Il termine utopia fu coniato da Tommaso Moro, uno dei più alti rappresentanti
dell’umanesimo inglese, e designa solitamente un ordinamento politico-sociale senza
privilegi, abusi e ingiustizie. Tra il 1514 e il 1516 Sir Thomas More (Londra1478-1535)
scrisse una storia riguardante una società perfetta situata in un'isola remota, che chiamò
Utopia, che significa "non luogo", e poiché More nel suo testo descrive il modo migliore
per organizzare la società, la parola significa "il buon luogo".
Per la prima volta, dopo molto tempo, il sogno dello stato migliore è ripresentato come una
specie di racconto marinaresco che si fonda persino su un resoconto reale le navigazioni
di Amerigo Vespucci. Utopia di Sir Thomas More è scritta in latino e nata sullo sfondo di
un umanesimo critico di stampo erasmiano.Un filologo, legato agli interessi del
capitalismo, affermò che fu Erasmo da Rotterdam a deformare l’Utopia originaria scritta da
Moro per via del corpo estraneo comunistico- tollerante- epicureo di essa. Erasmo
avrebbe cancellato l’interesse non politico ma esclusivamente religioso che
presumibilmente avrebbe ispirato Moro nella redazione della sua Utopia originaria; nella
quale l’oggetto della critica non era l’Inghilterra, ma lo stato della Chiesa. Il fatto che
Erasmo avesse rivisto Utopia prima della stampa era noto: determinati elementi di
divertimento ironico (che non si rifacevano a Moro) potrebbero essere stati introdotti dal
gran letterato. Con ogni probabilità Utopia è un'opera composta da due autori, ma la critica
all'Inghilterra è svolta anche da Moro e non solo da Erasmo, ed esclusivamente
l'Inghilterra, deve divenire lo stato migliore. Con tutte le sue impurità, l'Utopia è e resta il
primo quadro moderno dei sogni di desiderio democratico- comunista. Per la prima volta
qui la democrazia in senso umano, nel senso della libertà e della tolleranza pubbliche, fu
collegata con un'economia collettiva (che, come tale, in ogni caso è facilmente minacciata
dall'elemento burocratico, e anche da quello clericale). Nel collettivo di Moro è inscritta la
libertà e il suo contenuto diventa un’autentica democrazia umano-materiale. Questo
contenuto rende l'Utopia, in parti essenziali, una sorta di testo liberale di commemorazione
e riflessione del socialismo e del comunismo.In essa Moro si riconosce debitore a Platone
e alla sua repubblica ma non ne non segue lo stato ideale da questi accoglie il
comunismo aristocratico, trasformandolo però da privilegio di pochi in esigenza universale.
Non si può trascurare l'amore del cristiano Moro per la comunità originaria è sorprendente
l'abolizione delle controversie di fede; in ciò egli è un immediato precursore di Jean Bodin,
l'ideologo (benché su basi diverse) di uno stato aconfessionale. L'Io narrante, Raffaele
Itlodeo, immagina di aver incontrato un compagno di viaggi di Amerigo Vespucci, che in
America s'imbatte in una terra sconosciuta. E' Utopia, cioè il posto che non c'è, il luogo
irreale, l'isola che non ha luogo.Tutti i personaggi, tutte le cose sono ironicamente
contrassegnate dalla privazione o dalla lontananza: Ademo il re, che non ha popolo;
Anidro il fiume di questa terra, senz'acqua; Alxopoliti, gli abitanti senza terra e senza
patria; Amauroto la capitale, città ignota ed oscura. Quell'isola beata è la società ideale, a
base socialista e democratica in pratica, priva di proprietà privata che è causa di tutti i
mali. Tutto è diviso, secondo la teoria platonica della spartizione dei beni. Le cure
ospedaliere sono uguali e gratuite per tutti. E' ammessa l'eutanasia. Si praticano tutte le
religioni e la gente vive tranquilla. Definito lo stato una "congiura dei ricchi", il libro si rivela
come una forma di attacco ai mali del secolo, la corruzione, il dispotismo delle monarchie,
la vendita delle cariche, l'immoralità del clero etc. Il fondamento destabilizzante del testo
spiega perché fu messo all'indice dall'Inquisizione spagnola. Moro opera il recupero della
cultura classica che viene posta al servizio di un progetto filosofico di critica politica, che
trova la sua più immediata motivazione nella necessità di comprendere e fronteggiare la
complessità dei processi di mutazione economico-sociale, nonché dei contrasti civili in atto
nell'Inghilterra agli inizi del Cinquecento. Crea così una specie di romanzo politico e
sociale in cui è immaginato uno Stato ideale, l’utopia rappresenta il capostipite del genere
letterario- filosofico moderno che da essa prende l’appellativo utopistico. Utopia, è divisa in
due libri: nel primo, Moro, sotto forma di dialogo, con alcuni suoi conoscenti, dà
un’interpretazione pessimistica della situazione a lui contemporanea. Fra i problemi
individuati vengono messi in risalto: la nobiltà parassitaria e i lati negativi della proprietà
privati fra i quali, soprattutto, la divisione che faceva tra ricchi e poveri. Questi ultimi, infatti,
erano molto dipendenti dalla nobiltà che li costringeva a mendicare e a fare lavori poco
retribuiti, basata quindi su un’economia rurale. Inoltre viene trattata la questione della pena
di morte e il fatto che, con questa, fossero puniti anche i ladri che erano in molti casi
costretti a rubare per necessità. In generale vengono trattai tutti quei problemi a cui, nel
secondo libro, Moro cerca di dare un soluzione pur sapendo che l’isola da lui ipotizzata è
del tutto irrealizzabile.. Nel secondo libro, al dato storico viene contrapposto il progetto
riformatore, sotto la forma dell’invenzione di una società perfetta, quella appunto
dell’immaginaria isola di Utopia in cui appare una chiara reminiscenza della Repubblica
plutoniana. Utopia è un’isola molto fiorente caratterizzata da città ampie uguali per forma e
costumi.La risoluzione dei contrasti sociali si affida all’abolizione della proprietà privata,
quindi al comunismo dei beni e alla mancanza del commercio, mentre vincolante per tutti è
l’obbligo del lavoro rurale, al quale, si dedicano a turni, tutti i membro delle varie famiglie in
modo che nessuno si dedichi sempre ad un lavoro pesante e per non più di sei ore al
giorno e nelle restanti sono liberi di dedicarsi alle attività intellettuali spesso organizzate
dallo stesso stato o di fare ciò che più gli piaccia. Ogni cittadino apprende anche un altro
mestiere qualsiasi e queste arti apprese poi generalmente vengono trasmesse di padre in
figlio pur lasciando libertà di scelta. Le case ospitano più famiglie e per non far sorgere
l’aspetto della proprietà privata vengono cambiate ogni dieci anni, ricorrendo alla sorte. Si
evita ogni tipo di spreco e i vestiti ad esempio sono tutti dello stesso materiale e forma..
Per i popoli di Utopia non esiste il denaro e l’argento e l’oro non valgono più del ferro, e
quindi ritenuto stupido e inutile abbellirsi con questi materiali. Chi commette colpe gravi o
cerchi rifugio in Utopia non viene condannato a morte ma è costretto a vita ai lavori forzati
a meno che non venga rilasciato per ottima condotta. Moro ammette la lotta contro la
tirannide e dichiara lecita la sola guerra difensiva considerata un male a volte necessario,
e per questo i cittadini, che non danno alcun valore all’uso delle armi, tuttavia si esercitano
in quest’uso, per essere pronti se capitasse l’occasione di usarle per la difesa dei propri
territori e colonie. Tra i bisogni spirituali rientrano, non da ultimo, l'arte di mangiare e di
bere, il culto della bellezza corporea e della forza. Utopia non conosce la comunanza delle
donne, anzi gli adulteri vengono puniti con la più dura schiavitù, con la morte in caso di
recidiva. Ma il matrimonio non è indissolubile e viene contratto solo dopo che sposo e
sposa si sono visti nudi. Sul piano religioso vige il principio della libertà delle forme di
espressione della fede, la pratica della tolleranza ma viene venerato un dio comune a tutti,
unico e superiore che rappresenta il divino. Un principio rivoluzionario visti i tempi che
pone in questione l’assolutezza dello stesso cristianesimo. La forza per questa libertà
scaturisce in Moro dall’abolizione della proprietà privata che crea padroni e schiavi,
bisogno di potere e di autorità e una non cristiana oppressione da parte della Chiesa e
dello Stato. In pratica si tratta di un’anticipazione rinascimentale dell’illuminismo e del
socialismo, oltre che a fonte d’ispirazione di testi come la città del sole di Tommaso
Campanella.
L’ adesione di Campanella, (Stilo 1568- Parigi 1639), alle teorie di Telesio, (1591) e le
simpatie per le scienze occulte e la astrologia, gli procurarono molti problemi. Fu arrestato
e imprigionato per circa 27 anni. Si occupò contemporaneamente sia di problemi più
specificamente filosofici sia di problemi politici ed ecclesiali ossessionato dalla
preoccupazione di rendere credibile il suo progetto di instaurazione di un ordine sociale
ispirato ai principi cristiani. Nel suo disegno le istituzioni civili e politiche devono essere
subordinate nelle finalità e nella direzione al potere spirituale rappresentato dal papato.
Egli sviluppò le sue idee politiche nella Città del Sole (1602), Il titolo completo di
quest'ultima opera è Dialogo di Repubblica nel quale si dimostra l'idea della riforma della
Repubblica cristiana conforme alla promessa da Dio fatta alle Sante Caterina e Brigida.
Anziché l'inno alla libertà, come in Moro, risuona qui l'inno all'ordine, con tanto di padrone
e sorvegliante. Il sole dello stato in Campanella non brilla del facile splendore
sovrabbondante proprio del sole ellenistico orientale, bensì come rigorosa forza
centralizzatrice. Nel complesso i sogni di Campanella s'accordavano pienamente con le
potenze politiche dell'epoca, ch'egli si limitò a proiettare su di uno schermo utopico, in
quanto egli credeva all'avvento del suo regno sognato e metteva così in evidenza le grandi
potenze esistenti come strumenti capaci di accelerare l'avvento. Un nocchiero genovese
( di Colombo) presenta al suo interlocutore, un Ospitalario (un cavaliere dell’Ordine degli
Ospilatieri di San Giovanni in Gerusalemme), la struttura e gli ordinamenti vigenti nella
favolosa Città del Sole sita nell'isola di Ceylon; città perfetta, che sembra trarre la propria
ispirazione da una sapiente unione di scienza e magia. La città cinta di mura, sovrastata
dal tempio del Sole, è retta dal suo sacerdote. Gli abitanti ispirano la loro vita ai principi
filosofici, praticano la comunione dei beni e la comunanza di vita. Obbediscono ai
magistrati preposti a tutte le diverse attività sociali: anche la procreazione è da loro
regolata. Dopo lo svezzamento i figli, maschi e femmine, sono affidati a scuole pubbliche
per ricevervi la stessa istruzione. Ai magistrati compete anche la funzione sacerdotale di
una religione simile al cristianesimo intriso di astrologia e con una liturgia di tipo astrale.
Campanella continua a vedere il mondo fisico come animato dalle forze del caldo e del
freddo che servono a spiegare tutti i fenomeni nei quali si dispiega la materia posta da Dio
a riempire l'universo; egli si pone perciò fuori della grande rivoluzione scientifica in atto.
Scrisse La Città del Sole in italiano e non in latino in quanto non lo considerava uno scritto
accademico ma voleva che fosse letto il più ampiamente possibile.Le pagine più note e più
citate dell'opera sono quelle dedicate al tema del comunismo dei beni e delle donne.
Campanella rifiuta la schiavitù, con concezione più avanzata di Tommaso Moro che
l'accetta; mentre Moro è contro la pena di morte, Campanella non esita a sostenere la
legge del taglione.In egli si affaccia il mito della scienza, la vera liberazione dell'uomo dalla
maledizione biblica del lavoro, anche se intrisa di magia e astrologia. Lo stato
commerciale chiuso, è l'unico filosofo. Come l'uomo, anche il suo prolungamento, lo stato,
è un'immagine di Dio. La meticolosa organizzazione amministrativa, di Campanella,è
rispecchiata in un modello insulare:la vita procede in modo monarchico-militaresca in base
all'orologio, la più rigorosa puntualità e preordinazione mostrano i loro vantaggi sul piano
della tecnica applicata sia al tempo sia all'amministrazione sia all'economia; un centro di
comando istituisce un ordine senza classi, ma estremamente gerarchico.
Amministrandola in tal modo non esistono né ricchi, né poveri, la proprietà è abolita. Tutti i
cittadini debbono lavorare, quattro ore al giorno sono sufficienti, non esiste né
sfruttamento, né profitto. I mestieri sono esercitati di volta in volta in comune, sotto
sorveglianza e senza guadagno individuale, il benessere generale è il compito supremo..
Altrettanto scomparsi sono i vizi della povertà e quelli più grandi della ricchezza, gli unici
che restano riguardano controversie d'onore. L’astrologia garantisce la dipendenza
dall'alto,assoggetta uomini e cose al corso dei pianeti e alle case dello zodiaco.
Campanella utilizza la liberalità come strumento del più rigido trionfo dell'autorità. Perché
qui l'individuo condannato dalla legge vuole vedersi annientato in quanto deviante, ovvero,
nel linguaggio della chiesa. L'eliminazione della proprietà non determina, come in Moro,
un restringimento dello stato, anzi, lo stato diviene qui lo scopo ultimo della società,
innalzandosi da provincia a regno, a impero, a monarchia universale e infine a regno
papale. E' proprio lo stato a garantire il lato piacevole dell'ordine, la ripartizione dei
beni.Col passare delle anni, la sua città ideale diviene sempre più autoritaria e si avvicina
sempre più alle idee della Chiesa. Ad esempio la comunanza dei beni e delle donne non
viene abolita, ma i Padri della Chiesa vengono citati per giustificarla e la libertà sessuale
viene rigidamente limitata. L'astrologia occupa uno spazio meno importante nelle ultime
versioni, probabilmente a causa della guerra che il Vaticano stava combattendo contro gli
astrologi. Campanella non fu mai un rivoluzionario; fu un riformatore con un spirito ribelle e
quando quello spirito di ribellione lo abbandonò, divenne un conformista. La prima
versione della Città del Sole fu scritta in gioventù, è più utopistica rispetto alle altre. In
seguito la visione di Campanella si offuscò per il timore della carcerazione perpetua e per
necessità di compromesso .Nella Città del Sole, lo studio delle scienze occupa un posto
importante ma, contemporaneamente, è altamente stimato il lavoro manuale. La
condizione di Sole, o Metafisico, è stata spesso identificata con quella del Papa, un Papa
ideale, somigliante più a un filosofo (ossia Campanella stesso) che ai papi del tempo. E'
piuttosto sorprendente vedere come Campanella si adegui poco alla morale cristiana
ortodossa che condanna ogni unione sessuale il cui scopo non sia quello della
riproduzione. Le donne della Città del Sole dividono il lavoro con gli uomini anche se gli
affidano compiti più leggeri. Inoltre imparano l'uso delle armi, sono in grado, in caso di
necessità, di aiutare gli uomini in battaglia presso la città. L'addestramento militare ha un
ruolo importante nella vita degli abitanti della Città del Sole, fanno guerra solo quando
subiscono qualche ingiuria oppure quando la loro terra viene depredata. Aiutano i popoli
oppressi dai tiranni in quanto il loro compito è quello di difendere la libertà. A differenza dei
cittadini della Repubblica di Platone, non disprezzano i popoli meno illuminati. L'agricoltura
è tenuta in grande stima ed è portata avanti in modo scientifico. E' la prima utopia che
abolisce il lavoro degli schiavi e considera tutto il lavoro manuale, per quanto umile possa
apparire, come occupazione dignitosa. Come in altre utopie, comunque, esiste poca
libertà nella Città del Sole. Le donne possono esser condannate a morte per aver usato
cosmetici o tacchi alti e anche i delitti contro la libertà della Repubblica, contro Dio o i
magistrati supremi vengono puniti con la morte.Campanella bandisce le prigioni e la
tortura dalla sua città ideale. Moro, ovvero l'utopia della libertà, corrisponde all'alchimia
quasi quanto Campanella, ovvero l'utopia dell'ordine, corrisponde all'astrologia. Moro non
cita mai l'alchimia, per il semplice fatto che l'oro sulla sua isola è disprezzato, e la
nobilitazione dei metalli, nel suo senso simbolico di nobilitazione del mondo là non pare
più necessaria. L'opposizione tra il modello di Moro e quello di Campanella è anche
un'opposizione mitologica e si estende a tutte le utopie successive. Come sinonimo di
felicità sociale Tommaso Moro poneva la libertà democratica, Campanella l'ordine
autoritario ma, sia prima che dopo di loro, queste nozioni politiche hanno vissuto e
significato realtà ben diverse. Solo il cammino oltre «Campanella» (inteso come pathos
dell'ordine) conduce alla democrazia di «Moro» (inteso come pathos della libertà), in cui
non è possibile, in nessuna configurazione, ma in cui potrebbe cominciare un regno di
individui che sono usciti sia dalla libertà singolarizzata dei ladroni che da un insipido
disordine e conoscono bene la miglior eredità della federazione e della centralizzazione:
conoscono la pienezza nell'unità. Libertà e ordine, duramente contrapposte nelle utopie
astratte, nella dialettica materialistica trapassano l'una nell'altra, si aiutano
vicendevolmente. La libertà concreta è l'ordine del campo suo proprio, l'ordine concreto è
la libertà, del suo unico contenuto. Campanella può essere considerato un pensatore
politico. Se per utopista intendiamo colui che s’immagina cose impossibili, allora Tommaso
Campanella non fu utopista, poiché quello, che egli immaginò e propose, non fu il frutto di
impossibili fantasie, ma il meditato risultato di previsioni socio-politiche, possibili ai suoi
tempi, come ora diremo. Se invece per utopista intendiamo colui che non vede realizzato,
nella sua vita, le sue previsioni socio-politiche, allora sì, il Campanella fu un utopista. Ma
credo che questa seconda accezione non si possa sostenere, perché allora sarebbero
utopisti tutti coloro, che hanno immaginato cose, verificatesi poi nel futuro. Sarebbero degli
utopisti, per esempio, Marx ed Engels (1848), i quali non poterono vedere la Rivoluzione
d’Ottobre (1917), che invece realizzò il loro programma.
Bacone è considerato il profeta della tecnica, perché vedeva la scienza come uno
strumento per dominare la natura e capire tutti i suoi misteri;è considerato il padre del
metodo sperimentale e della logica induttiva. Criticò la validità dei tradizionali sillogismi
aristotelici e l'uso della mera speculazione nei saperi scientifici. valorizzò per questo
metodi considerati imperfetti e non definitivi come l'analogia che, procedendo dalle
caratteristiche o proprietà di un insieme più ampio, giunge a inferire quelle proprie di un
singolo dato considerato, lasciando all'esperienza futura il compito di correggere gli errori.
Francesco Bacone, (Londra 1561-1626), nome italianizzato di Francis Bacon, filosofo e
scienziato inglese,tentò di coinvolgere il re nel suo progetto politico, che contemplava
l'ormai avviata unificazione di Inghilterra e Scozia e l'apertura di trattative con i cattolici;
grazie a queste proposte fu nominato cavaliere e commissario per l'unificazione di
Inghilterra e Scozia. Fu accusato dal Parlamento di corruzione e imprigionato nella Torre
di Londra a discrezione del re e allontanato dal Parlamento e dalla corte. Ottenuto il
perdono regale, Bacone abbandonò la vita politica e si ritirò nella sua residenza di famiglia
dove si dedicò agli studi.Nella Nuova Atlantide”, Bacone delinea la sua utopia politico-
scientifica, quella di una società regolata in vista del progresso scientifico e dotata quindi
di tutta una serie di tecnologie capaci di alleggerire il lavoro e di rendere più comoda la
vita.
immagina una società utopica dove gli uomini si potevano dedicare allo sviluppo della
scienza il cui fine ultimo era quello di conferire all’uomo il dominio di ogni parte del mondo
naturale. La leggenda classica di Atlantide, già citata da Platone, ha ispirato parecchie
opere letterarie, tra le quali quest’opera. Vi si descrive un'utopistica comunità che vive in
un'ipotetica isola del Pacifico nella completa dedizione alla scienza e alle sue applicazioni.
Nella ricerca di una società ideale e perfetta, Bacone assegna alla scienza, assunta sotto
una prospettiva inedita, rivoluzionaria, il compito di far progredire l'umanità verso il bene e
alla religione quello di appoggiare la scienza per garantire alla nuova società valori morali.
La società è governata da scienziati che sanno utilizzare le cascate d'acqua come forza
motrice e che dispongono di aria condizionata, di microscopi, di telescopi, di condotti
capaci di trasmettere i suoni a grande distanza, di sommergibili, di macchine per volare.
Come emblema della sua nuova scienza adotta una caravella che, a vele spiegate,
oltrepassa le colonne d'Ercole alla conquista del Nuovo Mondo. Nell'opera c'è una
continua polemica contro la sapienza contemplativa e uno slancio entusiastico che
annuncia il regno dell'uomo come l'avvento di una nuova era. Anche per Bacone il "regno
dell' uomo" e in realtà la riconquista del paradiso terrestre, l'utopia è un mito del ripristino
della condizione edenica. La conoscenza diventa uno strumento di dominio sul mondo, e
la società ideale si serve della scienza come guida all'azione. Dall'Utopia di Tommaso
Moro, passando per La Città del Sole di Campanella e la Nuova Atlantide di Bacone, si
evince come la libertà sia particolarmente congeniale all'Homo Sapiens. Ma utopia non
significa solo teorizzare impossibili mondi perfetti, in un mondo cinico e spietato come
quello dell'uomo significa lottare fino in fondo per le proprie idee a costo di sacrificare la
loro vita per esse, per perseguire fino in fondo i nostri ideali,di qualunque colore essi
siano.
Premio nobel nel 1998Josè Saramago è nato nel 1922, ha prodotto opere dure,
provocatorie, controcorrente, sempre a cavallo tra una denuncia accesa delle ingiustizie
della nostra civiltà e un’osservazione stupita, a tratti amareggiata delle sue eterni
contraddizioni. Ateo, eppure profondamente religioso nel suo continuo domandare al Dio
d’Occidente le ragioni del dolore dei suoi figli. Saramago può essere considerato una delle
voci più coerenti e lucide della narrativa del xx secolo qualità di cui si rende pienamente
protagonista in cecità scritto nel 1995 e reso noto al pubblico italiano solo l’anno scorso.
In esso Saramago mantiene inalterato lo stile particolare che intreccia, con una
punteggiatura attentissima (fatta soprattutto di virgole) non solo la prosa col parlato – ossia
i discorsi indiretti con quelli diretti – ma anche le differenti voci dei differenti personaggi.
L’autore portoghese in questo romanzo racconta di una cecità che colpisce gli occhi, ma
ancor di più la profondità dell’anima. Il malessere esterno diventa, infatti, la proiezione di
una ben più grave malattia interna: il segno di una crisi interiore che colpisce l’uomo in
maniera del tutto inaspettata. Il fatto che si tratti di una cecità bianca, che affonda
l’individuo in un mal bianco simile ad un mare di latte che avvolge la vittima in un candore
luminoso, sottolinea già la sua amena natura, il suo distinguersi dalla comune cecità nera
degli occhi. L’inizio della vicenda, introduce subito il lettore nello spazio della malattia per
condurci un attimo dopo nel cuore di essa: ambientato in una città qualunque, di un paese
qualunque, il romanzo narra con sgomento e dovizia di particolari di rapidissima discesa
all’inferno di un’intera città, forse una nazione, senza una spiegazione plausibile.
Mentre si trova fermo a un semaforo in attesa del verde, all’improvviso un guidatore si
accorge di essere diventato cieco. All’inizio pensa si tratti di un offuscamento passeggero,
ma una serie di accurati controlli medici rivelano ben presto il carattere permanente e
sconosciuto della sua malattia: un anomalo mal bianco che cancella tutte le immagini e le
sostituisce con una luce bianchissima, simile a un oceano di latte bianco. Una malattia,
questa, che nell’arco di pochissimi giorni colpisce tutta la popolazione gettando nel caos
singoli e collettività. Nella certezza di poter evitare il diffondersi a macchia d’olio
dell’epidemia,le autorità decidono, di riunire i soggetti malati e di rinchiuderli in un ex
manicomio, costringendoli a vivere come animali, isolati ed esposti a una violenza
reciproca indescrivibile. Perché, nel momento della cecità e della perdita di ogni regola di
convivenza civile scattano automaticamente l’abbrutimento, la crudeltà e il sopruso ed
emeriti membri della società giungono rapidamente a livelli di degenerazione
sconcertante. In questo inferno in terra, appare tuttavia un piccolo segno di speranza: una
donna, moglie di un medico colpito dalla malattia, rimasta misteriosamente immune decide
di fingersi cieca così da poter seguire il proprio compagno nel periodo d’isolamento
imposto dalle autorità. E, grazie al suo amore riversato su tutti gli “ospiti” del lager, riesce a
sostenerli nella loro lotta per la sopravvivenza fino al momento della fuga e della salvezza
finale. Una salvezza priva di spiegazione, giunta all’improvviso esattamente com’era
penetrata negli occhi della gente la malattia, destinata forse a essere tanto precaria
quanto la sicurezza di cui si credevano portatori tutti gli uomini e le donne di quel paese
qualunque, in quella misteriosa nazione qualunque.Proprio la figura di questa donna, che
sembra vivere di una realtà a colori dove ogni individuo diventa una sagoma oscura,
intrattiene un rapporto particolare col lettore, offrendogli- in un mondo popolato da ciechi-
l’unica possibilità di vedere l’universo creato dallo scrittore. In questo senso il lettore vive
la realtà del romanzo attraverso i suoi occhi, e alla fine quando essi si chiudono egli non
può far altro che precipitare nel mare cieco della realtà, annegando inevitabilmente nel mal
bianco dell’ultima pagina. Come dimostrato nella magnifica trama del suo romanzo,
Saramago, tocca con tenuità, e al tempo stesso, assoluta brutalità uno dei temi più cari
all’essere umano: la costante precarietà della sua . con tono incalzante, punteggiatura
anomala, scrittura densa e immagini sconvolgenti l’autore dipinge la sua personalissima
concezione dell’Apocalisse, qualcosa che a suo parere non appartiene al futuro né tanto
meno reca in se stessa tracce di visioni mistiche o religiose. L’Apocalisse è ora, è il
presente, è l’incertezza è la violenza della nostra vita, l’ipocrisia necessaria alle nostre
reputazioni, l’incapacità di convivere secondo regole umane anziché sociali. Un mondo
d’ombre perennemente sottostante l’esperienza quotidiana, rivelato all’improvviso nel
momento dell’offuscamento fisico, simbolo quindi, della cecità in cui vive l’uomo moderno
della luminosa e illuminante tecnologia. Un libro duro, scioccante, profondamente poetico,
per riflettere, per capire e capirsi senza moralismi né falsità.
Italo calvino(1923-1985) nel 1972 scrive le città invisibili. Opera composta da 9 capitoli,
ciascuno aperto e chiuso da una cornice in corsivo nella quale si delinea lo scenario.
All’interno di tale cornice si mette in scena il dialogo tra i due protagonisti: Kublai Kan,
l’imperatore dei tartari, e Marco Polo, il giovane viaggiatore veneziano, autore del Milone
da cui Calvino trae ispirazione per la stesura del libro. I titoli, dei paragrafi, mettono in luce
il significato simbolico delle singole narrazioni, che rimandano sempre ad un significato
generale della città, e costituiscono i tasselli di un’unica narrazione sulla città.
Tornando al Milone di Marco Polo,è necessario sottolineare la diversa ottica sotto quale
viene effettuata la rivisitazione dell’opera contenente i resoconti del viaggio in Oriente
compiuto dal celebre viaggiatore. Calvino infatti, compie tale rivisitazione trasformando la
dimensione spaziale :dallo spazio geografico del mondo attraversato allo spazio mentale
del viaggio narrato.Lo scenario del romanzo di Calvino non è il mondo, è l’immaginario
moderno.
All’inizio della narrazione Marco Polo non parla. Difatti, il celebre viaggiatore, non
conoscendo la lingua del re tartaro,in primis tenta di comunicare attraverso i gesti. Un
secondo aspetto che differenzia le due opere, è la diversa presentazione della personalità
di Marco Polo, la cui figura, considerata eroica nel Milone, nel “Le città invisibili” viene
spogliata di tale accezione. Marco Polo,simbolo del viaggiatore,in quanto tale per
eccellenza, diviene simbolo del rapporto tra la conoscenza e l’ignoto. Questo
cambiamento prospettico scaturisce dalla concezione di Calvino sul viaggio
moderno,inteso come viaggio mentale. Successivamente avendo appreso la lingua dei
tartari, Marco Polo è capace di offrire al Gran Khan, resoconti di viaggio precisi e
completi, ma pur sempre ambigui per la natura stessa del linguaggio. Calvino parla di città
del degrado e degradate, le città volente e violentate dalla speculazione alla miseria. Le
"città invisibili" sono ansie, angosce e speranze;sono la proiezione dei nostri desideri e
delle nostre paure, delle nostre domande e del nostro disagio. Calvino scrive di città nate
in luoghi "impossibili" per ogni forma di vita;che pongono in discussioni le leggi che
regolano lo sviluppo di una società; non si è più sicuri se sono gli uomini a costruire le città
oppure sono esse a nascere e crescere in modo autonomo imprigionando chi li abita in
una sorta di labirinto. Le città di Calvino, tuttavia, sono luoghi infernali,non sono le
metropoli di un prossimo futuro ma appartengono al nostro tempo, sono le nostre città, con
le nostre strade e le nostre piazze. Per sottolineare questa appartenenza Calvino ricorre
alla tecnica del correlativo- oggettivo, egli cioè descrive discariche, strade caotiche,
casamenti pallidi, proprio come le periferie della nostra città.
Il libro termina con un "indicazione-invito" a non trasformare le città, metafora della nostra
esistenza in un inferno.
Tra le città descritte da Calvino solo Ottavia, città leggera, sembra offrire ai suoi abitanti
una esistenza "meno incerta". Questa città sorge su un precipizio, legata a due montagne
con una ragnatela di corde. La consapevolezza della propria precarietà è la sua forza:
"sospesa sull'abisso" la vita degli abitanti di Ottavia è meno incerta che in altre città. Essi
"sanno che più di tanto la rete non regge".
Ho scrutato la città come un astronomo scruta il cielo alla ricerca di astri e pianeti invisibili
che sicuramente hanno un loro posto nel cosmo. L'obiettivo della macchina fotografica,
come il telescopio può essere uno strumento per scoprire l'invisibile.