su tutta la folla.
La ragazza con il cappuccio rosso era scesa alla
grotta e andò a bagnarsi il viso alla nuova fonte.
«Bene, ora accompagneremo questa giovane dal
procuratore Dutour. Vedremo se quello scettico avrà
87
ancora il coraggio di sostenere che si tratta di fantasie
o, peggio, di superstizione» proruppe la sorella di
Estrade, Emmanuélite.
Si girò verso Antoine Clarens e vide che il suo ami
co aveva gli occhi umidi. Clarens s’era avvicinato pieno
di commozione a Bernadette e le sussurrava qualcosa
nell’orecchio. La ragazza annuì con un cenno del capo.
Più avanti del punto in cui si trovava, sul sentiero
che dalla roccia sovrastante la grotta scendeva al muli
no di Savy, riconobbe Pierre Dozous. Il dottore stava
parlando animatamente con un ufficiale della gendar
meria.
Raggiunse quindi Clarens sulla via del ritorno,
all’altezza dell’incrocio che portava al forte di Lourdes.
« La ragazza è andata a casa di Peyramale » lo infor
mò « ma credo che le verranno dei guai. L ’ho invitata a
raggiungermi a scuola nel pomeriggio. Dovete sapere
monsieur che questa mattina, all’alba, c’erano tre
medici al cachot di rue des Petits Fossés. Hanno visita
to Bernadette e quest’oggi intendono sottoporla a
un’altra visita medica. »
Dopo una buona dormita che l’aveva rimesso in
forze dalla lunga veglia notturna, si diresse al Café
Francis. Prima però fece una passeggiata per le strade
di Lourdes e passò anche davanti alla casa dei Soubi
rous.
C ’era molta gente in attesa sulla via. Attraverso
l’uscio socchiuso potè vedere che in quell’unica stanza
dove Bernadette abitava con la sua famiglia molte don
ne s’affollavano intorno a lei.
Tirò diritto. Al Café Franqais il commissario Jaco
met vantava l’impeccabile servizio d’ordine.
«H a impedito qualsiasi incidente. Non c’è stata
che qualche caduta nel Gave, ma niente di pericoloso »
sottolineava con il procuratore Dutour che annuiva
soprappensiero.
Pierre Dozous se ne stava a un’estremità del tavolo.
In silenzio guardava il bicchiere e ogni tanto, con un
gesto meccanico, lo portava alle labbra.
«Comunque, c’è un problema d’ordine» aggiunse
il sindaco Lacadé «e migliaia di persone che ormai fre
quentano Massabielle rappresentano un problema che
in qualche modo dev’essere risolto. »
Dozous gli fece cenno d’avvicinarsi, poi si alzò e
prendendolo sottobraccio lo dirottò a un altro tavolo.
«Sono un medico e talvolta riesco persino a non
giudicare le cose che so spiegarmi. Eppure monsieur,
l’arroganza che si manifesta a quel tavolo non la sop
porto davvero. Ma beviamoci un bicchiere di buon
vino e nel frattempo vi darò le ultime novità. »
«Anch’io ero a Massabielle» ricordò all’amico dot
tore «e ho assistito, posso dire per caso, all’incontro
con quella ragazza che aveva un occhio malato...»
«L o so, vi ho visto. Ma non conoscete il resto.
Dunque, questa mattina Bernadette s’è recata dal
nostro bravo curato e gli ha confermato che la Signora
non le ha rivelato il suo nome. Ha aggiunto di aver
scongiurato, come voleva Peyramale, la Signora di far
almeno fiorire il rosaio ma che lei, per tutta risposta,
aveva sorriso e aveva nuovamente chiesto la costruzio
ne d’una cappella a Massabielle. Monsieur, sono cose
che mi ha riferito la sorella dell’abate. »
Al cameriere che aveva portato una bottiglia di
vino e i bicchieri il dottore chiese la scatola dei sigari
dalla quale scelse un lungo virginia che fece crocchiare
tra le dita.
«Peyramale ha replicato secco» continuò. «H a
detto che lui non ha denaro e Bernadette men che
meno. Dunque, dovrebbe se mai fornirlo quella sua
Signora. Ma, a proposito di denaro, c’è dell’altro. Jaco
met e Dutour, e non sono gli unici, ora sostengono che
la ragazza è molto astuta e ipotizzano che sotto sotto
possa esserci addirittura un tentativo di truffa. E que
sto pomeriggio hanno inviato un gendarme, Ficelle, in
missione esplorativa al cachot di rue des Petits Fos-
sés. »
Un giovane uomo si presentò al dottore per chie
dergli se avrebbe potuto passare in serata a visitare la
moglie afflitta da una tosse fastidiosissima. Dozous
promise che sarebbe andato, ma gli diede anche la
ricetta d’uno sciroppo da somministrare intanto alla
donna. E riprese il racconto.
« Ficelle, con una scusa qualsiasi, doveva dare una
moneta d’argento a Bernadette. Jacomet e Dutour han
no sostenuto che se la ragazza avesse accettato il dena
ro vi sarebbe stata la prova lampante della truffa. Ma
volete sapere com’è andata a finire? Me l’ha raccontato
lo stesso Ficelle. Non appena Bernadette s’è accorta di
avere del denaro sulla mano l’ha immediatamente
lasciato cadere a terra. Immediatamente, capite. Ficelle
afferma che la ragazza ha gridato che quel denaro le
scottava la mano. Il nostro buon gendarme ammette,
tra l’altro, che identica cosa è avvenuta anche quando
un’altra persona aveva offerto una moneta a Bernadet
te e cercava di fargliela scivolare tra le mani. Ficelle
giura d’aver inteso che la piccola Soubirous preferisce
essere povera e non potrà mai accettare denaro in rega
lo. Il denaro insomma non ha nessun effetto su di lei. E
c’è di più, Bernadette ha rimproverato severamente
anche chi era andato a farle visita per avere la scusa di
farle benedire qualche oggetto. »
Durante la cena, seduto con gli altri ospiti alla tavo
la grande dell’Hotel des Pyrénées, notò che madame
Elfrida non era più loquace come sua abitudine. Si
limitava a rispondere, più che altro per semplice corte
sia, con uno stentato sorriso. Alle futili domande che
qualcuno le rivolgeva, madame opponeva qualche sec
co monosillabo.
Una signora abbastanza in età sollevò la discussio
ne su Bernadette e i cosiddetti miracoli di Lourdes.
90
Madame Lacrampe s’irrigidì e in pratica s’estraniò
quasi dalla conversazione. Come se avesse voluto per
dersi in una sorta d’isolamento nel quale, con tutta
probabilità, cercava conforto.
« Ma insomma » sbottò infine « miracoli non ve ne
sono stati. Il rosaio, come invece aveva chiesto l’abate
Peyramale, non è fiorito. Quella stessa Signora di cui
parla Bernadette, quandanche esistesse realmente,
neppure ha rivelato come si chiama. Via, questa è sol
tanto suggestione. »
Il giovanotto che le sedeva accanto obiettò che se
pur di allucinazioni si poteva parlare era comunque
ben strano che esse fossero così generalizzate e coin
volgessero al tempo stesso così tante persone.
«E h no monsieur» rimbeccò madame Elfrida «io
ho parlato di suggestione per Bernadette. Quanto al
popolo, alla gente, insomma e se me lo permettete alla
folla ognuno di noi sa bene quanto poco sia sufficiente
fare per chiamare migliaia di persone a raduno. Magari
con le manovre di qualcuno che abilmente sappia sug
gerire che ci si trova a raccolta in attesa di chissà cosa. »
Lo sorprese la brutalità del tono usato da madame
Lacrampe. Tanto più, pensò, che anche lei era andata a
Massabielle. Lui stesso, insieme a Jean-Baptiste Estra
de, l’aveva accompagnata alla grotta. Non potè evitare
di sottolineare, tra sé, quella contraddizione stridente
in una persona che attribuiva agli altri, quasi che voles
se fuggirli, atteggiamenti che lei stessa aveva pur vis
suto.
Si congedò e raggiunse la sua camera per preparare
un dispaccio da inviare all’«Avvisatore Italiano.» Lo
avrebbe spedito da Tarbes dove aveva deciso di fare
ritorno.
Il giorno seguente salutò il dottor Dozous e mon
sieur Estrade, entrambi promisero che gli avrebbero
scritto all’indirizzo di Tarbes per fornirgli, eventual
mente, gli aggiornamenti necessari, come disse Estra
di
de, sui fatti di Lourdes. Fece visita di commiato a
Antoine Clarens.
Lo trovò nella scuola che dirigeva, in rue du Bourg.
Clarens gli sottopose un brogliaccio sul quale trascrive
va appunti, ricchi d’ogni particolare, su quelle vicende.
L ’amico aveva, con semplicità, dato anche un titolo a
quella fatica.
«Vedete monsieur, l’ho chiamato La grotta di Lour
des e voglio conservarvi le memorie di questi giorni. »
Anche Clarens promise che lo avrebbe tenuto
informato d’ogni avvenimento futuro.
Ritornò a Tarbes sabato 5 marzo 1858 per rituffarsi
nelle sue ricerche storiche sulle guerre di religione che
tre secoli addietro avevano percorso quelle zone della
Francia. Intanto il « Lavedan » aveva nuovamente, e di
colpo, mutato rotta. Quale delusione, titolava un corsi
vo polemico nel cui tono riconobbe la vena acre del
l’avvocato Bibé che per l’occasione aveva rispolverato
le armi più acide dell’ironia.
« Quanti poveri creduloni» vi si leggeva « sono stati
umiliati e quante persone, troppo tardi purtroppo,
hanno capito come stavano le cose e comunque non
prima d’essersi coperte di ridicolo. »
Altri giornali rincaravano la dose. « L ’Ere impéria-
le» gazzetta ufficiale di Tarbes, addirittura, invitava le
autorità a far chiudere in un ospizio quella sedicente
giovanissima santa, Bernadette.
La notizia sugli avvenimenti di Lourdes aveva però
già superato i confini di questa zona meridionale della
Francia. Ampi resoconti apparivano ormai sui quoti
diani di Parigi, « L ’Univers» e « L ’Echo. »
Restò a Tarbes ancora per diverse settimane. Senza
subire sollecitazioni esterne che ne deviassero l’atten
zione su altri fatti o vicende, finalmente i suoi studi
procedevano con ordine. Si concentrò nella consulta
zione di antiche carte rintracciate negli archivi della
prefettura o presso studiosi della zona.
92
Fu spesso ospite in casa del prefetto Massy, conti
nuando ad avere con lui rapporti cordialissimi che sfo
ciarono inevitabilmente in autentica e duratura amici
zia. Talvolta avveniva che, chiacchierando con Massy,
il discorso puntasse su Lourdes. Avvertiva in tali occa
sioni che il prefetto non vedeva scemare le proprie
preoccupazioni.
' Bernadette, gli disse, non si recava più alla grotta
ma a Massabielle c’era comunque grande affluenza.
Ormai la gente arrivava a Lourdes anche da città lonta
nissime, dall’estero persino.
« Adesso spuntano i ceri » commentò con disagio il
prefetto in una di quelle occasioni.
Per la grotta di Massabielle, in sostanza, c’era un
pellegrinaggio in piena regola e i fedeli vi accendevano
ceri. Il 23 marzo qualcuno aveva collocato nella nicchia
alPinterno della grotta, nel punto in cui Bernadette
aveva detto che le appariva la Signora, una statua in
gesso della Madonna.
«Monsieur, eccoci giunti» denunciò Oscar Massy
« alla costruzione persino d’un luogo di culto illegale. E
non basta. La gente arriva a Massabielle anche per farvi
provvista dell’acqua che sgorga dalla fonte situata nella
grotta. Superstizioni o cos’altro?»
« Se è per questo » segnalò dal canto suo al prefetto
« io stesso sono a conoscenza d’un progetto del sindaco
Lacadé il quale, come va in giro a dire, ha in mente di
sfruttare le risorse naturali di quelle fonti. »
L ’informazione gli era stata data con una lettera
che l’amico Clarens aveva affidato a Gan^o, l’uomo
della diligenza da Lourdes. Un’altra lettera, sempre di
Antoine Clarens, parlava d’una nuova apparizione.
«Caro amico» gli scriveva «la storia di Lourdes e
di Bernadette conosce un nuovo e suggestivo capitolo.
All’alba del 25 marzo, giorno dell’Annunciazione, la
giovane Soubirous è tornata alla grotta. Ho parlato a
lungo con lei e Bernadette mi ha confessato che vi era
93
stata spinta da un istinto fortissimo. Voleva, in effetti,
ottenere dalla Signora la risposta che l’abate Peyramale
esigeva. E la risposta, monsieur, finalmente è venuta ed
è eccezionale. La Signora ha rivelato a Bernadette di
essere l’Immacolata Concezione. Ha usato proprio
queste due parole. Ebbene, mio caro e buon amico ita
liano, non è meraviglioso che l’annuncio della Signora
giunga a quattro anni di distanza dalla proclamazione
del dogma da parte del papa a Roma? »
Era una lettera lunga e piena di dettagli. Soprattut
to da essa traspariva un fatto nuovo, un’autentica gioia
era entrata ormai nella vita di Clarens. Lo conosceva
come uomo equilibrato e sereno, non aveva dunque
motivo di dubitare di lui né di ritenere che un’inaspet
tata alterazione dell’animo potesse indurre l’amico di
Lourdes a quel giubilo improvviso. Per Antoine Cla
rens qualcosa era effettivamente avvenuto a Massabiel
le e cercava solo di trasmettergliene l’essenza, non già il
contagio. La sua lettera riferiva anche la reazione del
curato Peyramale.
« L ’abate ha ammonito severamente Bernadette
che gli portava quel messaggio e l’ha persino accusata
di orgogliosa menzogna. Ma, per nulla impaurita, la
ragazza ha ripetuto e senza alcun cedimento le parole
della Signora di cui, peraltro, ha confessato di non
conoscere il significato. E proprio di fronte a tanto
candore è allora svanita la collera del curato. Peyrama
le s’è convinto a inoltrare al vescovo di Tarbes una
memoria scritta. Ecco, caro amico, dunque e finalmen
te si accetta questo fatto eccezionale. C ’è solo la verità
delle parole a sostenere e dar forza alla semplicità e alla
fede di Bernadette. »
Un biglietto inviato da Jean-Baptiste Estrade suc
cessivamente gli confermava che in tutta Lourdes la
storia della giovane Soubirous veniva accolta con gioia
e senza alcun malanimo.
94
«Il mio confronto con l’attrice Rachel» diceva il
laconico messaggio che si vide recapitare in albergo
«era inesatto. Bernadette non ha mai recitato. La
ragazza ha vissuto e continua a vivere questo suo splen
dido sentimento e ce lo vuole trasmettere. »
Anche madame Lacrampe aveva addolcito il suo
giudizio. Era arrivata a Tarbes per farvi alcuni acquisti
e gentilmente era passata in albergo a chiedere sue
notizie. Nella sue parole non avvertì alcuna punta di
sprezzante ironia o acrimonia.
«Monsieur, a Lourdes» confessò come se l’avesse
da sempre sostenuto «ormai si può dire che tutta la
gente è schierata dalla parte della ragazza della grotta. »
Dello stesso avviso, naturalmente, non era il «Lave-
clan». Il giornale del Dipartimento di Argelès conti
nuava imperterrito l’opera di distruzione di ciò che,
con i suoi anonimi e acidi corsivi, definiva un mito
ignorante. Taceva, stranamente, il dottor Dozous. Alla
fine di marzo gli aveva spedito una lettera, ma l’amico
non aveva ancora risposto. Ricevette però un suo scrit
to, con la dicitura urgente, la mattina del 9 aprile.
«Monsieur, quale sorpresa e che meravigliosa sco
perta» esordiva. « I miei scrupoli scientifici o, per dirla
con tutta sincerità, l’orgoglio che mi rendeva cieco
sono scomparsi. Io stesso ho visto, ho partecipato alla
gioia di Bernadette e sono qui a confermarlo con que
sto resoconto il più possibile esatto e, credetemi mio
buon amico, imparziale. »
Le parole di Pierre Dozous gli suonavano d’antici
po per qualche rivelazione che, mediata attraverso lo
spirito colto e umanissimo dell’amico medico, avrebbe
dovuto, ripeteva a se stesso, sortire forse qualche effet
to su di lui. Proseguì nella lettura.
«Jean-Marie Doucet, un piccolo malato di nove
anni che è in cura da me ormai da molto tempo e pur
troppo senza successo, dopo le visite che gli ha fatto
Bernadette ha rivelato miglioramenti nettissimi. Il pic
colo soffriva di convulsioni a tal punto ch’era impossi
bile nutrirlo. Ebbene monsieur, Bernadette è andata a
trovarlo a casa sua diverse volte e proprio quella gene
96
rosa assistenza ha gradualmente sollevato il malatino
dalla terribile condanna. La giovane Soubirous non ha
fatto certo nessuna stregoneria. E andata in più occa
sioni a tenergli un po’ di compagnia, è riuscita a farlo
parlare. Ha giocherellato con lui. »
Dozous, lo si avvertiva, spiegava cose che per lui
ormai avevano un senso perfettamente logico. Voleva
indurne analoga convinzione anche nel suo amico ita
liano.
« Io stesso, in compagnia dell’abate Peyramale e del
suo vicario » proseguiva il dottore « il 25 marzo scorso
ho potuto constatare un preciso miglioramento. Posso
parlare a buona ragione, aldilà dei limiti della scienza e
d’ogni plausibile e peraltro rivelatasi sterile terapia di
guarigione. Sono rimasto, senza dubbio, perplesso e
nondimeno ho accettato, lo ripeto ho accettato ciò che
nella realtà vedevo sotto i miei occhi e che non poteva
avere comunque alcuna spiegazione medica. A Lour
des la gente ha gridato nuovamente al miracolo. Mon
sieur, con tutta onestà, non ho sposato simile convin
zione. Però ho sentito inquietudine dentro di me. Mi
divorava quasi una forma di febbre e posso dirvi che
ho trascorso giorni di tensione e incertezza. »
Il tono del medico di Lourdes, se ne accorgeva a
mano a mano che continuava a leggere le sue parole,
sfociava addirittura nell’epica. Ne avvertiva un certo
disagio riandando con la mente all’equilibrio distacca
to con cui Dozous solitamente prendeva parte alle
discussioni che avvenivano al tavolo d’angolo, quello
destinato ai notabili della città, nel Café Francis. In
lui, e in breve tempo, s’era determinato un profondo
cambiamento.
«Tre giorni dopo» aggiungeva Dozous nella lettera
«la giovane Soubirous, dunque il 18 marzo, è stata sot
toposta a un altro avvilente interrogatorio. Con Jaco
met e con il curato ha smentito fermamente di ritenersi
una guaritrice. Ha detto che non credeva d’aver guari
97
to nessuno, né tantomeno di aver fatto qualcosa per un
tale scopo. Mio buon amico, sono stato bersagliato dal
l’ironia al Café, ho dovuto fronteggiare battute pesanti.
Il direttore del «Lavedan», l’avvocato Bibé, era venuto
a Lourdes in quei giorni e sorrideva sull’efficacia della
mia medicina vantando i poteri occulti, si era espresso
in questi termini e c’è mancato poco che gli saltassi al
collo, che a suo dire Bernadette possiede e con i quali
mi fa concorrenza. »
Mentre continuava a leggere cresceva in lui il disa
gio. Mai infatti avrebbe potuto immaginare che Pierre
Dozous potesse, neppure lontanamente, ipotizzare una
qualsiasi forma di violenza. Ma, forse, tutto ciò era
dovuto a stanchezza, pensò come se volesse convincer
sene, e alle tensioni umane che Lourdes viveva da quasi
due mesi e che inevitabilmente contagiavano anche le
persone più illuminate, come il suo amico dottore.
«Bernadette del resto» aggiungeva Dozous «ha
dovuto sopportare altri penosi interrogatori pur essen
dosi sempre dimostrata schiva e lontana da qualsiasi
imbarazzante alterigia. Il sette aprile, mercoledì di
Pasqua, sono ritornato alla grotta. Bernadette era a
Massabielle già dall’alba e quando vi sono arrivato la
ragazza era già in estasi. C ’erano un migliaio di persone
e ho dovuto litigare con la gente che m’impediva di
avvicinarmi a lei. Allora, monsieur, ho gridato che non
ero un nemico. Ero lì per poter osservare, studiare da
vicino quel fatto religioso. Urlai, ultimo orgoglio del
mio scetticismo, che ero andato a Massabielle solo in
nome della scienza e per controllare con metodo. Allo
ra, finalmente m’aprirono un varco e potei raggiungere
Bernadette alla grotta dove ho assistito a qualcosa che
non dimenticherò. Bernadette era immersa nell’estasi,
con il palmo della mano riparava dal vento la fiamma
d’un grande cero che stringeva nell’altra. Potevo vede
re la trasparenza di quella mano vicinissima allo stoppi
no e sentii che qualcuno gridava a Bernadette di stare
98
attenta perché si sarebbe ustionata. Lo zittii brusca
mente senza mai togliere gli occhi da quella mano. Poi,
monsieur, Bernadette è uscita con estrema grazia dal
l’estasi. In un attimo il suo viso era tornato alla norma
lità, insomma aveva perso lo splendore che vi avevo
osservato fino a pochi istanti prima. Ho analizzato con
estrema cura le mani di Bernadette e non v’era la ben
ché minima traccia di bruciatura. Monsieur, eccoci
allora davanti a un fatto soprannaturale. Non esiste
altra spiegazione.»
Lasciò Tarbes il 10 maggio del 1858. Ormai aveva
raccolto quanto occorreva ai suoi studi e ripartiva con
una serie fittissima di appunti sparsi in una decina di
quaderni. Non gli restava che dare ordine all’abbon
dante materiale, preparare un canovaccio sul quale
stendere la memoria sugli eventi religiosi del sedicesi
mo secolo in quelle zone del sud della Francia. Sarebbe
stato un lavoro lungo, di paziente ricostruzione al qua
le intendeva dedicarsi al suo rientro in Italia. Aveva
concordato con un editore di Milano che gli avrebbe
consegnato il manoscritto per la primavera dell’anno
seguente.
L ’otto maggio s’era recato in visita di commiato dal
prefetto Massy. Lo trovò ulteriormente preoccupato.
«Quattro giorni fa» gli confessò il rappresentante
dello stato « sono andato a Lourdes per presiedere il
Consiglio di Revisione. L ’occasione, monsieur, m’è sta
ta propizia per minacciare l’arresto e l’internamento
nell’ospizio di Tarbes di qualsiasi persona sostenga o
affermi di avere delle visioni. »
E c’era il motivo. A Lourdes circolavano con insi
stenza voci secondo cui alcune donne dichiaravano
d’essersi recate alla grotta di Massabielle e sostenevano
che anche a loro era apparsa una giovane Signora.
«Siamo, appena agli inizi» concluse Massy con
amarezza «m a la catena dei visionari è già all’opera.
Anello dopo anello la superstizione continua. »
99
Salutò il professor Dufour al quale lo aveva indiriz
zato il professore G. di Firenze, grazie a lui aveva visto
aprirsi archivi pubblici e privati che gli erano stati poi
messi generosamente a disposizione. Spedì biglietti di
saluto a Clarens, Estrade, all’indimenticabile dottor
Pierre Dozous. Con essi lasciava a Lourdes un pezzo di
profonda amicizia. Gli segnalava quali sarebbero state
le tappe sulla via del ritorno in Italia. Inoltre, li avverti
va che la posta avrebbe potuto sempre raggiungerlo
all’indirizzo successivo.
Il 16 maggio raggiunse Nizza dove restò due setti
mane e all’Hotel du Golfe arrivò un biglietto di Jean-
Baptiste Estrade.
« La grotta è stata bloccata » diceva il messaggio « e
delimitata con una staccionata. L ’accesso è impedito,
ma le transenne sono state abbattute dalla folla. Sono
state ricostruite e nuovamente demolite. Tutto questo
per giorni e giorni. Jacomet e il suo braccio destro Cal-
let hanno un grandaffare per appioppare le multe a
centinaia di pellegrini che ogni giorno sfidano il divieto
emesso dal prefetto di Tarbes. »
Ai primi di giugno si spostò a Genova. Il direttore
dell’«Avvisatore Italiano» gli chiese un resoconto in
due puntate su quella storia di Lourdes.
« Una cronaca » ordinò « la più dettagliata possibi
le. »
Lo colpì il fatto che Genova, pur essendo città
marinara e dunque ricca di traffici e abituata agli scam
bi tra genti, conservasse nell’intimo uno spirito austero
in cui si radicava un profondo sentimento di religiosità.
E questo sentimento, per assurdo che potesse sembra
re, conviveva con quegli ideali libertari che proprio
nella città ligure avevano trovato terreno più fecondo.
Come se quegli stessi ideali alimentassero, per contrap
punto, il primo.
Ospite dei marchesi Cambiaso, una sera si trovò al
centro dell’attenzione di molti gentiluomini che ne fre
100
quentavano il salotto. Naturalmente lo interrogarono
sulle vicende che aveva, seppur marginalmente come si
schernì, vissuto a Lourdes. In tutto quel gioco d’inte
resse evidentemente il direttore dell’« Avvisatore Italia
no» aveva avuto la sua parte.
Accettò l’invito di amici che lo ospitarono in una
loro splendida residenza affondata tra gli ulivi del
monte alle spalle di Camogli. L ’estate e la gentilezza
dei suoi anfitrioni crearono facilmente in lui una sorta
di pigrizia alla quale s’abbandonò con piacere. Solo il
quindici agosto arrivò finalmente a Torino dove ritro
vava le sue cose, i vecchi amici, la sua casa. C ’era anche
una lettera di Pierre Dozous.
«M io caro e buon amico italiano, le inquietudini
ormai sono lontane. Vivo, da medico, la realtà umana
di questo nostro villaggio e da semplice osservatore
avverto l’aria nuova che pervade Lourdes. So che Jean-
Baptiste Estrade vi ha già informato sul fatto che la
grotta è stata bloccata. Purtroppo, ed è argomento di
discussione anche al Café Fran<;ais, agli splendori di
semplicità, come è quella che Bernadette rivela, si
dovevano prima o poi accompagnare avvenimenti
miserevoli. La giovane Soubirous conduce come sem
pre la sua vita schiva e appartata, ma in città s’è parlato
a lungo di altre visioni. Comunque, l’undici luglio l’ar
civescovo di Tarbes ha denunciato quegli abusi e ciò è
stato sufficiente perché tutto sparisse di colpo. Non ci
sono pertanto più visionari, tutto è stato sepolto. »
In termini quasi diagnostici Dozous aggiungeva
altri particolari. Nelle sue parole c’era come un tentati
vo di anamnesi dove lo stile del medico si mischiava a
quello del cronista, persino già d’uno storico.
« Finalmente Bernadette va a scuola e il tre giugno
ha fatto la prima comunione. Emmanuélite Estrade
l’ha stuzzicata, chiedendole se fosse più felice per que
sto avvenimento o per le apparizioni. La petite ha
risposto che le due cose sono insieme, comunque i)
101
paragone è impossibile ha aggiunto, anche se in
entrambe le occasioni ha provato la stessa felicità.
Monsieur, come potete vedere vi racconto i fatti più
spiccioli di Lourdes. Ma del resto per questo ci siamo
intesi e abbiamo concordato. Mi preoccupa lo stato di
salute della giovane Soubirous, la ragazza è andata per
qualche tempo a Cauterete per farvi la cura delle acque
ma la tosse non le dà tregua. Charles Madon, un giova
ne avvocato di Beaune che recentemente è venuto a
trovarmi, m’ha riferito d’un suo colloquio con Berna
dette. Dice d’averle chiesto se mai avesse invocato dal
la Madonna la propria guarigione. Avendo ricevuto un
no secco ha cercato allora di sollecitare la ragazza a
proposito dei segreti affidatile dalla Signora. Bernadet
te prontamente ha risposto che ciò riguardava soltanto
lei e ha aggiunto che non li rivelerebbe neppure al
papa. Madon le ha chiesto se uno di essi non riguardas
se, forse, l’ipotesi che la ragazza possa diventare una
religiosa. Ebbene monsieur, Bernadette ha replicato
senza equivoci che si tratta di cose ben più serie. »
Nella sua lunga lettera il dottor Dozous gli riferiva,
condensandoli egregiamente, altri fatti di Lourdes
avvenuti da quando lui aveva lasciato la Francia.
«Il 17 luglio è arrivato il vescovo di Montpellier,
monsignor Thibault, che ha interrogato Bernadette in
presenza dell’abate Peyramale. Monsignore ha cercato
di far accettare alla ragazza una piccola somma e
davanti al suo rifiuto le ha chiesto se potevano almeno
scambiarsi i rosari, ma la petite gli ha risposto di prefe
rire il suo. Tre giorni appresso, un altro vescovo, mon
signor Gardon de Garsignies che amministra la diocesi
di Soissons, l’ha sottoposta a un nuovo interrogatorio.
Le ha fatto qualche domanda sul Cielo, le ha chiesto di
eventuali sue esperienze in proposito. Bernadette ha
risposto, con franchezza e estrema semplicità, di non
saperne nulla, di essere ignorante. Bene, mio caro ami
co. I due vescovi hanno chiesto a monsignor Laurence
102
d’intervenire e l’arcivescovo di Tarbes il 28 luglio ha
istituito una commissione d’inchiesta. »
Dozous si rivelava un eccellente storiografo. Ormai
annotava i fatti essenziali, senza eccedere in aneddoti
né aggiungervi sfumature forzate che potevano soltan
to colorare il quadro senza peraltro apportarvi alcuna
prospettiva interessante.
«N é mancano le sorprese» continuava la lettera.
« Lo stesso giorno è arrivata a Lourdes madame Bruat,
gran nome della capitale perché oltre che consorte del
l’ammiraglio è la governante del principe ereditario.
S’è fatta accompagnare da due religiosi, un prete e una
suora, e ha voluto incontrare Bernadette. Il sacerdote
m’ha rivelato che ha segnalato a Bernadette che la San
ta Vergine, sposa di san Giuseppe, avrebbe dovuto
avere l’aureola. La giovane Soubirous ha negato che la
Signora della grotta l’avesse. Madame Bruat le ha chie
sto allora se poteva accompagnarla a Massabielle ma
Bernadette ha rifiutato, ricordandole che un preciso
ordine di polizia impediva la cosa. Alla fine madame
Bruat s’è rivolta allo stesso braccio destro di Jacomet,
la guardia campestre Callet, e s’è recata alla grotta per
attingere acqua alla sua fonte e ne ha riempito una
grande bottiglia. E sempre nello stesso giorno è arriva
to a Lourdes persino il direttore dell’« Univers », Louis
Veuillot. Anche lui è andato alla grotta e vedendo che
Callet annotava sul taccuino i nomi dei visitatori di
Massabielle l’ha rimproverato duramente.»
«N el pomeriggio di quel 28 luglio» seguitava
Dozous « davanti a un grande pubblico e con l’ausilio
dell’abate Pomian che fungeva da traduttore in patois,
Veuillot ha interrogato Bernadette. Conclusione?
Ripartendo da Lourdes per Parigi, Veuillot m’ha con
fessato che, sì, Bernadette è una ragazza ignorante ma
comunque vale molto più di tutti noi. Due giorni dopo
padre Loison, un predicatore assai conosciuto, ha
bombardato Bernadette in una specie di contradditto
103
rio. Il sottinteso era quello di verificare se per caso la
ragazza non avesse in realtà visto il diavolo. Però Ber
nadette ha interrotto bruscamente il colloquio. S’è
girata verso Antoinette Tardhivail, la donna che s’oc
cupa delle pulizie nella chiesa di Lourdes, dicendole
che se quel prete non voleva credere allora era meglio
che se ne andassero. »
«Monsieur» concludeva il lungo scritto di Pierre
Dozous « queste sono dunque le ultime noterelle sulla
storia, come voi la definite, di questa nostra città.
Quanto a me, ho nell’anima una serenità autentica e
quale da tempo non avvertivo. Sono uno spettatore
non certo di parte, ma vi confesso che sento il mio
cuore stare accanto alla giovane Bernadette. Abbiate
fiducia nei miei sentimenti augurandomi che conti
nuiate anche voi a essermi fedele nel ricordo. »
A settembre ebbe un’altra conferma sull’aria nuova
che investiva Lourdes. Era arrivata a Torino l’edizione
del 28 agosto dell’« Univers » In prima pagina, su cin
que colonne, il direttore del quotidiano parigino,
Veuillot, pubblicava la sua intervista con la «petite
voyante Bernadette Soubirous de Lourdes. »
I fatti, le soprese come diceva Pierre Dozous, di
Lourdes avrebbero continuato a occupare altri spazi su
numerosi giornali.
II 24 settembre, sul «Courier Franqais», Balech de
Lagarde scriveva un lungo articolo.
«Ho chiesto a Bernadette » confessava il grande
giornalista «d i venire con me a Parigi dove, e in
pochissime settimane, avrebbe potuto arricchirsi. Le
ho anche spiegato che io stesso mi sarei incaricato di
renderle questo servigio. Bernadette mi ha risposto, e
senza possibilità di replica, che preferisce restare pove
ra. »
Nella primavera del 1859 consegnò all’editore
milanese il manoscritto sulle sue Ricerche e ricostruzio
104
ne dei fatti religiosi del sedicesimo secolo in Francia, tra
i cattolici di Montine e i protestanti di Montmorency.
Nel febbraio dello stesso anno aveva ottenuto un
incarico presso la Biblioteca comunale e s’occupava,
con fatica eppur con grandi soddisfazioni, degli archi
vi. Era un lavoro minuzioso, mai fatto sino ad allora,
d’indagine e ne annotava su schede monografiche
argomento e importanza.
In quell’epoca gli erano di grande aiuto alcuni stu
denti dell’università che erano stati attratti da quel
silenzioso e quasi dimenticato lavoro. Fra quei giovani
c’era, e la cosa per l’epoca poteva dirsi assolutamente
eccezionale, una giovane di ventitré anni che accompa
gnava spesso in Biblioteca il fratello.
Appartenevano a una facoltosa famiglia di possi
denti lombardi, con terre e fattorie in Lomellina. Quasi
due anni più tardi quella giovane sarebbe diventata sua
moglie.
Manteneva, più o meno regolarmente, corrispon
denza con gli amici di Lourdes e di Tarbes. Al profes
sor Dufour spedì una copia fresca di stampa del suo
studio e ne ricevette elogi decisamente superiori all’im
portanza e alla qualità del lavoro. Il prefetto Massy e
sua moglie gli rinnovarono più volte l’invito a ritornare
a Tarbes con la scusa di nuovi documenti da consulta
re, sottintendeva lui, e per un periodo di salutare e
fortificante riposo, seduceva madame.
Alla metà di ottobre ricevette una lettera di Elfrida
Lacrampe. La proprietaria dell’Hotel des Pyrénées gli
forniva nuove notizie su Bernadette.
«Ai primi di agosto Bernadette Soubirous è stata
nuovamente passata al setaccio. All’abate Mariote la
ragazza ha confessato che una forza irresistibile la
costringeva, l’anno passato, a recarsi a Massabielle.
All’abate Paul de Lajudie che le chiedeva se avrebbe
mai svelato al papa i suoi segreti, Bernadette ha repli
cato che la Signora le ha chiesto di non rivelarli a nes
105
suna persona e il papa è appunto una persona. L ’abate
è stato ospite del mio albergo e mi raccontava come lui
avesse obiettato che il papa ha la potenza del Cristo.
Monsieur, volete sapere cosa gli ha risposto a quel
punto e senza scomporsi la giovane Soubirous? E vero,
gli ha detto, che il papa è molto potente sulla terra ma
la Santa Vergine sta in Cielo. A tre gesuiti, che erano
tornati alla carica sullo stesso argomento, ha ribattuto
che quei segreti sono utili soltanto a lei e non li rivele
rebbe nemmeno al proprio confessore e proprio per
ché questo non è un peccato. »
Anche Antoine Clarens amabilmente lo teneva al
corrente sulle vicende, le definiva scherzosamente così,
del villaggio. Gli aveva trascritto inoltre, con il consi
glio d’arricchirne la sua biblioteca personale, brani
d’antichi cartigli che di volta in volta gli erano capitati
tra le mani. Dava anche notizie sulle discussioni che si
tenevano al Café Franqais che non era più un luogo di
conversazioni radicaleggianti.
Ma puntualmente, in ogni sua lettera, ricompariva
Bernadette. Con soddisfatta arguzia, Clarens sottolineò
in più occasioni che la ragazza aveva sempre negato di
essere mediatrice di miracoli.
«Con estrema decisione rimprovera quanti le si
avvicinino per toccarla o persino per chiederle di bene
dire qualche immaginetta o altro oggetto sacro. »
In una delle ultime lettere di quell’anno il suo ami
co di Lourdes riferiva sulle nuove e finalmente miglio
rate condizioni di vita della famiglia Soubirous. Fran
cois e May Louise s’erano trasferiti in primavera in un
mulino dove il padre di Bernadette aveva ripreso la sua
antica professione di mugnaio.
«Certo, la famiglia è in una situazione migliore»
sottolineava Antoine Clarens «m a al mulino Gras il
continuo andirivieni di gente che vuole vedere di per
sona Bernadette non consente proprio una vita tran
quilla. E ancora una volta, mio caro amico, la generosi
106
tà che contraddistingue questa famiglia ha il soprav
vento. Così tutti, siano soltanto in visita o clienti, sono
accolti senza distinzione con grande familiarità e gioia.
Louise non accetta nulla da chicchessia. A Lourdes e
nei dintorni ognuno sa bene che può andare al mulino
e trovarvi piena ospitalità, sa anche che per la molitura
si potrà pagare quando meglio sarà possibile. Mon
sieur, i Soubirous non sono assolutamente portati per
gli affari e credo che la sola e pur grande loro fortuna
sia proprio Bernadette.»
Gli avvenimenti italiani di quegli anni gettarono
anche lui nella lotta politica e militare per l’unificazio
ne del paese. Fu ufficiale di collegamento con il gene
rale Cialdini nella battaglia di Castelfidardo, il 18 set
tembre 1860, e durante le successive prese di Perugia e
Ancona.
Rientrò a Torino alla fine di dicembre per una bre
ve licenza, dovuta al suo matrimonio, e trovò una lette
ra di Pierre Dozous. Il dottore di Lourdes gli riferiva,
con uno stile asciutto e questa volta senza perifrasi,
dell’ultimo e solenne interrogatorio di Bernadette.
«Il sette dicembre la ragazza è stata sottoposta a
Tarbes alle domande dell’arcivescovo e degli altri dodi
ci membri della Commissione d’inchiesta. Ho parlato
con Fourcade, segretario del sinodo inquirente, e mi ha
riferito per sommi capi la sequenza delle domande e
delle risposte.»
«Dunque» scriveva Dozous «le hanno chiesto se la
Vergine aveva l’aureola. Bernadette sulle prime non ha
ben capito cosa volessero sapere, poi ha spiegato che
quando la Signora le era apparsa alla grotta aveva
intorno una luce dolce. Ricordate, monsieur, quando a
Massabielle la ragazza ha mangiato le foglie che aveva
staccato dagli arbusti? Le hanno contestato che quel
gesto non sembrava affatto degno della Santa Vergine.
Prontissima, Bernadette ha replicato che in fondo tutti
noi mangiamo l’insalata e dunque non c’era di che
107
scandalizzarsi. Come vedete, la petite si rivela sempre
vivace e arguta. »
«Fourcade» concludeva il dottore «ha riferito
anche che due lacrimoni hanno solcato le gote di mon
signor Laurence allorché Bernadette ha ricostruito
davanti alla Commissione d’inchiesta l’apparizione del
25 marzo 1858. Ricorderete che fu l’occasione in cui la
Signora rivelò alla nostra giovane amica di essere l’Im
macolata Concezione. Personalmente sono perfetta
mente d’accordo con l’abate Pomian il quale afferma
che Bernadette stessa costituisce la prova migliore del
le apparizioni.»
La storia di Lourdes e di quella giovane aveva già
superato i confini di Francia. Un gruppo di signore
della nobiltà piemontese s’era recato in pellegrinaggio
a Lourdes e al ritorno la loro testimonianza aveva
amplificato a Torino e Genova il fascino di quella città
pirenaica. Quanto a lui, continuava a definirla in cuor
suo una storia locale.
Rientrò al suo gruppo di guerra che stringeva d’as
sedio le ultime truppe borboniche asserragliate a Gae
ta. Il tre febbraio 1861, esattamente dieci giorni prima
che la fortezza cadesse, una palla gli entrò nel fianco e
per diversi giorni restò in pericolo di vita.
Alla fine di marzo, convalescente e non del tutto in
forze, risalì la penisola per far ritorno a Torino dove
intanto s’era riunito il nuovo parlamento che, con le
rappresentanze di tutte le province annesse, il dicias
sette di quel mese aveva acclamato re d’Italia Vittorio
Emanuele II di Savoia.
Con la moglie si trasferì per un lungo periodo di
riposo in Lomellina, ospite dei suoceri. E nelle calde
distese della pianura Padana finalmente il suo corpo si
risanò. Fu un’ottima pausa ristoratrice e la vita all’aria
aperta aveva contribuito del resto a creare in lui nuovi
interessi. I modi franchi, l’estrema cordialità delle genti
lombarde fecero sorgere in lui una più profonda e per
108
sino intima convinzione sull’unità, soprattutto umana,
che finalmente legava gli italiani. Avrebbe rivisto Tori
no solo nel febbraio dell’anno successivo.
Il professor Dufour gli aveva inviato da Tarbes il
numero del giornale « L ’Ere impériale» che annuncia
va la pastorale dell’arcivescovo.
Il 18 gennaio 1862 Bertrand Sévère Laurence, per
misericordia divina e la grazia della Santa sede aposto
lica, vescovo di Tarbes, assistente al trono pontificio
eccetera aveva dichiarato che l’Immacolata Madre di
Dio era realmente apparsa a Bernadette nella grotta di
Massabielle.
Verso la metà di quella calda estate del 1862 una
lettera di Jean-Baptiste Estrade gli portava altre notizie
su Lourdes. Il ventotto di aprile Bernadette era stata in
punto di morte e le era stata somministrata l’estrema
unzione.
«La giovane Soubirous era veramente allo stremo »
scriveva Estrade « e fu appena possibile farle inghiotti
re l’ostia e un po’ d’acqua della grotta di Massabielle.
Ebbene monsieur, Bernadette ha mutato aspetto all’i
stante. Con un sorriso ha chiesto di alzarsi dal letto,
voleva anche mangiare qualcosa. Come già sapete la
giovane è ormai pensionata dell’ospizio e l’indomani il
dottor Balencie che ne assiste gli ospiti s’è molto stupi
to di vederla già in piedi e vitalissima. Ammiccando le
ha detto che le medicine da lui consigliate evidente
mente avevano avuto effetto. Immaginate, invece, la
sua sbrpresa quando Bernadette gli ha confessato di
non averne, al contrario, presa nessuna. A Lourdes,
monsieur, tutti parlano d’un miracolo. »
«Ho parlato io stesso con Bernadette» aggiungeva
Estrade « e lei m’ha allegramente confessato che il dot
tor Balencie con ogni probabilità aveva confuso il suo
male con qualcos’altro. Avrei potuto morire, ha escla
mato, e se cadessi malata un’altra volta lo pregherò di
fare molta attenzione. »
109
Estrade concludeva invitandolo presto al villaggio
per riprendere i conversari e scambiarsi i rispettivi
punti di vista.
Il 12 ottobre di quell’anno sua moglie partorì una
coppia di gemelli, un maschio e una femmina, che
davano così nuovo corso alla sua esistenza. Nel frat
tempo aveva già avviato trattative per trasferirsi a
Firenze dove il professore G. lo chiamava per affidargli
compiti di coordinamento nelle attività letterarie d’una
nuova casa editrice che affiancava gli studi e le ricerche
filologiche e storiche dell’ateneo toscano.
Nel gennaio del 1863 arrivò con la famiglia in riva
all’Arno, prendendo possesso d’una bella e ariosa casa
vicino al ponte dei negozi sul fiume.
Per dieci anni respirò il clima culturale e artistico
dell’ex capitale della Toscana, annessa al paese con il
plebiscito del marzo e nel giugno di due anni appresso
divenuta nuova capitale del regno d’Italia, legandosi
d’amicizia con gli intellettuali prodigiosi che questa
terra ha sempre rivelato o ospitato.
Furono anni proficui anche per il suo lavoro e le
ricerche che via via estendeva a campi paralleli a quelli
che più amava. La ricca consistenza degli archivi esi
stenti in Firenze, la consuetudine agli scambi con altri
studiosi venuti dall’estero gli consentivano utili contat
ti e agevolarono non poco il fatto ch’egli godesse d’una
profonda tranquillità d’animo. Ma quella, del resto, già
esisteva tra le mura domestiche, grazie alla serenità e
alla gioviale allegria di sua moglie.
Era tollerante per scelta, non scettico. Senza alcuna
fatica conservava con lei rapporti di dialogo assai
ampio sulle questioni religiose. Provenendo da una
famiglia con solide tradizioni cattoliche, sua moglie
affermava che credere non è solo un fatto di fede ma
soprattutto un preciso scopo morale. La sua fede era
peraltro scevra di qualsiasi bigottismo.
110
«Nella tua fede» sottolineava talvolta « c ’è traccia
del pragmatismo lombardo e la cosa non mi dispiace
affatto. »
«Ma anche da te, che sei uno storico, dovrebbe
essere accettata» replicava lei sorridendo «la realtà
della vita di Gesù. Dalle vecchie carte che consulti
negli archivi ricavi testimonianze e conferme accettabi
li su fatti e persone vissute in un certo periodo. Non
capisco, allora, quali possano essere i motivi che t’im
pediscono di trovare le stesse conferme dalle testimo
nianze, e sono tante e diverse, che esistono sulla storia
della fede cristiana. »
«Nei miei studi» obiettava lui «non ricavo certezze
indiscutibili, come quelle per intenderci che sono tipi
che d’una fede. Le antiche carte servono a ricostruire
fatti e vicende degli uomini che quegli avvenimenti
hanno contribuito a determinare e realizzarsi. »
Se le posizioni e i giudizi erano differenti non per
questo, comunque, risultavano contrastanti. C ’era
rispetto reciproco e non le impediva certo che i loro
figli venissero istruiti e allevati secondo gli intendimen
ti cristiani.
«Toccherà poi a loro» avvertiva sua moglie «valu
tare quando saranno cresciuti la proponibilità o l’esi
genza dei principi di fede che gli dai. »
Nel 1869 gli venne offerta una cattedra all’universi
tà. La scelta, che senza dubbio l’onorava, gli creò uno
strano malessere interiore. Ormai avvezzo alla tranquil
lità dei suoi studi e ricerche, temeva che l’incarico e gli
obblighi e doveri annessi potessero allontanarlo dai
suoi interessi specifici. Chiese consiglio in famiglia e
scoprì in sua moglie un mentore attento e premuroso.
«Devi certamente valutarne pregi e difetti. Ti con
siglio di non declinare l’invito che, indubbiamente, è
anche riconoscimento per i tuoi meriti e il tuo lavoro.
Sulla base della mia saggezza lombarda, come spesso
mi bighelloni, posso solo ricordarti che l’eventuale
111
limitazione alla tua libertà di studioso è, se mai, un
giusto e doveroso prezzo da pagare. »
Prese tempo per la risposta con le autorità accade
miche. E per un’intera settimana il rovello d’una deci
sione in un senso o nell’altro s’era trasformato in
autentico fastidio. Infine, un lunedì ricevette un invito
che si prestava egregiamente a toglierlo dall’imbarazzo.
Almeno momentaneamente.
L ’Académie di Tolosa, a suo tempo informata dal
professore Dufour di Tarbes sui suoi studi circa i fatti
religiosi del sedicesimo secolo nel sud della Francia, lo
invitava al convegno che, in agosto, si sarebbe tenuto a
Pau sulla rivolta degli Ugonotti che nel 1620 portarono
all’occupazione da parte di Luigi XIII e all’annessione
alla Francia.
Chiese al senato accademico la possibilità di rinvia
re all’autunno la sua risposta. Prima voleva infatti
recarsi a Pau per attingere nuovi documenti che rivesti
vano per lui grande interesse. Avrebbe cosr, tra l’altro,
potuto aggiornare la precedente memoria pubblicata a
Milano dieci anni prima. Non incontrò ostacoli, l’uni
versità accolse la sua richiesta. La risposta poteva dun
que essere rinviata di qualche mese. Sua moglie
l’avrebbe accompagnato a Pau.
«Lasceremo i bambini» stabilì sua moglie «dai
nonni, in Lomellina. Per loro sarà uno spasso starsene
tutto il giorno all’aperto nei campi. Certamente, saran
no viziati ma un po’ d’aria buona gli farà bene. E poi,
vedi. La fortuna t’ha fatto uscire dalle angustie, quel
l’invito è quanto di meglio potesse capitare a uno stori
co che, però, non mi pare così tanto sicuro di sé. Alme
no ifi questo momento. »
Lasciarono Firenze alla fine di giugno per raggiun
gere la casa dei suoceri. A metà luglio, dopo una sosta
rinfrancante nelle ricche ma torride campagne della
Lombardia, raggiunsero Genova.
112
L ’« Avvisatore Italiano» s’era trasformato in biset
timanale, ma non era più la nobile e autorevole gazzet
ta liberale cui aveva collaborato molti anni prima. Ora
usciva con un’altra testata, si autodefiniva « L ’Indipen
dente» e era diretto da un nipote del fondatore. In
superficie il giornale conservava indubbiamente uno
stile tollerante, ma sulle sue pagine ormai avevano mol
ta influenza i circoli economici d’una nuova borghesia
che gravitava attorno ai commerci e alle nuove indu
strie che stavano sorgendo.
Presentò sua moglie alla marchesa Cambiaso e agli
altri numerosi amici nella città ligure. E durante una di
queste visite conobbe il direttore del «Corriere Mer
cantile», un foglio di avvisi marittimi e commerciali,
sul quale combatteva robuste battaglie perché, gli dis
se, l’Italia doveva essere unita oltre che per territorio
anche e soprattutto nelle coscienze di genti che dove
vano guardare al futuro.
Gli offrì una collaborazione al giornale e sapendo
che si sarebbe recato in Francia gli chiese se poteva
mandargli qualche articolo da Nizza, diventata france
se con il referendum dell’aprile 1860 dopo il trattato di
Torino.
«Nizza ormai è persa per l’Italia» commentò con
calore il direttore del «Corriere Mercantile» «m a so
che c’è gente che ancora si batte per riportarla nel
regno. »
Accettò l’incarico e, d’accordo con sua moglie, si
fermò tra Mentone e Nizza fino al quattro di agosto
data alla quale ripartirono per il convegno di Pau.
Avrebbero approfittato di alcuni giorni per fare una
sosta a Tarbes e un’escursione a Lourdes, ormai colle
gata per ferrovia.
A Tarbes il professor Dufour li accolse con rinno
vata simpatia.
«Monsieur, se vuole» preannuncio amabilmente
«sono subito disponibile a fissarle gli appuntamenti
113
necessari perché lei possa consultare quelle carte di cui
già le ho parlato in una mia vecchia lettera. »
Mostrò a sua moglie alcuni dagherrotipi che ritrae
vano Bernadette Soubirous in posa mistica.
Monsieur e madame Massy avevano lasciato Tar
bes, il prefetto era stato richiamato nella capitale e
assegnato a altri incarichi. L ’ambiente dell’hotel in cui
aveva alloggiato al tempo della sua prima sosta in città
non era granché mutato, salvo per il fatto che ora i
proprietari non erano più quelli d’una volta. A sua
moglie piacquero quei vecchi amici del marito e la cor
dialità della gente. Si sentiva insomma a suo agio e lo
dimostrava.
«E una piccola città, ma apprezzo molto che non vi
si facciano pettegolezzi o chiacchiere inutili. »
Dopo due giorni raggiunsero Lourdes. Pierre
Dozous e Jean-Baptiste Estrade erano andati ad acco
glierli alla stazione. Antoine Clarens era confinato a
casa per una preoccupante febbriciattola che il dottore
cercava, ma con scarsa fortuna disse, di combattere da
una decina di giorni.
Ritrovò il dottor Dozous stanco e provato. Aveva
superato la settantina e se ne avvertiva l’affaticamento,
anche se conservava una mente lucidissima e spiritosa.
Jean-Baptiste Estrade sfiorava la cinquantina ma aveva
una figura snella e si teneva in buona salute.
«Monsieur, sto dedicandomi a qualcosa di nuovo »
l’awertì «e così compilo una serie di testimonianze
intime sulle apparizioni a Massabielle. »
Madame Lacrampe li accolse con entusiasmo. Dal
padre, scomparso da qualche anno, aveva ereditato
l’intera conduzione dell’Hotel des Pyrénées e in quel
l’incarico riversava un indiscutibile talento. Ben presto
stabilì con sua moglie un’intesa perfetta, che andava
ben oltre le solite compiacenze che di norma esistono
tra donne.
E gli altri amici?
114
« L ’abate Peyramale» informò Estrade « conduce la
vita abituale d’un parroco che deve affrontare tanti e
così grossi problemi in una zona, come questa, dove la
povertà purtroppo è una consuetudine. »
Al Café Frangais le discussioni erano molto meno
accese d’un tempo.
«Ai tavoli siedono facce nuove» sentenziò Estrade
«e Lourdes, caro amico, è diventata ormai luogo di
transito. Arriva molta gente per visitare la grotta. »
Chiese al dottor Dozous a che punto fosse l’archi
vio sulle malattie più ricorrenti e sulle terapie usate, di
cui gli aveva parlato molti anni prima.
«Ah monsieur, credo d’averlo trascurato per trop
po tempo» rispose lui con stanchezza. « E quasi un’o
pera inutile, seppur mai mi ci sia dedicato con meto
do. »
Jean-Baptiste Estrade fu più ricco di particolari.
Il quattordici ottobre del 1862 erano iniziati i lavori
per la costruzione della cappella a Massabielle.
«Tra gli operai c’era anche» gli disse «Francois
Soubirous. »
Il quattro aprile del 1864 c’era stata infine la prima
processione ufficiale alla grotta.
« C ’erano, monsieur, ventimila persone» sottolineò
l’amico di Lourdes « ma né Bernadette né Peyramale vi
hanno partecipato. Il curato aveva deciso che la ragaz
za doveva restarsene all’ospizio per non essere sottopo
sta alla curiosità popolare. Quanto a lui, proprio nel
giorno della cerimonia trionfale fu costretto a restarse
ne acquattato a letto. Suo fratello, che è medico, mi
rivelò di averlo trovato in uno stato di crisi gravissima.
Il fatto è che al buon curato non rimanevano in saccoc
cia che quarantacinque centesimi e alja fine di quel
mese avrebbe dovuto pagare gli affitti per trentacinque
famiglie poverissime che altrimenti sarebbero state
cacciate sulla strada.»
115
Invitarono Dozous e Estrade a cena all’Hotel des
Pyrénées dove madame Elfrida fece preparare una
tavola speciale nel salone vicino al fumoir. Sua moglie
la invitò a essere del gruppo e lei accettò. La cena fu
davvero eccellente, venne particolarmente apprezzata
un’insalata di patate e uova sode con cetrioli e erbette
di cui sua moglie volle conoscere la ricetta, perfette le
trote, il vino d’ottima qualità. Una mousse delicatissi
ma completò quella cena diventata allegra occasione in
cui dei vecchi e ottimi amici dopo molti anni si ritrova
vano.
«Mia sorella Emmanuélite » si scusò Estrade « in
questi giorni è in vacanza dai nostri parenti che abitano
nei pressi di Bordeaux. Mi dispiace che non possa
conoscere sua moglie.»
Lasciarono le signore in salotto e passarono nel
fumoir dove la conversazione scivolò ancora su fatti,
antichi e recenti, di Lourdes attardandosi di volta in
volta su questo o quel personaggio.
Rievocò con i due amici quelle eh’erano state le più
prossime vicende politiche d’Italia, Dozous si mostrò
molto interessato al lavoro della sua casa editrice. Lui
chiese notizie di quel piccolo paziente per la cui guari
gione il dottore di Lourdes aveva disperato e che fu
invece miracolato, se gli consentivano di usare quel
verbo, dalle visite di Bernadette.
«Intendete parlare, credo, di Jean-Maire Doucet»
accennò Dozous. « Ormai è un ragazzone di dicianno
ve anni e fa il pittore. Dipinge dei quadri per conto
d’un mercante di Tarbes, incisioni colorate sulle appa
rizioni alla grotta. Ma fa anche qualche ritratto su tela
di Bernadette. »
«E non sapete » intervenne Estrade « che la ragazza
ha addirittura ricevuto un’offerta di matrimonio. In
verità la richiesta non è stata fatta direttamente a lei,
ma c’è stata. Un certo de Tricqueville, studente di
medicina a Nantes, mi pare nel marzo di tre anni fa, ha
116
scritto persino all’arcivescovo di Tarbes per sostenere
che voleva ardentemente sposare Bernadette. Il giova
ne ha aggiunto che in caso negativo, se ciò insomma
non fosse stato possibile, avrebbe preferito allora mori
re in solitudine in qualche luogo sperduto del mondo.
Monsieur Laurence, è quanto mi ha riferito il segreta
rio Fourcade, gli ha risposto semplicemente che una
tale richiesta sarebbe stata contraria all’opera voluta
dalla Signora di Lourdes. Non so però se la giovane
Soubirous sia al corrente di questo fatto. »
Si congedarono a notte inoltrata. Madame Elfrida
gli aveva assegnato la camera più confortevole dell’al
bergo. Notò che l’arredamento era stato interamente
rifatto, l’Hotel des Pyrénées aveva adeguato il proprio
stile per accogliere dunque le masse di pellegrini che
frequentavano la città.
«Vorrei anch’io recarmi domani alla grotta e visita
re i luoghi delle apparizioni» annunciò sua moglie.
L ’avrebbe accompagnata a Massabielle.
L ’indomani si svegliarono di buon’ora e fecero colazio
ne nella loro camera. Madame Elfrida gli aveva fatto
recapitare l’ultima copia del «Lavedan». Il giornale
riportava in una pagina interna una breve nota estrapo
lata dal « Quotidien » di Lione in cui si parlava di Lour
des e della sua vita celebrandone anche le numerose
presenze religiose. Rilevò, peraltro senza eccessivo stu
pore, i mutamenti e la diversità dei contenuti. Ormai
erano lontani i tempi in cui sul giornale comparivano
gli scritti corrosivi dell’avvocato Bibé.
In effetti il clima era mutato. Lourdes era cambiata,
non era più e soltanto una piccola e umile cittadina di
montagna e lo testimoniavano quei nuovi alberghi
costruiti per ospitare folle di pellegrini che arrivavano
da ogni parte della Francia e anche dall’estero. Erano
persino sorti i primi ingenui commerci di oggetti d’arti-
gianato locale, i pellegrini potevano acquistare una sor
ta di ricordo profano di quelle visite alla grotta.
Verso le dieci della mattina uscirono dall’albergo e
s’avviarono verso Massabielle, percorrendo l’itinerario
che lui già conosceva. Mostrò a sua moglie, in rue des
Petits Fossés, il tugurio dove avevano vissuto i Soubi
rous. Passarono davanti alla mescita di Sajous, cugino
di Bernadette, che era stata abbellita. Giunsero a Mas
sabielle lungo la nuova strada con argini che il sindaco
Lacadé aveva fatto costruire. Da buon amministratore,
anche se un tempo nemico, s’era ben presto risolto a
118
utilizzare al meglio quella gran massa di persone che
facevano di Lourdes una tappa obbligata di devozione.
Di fronte alla grotta, sulla riva del Gave, era stato
costruito uno spiazzo con pietre e terra battuta, un
cancello delimitava l’ingresso. Il posto aveva perso la
semplicità primitiva, ma l’afflusso continuo di pellegri
ni testimoniava una crescita di pietas per quei luoghi.
All’interno della grotta, nella nicchia da dove la Signo
ra apparve a Bernadette, era stata collocata una statua
in marmo di Carrara.
Sua moglie si mischiò alla piccola folla d’uomini e
donne che recitavano il rosario e attese in fila che arri
vasse il suo turno per entrare nella grotta. Vide che
dalla piccola borsa estraeva un bicchiere di cristallo e
bevve l’acqua della fonte. Rispettava la sua fede, eppu
re si sorprese a osservare quel gesto con occhi partico
larmente teneri.
Si spostò sulla sinistra dello spiazzo, di là poteva
guardare i pellegrini che a Massabielle ritrovavano,
magari, nuova forza o anche la fede. Alzò lo sguardo e
riconobbe la fattoria, distante un’ottantina di metri
dalla grotta, che aveva notato la prima volta ch’era
giunto a Massabielle. Poco più sotto, sulla destra, sul
prato c’era una giovane donna vestita alla maniera abi
tuale della gente dei Pirenei.
Anche la donna stava guardando quel signore e i
loro sguardi s’incrociarono. Ebbe netta la sensazione
d’averla già vista da qualche parte, quel volto gli era
financo familiare e forse anch’essa provava un’identica
sensazione. Vide che incominciava a scendere verso la
grotta, utilizzando un piccolo sentiero tra le rocce, e
senza mai perderlo di vista.
Sua moglie s’era avvicinata e cercava nella borsa
qualcosa. Estrasse dal carnet un foglio di carta gualcito
e glielo mostrò. Era lo schizzo che aveva fatto undici
anni prima a Massabielle, il giorno in cui aveva cono
sciuto Dozous. L ’aveva fatto vedere a sua moglie una
.119
sera, parlandole della sua esperienza a Lourdes. Non
sapeva che lei l’avesse conservato.
«Certo, qui ora è molto diverso e il disegno rivela la
semplicità, la povertà di come era questo posto tanti
anni fa. Però sembra che non abbia per nulla perso le
sue caratteristiche mistiche e sono quelle che del resto
m’avevano già colpito quando tu me lo avevi mostra
to. »
Si girò verso la grotta, confrontando la realtà ch’era
sotto i suoi occhi con le linee approssimate di quel suo
disegno.
«Ho sempre avuto» azzardò lui «pessime qualità
come disegnatore e non avrei mai pensato che questo
scarabocchio potesse rappresentare un’utile mediazio
ne. E mai avrei potuto immaginare che suggerisse quel
le sensazioni mistiche cui alludi...»
«Eppure, vedi tu stesso che è proprio quanto è
avvenuto» replicò lei con un sorriso. «Anzi, si potreb
be già parlare addirittura d’un miracolo, naturalmente
assai piccolo.»
Si avviarono verso Lourdes e incrociarono nuovi
pellegrini diretti alla grotta, alcuni erano molto malati e
venivano trasportati in barella.
Sentì una mano sulla spalla e si girò.
«Perdonatemi monsieur» disse la giovane donna
« non vi ricordate di me? »
La riconobbe, era la giovane che aveva osservato
davanti alla fattoria poco distante da Massabielle. Era
scesa e li aveva raggiunti.
«Ho la sensazione» rispose «d i avervi già visto,
sento che la vostra faccia mi è familiare ma non riesco a
ricollegarvi un ricordo prèciso. »
«Sono Rorò, la ragazzetta che molti anni fa racco
glieva la legna in questa zona. Ricordate ora? Abbiamo
parlato insieme proprio qui. C ’era anche il medico di
Lourdes. »
120
Riemergevano i ricordi dalla memoria, ora aveva
finalmente un riferimento preciso, una cornice in cui
collocare quel viso. Rorò disse che s’era sposata e ora
abitava nella fattoria degli Espélugues, quella situata
proprio in alto sulla grotta. S’era accasata cinque anni
prima, alla fine d’aprile del 1864. Li invitò in casa sua.
«Mi sono sposata, monsieur, tre settimane dopo la
prima grande processione a Massabielle. »
Offrì a sua moglie un bicchiere di latte e dei biscot
ti fatti quella mattina, a lui suggerì d’assaggiare del
vino frizzante che il marito aveva portato dalla Spagna.
Rorò era rimasta una giovane semplice e apprezzarono
molto la sua ospitalità e il candore di quell’incontro.
Poi sua moglie, quasi a un tratto, le chiese se avesse
conosciuto Bernadette Soubirous.
«Oh sì madame, ho conosciuto la petite ancor pri
ma che di lei si parlasse per i miracoli di Massabielle. E
ricordo come se fosse oggi quando un giorno venne a
casa mia. Era il periodo della mietitura e allora abitavo
nel villaggio. I miei avevano un campo vicino alla porta
di Baous. Erano i primi d’agosto del 1855, Bernadette
aveva all’incirca dodici anni. Teneva in braccio il fratel
lino più piccolo. »
Rorò s’alzò per prendere dell’altro latte e a lui ver
sò ancora del vino.
«Sì, era proprio l’estate del 1855 e lo ricordo per
ché pochi mesi dopo, in autunno, ci fu l’epidemia di
colera e Bernadette s’ammalò gravemente. Dunque,
sua madre Louise aveva già iniziato a mietere sul cam
po e con lei c’erano un’altra donna e una loro parente.
Sa, madame, erano tempi duri. Le donne che mieteva
no con la falce se venivano anche nutrite lavoravano a
cottimo e guadagnavano venti soldi per un’intera gior
nata. Così Bernadette era venuta a casa nostra per chie
dere se potevamo indicarle dove fosse il campo, disse
che doveva portare il fratellino dalla mamma perché il
piccolo aveva bisogno di succhiare. »
121
Nella stanza s’affacciò un bimbetto d’un paio d’àn-
ni e Rorò lo prese in braccio.
«E mio figlio. Poi ho visto Bernadette» continuò
« altre volte e naturalmente ogni volta che veniva alla
grotta. Ma sono almeno due i ricordi più vivi che ho di
lei. Ad Argelès c’era un mio zio vicario ch’era amico
del viceprefetto, e la moglie di quel gran signore una
volta gli chiese se potesse procurarle il modo di vedere
Bernadette. Mio zio disse che la cosa era abbastanza
facile perché la ragazza stava presso le suore di Nevers
che reggevano l’ospizio, dunque a due passi da casa
nostra. Così accompagnò la signora da noi e mi disse di
andare a cercare Bernadette. »
«Ma lei non ha opposto resistenza?» chiese sua
moglie.
«No madame, Bernadette non s’è assolutamente
rifiutata e poi le suore avevano dato anche il permesso.
La mia amica, questo è vero, è sempre stata ligia alla
disciplina ma quella volta, se è questo che madame
vuol sapere, è venuta con me senza farsi pregare. Ha
risposto in modo semplice alle domande che la signora
di Argelès le rivolgeva. Ricordo però che quando le ha
chiesto notizie sui segreti affidatile dalla Signora alla
grotta Bernadette ha subito cambiato espressione.
S’era alzata di colpo e messa la mano sul petto. Alla
moglie del viceprefetto ha risposto decisa che quei
segreti li teneva per sé. »
Rorò chiese se volessero assaggiare qualche altro
biscotto e bere un altro bicchiere. Andò nell’altra stan
za della fattoria e mise nella culla il figlioletto. Poi
riprese il racconto.
«Comunque, il ricordo più bello risale al giorno del
mio matrimonio. Pioveva a dirotto e mia nonna disse
che occorrevano degli ombrelli perché i nostri, quelli
grandi e blu da contadini, non erano adatti per un
matrimonio. Allora andai a chiederne qualcuno in pre
stito alle suore dell’ospizio. Ero già agghindata con il
122
mio abito da sposa, niente di speciale ma era un vestito
semplice e adatto per l’occasione. Portavo sulla testa il
fazzoletto di seta, indossavo una camicetta bianca di
seta ricamata, chiusa al collo da un nastrino rosa, e la
sottana blu. E suor Aurélie mi ha prestato tre ombrelli.
Io le chiesi anche se potevo vedere Bernadette. La mia
amica era a letto, sofferente, appoggiava la testa su due
cuscini che le consentivano a malapena di respirare.
Aveva avuto una crisi fortissima di tosse. Le dissi ch’e
ro andata a salutarla e che proprio quel giorno mi spo
savo. L ’informai che sarei venuta a abitare qui alla fat
toria, vicino alla grotta...»
La commozione stava prendendo il sopravvento.
Rorò aveva gli occhi umidi. Chiese scusa. Poi, al gesto,
quasi una carezza affettuosa, di sua moglie che cercò di
distrarla riuscì a controllarsi.
«Bernadette fu sorpresa ma si mostrò molto felice
perché sarei venuta a abitare vicino a Massabielle.
Madame, in quel momento ho sentito che Bernadette
viveva nel ricordo delle visioni, come se fosse stretta-
mente legata a quest’angolo di terra. Sollevò la testa e
con allegria mi disse che in quel modo avrei avuto la
possibilità di andare spesso alla grotta e così, mi chiese,
avrei pregato la Santa Vergine anche per lei. Bernadet
te ripetè molte volte questa raccomandazione, respira
va con grande fatica eppure vedevo che una gioia
immensa la percorreva. Mi tese la mano, la sua piccola
mano, e mi salutò. Madame, quell’addio è stata l’ulti
ma parola che ho udito dalle sue labbra. »
Sua moglie aveva seguito con estrema attenzione il
racconto di Rorò. Non aveva fatto domande e non era
mai intervenuta per vedersi soddisfatta qualche curio
sità. Come se non volesse in qualche modo violare, lei
stessa lo confermò in seguito, la suggestione di quei
ricordi intimi e personali. Si congedarono dalla giova
ne donna.
123
«Rorò» gli fece rilevare sulla strada del ritornò a
Lourdes, «ha avuto la fortuna e la gioia di conoscere
da vicino Bernadette. Ne conserva un ricordo diretto, è
una zona della sua anima in cui gli estranei non debbo
no intromettersi.»
All’Hotel des Pyrénées trovarono una piccola deli
ziosa tavola preparata per loro. Al centro di essa un
mazzetto di fiori di campo faceva scintillare colori cari
chi d’estate. Madame Lacrampe andò più volte a infor
marsi se poteva esaudire nuovi desideri. Poteva osser
vare che fra lei e sua moglie il rapporto diventava con
estrema facilità amichevole. Chiese di Marie, la came
riera che lavorava in albergo all’epoca del suo primo
soggiorno a Lourdes.
«Marie non è più con noi. S’è sposata, monsieur,
con un bravo giovane di Cauterete » ammiccò con iro
nia madame Elfrida « e dunque si può dire che è passa
ta a migliori acque. »
Alludeva, implicitamente e con un discutibile gioco
di parole, al fatto che Cauterete era nota per le sue
fonti termali; quasi volesse far intendere che l’acqua di
Lourdes aveva, se mai, effetti terapeutici d’altro gene
re. L ’antica delusione provata quando Bernadette ave
va bevuto per la prima volta l’acqua, fangosa, di Massa-
bielle non aveva lasciato, sotto sotto, indenne madame
Lacrampe.
«Il suo posto» spiegò «è stato preso da Isabeline.
E a proposito, monsieur, anche Isabeline può snoccio
larvi i suoi ricordi su Bernadette. »
Dopo aver pranzato uscirono nel cortile che era
stato trasformato in un patio. Alcune frasche stese su
pali lo rendevano accogliente e silenzioso. Isabeline,
accompagnata da madame che gliela presentò, servì
due tazze di caffè nero.
« E a vostra disposizione » quasi le ordinò « per tut
te le domande che vorrete rivolgerle. »
Sua moglie pregò la giovane fantesca di sedersi.
124
«Madame vuole che le parli della mia compagna?
Abitava a due passi da casa mia e tutte le mattine pas
sava davanti alla nostra porta con il cestino sotto il
braccio e sua sorella Marie, ma noi la chiamavano Toi-
nette, al fianco. Bernadette mi chiamava da fuori, io
scendevo e facevamo la strada insieme. »
«Andavate d’accordo?» chiese sua moglie.
«O h sì madame. Con Bernadette era molto facile,
io litigavo ogni tanto con Toinette che non assomiglia
va affatto a sua sorella e era sventata. La mia amica
spesso doveva richiamarla all’ordine e Dio sa che non
mancava mai di farlo. Sapete, Bernadette non avrebbe
mai accondisceso a che si facesse qualcosa di reprensi
bile e non si faceva scrupolo di dire il fatto suo a chiun
que. Era però particolarmente severa con Toinette e
penso che l’avrebbe perfino picchiata per farle inten
dere meglio la lezione. Ma lo stesso avveniva con gli
altri fratellini di cui aveva la responsabilità. »
«Questa era dunque Bernadette?» interruppe sua
moglie.
Isabeline restò perplessa per là domanda e la guar
dò a lungo senza parlare.
«Madame, Bernadette» spiegò quindi «era certo
per una disciplina severa ma era pur sempre la prima a
darne l’esempio e io non l’ho mai colta in fallo. Per
esempio, quando le suore ci mettevano in fila per con
durci in chiesa lei andava diritta per la sua strada, senza
girarsi né a destra né a sinistra. Certo, Bernadette non è
mai stata di tante parole; parlava poco e questo fatto
poteva dare l’impressione che si disinteressasse del
discorso. Ma non era così. Un giorno udii alcune com
pagne affermare che forse Bernadette non capiva, cioè
era poco intelligente. Gli ho risposto immediatamente
che se mai qualcuno avesse detto non so che d’ingiusto
si sarebbe subito accorto che Bernadette era prontissi
ma a riprenderlo. Ed è proprio quanto avveniva pun
tualmente. »
125
Isabeline andò a prendere un ventaglio e lo offrì a
sua moglie. Si rivelava piena di premura. Nel cortile la
frescura portata dalle frasche era sufficiente ma l’assen
za d’un filo d’aria contribuiva a far sentire comunque
la calura. Le chiese se potesse portargli una limonata.
«Indubbiamente una ragazza molto pia» suggerì
alla moglie «m a come si vede Bernadette è anche un
tipino con il suo carattere. »
« E non c’è da stupirsene» rispose lei «proprio per
ché chi è armato di fede profonda, accanto alla sempli
cità, naturalmente deve conservare altrettanta forza di
carattere. »
Isabeline tornò con una brocca piena di limonata e
sedendosi riannodò il filo dei suoi ricordi.
« Quel rigore peraltro non impediva che Bernadet
te riuscisse simpatica a tutti. In lei c’era, come dire,
qualcosa che la faceva amare. Soprattutto, madame,
stupiva per il comportamento e la saggezza e colpiva
specialmente il fatto che era rimasta molto semplice,
quella di sempre, anche dopo le apparizioni. Insomma,
aveva visto la Madonna ma quella cosa straordinaria
non le aveva affatto montato la testa,- in realtà Berna
dette era rimasta quella d’una volta. Va da sé che aves
se un carattere come ce ne sono pochi, ma non ha mai
avuto paura di nessuno. Non c’è neppure bisogno di
dire che tutti gli abitanti di Lourdes volevano cono
scerla, vederla di persona. Ricordo che una mia zia
venne un giorno a trovarci e mi chiese se potevo con
durre Bernadette a casa nostra. E io, al ritorno da scuo
la, ce la portai; così gli zii poterono accapparrarsela per
un po’, come dire guardarsela a loro agio. Alla fine
erano così felici che mia zia mi regalò dieci soldi.
Madame erano molti soldi a quell’epoca, anche se la
zia era ricca. »
A metà pomeriggio, con sua moglie e in compagnia
di Jean-Baptiste Estrade fecero visita all’abate Peyra
male. Lo rivide invecchiato, notevolmente incurvato
126
nella persona. Fastidiosi acciacchi reumatici ne aveva
no intaccato la solida costituzione. Dominique Peyra
male era più giovane, di parecchio, del dottor Dozous
ma gli somigliava assai da vicino per aspetto e stan
chezza. Il curato li accolse con misurata allegria e fu
molto cortese con sua moglie.
«Madame, il matrimonio» le chiese con arguzia «è
finalmente riuscito a far sì che suo marito abbandonas
se i dubbi dello storico accettando quindi senza scru
poli il miracolo della fede? »
«Certo questo non posso affermarlo» replicò lei
con un velo di civetteria « ma, mio caro abate, ho buo
ne speranze. Mi auguro sinceramente che lui possa
arrivare a credere senza dovere, come invece sostiene,
accettarne o subire il mistero. »
Ricordando che aveva apprezzato il vino aromatico
preparato dalla sorella, Peyramale gliene offrì un bic
chiere. A sua moglie e a Estrade servì una tazza di cioc
colata. Seduti nell’angolo più fresco della casa, il
discorso s’avviò sulle condizioni delle genti di Lourdes
e sulla nuova realtà rappresentata dalla cappella alla
grotta di Lourdes.
«Il miracolo dell’abolizione della miseria» com
mentò il curato «certo monsieur non è stato ancora
fatto. Ma lo spirito che ci viene dalla grazia di Dio ha
almeno rinvigorito la nostra buona gente. A mio avvi
so, infine, le stesse prove cui siamo tutti i giorni sotto
posti rappresentano il simbolo più autentico del nostro
esser cristiani. »
L ’abate si alzò e si diresse alla scrivania per pren
dervi la tabacchiera. Annusò una presa e ritornò a se
dersi vicino a loro.
« Bernadette ora è tranquilla, lontana dalle curiosi
tà del mondo e dall’assillo di troppi e interessati visita
tori. Monsieur, voglio raccontarvi un episodio. Il venti
sette settembre del 1863 venne a Lourdes il vescovo di
Nevers, monsignor Forcade, per interrogare la ragazza
127
sul suo avvenire. Monsignore le chiese cosa voleva di
ventare e Bernadette rispose che non voleva diventare
proprio niente. Capite, niente semplicemente. Il vesco
vo allora replicò che ciò era impossibile e che in questo
mondo bisogna pur fare qualcosa. Ma Bernadette ag
giunse che si sentiva felice perché era, all’epoca, presso
le suore. Forcade ribattè che per essere definitivamente
ammesse nella comunità delle religiose bisognava al
meno essere suora e, dunque, per Bernadette la con
clusione poteva essere quella di trovare nel mondo un
impiego civile decente. Monsieur, Bernadette rifiutò
subito e con estrema energia quell’ipotesi. »
Peyramale gli versò dell’altro vino aromatico nel
bicchiere e chiese a sua moglie e a Estrade se desideras
sero qualcos’altro, magari di fresco.
«Bene. A quel punto monsignor vescovo chiese
perché mai Bernadette non si facesse suora ma lei
rispose che ciò era impossibile per l’estrema povertà
della famiglia, che non le avrebbe mai consentito di
portare una dote al convento. Forcade la rassicurò,
dicendole che la chiesa accetta anche senza dote quelle
giovani povere in cui però esiste una vocazione autenti
ca. Bernadette dubitava, sostenendo che anche in un
caso del genere le giovani prescelte erano certo istruite
o almeno abili. Obiettò che nemmeno quello fosse il
suo stato, non essendo proprio buona a fare nulla. Il
vescovo le segnalò bonariamente che comunque l’ave
va pur vista fare qualcosa di utile, per esempio sapeva
grattugiare le carote. Bernadette scoppiò in una risata,
affermando che ciò non era assolutamente difficile. »
« E quello» intervenne Estrade «fu già, comunque,
un piccolo passo verso la vocazione di Bernadette.
Monsignor Forcade garantì alla ragazza che prima o
poi si sarebbe ben trovato un lavoro in cui utilizzarla.
Le disse inoltre che al noviziato le avrebbero fornito
buona parte dell’istruzione che le mancava. »
Dominique Peyramale riavvitò il suo racconto.
128
«Bernadette rispose allora che avrebbe riflettuto
ma che, comunque, non si sentiva ancora pronta. D ’al
tra parte un compito per lei esisteva già. Da parecchi
mesi, per sua stessa richiesta, la petite veniva impiegata
all’ospizio nell’assistenza ai malati più gravi e coperti
dalle piaghe maggiormente purulente. E Bernadette,
monsieur lo posso garantire avendola vista all’opera,
svolgeva i suoi compiti con grande carità. Poi, per una
strana coincidenza, la decisione venne e si trasformò in
certezza il quattro aprile del 1864, nel giorno della pri
ma grande processione ufficiale alla grotta di Massa-
bielle. E la comunicò lei stessa alla superiora dell’ospi
zio, suor Alexandrine Roques, dicendole che desidera
va entrare nell’ordine delle suore di Nevers, proprio
quelle che reggevano l’ospizio. Ho parlato con suor
Marie Géraud, giunta a Lourdes per partecipare a
quella processione. La buona religiosa m’informò che
quel giorno Bernadette aveva assistito alla messa nell’o
spizio e suor Marie mi confessò che la luce della voca
zione era stata infusa in Bernadette durante la comu
nione. »
Peyramale s’alzò nuovamente. Andò alla finestra
per avvicinare le tende, in modo che la luce del sole
venisse filtrata e un po’ d’ombra alleviasse il caldo che
stava aumentando. Si rivolse a sua moglie per chiedere
se quelle ciance l’interessassero realmente e in cambio
s’ebbe un sorriso e la preghiera di continuare. L ’abate
fu contento della risposta.
Lui non potè mancare di rilevare, tra sé, come fosse
mutato l’atteggiamento del curato di Lourdes nei con
fronti d’una storia che, al contrario, molti anni prima
l’aveva visto muoversi con estrema cautela, in silenzio,
per non dire con autentica stizza.
« Bernadette ha lasciato Lourdes il quattro luglio di
tre anni fa» stava dicendo. « E partita in treno per
Nevers. Anzi, ho qui la lettera che ha scritto alle sue
amiche. »
129
Dallo scrittoio tirò fuori una busta e lesse lo scritto
che conteneva.
«Madame, c’è il racconto di quella che presumibil
mente è l’unica avventura mondana della nostra giova
ne. »
« Lasciatemi subito dire » esordiva Bernadette nella
lettera alle compagne di Lourdes « come abbiamo fatto
il viaggio. Alle sei di sera, mercoledì 4 luglio, siamo
arrivate a Bordeaux dove ci siamo fermate fino all’una
del pomeriggio di venerdì. Vi prego di credermi,
abbiamo veramente approfittato di questo tempo per
andarcene a spasso. E non a piedi, abbiamo girato in
carrozza. Ci hanno fatto visitare tutte le Case che la
congregazione ha a Bordeaux. Posso confermarvi che
non assomigliano per niente a quella di Lourdes e spe
cialmente l’Istituzione Imperiale. Più che una casa di
religiose la si può definire un vero palazzo. Abbiamo
visitato la chiesa dei carmelitani e da lì ci siamo dirette
al fiume per vedere le navi che scendono lungo la
Garonne. Siamo state anche nel grande parco della cit
tà e vi dirò che ho visto qualcosa di nuovo. Indovinate?
Ho visto pesci neri e rossi, bianchi e grigi e quel che mi
ha più sorpreso è stato il vedere quelle bestioline nuo
tare come se niente fosse davanti a una folla di bambini
che se ne stavano là a guardare. Tutto questo non è
davvero molto bello?»
L ’abate ripiegò il foglio di carta sul quale la scrittu
ra minuta e ordinata di Bernadette aveva descritto per
le amiche del villaggio la sua prima escursione fuori
di Lourdes. Con un cenno discreto sua moglie gli se
gnalò che il curato aveva gli occhi lucidi per la commo
zione.
«Madame, vedete» commentò Jean-Baptiste Estra
de « come la ragazza ha conservato intatta la sua sem
plicità. »
« Su questo » aggiunse Peyramale « non credo che
ci possano essere dubbi. Bernadette ha proprio nella
130
semplicità la sua maggiore ricchezza. Ma voglio anche
mostrarvi la lettera che ha inviato il due gennaio del ’67
all’abate Pomian che era stato fino a tre anni prima il
suo confessore. Bernadette parla di sua madre. Louise
Casterot era morta l’otto dicembre dell’anno prima. »
Il curato lesse lo scritto di Bernadette.
«N on avrei mai creduto che un colpo così forte,
questa pena così grande s’abbattesse presto sul mio
cuore. Reverendo padre, voi non potete immaginare la
sofferenza che ho provato nell’apprendere improvvisa
mente la morte di mia madre...»
« La ragazza » puntualizzò Estrade « era stata infor
mata solo due giorni dopo. »
« Ho saputo della sua morte » continuava Bernadet
te «addirittura prima che qualcuno mi desse notizie
della sua malattia. Capisco che l’hanno fatto per non
darmi dolore, ma il colpo non è stato purtroppo meno
crudele. Il primo pensiero è stato che mia madre non
era più di questo mondo e ho subito offerto questo
sacrificio a Dio implorandolo di volermi accordare la
grazia necessaria per portare con coraggio la croce che
mi veniva presentata. Vi sarò infinitamente riconoscen
te se vorrete, reverendo, aggiungere nelle vostre pre
ghiere un’intenzione fervente per il riposo dell’anima
di mia madre e per i miei parenti. Da parte mia implo
ro il buon Dio a conservarvi in buona salute e sempre
meglio vi colmi delle sue benedizioni affinché possiate
dedicarvi ancora a lungo nell’opera giusta di farlo ama
re. Questi sono i voti e gli auguri che formulo per voi
all’inizio dell’anno.»
«Come si può vedere madame» disse Peyramale
« in Bernadette tutto si manifesta in maniera prodigio
sa. La ragazza ha fatto la sua prima professione di fe
de il 25 ottobre 1866 in articulo mortis. Poi, rimessasi
dalla malattia, ha completato gli studi canonici e il
trenta ottobre dell’anno successivo ha rinnovato la sua
131
professione. Il 25 febbraio di quest’anno, infine, Ber
nadette mi ha scritto e questa è la sua lettera. »
Si scusava con il curato di Lourdes per il ritardo ma
sottolineava che ciò era dovuto alla sua lunga malattia.
«O ggi ho conosciuto una signorina» aggiungeva
Bernadette «che m’ha parlato a lungo di voi e del
vostro viaggio a Roma, perché è proprio in tale occa
sione che vi ha conosciuto. Così ho appreso con gioia
che avete avuto la felicità di vedere il nostro Santo
Padre e gli avete anche parlato. Spero che anch’io,
signor curato di Lourdes, possa meritare una piccola
parte delle benedizioni che avrete sicuramente solleci
tato dal papa per il gregge che vi è stato affidato. Mi
raccomando alle vostre preghiere e chiudo imploran
dovi d’invocare per me, nel sacrificio della messa che
celebrate, la virtù dell’umiltà e un grande spirito di
sacrificio. »
Peyramale andò a riporre nello scrittoio la lettera di
Bernadette.
« E di benedizioni madame ho proprio tanto biso
gno. Perché, nonostante l’afflusso di pellegrini e le
migliori condizioni di vita, la gente di Lourdes è ancora
poverissima. Dio sa se c’è bisogno di aiuti per curare
questo gregge di cristiani. »
Si accomiatarono, con la reciproca promessa di
mantenere ,i contatti epistolari.
«Monsieur, sarò felice di scrivervi» salutò l’abate
mentre li accompagnava all’uscio «e contribuire con
sempre nuove notizie a farvi conoscere ogni fatto di
quella che voi chiamate la storia di Lourdes. »
Rientrarono in città. Sua moglie osservava con
scrupolosa attenzione ogni particolare di quei luoghi.
Seguiva la conversazione tra lui e Estrade eppure appa
riva un po’ estranea, intenta forse a inseguire i propri e
diversi pensieri.
Jean-Baptiste Estrade propose di far visita alla
sorella di Bernadette. Marie, soprannominata Toinette,
132
aveva sposato un certo Joseph Sabathé, soldato in forza
alla guarnigione di Lourdes. Se l’ora l’avesse infine per
messo, sarebbero poi andati a salutare Antoine Cla
rens.
Trovarono Toinette affaccendata intorno alla pic
cola Marie-Bernarde, affettuosamente chiamata Berna
dette, che il dieci agosto avrebbe fatto nove mesi. Era
una bimbetta vispa, ma Estrade gliene fece rimarcare
sottovoce la fragilità.
«L a bimba è malaticcia. Speriamo, monsieur, che
non le capiti nulla. » '
Guardò meglio quella specie di batuffolino e rivol
se all’amico uno sguardo interrogativo per sapere cosa
realmente avesse inteso dire, ma Toinette aveva già
avviato il discorso con sua moglie.
Dalla modestissima credenza situata . nell’angolo
della piccola stanza in cui li aveva accolti recuperò l’ul
tima lettera che un anno prima la sorella le aveva spedi
to da Nevers. Sua moglie ne lesse a voce alta il conte
nuto.
«Amatissima sorella, inizio questa lettera con l’au
gurio d’un buon alleluja per te e tutti i parenti, ti prego
di abbracciarli e dirgli mille cose affettuose da parte
mia. Non dimenticarmi con i bambini che adoro, rac
comandagli di essere davvero giudiziosi. E ogni giorno
mi dedichino un piccolo pensiero, specialmente ogni
volta che si recano alla grotta. Avrei scritto a tuo mari
to Joseph in occasione della sua festa, se fosse caduta
fuori Quaresima. Digli però che non l’ho dimenticato e
ho pregato a lungo per lui. Ho chiesto a san Joseph di
farne un cristiano fervente e ho chiesto la stessa cosa
per tutti i membri della nostra famiglia. Poiché san
Joseph è patrono della buona morte gli ho chiesto di
accordarne anche una uguale a me, a tutti noi. Quanto
a me non preoccupatevi, la salute è veramente buona e
vi saluto con un abbraccio affettuoso. Prego Pierre, il
133
mio fratellino che è anche il mio figlioccio, di dare a.
nome mio tre grossi baci a nostro padre. »
Marie-Toinette non potè trattenere le lacrime.
«M ia sorella ha sempre avuto un attaccamento
profondo per la famiglia. Credo che proprio questo,
insieme alle gioie che ha provato alla grotta, sia uno dei
suoi...»
Aggiunse un termine in patois che Estrade pronta
mente tradusse.
«Ecco, sì. Uno dei suoi punti fermi, ha sempre
parole buone e piene d’affetto per tutti noi. Bernadette
per noi, madame, è come il miele. »
Uscirono dalla casa di Toinette Sabathé e s’avviaro
no verso rue du Porche dove il porticato attutiva in
qualche misura la grande afa. Sua moglie ripetè più
volte la frase di Toinette.
« Bernadette per noi è come il miele. »
L ’accompagnarono in albergo e madame Elfrida
l’invitò a gustarsi una tazza di tè. Con Jean-Baptiste
Estrade lui fece una capatina al Café Francis. L ’indo
mani, era ormai deciso, sarebbero rientrati a Tarbes,
con il treno delle due e trenta del pomeriggio, per farvi
una sosta d’uno o due giorni. Infine avrebbero prose
guito per Pau dove l’attendevano i lavori del Convegno
sulla rivolta degli Ugonotti.
In mattinata, prima di lasciare Lourdes, andarono a
far visita a Antoine Clarens. Il suo vecchio amico era
ancora febbricitante e molto affaticato.
«V i porgo i saluti anche a nome del dottor Dozous
che un’ora fa è venuto a rovistarmi nelle ossa. Il dotto
re si scusa monsieur, ma ha un impegno urgente. S’è
recato in una fattoria fuori Lourdes e il contrattempo
gli impedirà di salutarvi di persona. M’ha pregato di
avvertirvi che farà almeno ammenda con madame scri
vendovi all’indirizzo in Italia. »
Clarens rievocò con lui i tempi della semplicità di
Lourdes, di quando il villaggio era soprattutto povero
e onesto. Poi si rivolse a sua moglie.
134
«In questi dieci anni molte cose sono cambiate. A
Lourdes arrivano molti pellegrini e inevitabilmente,
aldilà della devozione, s’è dovuto pensare anche a
come accoglierli. Ora ci sono parecchi nuovi alberghi,
qualche locanda a miglior prezzo li conforta sulla stra
da della fede. Sono sorti piccoli commerci e anche que
sto risolleva in parte alcuni dalla miseria più nera. Ma
sono comparsi purtroppo anche traffici su presunti
oggetti sacri. Dieci anni addietro, e vostro marito lo
ricorderà, la gente cercava con umiltà di toccare le
vesti di Bernadette. Qualcuno le aveva persino chiesto
di benedire immagini sante ma lei ha sempre rifiutato
sdegnata. Poi, madame, s’era passati al trucco, addirit
tura da parte di certi monsignori, di farle scrivere
magari una frase sopra un santino. Piano piano siamo
così giunti adesso alla vendita della sua fotografia. A un
franco ognuna. Anche Peyramale se ne adombra e con
divido appieno la posizione del nostro curato. »
Clarens spiegò che nel febbraio dell’anno prece
dente un certo Provost, fotografo di Tolosa, con l’auto
rizzazione del vescovo di Nevers, s’era presentato al
convento che ospitava Bernadette. L ’ha fotografata
con l’abito da suora e anche con il costume tipico dei
Pirenei, quello con il quale la ragazza era arrivata a
Nevers. Provost sosteneva che le immagini sarebbero
state vendute ai pellegrini di Lourdes e il ricavato
sarebbe servito per costruire la cappella dell’Appari
zione.
«Madame, il curato ha scritto una lettera dura alla
ragazza. Mi pare che fosse in novembre. Peyramale con
tutta probabilità non v’ha accennato della cosa perché
nel frattempo le cose sono fortunatamente cambiate. Il
curato, comunque, invitava Bernadette a essere estre
mamente riservata nella sua corrispondenza pur appro
vando che la petite s’era rifiutata di scrivere una specie
di storia delle apparizioni. Infatti, c’è già quella di
Henry Lasserre e ne avanza. L ’abate, peraltro, l’ha rim
135
proverata per quelle fotografie destinate a essere espó
ste nelle vetrine dei negozi. »
«Ricordo che Peyramale» aggiunse con un sorriso
«m i disse che la ragazza per quello era già stata del
resto punita. Tant’è vero, mi disse, che io stesso non
l’ho neppure riconosciuta nel ritratto che le ha fatto
Provost. Monsieur, la missione di Bernadette alla grot
ta è finita ma la ragazza deve lavorare per la propria
santità. Soprattutto deve vivere nella fede un’esistenza
riconoscente per le grazie che le sono state concesse. »
Antoine Clarens chiamò la governante e ordinò che
cercasse nel cassetto dello scrittoio una carta.
« E una lettera che Bernadette ha scritto al padre di
Léontine Mouret, io l’ho solo ricopiata. Léontine, ora
suor Alexandrine, è la giovane che riuscì a partire
insieme a Bernadette alla volta di Nevers solo dopo
aver superato l’opposizione del padre. Mouret non
voleva che entrasse in convento. Ah, ecco la lettera. E
del 26 maggio 1866. Il 19 maggio, sabato e vigilia di
Pentecoste, c’era stata l’inaugurazione della cripta e
monsignor Laurence aveva consacrato i cinque altari e
vi aveva celebrato la prima messa. Due giorni dopo, il
lunedì di Pentecoste, era seguita l’apertura del culto
alla grotta con la prima messa pontificale e il sermone
tenuto da padre Duboé, alla quale aveva partecipato
anche Bernadette. Ebbene, madame legga quanto la
nostra amica scriveva a Mouret. »
« Non siate stupito di ricevere una mia lettera » ini
ziava Bernadette « ma conoscendo il vivissimo deside
rio di vostra figlia per entrare nella comunità vi chiedo,
monsieur Mouret, l’impegno a un consenso che sarà
solo fonte della sua felicità. So bene di chiedere un
grosso sacrificio a un padre e a una madre. Però, siate
generosi con il buon Dio che, in quanto a generosità,
non si lascia vincere. E poiché Lui stesso lo chiede siate
disponibili e Dio lo sarà con voi. Vi assicuro che un
giorno vi compenserà per questo piccolo sacrificio. Del
136
resto, accettereste sacrifici più grandi per affidare la
vostra amata figlia a un qualsiasi sconosciuto, perdipiù
rendendola triste, e la rifiutereste invece al re del Cie
lo? No monsieur Mouret, so che siete un uomo molto
pio e non vi comporterete in questo modo. So che un
giorno ringrazierete il Padreterno per la grazia che vi fa
e che è poi quella che vostra figlia conosce già così
bene. »
«Come vede, madame» osservò Antoine Clarens
« Bernadette ha carattere e si capisce perché Peyramale
giustamente si preoccupasse per certe novità. Ma ora
tutto è a buon fine e Bernadette è veramente al sicu
ro. »
Restarono ancora un poco da lui e ne approfittò
per chiedergli notizie sugli appunti che, come gli aveva
scritto, regolarmente prendeva sui fatti di Lourdes.
« Il fatto stesso » rispose con una punta di brio Cla
rens « che Lourdes sia ormai meta di pellegrini, insom
ma una tappa di fede rappresenta davvero mio caro
amico un ottimo spunto quotidiano d’indagini e note-
relle. Ma per quanto mi riguarda posso dirvi che nei
miei appunti non c’è alcuna pretesa. Più che altro si
tratta d’un giornale intimo che aggiorno di quando in
quando. »
Nel pomeriggio lasciarono Lourdes per fare ritorno
a Tarbes. Altri contatti epistolari avrebbero in seguito
ancor meglio cementato i legami con la città e con gli
amici che ormai non erano più soltanto suoi.
Da Tarbes partirono due giorni dopo, diretti a Pau
dove per una settimana partecipò al Convegno in pro
gramma. Alla fine di quell’agosto del 1869 rientravano
in Italia, a Firenze dove il senato accademico attendeva
la risposta che lui aveva fin troppo rinviata nel tempo.
I sei anni successivi furono carichi di nuove esperienze
e pieni di soddisfazioni. La cattedra universitaria, con
trariamente alle ubbie che l’assunzione dell’incarico gli
aveva fatto insorgere, non alterò affatto il suo modo di
vivere. Il gruppo di studenti, talvolta si trattava d’una
vera piccola folla, che seguiva le sue lezioni tre volte
alla settimana testimoniava l’ottimo stato di relazioni.
Non riusciva, né mai per la verità vi fu tentato, a essere
un docente austero o estraneo per quel mondo di gio
vani. Quei ragazzoni contribuivano a agitare nel glorio
so ateneo in riva all’Arno ideali di democrazia politica.
C ’era un dialogo aperto, si rifuggiva da qualsiasi
convinzione preconcetta. Con i suoi allievi manteneva
e chiedeva libertà di discussione e essi lo ricambiavano
con affetto e molta attenzione.
Tra loro c’erano giovani di Roma, alcuni si autode
finivano un po’ pomposamente ribaldi nella speranza e
pronti a azzannare prima o poi quel signore vestito di
bianco, come definivano con stile radicale il papa, che
usurpava la capitale d’Italia. Altri, forse la maggioran
za, si dichiaravano in esilio provvisorio prima che la
storia li riconducesse a Roma diventata centro della
nuova nazione.
In un impeto eccessivo di gioventù mescolavano,
malamente, ciò che è sacro, patrimonio d’una coscien
za religiosa, con il profano che è spesso terreno prag
matico di convivenza. Si dicevano anticlericali, con
138
punte addirittura d’atroce ferocia, e finivano per trova
re in lui, estraneo a qualsivoglia pratica religiosa o d’in
transigenza laica che fosse, un filtro persino per le loro
intemperanze pseudo ateiste. Li stanava dai loro arroc
camenti invitandoli a far uso della ragione. Cercava di
trasmettergli uno spirito liberale di tolleranza e rispet
to, nonostante tutto, per le altrui e anche opposte idee.
Fu un seme gettato in terra preparata. Nel settem
bre del 1870 ci fu la presa di Roma, molti di quei suoi
giovani allievi erano entrati nello stato pontificio come
volontari delle truppe del regno italiano. Non pochi di
loro ritornarono a Firenze qualche mese dopo, a conti
nuarvi e concludere gli studi.
« Ora Roma è italiana e l’ubriacatura è finita. Sono
qui per proseguire e arrivare alla laurea» confidò uno
studente di Tivoli ch’era andato a salutarlo al suo rien
tro a Firenze.
Sulla faccia portava i segni d’una ferita subita il
venti settembre a Porta Pia, ma non se ne mostrò affat
to orgoglioso.
Il plebiscito del due ottobre per l’annessione e il
dibattito in parlamento che portò alla legge sulle gua
rentigie del maggio 1871 in pratica regolarono il pro
blema di Roma, che nel luglio dello stesso anno diven
tava capitale del regno.
Ma se c’era un paese unito, non lo si poteva dire
altrettanto unitario. I dubbi sulla nuova Italia non era
no esauriti. Si poteva, a ragione, soltanto dire che una
miseria terribile e diffusa fosse il comune denominato-
re che amalgamava genti e terre così diverse, dove si
parlavano lingue strane e ai più incomprensibili. Il
massiccio analfabetismo rappresentava un ulteriore e
inevitabile trauma che impediva a quel nuovo popolo
unito, e comunque già assenteista per istinto e natura,
di poter partecipare in qualche modo alla vita di quel
paese inventato di cui ora però era suddito. Paese-
139
nazione che per lui non era del resto apparentemente
mutato in nulla.
L ’unificazione aveva notevolmente impoverito le
casse dello stato e la politica di Minghetti e Sella aveva
perseguito un vigoroso risanamento delle finanze. Sui
problemi e gli scompensi che la nazione doveva quindi
affrontare lui aveva trovato un interlocutore d’eccezio
nale levatura in Agostino Depretis.
Lo aveva conosciuto in casa di amici, durante un
periodo di vacanze trascorse in Lomellina presso i suo
ceri. Depretis era dell’Oltre Po e della saggezza padana
conservava soprattutto il realismo che lo spingeva alla
ricerca dell’intesa, al compromesso.
« Perché mai non sarebbe giusto » gli aveva confi
dato un volta « cercare una via attraverso la quale evita
re lo scontro diretto che serve invece e soltanto a pro
vocare nuove rovine e perdipiù lascia irrisolte le vere
questioni? »
Apparteneva alla Sinistra che, all’epoca, aveva in
Rattazzi la personalità di maggior spicco. Ma le sue
scelte politiche non gli impedivano d’essere legato da
sincera amicizia anche con Minghetti. I due, pur su
posizioni diverse, volevano in effetti realizzare un
governo che avesse una larga base parlamentare. Nei
fatti, Depretis e Minghetti incarnavano un dialogo, in
prospettiva, diverso e realmente moderno sul futuro
del paese.
Nel primo, tuttavia, esisteva all’interno del discorso
politico una componente di fondo che assumeva
importanza prioritaria. Depretis si batteva per un allar
gamento delle classi elettorali perché sosteneva che
solo a queste condizioni il popolo può riflettersi meglio
nella nazione. Il venticinque marzo del 1876, esatta
mente una settimana dopo la caduta del ministero
Minghetti, re Vittorio Emanuele secondo affidava a
Depretis l’incarico.
140
Era il primo governo della Sinistra e le elezioni di
novembre avrebbero consolidato la vittoria di quel
l’uomo politico che aveva nel suo programma l’allarga
mento del suffragio popolare, l’abolizione di talune
imposte contestatissime come quella sul macinato e,
soprattutto, l’obbligatorietà dell’istruzione.
Quanto a lui, in quegli stessi anni aveva coltivato,
accanto agli impegni universitari, altri e nuovi interessi.
Era stato più volte invitato a tenere cicli di conferenze
in varie città italiane e all’estero. Né s’era interrotta la
corrispondenza con gli amici di Lourdes. I più assidui
nello scrivere erano Antoine Clarens e Jean-Baptiste
Estrade. Il dottor Dozous si faceva vivo solo raramen
te, ma le sue poche lettere gli portavano sempre una
grande gioia.
Nell’autunno del 1872 due lettere, di Dozous e del
l’abate Peyramale, quasi accavallandosi gli portavano
notizie da Lourdes su uno stesso fatto.
«M io caro amico» scriveva Pierre Dozous «eccomi
a voi dopo un lungo silenzio ma con novità di tutto
rispetto. Poco prima dell’estate Voisin, che è uno dei
medici della Salpétrière a Parigi, ha dichiarato pubbli
camente che il miracolo di Lourdes è stato annunciato
solo affidandosi alla testimonianza d’una giovane allu
cinata ospite del convento di Nevers. Ancora, come
vedete, lo scetticismo confina con il cinismo, almeno
questo è il mio giudizio. Comunque Damoiseau, che
presiede l’associazione dei medici dell’Orne, ha inter
rogato in proposito il dottor Saint-Cyr, suo omologo
nell’associazione della Nièvre, e vi trascrivo dal « Bulle-
tin » quanto questi conferma. »
« Non potreste indirizzarvi meglio, ha scritto Saint-
Cyr, per ottenere sulla giovane di Lourdes, ora suor
Marie-Bernarde, le informazioni che desiderate. Come
medico della comunità ho prestato a lungo le mie cure
a questa giovane suora la cui salute, assai delicata, sol
levava non poche inquietudini. Attualmente il suo sta
lli
to è migliore, da ammalata si è trasformata alla perfe
zione in mia infermiera. Minuta, in apparenza fragile, a
ventisette anni Bernadette rivela un’indole calma e dol
ce'; cura i suoi malati con molta intelligenza, senza
dimenticare alcuna delle prescrizioni fatte. Sicché gode
di grande autorità e da parte mia d’intera fiducia. Dun
que, potete immaginare quanto questa giovane suora
sia tutt’altro che una alienata. Aggiungo, anzi, che la
sua natura semplice e dolce le impedisce di deviare in
alcun modo.»
« Voi stesso » annotava Dozous proseguendo « mio
caro amico, pur non essendovi convertito, lasciatemi
usare l’espressione, come il sottoscritto invece alla real
tà di ciò che in apparenza non esiste se non nella fede,
avete nondimeno osservato con giustizia e mai con ipo
crita stizza gli avvenimenti succedutisi in questo nostro
villaggio. I vari Voisin, ma temo che ce ne saranno
degli altri e sempre nuovi, rifiutando in toto ciò ch’essi
non hanno visto o vissuto, improvvisamente sparano su
Bernadette. Ma fortunatamente con cartucce a salve,
con polveri che gli stessi ambienti medici e scientifici
più seri contribuiscono a bagnare.»
«N é questo basta. La nostra amica» aggiungeva
Dozous « ha avuto altri crucci familiari che peraltro si
sono risolti al meglio. »
Accennava alle preoccupazioni della giovane per
suo fratello Pierre, il più piccolo dei Soubirous. Dopo
la morte dei genitori era stato affidato alla tutela della
sorella Marie, che aveva conosciuto a Lourdes insieme
a sua moglie, e era stato quindi messo in pensione pres
so un collegio di religiosi.
Ma su quella vicenda era stata più ricca di dettagli
la lettera dell’abate Peyramale, giunta a Firenze pochi
giorni dopo la missiva del dottore di Lourdes.
Peyramale l’informava che la sua salute non era
delle migliori, aggiungeva però che ciò era una prova
142
ulteriore delle giuste fatiche che un pastore deve avere
quando viaggia insieme al suo gregge di anime.
« Per quanto riguarda la nostra Bernadette » scrive
va il curato «vive ora la sua pace di Nevers, ma è una
tranquillità che sovente le vicende di questo mondo
rendono assai fragile. E l’anno passato è stato terribile
per la famiglia Soubirous. In febbraio era morta la pic
cola Bernadette, la bimbetta di Marie che so avete
conosciuto in casa Sabathé. La stessa famiglia, un anno
dopo la vostra ultima visita a Lourdes, ha avuto la sfor
tuna che un bambino nascesse con un piede malforma
to. Il quattro marzo 1871 è morto Francois Soubirous e
dodici giorni più tardi la zia di Bernadette, Lucile. La
giovane s’è così trovata nella nuova e inattesa condizio
ne di responsabile morale della famiglia. Mio caro e
buon amico italiano, Bernadette ha dovuto necessaria
mente crescere in fretta. »
Peyramale continuava con altri particolari e gli tra
scriveva brani d’alcune lettere di Bernadette.
«Il ventidue aprile di quest’anno la casa di Marie
Sabathé è stata nuovamente allietata da una nascita,
una femminuccia che è stata battezzata Justine. Il pic
colo Pierre, ospite del collegio di Garaison, il nove giu
gno ha ricevuto la prima comunione. Bernadette ha
scritto al ragazzo una lettera asciutta nei sentimenti ma
molto bella, nel solco della fede profonda che lei vive.
Poche effusioni, in sostanza, però c’è l’essenza della
vita cristiana. So che voi, caro amico, rifuggite dai liri
smi del credere, come una volta m’avete dichiarato, ma
c’è un passo che voglio trascrivervi. Al piccolo Pierre
Bernadette conferma che ormai il suo cuore, il suo spi
rito, la sua anima non debbono essere impegnati che
dall’unico pensiero di fare proprio di essi la casa di
Dio. Monsieur, io stesso non avrei saputo dire o scrive
re di meglio. »
Sua moglie, leggendo la lunga lettera del curato,
restò molto colpita e commossa per quelle parole.
143
« Non sono mio caro » lo rimproverò « annotazioni
pleonastiche come vorrebbe altrimenti far intendere
l’aggrottare della tua fronte. »
Dominique Peyramale aggiungeva infine i partico
lari sulla vicenda cui affrettatamente aveva accennato
Pierre Dozous.
«Dunque, Marie Sabathé in maggio ha scritto a
Bernadette lamentando che i religiosi di Notre-Dame
de Garaison richiedevano una somma spropositata,
seicentoventinove franchi, per i costi di pensione del
piccolo Pierre. Marie si diceva realmente disperata e
alla sorella confidò che né lei né il marito erano assolu
tamente in grado di sostenere un sacrificio così grande.
Avrebbero dunque ritirato Pierre dal collegio. Berna
dette le ha risposto il ventinove maggio e s’è anche
rivolta a me. Trasmettendomi la lettera di Marie chie
deva il mio intervento presso monsignor Pichenot,
arcivescovo di Tarbes. Fortunatamente, ogni cosa è
andata poi a buon fine ma le preoccupazioni sono state
enormi per quella giovane a Nevers. Bernadette, con
fermezza anche se temperata da una grazia amorevole,
ha invitato Marie a rivolgersi a me e non disperare. A
questo proposito il passo del suo scritto, ve lo trascrivo
monsieur, mi sembra un formidabile esempio di genui
na innocenza e di fede fortissima. »
«Probabilmente si tratta d’un errore» Bernadette
rassicurava la sorella « e forse per questo i buoni padri
di Garaison t’hanno chiesto quella somma smisurata.
Va’ subito dal curato e esponigli la tua pena. Dovrai
fare tutto quanto egli ti consiglierà e questo è il mio
unico invito alla bisogna. Vedrai che sarà per il tuo
bene. Mi si dice, però, che se Pierre tornasse a Lourdes
tuo marito Joseph vorrebbe affidargli un piccolo nego
zio nel villaggio. Ebbene, di’ a tuo marito che nella
maniera più assoluta mi oppongo all’ipotesi. E sconve
niente e il buon Dio non sarebbe certo contento di voi.
Desidero che Pierre resti dove monsignor Pichenot
144
l’ha destinato e non voglio che voi lo facciate allontana
re da Garaison senza averne ricevuto l’ordine esplicito
dall’arcivescovo di Tarbes. Ormai sono la più vecchia
della famiglia e devo vegliare sul futuro del mio fratelli
no. Ma soprattutto, per favore, non seguite cattivi con
sigli e non montatevi invano la testa. »
«Eccovi monsieur» concludeva Dominique Peyra
male « l’ennesima prova del carattere e della forza di
Bernadette. Direi che dopo la morte di Francois Soubi
rous Bernadette s’è assunta fino in fondo le responsa
bilità che ha un padre. »
Al ritorno da un ciclo di conferenze in Svizzera tro
vò una lunga lettera di Jean-Baptiste Estrade. Gli riferi
va d’un viaggio a Nevers e della scoperta presso l’infer-
meria di Saint-Gildard d’un brogliaccio sul quale Ber
nadette aveva coscienziosamente annotato le dosi per
ottenere alcuni medicamenti.
« V ’ho trovato» aggiungeva l’amico di Lourdes
« anche tavole di confronto sulla loro validità e persino
le schede mediche su cui Bernadette ha puntigliosa
mente seguito il decorso della malattia di certi pazienti
affidati alle sue cure. Ne ho parlato con Dozous, il
nostro buon dottore purtroppo non gode di buona
salute, il quale ha lodato la competenza e lo scrupolo,
addirittura scientifico, con cui Bernadette ha preso
nota d’ogni cosa. »
L ’insegnamento, altre e nuove ricerche sugli avve
nimenti religiosi del sedicesimo secolo, una serie di
conferenze con un calendario assai fitto lo impegnaro
no per molti mesi. La corrispondenza con gli amici di
Lourdes continuava, ma s’era un po’ diradata. Ricevet
te e ricambiò dei cahiers per il Natale.
Nella primavera del 1873 lo raggiunse a Milano,
dove si trovava per un congresso, una lettera di Pierre
Dozous. Il dottore aveva scritto in fretta, quasi si trat
tasse d’una notula, sull’aggravarsi delle condizioni di
Bernadette. Dal tono avvertì che lo stesso Dozous era
145
stanco, forse anch’egli ammalato. A metà luglio si rife
ce vivo Clarens.
«Bernadette ha superato per un pelo» gli diceva
«un inverno durissimo. Il diciassette gennaio è stata
ricoverata in infermeria e per parecchie settimane in
pratica è rimasta confinata a letto, fino a dopo Pasqua.
Ai primi di giugno ha avuto una ricaduta molto seria e
le hanno somministrato, è la terza volta che succede,
l’estrema unzione. Ma ha superato le prove di queste
tremende sofferenze. Non m’hanno ancora voluto in
Cielo, ha commentato scherzosamente con una giova
ne di Lourdes che una settimana fa è andata a trovarla
a Nevers. Monsieur, temo che la sua salute sia agli
sgoccioli, se mai ciò possa dirsi d’una giovane donna
che di salute in realtà non ne ha mai avuta molta. »
«L a buona suora» ammise con una certa amarezza
sua moglie « inizia il terribile calvario della morte. »
E purtroppo le notizie che in successione, da quel
l’anno, li raggiungevano confermarono il giudizio. Ber
nadette aveva avuto un’altra ricaduta nel settembre del
’74. Le sue condizioni fisiche peggioravano costante-
mente, solo qualche brevissimo intermezzo di apparen
te sollievo portava a Bernadette una pausa rinfrancante
nella sofferenza.
«Il 19 novembre 1875» scrisse Estrade «è stata,
come lei stessa ripete, definitivamente installata nel
l’impiego di malata. »
Mesi, lunghissimi mesi dunque di grandi dolori e
nel mezzo c’era stata anche l’ansia per Massabielle. Il
23 giugno del ’75 per Lourdes era stato un giorno tre
mendo.
Il Gave aveva straripato, le acque avevano invaso e
quasi sommerso la grotta delle apparizioni ma senza
grossi danni. Di ciò l’aveva informato Estrade e, in una
missiva posteriore, Antoine Clarens gli aveva spedito
copia d’una lettera che Bernadette aveva indirizzato
alla sorella Toinette.
146
«Sono vivamente preoccupata. Ho sentito che il
fiume è straripato e non vedo l’ora di sapere se l’acqua
ha fatto molti danni alla grotta e ai mulini che si trova
no sulle sponde. Credo che non ci sia da temere per il
nostro villaggio, ma la furia delle inondazioni ha fatto
enormi disastri a Tarbes e Bagnères. Pare che ci siano
anche dei morti. Il buon Dio ci castiga ma sempre da
Padre. Già nel 1870 le strade di Parigi sono state
bagnate con il sangue d’un gran numero di vittime e
questo non è bastato per toccare i cuori induriti nel
male. Bisognava che anche le strade del Midi venissero
lavate, che anch’esse avessero i loro morti. Mio Dio,
come è cieco l’uomo se non apre il cuore alla luce della
fede. Dopo sciagure così terribili non avremo la tenta
zione di chiederci chi avrà mai potuto provocare questi
tremendi castighi? Ma se ascoltassimo bene, sentirem
mo allora una voce che dal fondo del cuore ci risponde
che si tratta del peccato. Sì il peccato, che è la più
grande delle sventure, attira su di noi tutti i castighi. E
proprio il male che commettiamo con malizia ricade
poi su di noi. Questa è dunque la felicità, questi sono i
vantaggi che ci procura l’opera del peccato. Mio Dio,
perdonateci e usate sempre la vostra misericordia. »
Erano sempre più rare le lettere del curato di Lour
des. Pio XI lo aveva nominato protonotaro apostolico
nel marzo del 1874 e monsignor Peyramale il venti gen
naio dell’anno dopo aveva posto la prima pietra del
l’orfanotrofio, dedicato all’Immacolata Concezione, la
cui realizzazione era stata possibile per una donazione
della principessa di Borbone.
L ’ex cappellano militare, nelle poche righe che lo
raggiungevano e di solito confinate ai periodi di Natale
e Capodanno o di Pasqua, accennava ormai con estre
mo pudore e en vitesse alle preoccupazioni che doveva
no, almeno era quanto s’avvertiva, accompagnarne gli
ultimi anni di vita.
147
Monsignor Dominique Peyramale morì l’otto set
tembre 1877. La notizia gli fu data a Parigi. Nel feb
braio di quell’anno s’era infatti trasferito con la fami
glia nella capitale francese dove un nuovo e prestigioso
incarico alla Sorbona, su invito di colleghi di quella
famosa università premiava, come sosteneva sua mo
glie, le fatiche e l’interesse per i suoi studi storici.
All’epoca era ambasciatore d’Italia in Francia il
generale Cialdini al cui comando aveva partecipato alla
campagna di guerra e all’assedio di Gaeta. Cialdini era
entrato in diplomazia dopo la presa di Roma, anche a
seguito delle animose polemiche che l’avevano, di volta
in volta, opposto a Garibaldi e Lamarmora. Lo aveva
no accusato d’essere un uomo cocciuto e pieno di
boria, non godeva d’amicizia presso gli uomini politici
dell’Italia unificata. Era comunque un uomo coraggio
so e dotato di finissima intelligenza, aveva soprattutto
un seguito enorme negli ambienti militari.
L ’ambasciatore fu assai cordiale con lui e sua
moglie, li invitò spesso in rue St. Dominique.
«Lei dovrebbe aiutarmi» disse durante una di tali
occasioni « a creare in Francia una migliore conoscenza
del nostro paese. Tra noi e i francesi esistono tensioni,
malintesi che andrebbero rimossi. Nella sua posizione
di professore alla Sorbona e di conferenziere frequenta
gli ambienti della cultura, ha contatti con i migliori
intellettuali e ci potrebbe esser molto utile per propa
gandare, se me lo consente, un’immagine nuova e
diversa dell’Italia.»
« Sinceramente » aveva obiettato « non vedo in qua
le modo e non so neppure immmaginarmi un qualsiasi
ruolo o punto di partenza per far questo. »
« Sarà sufficiente » replicò con fermezza l’ambascia
tore « che il pubblico delle sue conferenze scopra che
anche noi, in Italia voglio dire, vantiamo uomini di cul
tura e d’eccellente rispettabilità. I francesi sono nazio
nalisti fino al midollo, prima d’ogni altra cosa per essi
148
viene la Francia. Ma sono estremamente sensibili a ciò
ch’essi definiscono Yesprit raisonneur. »
Per la verità non ebbe alcun merito in proposito, se
si eccettua qualche articolo comparso su qualche gior
nale e in cui i suoi interventi e discorsi venivano citati
e, talvolta, riportati abbastanza per esteso.
La vivacità culturale e l’ottimo livello dei circoli che
frequentava resero molto piacevole la permanenza a
Parigi. Sua moglie e i bambini, ai gemelli s’era aggiunto
un fratellino, apprezzavano l’atmosfera esistente nella
capitale. Soprattutto non avevano nostalgia per l’Italia.
In settembre avevano compiuto una lunga, bellissi
ma escursione nel sud della Francia. Prima di rientrare
nella loro casa parigina s’erano fermati qualche giorno
a Lione e là, in casa di amici, avevano conosciuto Jo
seph Fabisch.
Lo scultore, membro dell’Accademia di scienze e
belle arti della città, aveva all’epoca cinquantasette
anni e era l’autore della statua alla Vergine collocata
nella grotta di Massabielle.
Fabisch rievocò con loro il favoloso contratto, per
settemila franchi d’oro, con il quale le sorelle Lacour
del cui salotto erano ospiti gli avevano commissionato,
perché ferventi di Lourdes confidò lo scultore, la sta
tua in marmo di Carrara. Fabisch rivisse anche il suo
incontro con Bernadette Soubirous. S’erano visti, la
prima volta, il diciassette settembre 1863.
«Per contratto dovevo realizzare la Vergine nella
maniera più esatta possibile ed era allora necessario,
addirittura indispensabile che incontrassi Bernadette e
ricavare dai suoi ricordi tutte le indicazioni più utili. La
ragazza mi raccontò con estrema semplicità che quan
do la Madonna le si era rivelata non poteva dirmi che
vi fosse nella sua figura alcunché di statuario. Aggiunse
che non aveva notato nei lineamenti della Vergine,
come dire, regolarità o ricercatezze. Bernadette disse
esplicitamente, ricordo bene che sottolineò questo
149
punto, che la Signora aveva un aspetto molto simpati
co. Aveva insomma una grazia di quelle, mi disse, che
impongono rispetto e ispirano la fede. »
«Sottoposi allora a Bernadette un questionario»
continuò Fabisch «e mi pare che comprendesse una
ventina di domande. Tra l’altro, ricordo che la ragazza
mi segnalò un particolare che nel suo giudizio doveva
essere molto importante. Il corpo avrebbe dovuto sì
essere diritto ma non rigido, comunque la testa doveva
essere diritta. Le chiesi di spiegarmi come la Vergine
teneva le mani nel momento in cui le rivelò di essere
l’Immacolata Concezione. Monsieur, quella scena mi
s’è stampata nella memoria. Bernadette si era alzata e
con grande semplicità aveva alzato gli occhi al cielo
congiungendo le palme. Posso dirvi che non ho mai
visto nulla di più bello. Non c’è niente di simile nel
Perugino o in Raffaello, neppure a Fiesole ho potuto
vedere qualcosa di altrettanto soave come quella ragaz
za innocente. »
Lo scultore aggiunse altri particolari.
«Comunque, prima di realizzare la statua andai a
Massabielle e sistemai nella nicchia della grotta uno
schizzo a matita su cartone. Volevo verificare l’effetto,
stabilire l’altezza e la posizione. Io e Bernadette sfo
gliammo una cartella di acqueforti che rappresentava
no la Vergine in molte posizioni, tutte diverse. Ebbi la
sensazione che lei osservasse appena quei ritratri ma
poi, di colpo, mi chiese di rivedere una stampa che
raffigurava la Madonna di Saint-Luc. C ’era in quel
ritratto qualcosa che s’avvicinava abbastanza, mi disse,
a ciò che cercava di spiegare anche se non si trattava
certo, aggiunse, della figura che aveva visto alla grot
ta. »
Il racconto di Fabisch confermava d’altronde un
fatto. Bernadette aveva vissuto e viveva l’originalità
delle apparizioni al di fuori d’ogni stile o impronta
fideista che le potesse giungere dall’esterno.
UO
« È qualcosa che le appartiene, è suo » sottolineò lo
scultore « e intimamente. »
«Sicuramente però» suggerì sua moglie «divide
quel tesoro con gli altri, partecipando alla loro stessa
delizia. La rivelazione della Vergine resta comunque
un tesoro tutto suo. »
Condivideva l’annotazione. Lui stesso, nel corso
delle sue ricerche, definiva soltanto propria la scoperta
d’un documento raro e sconosciuto che, nel momento
dell’approccio, esclusivamente gli si rivelava in tutta la
sua freschezza e novità. Soltanto in un tempo successi
vo, nel corpo della memoria che avrebbe pubblicato,
quella primizia sarebbe diventata anche proprietà d’al
tri.
La storia di Lourdes intanto era approdata nei
memoriali. Per primo Henry Lasserre aveva pubblicato
alla fine del 1867 sulla «Revue du Monde Catholique»
uno studio su Notre-Dame di Lourdes. Puntualissimo
l’amico Clarens gliene aveva spedito, a suo tempo,
alcune copie.
« L ’autore » l’awertì « ha avuto uno scrupolo giudi
zioso. Lasserre infatti ha un unico timore ed è quello
che Bernadette possa essere sorpresa per lo spirito elo
giativo. »
Così Lasserre aveva scritto alla superiora del con
vento di Nevers.
« Credo che il mio libro » sosteneva nella lettera
«possa risultare una cattiva lettura per Bernadette,
malgrado io abbia cercato di renderlo edificante per
tutti. Ritengo che una giovane così favorita dalla grazia
del Cielo dovrebbe essere insensibile al linguaggio
degli uomini, eppure confesso che il dubbio mi inquie
ta. Per questo motivo, reverendissima madre superio
ra, vi chiedo la promessa che Bernadette non lo legga
mai. Spero che non vi sia nulla di sconveniente in que
sta richiesta e sarò felice se tale promessa mi verrà fat
ta. Bernadette è resa più forte dall’umiltà e dalla silen
ti
ziosa modestia della rassegnazione, dalla sua pazienza
nel dolore che Dio le invia. »
•Del resto, Bernadette non avrebbe forse molto
apprezzato le trasformazioni avvenute nel villaggio. La
corrente dei pellegrini diventava di anno in anno più
sostanziosa, era spuntata una miriade di piccoli negozi
per soddisfare, non si sa quanto piamente, o solleticare
il desiderio di quelle decine di migliaia di persone che
volevano lasciare Lourdes portandosi dietro qualche
ricordo della visita.
Quello era, almeno, il parere di Jean-Baptiste
Estrade e di Antoine Clarens, che rivide a Lourdes nel
la primavera del 1878. Fu quella l’ultima visita che
insieme alla moglie compì nella città.
Lourdes s’era ulteriormente ingrandita, l’afflusso di
pellegrini le aveva ormai conferito l’aspetto, sia pure di
facciata, d’una città piena di vita.
Madame Elfrida Lacrampe aveva lasciato l’Hotel
des Pyrénées. Persino il Café Franqais aveva cambiato
stile, nuovi arredi e un più frettoloso servizio testimo
niavano senza dubbio alcuno che ogni cosa era ormai
mutata all’insegna del commercio.
Pierre Dozous era un uomo irrimediabilmente
logorato da troppe ansie. Quel vecchio e buon amico
era sempre amabile e d’ottima compagnia, ma rivelava
purtroppo una profonda stanchezza interiore che certo
l’età, aveva superato gli ottant’anni, contribuiva a ali
mentare.
Estrade e Clarens proseguivano, seppur separata-
mente, nell’identico fine di raccogliere e catalogare
note sui fatti di Lourdes. Come se volessero entrambi
conservare l’immagine primitiva del villaggio. Al di là
della cerchia di quegli amici di vecchia data, in effetti
l’atmosfera era sorprendentemente diversa e non sol
tanto ai suoi occhi.
« Stento a rivedere » gli confessò sua moglie « quelle
cose e persone così innocenti e genuine che avevo
incontrato pochi anni fa. »
152
La visita a Lourdes, peraltro, gli offrì l’ultima occa
sione di avere una testimonianza diretta su Bernadette.
Per il tramite di Estrade conobbe infatti suo fratello
Jean-Marie.
« Ci sono stati dissapori in famiglia » l’aveva avver
tito Estrade « ma non gravi. L ’anno scorso e per alcune
settimane, fra Joseph Sabathé, il marito di Marie che
voi conoscete, Jean-Marie e l’altro fratello Pierre ci
sono stati degli screzi. S’è trattato di piccole maldicen
ze, ma hanno preoccupato non poco la petite. »
Per Estrade e Clarens, per lo stesso Pierre Dozous
e gli altri amici Bernadette era sempre rimasta la petite,
la piccola e giovane ragazza di Lourdes.
«Per fortuna» Jean-Baptiste Estrade completò suc
cintamente il quadro « ora ogni cosa è sistemata. Pierre
è al servizio dell’arcivescovo di Tarbes come valletto.
Jean-Marie lavora alla cappella delle Apparizioni. Jo
seph e Marie Sabathé conducono una vita tranquilla
anche se la loro casa è stata funestata dalla morte d’un
altro figlio.»
Arrivarono alla casa di Jean-Marie Soubirous. Sua
moglie Madeleine li accolse informandoli che il marito
non avrebbe tardato a lungo. E proprio nel momento
in cui la donna offriva un bicchiere di vino bianco
entrò Jean-Marie. Nei tratti del viso aveva una sottile
somiglianza con la giovane Bernadette che lui aveva
conosciuto vent’anni prima, ricordava anche May
Louise nei lineamenti. Jean-Marie Soubirous era un
uomo gioviale.
«Avete già raccontanto a monsieur» chiese alla
moglie e a Estrade «della bagarre sulle mie scelte?»
Scossero il capo in segno di diniego.
«Ebbene monsieur, io ho tradito in parte» esordì
« le speranze della mia buona sorella. Per qualche anno
sono stato al noviziato presso i fratelli dell’Istruzione
cristiana. Ero convinto di abbracciare anch’io la vita
religiosa e mia sorella ne era felicissima. Ricordo che
153
nell’aprile del ’71 Bernadette mi scrisse una lettera ih
cui affermava che l’uno e l’altra dovevamo essere grati
a Dio e alla Madonna per la grazia con cui ci aveva
entrambi chiamati al servizio della fede. Quelle parole
le ho sempre nel cuore. Mia sorella aggiungeva che,
pur così deboli e ignoranti, avremmo dovuto sforzarci
di imitare la saggezza dei santi, studiarne le virtù del
l’umiltà e dell’obbedienza, la carità. Soprattutto, sotto
lineava, dobbiamo arrivare al più totale oblio di noi
stessi. »
Jean-Marie si alzò e versò dell’altro vino nei loro
bicchieri, fece una timida carezza alla moglie Madelei-
ne.
«Poi monsieur» riprese «sono andato sotto le armi
e all’atto del congedo, due anni fa, sono rientrato a
Lourdes e mi sono sposato. Informai Bernadette solo a
cose fatte e mia sorella non ha mostrato grande felicità.
Ho qui una sua lettera in proposito. Ma io e Madeleine
ci vogliamo bene e so che questa è la mia vita. »
Jean-Marie andò a prendere la lettera e gliela porse.
« Ecco, potete leggere voi stesso quanto Bernadette
mi scriveva.»
Lo scritto era del febbraio 1877.
«T i dirò» iniziava Bernadette «che sono rimasta
molto sorpresa di leggere che ti sei sposato. Ne sono
stata anche un poco colpita. Non perché sia arrabbiata
per il tuo matrimonio, avrei preferito almeno di saperlo
qualche giorno prima della cerimonia. E ti dirò in un
orecchio che la tua lettera m’è sembrata anche freddi-
na. Avrei potuto aggiungere anche le mie alle vostre
preghiere. Mi dici, e ti ringrazio, il nome della sposa.
Però mi sembra che non ti sarebbe costato molto farmi
sapere se anche lei è di Lourdes, soprattutto se viene
da una famiglia cristiana. Caro fratello, mi auguro che
tu sia più amorevole in futuro nelle tue lettere. »
«Bernadette» concluse Jean-Marie «ha sempre
avuto un affetto grandissimo per noi della famiglia. Ma
154
né io né tantomeno Madeleine, monsieur ve lo garanti
sco, abbiamo pensato di potere in qualche modo darle
un dolore.»
Uscendo dalla casa, commentò con Estrade l’intesa
che a suo parere regnava tra i due. Il suo amico si limi
tò a borbottare qualche cosa che non capì. Li attende
va, del resto, in casa di Antoine Clarens una giovane
suora che appena tre giorni prima era arrivata a Lour
des dal convento di Nevers.
«Francamente, le dirò subito monsieur» avvertiva
suor Saint-Michel Duhème « che non m’aveva entusia
smato molto conoscere quella piccola brunetta.»
La giovanissima religiosa ricostruiva per loro, nel
salotto di Antoine Clarens, il suo primo contatto con
Bernadette.
Dunque, aveva trovato un testimone tiepido?
Anche a distanza di molto tempo quell’interrogativo
riemergeva sempre nella sua memoria, seppure il segui
to del racconto contrastava con tale giudizio.
«Tutti amano suor Marie-Bernarde» continuò la
suorina «e questo è certo, tutti la amano per la sua
bontà e semplicità. Bernadette ha un dono autentico di
attrazione. Devo confessare che ognuno di noi, al con
vento di Nevers, cerca qualsiasi occasione per vederla.
La sua vista ci fa bene; ecco, questa è la verità e non
saprei dirla in altro modo. Vi faccio un esempio. Ci
insegnano che la vera umiltà sta nel silenzio dell’io e in
Bernadette c’è proprio questo. In lei l’io non esiste
affatto. »
Antoine Clarens prendeva rapidi appunti sul bro
gliaccio in cui conservava ogni fatto e testimonianza.
La religiosa proseguì.
« Come sapete Bernadette è molto malata. Una vol
ta m’hanno detto così di tenermi a sua disposizione e
che le avrei dovuto dare tutto ciò che desiderasse. Mi
sono allora presentata dopo la preghiera della sera e
Bernadette, come al solito, era nel suo letto. L ’ho salu
155
tata e mi sono coricata nella stanzetta attigua all’infer-
meria di Saint-Gildard avendo cura di lasciare la porta
socchiusa. Monsieur, che notte ho passato. Ero ancora
una giovinetta con un temperamento sensibile e non
potrei descrivervi l’emozione che provavo assistendo
impotente alle sofferenze che quella mia povera sorella
pativa. »
Suor Saint-Michel s’asciugò le lacrime e rifiutò con
grazia il bicchierino di vermouth che Clarens voleva
offrirle.
«Bernadette soffriva per un enorme tumore al
ginocchio con la carie delle ossa. E la carie delle ossa è
molto dolorosa, al confronto non è niente il dolore del
più malevolo mal di denti. Mi sembra ancora di udire i
suoi gemiti, una specie di sordo lamento a metà soffo
cato tra i denti e inframmezzato da brevi silenzi. Capi
vo che Bernadette faceva ogni sforzo per contenersi, lo
faceva per me perché avrebbe invece voluto che ripo
sassi tranquillamente e si rendeva conto che rimanevo
sveglia. »
La suora fece una pausa, dalla tasca tirò fuori la
coroncina del rosario e incominciò ad accarezzarlo con
le mani.
«Io però avevo ricevuto degli ordini» riprese «e
per obbedire alla consegna le chiesi a un certo punto in
che modo avrei potuto esserle utile. Sentivo infatti che
aveva bisogno di qualche cosa. Lei mi rispose che non
aveva bisogno di nulla e m’invitò a dormire assicuran
domi, povera e buona sorella, che all’occorrenza
m’avrebbe chiamato. Il lamento però riprendeva. Solo
a tratti pareva indebolirsi, quasi spegnersi come se il
male le desse un poco di tregua o perché, piuttosto, la
volontà aveva il sopravvento. Poi riprendeva come pri
ma, ma non c’era nessun grido, nessuna parola, nessu
no scatto d’impazienza. Insomma, era un lamento irre
golare e ansimante. »
156
«Sentivo suonare le ore» continuava suor Saint -
Michel « una dopo l’altra. E quando l’orologio taceva,
sempre riaffiorava il lamento. Comunque, sono con
vinta d’una cosa. Nella sua sofferenza Bernadette
benediceva l’ora, come siamo solite fare durante il
giorno secondo la nostra regola religiosa. Ricordo che
una volta madre Eléonore Cassagnes le disse che
avremmo pregato Dio affinché le portasse sollievo.
Bernadette rispose che non aveva bisogno di sollievo
ma di pazienza. »
« Così, dunque, trascorsi lentamente quella terribi
le notte in cui mi pareva d’essere ai piedi d’un Croce
fisso vivente. Le ore passavano e il lamento continuava,
durò fino a quando mi alzai. M ’ero sforzata di conser
vare l’immobilità più completa, volevo infatti dare a
Bernadette l’impressione che dormissi. Ma lei non
c’era cascata e quando la salutai per recarmi alla pre
ghiera mattutina disse che s’era accorta che ero stata
sveglia tutta la notte e dovetti quindi confessare la veri
tà. E non ho tardato, monsieur, a conoscere il motivo
che l’aveva indotta a quelle parole. Più tardi, infatti, la
suora infermiera venne a avvertirmi che non dovevo
ritornare al capezzale dell’ammalata. Bernadette aveva
esplicitamente chiesto di non mandarmi più a vegliarla
proprio perché, disse, m’avrebbe impedito con le sue
sofferenze di riposare. Sostituitela, aveva chiesto, con
un’altra che abbia il sonno più profondo. »
«Pensava più a me che a se stessa» concluse suor
Saint-Michel Duhème. «Quando mi ero alzata Berna
dette non s’era lamentata di aver passato una notte tre
menda e d’aver sofferto, come dicono in genere tutti i
malati, di questo o quello. No, non aveva detto niente
del genere. Bernadette si preoccupava solo d’una cosa.
Voleva sapere se avevo potuto dormire e siccome non
avevo riposato mi escludeva con carità dalle sue tortu
re. Sì monsieur, per carità. »
157
Quelle di Jean-Marie Soubirous e della religiosa
appena arrivata da Nevers furono le ultime testimo
nianze dirette che ricevette sulla giovane donna di
Lourdes che aveva conosciuto nel febbraio del 1858.
Rientrò a Parigi con sua moglie e continuò a tenere
contatti epistolari con gli amici di Lourdes. Ma le fonti
di notizie erano ormai limitate a Jean-Baptiste Estrade
e Antoine Clarens. Il suo ottimo e vecchio amico Pierre
Dozous gli aveva anticipato, all’atto del commiato, la
sua impossibilità a scrivere ancora. S’erano salutati con
grande affetto, un abbraccio silenzioso e commosso
aveva suggellato un’antica e reciproca stima. Si chiude
va anche, e lo avvertiva, in maniera definitiva una con
suetudine di vita. Non ci sarebbe più stato per lui quel
riferimento Dozous.
Il soggiorno a Parigi si concluse alla fine di quel
l’anno. Nel gennaio del 1879 tutta la famiglia rientrava
in Italia, a Milano, dove con i cognati si sarebbe dedi
cato all’editoria attraverso una società finanziata in
parte anche da uomini d’affari di Ginevra.
Lasciò l’incarico universitario, ma i suoi studi
sarebbero continuati con impegno costante. La scelta
di quella sua nuova collocazione, la decisione necessa
riamente imposta di eleggere Milano quale residenza
furono per sua moglie una soluzione carica di felicità.
«Potrò così vedere più spesso i miei genitori che
sono già avanti negli anni» gli disse «e avrò anche la
possibilità di portare i ragazzi a godersi l’aria buona
delle campagne in Lomellina. »
Il diciotto aprile 1879, due giorni dopo il fatto, un
breve dispaccio pubblicato sul quotidiano « Il Secolo »
di Milano riportava la notizia che suor Marie-Bernarde
Soubirous era morta. La petite di Lourdes aveva chiu
so il capitolo delle sue terribili sofferenze.
Ai primi di agosto una lunga lettera di Antoine Cla
rens gli portava una testimonianza sulle ultime ore di
Bernadette. Veniva da suor Nathalie Portat che, insie
158
me a altre consorelle, aveva vegliato Bernadette e assi
stito alla sua morte, alle tre del pomeriggio del 16 apri
le di quell’anno.
«Alle sette di sera del quindici aprile» raccontava
suor Nathalie «ero nella cappella di Saint-Gildard,
inginocchiata davanti all’altare della Vergine. Racco
mandavo alla Madonna quella figlia privilegiata le cui
condizioni s’aggravavano sempre più. Alla fine delle
preghiere sentii l’impulso molto forte di andare a vede
re la malata. Vedendomi, Bernadette disse che aveva
paura. Ho ricevuto tante grazie, mi confessò, e ne ho
approfittato così poco. Cercai, sottovoce, di darle qual
che parola di incoraggiamento e Bernadette mi ringra
ziò. M ’era parsa sollevata, come se fosse stata liberata
da un gran peso. »
«Il giorno dopo, verso le tre del pomeriggio, Ber
nadette» continuava suor Nathalie Portat «sembrava
in preda ai tormenti d’una sofferenza interiore inespri
mibile. Allarmate, le suore infermiere s’affrettarono a
portare dell’acqua benedetta con cui aspersero il letto
dell’ammalata. Ceravamo tutte inginocchiate a prega
re. Bernadette, morente, stringeva il Crocefisso e dopo
averlo contemplato con amore baciò lentamente, ad
una ad una, le piaghe di Cristo. Poi, a un certo momen
to mi vide. M ’ero avvicinata e l’osservavo mentre era
assorta nella contemplazione. Mi chiese di perdonarla
e s’unì alle nostre preghiere e invocazioni, ripetendole
a voce bassa. Nella stanza c’erano con me due sorelle
infermiere, tutte e tre fummo prese da un tremito invo
lontario di rispetto misto a spavento. La suora infer
miera che stava a sinistra sosteneva le braccia che Ber
nadette teneva sempre aperte. La morte si avvicinava,
una lotta terribile sembrava ancora ingaggiarsi in quel
l’anima innocente e privilegiata...»
« Suor Marie-Bernarde » concludeva la testimonian
za « si agitò per un attimo e con lo sguardo mi rinnovò
per due volte la sua supplica. La fissavo, interrogando
li
la con gli occhi. Come se volessi sapere perché tendeva
le braccia verso di me e capire cosa stesse chiedendo
mi. Bernadette, forse intuendo la mia angoscia, mi dis
se allora che dovevo aiutarla. Chiese da bere. Fece un
grande segno di croce, prese il bicchiere contenente la
bevanda fortificante che le porgevo e ne inghiottì in
due riprese qualche goccia. Poi, chinando la testa, ha
reso dolcemente l’anima al suo Creatore...»
APPENDICE
Suo padre morì il ventinove novembre 1905. Un tumo
re ai polmoni, manifestatosi un anno prima, lo aveva a
poco a poco consumato rendendogli terribili gli ultimi
mesi di vita. Quanto a lui, era già entrato nella casa
editrice dove, accanto ai cugini, rappresentava di fatto
la nuova generazione.
Ancora scapolo, viveva con la madre e il fratello in
una villetta lungo la prima cerchia dei navigli di Mila
no. La sua gemella era sposata da tempo con un ufficia
le di marina inserito in diplomazia e, all’epoca, distac
cato presso la legazione italiana in Cina. Anche l’altro
fratello s’era accasato, era rimasto vedovo prematura
mente e aveva un figlioletto di cinque anni. Entrambi
vivevano nella casa paterna.
Ed è appunto riordinando vecchie carte del padre
che scoprì questo manoscritto. Lo lesse con attenzione
insieme alla madre e decisero che quei fatti di Lourdes
meritavano forse un aggiornamento ulteriore. Sua
madre pensava anche di farlo pubblicare, magari per i
tipi della loro stessa casa editrice, come ultimo omag
gio alla memoria dell’uomo che per oltre quarant’anni
era stato suo marito.
« Però tuo padre » sottolineò « è sempre stato scru
poloso nei suoi studi e come sai verificava sempre le
fonti. Se mai decidessimo di pubblicare queste carte,
andranno dunque aggiornate con eventuali e nuove
testimonianze su Lourdes.»
163
Stabilirono allora che lui sarebbe andato per alcuni
mesi in Francia per ripercorrervi itinerari già seguiti
dal padre e dalla madre e a cercarvene altri, per intervi
stare testimoni sui fatti di Lourdes.
Padre Favini, un domenicano coltissimo e buon
amico di famiglia, lo mise in contatto con il dottor
Boissaire. Il clinico aveva sostituito de Saint-Maclou,
professore dell’università belga di Lovanio, nella dire
zione dell’Ufficio accertamenti di Lourdes. Dipendeva
da lui l’équipe medica che presiedeva al controllo sulle
guarigioni. Fino ad allora ne erano state ufficialmente
riconosciute trentatré.
Nel dicembre del 1905 aveva spedito a Boissaire un
telegramma, chiedendogli un appuntamento. L ’illustre
clinico aveva risposto con una lettera gentile in cui
diceva che non avrebbe potuto, sostanzialmente,
aggiungere molto di più a quanto aveva già scritto e
pubblicato in un paio di libri. Lo informò, peraltro,
che proprio quell’anno era stato in pellegrinaggio a
Roma e da Pio X aveva ricevuto delle consegne precise.
«Monsieur, posso segnalarvi che ho ricevuto una
lettera del dottor Lapponi, medico personale del papa,
che mi comunica» concludeva Boissaire « l’intimo
desiderio del pontefice di sottomettere a regolare pro
cesso, alla vigilia del cinquantesimo delle apparizioni,
le più spettacolari guarigioni di Lourdes affinché ne
venga eseguito lo studio scientifico e religioso nelle
diocesi interessate.»
Aggiungeva un post scriptum per segnalargli co
munque alcuni nomi di persone, ancora vive, che
avrebbero potuto, a Nevers, fornirgli testimonianza
diretta su Bernadette.
I pellegrinaggi a Lourdes ormai venivano organiz
zati con regolarità da ogni parte d’Europa, a Roma già
stavano ammucchiandosi le carte che sollecitavano in
Vaticano la canonizzazione della santa dei Pirenei. Pio
IX del resto s’era rallegrato perché gli ostacoli suscitati
164
contro Lourdes dalla malizia degli uomini avevano per
messo che « s i manifestasse con più forza ed evidenza
la chiarezza del fatto .»
Nel 1892 Leone XIII aveva concesso l’ufficio pro
prio e la messa della festa in apparitione Beatae Virginis
Immaculatae e aveva lui stesso inaugurato e benedetto
una riproduzione della grotta di Massabielle costruita
nei giardini del Vaticano.
Trascorsi tre mesi di lutto per il padre, partì per la
Francia alla metà di marzo del 1906. A Lectoure, nel
Gers, parlò a lungo con suor Bernarde Dalias, una reli
giosa vivacissima che aveva compiuto da poco cin-
quantasette anni. Nel Nièvre, a Vandenesse, incontrò
madre Eudossie Chatelain che era più giovane di alcu
ni anni. A Nevers, infine, rintracciò altre testimonianze
sulla giovane Bernadette di Lourdes.
Il suo viaggio si sarebbe concluso alla fine di aprile
a Parigi, con suor Marie du Rais.
«M i chiede di raccontarle di Bernadette» aveva
esordito suor Bernarde Dalias «e se posso vedrò di
accontentarla. Anzi, le confiderò persino l’impertinen
za che una volta commisi nei suoi confronti. »
La giornata era tiepida, la primavera aveva mitigato
i rigori d’un inverno ch’era stato non certo piacevole.
Chiacchieravano sotto il portico della casa paterna di
suor Bernarde.
«Lectoure è solo a qualche ora da Lourdes e già
quando ero ragazzina il rumore delle apparizioni era
giunto anche qui e io provavo, come tutti quanti, un
grandissimo desiderio. Volevo conoscere anch’io la
confidente della Madonna. C ’era poi il fatto che, non
sapendone nulla, m’inventavo una Bernadette di sana
pianta. E alla mia Bernadette attribuivo qualità e virtù
che mi sembravano, in un certo senso, essenziali per la
straordinaria missione cui quella giovane era stata chia
mata. E così me la immaginavo solenne, con un volto
serio, gesti misurati e un discorrere assai degno. Natu
16?
ralmente, nel quadro aggiungevo una statura destinata
per grandi opere. In effetti sono arrivata a Nevers il
quattordici maggio del 1867, un anno dopo di Berna
dette. »
Lui ascoltava con attenzione il racconto della reli
giosa e prendeva appunti. Il silenzio, la calma di quel
giovane signore non dispiacquero a suor Bernarde
Dalias.
«Nonostante tutti gli sforzi» riprese «nei primi
due giorni non riuscii a individuarla. Una mattina
incontrai nel portico madre Bernarde, superiora di
Lectoure, che aveva accanto una novizia dal viso molto
giovane. L ’espressione di quella faccia rivelava mitez
za, la giovane era di piccola statura. Con altre novizie
chiacchieravo non ricordo più di cosa e a un certo pun
to sbottai. Madre mia, più o meno credo d’aver detto, è
veramente strano. Sono qui da tre giorni e non ho
ancora potuto scoprire Bernadette, ne sono veramente
mortificata. Ricordo che allora madre Bernarde si girò
di scatto verso la sua giovane accompagnatrice e escla
mò: Bernadette? Eccola qui, al mio fianco...»
« Notò » chiese alla religiosa « se in Bernadette c’era
freddezza? »
«A l contrario. Bernadette mi ha sempre testimo
niato del resto bontà e grazia, amicizia che si possono
considerare particolari. Monsieur, lei è stata veramente
la mia celeste amica e l’amicizia e l’affetto non sono
mai tramontati, neppure quando io fui inviata a inse
gnare a Mochal. Era a un quarto d’ora di strada da
Nevers ma io ogni settimana salivo a Saint-Gildard e il
primo pensiero era sempre quello di suonare alla porta
deU’infermeria di Saint-Joseph. Ma tra i ricordi più
belli c’è anche quello che mi fa rivivere la nostalgia di
Bernadette per la sua Lourdes e per Massabielle,
soprattutto per la grotta delle apparizioni. Una volta
mi confessò che avrebbe voluto ritornarvi, senza però
166
che nessuno ne fosse informato. Per visitare la grotta,
mi disse, come fa un uccellino qualsiasi. »
Suor Eudossie Chatelain conservava e gli trasmise
ricordi gioviali, e l’aggettivo non suoni eccessivo, su
Bernadette Soubirous.
«Sa, sono stata» esordì «la' compagna di suor
Marie-Bernarde per circa tre anni, dal quindici gennaio
del ’72 all’inizio di dicembre del 1874. »
Gli aveva mostrato la foto di Bernadette che con
servava nel libro delle preghiere. Lui chiese quali fosse
ro le caratteristiche d’aspetto di quella sua antica com
pagna.
« Era una piccola religiosa, piuttosto vivace nell’an
datura e nei gesti. Tuttavia, questo lo s’indovinava,
molto interiore. Bernadette colpiva per il suo sguardo
retto, pieno d’innocenza e franchezza, e per la sua sem
plicità. L ’ho vista sempre gentile, ridere di cuore ma
sobria quanto a parole. Non che avesse qualche diffi
coltà a esprimersi, anzi dava l’impressione che le parole
le sgorgassero dal cuore. Ecco, era molto riflessiva e
persino troppo modesta per parlare molto. Monsieur,
non credo d’aver mai conosciuto qualcun altro che
avesse come lei una conversazione così sensata e piena
di giudizio. Quando bastava una parola, questo sì, Ber
nadette non ne diceva di più e quella sola parola era
poi così sempre esatta che non c’era modo di replica
re. »
Ma quale era il clima di Nevers?
«Abbiamo molto amato suor Eléonore Cassagnes,
la segretaria generale. Un’anima raggiante e anche con
fidente di Bernadette. C ’erano inoltre due nivernesi da
tutte considerate religiose di grandi meriti. Una, suor
Isabelle de La Verchère, era di Luzy e in lei s’indovina
va subito un’anima interiore, raccolta, austera con se
stessa e, debbo aggiungere, anche un po’ con gli altri.
L ’ammiravamo, ma forse piuttosto da lontano e la sua
vicinanza incuteva un certo timore. Era evidente che
167
suor Isabelle lavorava costantemente su di sé e questo
le dava qualcosa di rigido. L ’altra era suor Saint-Cyr, di
Entrains. Ebbene monsieur, ecco una sorella che
abbiamo canonizzato da viva. Tutta Nevers ha sentito
parlare delle sue grazie mistiche e del senso meraviglio
so che ha circondato la sua vita. Io l’ho conosciuta mol
to bene perché lavoravo ai suoi ordini negli asili di rue
de la Chaumière e di place Chaméane. E senza dubbio
uno dei migliori ricordi della mia vita. Ma, non esito a
confessarglielo, a suor Saint-Cyr e all’altra consorella
ho sempre preferito, per la stessa ragione, suor Marie-
Bernarde.»
Le chiese quale fosse quella ragione.
«Veda, senza dubbio entrambe erano sotto l’influs
so di Dio ma Bernadette vi si muoveva con più agio di
loro. Cercherò di spiegare meglio ciò che intendo dire.
Suor Saint-Cyr aveva, come dire, l’aspetto un po’ per
duto in Dio. Bernadette no, era solo quella che doveva
essere e in ogni circostanza. Bernadette era sempre se
stessa, sempre semplice. Mi pare ancora di vedere suor
Saint-Cyr con gli occhi abbassati, Bernadette guardava
piuttosto il Cielo. La prima si sorvegliava scrupolosa
mente, l’altra aveva più abbandono e naturalezza.
Insomma, Bernadette era come il bambino che va ver
so suo Padre, con semplicità e camminando sempre
diritta. »
Non c’era tristezza né melanconia nei ricordi di
suor Chatelain. Il suo viso era improntato al sorriso,
rievocare con quell’uomo giovane la consuetudine di
vita con Bernadette non le recava lacrime. Riprese l’on
da del racconto.
«Bernadette, soprattutto, ci edificava nella pre
ghiera. E devo confessarle monsieur che a questo pro
posito mi dispiace vedere che i predicatori non ci par
lano quasi mai della sua pietà. Insistono molto sulla sua
umiltà, il disprezzo di sé. Ci parlano del suo amore per
la vita oscura e nascosta. Hanno perfettamente ragio
168
6 . Bernadette e Lourdes
ne, ma se l’avessero conosciuta come noi saprebbero
che la sua pietà non era da meno. La vedo ancora in
ginocchio, immobile e con la testa diritta, le mani sul
banco, lo sguardo a terra o in direzione del tabernaco
lo. Si avvertiva perfettamente che Bernadette era pene
trata dalla presenza di Dio. Averla con noi nella casa
madre di Nevers è stata una grazia per tutti. »
Ma c’era ancora un particolare di suor Eudossie
Chatelain.
«Il giorno della sua professione, nel 1867, suor
Marie-Bernarde » raccontò la religiosa di Vandenesse
«fu assegnata al servizio dell’infermeria e ricordo che
nessun’altra consorella aveva condiviso con lei, a quel
l’epoca, la responsabilità delle due infermerie. In prati
ca Bernadette faceva la spola tra quella di Saint-Brigitte
e quella di Saint-Joseph. Godeva d’una salute relativa e
aveva ventott’anni, ma esercitava l’autorità come se ne
avesse avuti il doppio. Sapeva comandare e diceva esat
tamente ciò che bisognava fare, in modo preciso e giu
sto. Una volta ero ammalata e ricordo che Bernadette
arrivava al mattino verso le sette e tre quarti. S’infor
mava sullo stato delle ammalate e ci serviva la colazio
ne, non aveva mai il tempo di fermarsi e riposare. A
mezzogiorno recitava l’Angelus, serviva il pranzo e
riordinava le stoviglie in un angolo. Poteva, finalmente,
godersi allora un po’ di riposo e faceva una piccola
passeggiata in giardino avvertendoci che sarebbe anda
ta a trovare suo padre. La prima volta, chiesi a una
compagna se i genitori di Bernadette non abitavano
più a Lourdes. Suor Laurentine mi disse che non avevo
capito nulla. Suor Marie-Bernarde alludeva a san Joseph,
cui era stata dedicata una cappelletta in giardino. »
«Quando visiterà la cattedrale di Nevers» aveva
aggiunto suor Chatelain congedandolo «osservi bene
le due vetrate che decorano la cappella di Notre-Dame
di Lourdes. Vi vedrà ritratta due volte Bernadette. In
quella sulla destra è ai piedi della Vergine, nella vetrata
169
di sinistra mentre riceve il velo dalle mani di monsi
gnor Forcade. Quelle vetrate furono sistemate durante
la mia permanenza nella casa madre. Moltissima gente
andava a vederle perché era forse la prima volta che le
apparizioni di Massabielle venivano rappresentate in
una chiesa. Quanto all’assunzione del velo, l’idea era
anch’essa nuova e persino ardita. Rappresentare così,
sulla finestra d’una cattedrale, una religiosa ancora
vivente... era comunque una novità che si rilevava e
molto. Durante la processione del quindici agosto, non
ricordo se nel ’73 o l’anno dopo, tutte ci voltammo
passando davanti a quella cappella. Anche Bernadette,
rivedo la scena, aveva gettato uno sguardo con la coda
dell’occhio. Dopo la visita in chiesa con suor Antoinet-
te Noirot protestò che l’avevano dipinta proprio brut
ta, ma lo disse sorridendo. In effetti, che fosse brutta o
bella non gliene importava granché. »
A Nevers parlò molte ore con suor Philipine Moli-
néry, originaria di Séverac. E quella buona suora gli
regalò uno dei ricordi più deliziosi che avesse mai inte
so su quella antica compagna di noviziato.
«Ricordo» gli disse «che m’era arrivata una foto
grafia della grotta di Massabielle. Bernadette era
ammalata ma io avevo il permesso di farle visita ogni
domenica. Così le mostrai appena possibile quella foto
grafia chiedendole in quale punto lei si trovasse esatta
mente nel momento della prima apparizione. E le chie
si tantissime altre cose prima di congedarmi. Ero già
arrivata sulla porta della sua stanza quando Bernadette
mi richiamò. Mi chiese che cosa si fa d’una scopa dopo
averla usata per spazzare a terra. Fui sorpresa dalla
domanda e lei insistette. Allora dissi che normalmente
la si ripone semplicemente. Lei incalzava. Dov’è il suo
posto? Dietro la porta, risposi un po’ imbarazzata. E
proprio così, sottolineò allegramente Bernadette.
Ebbene, aggiunse quindi, io ho servito da manico di
scopa alla Vergine e quando non ha più avuto bisogno
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di me mi ha semplicemente rimesso al mio posto, che è
dietro la porta. »
Preceduto da un biglietto di presentazione, a Parigi
andò a far visita a suor Marte du Rais, superiora della
Providence di Montmartre.
Jeanne-Isabelle du Rais, figlia d’un alto magistrato
di Beauvais, era fuggita dalla casa paterna approfittan
do d’una festa in famiglia.
« Era il maggio del 1872 » rievocò con quel giovane
signore giunto appositamente da Milano per parlarle
«e mi presentai al parlatorio del convento di Nevers
alla maniera d’una fuggitiva. Mi accompagnava la mia
cameriera, vestivo con l’abito di gala ricco di fronzoli
che allora erano di moda. Umilmente chiesi un posto
nel noviziato. »
«M io padre però m’aveva seguito da vicino» conti
nuò suor Marte «deciso a riportarmi a casa, con le
buone o con le cattive. Monsieur, pose l’assedio a
Saint-Gildard e al vescovado con tale ardore che mi
sentivo davvero perduta. Le suore d’altra parte sapeva
no consolarmi, soprattutto Bernadette seppe farlo mol
to bene. Il buon Dio, mi diceva, vi vuole qui e saprà
ben trattenervici malgrado tutte le opposizioni. Dopo
quella frase di Bernadette debbo dire che tutto si avve
rò. A poco a poco lo sdegno di mio padre si affievolì;
ben presto il fragore di quel gran temporale s’acquietò.
Da allora una grande amicizia m’ha sempre legato alla
mia buona Bernadette. »
Rientrò in Italia con quelle nuove testimonianze.
Ma ve n’erano altre che, con altrettanta attenzione e
insieme a sua madre, verificò. Riordinando e aggior
nando quelle contenute nel manoscritto di suo padre
saltò fuori anche quella di monsignor Forcade.
«N o monsieur, Bernadette Soubirous non era
come tutti quanti» aveva scritto il vescovo di Tarbes a
suo padre nell’agosto del 1879.
17,1
«H o costantemente osservato che il suo desiderio
più evidente era quello di vivere in incognito e non
essere considerata, il che è molto raro persino fra le
anime che tendono alla perfezione. Nessuno meglio di
Bernadette ha messo in pratica la bella massima dell’I
mitazione: Ama nesciri et prò nihilo reputati. »
Gli era frattanto giunta una lunga e cortesissima
lettera di monsignor Lelong che per lunghi anni, dal
1877 al 1903, era stato vescovo di Nevers. Il dottor
Boissaire gli aveva, tempo addietro, parlato di lui e del
l’esistenza in Italia d’un manoscritto incompiuto su
Bernadette.
Il buon vescovo, che aveva personalmente celebra
to le esequie di suor Marie-Bernarde, ritagliando un
po’ di tempo nelle sue visite pastorali aveva trovato
uno spazio da dedicare a quello sconosciuto e lontano
custode di memorie su Lourdes, qual era stato suo
padre e quale era, dopo la sua morte, il figlio.
« Queste grandi opere » affermava monsignor
Lelong «D io non le ha compiute solo per il tramite di
Bernadette, piuttosto e soprattutto in lei. Ora che non
c’è più, Bernadette è senza pericolo e è giustizia procla
marlo. Monsieur, in suor Marie-Bernarde l’opera di
Dio è stata principalmente quella purezza che si riflet
teva nel suo profondo e limpido sguardo. Lo sguardo
era sufficiente da solo a testimoniare che Bernadette
era degna figlia della Vergine che le ha parlato. Non
l’ho quasi mai vista se non nell’infermeria di Nevers,
nel letto dove i suoi occhi si posavano alternativamente
sul Crocefisso e sul rosario. Non dimenticherò mai ciò
che quello sguardo così penetrante esprimeva, talvolta
con dolorosa malinconia, e nel contempo ciò che la
grazia vi condensava d’amorosa rassegnazione e di cal
ma soprannaturale. Vi si potevano leggere le parole di
san Paolo. Soffro, ma non sono confuso...»
An. e Voi XX V I 10 Marzo 1934 (Ser. II, v. 1) - Num. 3
LETTERA DECRETALE
PIO VESCOVO
SERVO DEI SERVI
«A D PERPETUAM REI MEMORI AM »
COMMENTARIO UFFICIALE
III
SI PROCLAMA BEATA LA VENERABILE SERVA DI DIO MARIA
BERNARDA SOUBIROUS,
D ELLE SUORE N IV ERN EN SI DELLA CARITÀ E ISTITUZIO NE
CRISTIANA.
PIO P.P. XI
CARD. GASPARRI,
della Segreteria di Stato.