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Karnak - 3

Rick Strassman

DMT
LA MOLECOLA
DELLO SPIRITO

Prefazione di
Andrea Doria

Traduzione di
Laura Visioli
Rick Strassman
DMT - La molecola dello spirito
titolo originale: DMT - The Spirit Molecule

traduzione: Laura Visioli


revisione: Giovanni Picozza, Valeria Pizzichini,
Andrea Colamedici

© 2001 Rick J. Strassman, md


Italian language rights handled by
Agenzia Letteraria Internazionale, Milano
© 2014 Spazio Interiore

Edizioni Spazio Interiore


Via Vincenzo Coronelli 46 • 00176 Roma
Tel. 06.90160288
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illustrazione in copertina
Stefano Mayorca, Ayahuasca
sviluppo eBook
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I edizione: aprile 2015

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INDICE

PREFAZIONE di Andrea Doria

DMT - LA MOLECOLA DELLO


SPIRITO

RINGRAZIAMENTI
INTRODUZIONE
PROLOGO: LE PRIME SEDUTE
PARTE I
CONCETTI BASILARI

Capitolo 1
DROGHE PSICHEDELICHE:
SCIENZA E SOCIETÀ

Capitolo 2
COSA È LA DMT

Capitolo 3
LA PINEALE: LA GHIANDOLA
DELLO SPIRITO

Capitolo 4
LA PINEALE PSICHEDELICA

PARTE II
CONCEPIMENTO E NASCITA

Capitolo 5
89-001

Capitolo 6
LABIRINTO

PARTE III
SET, SETTING E DMT
Capitolo 7
ESSERE UN VOLONTARIO

Capitolo 8
ASSUMERE LA DMT

Capitolo 9
SOTTO EFFETTO

PARTE IV
LE SESSIONI

Capitolo 10
INTRODUZIONE ALLE
RELAZIONI DEI CASI
Capitolo 11
SENTIMENTI E PENSIERI

Capitolo 12
MONDI INVISIBILI

Capitolo 13
CONTATTO ATTRAVERSO IL
VELO: 1

Capitolo 14
CONTATTO ATTRAVERSO IL
VELO: 2

Capitolo 15
LA MORTE E IL MORIRE

Capitolo 16
STATI MISTICI

Capitolo 17
DOLORE E PAURA

PARTE V
INTERRUZIONE

Capitolo 18
E QUINDI?

Capitolo 19
SUL FINIRE DELLA RICERCA

Capitolo 20
CALPESTARE UN SUOLO SACRO

PARTE VI
COSA PUÒ E POTRÀ ESSERE

Capitolo 21
DMT: LA MOLECOLA DELLO
SPIRITO

Capitolo 22
LE PROSPETTIVE FUTURE
DELLA RICERCA PSICHEDELICA
EPILOGO
Ai volontari e alle loro relazioni
Non possediamo abbastanza
immaginazione
da renderci conto di quello che
stiamo perdendo.
Jean Toomer
PREFAZIONE
di Andrea Doria

Quando mi è stato chiesto di


scrivere la prefazione per questo
libro a stento ho trattenuto
l’entusiasmo, e sono certo
nonostante ciò di non peccare di un
eccesso di impeto se affermo sin da
ora che il libro che reggete tra le
mani in questo momento non è
soltanto la testimonianza più
autentica di una delle ricerche
scientifiche tra le più importanti del
nostro secolo, ma è per il
sottoscritto qualcosa di più
personale e intimo: la chiusura di
un cerchio.
Lessi per la prima volta The Spirit
Molecule nella sua edizione in
lingua originale nel 2004, e proprio
in quel periodo mi trovavo immerso
nel bel mezzo di un percorso di
crescita personale che potremmo
definire per convenzione
“spirituale”. Così, come molti altri
viandanti in cerca di improbabili
risposte nel vasto universo dei
misteri del mondo, mi sono
ritrovato, uno dopo l’altro, ad
approdare curioso sui lidi di
svariate “isole filosofiche”, terre
senza dubbio ricche di
insegnamenti che a quel tempo mi
apparivano affascinanti e maestose
nel loro aspetto esotico più
superficiale. Ciò accadde fin quando
non mi resi conto che, esattamente
come le vere isole che popolano
interi arcipelaghi sul pianeta Terra,
le “isole filosofiche” sono separate,
distaccate l’una dall’altra dalle
abbondanti acque delle
incomprensioni umane. Ognuna di
queste isole nasconde tesori
senz’altro unici ma che
difficilmente, se non in sporadici
casi, condividono qualcosa in
comune con le altre; inoltre, le
verità che nascono dalle risposte
che l’uomo si è dato per fornire un
significato a tali misteri hanno
senso unicamente se si decide di
fermarsi a vivere entro i confini
delle proprie terre. Non appena si
avverte l’esigenza di approfondire,
di entrare maggiormente nel
dettaglio, poiché quanto ottenuto
fino a quel momento non è stato
sufficiente a soddisfare quell’innato
desiderio di conoscere
l’inconoscibile, è necessario
raccogliere il proprio fardello sulla
schiena e spostarsi altrove, verso
altri lidi, i cui insegnamenti
finiscono sempre per aggiungere
nuovi “elementi” e nuove “verità”,
spesso in netto contrasto con
quanto già appreso in precedenza.
Con l’aumento degli elementi e le
verità che si vanno ad accumulare
nel proprio bagaglio aumenta
proporzionalmente il numero delle
domande, le quali a loro volta
conducono inesorabilmente l’ormai
esausto viandante a porsi infinite
domande, sempre più contorte e
complicate, se non addirittura
spiaccicate ai confini più remoti
della ragione.
Questo purtroppo è il rischio che
corre chiunque intenda affrontare
un cammino di un certo tipo, ed è
un rapporto impari che si ha con la
conoscenza perché, per paradosso,
più alto è il numero delle domande
generate dalle risposte che abbiamo
ricevuto da terzi e meno risulta
esservi una concreta possibilità di
ottenere qualcosa di definitivo e di
appagante per se stessi. In altre
parole, è assai più facile affrontare
le cosiddette “fatiche d’Ercole” che
arrivare a definire una “teoria
filosofica del tutto” coerente,
pescando semplicemente qua e là
dalle varie dottrine che il mercato
ha da offrire.
Più mi inoltravo negli oscuri
meandri dell’esoterismo, colmo fin
negli abissi del mio cuore del più
puro spirito d’avventura, più le
contraddizioni di tali insegnamenti
emergevano da ogni dove e mi
assillavano la mente, la quale per
sadico divertimento – a mio totale
dispetto – se la cantava e suonava
più o meno in questo modo: «Se
tutto quanto è collegato, se tempo e
spazio sono, come asseriva
Einstein, “modi in cui pensiamo”,
banali convenzioni prive di senso al
di fuori della nostra percezione
ordinaria, le domande che devi
seriamente porti sono: CHI SEI TU? e
CHI È L’ ALTRO in questo complicato
videogioco che chiami vita?»
Ora non mi si fraintenda. DMT –
La molecola dello spirito, benché il
titolo possa di primo acchito darlo a
pensare, non è un libro “spirituale”
nel senso più stretto del termine.
Non contiene ricette per
illuminazioni istantanee su
ordinazione, ma è un serio testo
scientifico dotato di un certo piglio
divulgativo che però, volendo, può
aiutarvi a chiudere un cerchio di
domande importanti. Non potrà in
alcun modo dirvi chi siete,
tantomeno condurvi illesi a nuove
presunte verità di origine spirituale,
utili a riempire ulteriormente
quello stracolmo calderone che è la
proposta contemporanea. È
piuttosto un testo che, nella
semplice esposizione di ciò che è
avvenuto durante i coraggiosi
esperimenti condotti dal dr. Rick
Strassman alla Scuola di Medicina
dell’Università del New Mexico,
sarà in grado di fornire a chiunque
una base solida di elementi utili a
delineare un nuovo orizzonte,
senz’altro più cristallino nei
confronti di ciò che definiamo
Coscienza o Natura delle Realtà
“altre”, dipanando così molte
nebbie.
Ritengo DMT – La molecola dello
spirito in assoluto il testo più
importante degli ultimi tredici anni.
Mi ha permesso di uscire da
quell’overdose di informazioni a cui
mi ero sottoposto per l’amore che
provavo nei confronti della
conoscenza, aiutandomi così a
delineare un aspetto più “armonico”
di quanto conosciamo circa le
meccaniche dell’Universo; sono
certo fornirà anche a molti di voi la
grande opportunità di unire tutti
quei puntini rimasti per una
ragione o per l’altra ancora
scollegati tra di loro, in quel torbido
terreno composto da tutte quelle
straordinarie esperienze che, ogni
notte, più o meno dalle 3 e 33 in
poi, affrontiamo quando andiamo a
coricarci: sogni lucidi, incontri con
esseri di altre dimensioni (più o
meno socievoli), entità mitologiche
o psicopompe, viaggi astrali, viaggi
nel tempo, incontri con i tulpa e chi
più ne ha più ne metta. Tutte
questioni ritenute solitamente di
scarsa rilevanza, o più
semplicemente considerate il frutto
di problematiche inconsce rimaste
irrisolte, le quali, durante la notte,
per chissà quali misteriosi processi
cognitivi non del tutto chiariti,
sarebbero utili al cervello per dare
un “senso” alle nostre banali
esperienze quotidiane.
E se non fosse esattamente così?
E se quei mondi fossero in realtà
più reali di quanto non lo riteniamo
possibile, sebbene ognuno di essi
sia legato indissolubilmente al
nostro “Io” profondo? Potremmo
definirli “mondi-specchio” nel quale
riconoscere la nostra vera natura
che giace indisturbata sotto la
maschera che indossiamo? Ecco, gli
esperimenti compiuti dal dr.
Strassman sono senza ombra di
dubbio quanto di più vicino
possediamo, in termini di dati e
informazioni reali, tangibili, per
definire meglio cosa siamo (e non
chi) rispetto a questi fenomeni e
quali siano le meccaniche coinvolte
in questi processi notturni che
danno luogo a tali esperienze che
così tanto stravolgono la nostra vita.
Durante il periodo settennale nel
quale mi sono trovato a gestire il
mio blog di informazione
AutomiRibelli.org, attualmente in
standby per motivi di tempo e
motivazione, ho trattato diverse
volte l’argomento N,N-
dimetiltriptamina, o DMT , legato a
un’altra questione più complessa
del “semplice” cammino di crescita
personale: le faccende delle
cosiddette abduction (rapimenti
alieni). A dire il vero sono stato uno
dei primi a dedicarvi diversi articoli,
in quanto in Italia in quel periodo si
andava diffondendo a mio avviso
una certa vena “terroristica” nei
confronti di questo delicato
argomento, e perciò ritenevo
opportuno cercare di informare i
miei lettori che, forse, una possibile
soluzione del problema era da
ricercarsi anche altrove.
Avendo già letto DMT – La
molecola dello spirito svariati anni
prima, ero perfettamente a
conoscenza su quanto ebbero a dire
quei sessanta volontari che
parteciparono allo studio del dr.
Strassman durante i cinque anni di
sperimentazione; perciò ho esposto
in più di un’occasione le ragioni per
le quali non mi trovavo del tutto in
sintonia con la conclusione secondo
cui queste esperienze possedessero
unicamente dei connotati negativi e
vedessero l’uomo unicamente come
un povero topolino da laboratorio
nelle mani di un sadico predatore
d’anime.
Ora, vi prego, non travisate il mio
discorso. Mi rendo perfettamente
conto della necessità di andare cauti
quando si trattano questi
argomenti, perché diviene molto
facile urtare la sensibilità di chi vive
queste esperienze sulla propria
pelle e avrebbe qualcosina da dire a
riguardo. Ma è altrettanto
necessario, però, arrivare a
comprendere che per capire cosa
realmente accada durante le nostre
notti è necessario avere il coraggio
di andare oltre, evitando di
semplificare. Gli elementi in gioco
in un’esperienza come quella del
rapimento alieno sono
innumerevoli e richiedono da parte
nostra la massima attenzione.
Purtroppo pochi diedero
importanza alle mie impressioni
quando affermai che c’era qualcosa
di affrettato nel trattare questo
argomento attraverso valutazioni
troppo deterministiche sulla sua
natura, senza aver preso in
considerazione tutti gli studi
disponibili, primo fra tutti quello
portato avanti dal dr. Rick
Strassman. Spesso mi sono
prodigato perfino con un certo
affanno ad informare circa questo
studio i diretti protagonisti italiani
delle indagini sulle abduction,
senza purtroppo ricevere grande
interesse, se non addirittura
nessuno.
Quale sarebbe dunque il pomo
della discordia? È presto detto.
Questo libro porta alla luce nel suo
contesto generale un tema ben
specifico e non privo di importanza:
la dimetiltriptamina, una delle
molecole endogene (psichedeliche)
più potenti esistenti in natura, è
presente in determinate piante –
come ad esempio la Banisteriopsis
caapi, una delle due piante che
costituiscono la bevanda sacra
conosciuta come Ayahuasca – ma
non solo. A determinate condizioni
di carattere endocrino e a seconda
del soggetto, durante la fase
notturna è possibile rinvenire tracce
di DMT nel fluido cerebrospinale di
un essere umano per pochissimi
minuti (poco meno di cinque), dopo
che questa è stata sintetizzata
qualche istante prima dalla
ghiandola pineale situata al centro
del nostro cervello. Avete capito
bene: durante i sogni, e parlo di
quelli più lucidi, vividi e coscienti,
ossia in una profonda fase REM,
siamo praticamente sotto l’effetto
di una tra le sostanze psichedeliche
più potenti al mondo. Per
comprendere al meglio le ragioni
per le quali ciò accade durante le
nostre notti più “movimentate”,
mediamente tra le 3 e le 4 del
mattino, occorre spiegare che la sua
sintesi avviene mediante
l’assunzione quotidiana di un
amminoacido essenziale, il
triptofano, il quale è presente in
quantità più o meno grande in tutti
i cibi di uso comune, come ad
esempio la carne, il formaggio, il
vino e le uova. Il triptofano
interagisce con la serotonina (5-
idrossitriptamina, 5-HT ), e
dall’unione di questa interazione vi
è una sintesi maggiore di
melatonina, la quale a sua volta, a
determinate condizioni, muta in
una molecola dalla forma assai più
caratteristica, la pinolina, e dalla
pinolina si passa alla DMT .*
Ora, come afferma lo stesso
Strassman nell’esposizione del suo
lavoro, ciò può essere visto come
una sfida alla realtà delle esperienze
che si vivono durante i rapimenti
alieni, perché immediatamente si
potrebbe essere indotti a ritenere
che chi vive strane esperienze
notturne con questi “esseri” sia in
realtà un poveraccio che dopo aver
mangiato pesante si è fatto un
brutto trip. Non è assolutamente
così: una volta arrivati in fondo a
questo libro ognuno di voi avrà la
possibilità di constatarlo di persona.
La DMT sembra piuttosto agire come
una sorta di “chiavistello”
attraverso una specifica interazione
con la nostra biologia, mostrandosi
in grado di aprire “porte” percettive
della coscienza individuale e
proiettarla verso altre dimensioni
della psiche a noi ignote.
Un altro dei passaggi chiave che
mi ha condotto a ritenere il lavoro
compiuto dal dr. Strassman più
unico che raro è emerso leggendo
alcune testimonianze riportate nei
prossimi capitoli, nelle quali spicca
chiaramente un dato tanto
significativo quanto purtroppo a
mio avviso sottostimato: in seguito
alla somministrazione di una
normale dose di dimetiltriptamina,
iniettata per via endovenosa,
svariati soggetti descrivono un
rapporto che definiscono
“amorevole” con un alieno gentile,
che li abbraccia e dice di amarli
come figli; loro si sentono
benissimo in quello stato, e si
trovano in perfetta sintonia con lui.
Quando invece agli stessi soggetti
venivano somministrate dosi di DMT
maggiorate, quindi più cariche
rispetto al loro range di
sopportazione biochimica, lo stesso
alieno diventava aggressivo nei loro
confronti, generando tutto
quell’insieme di esperienze
traumatiche vissute dai soggetti
durante un classico rapimento.
Come poteva essere possibile,
dunque, che l’alieno mostrasse una
dicotomia così estrema,
rispondendo addirittura
emotivamente a una precisa
intossicazione – seppur sotto
controllo medico – del sistema
nervoso del soggetto? È possibile
dunque che vi siano persone che
per chissà quali condizioni
psicofisiche siano in grado di
sintetizzare questa molecola in
maggiori quantità rispetto ad altri,
tanto da procurarsi delle piccole
overdose notturne, al punto da
scatenare un dramma interiore? Ma
soprattutto, se è verosimile la
possibilità che l’alieno possegga
comportamenti differenti a seconda
del nostro stato nervoso, è dunque
parte di una realtà “esterna” a noi,
oppure è una parte integrante e
indissolubile della nostra psiche?
Quando posi questa domanda al
dr. Strassman in una delle svariate
conversazioni intercorse via Skype,
con tono sereno mi rispose: «Io
ritengo, per l’esperienza concessami
dallo studio che abbiamo
intrapreso, che questi “esseri” siano
fuori di noi, e allo stesso tempo
potrebbero essere riflessi del nostro
stato interiore. È difficile
distinguere tra queste due
alternative, ma è anche imperativo
riuscirci per risolvere molti enigmi
che ancora ci circondano».
Ed è sul riflessi di uno stato
interiore che vorrei fermarmi e
lasciarvi finalmente alla lettura,
non prima però di aver lanciato a
tutti una simpatica provocazione: la
DMT è una molecola illegale inserita
nella tabella I del testo unico delle
leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e delle sostanze
psicotrope, pertanto la sua
assunzione è vietata per legge. Così,
adesso che sapete che essa viene
sintetizzata da ognuno di noi, ogni
notte, in minori o maggiori
quantità, citando un mio vecchio
amico vi ricordo che «quando
sogniamo siamo tutti fuorilegge
perché la ghiandola pineale è un
laboratorio di droghe illegali».

Buona lettura
Andrea Doria
DMT
LA MOLECOLA
DELLO SPIRITO
RINGRAZIAMENTI

Innumerevoli colleghi,
organizzazioni e associazioni hanno
fornito il loro supporto in ogni fase
di questo studio. Alcuni meritano
un ringraziamento speciale. Lo
scomparso Daniel X. Freedman,
medico del Dipartimento di
Psichiatria dell’Università della
California di Los Angeles (UCLA ), che
mi ha sempre sostenuto in questo
progetto e mi ha permesso di
ottenere i primi ed essenziali fondi
per realizzarlo. Il personale della
Food and Drug Administration e il
Drug Enforcement Administration
degli Stati Uniti, che hanno
mostrato la loro straordinaria
flessibilità e prontezza nel
rispondere alle inusuali circostanze
di questa ricerca. Clifford Qualls,
biostatistico presso l’Università del
New Mexico, che si è dedicato
incessantemente per ore, giorni e
settimane all’elaborazione di calcoli
presso il Centro di Ricerca, a casa
sua e a casa mia. David Nichols,
della Purdue University, che ha
preparato la DMT , senza la quale
questo studio non avrebbe visto la
luce.
In ogni momento di questa
ricerca, il Dipartimento di Medicina
dell’Università del New Mexico mi
ha fornito l’aiuto accademico, fisico
e amministrativo per il mio lavoro.
Il dottor Walter Winslow,
responsabile del Dipartimento di
Psichiatria, mi ha concesso
parecchia libertà d’azione essendo
all’epoca uno dei suoi pochi
ricercatori. Dopo che il dr. Winslow
andò in pensione, è stato il dr.
Samuel Keith a seguirmi nelle
questioni sia di carattere
amministrativo che accademico. Il
dottor Alan Frank, responsabile
dello Human Research Ethics
Committee dell’Università, ha fatto
fronte alle mie richieste in modo
onesto e corretto.
Esprimo la mia gratitudine al
General Clinical Research Center
(GCRC) dell’Università del New
Mexico per avermi assistito nel
corso dei miei studi su melatonina,
DMT e psilocibina. Il dottor Jonathan
Lisansky, collega del Dipartimento
di Psichiatria e del Centro di Ricerca
dell’Università del New Mexico, mi
ha presentato lo scomparso Glenn
Peake, medico e direttore scientifico
del GCRC: insieme mi hanno
convinto a trasferirmi ad
Albuquerque nel 1984. Il dottor
Philip Eaton prese abilmente le
redini del GCRC dopo la morte
improvvisa del dottor Peake e
quando gli dissi di aver deciso di
studiare le sostanze psichedeliche
mi fece un cenno d’intesa. Il dr.
David Shade, Joy Mc Leold e
Alberta Bland mi hanno aiutato per
anni nelle ricerche di laboratorio in
modo davvero professionale. Lori
Sloane, del Centro Elaborazione
Dati, si è occupata dell’efficienza dei
macchinari con un’abilità
sorprendente e mi ha insegnato a
utilizzare dei programmi che
altrimenti avrei impiegato anni ad
apprendere.
Un ringraziamento speciale va
anche al personale ospedaliero e
ambulatoriale, al personale della
cucina, allo staff
dell’amministrazione, in particolare
a Kathy Legoza e Irene Williams.
Grazie alle infermiere Laura Berg e
Cindy Geist per il loro
considerevole supporto,
contraddistinto da precisione,
disciplina e un tocco di brio.
Ringrazio altresì l’infermiera Katy
Brazis che con la sua competenza
ha contribuito a realizzare i primi
colloqui psichiatrici.
Una generosa donazione dalla
Scottish Rite Foundation for
Schizophrenia Research fu d’aiuto
nello stabilire il valore scientifico
del progetto di ricerca sulla DMT . In
seguito, un sostegno finanziario più
consistente per le ricerche sulla DMT
e sulla psilocibina fu fornito dal
National Institute on Drug Abuse,
una divisione del US National
Institutes of Health.1
Per la stesura di questo libro,
John Barlow e la Rexx Foundation,
così come Andrew Stone, hanno
fornito un input finanziario
decisivo, mentre il sostegno
successivo della Barnhart
Foundation ha permesso al progetto
di andare avanti speditamente. Rick
Doblin, della Multidisciplinary
Association for Psychedelic Studies
(MAPS), ha gestito abilmente e con
generosità i fondi concessi da Stone
e dalla Barnhart Foundation. Ned
Naumes della Barnhart Foundation,
Sylvia Thiessen e Carla Higdon di
MAPS hanno coordinato in modo
impeccabile le entrate e le uscite
delle somme di denaro.
Ringrazio amici, colleghi,
studenti, insegnanti e mentori che
nel corso degli anni hanno fornito
idee e sostegno al progetto: Ralph
Abraham, Debra Asis, Alan Badiner,
Kay Blacker, Jill e Lewis Carlino,
Ram Dass, David Deutsch, Norman
Don, Betty Eisner, Dorothy e James
Fadiman, Robert Forte, Shefa Gold,
Alex Grey, Charles Grob, Stan Grof,
John Halpern, Diane Haug, Mark
Galanter, Mark Geyer, Chris Gillin,
George Greer, Abram Hoffer, Carol
e Rodney Houghton, Daniel Hoyer,
Oscar Janiger, David Janowsky,
Karl Jansen, Sheperd Jenks, Robert
Jesse, Robert Kellner, Herbert
Kleber, Tad Lepman, Nancy
Lethcoe, Paul Lord, David Lorimer,
Luis Eduardo Luna, John Mack,
Dennis e Terence McKenna,
Herbert Meltzer, David Metcalf,
Ralph Metzner, Nancy Morrison,
Ethan Nadelmann, Ken Nathanson,
Steven Nickeson, Oz, Bernd Michael
Pohlman, Karl Pribram, Jill Purce,
Rupert Sheldrake, Alexander e Ann
Shulgin, Daniel Siebert, Wayne
Silby, Zachary Solomon, Myron
Stolaroff, Juraj e Sonja Styk, Steven
Szára, Charles Tart, Requa Tolbert,
Tarthang Tulku, Joe Tupin,
Eberhard Uhlenhuth, Andrew Weil,
Samuel Widmer e Leo Zeff. Grazie
anche alla mia ex moglie, Marion
Cragg, che ha sempre appoggiato
me e la mia ricerca con i suoi
preziosi consigli e indicazioni nel
corso di tutte le disavventure
sopraggiunte.
Ringrazio tutte le persone che
hanno letto interamente o in parte
le bozze del libro, fornendomi
numerosi e utili consigli: Robert
Barnhart, Rick Doblin, Rosetta
Maranos, Tony Milosz, Norm
Smookler, Andrew Stone, Robert
Weisz e Bernard Xolotl.
Un enorme grazie a Daniel
Perrine per aver reso la migliore
idea possibile delle strutture
molecolari del libro. Ringrazio Alex
Grey per la sua copertina artistica,2
che ammiro profondamente, e per
avermi fatto avvicinare alle
tradizioni spirituali, laddove Jon
Graham ha apprezzato ciò che ha
scorto nel mio progetto. Ringrazio
Rowan Jacobsen, che è stato tutto
ciò che un editor può essere e anche
di più, e Nancy Ringel, la cui attività
di revisione è stata impareggiabile,
apportando parecchi miglioramenti
al testo.
Sono grato all’abate, oggi
scomparso, della comunità
buddhista zen di cui ho fatto parte,
così come alle diverse comunità
monastiche e secolari per il loro
insegnamento, la loro guida e il
potente modello di pragmatismo
mistico che propongono.
I miei più sinceri ringraziamenti
vanno alla mia famiglia: senza i
miei genitori Alvin e Charlotte
Strassman, mio fratello Marc
Strassman e mia sorella Hanna
Dettman, nulla di tutto ciò sarebbe
stato possibile.
Infine, rendo onore, mi inchino ed
esprimo la mia stima a tutti i
volontari. Il loro coraggio nel
lasciarsi condurre in questo viaggio
sulle ali della molecola dello spirito,
la loro fiducia nel team di ricerca
che si è preso cura del loro corpo e
della loro mente mentre si
avventuravano nell’oltre, e la loro
leggerezza, mantenuta
nell’ambiente più austero e rigido
immaginabile per assumere
sostanze psichedeliche, saranno di
ispirazione per le nuove generazioni
di cercatori.

1. Il National Institutes of Health finanziò i


progetti sulla melatonina (RR 00997-10), sulla
DMT ( R 03 DA 06524) e sulla psilocibina ( R 01

DA 08096), e le attività generali del Clinical


Research Center (M01 RR 00997).

2. L’autore fa riferimento alla copertina


dell’edizione originale realizzata da Alex Grey.
[N.d.T.]
INTRODUZIONE

Nel 1990 ho iniziato la ricerca, la


prima fatta dopo più di vent’anni
negli Stati Uniti, sugli effetti delle
sostanze psichedeliche, o
allucinogene, sugli esseri umani.
Questi studi hanno esaminato gli
effetti della N,N-dimetiltriptamina,
uno psichedelico estremamente
potente e di breve durata. Nel corso
dei cinque anni del progetto, ho
somministrato circa quattrocento
dosi di DMT a sessanta volontari. La
ricerca è avvenuta presso il
Dipartimento di Medicina
dell’Università del New Mexico, ad
Albuquerque, dove avevo assunto
l’incarico di Professore Associato di
Psichiatria.
Sono rimasto affascinato dalla DMT
perché essa è già presente nel corpo
umano. Credevo che la fonte della
DMT fosse la misteriosa ghiandola
pineale, un minuscolo organo
situato al centro del nostro cervello.
La medicina moderna sa ancora
poco riguardo al ruolo svolto da
questa piccola ghiandola, sebbene
essa possieda un’intensa storia
“metafisica”. Descartes, ad esempio,
credeva che essa fosse la “sede
dell’anima” e le tradizioni spirituali
sia occidentali che orientali
pongono il nostro massimo centro
spirituale entro i suoi confini. Di
conseguenza, mi sono domandato
se un’eccessiva produzione di DMT
da parte della ghiandola pineale
fosse coinvolta negli stati
“psichedelici” che avvengono in
modo naturale: la nascita, la morte,
gli stati di pre-morte, le psicosi e le
esperienze mistiche. Solo in
seguito, quando lo studio era già
ben avviato, ho iniziato a esaminare
anche il ruolo che la DMT aveva nelle
esperienze di rapimento alieno.
Il progetto sulla DMT si basava
sulle innovative scoperte
scientifiche sul funzionamento
della mente, in particolar modo
quelle che hanno a che fare con la
psicofarmacologia della serotonina.
In questa ricerca è stata tuttavia la
mia personale formazione, segnata
da un decennale rapporto di
addestramento ai precetti del
Buddhismo Zen all’interno di un
monastero, a influire in maniera
notevole sul modo di preparare e
assistere le persone durante le loro
sessioni sotto effetto di sostanze
psicoattive.
DMT – La molecola dello spirito
ripercorre cosa sappiamo in
generale sulle droghe psichedeliche,
focalizzandosi in particolare sulla
DMT . Ripercorre inoltre il progetto di
ricerca sulla DMT a partire dai suoi
primi passi attraverso l’intricato
labirinto di commissioni e comitati
di revisione fino al momento della
sua effettiva realizzazione.
Nonostante fossimo tutti convinti
delle proprietà potenzialmente
benefiche delle sostanze
psichedeliche, la ricerca non aveva
finalità terapeutiche; per questo
motivo, i soggetti della ricerca erano
tutti volontari sani. Il progetto ha
prodotto una notevole quantità di
dati biologici e psicologici, molti dei
quali sono già stati pubblicati nella
letteratura scientifica. D’altra parte,
non avevo scritto quasi nulla sulle
vicende dei volontari. Spero che i
numerosi estratti che ho
selezionato tra più di mille pagine
di appunti facciano arrivare il senso
degli straordinari effetti emozionali,
psicologici e spirituali prodotti da
questa sostanza.
Nel 1995, alcuni problemi interni
ed esterni all’ambiente di ricerca
l’hanno portata al termine.
Nonostante le difficoltà incontrate,
rimango ottimista circa i possibili
benefici dell’uso controllato di
sostanze psichedeliche. Stando a
quanto ho appreso nel corso della
ricerca in New Mexico, propongo
qui un’ampia panoramica del ruolo
che la DMT svolge nella nostra vita e
concludo con la proposta di un
programma di ricerca e di un setting
ideale per un futuro lavoro con la
DMT e con altre droghe simili.
Willis Harman è stata una delle
menti più brillanti ad addentrarsi
nel campo della ricerca
psichedelica. All’inizio della
carriera, insieme ai suoi colleghi,
somministrò LSD ad alcuni scienziati
con lo scopo di potenziare la loro
capacità di risolvere problemi.
Scoprirono che l’LSD mostrava
potenti effetti positivi sulla
creatività. Questa ricerca decisiva
resta il primo e unico progetto
scientifico che si è avvalso di
sostanze psichedeliche allo scopo di
migliorare il processo creativo.
Quando incontrai Willis una
trentina di anni dopo, nel 1994, era
presidente dell’Istituto di Scienze
Noetiche, un’organizzazione
fondata dall’astronauta Edgar
Mitchell, il sesto uomo ad aver
messo piede sulla Luna.
L’esperienza mistica di Mitchell,
stimolata dall’osservazione della
Terra durante il viaggio di ritorno,
lo spinse ad approfondire lo studio
di quei fenomeni che, pur non
trovando spazio nella scienza
tradizionale, potrebbero portare a
un’applicazione più ampia del
metodo scientifico.
Durante una lunga passeggiata
lungo la catena costiera nella zona
della California centrale, Willis mi
disse in modo deciso: «Almeno
dovremmo approfondire il nostro
discorso sugli psichedelici». È in
risposta alla sua richiesta che ho
inserito nel libro idee altamente
speculative unite alle mie
motivazioni personali per effettuare
questa ricerca.
Questo approccio non soddisferà
pienamente nessuno da ogni punto
di vista. C’è un’intensa frizione tra
ciò che conosciamo a livello
intellettuale, o addirittura
intuitivamente, e ciò che
sperimentiamo assumendo DMT .
Come esclamò uno dei volontari
dopo la sua prima sessione ad alto
dosaggio: «Wow! Non mi sarei mai
aspettato questo!» O come disse
Dogen, un maestro buddhista
giapponese del XIII sec.: «Dobbiamo
essere sempre sconvolti dalla
verità».
Gli appassionati della cultura
psichedelica potrebbero non gradire
la mia conclusione: la DMT non ha
effetti positivi in sé e per sé; si
tratta piuttosto del contesto nel
quale viene assunta a rivelarsi
importante. Chi è a favore del
controllo sulle droghe potrebbe
condannare questo libro,
considerandolo un incoraggiamento
all’assunzione di sostanze
psichedeliche e una celebrazione
dell’esperienza con la DMT . I
praticanti e i rappresentanti delle
religioni tradizionali potrebbero
rifiutare l’idea di raggiungere stati
mistici e di ottenere informazioni di
carattere spirituale attraverso l’uso
di droghe. Le vittime di rapimento
alieno, e coloro che le sostengono,
potrebbero interpretare la mia
teoria secondo cui la DMT è
profondamente coinvolta in queste
eventi come una sfida alla “verità”
delle loro esperienze. Gli oppositori
e i propugnatori del diritto
all’aborto potrebbero criticare la
mia idea che il rilascio di DMT da
parte della ghiandola pineale al
quarantanovesimo giorno dopo il
concepimento segni l’ingresso dello
spirito nel feto. I neuroscienziati
potrebbero opporsi all’idea che la
DMT influisca sulla capacità del
cervello di ricevere informazioni,
anziché limitarsi soltanto a
produrre percezioni. Inoltre
potrebbero rigettare l’ipotesi
secondo cui la DMT consentirebbe al
cervello umano di percepire la
materia oscura e gli universi
paralleli, reami dell’esistenza
popolati da entità consapevoli.
Tuttavia, se non avessi descritto
tutte le idee sottostanti allo studio
sulla DMT e l’intero prisma di
esperienze dei volontari, ne sarebbe
uscito solamente un racconto
parziale. E senza le proposte radicali
che ho avanzato nel tentativo di
comprendere le sessioni dei
volontari, DMT – La molecola dello
spirito potrebbe avere, nella
migliore delle ipotesi, solo un
piccolo spazio nella discussione
sulle sostanze psichedeliche; e nella
peggiore, ne ridurrebbe il campo di
interesse. Ne andrebbe della mia
onestà se non condividessi le mie
personali ipotesi e teorie, che
nascono da decenni di studio e
dall’ascolto di centinaia di
esperienze. Questo è il motivo per
cui l’ho fatto. Questo è ciò che è
accaduto. Questo è ciò che penso a
riguardo.
È molto importante per noi
comprendere cosa sia la coscienza.
Ed è altrettanto importante
collocare le droghe psichedeliche in
generale, e la DMT in particolare,
all’interno di una matrice culturale
e individuale in cui si abbia il
massimo beneficio e il minor male
possibile. In un’area di indagine
così ampia è bene non rigettare
alcuna idea prima di averla
effettivamente confutata. Ed è
nell’interesse di approfondire il
dibattito sulle sostanze
psichedeliche che ho scritto DMT –
La molecola dello spirito.
PROLOGO: LE PRIME
SEDUTE

Una mattina di dicembre del 1990


iniettai a Philip e a Nils una dose
consistente di DMT per endovena.
Questi due uomini sono stati i
primi ad aver assunto DMT
all’interno del progetto di ricerca, e
mi stavano aiutando a determinare
la dose ottimale e le modalità di
somministrarla. Erano le nostre
“cavie” umane.
Due settimane prima, avevo dato
a Philip la primissima dose di DMT .
Come racconterò, l’iniezione
intramuscolare fattagli nella spalla
non diede risultati pienamente
soddisfacenti. Passammo allora alla
modalità endovenosa: fu così che
Nils ricevette la sua prima dose di
DMT la settimana dopo. La reazione
di Nils indicò che la dose che gli
somministrammo era troppo poca.
E così oggi Philip e Nils avrebbero
ricevuto dosi di DMT per endovena di
gran lunga maggiori.
Era difficile credere che avremmo
veramente somministrato la DMT a
dei volontari umani. L’iter di due
anni, nel quale avevamo cercato di
ottenere permessi e fondi e che
sembrava non finire mai, era
finalmente giunto al capolinea.
Conseguire l’obiettivo non era mai
stato così simile a una lotta
continua per raggiungerlo.
Philip e Nils avevano già avuto
esperienze con la DMT , e ne ero
contento. Circa un anno prima di
iniziare questo studio avevano
partecipato a una cerimonia nella
quale un guaritore peruviano aveva
dato a tutti i partecipanti
l’ayahuasca, il leggendario infuso
contenente DMT . I due uomini
furono entusiasti di assumere la
DMT per via orale, e il giorno
seguente, quando uno dei
partecipanti la rese disponibile,
erano impazienti di fumarla in
forma pura. Volevano sentirne gli
effetti molto più velocemente e
intensamente di quanto
permettesse la forma liquida.
Philip e Nils, fumando la DMT ,
fecero le classiche esperienze: un
rapido e imprevedibile susseguirsi
di effetti, uno spettro caleidoscopico
di allucinazioni visive e una
separazione della coscienza dal
corpo fisico. E, molto curiosamente,
c’era la sensazione che ci fosse
altro, da qualche parte all’interno
del mondo allucinatorio al quale
questo straordinario psichedelico
permetteva loro di accedere.
La loro precedente esperienza con
la DMT fu un elemento molto
importante nell’averli resi i primi
volontari. Philip e Nils conoscevano
gli effetti della DMT . Ancor più
determinante era che conoscevano
gli effetti del fumarla, il che gli
avrebbe permesso di valutare
l’adeguatezza dei due diversi metodi
di somministrazione della DMT che
stavo considerando – per via
intramuscolare (IM) o per endovena
(IV ) – nel riprodurre tutti gli effetti
che si manifestano col fumarla.
Dato che i consumatori a scopo
ricreativo solitamente fumano la
DMT , volevo riprodurne in maniera
più fedele possibile gli effetti così
come si manifestano con questa
forma di assunzione.
Il giorno in cui Philip ricevette la
prima dose di DMT per via
intramuscolare ero già avanti con i
ragionamenti. Forse la modalità IM
sarebbe stata troppo lenta e leggera
rispetto al fumare la droga. Stando a
ciò che avevo letto sulla
somministrazione di DMT per via
intramuscolare, era necessario un
minuto prima che iniziassero gli
effetti; un lasso di tempo di gran
lunga maggiore rispetto a quando la
sostanza veniva fumata. Ad ogni
modo, siccome tutti i saggi
pubblicati in precedenza sulla
ricerca con la DMT , a eccezione di
uno, riportavano la descrizione
della somministrazione
intramuscolare, fui costretto a
iniziare con questa modalità. La
letteratura più antica indicava che
la dose che stavo per dare a Philip, 1
mg/kg, circa 75 mg, probabilmente
sarebbe stata una dose
moderatamente alta.
Philip aveva quarantacinque anni
quando iniziò a partecipare alla
ricerca. Occhialuto, con la barba, di
statura e corporatura media, era
uno psicologo, psicoterapeuta e
conduttore di workshop di fama
internazionale. Era pacato ma
diretto, e tutti i suoi amici e pazienti
nutrivano per lui un grande affetto.
All’epoca, Philip stava iniziando le
pratiche per un divorzio che sarebbe
diventato particolarmente lungo e
problematico. La sua vita era stata
segnata da profondi cambiamenti,
perdite e successi, ma sembrava in
grado di affrontare le cose positive e
quelle negative con la stessa
equanimità. Amava dire che il titolo
del suo manuale di auto-aiuto
sarebbe stato: Sopravvivere alla
propria vita.
Erano trascorsi almeno cinque
anni dall’ultima volta che avevo
fatto un’iniezione a qualcuno per
via intramuscolare ed ero nervoso
all’idea di dover somministrare la
prima dose di DMT in questa
maniera. Cosa sarebbe successo se
avessi sbagliato? L’ultima iniezione
di questo tipo probabilmente era a
base di aloperidolo, un
antipsicotico, e l’avevo
somministrata a un paziente
agitato, affetto da psicosi. A questo
genere di pazienti spesso gli
infermieri o la polizia legavano
prima mani e piedi per assicurarsi
che il loro comportamento
imprevedibile e spaventato non
sfociasse in violenza. Le braccia dei
pazienti erano dunque
sufficientemente ferme per
permettermi di fargli l’iniezione.
Cercai di ricordarmi la sicurezza
con cui facevo iniezioni
intramuscolari, dato che in passato
ne avevo fatte a centinaia. Il segreto
era quello di vedere la siringa come
una freccia. Quando ero studente di
medicina mi era stato insegnato che
per fare un’iniezione occorreva
lanciare questa “freccia” in
direzione del muscolo deltoide della
spalla o del grande gluteo a livello
delle natiche. Un singolo colpo
fluido, allentando la pressione non
appena l’ago penetrava il muscolo
attraverso la pelle, solitamente dava
risultati eccellenti. Ci esercitavamo
sui pompelmi.
Philip, tuttavia, non era né un
pompelmo né un grave paziente
psicotico che mi era stato portato
per la sedazione forzata. Era un
collega, un amico e un volontario
che si trovava al mio stesso livello e
a quello del mio staff. Philip
sarebbe stato l’esploratore. Io e
Cindy, la nostra infermiera
ricercatrice, saremmo invece
rimasti al “campo base” per
ascoltare il suo resoconto dopo il
suo ritorno.
Mentre provavo la mia tecnica di
iniezione nell’aria, attraversai il
corridoio ed entrai nella camera di
Philip.
Lui era sdraiato sul letto; la sua
nuova ragazza, Robin, gli sedeva a
fianco. Il bracciale della macchina
per misurare la pressione gli
avvolgeva il braccio. Durante il
corso della seduta avremmo
controllato di frequente il battito
cardiaco e la pressione sanguigna.
Spiegai ciò che sarebbe successo:
«Inumidirò la tua spalla con l’alcol.
Prendi tutto il tempo che ti serve
per concentrarti. Poi ti infilerò l’ago
nel braccio, lo ritrarrò per
assicurarmi di non aver penetrato
un vaso sanguigno e poi premerò lo
stantuffo della siringa. Potrà farti
male, oppure no. Non lo so proprio.
Dovresti sentire qualcosa nel giro di
un minuto o anche meno. Però non
so cosa sarà questo qualcosa. Sei il
primo».
Philip chiuse gli occhi per un
attimo, come per prepararsi a
entrare in un territorio sconosciuto,
in mondi che lui solo avrebbe
percepito, lasciandoci indietro a
controllare le sue funzioni vitali.
Spalancò i suoi occhi per guardarci
brevemente ancora una volta, poi li
chiuse di nuovo, fece un profondo
respiro ed espirando disse: «Sono
pronto!»
L’iniezione fu eseguita senza
intoppi.
Dopo poco più di un minuto,
Philip aprì i suoi occhi e iniziò a
respirare profondamente. Sembrava
essere in uno stato alterato di
coscienza. Le sue pupille erano
dilatate, iniziò a emettere dei gemiti
e i tratti del suo volto si distesero.
Chiuse gli occhi, mentre Robin gli
teneva la mano. Se ne stava disteso
estremamente calmo e rimase in
silenzio con gli occhi chiusi. Cosa
stava succedendo? Stava bene? La
pressione e il battito sembravano
regolari, ma che ne era della sua
mente? Avevamo esagerato con il
dosaggio? O forse non stava avendo
effetti di alcun tipo?
Dopo circa venticinque minuti
dall’iniezione, Philip aprì gli occhi e
alzò lo sguardo verso Robin. «Avrei
potuto prenderne di più» disse
sorridendo.
Tirammo tutti un sospiro di
sollievo.
Un quarto d’ora più tardi,
quaranta minuti circa dopo
l’iniezione, Philip iniziò a parlare
lentamente, in modo titubante:
«Non ho mai perso il contatto con il
mio corpo. A differenza di quando
ho fumato la DMT , le immagini
erano meno intense, i colori non
così profondi e i motivi geometrici
non si muovevano in modo
altrettanto veloce».
Cercò la mia mano per avere
sicurezza. Le mie mani erano
sudate per l’agitazione e si mise a
ridere bonariamente della mia
ansia, che era di sicuro maggiore
della sua!
Alzandosi per andare in bagno,
Philip barcollava. Bevve del succo
d’uva, mangiò uno yogurt e compilò
la scala di valutazione. Mentre
camminavamo da un edificio
all’altro, dove avevo delle
occupazioni da svolgere, si sentiva
“sballato”, confuso, a disagio. Era
importante stare con lui, osservare
come avrebbe reagito nelle due ore
successive. Philip sembrava stare
abbastanza bene dopo tre ore
dall’iniezione di DMT da consentire a
Robin di portarlo a casa. Ci
salutammo al parcheggio
dell’ospedale e gli dissi di aspettarsi
una telefonata quella sera.
Quando poi parlammo, Philip mi
raccontò che lui e Robin erano
andati a pranzo dopo aver lasciato
l’ospedale. Era diventato subito più
vigile e attento. Nel viaggio verso
casa si sentiva euforico e i colori gli
apparivano più brillanti, ovunque
guardasse. Sembrava piuttosto
allegro.
Alcuni giorni dopo Philip mi inviò
un resoconto scritto. Il commento
più significativo è l’ultimo: «Mi
aspettavo di saltare a un livello
superiore, di lasciare il corpo e la
coscienza egoica, il salto nello
spazio cosmico. Ma questo non è
avvenuto».
Questa soglia a cui si riferisce
Philip è quella che ora chiamiamo
la “soglia psichedelica” per la DMT .
La si oltrepassa quando c’è la
separazione della coscienza dal
corpo e gli effetti psichedelici si
sostituiscono completamente
all’ordinario contenuto della mente.
C’è un senso di meraviglia e di
soggezione, e si ha l’innegabile
certezza della realtà dell’esperienza.
Chiaramente, ciò non si era
verificato con 1 mg/kg di DMT
iniettata per via intramuscolare.
Era un bene avere Philip a
rivestire il ruolo di esploratore. Era
psicologicamente maturo e stabile,
e conosceva gli effetti degli
psichedelici in generale e della DMT
in particolare. Poteva effettuare dei
paragoni chiari e comprensibili tra
le diverse droghe e i diversi modi di
assumerle. Il suo caso fu una valida
conferma della nostra decisione di
ingaggiare solo chi avesse già avuto
esperienza con gli psichedelici.
Il resoconto di Philip non lascia
dubbi sul fatto che gli effetti della
DMT somministrata per via
intramuscolare siano più lenti di
quelli della DMT fumata. Considerai
di aumentare il dosaggio. Tuttavia,
anche se si fossero manifestati i
massimi effetti, dubitavo che questa
modalità di somministrazione
avrebbe provocato il rush, che è un
altro segnale tipico di quando la DMT
viene fumata. Durante questo rush,
che di solito si verifica nei primi
quindici-trenta secondi dopo aver
fumato la DMT , il trasferimento da
un ordinario stato di coscienza a
una realtà psichedelica travolgente
avviene con una rapidità
mozzafiato. È questo effetto da
“cannone nucleare” che i
consumatori di DMT trovano così
paurosamente attraente. Avevamo
senz’altro bisogno di una modalità
più rapida per far entrare la DMT nel
sistema.
La maggior parte di coloro che
assumono DMT a scopo ricreativo la
fumano in una pipa, spolverata con
marijuana o con un’altra pianta non
psicoattiva. Questo non è il metodo
ideale per introdurre la DMT
all’interno del nostro corpo. La
droga spesso prende fuoco, il che è
sconcertante quando si cerca di
inalare più vapore possibile. L’odore
della DMT che brucia è
estremamente nauseabondo, simile
a quello di plastica bruciata. Nel
momento in cui la sostanza
comincia a fare effetto e la stanza
sembra iniziare a disgregarsi in
frammenti di cristallo, e il corpo
sembra fare lo stesso, diventa quasi
impossibile sapere se si sta
inspirando o espirando. In questo
stato di intossicazione, immaginate
di inalare all’interno dei vostri
polmoni la maggior quantità
possibile di questa sostanza che sta
bruciando e che ha l’odore di un
blob chimico!
Il modo più veloce ed efficace di
somministrare la DMT è tramite
iniezione. Le iniezioni
intramuscolari dipendono dal flusso
ematico relativamente limitato che
circola attraverso i muscoli per far
defluire la droga, e si tratta del tipo
di iniezione più lenta. Le droghe
possono anche essere trasferite
nella pelle, o per via sottocutanea,
dove il flusso ematico un po’ più
abbondante ne fa un metodo di
somministrazione più veloce,
sebbene di solito più doloroso.
L’iniezione all’interno di una vena è
il metodo migliore. Dal punto di
iniezione il sangue carico di droga
ritorna al cuore. Il cuore pompa
questo sangue attraverso i polmoni;
da qui ritorna di nuovo nel cuore e
poi attraversa il resto del corpo,
compreso il cervello. La durata
dell’intero processo, definito dai
fisiologi come “tempo di circolo
braccio-lingua”, di solito è di sedici
secondi.3
Mi consultai con il collega che
aveva prodotto la DMT , David
Nichols, ricercatore presso la
Purdue University nell’Indiana. Era
d’accordo sul fatto che mi occorreva
passare alla via di
somministrazione endovenosa.
Riflettendo sulla nostra reciproca
ansia in merito a questo
cambiamento di programma,
aggiunse seccamente: «Sono
contento che tocchi a te e non a
me».
Era il momento di sentire il parere
del dottor W., il medico della Food
and Drug Administration (FDA ) il
quale, dopo avermi aiutato a portare
avanti il progetto nei due anni del
processo normativo, stava ora
supervisionando la sua esecuzione.
Quando gli chiesi la sua opinione, si
mise a ridere e disse: «Tu sei
l’unico ricercatore al mondo che sta
somministrando la DMT . Sei tu
l’esperto. Decidi tu».
Aveva ragione, ma ero nervoso
all’idea di penetrare in un territorio
così sconosciuto in modo così
rapido, dopo aver somministrato
solo una dose di DMT . C’era solo un
altro studio pubblicato in passato
che descriveva la somministrazione
di DMT per endovena, ma era stata
effettuata su pazienti psichiatrici e
non su volontari sani.4 Quel
progetto degli anni ’50 esaminava
pazienti gravemente compromessi
affetti da schizofrenia, la maggior
parte dei quali non era in grado di
riportare molto della propria
esperienza. In effetti, il battito di
una donna sfortunata non fu
percepibile per un breve lasso di
tempo dopo aver ricevuto la DMT per
endovena. È stato in considerazione
di questo resoconto che sono stato
così prudente riguardo alle funzioni
cardiache di tutti i potenziali
volontari.5
Il dottor W. mi consigliò di
provare circa un quinto della dose
intramuscolare nel passare alla
modalità per endovena. «Ciò
probabilmente ti darà livelli
inferiori di DMT nel sangue e nel
cervello rispetto a quelli che hai
prodotto somministrandola per via
intramuscolare, e dovresti avere più
margine di manovra» disse.
«Probabilmente in questo modo
non darai una dose eccessiva a
nessuno». Nel nostro caso, ciò
significava convertire la dose
intramuscolare di 1mg/kg in 0.2
mg/kg di DMT per via endovenosa.
Philip e Nils si erano offerti
entrambi volontari con grande
entusiasmo per questa nuova e
insondata fase dello studio: trovare
un dosaggio soddisfacente di DMT da
somministrare per endovena ai
volontari. Poiché entrambi avevano
fumato in precedenza la DMT ,
saremmo stati in grado di
paragonare in maniera diretta gli
effetti dell’iniezione endovenosa a
quelli della droga fumata. E, nel
caso di Philip, avremmo
confrontato la modalità
intramuscolare con quella
endovenosa.
Nils aveva trentasei anni quando
iniziò il nostro studio. Quando era
più giovane si era arruolato
nell’esercito con il desiderio di
specializzarsi nel campo degli
esplosivi. Tuttavia, vide ben presto
di non essere adatto al servizio
militare e fece richiesta di congedo
anticipato per motivi psicologici. Si
dà il caso che Philip fosse lo
psicologo che aveva fatto la
valutazione su Nils, e da allora
erano rimasti amici.
Nils era avidamente interessato
alle droghe in grado di alterare la
mente ed era sempre alla ricerca di
una pianta dimenticata o di un
prodotto animale in grado di
produrre effetti di questo tipo.
Aveva scritto diversi pamphlet
divulgativi, incluso uno nel quale
annunciava la sua scoperta delle
proprietà psichedeliche del veleno
del rospo del Deserto di Sonora.
Questo veleno contiene alti livelli di
5-MEO-DMT , un composto
strettamente legato alla DMT .
Quando viene fumato, ha effetti
piuttosto impressionanti.
Nils era un giovane alto e smilzo,
la cui compagnia risultava molto
piacevole. Aveva assunto LSD molte
volte, «perdendone il conto dopo la
centocinquantesima dose». La
prima volta che aveva fumato la
DMT , l’anno precedente a casa di
Philip, era stato profondamente
scosso. «Ha prodotto delle forti
percezioni telepatiche» disse,
«provocando legami mentali con le
persone attorno a me. Ciò era
spiazzante e travolgente. Fu molto
eccitante quando una voce interiore
mi parlò. Era la mia intuizione che
si relazionava direttamente con il
mio essere. È stata l’esperienza più
intensa della mia vita. Ci voglio
tornare. Vedevo uno spazio diverso
con strisce luminose di colore. Non
riuscivo ad alzare le mani, ho
viaggiato di brutto. È una Mecca
mentale, uno straordinario punto di
riferimento per tutti gli altri
psichedelici. Attorno a me
sembravano esserci degli insetti
alieni e mi sono reso conto che
anch’essi facevano parte di questo
spazio».
Nils ricevette 0.2 mg/kg di DMT per
endovena circa una settimana dopo
la prima dose intramuscolare di
Philip. Le mie sensazioni erano
simili a quelle che avevo provato
per l’iniezione a Philip; in pratica,
sebbene questo giorno fosse una
pietra miliare, sembrava anche una
prova generale prima di cominciare
a fare sul serio. Con molta
probabilità avremmo dovuto
aumentare la dose.
Il giorno della sessione di Nils da
0.2 mg/kg, lo trovai disteso sul letto
dell’ospedale nella sua stanza del
Centro di Ricerca, nel suo solito
sacco a pelo militare. Portava
sempre con sé quel sacco a pelo
ovunque andasse, sia in senso
letterale che metaforico: nei suoi
viaggi on the road e quando
assumeva droghe psichedeliche.
Cindy e io sedemmo ai lati di Nils.
Gli fornii una breve anticipazione di
cosa aspettarsi. Annuì per farmi
procedere.
A metà dell’iniezione, Nils disse:
«Sì, ne sento il sapore».
Nils si rivelò uno dei pochi
volontari in grado di sentire il
sapore della DMT iniettata per
endovena non appena il sangue
carico di droga affluiva attraverso la
bocca e la lingua per raggiungere il
cervello. Era un sapore metallico,
piuttosto amaro.
«Sembra abbastanza veloce»
pensai.
I miei appunti sono tanto
sommari quanto gli effetti di questa
dose di DMT iniettata a Nils. Ciò
poteva essere dovuto alla sua
natura taciturna o al fatto che
nessuno di noi rimase
particolarmente colpito
dall’intensità dell’esperienza.
Osservò, tuttavia, che 0.2 mg/kg
corrispondevano «forse da un terzo
a un quarto» di una dose completa,
in relazione alla sua esperienza in
cui aveva fumato la DMT .
Sentendomi forse un po’ troppo
fiducioso per quanto semplici erano
state queste prime due sessioni –
l’intramuscolare di Philip e
l’endovenosa di Nils – decisi di
procedere immediatamente a
triplicare la dose: da 0.2 passai a 0.6
mg/kg.
La mia fiducia era prematura. Col
senno di poi, sarebbe stata più
ragionevole una mossa più cauta
raddoppiando la dose, portandola a
0.4 mg/kg. Grazie al cielo, non ero
passato direttamente agli 0.8
mg/kg, il che sarebbe accaduto se
avessi seguito le considerazioni di
Nils secondo cui 0.2 mg/kg era un
quarto di una dose completa.
Quella mattina sia Philip che Nils
stavano dunque per ricevere 0.6
mg/kg di DMT per endovena.
Ad Albuquerque quel giorno c’era
il sole, faceva freddo e soffiava il
vento, ed ero contento di lavorare al
chiuso. Entrai nella stanza di Nils
nel Centro di Ricerca. Era sdraiato
nel suo sacco a pelo, in attesa della
sua prima dose da 0.6 mg/kg. Cindy
aveva già sistemato un piccolo ago
in una vena dell’avambraccio, la
vena porta attraverso cui avrei
iniettato la soluzione di DMT
direttamente nel suo sangue. Lei si
sedette alla sua destra e io alla sua
sinistra, dove dal suo braccio
penzolava la cannula della flebo.
C’era anche Philip; se tutto fosse
andato bene con Nils, avrebbe
ricevuto la stessa dose più tardi nel
corso della mattinata. Si sedette ai
piedi del letto, curioso di quello che
Nils stava per sperimentare e
pronto a fornire supporto morale a
tutti noi. Sospettavamo che
avremmo potuto aver bisogno di lui
anche per un supporto fisico.
Iniettai la soluzione di DMT un po’
più rapidamente di quanto feci con
la dose precedente da 0.2 mg/kg:
impiegai trenta secondi abbondanti
anziché un minuto. Credevo che
un’iniezione più rapida potesse
richiedere una minor diluizione
della DMT nel flusso sanguigno. Ciò
avrebbe generato livelli di picco più
elevati di DMT nel sangue e, di
conseguenza, nel cervello. Dopo che
l’iniezione della droga fu
completata, Nils esclamò con
eccitazione. «Riesco a sentirla...
Eccola qui!»
Subito dopo, iniziò a tossire e a
girarsi nel sacco a pelo. Poi si tirò su
a sedere con un sussulto,
esclamando: «Sto per vomitare!»
Ci fissò, intontito e incerto. Cindy
e io ci guardammo l’un l’altra nello
stesso momento, rendendoci conto
di non avere nessun contenitore
dove potesse vomitare. Non
avevamo previsto che i nostri
soggetti di ricerca potessero avere la
necessità di vomitare. Nils balbettò:
«Ma non ho fatto colazione... e
quindi non c’è nulla da vomitare».
Nils diventò agitato e sistemò il
cuscino e il sacco a pelo sopra la
faccia. Si raggomitolò in posizione
fetale, lontano da noi e dalla
macchina per la misurazione della
pressione del sangue, attorcigliando
i fili che collegavano il bracciale
all’unità. Non riuscimmo a rilevare i
dati né ai due minuti, né ai cinque
minuti, quando sapevamo che la
sua pressione e il suo battito
sarebbero stati ai livelli più alti e
potenzialmente più pericolosi.
Cercò di saltare fuori dal letto
agitando in maniera per lo più
sconnessa gambe e braccia: in una
persona alta un metro e ottanta era
un considerevole ammasso di arti.
Quando Cindy, Philip e io unimmo
le forze e lo risistemammo in quel
letto che ora sembrava troppo
piccolo, le sue mani erano fredde e
sudate. Al sesto minuto vomitò in
un cestino che avevamo trovato nel
ripostiglio. Poiché per farlo doveva
mettersi seduto, riuscimmo a
rimetterlo a letto e ad avere i dati
sulla pressione e sul battito
cardiaco. A questo punto, dieci
minuti dopo l’iniezione, i suoi valori
erano sorprendentemente normali.
Si allungò verso Cindy, toccandole
il braccio e il maglione. Sembrava
come sul punto di accarezzarle i
capelli, ma sembrò dimenticarsi
rapidamente di quello che stava per
fare. Nils allora mi fissò, dicendo:
«Ora ho bisogno di guardare te, non
Philip o Cindy».
Feci del mio meglio per apparire
calmo, rispondendo al suo sguardo
con il mio, pregando in silenzio che
stesse bene. Al diciannovesimo
minuto, si alzò sui gomiti e rise.
Sembrava parecchio stordito:
pupille dilatate, sorriso ebete,
borbottava cose insensate.
«Credo che la dose massima
migliore sia tra 0.2 e 0.6» disse
infine.
Ridemmo tutti e la tensione nella
stanza si allentò un po’. Nils era
ancora in possesso della sua
autoironia, persino in quel
momento.
«C’era il movimento del sé»
continuò. «Sono deluso che stia
finendo. Era una caffetteria di
colori. Una sensazione familiare. Sì,
sono tornato. Loro erano là e ci
siamo riconosciuti a vicenda».
«Loro chi?» chiesi.
«Nessuno o niente di
identificabile come tale».
Sembrava ancora completamente
sotto effetto. Non volevo pressarlo.
Scosse il capo e aggiunse:
«Scendere dall’alto era molto
colorato, ma rispetto a lassù era
noioso. Lassù, sapevo di essere
tornato dove ero stato quando
avevo fumato l’anno scorso.
Lasciare quel posto mi ha provocato
una sensazione di solitudine.
Credevo di essere davvero stato
male. Ti sentivo mentre ti
protendevi verso di me, come se
stessi morendo e tutti voi steste
cercando di resuscitarmi. Speravo
che tutto andasse bene. Stavo solo
tentando di comprendere quello che
stava accadendo dentro».
Fece una pausa, poi concluse:
«Sono stanco. Vorrei schiacciare un
pisolino, ma non ho poi così tanto
sonno».
Nils aveva poco da aggiungere, se
non che aveva una fame da lupi
avendo saggiamente saltato la
colazione. Mangiò voracemente
mentre completava la nostra scala
di valutazione. Così persino Nils
pensava che la dose di 0.6 mg/kg
fosse troppa!
Trascorsi alcuni minuti nella sala
d’attesa dell’infermeria, riflettendo
su ciò che avevamo appena visto.
Dal punto di vista cardiaco, la
pressione di Nils e il suo battito
erano aumentati solo
moderatamente, sebbene avessimo
perso i valori del presunto valore
massimo. Inoltre, sembrava non
esserci alcun danno fisico a seguito
del dosaggio di 0.6 mg/kg di DMT per
endovena. Tuttavia, non ero sicuro
se la brevità del resoconto di Nils
fosse dovuta al non riuscire a
ricordare ciò che era successo,
oppure alla sua tendenza a tenersi
per sé la maggior parte di quello che
era accaduto.
Avevamo di sicuro oltrepassato la
soglia psichedelica. L’immediatezza
e l’intensità dei sintomi iniziali, la
natura indiscutibile dell’esperienza,
la sensazione inusuale descritta da
Nils, tutto riconduceva a un trip
completo da DMT . Ma era forse
troppo oltre la soglia psichedelica?
Nils era uno che si autodefiniva un
osso duro, poiché rispetto a molti
altri gli occorrevano dosi maggiori
della stessa droga per raggiungere
livelli analoghi di percezioni
alterate. Come sarebbe andata con
Philip?
Philip e io camminavamo per
l’atrio illuminato del Centro di
Ricerca. Superammo Nils alla
postazione infermieristica, in cerca
di altro cibo. Si sentiva benissimo.
Era rassicurante vedere che stesse
così bene poco dopo il suo salto
tormentato nell’abisso della psiche.
«Sei sicuro di volere la stessa
dose?» chiesi a Philip.
«Sì» mi rispose senza alcuna
esitazione.
Io non ne ero così sicuro.
Se Philip si fosse rifiutato di
sottoporsi a un’esperienza simile a
quella di Nils, la mia ansia sarebbe
diventata più tollerabile. Forse si
sarebbe accontentato di 0.5 o 0.4
mg/kg. Sarebbe stato abbastanza
facile da fare, potevo
semplicemente fermarmi prima di
svuotare l’intera siringa piena della
soluzione di DMT . Anche se credevo
che 0.6 mg/kg fosse un dosaggio
sicuro per il fisico, gli effetti
potenzialmente distruttivi a livello
mentale si sarebbero dispiegati di
fronte a tutti noi in maniera ancora
più drammatica di quanto era
accaduto durante la sessione di
Nils. Ad ogni modo, Philip non
sarebbe stato da meno del suo
amico e compagno psiconauta. Era
pronto per la sua dose di 0.6 mg/kg.
C’era una marcata tendenza nei
nostri volontari a perseverare
persino in previsione di
un’esperienza psichedelica
distruttiva. Ciò fu evidente durante
i test di tolleranza, che ebbero luogo
l’anno seguente, nel 1991, in cui i
volontari ricevettero quattro dosi
elevate di DMT a distanza di soli
trenta minuti l’una dall’altra. Non
un volontario, per quanto fosse
sfinito, rifiutò la quarta e ultima
dose.
Il desiderio di Philip di prendere
la stessa dose di Nils mi mise di
fronte a un dilemma scientifico,
personale ed etico. La mia
formazione mi aveva insegnato che,
quando le circostanze lo richiedono,
un medico non dovrebbe evitare di
prescrivere una dose abbastanza
alta di un medicinale. Ad esempio,
dosi molto alte potrebbero essere
necessarie per una risposta
terapeutica completa in pazienti
altrimenti resistenti alla terapia.
Inoltre, era importante informarsi
sugli effetti tossici per essere in
grado di individuarli velocemente in
diverse circostanze. Quest’ultimo
punto è ancora più importante
quando si sta studiando una nuova
droga sperimentale.
Rientrava nella mia autorità e
responsabilità di principale
ricercatore del progetto dire a Philip
che non volevo che ripetesse
un’esperienza con 0.6 mg/kg di DMT ,
come quella di Nils. Tuttavia Nils
ora sembrava star bene. Ancora più
importante, lui era stato il primo e
l’unico a ricevere questa dose.
Quella mattina avevo in programma
due sedute da 0.6 mg/kg proprio
per determinare se quella dose
provocava risposte simili in due
persone diverse.
Mi piaceva Philip e lui voleva
assolutamente la sua dose di 0.6
mg/kg. Ma quanto contava il fatto
che fossimo amici? Non volevo
assecondare la sua richiesta solo
perché temevo che il nostro
rapporto venisse compromesso, ma
volevo che la sua partecipazione a
questa prima fase dello studio
tornasse utile anche a lui. Per certi
versi, ci stava facendo un favore.
Philip abitava lontano da
Albuquerque e sarebbe stato
sconveniente per lui tornare di
nuovo per ricevere 0.6 mg/kg,
qualora 0.4 o 0.5 mg/kg non fossero
state dosi sufficienti. C’erano
diverse priorità in conflitto tra loro.
Speravo di aver preso la decisione
giusta nell’acconsentire a dare a
Philip quei 0.6 mg/kg.
Entrando nella sua stanza,
salutammo Cindy e Robin, la
ragazza di Philip, che erano già lì ad
aspettarci. Lui si mise comodo sul
letto. Stava per iniziare una nuova
seduta da 0.6 mg/kg di DMT
somministrata per endovena.
La stanza di Philip, spoglia e
asettica, aveva un pavimento di
linoleum lucidato con la cera, pareti
color rosa salmone e dietro il letto
tubi per l’ossigeno, per l’aspirazione
delle secrezioni e la fuoriuscita dei
liquidi. Aveva affisso un poster di
Avalokitesvara, il bodhisattva della
compassione dalle mille braccia,
all’esterno della porta del bagno di
fronte al suo letto. Una televisione,
collegata a un groviglio di cavi,
pendeva dal soffitto rivolta verso il
suo letto, stretto e automatizzato,
coperto da finissime lenzuola
d’ospedale. L’impianto di aria
condizionata ronzava
rumorosamente. Philip si sdraiò sul
letto e si mise il più comodo
possibile.
Cindy inserì in maniera delicata e
sicura una flebo endovenosa in una
vena dell’avambraccio. Anche il
bracciale per la misurazione della
pressione era avvolto attorno allo
stesso braccio. Nell’altro braccio di
Philip era stata introdotta una flebo
endovenosa più grande, dalla quale
potevamo estrarre il sangue per
misurare le concentrazioni di DMT
dopo la somministrazione. La flebo
era collegata a una sacca di plastica
trasparente che filtrava la soluzione
salina sterile all’interno della vena
per evitare la coagulazione del
sangue nella provetta. Io e Cindy ci
sedemmo ciascuno a un lato di
Philip, senza sapere cosa aspettarci
alla luce della precedente reazione
di Nils. Robin si sedette sul bordo,
vicino ai piedi del letto.
Philip, reduce della sessione
snervante di Nils di solo un’ora
prima, aveva bisogno di un po’ di
preparazione. Sapeva cosa
aspettarsi da noi mentre sarebbe
stato sotto effetto, sdraiato sul letto.
In caso di bisogno, lo avremmo
subito soccorso. Gli augurammo
buona fortuna. Chiuse gli occhi, si
distese, fece alcuni respiri profondi
e disse: «Sono pronto».
Guardavo la lancetta dei secondi
sull’orologio a parete, aspettando
che toccasse il 6 per poter
cronometrare l’iniezione di trenta
secondi, terminandola nel
momento in cui la lancetta si
sarebbe fermata sul 12, che avrebbe
segnato il time zero. Erano quasi le
dieci di mattina.
Non appena finii di inserire l’ago
della siringa nella flebo, ma prima
di premere lo stantuffo e svuotare
la soluzione di DMT nella vena di
Philip, bussarono alla porta in
modo rumoroso e insistente. Alzai
lo sguardo, mi fermai, rimossi l’ago
dalla flebo, misi il tappo di
protezione e posai la siringa sul
comodino accanto al letto di Philip.
Il direttore del laboratorio del
Centro di Ricerca stava aspettando
fuori la porta. Entrai nell’atrio per
non farmi sentire dall’interno della
stanza. Mi disse che i precedenti
campioni di sangue per le analisi
sulla DMT erano stati raccolti in
modo sbagliato e che occorreva fare
in modo diverso. Gli dissi che
avremmo modificato il nostro
metodo.
Tornai nella stanza di Philip e
presi posto nuovamente accanto al
suo letto. Sembrava ignaro
dell’interruzione; iniziava a volgersi
verso di sé e a lasciarsi andare,
atteggiamento che scoprimmo
essere il più morbido ingresso
possibile nei reami della DMT . Per
lui il viaggio era già iniziato.
Mi scusai per l’interruzione e,
cercando di alleggerire l’atmosfera,
dissi: «Dove eravamo rimasti?»
Philip rispose con un grugnito; aprì
gli occhi, annuì per farmi procedere
e li richiuse. Tolsi il tappo alla
siringa e reinserii l’ago nella
cannula endovenosa. Cindy annuì
confermando che anche lei era
pronta.
«Bene, qui c’è la DMT » dissi.
Iniziai a iniettare lentamente e
con attenzione 0.6 mg/kg di DMT
nella vena di Philip.
A metà dell’iniezione il respiro di
Philip gli si bloccò in gola, come un
colpo di tosse che sembra non finire
mai. Presto imparammo che ogni
volta che questo blocco del respiro
seguiva un’iniezione ad alto
dosaggio ci attendeva un viaggio
movimentato.
Tranquillamente, dissi a Philip:
«È tutta dentro».
Venticinque secondi dopo aver
completato l’iniezione, iniziò a
gemere: «Io amo, io amo...»
La sua pressione aumentò
moderatamente, ma la sua
frequenza cardiaca saltò a 140
battiti al minuto dal valore di riposo
di 65. Questo aumento del battito
cardiaco è equivalente a quello che
può verificarsi dopo aver corso per
tre o quattro rampe di scale. Ma in
questo caso, Philip non si era mosso
di un millimetro.
Passato un minuto, Philip si
sedette guardando Cindy e me con
occhi grandi e tondi. Le sue pupille
erano molto dilatate. I suoi
movimenti erano automatici, a
scatti, come quelli di una
marionetta. Sembrava che dietro le
azioni di Philip non ci fosse
nessuno.
Si chinò verso Robin e le
accarezzò i capelli: «Io amo, io
amo...»
Era successo due volte quella
mattina: un volontario, in uno stato
confusionale da DMT , era attratto dai
capelli di una donna. Nils da quelli
di Cindy, Philip da quelli di Robin.
Forse era l’immagine più evocativa
di una realtà vivente, organica e
familiare disponibile quando ci si
guardava attorno in una desolata
stanza d’ospedale in uno stato
altamente psichedelico.
Con nostro sollievo, si distese
senza bisogno di sollecitazioni o
assitenza. La sua pelle era fredda e
sudata, come già era accaduto a
Nils. Il suo corpo era nella classica
situazione “combatti o fuggi”:
pressione sanguigna e battito
cardiaco elevati, sangue che dalla
pelle si spostava in profondità negli
organi interni, ma il tutto mentre
non stava facendo alcuna attività
fisica. Era difficile estrarre il sangue
di Philip: gli alti livelli degli ormoni
dello stress provocarono un
restringimento dei piccoli muscoli
che ricoprono le vene, riducendo
l’afflusso sanguigno superfluo verso
la pelle.
Al decimo minuto, Philip iniziò a
sospirare: «Che bello, che bello!»
Lacrime iniziarono a scorrergli
lungo le guance.
«È ciò che definiresti
un’esperienza trascendente. Sono
morto e sono andato in paradiso».
Circa trenta minuti dopo
l’iniezione, le sue pulsazioni e la
pressione sanguigna erano normali.
«Stavo volando nell’immensità.
Non c’era spazio né dimensione».
«Che cosa hai sentito quando il
tuo respiro si è bloccato in gola?»
domandai.
«Ho sentito una sensazione di
contrazione e di freddo nella gola.
Mi ha spaventato. Credevo che forse
avrei smesso di respirare. Per un
attimo ho pensato: “Lascia andare,
arrenditi, lascia andare”, poi il rush
della droga ha spazzato via anche
questo».
«Ti ricordi di esserti seduto e aver
accarezzato i capelli di Robin?»
«Cosa ho fatto?»
Quarantacinque minuti dopo
l’iniezione, bevendo del tè e senza
più sentire alcun effetto della droga,
Philip non riusciva a ricordare di
essersi seduto, di averci guardato o
di aver toccato Robin. Poco dopo
appariva rilassato e noi avevamo
fiducia che Robin si sarebbe presa
cura di lui.
La sera seguente parlai con Philip.
Si sentiva un po’ indebolito, ma
aveva dormito molto bene. I suoi
sogni erano stati «più interessanti
del solito», sebbene non
particolarmente strani. Nonostante
ciò, non riusciva a ricordarne
nessuno. Il giorno dopo aveva
lavorato dieci ore piene, sebbene
non a tutto spiano. «Nessuno a
parte me si sarebbe accorto che ero
stanco» disse.
Sorprendentemente, queste sono
le sole annotazioni che ho da quella
seduta e dal resoconto del giorno
seguente. Ciò strideva parecchio
con le descrizioni, di solito piuttosto
eloquenti, che Philip faceva delle
sue sessioni con le droghe. Forse, il
fatto che aveva attraversato la
mattinata senza correre rischi era il
dato più importante che ci
occorreva sapere.
Quella sera, tornando a casa in
macchina tra le montagne fuori
Albuquerque, impiegai il tempo a
ripensare agli avvenimenti del
giorno. Ero contento che sia Nils
che Philip fossero usciti indenni
dalla loro dose di 0.6 mg/kg di DMT .
Tuttavia, non avevo imparato molto
su quello che avevano davvero
sperimentato. I loro resoconti erano
estremamente brevi e mancavano di
dettagli.
Perché i resoconti di Philip e Nils
erano così scarni?
Una possibilità era la state-
specific memory, il fenomeno per
cui gli eventi sperimentati in uno
stato di coscienza alterato possono
venire ricordati chiaramente solo
rientrando in quello stato, ma non
in uno stato di coscienza ordinario.
Ciò avviene sotto l’influenza di
sostanze come alcol e marijuana, e
di farmaci come i sedativi Valium,
Xanax o i barbiturici. Ma si origina
anche da stati alterati di coscienza
non indotti da droghe, come l’ipnosi
o i sogni. Nel caso di Philip e Nils,
questa ipotesi sarebbe stata
plausibile se in seguito essi
avessero ricordato di più delle loro
sedute da 0.6 mg/kg lavorando con
dosi inferiori e più gestibili di DMT .
Tuttavia, ciò non si verificò
minimamente in nessuno dei due
nel corso della loro successiva
partecipazione al progetto.
Un’altra possibilità è che Nils e
Philip avessero sofferto di un
leggero delirium, una “sindrome
cerebrale organica acuta” o uno
“stato confusionale acuto”.
Delirium deriva dal latino de, che
significa “da” o “fuori da”, e lira,
“solco”; letteralmente, “uscire dal
seminato”. Il delirium può avere
origine da fattori fisici come febbre,
ferite alla testa, mancanza di
ossigeno, basso livello di zucchero
nel sangue. Inoltre, un’esperienza
profondamente traumatica dal
punto di vista psicologico può
causare uno stato delirante, come
accade ai sopravvissuti a gravi
traumi o disastri.
Non sapevo fino a che punto il
“trauma psicologico” potesse aver
contribuito alla confusione di Nils e
Philip e alla loro incapacità di
ricordare la maggior parte di ciò che
era accaduto durante le sessioni con
la DMT . Quanto poteva essere una
reazione psicologica agli effetti della
droga piuttosto che un effetto
diretto della droga stessa? Vale a
dire, salire una scala per vedere uno
spettacolo incredibilmente
scioccante potrebbe gettare una
persona in uno stato confusionale o
delirante, ma la causa risiede in ciò
che si è visto e non nella scala in sé.
Cosa videro Nils e Philip di così
bizzarro, incomprensibile e
totalmente aberrante da far sì che le
loro menti si spegnessero per
risparmiargli di vedere in modo
chiaro quello che c’era? Forse era
meglio dimenticare.
In entrambi i casi, sia che fosse
stata troppo la droga o troppo
l’esperienza, quale che fosse
l’effetto di questi 0.6 mg/kg di DMT
endovenosa in questi due esperti
veterani della psichedelia, in pratica
emerse solo questo dato: «Troppo».
Come Philip disse in seguito: «Era
un bagliore cosmico, una tempesta
di colori, stupefacente, come se
fossi stato gettato in mare durante
una tempesta e stessi girando
vorticosamente senza controllo,
stappato come un tappo di
sughero».
Telefonai nuovamente a Dave
Nichols per parlare della dose di
DMT . Quanto sarebbe dovuta essere
una più bassa “alta” dose? Una
riduzione a 0.5 mg/kg avrebbe
significato diminuire la dose
solamente di un sesto, mentre 0.4
mg/kg erano esattamente un terzo
in meno. Dovevamo procedere per
tentativi. Sebbene volessi
assicurarmi che l’alta dose
dispiegasse un effetto completo,
non volevo causare traumi
psicologici ai nostri volontari. Mi
sentivo un po’ incerto dopo gli
eventi della giornata con Philip e
Nils. «Primo, non fare danni» è la
massima fondamentale per la
medicina in generale, e ancora di
più per la ricerca sull’uomo. Creare
un gruppo di volontari con danni
psichici non era un’opzione
possibile. Mantenendo in primo
piano nella nostra discussione gli
effetti delle sessioni da 0.6 mg/kg di
Philip e Nils, decidemmo di fare di
0.4 mg/kg la dose massima di DMT
per la ricerca.
Alcuni giorni dopo telefonai al
primo pioniere della DMT , il dr.
Stephen Szára, per discutere del
dosaggio. Il dr. Szára aveva scoperto
gli effetti psichedelici della DMT
iniettandosela nel suo laboratorio di
Budapest, in Ungheria, a metà degli
anni ’50. (Nel corso delle prime fasi
della ricerca psichedelica condotta
su soggetti umani era normale per i
ricercatori sottoporsi per primi agli
esperimenti.) Ora stava per
terminare una lunga e illustre
carriera al US National Institute on
Drug Abuse a Washington.
«Ha mai ecceduto nel
somministrare DMT ai suoi
volontari?» gli domandai.
Il dottor Szára ci pensò per un
momento, poi rispose con il suo
elegante accento dell’Europa
Orientale: «Sì. Non ricordavano
nulla. Non riuscivano a far tornare
alla mente i ricordi dell’esperienza.
L’unica cosa che gli restava era la
sensazione che fosse successo
qualcosa di terribile. Non
credevamo valesse la pena
somministrare quel tipo di dosi».
È sorprendente come molti dei
temi che sarebbero emersi durante i
cinque anni successivi apparvero
già quella mattina di dicembre,
quando somministrai le dosi di 0.6
mg/kg di DMT a Philip e a Nils:
esperienze spirituali, di pre-morte e
di contatto con loro nei reami della
DMT . Io mi ero sentito in conflitto
tra l’amicizia e gli obiettivi della
ricerca. I limiti dell’ambiente
ospedaliero e del modello medico
erano stati subito evidenti. Il
bisogno di somministrare dosi
psichedeliche complete era già
frenato dalla consapevolezza che
potessero causare reazioni negative.
C’era un vasto team di colleghi e
organi di controllo che assistevano
il progetto in modi diversi. In una
forma o nell’altra, nelle sedute da
0.6 mg/kg di DMT di Philip e Nils
c’era già tutto questo.
Torniamo ora al contesto di
questa ricerca, all’enorme mole di
conoscenze sulle droghe
psichedeliche e al modo in cui la
scienza e la società hanno usato
queste informazioni. Poi potremo
iniziare a capire il ruolo speciale che
la DMT assume nel nostro corpo e le
incredibili funzioni che può
dispiegare nella nostra vita.
3. Il modo più veloce per far giungere la DMT al
cervello è, di sicuro, iniettarla direttamente
all’interno di questo organo delicato. Non
conosco alcuno studio nel quale i ricercatori
abbiano somministrato droghe psichedeliche a
soggetti umani in questo modo. Tuttavia esiste
un rapporto che descrive la somministrazione
diretta di LSD nel liquido cerebrospinale per
mezzo della puntura lombare. Poiché il liquido
cerebrospinale bagna il cervello, permette un
accesso diretto a esso. In questo caso, gli effetti
dell’LSD iniziano quasi istantaneamente. Vedi
Paul Hoch, Studies in Routes of Administration
and Counteracting Drugs, in Lysergic Acid
Diethylamide and Mescaline in Experimental
Psychiatry, a cura di Louis Cholden, Grune &
Stratton 1956, pp. 8-12.

4. Ci sono state persone che hanno usato la


modalità endovenosa di somministrazione della
DMT in contesti avulsi dalla ricerca o ricreativi.
Uno degli uomini a cui avevo posto delle
domande durante il processo di sviluppo della
scala di valutazione, negli anni ’60 l’aveva
assunta in questo modo. La sua opinione fu che
era «solo leggermente più rapida» rispetto a
quando la si fumava.

5. William J. Turner Jr. e Sidney Merlis, Effect


of Some Indolealkylamines on Man, in
«Archives of Neurology and Psychiatry», n. 81,
1959, pp. 121-129.
PARTE I

CONCETTI BASILARI
Capitolo 1
DROGHE
PSICHEDELICHE:
SCIENZA E SOCIETÀ

La storia dell’utilizzo da parte


dell’uomo di piante, funghi e
animali per i loro effetti psichedelici
è di gran lunga più antica della
storia documentata e
probabilmente precede la comparsa
dell’uomo moderno. Ronald Siegel e
Terence McKenna, ad esempio,
sostengono che i nostri antenati
scimmie imitavano gli altri animali
mangiando cose che gli
provocavano un comportamento
insolito. In questo modo scoprirono
le prime sostanze psicoattive.
Esistono sempre più prove
materiali a sostegno del fatto che
molte antiche culture usavano gli
psichedelici per il loro effetto sulla
coscienza. Gli archeologi hanno
scoperto antichi disegni africani di
funghi che spuntano dal corpo
umano, e scoperte recenti sulla
pittura rupestre nord-europea di
epoca preistorica lasciano
fortemente intendere l’influsso di
una coscienza alterata per mezzo di
psichedelici.
Alcuni autori hanno avanzato
l’ipotesi che il linguaggio si sia
sviluppato grazie agli psichedelici,
che permisero una crescente
comprensione e associazione dei
suoni emessi dai primi ominidi.
Altri suggeriscono che gli stati
psichedelici abbiano formato le basi
della prima consapevolezza umana
dell’esperienza religiosa.
Le visioni, gli stati estatici e i voli
dell’immaginazione resi possibili
dalle droghe psichedeliche hanno
assegnato a queste sostanze un
ruolo significativo in molte culture
antiche. Centinaia di anni di ricerca
antropologica hanno dimostrato che
queste società usavano gli
psichedelici per mantenere la
solidarietà sociale, sostenere le
pratiche di guarigione e ispirare la
creatività in campo artistico e
spirituale.
Gli indigeni del Nuovo Mondo
usavano, e continuano a usare,
un’ampia gamma di piante e funghi
psicoattivi. Molto di ciò che
conosciamo sugli psichedelici
deriva dall’aver indagato le sostanze
chimiche trovate dapprima nei
materiali presenti nell’emisfero
occidentale: DMT , psilocibina,
mescalina e diversi composti simili
all’LSD.
I coloni europei rimasero sorpresi
e allarmati dall’uso così ampio e
diffuso di queste piante
psichedeliche da parte degli
indigeni del Nuovo Mondo. La loro
reazione era forse dovuta alla
mancanza di piante e funghi
allucinogeni in Europa. Altrettanto
importante era l’associazione delle
sostanze psicoattive alle arti
magiche. La Chiesa occultò in
maniera efficace le informazioni
sull’uso di quelle sostanze sia nel
Vecchio che nel Nuovo Mondo, e
perseguitò i sostenitori e i praticanti
di quelle conoscenze. È solo negli
ultimi cinquant’anni che ci siamo
resi conto del fatto che l’uso dei
funghi allucinogeni da parte degli
indigeni messicani non si estinse
completamente nel XVI secolo.
Fino alla fine del tardo ‘800, in
Europa c’era poco interesse o scarsa
possibilità di accedere alle piante e
alle droghe psichedeliche. Alcuni
autori descrissero le proprie
reazioni “psichedeliche” all’oppio e
all’hashish, ma la quantità
necessaria perché si manifestassero
gli effetti psichedelici era difficile da
assumere, eccessiva o pericolosa.
Questa situazione iniziò a cambiare
con la scoperta della mescalina
all’interno del peyote, un cactus
originario del Nuovo Mondo.
Negli anni ’90 dell’800 alcuni
scienziati tedeschi isolarono la
mescalina dal peyote. Il più
letterato tra coloro che ne
indagarono gli effetti ne acclamò la
capacità di dare accesso a un
“paradiso artificiale”. Ad ogni modo,
l’interesse riguardo alla mescalina
in ambito medico e psichiatrico era
sorprendentemente circoscritto, e i
ricercatori pubblicarono solo un
numero limitato di saggi fino alla
fine degli anni ’30. La spiacevole
nausea e il vomito che spesso si
manifestavano con la mescalina
possono aver avuto qualcosa a che
fare con la mancanza di interesse
nei suoi riguardi.
Un’altra ragione alla base dello
scarso entusiasmo per la mescalina
poteva essere dovuto alla mancanza
di un contesto scientifico e medico
nel quale studiarne gli effetti. A
quell’epoca era la psicanalisi
freudiana la forza predominante
nella psichiatria. Sebbene lo stesso
Freud fosse fortemente attratto
dalle droghe psicoattive come
cocaina e tabacco, i suoi studenti lo
erano di meno. Per di più, Freud
diffidava della religione e credeva
che l’esperienza religiosa o
spirituale fosse una difesa contro
paure e desideri infantili. Questo
atteggiamento probabilmente non
contribuì a incoraggiare gli studi
sulla mescalina, date le sue
implicazioni con la spiritualità dei
nativi americani. Poi l’LSD fece la
sua comparsa rivoluzionaria.
Nel 1938 il chimico svizzero
Albert Hofmann stava lavorando
con l’ergot, un fungo della segale,
nella Divisione Prodotti Naturali dei
Laboratori Sandoz, già all’epoca
un’importante casa farmaceutica.
Sperava di trovare un farmaco in
grado di fermare le emorragie
uterine post-partum. Uno di questi
composti a base di ergot era l’LSD-
25, o dietilamide dell’acido
lisergico. Non evidenziando alcun
effetto farmacologico significativo
sull’utero delle cavie del
laboratorio, ne accantonò lo studio.
Cinque anni dopo, un “curioso
presentimento” fece riprendere in
mano a Hofmann lo studio sull’LSD,
e per caso ne scoprì le potenti
proprietà psichedeliche.
La cosa impressionante dell’LSD
era che provocava effetti
psichedelici a dosi di milionesimi di
grammo, il che significava che
possedeva una potenza più di mille
volte superiore alla mescalina. In
effetti, Hofmann finì quasi in
overdose assumendo quella che
riteneva una quantità troppo esigua
per essere psicoattiva: un quarto di
milligrammo. Hofmann e i suoi
colleghi svizzeri non tardarono a
pubblicare le loro scoperte nei primi
anni ’40. A causa della notevole
alterazione dello stato mentale
provocata dall’LSD, e considerato il
contesto della psichiatria
tradizionale in cui i ricercatori lo
studiarono, gli scienziati decisero di
sottolineare le sue proprietà “simil-
psicotiche”.6
Gli anni che seguirono alla
Seconda Guerra Mondiale furono
entusiasmanti per la psichiatria.
Oltre all’LSD, gli scienziati
scoprirono anche le proprietà
“antipsicotiche” della
Clorpromazina o Torazina. La
Torazina permise ai pazienti affetti
da gravi malattie mentali di
migliorare al punto da venire
dimessi dagli ospedali psichiatrici in
numeri senza precedenti. Questo e
altri farmaci antipsicotici permisero
finalmente ai dottori di fare dei
progressi nel trattamento di alcune
delle nostre malattie più
invalidanti.
Il moderno settore della
“psichiatria biologica” nacque in
quegli anni. Questa disciplina, che
studia la relazione che intercorre tra
la mente umana e la sua chimica
cerebrale, era figlia di questi due
strani partner: LSD e Torazina. E la
serotonina organizzò l’incontro.
Nel 1948 i ricercatori scoprirono
che la serotonina trasportata nel
flusso sanguigno era responsabile
della contrazione dei muscoli che
ricoprono vene e arterie. Questo fu
di vitale importanza per capire
come controllare il processo
emorragico. Il nome serotonina
deriva dal latino sero, “sangue”, e
tonin, che significa “stringere”.
Alcuni anni più tardi, a metà degli
anni ’50, venne scoperta la
serotonina nel cervello degli
animali da laboratorio. Esperimenti
successivi dimostrarono l’esatta
collocazione e i suoi effetti sulle
funzioni elettriche e chimiche delle
singole cellule nervose. Le droghe o
gli interventi che modificavano le
aree del cervello di un animale
contenenti serotonina ne alteravano
profondamente il comportamento
sessuale e l’aggressività, così come
il sonno, la veglia e un’ampia
gamma di funzioni biologiche
fondamentali. La presenza e la
funzione della serotonina nel
cervello e nel comportamento
animale confermarono il suo ruolo
di primo neurotrasmettitore
conosciuto.7
Contemporaneamente, gli
scienziati mostrarono che le
molecole di LSD e di serotonina
apparivano molto simili tra loro.
Dimostrarono allora che LSD e
serotonina si contendevano molti
degli stessi siti cerebrali. In alcune
situazioni sperimentali, l’LSD inibiva
gli effetti della serotonina; in altre,
lo psichedelico simulava i suoi
effetti.
Queste scoperte qualificarono
l’LSD come lo strumento più potente
a disposizione per indagare sulle
relazioni tra mente e cervello. Se le
straordinarie proprietà a livello
sensoriale ed emozionale dell’LSD
dipendevano dal modificare la
funzione della serotonina presente
nel cervello in maniera definita e
comprensibile, sarebbe stato
possibile “dissezionare
chimicamente” particolari funzioni
mentali nelle loro componenti
fisiologiche di base. Altre droghe
psicoattive dagli effetti similmente
ben caratterizzati sui diversi
neurotrasmettitori potevano
condurre a decodificare la varietà
delle esperienze coscienti nei loro
processi chimici sottostanti.
Decine di ricercatori nel mondo
somministrarono una vertiginosa
varietà di sostanze psichedeliche a
migliaia di volontari sani e pazienti
psichiatrici. Per più di vent’anni, il
generoso sostegno finanziario di
enti governativi e privati
sovvenzionò queste ricerche. I
ricercatori pubblicarono centinaia
di saggi e decine di libri. Molte
conferenze, incontri e convegni
internazionali trattarono delle
ultime scoperte nella ricerca
psichedelica.8
I Laboratori Sandoz fornirono LSD
ai ricercatori in modo che potessero
provocare un breve stato psicotico
nei volontari sani. Gli scienziati
speravano che esperimenti di
questo genere potessero far luce su
quei disturbi psicotici, come la
schizofrenia, che si verificano in
modo spontaneo.
La Sandoz raccomandò anche di
somministrare l’LSD al personale
medico dei reparti psichiatrici per
creare un’empatia con i pazienti
psicotici. Quei giovani dottori
furono stupefatti da questo contatto
temporaneo con la follia. Il brusco
incontro con ricordi e sentimenti
precedentemente inconsci fece
supporre a questi psichiatri che tali
proprietà di espansione mentale
potessero potenziare la
psicoterapia.
Numerose pubblicazioni
suggerirono che i normali
meccanismi della talk therapy
erano molto più efficaci con
l’aggiunta di una sostanza
psichedelica. Decine di articoli
scientifici documentarono il
notevole successo nella cura di
pazienti, in precedenza non
trattabili, che soffrivano di
ossessioni e compulsioni, stress
post-traumatico, disturbi
dell’alimentazione, ansia,
depressione, alcolismo e
dipendenza da eroina.
I veloci progressi descritti dai
ricercatori che facevano uso della
“psicoterapia psichedelica”
incoraggiarono altri ricercatori a
studiare gli effetti positivi di queste
droghe nei malati terminali. Mentre
sulle condizioni mediche
soggiacenti si riscontrarono blandi
effetti, la psicoterapia psichedelica
in questi pazienti rivelò effetti
sorprendenti dal punto di vista
psicologico. La depressione
scompariva, la necessità di farmaci
per la cura del dolore diminuva in
maniera consistente, e
l’accettazione da parte dei pazienti
della malattia e della loro prognosi
accresceva considerevolmente.
Inoltre, i pazienti e i loro familiari
sembravano approcciarsi a
questioni profonde ed
emotivamente intense in una
maniera mai riscontrata prima. La
rapida accelerazione della crescita
psicologica risultante da questo
nuovo trattamento sembrava
promettente soprattutto nei casi in
cui il tempo era fondamentale.
Alcuni terapeuti credevano che
un’esperienza trasformativa,
mistica o spirituale fosse
responsabile di molte di queste
“miracolose” risposte alla
psicoterapia psichedelica.9
Inoltre, divenne presto evidente
che le esperienze descritte dai
volontari sotto la profonda
influenza degli psichedelici erano
sorprendentemente simili a quelle
di chi praticava la meditazione
orientale. Il sovrapporsi tra
l’alterazione della coscienza causata
dalle droghe psichedeliche e quella
indotta dalla meditazione attirò
l’attenzione di scrittori al di fuori
degli ambienti scientifici, compreso
il romanziere e filosofo spirituale
inglese Aldous Huxley. Huxley ebbe
esperienze straordinariamente
positive con mescalina e LSD sotto
l’occhio vigile dello psichiatra
canadese Humphrey Osmond, che
gli fece visita a Los Angeles negli
anni ‘50. Ben presto Huxley scrisse
delle sue sessioni con la droga e
delle riflessioni che gli ispirarono. I
suoi scritti sulla natura e sul valore
dell’esperienza psichedelica erano
avvincenti ed eloquenti, e
ispirarono molti individui a tentare
di raggiungere – e i ricercatori a
generare – l’illuminazione
spirituale attraverso le sostanze
psichedeliche. A dispetto del fatto
che queste idee fomentarono la
nascita di un imponente
movimento favorevole alla
sperimentazione popolare degli
psichedelici, Huxley restava un
accanito sostenitore della teoria per
cui solo un ristretto gruppo di
intellettuali e artisti avrebbe dovuto
accedervi. Non credeva che gli
uomini e le donne comuni fossero
in grado di far uso degli psichedelici
nei modi più sicuri e proficui
possibili.10
In ogni caso, gli studi sulle
malattie terminali e le discussioni
sulle somiglianze tra gli effetti delle
droghe psichedeliche e le
esperienze mistiche unirono
religione e scienza in un legame
precario. La ricerca stava andando
molto più in là dei progetti originali
della Sandoz.
A complicare ulteriormente le
cose ci fu la fuga dell’LSD dal
laboratorio negli anni ’60. Notizie di
ricoveri d’urgenza, suicidi, omicidi,
malformazioni congenite e
alterazioni cromosomiche
riempirono i media. Il ben
pubblicizzato abbandono dei
principi della ricerca scientifica da
parte di Timothy Leary e del suo
team all’Università di Harvard fu la
causa del loro licenziamento. Questi
avvenimenti rinforzarono il
crescente sospetto che persino gli
scienziati avessero perso il controllo
di queste potenti droghe
psicoattive.11
I media esagerarono ed
enfatizzarono gli effetti negativi
delle droghe psichedeliche a livello
fisico e psicologico. Alcuni di questi
resoconti derivavano da scarse
ricerche; altri erano semplicemente
inventati. Successive pubblicazioni
assolsero gli psichedelici dall’accusa
di grave tossicità e di danneggiare i
cromosomi. Tuttavia, questi studi
successivi generarono molto meno
scalpore di quanto avevano fatto gli
iniziali resoconti compromettenti.
Nella letteratura psichiatrica si
moltiplicarono i saggi che
descrivevano i bad trip o le reazioni
psicologiche avverse agli
psichedelici. Per affrontare queste
preoccupazioni nell’ambito della
mia ricerca, ho letto ogni
documento che descriveva tali
effetti negativi e pubblicato i
risultati. Era chiaro che la
percentuale delle complicazioni di
carattere psichiatrico era
incredibilmente bassa nei setting di
ricerca monitorati, sia nei volontari
sani che nei pazienti psichiatrici.
Tuttavia, quando individui instabili
o affetti da disturbi psichici
assumevano sostanze psichedeliche
alterate o sconosciute, mescolate
con alcol o altre droghe, in un
setting senza controllo e adeguata
supervisione, si verificavano dei
problemi.12
In risposta all’ansia mostrata
dall’opinione pubblica sull’uso
incontrollato di LSD, e nonostante le
obiezioni di quasi ogni ricercatore
nel campo, nel 1970 fu approvata
dal Congresso una legge che
dichiarava illegali l’LSD e altri
psichedelici. Il governo disse agli
scienziati di restituire le loro
forniture di droga, la
documentazione necessaria per
ottenere e mantenere nuove
forniture di psichedelici per la
ricerca divenne un’impresa, e c’era
poca speranza riguardo a nuovi
progetti. Il denaro per gli studi si
esaurì e i ricercatori abbandonarono
i loro esperimenti. Con le nuove
leggi sulle droghe in vigore,
l’interesse nella ricerca psichedelica
si estinse quasi con la stessa
rapidità con cui un tempo si era
destato. Era come se le droghe
psichedeliche fossero diventate
“sconosciute”.
Considerando il ritmo intenso
della ricerca sugli psichedelici solo
trent’anni fa, è incredibile quanto
poco insegnino oggi a riguardo i
programmi di studio in medicina e
psichiatria. Gli psichedelici furono
la principale area di sviluppo in
psichiatria per oltre vent’anni Ora i
giovani medici e psichiatri non
sanno quasi nulla in merito.
Quando ero studente di medicina
nella metà degli anni ’70, meno di
dieci anni dopo il cambiamento
delle leggi sulle droghe, gli
psichedelici furono l’argomento di
appena due lezioni nei miei quattro
anni di studio. Persino ciò
costituiva un’informazione più
ampia di quella ricevuta dagli
studenti nella maggior parte degli
altri istituti di medicina, perchè
all’Albert Einstein College of
Medicine di New York, dove mi
sono formato, c’era un gruppo di
ricerca che svolgeva esperimenti
sugli animali. Nella metà degli anni
’90 tenni un seminario sulle droghe
psichedeliche rivolto agli psichiatri
più anziani dell’Università del New
Mexico, probabilmente l’unico nel
suo genere in quella regione nel
corso di moltissimi anni.
Il disinteresse accademico nei
riguardi degli psichedelici poteva
essere dovuto, in parte, all’assenza
di una qualsiasi ricerca in corso
sull’uomo. In ogni caso, è normale
per i medici “in fase di formazione”
informarsi sulle principali teorie e
tecniche del passato, anche se non
sono più viste con favore. Le droghe
psichedeliche, tuttavia, sembrarono
aver abbandonato ogni discussione
in campo psichiatrico.
La maggior parte delle teorie,
delle tecniche e delle droghe nel
campo della psichiatria clinica
segue un corso evolutivo
prevedibile non appena vengono
introdotte, testate e messe a punto
per successivi impieghi. Pertanto
non deve affatto sorprendere se
iniziarono a emergere risultati
contrastanti nel momento in cui si
accumularono più dati, nel corso
della prima ondata della ricerca
psichedelica. All’entusiasmo si
sostituirono prevedibilmente
obiezioni sul fatto che gli
psichedelici potessero produrre un
“modello di psicosi” o una “cura”
nei casi non trattabili con la
psicoterapia. Per gli scienziati, il
modo naturale di procedere nella
ricerca psichiatrica è quello di
affinare problemi, metodi e
applicazioni. Questo non si verificò
mai con le droghe psichedeliche.
Anzi, il loro studio attraversò
un’evoluzione estremamente
innaturale. Iniziarono come
“droghe della meraviglia”, si
tramutarono in “droghe dell’orrore”
e poi si ridussero al nulla.
Credo che agli studenti di
medicina e ai tirocinanti in
psichiatria venga insegnato così
poco sulle droghe psichedeliche non
perché la ricerca sia terminata, ma a
causa di come sia terminata. Ciò ha
profondamente demoralizzato la
psichiatria accademica, che ha
dunque voltato le spalle alle droghe
psichedeliche.
La ricerca psichedelica è stata un
capitolo bruciante e umiliante nella
vita di molti dei suoi più eminenti
scienziati, tra i migliori e più
brillanti psichiatri della loro
generazione. Molti dei più
apprezzati ricercatori
nordamericani ed europei di oggi,
sia in campo accademico che
nell’industria farmaceutica, ora a
capo delle principali facoltà
universitarie e presidenti di
organizzazioni psichiatriche
nazionali, hanno iniziato la loro
carriera professionale partendo
dalla ricerca sulle droghe
psichedeliche. I membri più
influenti della loro professione
scoprirono che la scienza, i dati e la
ragione erano incapaci di difendere
la loro ricerca contro l’attuazione di
leggi repressive alimentate da
opinioni e sentimenti, e dai media.
Una volta approvate queste leggi,
l’amministrazione governativa e le
agenzie di finanziamento
revocarono velocemente i permessi,
le droghe e il denaro. Le stesse
droghe psichedeliche che i
ricercatori ritenevano essere l’unica
chiave di accesso alle malattie
mentali, e che avevano dato la
possibilità di far carriera a molte
persone, divennero temute e odiate.
Un altro problema era che gli
psichedelici stavano diventando
un’imbarazzante fonte di contesa
persino all’interno della stessa
psichiatria. Gli psichiatri di
estrazione biologica avevano poca
pazienza nei confronti dei colleghi
che “avevano trovato la religione” e
propagandavano gli effetti spirituali
di queste droghe. Questi ultimi
consideravano di mentalità ristretta
e repressi i loro colleghi “cerebrali”.
La psichiatria non è mai stata
particolarmente a suo agio con le
questioni di carattere spirituale, e
infatti si originò nel settore
un’ulteriore spaccatura per
contendersi i risultati della ricerca
psichedelica: la psicologia
“transpersonale”. Così, quantomeno
qualche ricercatore psichedelico
avrebbe potuto serenamente
sentirsi sollevato dal non dover più
affrontare molti degli effetti
complessi, contraddittori e confusi
che tali droghe producevano nei
pazienti, in loro stessi e nei loro
colleghi.
Perché qualcuno avrebbe dovuto
desiderare di tenere una conferenza
su questo imbarazzante capitolo
nella storia della psichiatria
accademica di fronte a un pubblico
gremito di brillanti studenti di
medicina? Il primo gruppo di
ricercatori psichedelici era
composto per la maggior parte da
scienziati professionisti, non da
fanatici. Sapevano di non dover
criticare pubblicamente il
comportamento dei loro colleghi e
benefattori. Era meglio imparare
dall’esperienza.13
Dopo aver passato in rassegna
alcuni dei momenti salienti della
storia degli psichedelici, vediamo
ora cosa fanno.
Gli psichedelici manifestano i loro
effetti a seguito di un complesso
intreccio di tre fattori: il set, il
setting e la droga.
Il set è ciò che noi stessi ci
aspettiamo, sia nell’immediato che
nel lungo periodo. È il nostro
passato, il nostro presente e il
nostro potenziale futuro; le nostre
preferenze, idee, abitudini e
sentimenti. Il set include anche il
nostro corpo e il nostro cervello.
L’esperienza psichedelica dipende
anche dal setting: chi o cosa c’è o
non c’è nelle nostre immediate
vicinanze; l’ambiente in cui ci
troviamo, sia esso naturale o
urbano, interno o esterno; la qualità
dell’aria e i suoni dell’ambiente, e
così via. Il setting ha a che fare
anche con il set di chi è con noi
mentre assumiamo la droga, che si
tratti di un amico o di uno
sconosciuto, che sia rilassato o teso,
che sia una guida che ci sostiene o
uno scienziato.
Poi c’è la droga.
Per prima cosa, come la
chiamiamo? Persino tra i ricercatori
non c’è accordo su questo punto
cruciale. Alcuni non usano
nemmeno la parola droga,
prefendole piuttosto molecola,
composto, agente, sostanza,
medicinale o sacramento.
Anche se convenissimo di
chiamarla semplicemente droga, si
noti quanti nomi diversi abbia:
allucinogeno (procura
allucinazioni), enteogeno (genera il
divino), misticomimetico (riproduce
stati mistici), onirogeno (provoca
sogni), fanerotimo (riproduce
sensazioni visibili), fantasticante
(stimola la fantasia), psicodislettico
(provoca disturbi mentali),
psicotomimetico e psicotogeno
(rispettivamente simula o provoca
psicosi), psicogeno e schizogeno
(un veleno che causa
rispettivamente psicosi o
schizofrenia).
Questa attenzione posta sui nomi
non è di poco conto. Se tutti fossero
d’accordo su cosa è o fa uno
psichedelico, di sicuro non
esisterebbero così tanti termini per
definire la stessa droga. La
moltitudine di etichette riflette il
profondo dibattito, che va avanti
tuttora, sulle droghe psichedeliche e
i loro effetti.
Gli scienziati raramente
riconoscono l’importanza del nome
che danno agli psichedelici,
nonostante sappiano quanto
fortemente le aspettative
modificano gli effetti della droga.
Tutti gli studenti di psicologia
imparano ciò durante i loro
primissimi corsi, quando passano in
rassegna le fondamentali ricerche
pubblicate negli anni ’60. In questi
esperimenti veniva iniettata ai
volontari l’adrenalina, l’ormone del
“combatti o fuggi”, nell’ambito di
diversi set di aspettative.
L’adrenalina provocava degli stati di
calma e di rilassamento in quei
volontari ai quali era stato detto che
avrebbero ricevuto un sedativo. Se
gli veniva detto che la droga
sperimentale era stimolante, i
volontari sentivano i più tipici
effetti energetici e ansiogeni.14
Pertanto, il nome con cui
chiamiamo la droga che
assumiamo, o che somministriamo,
influenza le nostre aspettative su
ciò che quella stessa droga farà.
Modifica addirittura i suoi effetti e
il nostro modo di interpretarli e di
considerarli. Nessun altro nome
dato a una droga influisce così
potentemente sugli effetti che
dispiega come nel caso degli
psichedelici, perché essi
amplificano oltremodo la nostra
suggestionabilità.
Oltre al modo in cui chiamiamo
gli psichedelici, anche i termini che
applichiamo a coloro che ne fanno
uso hanno ripercussioni sul set e
sul setting, e quindi sulla risposta
della droga. In qualità di colui che
assume la droga, ci poniamo come
soggetti della ricerca o come
volontari? Clienti o celebranti? In
qualità di colui che la somministra,
ci consideriamo guide, facilitatori o
dei ricercatori? Sciamani o
scienziati?
Provate a fare questo esercizio
mentale. Immaginate come potreste
sentirvi in qualità di “soggetto della
ricerca” sotto l’effetto di un “agente
psicotomimetico”. Poi pensate di
nuovo: come vi sentireste nel ruolo
di “celebrante” in una “cerimonia”
con un “sacramento enteogenico”?
In che modo questi diversi contesti
potrebbero influenzare la vostra
interpretazione delle allucinazioni e
gli intensi sbalzi d’umore provocati
dalla droga? Vi sembrerebbe di
impazzire o di avere un’esperienza
di illuminazione?
Se steste somministrando degli
psichedelici, che tipi di
comportamento vi aspettereste dai
soggetti della ricerca e quali
trascurereste? Molto dipenderà da
ciò che starete somministrando: se
uno “schizogeno” o un
“fantasticante”. Potreste
incoraggiare una out of body
experience (OBE) in un contesto
“sciamanico”, ma potreste
interrompere i medesimi effetti
somministrando un antipsicotico in
una situazione
“psicotomimetica”.15
Allucinogeno è il termine medico
più comune per indicare le droghe
psichedeliche, ed enfatizza gli effetti
sulle percezioni, per lo più visive, di
queste droghe. In ogni caso,
sebbene gli effetti degli psichedelici
sulle percezioni siano consueti, non
sono gli unici effetti e nemmeno i
più apprezzati. Le visioni in effetti
possono distrarre dalle proprietà
più ricercate dell’esperienza, quali
un’intensa euforia, profonde
intuizioni intellettuali e spirituali, e
il dissolvimento dei confini fisici del
corpo.
Preferisco il termine psichedelico,
“che manifesta la mente”, rispetto
ad allucinogeno. Gli psichedelici ti
mostrano quel che c’è dentro la tua
mente e cosa avviene al suo
interno: i pensieri subconsci e i
sentimenti nascosti, insabbiati,
dimenticati, celati alla vista, forse
addirittura completamente
inaspettati, ma cionondimeno
presenti in modo incalzante. In
relazione al set e al setting, la stessa
droga, con la stessa dose, può
provocare risposte molto diverse
nella stessa persona. Un giorno può
accadere poco o nulla; un altro
giorno, ti levi in volo, colmo di
rivelazioni estatiche e penetranti;
un altro giorno ancora, ti fai strada
a fatica in un terribile incubo. La
natura generica di psichedelico, un
termine che si presta a così tante
interpretazioni, si adatta a tutti
questi effetti.
Il termine psichedelico ha assunto
vita propria sia dal punto di vista
culturale che linguistico. Oggi può
riferirsi a un particolare stile
artistico, al modo di vestire, o
perfino a un insieme di circostanze
particolarmente intenso. Quando lo
si trova in un discorso sulle droghe,
il termine psichedelico agita inoltre
le emozioni e i conflitti intensi degli
anni ’60 su questioni di carattere
politico e sociologico non
direttamente correlate. Molti di noi,
quando sentono il termine
“psichedelico”, pensano oggi a
“controcultura”, “ribelle”, “liberale”
o “di sinistra”. Ad ogni modo,
correrò i miei rischi e lo utilizzerò
in questo libro. Credo che sia il
termine migliore che abbiamo.
Spero di non offendere chi lo trova
discutibile.
A prescindere dal termine con cui
le chiamiamo, molti di noi
concordano sul fatto che le droghe
psichedeliche siano della cose
fisiche, chimiche. È a questo livello
più elementare che possiamo
iniziare a capire cosa sono e come
agiscono.
I diagrammi che accompagnano le
seguenti descrizioni mostrano la
struttura chimica di svariati
composti psichedelici. Le sfere
simboleggiano gli atomi, il più
comune dei quali è il carbonio, che
non è contrassegnato. “N” significa
azoto, “P” fosforo e “O” ossigeno.
Numerosi atomi di idrogeno sono
uniti ad altri atomi all’interno delle
molecole; tuttavia, ce ne sono così
tanti che avrebbero confuso
inutilmente il diagramma, così qui
non li ho inclusi.
Ci sono due principali famiglie
chimiche di droghe psichedeliche:
le fenetilamine e le triptamine.16
Le fenetilamine derivano dal
“composto-madre” fenetilamina.
La fenetilamina più celebre è la
mescalina, che deriva dal cactus
peyote del sud-ovest americano.
Un’altra famosa fenetilamina è
l’MDMA o “Ecstasy”.
L’altra principale famiglia chimica
di droghe psichedeliche è quella
delle triptamine. Possiedono tutte
un nucleo, o una particella
elementare di base, di triptamina.
La triptamina è un derivato del
triptofano, un aminoacido presente
nella nostra dieta
La serotonina è una triptamina –
5-idrossitriptamina, per essere
esatti – ma non è psichedelica.
Contiene un atomo di ossigeno in
più rispetto alla triptamina.
Il “nonno” di tutti gli attuali
psichedelici, l’LSD, contiene un
nucleo di triptamina, così come
l’ibogaina, uno psichedelico di
origine africana con proprietà anti-
dipendenza altamente
pubblicizzate.
Anche la DMT è una triptamina ed
è lo psichedelico più semplice.
Basta aggiungere due gruppi metili
alla molecola di triptamina e il
risultato è la “dimetiltriptamina”:
DMT .17
Una delle più celebri triptamine
psichedeliche è la psilocibina,
l’ingrediente attivo dei funghi
allucinogeni.
Quando questi funghi vengono
ingeriti, il corpo rimuove un atomo
di fosforo dalla psilocibina,
convertendola in psilocina.
La psilocina differisce dalla DMT
solo per un atomo di ossigeno. Mi
piace pensare alla
psilocibina/psilocina come a “DMT
attiva a livello orale”.
Un’altra importante triptamina è
la 5-metossi-DMT , o 5-MEO-DMT .
Differisce dalla DMT per l’aggiunta di
un solo un gruppo metile e di un
atomo di ossigeno.
Molte delle piante, funghi e
animali che contengono la DMT
possiedono anche la 5-MEO-DMT .
Come per la DMT , coloro che fanno
uso di 5-MEO-DMT di solito la
fumano.18
Oltre alla loro struttura chimica,
gli psichedelici svolgono delle
attività. Qui la chimica diventa
farmacologia: lo studio dell’azione
delle droghe.
Un modo per descrivere l’azione
degli psichedelici è considerare la
rapidità dei loro effetti e la loro
durata.
Gli effetti di DMT e 5-MEO-DMT sono
straordinariamente rapidi e di breve
durata. Abbiamo somministrato la
DMT per endovena, nel qual caso i
volontari l’hanno percepita nel giro
di pochi battiti, raggiungendo il
massimo degli effetti tra il primo e
il secondo minuto, e tornando
“normali” tra i venti e i trenta
minuti dall’assunzione.
LSD, mescalina e ibogaina hanno
una durata più lunga. Gli effetti
iniziano dai trenta ai sessanta
minuti dopo averle ingerite. Gli
effetti di LSD e mescalina possono
durare dodici ore, quelli
dell’ibogaina fino a ventiquattr’ore.
Gli effetti della psiclocibina durano
un po’ meno: iniziano nel giro di
trenta minuti e durano dalle quattro
alle sei ore.
Un altro aspetto basilare della
farmacologia è il “meccanismo di
azione” o il modo in cui le droghe
influiscono sull’attività del cervello.
È una questione cruciale, perché è
tramite l’alterazione della funzione
cerebrale che gli psichedelici
trasformano la coscienza.
I primi esperimenti
psicofarmacologici sull’uomo e
sugli animali suggerirono che LSD,
mescalina, DMT e altre droghe
psichedeliche dispiegavano i loro
effetti principali sul sistema
serotoninergico del cervello. La
ricerca sugli animali, a differenza di
quella sull’uomo, è continuata negli
ultimi trent’anni e ha decretato
senza ombra di dubbio il ruolo
primario di questo
neurotrasmettitore.
Per decenni la serotonina è stata
la sovrana dei neurotrasmettitori, e
la situazione non è cambiata molto.
I più recenti, sicuri ed efficaci
farmaci antipsicotici hanno tutti
effetti singolari sulla serotonina.
Anche gli antidepressivi di ultima
generazione, dei quali il più noto è
il Prozac, modificano in maniera
specifica la funzione di questo
neurotrasmettitore.
Oggi crediamo che gli psichedelici
simulino in alcuni casi l’effetto
della serotonina e in altri lo
inibiscano. I ricercatori si stanno
ora occupando di determinare a
quali dei circa venti diversi tipi di
recettori della serotonina si
attaccano gli psichedelici. Questi
siti di attracco multipli per la
serotonina sono presenti in grandi
concentrazioni sulle cellule nervose
in alcune aree cerebrali, dove
regolano importanti processi di
carattere fisico e psicologico:
cardiovascolari, ormonali, di
termoregolazione, ma anche del
sonno, della fame, dell’umore, delle
percezioni sensoriali e del controllo
motorio.
Ora che abbiamo visto cosa sono e
cosa fanno gli psichedelici nel
mondo dei dati oggettivi e
misurabili, spostiamo la nostra
attenzione sul modo in cui ci
toccano, perché è solo nella mente
che notiamo i loro effetti.
È importante ricordare che,
sebbene comprendiamo molto della
farmacologia degli psichedelici, non
sappiamo quasi nulla di quel che
succede nella chimica del cervello
in relazione all’esperienza
soggettiva e interiore. Ciò vale sia
per gli psichedelici che per il Prozac.
In poche parole, siamo lontani dal
capire come l’attivazione di specifici
recettori della serotonina si traduca
in nuovi pensieri ed emozioni. Noi
non percepiamo il blocco di un
recettore della serotonina;
piuttosto, percepiamo l’estasi. Non
vediamo l’attivazione del lobo
frontale; osserviamo invece angeli e
demoni.
È impossibile prevedere con
certezza ciò che accadrà dopo aver
assunto in un giorno qualsiasi una
droga psichedelica. Ciononostante,
parleremo in termini generali dei
loro effetti soggettivi, per avere
l’idea di una reazione “tipica”. Ciò è
possibile facendo la media delle
nostre personali esperienze e di
quelle degli altri, e di tutti i trip che
ci sono stati prima di noi. (Con trip
mi riferisco agli effetti completi di
una tipica droga psichedelica come
LSD, mescalina, psilocibina o DMT . È
difficile definire un trip, ma di certo
sappiamo quando ne stiamo avendo
uno!)
Le seguenti descrizioni non si
riferiscono agli psichedelici
“leggeri”, come MDMA o marijuana, e
non descrivono nemmeno le
reazioni a basse dosi di psichedelici,
i cui effetti sono simili a quelli di
altre droghe non psichedeliche,
come le anfetamine.
Gli psichedelici influenzano tutte
le nostre funzioni mentali:
percezione, emozione, pensiero,
consapevolezza corporea e
coscienza di sé.
Spesso, ma non sempre, gli effetti
sulle percezioni e sulle sensazioni
sono quelli primari. Gli oggetti nel
nostro campo visivo appaiono più
luminosi o più offuscati, più grandi
o più piccoli, e sembrano mutare di
forma e fondersi. Sia a occhi chiusi
che aperti, vediamo cose che hanno
poco a che fare col mondo esterno:
motivi roteanti, colorati e
geometrici dai contorni incerti, o
immagini ben nitide di oggetti
animati o inanimati, in varie
condizioni di movimento o attività.
I suoni sono più bassi o più forti,
più acuti o più attutiti. Sentiamo
nuovi ritmi nell’aria. Nell’ambiente
prima silenzioso compaiono canti o
suoni meccanici.
La pelle è più o meno sensibile al
contatto. La nostra capacità di
gustare e odorare diventa più o
meno acuta.
Le nostre emozioni traboccano
impetuosamente oppure si placano.
Ansia o paura, piacere o
rilassamento, tutti gli stati d’animo
crescono e calano, sono intensi in
maniera schiacciante, oppure
assenti in modo frustrante. Agli
estremi si trovano il terrore e
l’estasi. Due stati d’animo opposti
possono coesistere nello stesso
momento. I conflitti emozionali
diventano più dolorosi, oppure
sopraggiunge una nuova
accettazione delle emozioni. Si ha
una nuova comprensione dei
sentimenti degli altri, oppure una
totale indifferenza nei loro
confronti.
I nostri processi mentali
accelerano o rallentano. I pensieri
stessi diventano più confusi o più
chiari. Notiamo l’assenza di pensieri
o è impossibile contenere il flusso
di nuove idee. Arrivano nuove
intuizioni sui problemi, oppure ci
troviamo intrappolati senza
speranza in una gabbia mentale. Il
significato delle cose assume
un’importanza maggiore delle cose
stesse. Il tempo collassa: due ore
passano in un attimo. Oppure il
tempo si espande: un minuto
contiene una serie infinita di
sensazioni e idee.
Il nostro corpo è caldo o freddo,
pesante o leggero; i nostri arti si
espandono o si restringono; ci
muoviamo verso l’alto o verso il
basso nello spazio. Sentiamo che il
corpo non esiste più, oppure che la
mente e il corpo sono separati.
Ci sentiamo più o meno in
controllo di noi stessi. Sentiamo
come gli altri influenzano la nostra
mente e il nostro corpo in modo
benefico o spaventoso. Il futuro è
nelle nostre mani, oppure il fato ha
determinato tutto e non c’è nulla da
fare.
Gli psichedelici influiscono su
ogni aspetto della nostra coscienza.
È questa coscienza straordinaria
che separa la nostra specie da tutte
le altre inferiori a noi e che ci dà
accesso a quello che consideriamo il
mondo divino sopra di noi. Forse c’è
un altro motivo per cui gli
psichedelici sono così spaventosi e
così fonte di ispirazione: incrinano
e distendono i pilastri
fondamentali, le caratteristiche
strutturali e intrinseche della nostra
identità umana.
Queste sono le droghe
psichedeliche. Esiste un contesto
ampio e complesso nel quale
esaminarle, una prospettiva che
pochi apprezzano. Non sono
sostanze nuove e sappiamo molto
sul loro conto. Hanno fatto il loro
ingresso nell’era moderna della
psichiatria biologica, e il loro abuso,
ampiamente divulgato dai media,
ha prematuramente fatto cessare gli
sforzi in direzione di una ricerca
sull’uomo straordinariamente
fertile.
È stato in questo calderone
ribollente di conflitti, ambivalenze e
controversie che ho cercato di
trovare un punto da cui partire e
una chiara visuale per delineare il
mio programma di ricerca. Dove
avrei potuto trovare un appiglio? In
che direzione avrei dovuto
guardare? Avevo bisogno di una
chiave con cui aprire la serratura
che teneva sepolta la ricerca
psichedelica.
Al di fuori di questa palude
virtuale emerse una piccola
molecola oscura: la DMT . Non potevo
ignorare il suo richiamo, sebbene
non avessi idea di come l’avrei
raggiunta. E non potevo nemmeno
immaginare dove mi avrebbe
condotto una volta trovata.

6. Per pubblicazioni di dati storici riguardo


all’importanza degli psichedelici presenti in
natura, si vedano Marlene Dobkin de Rios,
Hallucinogens: Cross-Cultural Perspectives
(University of New Mexico Press 1984); Peter
Furst, Flesh of the Gods: The Ritual Use of
Hallucinogens (Waveland 1990).
Per riflessioni più speculative su questi
argomenti si faccia riferimento a Ronald Siegel,
Intoxication: Life in Pursuit of Artificial
Paradise (EP Dutton 1989); Terence McKenna,
Il nutrimento degli dei (Urra 2001); Paul
Devereux, The Long Trip: A Prehistory of
Psychedelia (Penguin 1997).
L’opera di Wasson resta la più esaustiva
riguardo le funzioni spirituali delle sostanze
psichedeliche naturali. Si veda R. Gordon
Wasson, Carl A. P. Ruck e Stella Krammrisch,
La ricerca di Persefone: enteogeni e le origini
della religione, in E. Zolla (a cura di), Il dio
dell’ebbrezza. Antologia dei moderni Dionisiaci
(Einaudi 1998).
Per un dibattito più approfondito sulle specifiche
piante e il loro ruolo all’interno delle società
indigene, si veda Richard E. Schultes e Albert
Hofmann, Plants of the Gods (McGraw Hill
1979). Per la chimica di queste piante si veda
Richard E. Schultes e Albert Hofmann, Botanica
e chimica degli allucinogeni (Cesco Ciapanna
1983) e Jonathan Ott, Pharmacotheon (Natural
Products Co. 1993). Il racconto di Albert
Hofmann sulla scoperta dell’LSD non smette mai
di deliziare: LSD: il mio bambino difficile (Urra
1995).

7. I neurotrasmettitori consentono l’interazione


chimica tra le cellule nervose nel cervello. Una
cellula trasmittente rilascia un
neurotrasmettitore, che in seguito si allaccia
all’apposito sito recettore della cellula che lo
riceve. Questo punto di attracco del
trasmettitore al recettore dà inizio a una serie di
attività che terminano nel rilascio del
neurotrasmettitore della cellula ricevente, e il
processo continua su questa linea. Altri noti
neurotrasmettitori sono la norepinefrina
(noradrenalina), l’acetilcolina e la dopamina.

8. Per avere un’idea dell’enorme quantità di


informazioni accumulatesi in quegli anni, si
veda Abram Hoffer e Humphrey Osmond, The
Hallucinogens (Academic Press 1967). Quasi
quarant’anni dopo la sua pubblicazione, resta
eccezionalmente il miglior libro di testo
disponibile su queste droghe.

9. Per un eccellente resoconto delle basi


scientifiche della psicoterapia abbinata agli
psichedelici, vedi Walter N. Pahnke, Albert A.
Kurland, Sanford Unger, Charles Savage e
Stanislav Grof, The Experimental Use of
Psychedelic (LSD) Psychotherapy, in «Journal of
the American Medical Association», n. 212,
1970, pp. 1856-1863.

10. Aldous Huxley, Le porte della percezione.


Paradiso e inferno, Mondadori 1991.

11. Gli storici spesso mettono in contrasto


l’approccio a ruota libera e “per tutti” di Leary,
riguardo all’uso degli psichedelici, con l’opinione
di Huxley per cui il loro uso deve essere limitato
a una piccola cerchia di leader e artisti. Resta
comunque il fatto che senza l’approccio
relativamente senza regole di Leary (vedi
Timothy Leary, Flashbacks, JP Tarcher 1997) e
Ken Kesey (vedi Paul Perry, On the Bus,
Thunder’s Mouth Press 1997) sarebbe stato
improbabile per molti di noi entrare in contatto
con queste sostanze.

12. Rick J. Strassman, Adverse Reactions to


Psychedelic Drugs. A Review of the Literature,
in «Journal of Nervous and Mental Disease», n.
172, 1984, pp. 577-595.

13. Le successive rivelazioni del coinvolgimento


della CIA nella somministrazione di LSD e altri
psichedelici a ignari cittadini e a reclute
dell’esercito aggiunse vergogna e imbarazzo a
questa già penosa situazione. Per un resoconto
esaustivo di questo notevole capitolo sulle
operazioni di sicurezza nazionale interna
americana si veda: Martin A. Lee e Bruce
Shlain, Acid Dreams: The Complete Social
History of LSD, the CIA , the Sixties, and Beyond
(Grove Press 1986); e Jay Stevens, Storming
Heaven: LSD and the American Dream (Grove
Press 1998).

14. Stanley Schachter e Jerome E. Singer,


Cognitive, Social, and Physiological
Determinants of Emotional State, in
«Psychological Review», n. 69, 1962, pp. 379-
399.

15. Oltre a dare origine a tutti questi nomi, gli


psichedelici hanno ispirato un bel seguito. Non
conosco altre droghe, a eccezione forse della
marijuana, con così tante associazioni che si
occupano dell’informazione a riguardo e ne
sponsorizzano l’uso. Esistono parecchie
associazioni psichedeliche con migliaia di soci
sostenitori. Pubblicano riviste, newsletter,
giornali e siti web. Organizzano e sponsorizzano
conferenze, pubblicano e distribuiscono libri. Il
defunto dottor Freedman dell’UCLA , uno dei primi
ricercatori sull’LSD, e una forza propulsiva dietro
la mia ricerca, coniò il termine cultogeno,
riferendosi allo zelo con cui i sostenitori e i
nemici del loro uso si affrettarono a dare
semplici e unidirezionali descrizioni dei loro
effetti. I consumatori di oppiacei, cocaina e
solventi non si organizzano in modo così
efficiente. Che cosa c’è di così unico negli
psichedelici da fare in modo che provochino
reazioni così evangeliche?

16. Anche droghe di altre famiglie chimiche


possono essere psichedeliche, ma solo entro i
limiti di una quantità ridotta. Ad esempio, i
composti della famiglia della Belladonna, come
lo stramonio, provocano allucinazioni e processi
di pensiero alterati. Tuttavia, questi effetti si
hanno nel contesto di uno stato confusionale o
delirante, in presenza di pericolosi disturbi della
funzione cardiaca e di regolazione della
temperatura corporea. Spesso i ricordi sono
scarsi, e a seguito di averne assunta “un po’
troppa” può derivarne una grave tossicità,
inclusa la morte. D’altro canto, non vi sono casi
in cui le droghe psichedeliche siano state
direttamente letali.
Anche droghe come la ketamina (“K” o “special
K”) e la fenciclidina ( PCP o “polvere d’angelo”)

producono effetti psichedelici. Tuttavia, vengono


utilizzate in primo luogo come agenti anestetici
e in dosi maggiori causano incoscienza. Le
“classiche” droghe psichedeliche quali LSD o
mescalina non provocano anestesia generale.
Inoltre, la ketamina, il PCP e le droghe a base di
Belladonna dispiegano i loro effetti psicoattivi
attraverso un meccanismo farmacologico
diverso da quello di LSD, psilocibina e DMT. Per i
nostri scopi limiterò il mio discorso sugli
“psichedelici” a quelli con strutture e proprietà
farmacologiche simili. Per un resoconto di tutte
le sostanze con proprietà psichedeliche, vedi
Peter Stafford, Enciclopedia psichedelica (Cesco
Ciapanna Editore 1977).

17. I gruppi metili, formati da un atomo di


carbonio e tre di idrogeno, sono essi stessi
l’aggiunta più semplice possibile a una molecola
organica.

18. La 5-MEO-DMT è l’ingrediente attivo nella


secrezione della ghiandola del veleno del rospo
del deserto di Sonora, Bufo Alvarius. La droga
non si ottiene leccando questi rospi, come
riportato da fonti errate. Piuttosto, gli intrepidi
consumatori si procurano un rospo e, senza
causargli dolore, “spremono” il veleno su una
lastra di vetro. Lasciano andare il rospo, fanno
asciugare le secrezioni e le fumano in una pipa.
Vedi Wade Davis e Andrew T. Weil, Identity of a
New World Psychoactive Toad, in Ancient
Mesoamerican, 1988, pp. 51-59.
Capitolo 2
COSA È LA DMT

N,N dimetiltriptamina, o DMT , è la


straordinaria protagonista di questo
libro. Sebbene semplice dal punto di
vista chimico, questa molecola dello
“spirito” permette alla nostra
coscienza di accedere alle più
incredibili e sorprendenti visioni,
pensieri e stati d’animo. Dischiude
la porta a mondi che si trovano oltre
la nostra immaginazione.
La DMT è presente nel corpo di
ogni essere umano ed esiste
ovunque nel regno vegetale e
animale. Fa parte del corredo
genetico tipicamente umano e di
altri mammiferi, animali marini,
piante e piselli, rospi e rane, funghi
e muffe, cortecce, fiori e radici.
L’alchimista psichedelico
Alexander Shulgin dedica alla DMT
un intero capitolo del libro TIHKAL:
Tryptamines I Have Known and
Loved. Intitola questo capitolo in
modo appropriato, “La DMT è
ovunque”, e dichiara: «La DMT è [...]
in questo fiore qui, in quell’albero
lassù e nell’animale laggiù. In
pratica è pressochè ovunque scegli
di guardare». Infatti si farebbe
prima a indicare dove non è stata
trovata la DMT , anziché dove è
presente.19
La DMT si trova principalmente
nelle piante presenti in America
Latina, dove gli esseri umani ne
conoscono le straordinarie
proprietà da alcune decine di
migliaia di anni. Tuttavia, è solo
negli ultimi centocinquant’anni che
abbiamo ottenuto qualche indizio
dell’antico legame della DMT con la
nostra specie.
A partire dalla metà dell’800, gli
esploratori dell’Amazzonia, nello
specifico l’inglese Richard Spruce e
il tedesco Alexander von Humboldt,
descrissero gli effetti di insolite
polveri da fiuto psicoattive e delle
infusioni di piante preparate dalle
tribù indigene. Nel ventesimo
secolo, il botanico americano
Richard Schultes proseguì questa
ricerca, pericolosa quanto
appassionante. Particolarmente
impressionanti erano gli effetti e il
modo di somministrazione delle
polveri da fiuto allucinogene.
Le tribù indigene dell’America
Latina usano tutt’ora queste polveri
a cui hanno dato diversi nomi, tra
cui yopo, epena e jurema. Ne
assumono dosi enormi, a volte una
trentina di grammi o anche di più.
Una tecnica plateale di assumerle
consiste nell’avere un compagno
che soffi con forza la miscela di
polveri attraverso una cannuccia o
una pipa nel naso dell’altra persona.
L’energia del soffio può essere
sufficiente per far cadere a terra il
contenitore.
Spruce e von Humboldt
riportarono che i nativi erano
immediatamente frastornati da
queste polveri psichedeliche.
Tuttavia non si spinsero al punto di
provarle di persona. Gli bastò
guardare gli indigeni contorcersi,
vomitare e balbettare frasi senza
senso sotto l’effetto delle droghe.
Questi primi esploratori
ascoltarono racconti di visioni
fantastiche, “viaggi fuori dal corpo”,
previsioni del futuro, localizzazioni
di oggetti perduti, contatto con
antenati defunti e altre entità
disincarnate.
Un altro miscuglio di piante,
consumato in forma di bevanda,
sembrava produrre effetti simili, ma
a un ritmo più lento. A questa
infusione sono stati dati nomi
diversi, tra cui ayahuasca e yagé.
Questa bevanda ispirò molte delle
pitture rupestri – che oggi
prenderebbero il nome di arte
“psichedelica” – disegnate sulle
pareti delle dimore dei nativi.
Spruce e von Humboldt portarono
in Europa alcuni campioni di queste
piante psichedeliche del Nuovo
Mondo. Qui, queste piante
giacquero indisturbate per decenni,
poiché non vi era l’interesse né la
tecnologia per ulteriori analisi sui
loro effetti o sulla loro
composizione chimica.
Mentre le piante psichedeliche
erano abbandonate negli archivi dei
musei di storia naturale, il chimico
canadese R. Manske sintetizzò una
nuova droga, chiamata N,N-
dimetiltriptamina o DMT , in una
ricerca indipendente. Come
descrisse in un articolo scientifico
del 1931, Manske aveva prodotto
diversi composti attraverso
modifiche chimiche della
triptamina. Era interessato a queste
sostanze, tra cui la DMT , perché si
trovavano in una pianta tossica del
Nord America, il calicanto
d’estate.20
Come tutti sanno, Manske
produsse la DMT , ne osservò la
struttura e poi lasciò la sua scorta in
un angolo del laboratorio ad
accumulare lentamente polvere.
Fino ad allora, nessuno sapeva
dell’esistenza della DMT nelle piante
psicoattive, delle sue proprietà
psichedeliche o della sua presenza
nel corpo umano. Nei circoli
scientifici dell’epoca vi era scarso
interesse per gli psichedelici.
Nei primi anni ’50, le scoperte
dell’LSD e della serotonina diedero
uno scossone alle solide
fondamenta della psichiatria di
stampo freudiano e gettarono le
basi per il nuovo mondo delle
neuroscienze. Vi era un’accesa
curiosità sulle droghe psichedeliche
tra i crescenti circoli di scienziati
che si definivano
“psicofarmacologi”. I chimici
iniziarono ad analizzare cortecce,
foglie e semi di piante, descritte
come psichedeliche un centinaio di
anni prima, alla ricerca dei loro
componenti attivi. La famiglia delle
triptamine era un ambito logico sul
quale concentrarsi, dato che sia la
serotonina che l’LSD sono
triptamine.
Il successo non tardò ad arrivare.
Nel 1946, O. Gonçalves sintetizzò la
DMT da un albero sudamericano
usato per le polveri da fiuto
allucinogene e pubblicò le sue
scoperte in Spagna. Nel 1955, M.S.
Fish, N.M. Johnson e E.C. Horning
pubblicarono il primo saggio in
lingua inglese che descriveva la
presenza della DMT in un altro
albero strettamente legato alla
produzione di polveri da fiuto. Ad
ogni modo, sebbene sapessero che
la DMT era una componente delle
piante che producevano effetti
psichedelici, gli scienziati non
sapevano se la DMT stessa fosse
psicoattiva.21
Negli anni ’50, il chimico e
psichiatra ungherese Stephen Szára
lesse degli effetti altamente
psicoattivi di LSD e mescalina.
Ordinò allora dell’LSD ai Laboratori
Sandoz per poter iniziare i suoi
studi sulla chimica della coscienza.
Poiché Szára si trovava al di là della
Cortina di Ferro, la casa
farmaceutica svizzera non voleva
rischiare che il suo potente LSD
finisse nelle mani dei comunisti,
così respinse la sua richiesta. Lui,
imperterrito, consultò i recenti
saggi che descrivevano la presenza
di DMT nelle polveri da fiuto
allucinogene dell’Amazzonia. Nel
1955, sintetizzò quindi un po’ di DMT
nel suo laboratorio di Budapest.
Szára ingerì dosi sempre maggiori
di DMT , ma non sentì nulla. Provò ad
assumerne un intero grammo, che
costituiva una dose centinaia di
migliaia di volte maggiore rispetto a
una dose attiva di LSD. Cercò di
scoprire se qualcosa nel suo sistema
gastrointestinale stesse impedendo
l’azione della DMT assunta per via
orale. Forse occorreva iniettarla. La
sua intuizione anticipò la successiva
scoperta dell’esistenza di un
meccanismo nello stomaco che
distrugge la DMT assunta per via
orale non appena viene ingerita,
meccanismo che, migliaia di anni
fa, i i nativi sudamericani trovarono
il modo di bypassare.
Nello spirito del “chi va per
primo”, nel 1956 Szára si fece
un’iniezione intramuscolare (IM) di
DMT . In questo caso, utilizzò circa
metà di quella che ora sappiamo
essere una dose “completa”: «Nel
giro di tre o quattro minuti
cominciai ad avere percezioni visive
che erano molto simili a quello che
avevo letto nelle descrizioni di
Hofmann [sull’LSD] e Huxley [sulla
mescalina] ... Ero molto, molto
eccitato. Era ovvio che il segreto era
questo».22
Dopo aver raddoppiato la dose,
ebbe a dire: «Comparvero dei
sintomi [fisici], come una
sensazione di formicolio, tremore,
una leggera nausea, [dilatazione
delle pupille], innalzamento della
pressione sanguigna e aumento del
battito cardiaco.
Contemporaneamente si
manifestarono fenomeni eidetici
[immagini residue o “tracce” di
oggetti percepiti visivamente],
illusioni ottiche, pseudo-
allucinazioni, e poi allucinazioni
vere e proprie. Queste ultime
consistevano in motivi orientali
colorati in modo vivace e in
movimento, e in seguito vidi delle
scene meravigliose cambiare
rapidissimamente. I volti delle
persone sembravano maschere. Il
mio stato emotivo si spingeva a
volte fino all’euforia. La mia
coscienza era completamente
riempita dalle allucinazioni e la mia
attenzione era saldamente legata a
esse; pertanto non riuscivo a fare
un resoconto di ciò che stava
accadendo attorno a me. Dai
quarantacinque minuti a un’ora
dopo, i sintomi scomparvero e
riuscii a descrivere ciò che era
successo».23
Szára ingaggiò rapidamente trenta
volontari, per lo più giovani colleghi
medici ungheresi. Tutti ricevettero
dosi complete di DMT .24
Un medico uomo riportò: «Il
mondo intero è splendido... L’intera
stanza è permeata di spiriti. Mi fa
impazzire... Ora è troppo!... Mi
sento esattamente come se stessi
volando... Ho la sensazione che
questo sia al di sopra di ogni cosa, al
di sopra della terra. È rassicurante
sapere che sono ritornato di nuovo
sulla terra... Tutto ha una tinta
spirituale, ma è così reale... Sento di
essere atterrato...»
Un medico donna dichiarò:
«Come è semplice tutto... Di fronte
a me si trovano due divinità, calme
e illuminate dal sole... credo che mi
stiano dando il benvenuto in questo
nuovo mondo. C’è un silenzio
profondo, come nel deserto... Sono
finalmente a casa... Che gioco
pericoloso: sarebbe così facile non
ritornare. Sono a malapena
consapevole di essere un medico,
ma questo non è importante; i
legami familiari, gli studi, i progetti
e i ricordi sono molto distanti da
me. Solo quest’altro mondo è
importante; sono libera e
completamente sola».
Il mondo occidentale aveva
scoperto la DMT , e la DMT era entrata
nella sua coscienza.
Nonostante gli sporadici bad trip
tra i suoi volontari, a Szára piaceva
la breve durata della DMT . Era
relativamente facile da usare,
completamente psichedelica, e gli
esperimenti potevano essere
condotti in poche ore. Dopo essere
fuggito dall’Ungheria con la sua
fornitura di DMT nei tardi anni ’50,
incontrò un collega berlinese che lo
reclutò per uno studio sull’LSD.
Finalmente Szára poté provare
questo leggendario psichedelico.
Trovò interessanti i suoi effetti, ma
la durata di dodici ore era un tempo
troppo lungo per i suoi gusti.
Dopo essere emigrato negli Stati
Uniti, l’interesse primario della
ricerca di Szára continuò a essere la
DMT . Gli fu molto utile nel suo
nuovo impiego al National Institute
of Health di Bethesda, nel
Maryland, dove lavorò per più di
trent’anni. Qui fu direttore per
molti anni della Ricerca Preclinica
al National Institute on Drug Abuse
prima di andare in pensione nel
1991.
Altri gruppi convalidarono e
ampliarono la scoperta di Szára che
la DMT deve venire iniettata per
avere effetto. Tuttavia è incredibile
quante poche informazioni
dettagliate diedero i ricercatori, a
parte Szára, riguardo alle sue
proprietà psicologiche.
Ad esempio, dopo che Szára lasciò
l’Ungheria, il suo vecchio
laboratorio riportò solo che la DMT
causava nei volontari sani «uno
stato [psicotico] [...] dominato da
allucinazioni colorate, perdita della
realtà spazio-temporale, euforia,
alcune esperienze deliranti, e
talvolta contrassegnato da ansia e
adombramento della coscienza».25
Uno dei centri americani più attivi
nel campo della ricerca psichedelica
sull’uomo era il Public Health
Service Hospital di Lexington, nel
Kentucky. Qui, gli uomini che
stavano scontando pene detentive
per la violazione delle leggi sulla
droga ricevettero diverse sostanze
psicoattive nella speranza che la
loro partecipazione alla ricerca gli
permettesse di ricevere un
trattamento più favorevole in
prigione. Tuttavia, abbiamo letto
degli effetti della DMT in questi
studi, secondo cui «a livello
mentale consistevano in ansia,
allucinazioni (di solito visive) e
distorsioni percettive».26
Ancora meno rivelatori furono gli
studi presso l’US National Institute
of Mental Health. Qui, un gruppo di
soggetti della ricerca con esperienza
nell’uso degli psichedelici aveva il
solo compito di fornire un numero
che indicasse quanto “su di giri”
andassero con una dose completa di
DMT . Gli autori commentano,
tuttavia, che la maggior parte di
questi volontari esperti «andò su di
giri più di quanto gli fosse mai
capitato».27
La “sottocultura psichedelica” ha
scoperto la DMT subito dopo la
comunità di ricerca, ma i primi
resoconti dei suoi effetti le fecero
guadagnare il titolo di “droga del
terrore”. William Burroughs, autore
de Il pasto nudo, fu uno dei primi a
sperimentare sul campo la DMT . Gli
incontri di Burroughs e dei suoi
colleghi britannici con essa furono
sgradevoli. Leary riferisce il
racconto di Burroughs a proposito
di uno psichiatra e del suo amico
che si iniettarono insieme la DMT in
un appartamento di Londra.
L’amico iniziò ad andare nel panico
e agli occhi dello psichiatra
sembrava che si stesse
trasformando in un «rettile
strisciante che si contorceva». «Il
dilemma del dottore era: dove
andava fatta un’iniezione
endovenosa [di un antidoto] a un
serpente marziano dai tratti
orientali che si contorceva?»28
Questo è un ottimo esempio
dell’impatto di un set e di un setting
negativi: due persone sotto l’effetto
di una dose di DMT iniettata, in uno
squallido appartamento, uno
responsabile dell’altro. Davvero una
“droga del terrore”.
Fu arduo per la DMT scrollarsi di
dosso la sua terribile reputazione,
anche dopo che Leary fece una
descrizione positiva dei suoi effetti.
La DMT conobbe un po’ di popolarità
tra coloro che ne apprezzavano la
breve durata. Alcuni individui
coraggiosi pensarono fosse
possibile assumere la DMT durante il
pranzo e così ottenne l’ambiguo
epiteto di “trip dell’uomo
d’affari”.29
Nonostante la costante
produzione di articoli sulla DMT da
parte di Szára e di altri studiosi,
essa restò per lo più una curiosità
farmacologica: intensa, di breve
durata, presente nelle piante. L’LSD
aveva decisamente avuto la meglio
sulla DMT , producendo
un’impressione significativa sulla
comunità di ricerca psichiatrica. Ad
ogni modo, tutto cambiò quando i
ricercatori scoprirono la DMT nel
cervello di topi e ratti, e le vie
nervose tramite cui il loro corpo
produceva questo potente
psichedelico.
La DMT esisteva anche nel corpo
umano? Sembrava probabile,
perchè gli scienziati avevano
scoperto alcuni enzimi di cui è
composta la DMT in campioni di
tessuto polmonare umano, mentre
stavano effettuando la ricerca di
quegli stessi enzimi in altri animali.
La sfida era iniziata. Nel 1965 un
gruppo di ricercatori tedeschi
pubblicò un saggio sulla più
importante rivista scientifica
britannica, Nature, annunciando di
aver isolato la DMT dal sangue
umano. Nel 1972, lo scienziato
vincitore del premio Nobel Julius
Axelrod, dell’US National Insitutes
of Health, riportò di averla trovata
nel tessuto cerebrale umano.
Ulteriori ricerche dimostrarono che
la DMT poteva trovarsi anche
nell’urina umana e nel liquido
cerebrospinale che bagna il cervello.
Non ci volle molto prima che gli
scienziati scoprissero le vie nervose,
simili a quelle degli animali meno
evoluti, attraverso cui il corpo
umano produceva la DMT . La DMT
divenne allora il primo psichedelico
endogeno umano.30
Endogeno significa che un
composto viene prodotto all’interno
del corpo: endo, “dentro”, e geno,
“generato” o “formato”. Pertanto la
DMT endogena è DMT prodotta
all’interno del corpo. Ci sono altri
composti endogeni con i quali, nel
corso degli anni, siamo diventati
familiari. Ad esempio, composti
endogeni simili alla morfina sono le
endorfine.
Tuttavia, la scoperta della DMT nel
corpo umano suscitò meno scalpore
di quanto fece quella relativa alle
endorfine. Come vedremo più
avanti nel corso di questo capitolo,
il sentimento anti-droghe-
psichedeliche, dilagante all’epoca
negli Stati Uniti, spinse i ricercatori
a rivoltarsi contro gli studi sulla DMT
endogena. Gli scopritori delle
endorfine, al contrario, vinsero
premi Nobel.
A quel punto, si sollevò
spontaneamente la domanda
cruciale: «Che cosa fa la DMT nel
nostro corpo?»
La risposta della psichiatria fu:
«Forse provoca malattie mentali».
Questa risposta era ragionevole,
se consideriamo il mandato della
psichiatria a comprendere e trattare
le gravi psicopatologie. Ad ogni
modo, era insufficiente rispetto a
tutte le altre possibili risposte
meritevoli dal punto di vista
scientifico. Limitandosi a indagare
il ruolo della DMT nelle psicosi, gli
scienziati persero un’opportunità
unica di addentrarsi più in
profondità nei misteri della
coscienza.
Gli scienziati credevano che l’LSD e
altri “psicotomimetici”
provocassero un “modello di
psicosi” di breve durata nei
volontari sani. Pensavano che,
trovando uno “psicotomimetico
endogeno”, la causa e la cura
potenziale delle gravi malattie
mentali sarebbero state a portata di
mano. La DMT , in qualità di primo
psicotomimetico endogeno
conosciuto, suggerì che la ricerca
potesse essere giunta al termine. Ad
esempio, si poteva somministrare
DMT a dei volontari sani per
provocare una psicosi, ed
eventualmente sviluppare nuovi
farmaci per bloccarne gli effetti. In
seguito, i pazienti psichiatrici
avrebbero ricevuto questa “anti-
DMT ”. Se un’eccessiva quantità di
DMT prodotta naturalmente stava
causando le psicosi dei pazienti,
questa anti-DMT avrebbe avuto degli
effetti antipsicotici.
Queste indagini sulla DMT stavano
giusto venendo aggiornate quando,
nel 1970, il Congresso approvò una
legge che ne limitava strettamente
l’uso legale, così come quello di altri
psichedelici. Divenne quasi
impossibile condurre una qualsiasi
nuova ricerca sull’uomo con la DMT .
Subito dopo, nel 1976, un articolo
pubblicato da alcuni scienziati del
US National Institute of Mental
Health (NIMH) suonò le campane a
morto per gli studi sull’uomo con la
DMT . Gli autori erano ricercatori di
alto livello, molti dei quali avevano
somministrato la DMT a esseri
umani. Avevano giustamente
concluso che le prove che
mettevano in relazione la DMT con la
schizofrenia erano intricate e
improbabili. Tuttavia, anziché
proporre una ricerca più attenta e
approfondita nelle aree in cui c’era
disaccordo, gli autori concludevano
così: «Come ogni teoria scientifica
che si rispetti, il modello della DMT
sulla schizofrenia in definitiva
sopravviverà o morirà per mano dei
dati che genera a livello euristico. Ci
auguriamo che, nell’immediato
futuro, dati ulteriori diano a questa
teoria nuove possibilità o una morte
onorevole».31
Questa “morte onorevole” giunse
ben presto. Entro un anno o due,
comparve l’ultimo articolo sulla
ricerca umana con la DMT . Pochi
scienziati versarono lacrime per la
sua scomparsa.
La DMT era forse stata sepolta viva
da coloro le cui carriere e
reputazioni erano messe a
repentaglio da una così controversa
area di ricerca? Il campo della
psicosi da DMT non era diverso da
qualunque altro tentativo della
psichiatria biologica di indagare
sulle complesse e incerte relazioni
tra mente e cervello. Il suo
abbandono sembra essere stato
motivato tanto da fattori politici
quanto da argomentazioni
scientifiche.
In generale, c’erano due tipi di
studi che indagavano la teoria della
psicosi da DMT . In uno si
comparavano i livelli di DMT nel
sangue di pazienti malati e di
volontari sani. Nell’altro progetto di
studio si mettevano a confronto gli
effetti soggettivi delle droghe
psichedeliche con quelli di stati
psicotici spontanei. Il gruppo del
NIMH, che svalutò la teoria di una
relazione tra psicosi e DMT , portando
alla scomparsa della ricerca umana
con la DMT , criticò entrambi gli
approcci. Puntarono sulla mancanza
di consistenti differenze tra i livelli
di DMT nel sangue dei volontari e dei
pazienti psicotici; respinsero anche
l’affermazione secondo cui gli
effetti della DMT e i sintomi della
schizofrenia dimostravano una
somiglianza sufficiente a
giustificare ulteriori ricerche.
Per prima cosa, ragioniamo sui
dati dei livelli ematici.
Sostanzialmente, tutti gli studi sulla
DMT misuravano la concentrazione
nel sangue prelevato dalle vene
dell’avambraccio. Tuttavia, sembra
irragionevole supporre che questi
livelli riflettano fedelmente la
funzione della DMT in diverse aree
cerebrali incredibilmente piccole e
altamente specializzate. Trovare
uno stretto legame tra i livelli
ematici e gli effetti cerebrali
sarebbe ancora meno probabile se
la DMT si originasse in primo luogo
nel cervello.
Questa difficoltà è riconosciuta da
tutti gli scienziati, persino per
quelle note sostanze chimiche
prodotte dal cervello come la
serotonina. Numerosi studi non
sono riusciti a mettere in relazione
in maniera convincente i livelli di
serotonina nel sangue prelevato
dall’avambraccio con le diagnosi
psichiatriche che presentavano
presunte anomalie della serotonina
nel cervello. Inoltre, era
improbabile, utilizzando i livelli di
DMT nel sangue, poter trarre una
qualsiasi effettiva conclusione sulle
differenze tra gli individui normali e
quelli affetti da psicosi. Pertanto, se
i ricercatori in campo psichiatrico
richiedono dati di questo tipo per
tutte le sostanze chimiche prodotte
dal cervello, dove sta l’appello a
seppellire la serotonina?
Nel caso del paragone tra
schizofrenia e intossicazione da
DMT , la faccenda diventa ancora più
oscura. La schizofrenia è una
sindrome particolarmente
complessa. Ci sono diverse forme:
“paranoide”, “disorganizzata” e
“indifferenziata”. Ci sono molti
stadi, tra cui “iniziale”, “acuto”,
“finale” e “cronico”. Ci sono persino
i sintomi “prodromici”, che esistono
prima che la malattia diventi
abbastanza grave da venir
diagnosticata. Inoltre, i sintomi
della schizofrenia si sviluppano nel
corso di mesi e anni, e gli individui
cambiano il loro comportamento
per gestire le loro insolite
esperienze. Questi adattamenti
creano a loro volta nuovi sintomi e
comportamenti.
Non è ragionevole aspettarsi che
una singola droga, somministrata
una sola volta a una persona sana,
simuli la schizofrenia. Oggi nessuno
afferma che ciò sia possibile. Anzi,
anche allora era opinione generale
che l’intossicazione dovuta ad
assunzione di droghe psichedeliche
e la schizofrenia si sovrapponessero
in maniera significativa.
Allucinazioni e altre distorsioni
sensoriali, processi mentali alterati
e repentini sbalzi d’umore, disturbi
nella percezione della propria
identità fisica e personale: tutto ciò
si può manifestare in alcuni casi di
schizofrenia e di stati psichedelici.
In psichiatria ci sono sempre
somiglianze e differenze tra i
disturbi che cerchiamo di
comprendere e i modelli che
utilizziamo per studiarli. Siamo
sempre alla ricerca di modelli
migliori, ma usiamo quelli che
abbiamo ricordandoci dei loro
limiti. Il rifiuto del gruppo del NIMH
degli effetti della DMT nel produrre
un “valido” stato psicotico non era
in linea con la teoria, la pratica e i
dati accettati dalla ricerca
psichiatrica.32
Se la base scientifica per
interrompere la ricerca sull’uomo
con la DMT era così misera, perché
allora venne interrotta? Qual era il
significato dietro la retorica di “vita
e morte”, “possibilità” e “morte
onorevole”? I dati richiedevano
spiegazioni ulteriori. Invece, questi
scienziati federali si allontanarono
da un campo di ricerca
estremamente promettente e
incoraggiarono altri a fare lo stesso.
La DMT si trovava nel posto
sbagliato al momento sbagliato.
Una ricerca razionale sulle sue
funzioni fu messa da parte dal
furore anti-psichedelico che
accompagnava l’uso indiscriminato
e l’abuso di queste droghe. La
mossa di limitare l’accesso alle
droghe psichedeliche, per
rispondere alle paure diffuse per la
salute pubblica, si ripercosse sulla
ricerca sulla DMT , così come era
accaduto per la ricerca sull’LSD e
sugli altri psichedelici. Gli interessi
politici avevano sopraffatto i
principi scientifici.33
Bloccati nelle sabbie mobili dei
tentativi di dimostrare il suo ruolo
nella schizofrenia, e travolti
dall’ondata dei sentimenti anti-
psichedelici, nessuno di coloro che
stava studiando la DMT osò
continuare a porsi la domanda più
ovvia e incalzante, che la ricerca
sull’uomo non era finora riuscita ad
affrontare. Era un enigma che non
potevo ignorare: «Cosa fa la DMT nel
nostro corpo?»
La DMT è la più semplice delle
triptamine psichedeliche. A
paragone di altre molecole, la DMT è
piuttosto piccola. Il suo peso è di
188 “unità molecolari”, il che
significa che non è molto più grossa
del glucosio, lo zucchero più
semplice presente nel nostro corpo,
che ne pesa 180, ed è solo dieci
volte più pesante di una molecola
d’acqua, che ne pesa 18. In
confronto, consideriamo il peso
dell’LSD, di 323, o quello della
mescalina, di 211.34
La DMT è strettamente legata alla
serotonina, il neurotrasmettitore
che gli psichedelici influenzano in
modo così ampio. La farmacologia
della DMT è simile a quelli di altri
noti psichedelici: influisce sui siti
recettori della serotonina quasi allo
stesso modo dell’LSD, della
psilocibina e della mescalina. I
recettori della serotonina sono
diffusi attraverso il corpo e si
possono trovare nei vasi sanguigni,
nei muscoli, nelle ghiandole e nella
pelle.
Tuttavia, è il cervello il luogo in
cui la DMT dispiega i suoi effetti più
interessanti. Qui, alcuni siti pieni di
recettori della serotonina sensibili
alla DMT sono coinvolti nei processi
dell’umore, delle percezioni e del
pensiero. Sebbene il cervello neghi
l’accesso alla maggior parte delle
droghe e delle sostanze chimiche,
sembra avere una particolare
passione per la DMT . Non si esagera
quando si dice che il cervello “ne ha
un gran desiderio”.
Il cervello è un organo
estremamente sensibile, in
particolare alle tossine e agli
squilibri metabolici. Una barriera
quasi impenetrabile, la barriera
ematoencefalica, impedisce agli
agenti indesiderati di lasciare il
sangue e attraversare le pareti
capillari all’interno del tessuto
cerebrale. Questa barriera si
estende persino per tenere lontani i
carboidrati complessi e i grassi, che
altri tessuti utilizzano per produrre
energia. Il cervello, invece, brucia
solo le forme più pure di
carburante: zuccheri semplici o
glucosio.
In ogni caso, alcune molecole
essenziali sono “trasportate
attivamente” attraverso la barriera
ematoencefalica. Piccole molecole
specializzate nel trasporto le
traghettano all’interno del cervello;
si tratta di un processo che richiede
una consistente quantità di energia.
Nella maggior parte dei casi, è ovvio
il motivo per cui il cervello
trasporta attivamente particolari
composti nel suo sacro territorio;
gli aminoacidi necessari al
mantenimento delle proteine nel
cervello, ad esempio, sono
ammessi.
Venticinque anni fa, alcuni
scienziati giapponesi scoprirono che
il cervello trasporta attivamente la
DMT , attraverso la barriera
ematoencefalica, all’interno dei suoi
tessuti. Non conosco altre droghe
psichedeliche che il cervello tratti
con tale fervore. Questo è un dato
impressionante che dovremmo
tenere a mente quando ricordiamo
quanto facilmente gli psichiatri
biologici respinsero l’idea secondo
cui la DMT ha un ruolo cruciale nella
nostra vita. Se la DMT fosse solo un
irrilevante e insignificante
sottoprodotto del nostro
metabolismo, perché mai il cervello
si darebbe così da fare per portarla
al proprio interno?35
Una volta che il corpo produce o
introduce la DMT , alcuni enzimi la
degradano nel giro di pochi secondi.
Questi enzimi, chiamati
monoammino ossidasi (MAO), si
trovano in alte concentrazioni
all’interno di sangue, fegato,
stomaco, cervello e intestino. La
presenza diffusa delle MAO è il
motivo per il quale gli effetti della
DMT sono di così breve durata. Ogni
volta e in qualsiasi parte sia
presente, il corpo si assicura che
venga consumata rapidamente.36
In un certo senso, la DMT è “cibo
per il cervello”, ricevendo un
trattamento simile a quello del
glucosio, la sua preziosa fonte di
energia. Fa parte di un sistema di
“alto turnover”: la sostanza entra
velocemente e altrettanto
velocemente viene utilizzata. Il
cervello trasporta attivamente la
DMT attraverso il proprio sistema di
difesa e altrettanto rapidamente la
degrada. È come se la DMT fosse
necessaria al mantenimento delle
ordinarie funzioni cerebrali. Solo
quando i livelli diventano troppo
alti per le “normali” funzioni,
iniziamo a vivere delle esperienze
singolari.
Ora che abbiamo fatto un
riassunto della storia e della scienza
che si celano dietro la DMT ,
ritorniamo alla domanda più
impellente, quella a cui nessuno ha
adeguatamente risposto: «Cosa fa la
DMT nel nostro corpo?» E in
maniera più specifica, chiediamoci:
«Perché la produciamo nel nostro
corpo?»
La mia risposta è: «Perché è la
molecola dello spirito».
Cosa è, dunque, una molecola
dello spirito? Cosa deve fare e come
potrebbe farlo? Perché la DMT è il
principale candidato?
L’artista visionario Alex Grey ha
dato una brillante interpretazione
artistica della molecola DMT . La sua
arte mi ha aiutato a pensare a
queste domande in modo più
chiaro. Vediamola ora più
attentamente e consideriamo come
essa rifletta le proprietà necessarie
di una sostanza chimica di questo
tipo.
Una molecola dello spirito deve
generare, con un certo grado di
attendibilità, determinati stati
psicologici che consideriamo
“spirituali”: stati d’animo di
immensa gioia ed eternità, e la
certezza che ciò che stiamo
sperimentando sia “più reale della
realtà”. Una sostanza di questo tipo
ci potrebbe condurre
all’accettazione della coesistenza
degli opposti, come la vita e la
morte, il bene e il male; alla
consapevolezza che la coscienza
continua dopo la morte; a una
profonda comprensione dell’unità
di fondo di tutti i fenomeni; a una
sensazione di saggezza e amore che
pervade tutta l’esistenza.
Una molecola dello spirito ci
conduce inoltre verso i reami
spirituali. Di solito questi mondi
sono invisibili a noi e ai nostri
strumenti, e non sono accessibili
nel nostro normale stato di
coscienza. Tuttavia, la teoria
secondo cui questi mondi esistono
“solo nella nostra mente” è tanto
probabile quanto quella secondo cui
in realtà essi esistono di per sé
“fuori” di noi. Se semplicemente
cambiassimo la capacità ricevente
del nostro cervello, potremmo
comprenderli e interagire con essi.
Oltre a ciò, ricordiamoci che una
molecola dello spirito non è
spirituale in sé e per sé. Essa è uno
strumento o un veicolo. Si pensi a
essa come a un rimorchiatore, a una
carrozza, a un esploratore a cavallo,
qualcosa a cui possiamo agganciare
la nostra coscienza. Ci attira
all’interno di mondi che solo lei
conosce. Occorre tenersi forti, e
dobbiamo essere preparati, poiché i
reami spirituali contengono sia il
paradiso che l’inferno, sia la
fantasia che l’incubo. Sebbene il
ruolo della molecola dello spirito
possa sembrare “angelico”, non c’è
garanzia che non possa condurci
verso il demoniaco.
Perché la DMT è un candidato così
attraente per essere la molecola
dello spirito?
I suoi effetti sono
straordinariamente e
completamente psichedelici.
Abbiamo letto alcuni dei primi
resoconti riguardo a queste
proprietà fatti da individui – che
non erano stati preparati e non si
aspettavano nulla – che
parteciparono ai primi studi clinici
negli anni ’50 e ’60. Leggeremo
ancora molto di più su quanto
realmente incredibili siano gli
effetti della DMT sull’alterazione
delle percezioni nei nostri volontari
molto esperti e ben preparati.
Altrettanto importante è il fatto
che la DMT esiste nel nostro corpo.
La produciamo in modo naturale. Il
nostro cervello la rintraccia, la
introduce e prontamente la
digerisce. In quanto psichedelico
endogeno, la DMT può essere
coinvolta in stati psichedelici che si
verificano spontaneamente e che
non hanno nulla a che fare con
l’assunzione di droghe, ma le cui
somiglianze con gli effetti prodotti
da queste ultime sono sorprendenti.
Sebbene questi stati possono
certamente includere le psicosi,
dobbiamo considerare nel nostro
discorso anche altre condizioni al di
fuori del campo delle malattie
mentali. Forse grazie alle ali della
DMT endogena possiamo
sperimentare altri stati mentali, in
grado di cambiare la vita, associati a
nascita, morte, pre-morte,
esperienze di contatto con entità e
alieni, e consapevolezza
mistica/spirituale. Li analizzeremo
molto più dettagliatamente in
seguito.
In questo capitolo abbiamo
imparato il “cosa” sulla DMT . Adesso
dobbiamo spostare la nostra
attenzione al “come” e al “dove”.
Abbiamo fatto un lavoro
preparatorio a seguito del quale
possiamo ora introdurre la
misteriosa ghiandola pineale. Nel
suo ruolo di potenziale “ghiandola
dello spirito”, o produttrice di DMT
endogena, essa sarà l’argomento dei
prossimi due capitoli. Inizieremo
anche ad analizzare le circostanze
nelle quali il nostro corpo può
produrre quantità psichedeliche di
DMT .

19. Alexander Shulgin e Ann Shulgin, TIHKAL,

Transform Press 1997, pp. 247-284.

20. R.H.F. Manske, A Synthesis of the Methyl-


Tryptamines and Some Derivatives, in
«Canadian Journal of Research», n. 5, 1931, pp.
592-600.

21. O. Gonçalves de Lima, Observaçoes Sôbre o


Vihno da Jurema Utilazado Pelos Indios
Pancarú de Tacaratú (Pernambuco), in
«Arquiv. Inst. Pesquisas Agron.», n. 4, 1946, pp.
45-80; M.S. Fish, N.M. Johnson e E.C. Horning,
Piptadenia Alkaloids. Indole Bases of P.
Peregrina (L.) Benth. and Related Species, in
«Journal of the American Chemical Society», n.
77, 1955, pp. 5892-5895.
22. Stephen Szára, The Social Chemistry of
Discovery: The DMT Story, in «Social
Pharmacology», n. 3, 1989, pp. 237-248.

23. Stephen Szára, The Comparison of the


Psychotic Effects of Tryptamine Derivatives
with the Effects of Mescaline and LSD-25 in Self-
Experiments, in «Psychotropic Drugs», a cura di
W. Garattini e V. Ghetti, Elsevier 1957, pp. 460-
467.

24. A. Sai-Halasz, G. Brunecker e S. Szára,


Dimethyltryptamin: Ein Neues Psychoticum, in
«Psychiat. Neurol.», n. 135, 1958, pp. 285-301.

25. A. Sai-Halasz, The Effect of Antiserotonin on


the Experimental Psychosis Induced by
Dimethyltryptamine, in «Experientia», n. 18,
1962, pp. 137-138.

26. D.E. Rosenberg, Harris Isbell e E.J. Miner,


Comparison of Placebo, N-Dimethyltryptamine,
and 6-Hydroxy-N -Dimethyltryptamine in Man,
in «Psychopharmacology», n. 4, 1963, pp. 39-
42.

27. Jonathan Kaplan, Lewis R. Mandel, Richard


Stillman, Robert W. Walker, W.J.A.
Vandenheuvel, J. Christian Gillin e Richard Jed
Wyatt, Blood and Urine Levels of N ,N -
Dimethyltryptamine Following Administration
of Psychoactive Dosages to Human Subjects, in
«Psychopharmacology», n. 38, 1974, pp. 239-
245.

28. Timothy Leary, Programmed


Communication During Experiences with DMT,
in «Psychedelic Review», n. 8, 1966, pp. 83-95.

29. Questi dubbi sugli effetti della DMT fecero in


modo che la droga restasse relativamente
nell’ombra finché Terence McKenna, durante la
metà degli anni ’80, non iniziò a prodigarsi
pubblicamente nell’elogiarla. Più di ogni altro,
McKenna innalzò la coscienza della DMT al suo
attuale livello senza precedenti attraverso
conferenze, libri, interviste e registrazioni.

30. Per un completo resoconto che riassume i


dati sulla DMT endogena vedi Steven A. Barker,
John A. Monti e Samuel T. Christian, N ,N -
Dimethyltryptamine: An Endogenous
Hallucinogen, in International Review of
Neurobiology», n. 22, 1981, pp. 83-110.

31. J. Christian Gillin, Jonathan Kaplan,


Richard Stillman e Richard Jed Wyatt, The
Psychedelic Model of Schizophrenia: The Case
of N ,N -Dimethyltryptamine, in «American
Journal of Psychiatry», n. 133, 1976, pp. 203-
208.

32. Nonostante le riserve sulla teoria che


associava la DMT alla schizofrenia, vale la pena
notare che nei venticinque anni successivi al suo
abbandono da parte degli scienziati non ci sono
stati candidati altrettanto qualificati per ricoprire
questo ruolo.

33. In questo contesto, è avvincente studiare il


modo in cui i venti dell’opinione pubblica e di
quella politica modellano il programma
scientifico della comunità dei ricercatori. Oggi ci
sono diversi finanziamenti e pubblicazioni sul
“modello della ketamina” nei casi di
schizofrenia. Come discusso in precedenza, la
ketamina è un farmaco anestetico, basse dosi del
quale producono effetti psichedelici. Come nel
caso delle “classiche” droghe psichedeliche, esiste
una sovrapposizione tra gli effetti della ketamina
e i sintomi della schizofrenia. In ogni caso, le
differenze e le somiglianze tra la schizofrenia e
la ketamina sono probabilmente tante quante
quelle che sussistono tra la schizofrenia e i
comuni psichedelici.
Ci sono almeno due ragioni che spiegano
l’attuale progresso, relativamente senza ostacoli,
degli studi nel campo della ketamina. Oggi
esistono molte più scale di valutazione, in grado
di fare paragoni statistici tra gli stati indotti dalla
droga e quelli schizofrenici, che forniscono un
supporto matematico più oggettivo per
individuare le somiglianze tra la schizofrenia e
l’intossicazione da ketamina. Questo approccio,
tuttavia, può tendere a mascherare le reali
differenze cliniche tra le due condizioni. Furono
queste differenze reali che fecero sì che i primi
ricercatori rigettassero l’utilità di un confronto
tra gli effetti della comune droga psichedelica
con i sintomi della schizofrenia.
Un’altra e probabilmente più significativa
differenza è che la ketamina è una droga
“legale”. Ci sono poche restrizioni che ne
limitano l’uso nella ricerca umana. Nonostante
ciò, il recente aumento della popolarità dell’uso
ricreazionale della ketamina sta rafforzando il
monitoraggio e i controlli nei suoi confronti.
Inoltre, le preoccupazioni sul peggioramento dei
sintomi della schizofrenia con la ketamina, e la
natura del consenso informato per questi studi,
stanno facendo crescere le inquietudini sulla
ricerca psichedelica sulla ketamina, in maniera
simile a come era avvenuto nei precedenti studi
psichedelici.

34. Produrre la DMT “da zero” in laboratorio non


è difficile. Un chimico abbastanza esperto può
produrla nel giro di alcuni giorni, con poco
sforzo. La difficoltà nel farla non consiste nel
meccanismo di produzione, ma nel procurarsi
gli ingredienti necessari, o precursori. Gli enti
federali antidroga controllano le forniture di
questi precursori in modo molto severo, e
occorre un permesso per acquistare qualsiasi
cosa che possa essere trasformata in una droga
psichedelica conosciuta.

35. Toshihiro Takahashi, Kazuhiro Takahashi,


Tatsuo Ido, Kazuhiko Y anai, Ren Iwata, Kiichi
Ishiwata e Shigeo Nozoe, 11 C -Labelling of
Indolealkylamine Alkaloids and the
Comparative Study of Their Tissue
Distributions, in «International Journal of
Applied Radiation and Isotopes», n. 36, 1985, pp.
965-969; Kazuhiko Y anai, Tatsuo Ido, Kiichi
Ishiwata, Jun Hatazawa, Toshihiro Takahashi,
Ren Iwata e Taiju Matsuzawa, In Vivo Kinetics
and Displacement Study of Carbon-11-Labeled
Hallucinogen, N ,N -[11 C ]Dimethyltryptamine, in
«European Journal of Nuclear Medicine», n. 12,
1986, pp. 141-146.

36. Da alcune imprese inimmaginabili della


“chimica preletterata”, i nativi del Sudamerica
impararono a combinare le piante che
contenevano DMT con altre che possedevano dei
composti anti-MAO, o MAO inibitori. In presenza di
questi ultimi, la DMT ingerita poteva resistere al
degrado operato dagli enzimi abbastanza a
lungo da penetrare nel flusso sanguigno e
dispiegare i suoi effetti psicologici, prima che le
MAO si attivassero in maniera sufficiente da

smaltirla. Questo è il segreto per cui l’ayahuasca


riesce a rendere la DMT attiva per via orale.
L’assorbimento più lento da parte di stomaco e
intestino significa che gli effetti della DMT
nell’ayahuasca durano dalle quattro alle cinque
ore, rispetto ai pochi minuti di quando la DMT
viene iniettata.
Capitolo 3
LA PINEALE: LA
GHIANDOLA DELLO
SPIRITO

Una delle motivazioni più


profonde dietro lo studio sulla DMT
era la ricerca delle basi biologiche
dell’esperienza spirituale. Molto di
ciò che ho appreso nel corso degli
anni ha fatto sì che mi domandassi
se la ghiandola pineale produceva
DMT durante gli stati mistici e altre
esperienze spontanee simili a quelle
psichedeliche. Queste sono idee che
sviluppai prima di intraprendere la
ricerca del New Mexico. Nel
capitolo 21 allargo queste ipotesi
per includere le scoperte che
abbiamo fatto durante gli
esperimenti stessi.
In questo capitolo riassumerò
quello che sappiamo della
ghiandola pineale. Nel capitolo
successivo elaborerò questi dati per
proporre le condizioni nelle quali la
pineale, nel suo ruolo di possibile
ghiandola dello spirito, potrebbe
produrre quantità psicoattive di DMT
endogena.
Nei primi anni ’70, quando ero
studente alla Stanford University,
condussi delle ricerche di
laboratorio sullo sviluppo del
sistema nervoso dei feti di pollo.
Ero curioso di sapere come una
singola cellula fecondata potesse
diventare un organismo
completamente adulto e
funzionante. Era un campo di
indagine interessante e volevo
vedere se mi piaceva la scienza di
laboratorio. Meno nobilmente,
credevo anche che una ricerca
opzionale aumentasse le mie
probabilità di accedere alla Facoltà
di Medicina.
Nonostante la passione che
nutrivo per questa ricerca, mi
sentivo colpevole per il fatto di
uccidere dei feti di pulcini. Avevo
degli incubi in cui i polli mi
inseguivano per paesaggi oscuri e
sinistri. In questi sogni, mi mettevo
in salvo salendo sulla lavatrice di
mia madre!
Inoltre, non mi sembrava che la
scienza di laboratorio mi avrebbe
dato la possibilità di studiare quegli
argomenti che mi interessavano
sempre di più. A Stanford seguivo
corsi su sonno e sogni, ipnosi,
psicologia della coscienza,
psicologia fisiologica e buddhismo:
insomma, tutte materie
d’avanguardia a quei tempi nelle
università della California.
Nel tentativo di sistemare le cose,
andai a parlare con uno degli
psichiatri del servizio sanitario per
gli studenti. Lui mi consigliò di
incontrare James Fadiman, uno
psicologo che lavorava alla Facoltà
di Ingegneria di Stanford.
Chiamai la segretaria di Jim, fissai
un appuntamento e seguii le
confuse indicazioni per raggiungere
l’ala di Ingegneria dell’università.
Dopo aver imboccato strade
sbagliate e vicoli ciechi, trovai
finalmente l’ufficio di Jim. Era
seduto con la schiena rivolta alla
finestra. Il sole inondava la stanza e
non riuscivo a vederlo chiaramente
a causa della luce abbagliante.
L’effetto alone attorno alla sua testa
aumentò la mia leggera ansia.
Sapevo che si sarebbe trattato di un
incontro importante.
Per allentare il nervosismo, iniziai
la conversazione e gli chiesi cosa
stesse facendo uno psicologo come
lui al Dipartimento di Ingegneria.
Lui ridacchiò e rispose: «Insegno
agli ingegneri come pensare. Sono
intelligenti, nessun dubbio su
questo, ma possono davvero
risolvere i problemi in modo
fantasioso? Come si approcciano al
processo creativo? Li aiuto a
guardare le situazioni da
prospettive diverse».
Non sapevo nemmeno che Jim
aveva lavorato con Willis Harman,
che stava somministrando droghe
psichedeliche allo scopo di
incrementare la creatività in un
vicino istituto di ricerca. I risultati
di questo studio, pubblicati
trent’anni fa, restano gli unici dati
di questo tipo nella letteratura
medica e hanno mostrato il grande
potenziale di queste sostanze nello
stimolare i processi creativi. Mi
chiedo quanti studenti di ingegneria
dell’Università di Stanford, sotto la
sua supervisione, abbiano preso
parte a questi studi!37
Jim si protese in avanti e
l’accecante bagliore del sole
aumentò. Chiese: «E cosa ci fai tu
qui?»
Glielo dissi. Le mie idee erano
formulate male. Ero attratto dagli
psichedelici. Avevo appena iniziato
a praticare la Meditazione
Trascendentale. I miei studi mi
stavano portando all’interno di
territori molto interessanti.
Sembrava esserci un filo che
attraversava tutto, ma qual era?
Dove potevo cercare un fattore
unificante?
Jim si spostò all’indietro sulla
sedia, aveva un’aria pensierosa, o
almeno così sembrava: il suo viso
quasi non si vedeva a causa dei
raggi del sole alle sue spalle.
«Dovresti cercare nella ghiandola
pineale» disse infine. «Mia moglie
Dorothy sta girando un film
sull’esperienza della luce interiore
descritta dai mistici. La ghiandola
pineale la sta attraendo in qualità di
sorgente metafisica di questa luce,
che molte tradizioni considerano il
sommo risultato. Forse essa genera
davvero quella luce all’interno delle
nostre teste».
«Come si scrive “pineale”?»
chiesi, prendendo appunti.
Chiacchierammo ancora un po’
dei miei progetti post-laurea. Il
nostro breve incontro terminò.
Su consiglio di Jim, iniziai allora a
indagare su ciò che si conosceva
della ghiandola pineale, un
minuscolo organo collocato al
centro del cervello. Quell’anno
scrissi diverse relazioni per il mio
corso in cui iniziai a tracciare
l’ampio spettro delle teorie che
avrei sviluppato in seguito.38
Le tradizioni spirituali occidentali
e orientali sono piene di descrizioni
di una luce bianca dal bagliore
accecante che accompagna la
profonda realizzazione spirituale.
Questa “illuminazione” di solito è il
risultato di un avanzamento della
coscienza attraverso diversi livelli di
sviluppo spirituale, psicologico ed
etico. Tutte le tradizioni spirituali
descrivono tale processo e le sue
fasi.
Nell’ebraismo, ad esempio, la
coscienza si muove attraverso le
sefirot, o centri di sviluppo
spirituale, della tradizione cabalista,
al cui apice si trova Keter, o Corona.
Nella tradizione ayurvedica
orientale questi centri sono
chiamati chakra, ed esperienze
particolari accompagnano
similmente il movimento di energia
attraverso di essi. Anche il chakra
più elevato è chiamato Corona, o
Loto dai Mille Petali. In entrambe le
tradizioni, questa Corona, sefirah o
chakra, si colloca al centro e alla
sommità del cranio, che
anatomicamente corrisponde alla
ghiandola pineale.39
Leggiamo per la prima volta della
ghiandola pineale negli scritti di
Erofilo, un medico greco del III
secolo a.C. dell’epoca di Alessandro
Magno. Il suo nome deriva dal
latino, pineus, relativo al pino,
pinus. Questo piccolo organo è
quindi piniforme, o a forma di
pigna, e non è più grande
dell’unghia del mignolo.
La ghiandola pineale è unica nella
sua posizione isolata all’interno del
cervello. Tutte le altre aree cerebrali
sono appaiate, nel senso che hanno
le controparti sinistra e destra; ad
esempio, ci sono i lobi frontali
destro e sinistro e i lobi temporali
destro e sinistro. In quanto unico
organo spaiato all’interno del
cervello, la ghiandola pineale restò
una curiosità anatomica per quasi
duemila anni. Nessuno in Occidente
aveva idea di quale fosse la sua
funzione.
L’interesse per la pineale aumentò
dopo aver attirato l’attenzione di
René Descartes. Il filosofo e
matematico francese del XVII secolo,
che disse «Penso dunque sono»,
aveva bisogno di una fonte per quei
pensieri. L’introspezione gli mostrò
che era possibile pensare solo un
pensiero per volta. Ma da quale area
del cervello potevano emergere
questi pensieri spaiati e solitari?
Descartes propose che fosse la
pineale, l’unico organo single del
cervello, a generare i pensieri.
Credeva inoltre che la posizione
della pineale, direttamente sopra
una delle vie secondarie
fondamentali attraverso cui passa il
liquido cerebrospinale, rendesse
ancora più probabile questa
funzione.
I ventricoli, cavità vuote in
profondità all’interno del cervello,
producono il fluido cerebrospinale.
Questo liquido chiaro, salato e ricco
di proteine fornisce al cervello un
cuscinetto, proteggendolo da colpi e
urti improvvisi. Trasporta inoltre le
sostanze nutritive in profondità nel
tessuto cerebrale, e allo stesso
tempo porta via i prodotti di scarto.
All’epoca di Descartes, l’afflusso e
il riflusso del liquido cerebrospinale
attraverso i ventricoli sembravano
perfettamente adeguati per i
corrispondenti movimenti dei
pensieri. Se la ghiandola pineale
“secerneva” i pensieri nel fluido
cerebrospinale, quale modo
migliore per il “flusso di coscienza”
di farsi strada nel resto del cervello?
40
Descartes aveva anche un
profondo lato spirituale. Credeva
che il pensiero, o l’immaginazione
umana, fosse fondamentalmente un
fenomeno di carattere spirituale
reso possibile dalla nostra natura
divina, che condividiamo con Dio. I
nostri pensieri sono perciò
espressione della nostra anima e la
prova evidente della sua esistenza.
Descartes credeva che la ghiandola
pineale svolgesse un ruolo
essenziale nell’espressione
dell’anima:
«Sebbene l’anima sia collegata al
corpo intero, c’è una parte di esso
[la ghiandola pineale] nella quale
esercita le proprie funzioni in modo
maggiore rispetto a qualsiasi altro
luogo. [...] [La ghiandola pineale] è
così “sospesa” tra i varchi che
contengono gli spiriti animali [che
guidano la ragione e trainano le
sensazioni e il movimento] che
possono essere messi in moto da
loro [...]; e trasportano questo moto
all’anima. [...] Poi viceversa, la
macchina corporea è costituita in
modo tale che ogni volta che la
ghiandola viene mossa in una
direzione o in un’altra dall’anima, o
per un qualsiasi altro motivo,
spinge contro gli spiriti animali che
circondano i pori cerebrali».41
Descartes suggerì pertanto che la
ghiandola pineale fosse in qualche
modo la “sede dell’anima”,
l’intermediario tra il fisico e lo
spirituale. Il corpo e lo spirito si
incontravano qui, influenzandosi
reciprocamente, e le ripercussioni si
estendevano in entrambe le
direzioni.
Quanto vicino alla verità era
Descartes? Cosa sappiamo oggi
sulla biologia della ghiandola
pineale? Possiamo collegare questa
biologia alla natura dello spirito?
La ghiandola pineale degli animali
più vecchi dal punto di vista
evolutivo, come le lucertole e gli
anfibi, viene chiamata anche “terzo
occhio”. Proprio come i due occhi
vedenti, il terzo occhio possiede una
lente, una cornea e una retina. È
fotosensibile e aiuta a regolare la
temperatura del corpo e la
pigmentazione della pelle: due
funzioni essenziali alla
sopravvivenza di questi animali,
strettamente legate alla luce
dell’ambiente. La melatonina, il
principale ormone pineale, è
presente nelle ghiandole pineali
primitive.
Mano a mano che gli animali
salirono lungo la scala evolutiva, la
pineale si è spostata verso l’interno,
più in profondità nel cervello, più
nascosta e inaccessibile alle
influenze esterne. Sebbene la
pineale degli uccelli non sia più
posta alla sommità del cranio, resta
tuttavia sensibile alla luce esterna a
causa delle sottilissime ossa che la
ricoprono. La pineale dei
mammiferi, incluso l’uomo, è
sepolta ancora più in profondità nei
recessi del cervello e non è
direttamente sensibile alla luce,
perlomeno negli adulti.42 È
interessante ipotizzare che la
ghiandola pineale, considerato il
suo ruolo “spirituale”, abbia avuto
bisogno di una maggiore protezione
dall’ambiente attraverso una
collocazione più in profondità
all’interno del cranio.
La ghiandola pineale umana
diventa visibile nello sviluppo del
feto a sette settimane, o
quarantanove giorni, dopo il
concepimento. È stato molto
interessante scoprire che questo è
quasi l’esatto momento nel quale si
può vedere chiaramente la prima
indicazione del sesso, maschile o
femminile, del feto. Prima di questo
periodo il sesso del feto è
indeterminato o sconosciuto. Perciò
la ghiandola pineale e la più
importante differenziazione
dell’umanità, nel genere maschile e
femminile, compaiono nello stesso
momento.
La ghiandola pineale umana non è
in realtà parte del cervello.
Piuttosto, si sviluppa a partire da
tessuti specializzati nella laringe del
feto. Da lì, migra verso il centro del
cervello, dove sembra trovare il
posto migliore ove dimorare.
Abbiamo già notato la vicinanza
della ghiandola pineale ai canali del
liquido cerebrospinale, il che
permette alle sue secrezioni di
raggiungere con facilità i recessi più
profondi del cervello. Per di più essa
si posiziona in vicinanza strategica
rispetto ai fondamentali centri
cerebrali delle emozioni e delle
percezioni.
Questi centri sensoriali o
percettivi sono chiamati collicoli
visivi o uditivi, piccoli ammassi di
tessuto cerebrale specializzato.
Sono delle stazioni di scambio per
la trasmissione dei dati sensoriali ai
siti cerebrali coinvolti nella loro
registrazione e interpretazione. In
pratica, gli impulsi elettrici e
chimici che partono dagli occhi e
dalle orecchie devono passare
attraverso i collicoli prima di
poterne avere la percezione a livello
mentale come immagini e suoni. La
ghiandola pineale è sospesa
direttamente sopra questi collicoli,
separata solamente da uno stretto
canale di liquido cerebrospinale.
Tutto ciò che la pineale secerne e
immette in questo liquido viene
subito depositato sopra i collicoli.
Inoltre, il cervello limbico o
“emozionale” circonda la minuscola
ghiandola pineale. Il sistema
limbico è una serie di strutture
cerebrali intimamente coinvolte
nell’esperienza di stati d’animo
quali gioia, rabbia, paura, ansia e
piacere. Di conseguenza, la pineale
ha un accesso diretto anche ai
centri emozionali del cervello.
Per molti anni i fisiologi
considerarono la ghiandola pineale
dei mammiferi l’equivalente di un
“appendice cerebrale”, ovvero un
organo rudimentale e residuo, un
retaggio del cervello rettiliano senza
alcun ruolo conosciuto. La svolta
avvenne nel 1958 con la scoperta
della melatonina ad opera del
dermatologo americano Aaron
Lerner. Questa scoperta, e quelle a
essa collegate, diedero inizio a
quella che si può definire l’era delle
“ipotesi della funzione pineale della
melatonina”.
Lerner era interessato alla
vitiligine, un disturbo della pelle
che si manifesta con la
depigmentazione o lo schiarimento
di aree di pelle lungo il corpo. Uno
studio del 1917 osservò che
l’estratto della pineale bovina
schiariva la pelle di una rana.
Lerner pensò allora che vi fosse un
fattore pineale coinvolto nella
vitiligine. Polverizzò le ghiandole
pineali di oltre dodicimila bovini e
finalmente individuò il composto
responsabile dello schiarimento
della pelle. Lo chiamò melatonina,
perché schiariva la pelle contraendo
il pigmento nero in speciali cellule:
melas sta per “nero” e tonina per
“contrarre” o “spremere”. (A
dispetto di tutto il lavoro svolto da
Lerner, oggi ci sono poche prove
circa il ruolo della melatonina nel
causare la vitiligine.)43
Allo stesso tempo, gli scienziati
stavano alterando i cicli di luce e
buio per meglio capire l’effetto della
luce sulla riproduzione, una
questione non di poco conto se si
considera il valore economico, per
l’industria zootecnica, di un
allevamento dai ritmi adeguati.
Scoprirono che il buio costante
inibiva le funzioni riproduttive e
riduceva gli organi genitali;
stimolava inoltre la crescita della
ghiandola pineale e la produzione
della melatonina. Dall’altro lato, la
luce costante riduceva la pineale e i
livelli di melatonina, e accresceva le
funzioni riproduttive. Utilizzando
questi studi sperimentali, gli
scienziati conclusero che la
melatonina era il fattore pineale
fondamentale: in sua presenza le
funzioni riproduttive rallentavano,
mentre aumentavano in sua
assenza. In breve, la melatonina
possedeva potenti effetti
antiriproduttivi.44
Ora che la pineale ha perso un po’
del suo mistero, possiamo
domandarci in che modo la
melatonina è collegata alle presunte
proprietà spirituali di questa
ghiandola. Credevo fermamente che
ci fosse una molecola dello spirito,
da qualche parte nel cervello, che
attivava o supportava stati di
coscienza alterati, di carattere
mistico o di altro tipo, che
avvenivano spontaneamente. La
mia prima ipotesi fu che la
melatonina prodotta dalla
ghiandola pineale fosse questa
“molecola dello spirito”, l’interprete
chimico attraverso il quale il corpo
e lo spirito si incontravano e
interagivano. Se la melatonina
aveva delle profonde proprietà
psichedeliche, allora la mia ricerca
del mezzo attraverso cui la pineale
influiva sulla nostra vita spirituale
era terminata.
Il nome completo della
melatonina è N-acetil-5-
metossitriptamina. Dal suo nome e
dalla sua struttura possiamo
dedurre che, come la DMT e la 5-
metossi-DMT , la melatonina è una
triptamina.
Abbiamo una buona
comprensione di come il corpo
regola la produzione di melatonina.
Essa è “l’ormone dell’oscurità”. La
luce spegne la produzione di
melatonina sia durante le ore del
giorno che in quelle notturne in
presenza di luce artificiale. Più ore
di buio durante la notte, maggiore
sarà la quantità di melatonina
prodotta. Più ore di luce durante il
giorno, minore sarà la melatonina.
Oltre a indicare se è giorno o notte,
gli schemi di produzione della
melatonina rivelano all’animale il
periodo dell’anno in cui si trova.
Questi effetti a lungo termine della
melatonina gli permettono dunque
di preparare l’adeguata risposta alla
stagione: si avrà allora la gestazione
durante la primavera o l’autunno, il
letargo durante l’inverno e la
perdita di grasso in estate.
La noradrenalina e l’adrenalina (o
norepinefrina ed epinefrina) sono i
due neurotrasmettitori che attivano
la sintesi della melatonina nella
ghiandola pineale. Essi vengono
rilasciati direttamente sulla pineale
dalle cellule nervose che vi entrano
a malapena in contatto. I
neurotrasmettitori si fissano a dei
recettori specializzati che danno
avvio al processo chimico di
formazione della melatonina.
Anche le ghiandole surrenali
producono l’adrenalina e la
noradrenalina, rilasciandole nel
flusso sanguigno in risposta allo
stress. Sono fattori fondamentali
quando il corpo reagisce al pericolo:
è la risposta del “combatti o fuggi”.
In ogni caso, solo l’adrenalina e la
noradrenalina rilasciate dalle
terminazioni nervose vicino alla
ghiandola pineale, e non dalle
ghiandole surrenali, hanno un
qualche effetto sulle funzioni
pineali.
Questo non era ciò che ci
saremmo aspettati. Poiché la
ghiandola pineale non è originata
dal tessuto cerebrale, essa esiste al
di fuori della barriera
ematoencefalica e dovrebbe reagire
con prontezza alle droghe e ai
farmaci trasmessi per via ematica.
Nonostante ciò, il corpo protegge la
ghiandola pineale con accanita
tenacia. Le impennate, legate allo
stress, di adrenalina prodotta dalle
surrenali e di noradrenalina secrete
nel sangue non raggiungono mai la
pineale. Il sistema di protezione
della ghiandola pineale, composto
da cellule nervose “spazzine”,
semplicemente fa pulizia
dell’adrenalina e della
noradrenalina veicolate per via
ematica in maniera incredibilmente
efficiente. Non sorprende che
questa barriera renda quasi
impossibile stimolare la ghiandola
pineale a produrre melatonina
durante il giorno.
Minuscoli vasi sanguigni
circondano la pineale; così, quando
essa produce la melatonina,
l’ormone entra rapidamente nel
flusso sanguigno e si diffonde in
tutto il corpo. La pineale secerne la
melatonina anche direttamente nel
liquido cerebrospinale, dove può
avere effetti sul cervello in maniera
ancora più veloce.
La funzione della melatonina
nell’uomo è incerta, nonostante i
considerevoli progressi nel
comprendere i suoi effetti in altri
animali. C’è un grande interesse nel
determinare se la melatonina abbia
gli stessi effetti sulla funzione
riproduttiva degli uomini, così come
avviene negli altri mammiferi.
Nell’uomo i livelli di melatonina si
riducono drasticamente durante la
pubertà. Alcuni ricercatori credono
che ciò possa permettere
all’apparato sessuale di liberarsi
dalle restrizioni della ghiandola
pineale e iniziare così a funzionare
in modo adulto. Mancano ancora
prove definitive. Non è nemmeno
dimostrato scientificamente che la
melatonina svolga un ruolo nel jet-
lag, nella depressione invernale,
nella regolazione del sonno, nel
cancro e nell’invecchiamento.45
Una sostanza chimica, per poter
essere definita una molecola dello
spirito, deve possedere come
minimo degli effetti psichedelici.
L’impressionante analogia a livello
chimico della melatonina alla DMT e
alla 5-metossi-DMT significa che
anch’essa è fortemente psicoattiva?
Alcune delle prime ricerche
suggerirono che la melatonina
avesse proprietà psicoattive. Ad
esempio, somministrarla in dosi
elevate prima di andare a dormire
sembrava causare sogni vividi.
Tuttavia, è difficile interpretare
esattamente gli studi più vecchi, che
non indagavano, né misuravano, gli
effetti psichedelici della
melatonina. C’era solo un modo per
scoprire se la melatonina era
psichedelica: somministrarla a dei
volontari umani.
Dopo aver ottenuto la
specializzazione in psichiatria,
trascorsi un anno a Fairbanks, in
Alaska, lavorando presso il locale
centro di salute mentale.
L’esperienza nell’Artico mi
introdusse nel nuovo campo della
“depressione invernale”. Questa
sindrome risvegliò l’interesse nella
biologia umana della ghiandola
pineale e della melatonina. La
ricerca sul loro ruolo nella
depressione invernale ci avrebbe
aiutato a capire e trattare un’ampia
gamma di sindromi stagionali.
Questa sorprendente coincidenza
mi fornì un contesto per iniziare a
sondare i misteri della pineale.
Tuttavia, sapevo ben poco della
ricerca sull’uomo e così cercai altre
strade per proseguire la mia
formazione.
Mi trasferii a San Diego per
ottenere una borsa di studio di un
anno per la ricerca in
psicofarmacologia clinica presso
l’Università della California.
Imparai a stendere proposte di
ricerca e a compilare moduli per i
finanziamenti, a organizzare gli
esperimenti e a somministrare
droghe sperimentali in ambiente
ospedaliero. Assegnai e perfezionai
scale di valutazione, raccolsi
campioni di sangue e di altro
materiale biologico, e analizzai e
compilai dati.
Seguendo ad Albuquerque un
collega di San Diego, il dottor
Jonathan Lisansky, iniziai a
lavorare sotto la supervisione del
dottor Glenn Peake, endocrinologo
pediatrico. Glenn era il direttore
scientifico del General Clinical
Research Center dell’Università del
New Mexico, un centro di ricerca di
spicco fondato dal US National
Institutes of Health. Insieme a
Glenn e a Jonathan realizzai uno
studio completo, della durata di tre
anni, sugli effetti della melatonina
su volontari sani. Da esso emerse il
primo, e finora l’unico, ruolo
documentato svolto dalla
melatonina nella fisiologia umana:
essa favorisce l’abbassamento della
temperatura corporea nelle prime
ore del giorno.
Esiste un ritmo giornaliero in
molte funzioni biologiche
dell’uomo. Una delle più forti è la
temperatura corporea, in cui si
verifica un brusco calo alle 3 del
mattino, lo stesso momento in cui
si hanno i massimi livelli di
melatonina.
Studiammo diciannove volontari
maschi, che rimasero svegli per
tutta la notte esposti a una luce
abbastanza forte da impedire una
qualsiasi produzione di melatonina.
In questi soggetti, l’abbassamento
della temperatura corporea non era
così marcato, per cui ci
domandammo se ciò fosse dovuto
alla mancanza di melatonina. La
somministrazione di melatonina ai
volontari provocò un normale
abbassamento della temperatura
corporea. Da questi risultati
avanzammo l’ipotesi che la
melatonina svolgesse un ruolo
rilevante nel calo della temperatura
corporea che avviene in tutti noi
nelle prime ore del giorno.46
I risultati per me più preziosi
erano quelli derivanti da diverse
scale di valutazione che misuravano
le proprietà psicologiche della
melatonina. Le mie letture
sull’argomento mi avevano fatto
sperare di scoprire profondi effetti
psicoattivi in questo prodotto della
ghiandola pineale. Tuttavia,
scoprimmo che la melatonina aveva
effetti poco più che sedativi e
rilassanti.
Ero deluso dalla mancanza di
significativi effetti psicoattivi nella
melatonina. Quando ormai il
progetto stava volgendo al termine,
una notte ricevetti una telefonata
dall’unità di ricerca che mi
comunicava che uno dei volontari
aveva ricevuto per sbaglio una dose
di melatonina dieci volte maggiore
rispetto a una dose normale.
Trattenni a stento il mio
entusiasmo. Poteva essere molto
interessante. Se basse dosi di
melatonina avevano avuto effetti
così timidi, questo incidente
avrebbe potuto rivitalizzare la mia
ricerca sulle sue proprietà
psicologiche.
Ascoltai attentamente la
descrizione dell’infermiera
ricercatrice su come lo staff medico
aveva sbagliato a calcolare la
quantità di melatonina da
somministrare. Sembrava davvero
un errore. Il battito cardiaco e la
pressione sanguigna del volontario
continuavano a essere regolari. Era
il suo stato mentale, tuttavia, che
destava il mio maggiore interesse.
«Come sta?» chiesi.
«Bene» disse l’infermiera
sbadigliando, «sto faticando molto
per tenerlo sveglio e fargli
compilare la scala di valutazione.
Non riesce a tenere gli occhi
aperti!»
«Non ha allucinazioni o cose del
genere?» accennai speranzoso.
«Per sua sfortuna, no, dottor
Strassman» mi rispose ridendo.
«No, no, sono contento che stia
bene» dissi, tornando velocemente
a un tono più professionale.
Questo evento, più di ogni altro,
mi convinse che la melatonina non
fosse psichedelica. Ad ogni modo,
ciò che avevo letto mi continuava a
persuadere che la ghiandola pineale
fosse il luogo principale nel quale
cercare la molecola dello spirito.
Torniamo dunque ai dati e alle idee
che si svilupparono dopo aver
riflettuto su questo. Inizieremo col
considerare la funzione della
ghiandola pineale nella formazione
di DMT .

37. Willis W. Harman, Robert H. McKim,


Robert E. Mogar, James Fadiman e Myron J.
Stolaroff, Psychedelic Agents in Creative
Problem-Solving: A Pilot Study, in
«Psychological Reports», n. 19, 1966, pp. 211-
227.

38. Più di vent’anni dopo, nel 1995, incontrai


Dorothy Fadiman a un convegno a Manaus,
nell’Amazzonia brasiliana. Quando tornò in
California, mi mandò il suo video degli anni ‘70
sulla luce, dal titolo Radiance. Il cerchio
finalmente era chiuso.

39. Il chakra della Corona, o Loto dai Mille


Petali, non è lo stesso del “terzo occhio”.
Quest’ultimo si trova al centro della fronte, in
mezzo agli occhi, appena al di sopra di essi, e
anatomicamente corrisponde maggiormente
alla ghiandola pituitaria.

40. La relazione tra il liquido cerebrospinale e la


coscienza ha di recente ricevuto il sostegno della
ricerca neuroscientifica. Vi sono livelli molto alti
di particolari recettori della serotonina sulla
superficie delle cellule che ricoprono i ventricoli.
Sono queste cellule di rivestimento a produrre il
liquido cerebrospinale. L’LSD si fissa a questi
recettori con una forza straordinaria. Forse gli
psichedelici alterano davvero la nostra
coscienza, in maniera così potente, controllando
la produzione di questo speciale liquido
cerebrale. Descartes e i suoi seguaci rideranno di
cuore di queste scoperte “moderne”!

41. Vedi R. Descartes, “L’interrelazione tra


anima e corpo”, in I principi della filosofia, in
Opere filosofiche, vol. 3, parte I, Laterza 1986,
pp. 51-53.

42. Non sappiamo se l’apertura nel cranio, la


fontanella, che è situata direttamente sopra la
pineale del neonato, permetta di far entrare
sufficiente luce da influire sulla ghiandola.

43. Aaron B. Lerner, James D. Case, Y oshiyata


Takahashi, Teh H. Lee e Wataru Mori, Isolation
of Melatonin, the Pineal Gland Factor That
Lightens Melanocytes, in «Journal of the
American Chemical Society», n. 30, 1958, p.
2587.

44. F. Karsch, E. Bittman, D. Foster, R.


Goodman, S. Legan e J. Robinson,
Neuroendocrine Basis of Seasonal
Reproduction, in «Recent Progress in Hormone
Research», n. 40, 1984, pp. 185-232.

45. Con l’avanzare dell’età, aumenta il deposito


di calcio nella ghiandola pineale. Così calcificata,
segnala in maniera eccellente la linea mediana
del cervello ai raggi X e durante la TAC. Ad ogni
modo, un’esigua quantità di questo calcio si
accumula nelle cellule che producono
melatonina. Sebbene i livelli di melatonina
diminuiscano con l’età, ciò è indipendente dal
grado di calcificazione della pineale.
46. Rick J. Strassman, Clifford R. Qualls, E.
Jonathan Lisansky e Glenn T. Peake, Elevated
Rectal Temperature Produced by All-Night
Bright Light Is Reversed by Melatonin Infusion
in Men, in «Journal of Applied Physiology», n.
71, 1991, pp. 2178-2182.
Le prime ore del mattino sono anche il
momento in cui è più probabile trovarsi nello
stato di sonno in cui si sogna e diversi studi
suggerirono che notevoli quantità di melatonina
incrementassero l’attività onirica. Non siamo
stati in grado di esaminare questa ipotesi nei
nostri esperimenti, perché era necessario che i
soggetti stessero svegli con gli occhi aperti in
modo che la luce impedisse la produzione di
melatonina. Se la melatonina stimolava l’attività
onirica durante il sonno, allora ci saremmo
dovuti aspettare meno sogni vividi nei volontari
la cui produzione di melatonina era stata inibita.
Curiosamente, le droghe che impediscono la
formazione di melatonina nelle ore notturne
aumentano l’attività onirica anziché diminuirla.
Capitolo 4
LA PINEALE
PSICHEDELICA

Ancora prima di cominciare lo


studio sulla melatonina, le
pubblicazioni di carattere scientifico
che avevo consultato indicavano
che poteva non essere lei la
molecola dello spirito. Cercai allora
di scoprire se la ghiandola pineale
producesse altri composti con
proprietà psichedeliche. Tuttavia,
sebbene fossi agli esordi della mia
carriera, e molto prima di
cominciare ad abbozzare il progetto
di ricerca sulla DMT , scoprii
rapidamente quanto potessero
essere controverse queste idee.
Nel 1982 trascorsi un anno di
formazione in psicofarmacologia
clinica presso l’Università della
California di San Diego. Mi
concentrai soprattutto sulla
relazione che intercorreva tra la
ghiandola tiroidea e l’umore, ma
allo stesso tempo appresi tutto ciò
che potevo sulla ghiandola pineale.
Uno dei miei insegnanti era il
dottor K., un’autorità nel campo dei
ritmi biologici, della melatonina e
del sonno. A metà della mia
formazione, decisi di esporgli
alcune delle mie idee nascenti
riguardo a un ruolo psichedelico
della ghiandola pineale. Stavamo
camminando lungo uno degli
innumerevoli corridoi del San Diego
Veterans’ Administration Hospital,
conversando in modo
sconclusionato e toccando vari
argomenti. Quando ci fu una pausa,
colsi l’occasione.
«Crede che la ghiandola pineale
possa produrre composti
psichedelici? Sembra avere tutti gli
ingredienti giusti. Forse in un
qualche modo fa da mediatrice tra i
diversi tipi di stati psichedelici
spontanei, come ad esempio le
psicosi». Temendo di addentrarmi
troppo a fondo, evitai di menzionare
le mie idee più controverse circa il
ruolo che la pineale potrebbe
svolgere nel provocare stati più
insoliti, quali le esperienze mistiche
e di pre-morte.
Il dottor K. si fermò di colpo e si
voltò. Aggrottò le sopracciglia e mi
scrutò intensamente attraverso gli
occhiali. Una minaccia palpabile
scintillò nei suoi occhi. «Oops!»
pensai.
«Lascia che ti dica una cosa, Rick»
disse lentamente, in tono deciso.
«La ghiandola pineale non ha nulla
a che vedere con le droghe
psichedeliche».
Fu l’ultima volta quell’anno in cui
pronunciai le parole pineale e
psichedelico nella stessa frase.
Nonostante ciò, continuai a
esaminare le fonti scientifiche e
iniziai a sviluppare alcune delle
teorie che danno forma a questo
libro. Lo studio del lavoro di altri
scienziati e i risultati della mia
ricerca successiva sulla melatonina
si aggiunsero alla quantità di prove
sulla cui base ho formulato le
seguenti ipotesi.
Queste ipotesi non sono ancora
state dimostrate, ma derivano da
dati scientificamente validi
combinati con osservazioni e
insegnamenti di carattere spirituale
e religioso. Molte di queste idee
possono venire testate utilizzando
strumenti e metodi disponibili. Le
implicazioni di queste teorie sono
profonde e allarmanti, ma creano
anche un promettente contesto di
speranza.
L’ipotesi più generale è che la
ghiandola pineale produca quantità
psichedeliche di DMT in momenti
eccezionali della nostra vita. La
produzione di DMT da parte della
pineale è la rappresentazione fisica
di processi non-materiali ed
energetici. Ci fornisce il veicolo per
sperimentare in maniera cosciente
il movimento della nostra forza
vitale durante le sue manifestazioni
più estreme. Esempi specifici di
questo fenomeno sono i seguenti.
Quando la nostra forza vitale
individuale entra nel feto – il
momento in cui diventiamo davvero
degli esseri umani – passa
attraverso la ghiandola pineale e
provoca il primo flusso primordiale
di DMT .
In seguito, alla nascita, la pineale
rilascia una maggiore quantità di
DMT .
In alcuni di noi, la DMT prodotta
dalla pineale fa da intermediaria
nelle cruciali esperienze di
meditazione profonda, psicosi ed
esperienze di pre-morte.
Quando moriamo, la forza vitale
abbandona il corpo attraverso la
ghiandola pineale, rilasciando un
altro flusso di questa psichedelica
molecola dello spirito.
La ghiandola pineale contiene gli
elementi essenziali necessari a
produrre la DMT . Ad esempio,
possiede i più alti livelli di
serotonina rispetto al resto del
corpo, e la serotonina è il
precursore fondamentale nella
produzione della melatonina da
parte della pineale. La ghiandola
pineale, inoltre, è in grado di
convertire la serotonina in
triptamina, un passaggio cruciale
nella formazione di DMT .
Nella pineale si trovano anche, in
concentrazioni straordinariamente
elevate, gli unici enzimi in grado di
convertire la serotonina, la
melatonina e la triptamina in
composti psichedelici. Questi
enzimi, i metiltransferasi, si
attaccano a un gruppo metile – cioè
formato da un atomo di carbonio e
tre di idrogeno – sopra altre
molecole, metilandole. È sufficiente
metilare due volte la triptamina per
ottenere la di-metil-triptamina o
DMT . Siccome possiede i livelli più
alti di enzimi e di precursori
necessari, la ghiandola pineale è il
luogo più ragionevole per la
formazione di DMT . Incredibilmente,
nessuno ha mai cercato la DMT nella
pineale.
La ghiandola pineale produce
anche altre sostanze
potenzialmente psicoattive, le beta-
carboline. Questi composti
inibiscono la scomposizione della
DMT da parte delle monoammino
ossidasi (MAO). Uno degli esempi
più eclatanti di come lavorano le
beta-carboline è l’ayahuasca.
Alcune piante che contengono le
beta-carboline sono combinate con
altre piante che contengono DMT per
produrre questo infuso psichedelico
di origine amazzonica, il che rende
la DMT attiva per via orale. Se non
fosse per le beta-carboline, le MAO
presenti nell’intestino
distruggerebbero rapidamente la
DMT ingerita, che non avrebbe alcun
effetto sulla nostra mente.
Non è sicuro che le beta-carboline
siano, di per sé, psichedeliche. In
ogni caso, esse amplificano in modo
marcato gli effetti della DMT .
Pertanto, la ghiandola pineale può
produrre la DMT e delle sostanze
chimiche che ne potenziano e ne
prolungano gli effetti.
In quali circostanze la ghiandola
pineale potrebbe produrre la DMT
anziché la melatonina, che è
minimamente psicoattiva? Per far sì
che ciò accada, è necessario
oltrepassare una o più delle
seguenti barriere che normalmente
impediscono la produzione di DMT
nella pineale:

il sistema di protezione
cellulare attorno alla
ghiandola pineale;
la presenza di un composto
anti-DMT nella ghiandola
pineale;
la blanda attività degli
enzimi metiltransferasi che
producono DMT ;
l’efficienza degli enzimi MAO
nel degradare la DMT .

Il principio guida della prima


ondata della ricerca umana sulla
DMT era il confronto tra DMT e stati
schizofrenici. Per di più, questo era
il contesto nel quale gli scienziati
studiarono questi quattro diversi
elementi del sistema umano della
DMT . Da questi studi sulle psicosi
possiamo rilevare dati a sostegno
delle mie ipotesi su come la pineale
può produrre DMT .
L’enfasi sulla relazione tra DMT e
psicosi, dunque, non è perché credo
che questo sia l’unico ruolo della
DMT endogena. Anzi, la psicosi è
l’unico stato alterato di coscienza
che si verifica in maniera naturale
per il quale abbiamo dati reali. Sono
convinto che anche altre condizioni
“psichedeliche spontanee”, come le
esperienze spirituali e di pre-morte,
condividano una simile relazione
con la DMT endogena. Questi studi,
tuttavia, devono ancora essere
realizzati.47
Molto probabilmente, il fattore
principale che inibisce l’eccessiva
produzione di DMT nella pineale è
l’eccellente sistema di difesa della
ghiandola stessa, del quale abbiamo
parlato nel capitolo precedente.
L’esempio più conosciuto di questa
difesa è la difficoltà che
incontriamo quando cerchiamo di
stimolare la produzione diurna di
melatonina.
L’adrenalina e la noradrenalina, i
neurotrasmettitori che stimolano la
formazione notturna di melatonina,
sono chiamate complessivamente
catecolamine. Le cellule nervose in
contatto con la ghiandola pineale
rilasciano queste catecolamine, che
attivano degli specifici recettori sul
tessuto della pineale dando inizio
alla sintesi della melatonina.
Anche le ghiandole surrenali
producono l’adrenalina e la
noradrenalina, rilasciandole nel
flusso sanguigno in risposta allo
stress. Tuttavia, quando le
catecolamine prodotte dalle
surrenali raggiungono la pineale per
via ematica, le cellule nervose che la
circondano immediatamente le
fanno entrare e le smaltiscono.
Inoltre, le circostanze in cui avviene
il rilascio delle catecolamine da
parte delle ghiandole surrenali,
come nei momenti di stress o
durante l’esercizio fisico, non
stimolano la formazione diurna di
melatonina.
Abbiamo realizzato una ricerca
che lo dimostra in maniera
piuttosto chiara. Atleti di alto livello
fecero una maratona ad altitudini
elevate, correndo per lo più oltre i
3.000 metri. Abbiamo misurato la
melatonina prima e dopo la corsa.
Per la maggior parte degli atleti fu
quasi un’esperienza di pre-morte. I
livelli di melatonina in questi atleti
registrarono lo stesso aumento di
quelli misurati di notte durante il
sonno – quasi un’esplosione della
chimica cerebrale! Nonostante ciò,
abbiamo potuto constatare che è
possibile superare la barriera
difensiva della pineale se lo stress è
sufficientemente grande.48
Secondo i neuroscienziati, questa
barriera all’attivazione della pineale
esiste perché per un animale
sarebbe problematico percepire
“scuro” il suo ambiente durante le
ore del giorno. Poiché la pineale
rilascia la melatonina solo di notte,
il rilascio diurno di melatonina
sarebbe “percepito” come se ci fosse
buio in un momento “sbagliato”, e
l’animale sarebbe disorientato.
Tuttavia, questa spiegazione non
regge. La secrezione diurna di
melatonina non è abbastanza
“pericolosa” da meritare un sistema
difensivo così complesso ed
efficace. Gli effetti della melatonina
non sono immediati, bensì
impiegano ore o anche giorni per
manifestarsi. Per di più, la luce del
giorno sopprime quasi all’istante la
produzione di melatonina,
riportando il sistema al punto di
partenza prima che si verifichi
qualsiasi disordine interno.
D’altra parte, consideriamo cosa
potrebbe accadere se lo stress
inducesse la pineale a produrre
facilmente DMT anziché melatonina.
La DMT provoca una paralisi fisica e
produce un’ondata di allucinazioni
inaspettate e travolgenti che
coinvolgono vista ed emozioni.
Sicuramente, frequenti scariche nel
rilascio di DMT sarebbero di gran
lunga più pericolose per un animale
che non se si trattasse di
melatonina.
Può darsi che sia così difficile la
produzione di melatonina durante il
giorno perché qualsiasi intrusione
all’interno del sistema di sicurezza
della ghiandola pineale viene
respinta. La pineale erige una
barriera contro lo stress eccessivo
che protegge in egual misura tutto
ciò che si trova dietro di essa.
Pertanto, un set di circostanze nelle
quali la DMT può venire prodotta
nella pineale si ha quando
l’emissione di catecolamine è
troppo elevata per impedire alla
barriera della ghiandola di
respingerle.
È anche possibile che il sistema di
protezione della pineale non
funzioni in maniera normale negli
individui psicotici. Ci sono dei validi
dati indiretti che lo confermano. Lo
stress aggrava gli stati allucinatori e
maniacali nei pazienti psicotici. I
livelli di DMT in tali pazienti sono
legati al grado di psicosi: più intensi
sono i sintomi, più alti sono i livelli
di DMT . Sappiamo che la DMT
aumenta anche negli animali
sottoposti a stress. Nelle psicosi, i
livelli più comuni di catecolamine a
seguito di situazioni di stress
possono travolgere le inadeguate
difese della ghiandola pineale,
producendo così troppa DMT , che
può dunque causare o aggravare i
sintomi nei pazienti psicotici.49
Un altro elemento che
normalmente protegge il corpo
dalla produzione di quantità
psichedeliche di DMT nella pineale
risiede nella ghiandola stessa. Un
particolare tipo di proteina, di
piccole dimensioni, scoperta per la
prima volta nel sangue, ha mostrato
di interferire con l’attività degli
enzimi responsabili della
formazione di DMT . Nella ghiandola
pineale si trovano dei livelli
piuttosto elevati di questa proteina,
una specie di “anti- DMT ”. Se questo
stesso inibitore venisse bloccato,
sarebbe più probabile la formazione
di DMT . Dove era meglio procurarsi
un’anti-DMT per evitare la
formazione eccessiva di DMT ,
potenzialmente pericolosa, se non
dove essa stessa era stata prodotta e
cioè nella ghiandola pineale?
Anche i dati ricavati dalla ricerca
sulla psicosi rafforzano questa tesi.
Negli anni ’60, a soggetti affetti da
schizofrenia vennero somministrati
degli estratti della ghiandola pineale
come trattamento sperimentale. I
loro sintomi migliorarono in
maniera evidente. La spiegazione di
questa scoperta fu che gli estratti
della pineale fornivano ai pazienti
una dose extra di anti-DMT che nella
loro ghiandola era carente. Furono
quindi più capaci di contrastare i
livelli patologicamente elevati di
DMT e i sintomi della psicosi
migliorarono.50
Altri due possibili freni alla
produzione di DMT nella pineale
sono collegati agli enzimi: quelli
che producono e quelli che
degradano la molecola dello spirito
all’interno del corpo.
I ricercatori hanno scoperto che
gli enzimi metiltransferasi che
formano la DMT sono più attivi negli
stati di schizofrenia che in
condizioni normali. Questo
accrescerebbe la produzione di DMT .
Gli scienziati hanno osservato
diversi tessuti umani per cercare la
fonte di questa anomala funzione
enzimatica, ma sfortunatamente
non studiarono la ghiandola
pineale.51
Infine, se il sistema MAO che di
solito annienta la DMT fosse
difettoso, potrebbe rimanere una
maggiore quantità di DMT e produrre
sintomi psichedelico-psicotici. Le
MAO sono meno efficienti negli
schizofrenici rispetto ai volontari
sani, e può essere che gli
schizofrenici non smaltiscano la
DMT in maniera sufficientemente
rapida dal loro sistema. Ciò
potrebbe anche tradursi in livelli di
DMT troppo elevati per le ordinarie
funzioni mentali. Quando i
ricercatori esaminarono l’attività
delle MAO in alcuni tessuti umani,
sfortunatamente non valutarono la
loro attività nella pineale nei casi di
schizofrenia.
Occupiamoci ora di stati alterati di
coscienza meno patologici, ma
comunque relativamente comuni e
che si verificano spontaneamente,
nei quali la DMT prodotta dalla
pineale potrebbe avere un ruolo. Il
sogno lucido è uno di questi.
Il momento più probabile per
l’attività onirica è anche quello in
cui i livelli di melatonina sono
massimi, vale a dire attorno alle 3 di
notte. Siccome la melatonina
possiede solo leggeri effetti sulla
psiche, ciò suggerisce l’intervento di
un altro composto della pineale i
cui livelli siano equivalenti a quelli
della melatonina. La DMT è un buon
candidato. Comunque, nessuno ha
ancora indagato sui ritmi seguiti
dalla DMT nell’arco delle 24 ore, nei
volontari sani, nel tentativo di
mettere in relazione i livelli di DMT e
l’intensità o la frequenza
dell’attività onirica.
Jace Callaway ha suggerito che le
beta-carboline derivate dalla pineale
possono essere implicate nei sogni.
Sebbene gli incerti effetti psicologici
delle beta-carboline facciano
sorgere alcuni dubbi su questa
ipotesi, resta il fatto che le beta-
carboline prodotte dalla pineale
potrebbero certamente stimolare in
modo indiretto l’attività onirica
grazie ai loro effetti stimolanti della
DMT .52
Anche la meditazione o la
preghiera possono originare
profondi stati alterati di coscienza.
La produzione di DMT nella pineale
potrebbe essere alla base di queste
esperienze mistiche e spirituali.
Tutte le discipline spirituali fanno
dei resoconti assolutamente
psichedelici delle esperienze
trasformative il cui conseguimento
è l’obiettivo della loro pratica. Luce
bianca accecante, incontri con
entità demoniache e angeliche,
emozioni estatiche, senso di
eternità, suoni paradisiaci,
sensazione di esser morti e poi
rinati, contatto con una presenza
amorevole e potente che sottostà a
tutta la realtà: queste esperienze
trascendono ogni definizione.
Inoltre, sono tipiche di una
completa esperienza psichedelica da
DMT .
In che modo la meditazione
potrebbe provocare il rilascio di DMT
nella ghiandola pineale?
Diverse discipline meditative
portano a un’accurata
sintonizzazione dell’attenzione e
della consapevolezza, per esempio
tramite la concentrazione fissa sul
respiro. L’attività elettrica del
cervello, per come viene misurata
da un encefalogramma, riflette
questa sincronizzazione o ri-unione
dell’attività cerebrale. Diversi studi
hanno riportato che i meditatori
esperti producono un modello di
onde cerebrali più lento e più
simmetrico rispetto a quello che
contraddistingue gli stati di
consapevolezza ordinaria. Più
“profonda” è la meditazione, più
lente e forti sono le onde.
Altre tecniche integrano queste
pratiche focalizzate sull’attenzione
con metodi quali il canto. I canti,
utilizzando parole che derivano da
lingue antiche con proprietà
spirituali presumibilmente uniche,
possono causare profondi effetti
psicologici. Le pratiche di
visualizzazione, nelle quali si
creano immagini via via più
complesse e dinamiche tramite
l’occhio della mente, possono
anch’esse condurre a stati mentali
elevati ed estatici.
In queste condizioni c’è una
qualità dinamica eppure immobile
dell’esperienza, come un’onda
all’interno di un fiume. Sembra che
l’onda non si muova affatto, mentre
l’acqua scorre ovunque attorno a
lei. In effetti, è l’acqua che scorre a
produrre l’onda. E quelle onde
creano una nota o un suono unico.
Tale fenomeno delle onde,
producendo una particolare nota o
un suono associato alla loro
frequenza, stabilisce campi di
influenza ampi e diffusi. Gli oggetti
all’interno di questi campi vibrano
simpateticamente, o alla stessa
frequenza, un fenomeno chiamato
“risonanza”.
Un esempio dei potenti effetti
della risonanza è quando una
determinata nota manda in
frantumi un bicchiere di vetro
nonostante il suono non sia
particolarmente forte. Il bicchiere
vibra simpateticamente, o risuona,
alla stessa frequenza del suono
circostante. Alcune note possono
creare una tensione insostenibile
all’interno della particolare
struttura del bicchiere, finché
questo non esplode.
In maniera simile, le tecniche di
meditazione che si avvalgono del
suono, della vista o della mente
possono creare particolari modelli
di onda i cui campi generano
risonanza nel cervello. Millenni di
dispute ed errori hanno stabilito
che determinate parole “sacre”,
immagini visive ed esercizi mentali
dispiegano in maniera unica gli
effetti desiderati. Tali effetti
possono verificarsi a causa dei
particolari campi che generano
all’interno del cervello. Questi
campi fanno in modo che sistemi
multipli vibrino e pulsino a
determinate frequenze. Possiamo
percepire la nostra mente e il nostro
corpo entrare in risonanza con
questi esercizi spirituali.
Certamente, anche la ghiandola
pineale risuona alle stesse
frequenze.
Un processo di risonanza può
avvenire nella pineale in maniera
simile all’esempio del bicchiere di
vetro, sebbene non proprio in modo
così distruttivo. La pineale inizia a
“vibrare” a frequenze che
indeboliscono le sue molteplici
barriere contro la formazione di
DMT : la barriera cellulare della
pineale, i livelli di enzimi e le
quantità di anti-DMT . Il risultato
finale è un’ondata psichedelica della
molecola dello spirito prodotta dalla
ghiandola pineale, che dà luogo a
stati soggettivi di consapevolezza
mistica.53
Fin qui abbiamo preso in
considerazione situazioni che non
costituiscono una minaccia per la
vita: psicosi ed esperienze spirituali.
Ora possiamo occuparci di casi più
drammatici, anch’essi quasi sempre
accompagnati da realtà soggettive di
carattere psichedelico: esperienze di
nascita, morte e pre-morte.
Non si esagera nel dire che la
nascita, la morte e le esperienze di
pre-morte sono eventi
straordinariamente “stressanti”. La
forza vitale fa tutto il possibile per
preservare la propria residenza in
difficoltà. In questi momenti si
hanno enormi emissioni di ormoni
dello stress, incluse adrenalina e
noradrenalina, le catecolamine che
stimolano la pineale.
Partiamo dalla nascita. Questa
esperienza è fortemente
psichedelica per una madre non
sottoposta ad anestesia. Per non
parlare di quanto lo sia per il
nascituro! Sappiamo che la DMT è
presente negli animali da
laboratorio neonati. Non c’è motivo
di credere che non sia presente
anche nei neonati umani. Tuttavia,
nessuno finora ha indagato sulla
presenza di DMT nei neonati umani
o nelle loro madri al momento del
parto.
Durante il parto naturale viene
rilasciata un’enorme quantità di
catecolamine. La massiccia
fuoriuscita di questi ormoni dello
stress sulla ghiandola pineale della
madre e del nascituro può bastare
per superare il sistema di difesa
della pineale e attivare il rilascio di
DMT . Se la madre è stata sottoposta
ad anestesia, la produzione di
catecolamine è minore, ed è ridotta
al minimo in caso di parto cesareo.
Pertanto, queste due ultime
situazioni possono produrre un
minore rilascio di DMT , ammesso
che ve ne sia, da parte delle
ghiandole pineali della madre e del
nascituro.
Alti livelli di DMT al momento della
nascita forniscono una spiegazione
per quella che è un’opinione diffusa
nella psicoterapia psichedelica.
Secondo Stanislav Grof, uno
psicoterapeuta con un’esperienza
senza pari che ha utilizzato l’LSD nel
trattamento dei pazienti, molto di
ciò che accade durante le sessioni di
terapia psichedelica è un
riallestimento del processo della
nascita. Grof ha scoperto che chi
nasce a seguito di un parto cesareo
è meno capace di “lasciarsi andare”
nella terapia con gli psichedelici
rispetto a chi nasce con il parto
naturale. La presenza di livelli
psichedelici di DMT durante il parto
naturale, e di scarsi livelli in caso di
parto cesareo, dovuti al rilascio
insufficiente di DMT stimolata dagli
ormoni dello stress, può forse
spiegare questa scoperta.54
Può darsi che per poterci “lasciar
andare” da adulti a qualsiasi intensa
esperienza emotiva abbiamo
bisogno della base risolutiva,
affidabile e sicura della nostra
prima “seduta a dose elevata di DMT ”
che avviene in modo naturale al
momento della nascita. In caso
contrario, più tardi, in età adulta,
l’esposizione a questi stati inusuali
e inaspettati ci catapulterà verso
una serie di esperienze
completamente sconosciute e
disorientanti che ci incuteranno
paura. Non disponiamo di
precedenti attendibili di simili
esperienze conclusesi con successo.
Consistenti impennate nei livelli
degli ormoni dello stress
contrassegnano anche le esperienze
di pre-morte o NDE (near death
experiences). La maggior parte della
letteratura descrive le NDE come
esperienze mistiche, psichedeliche e
travolgenti a livello psicologico.
Potrebbe anche trattarsi di
momenti in cui i meccanismi di
protezione della pineale vengono
sommersi e si attivano dei percorsi
per la produzione di DMT altrimenti
inattivi.
Sappiamo davvero molto poco
sulla fisiologia della morte. Cosa
succede al nostro corpo, al nostro
cervello e alla nostra mente quando
moriamo? Quanto dura il processo?
Termina nel momento in cui
smettiamo di respirare? O c’è un
motivo per cui molte tradizioni
indicano quando spostare o
seppellire il corpo? Perché si
preoccupano di non disturbare la
coscienza residua? Occorre anche
riflettere sugli effetti della
decomposizione del tessuto della
pineale sulla nostra coscienza, sia
all’approssimarsi della morte che
dopo.
Il tessuto della pineale può ancora
produrre DMT per alcune ore, e forse
anche di più, in chi sta morendo o è
morto da poco, e potrebbe avere
effetti sulla coscienza residua.
Mentre le onde cerebrali del nostro
cervello morto segnano un
encefalogramma piatto, che ne è del
nostro stato mentale interiore
durante quei momenti?
Per iniziare a verificare l’ipotesi
che il tessuto della pineale in via di
decomposizione produca composti
psichedelici, molti anni fa raccolsi
le ghiandole pineali di circa una
decina di cadaveri umani che mi
procurai presso un obitorio locale.
Le inviai a un altro laboratorio
affinché venisse misurata la DMT .
Sfortunatamente i cervelli non
erano stati congelati, e nemmeno
rimossi subito dopo il momento
della morte e messi dentro l’azoto
liquido, un congelamento
immediato che arresta ogni
processo di decomposizione da quel
momento in avanti. In queste
ghiandole pineali non trovammo
tracce di DMT . Anche se ve ne fosse
stata qualcuna, è probabile che il
lungo ritardo nell’analizzare i
tessuti, in alcuni casi diversi giorni,
abbia causato la loro scomparsa
prima delle analisi.
Infine, le droghe psichedeliche
potrebbero influenzare la ghiandola
pineale, e così usarla, tramite la
formazione di DMT , come un
intermediaro della loro attività.
Sulla ghiandola pineale si trovano
i recettori dell’LSD, e la mescalina
accresce i livelli di serotonina nella
pineale. Le beta-carboline
accelerano la formazione della
melatonina, oltre alla loro
proprietà, già descritta in
precedenza, di amplificare e
prolungare gli effetti della DMT . E la
DMT è il più potente tra i diversi
psichedelici che stimolano la
produzione di melatonina nella
pineale.
La DMT , promuovendo la
formazione dei suoi possibili
componenti essenziali, ricalca il
processo della combustione, per il
quale da un piccolo fiammifero si
può generare un enorme falò. Il
fiammifero inizia col bruciare della
carta per poi estendersi ai rami. I
rami che bruciano propagano il
fuoco ai tronchi, finché non ne
risulta un incendio divampante.
Allo stesso modo, le diverse
circostanze di cui abbiamo discusso,
che contribuiscono alla produzione
endogena di DMT , potrebbero
costituirsi già con una piccola
quantità di materiale appena
formato. Queste condizioni possono
avviare un processo di produzione
sempre maggiore, tramite
l’aumento dei livelli dei precursori
necessari. Alla fine, si raggiunge un
punto critico che segna una
completa scarica psichedelica di DMT
nella pineale. Il “fuoco”
psichedelico si spegne dopo aver
fatto il suo corso e aver esaurito la
scorta delle materie prime.
Questa “ipotesi della funzione
pineale della DMT ” ci permette di
chiudere diverse questioni lasciate
aperte dall’ipotesi della funzione
pineale della melatonina.
Una di queste, della quale peraltro
ho già trattato, riguarda il motivo
per cui la ghiandola pineale è dotata
di un sistema di difesa così potente
contro lo stress. L’ipotesi
melatonina non risponde in
maniera adeguata a tale questione.
L’ipotesi DMT fornisce invece una
spiegazione molto più
soddisfacente: il corpo difende così
strenuamente la ghiandola pineale
per evitare di essere debilitato dai
quotidiani livelli di stress che
rilasciano quantità psichedeliche di
DMT .
Un altro enigma irrisolto
dall’ipotesi melatonina riguarda la
posizione piuttosto particolare della
ghiandola pineale. Essa non è
nemmeno formata da tessuto
cerebrale, bensì deriva da cellule
specializzate originate nella laringe
del feto. Perché allora si sposta, in
ognuno di noi, al centro del
cervello?
Dalla sua particolare postazione,
la pineale entra a malapena in
contatto con le stazioni sensoriali
della vista e dell’udito. È circondata
dai centri emozionali del sistema
libico, e questa posizione le
permette di immettere in maniera
rapidissima le sue sostanze
direttamente nel liquido
cerebrospinale.
Normalmente si crede che la
posizione della ghiandola pineale le
permetta di rispondere al meglio
alle condizioni di luce. Tuttavia, il
tragitto dagli occhi alla pineale è
stranamente tortuoso. I nervi che
collegano gli occhi alla pineale in
realtà escono dalla testa e deviano
attraverso il collo, prima di
ritornare alla ghiandola pineale in
profondità all’interno del cranio.
Sarebbe già abbastanza funzionale
per la ghiandola trovarsi nel collo o
nella parte superiore del midollo
spinale e rilasciare la melatonina
direttamente nel flusso sanguigno
per segnalare le condizioni di luce
all’animale che la ospita.
Può darsi che la posizione della
pineale sia congeniale per far sì che
la melatonina possa influenzare gli
importanti centri cerebrali vicini,
come la ghiandola pituitaria, che
regola la funzione riproduttiva.
Eppure tale esigenza non necessita
di una collocazione della pineale in
profondità nel cervello. La
melatonina trasportata dal sangue
proveniente da qualche altra parte
potrebbe svolgere ottimamente il
proprio ruolo, come avviene per gli
ormoni secreti dalle ovaie e dalle
surrenali.
Forse la melatonina ha bisogno di
un accesso immediato al liquido
cerebrospinale, e questo potrebbe
essere il motivo per cui la pineale
pende dall’estremità di un
ventricolo che contiene tale fluido.
Tuttavia, la ghiandola pineale
rilascia un flusso costante di
melatonina che dura per molte ore
e i cui effetti si sviluppano nel corso
di giorni e settimane. Un ormone
con le caratteristiche della
melatonina non ha bisogno di
accedere al liquido cerebrospinale.
Infine, le proprietà psicologiche
della melatonina sono alquanto
insignificanti. Questi effetti
psicoattivi secondari non
giustificano l’immediato accesso ai
collicoli e al sistema limbico, ovvero
le strutture cerebrali profonde che
regolano le percezioni e le
emozioni.
Pertanto, non occorrerebbe che la
pineale si trovasse al centro del
cervello, se questa sua posizione
avesse lo scopo di supportare il
ruolo della melatonina nella nostra
vita.
Se la ghiandola pineale
producesse DMT , invece, ciò ne
legittimerebbe di certo la posizione
strategica. Un rilascio di DMT che
avvenisse direttamente nei centri
visivo, uditivo ed emozionale, che la
pineale contatta a malapena,
influenzerebbe in modo profondo la
nostra esperienza interiore.
Vedremmo, sentiremmo,
percepiremmo e penseremmo le
cose in un modo inimmaginabile
rispetto a quanto potrebbe fare la
melatonina.
A causa della sua durata
straordinariamente breve, di soli
pochi minuti, la DMT trarrebbe
anche vantaggio dalla ridotta
distanza, solo pochi millimetri, tra
la pineale e importanti strutture
cerebrali. Si potrebbe propagare
direttamente in tali aree cerebrali
per mezzo del liquido
cerebrospinale senza dover prima
passare nel sistema circolatorio. Se
la DMT entrasse prima nel sangue,
gli enzimi MAO la distruggerebbero
molto prima di poter ritornare nel
cervello per dispiegare i suoi
profondi effetti sulla mente.
Queste considerazioni tralasciano
di fatto una delle maggiori obiezioni
alla teoria della psicosi da DMT :
l’assenza di differenze tra i livelli di
DMT nel sangue nei volontari sani e
nei pazienti affetti da psicosi.
Vedremo ora che le concentrazioni
di DMT nel sangue della vena
dell’avambraccio possono avere
poco a che fare con i suoi effetti
sulle distinte aree cerebrali, aree in
prossimità delle quali la DMT viene
scomposta in modo quasi
altrettanto rapido di quando è stata
prodotta.
Questo ragionamento sviluppa
ulteriormente l’idea che il tessuto
della pineale in via di
decomposizione influisca sulla
coscienza residua dopo la morte. Se
questa DMT post mortem si
riversasse direttamente nel liquido
cerebrospinale, la semplice
diffusione le permetterebbe di
attaccarsi ai centri sensoriali ed
emozionali. Non servirebbe
nemmeno un cuore che pompa.
Dopo aver visto due teorie sulla
funzione della ghiandola pineale
negli esseri umani, il modello della
melatonina e quello della DMT , è il
momento di addentrarsi nell’analisi
delle implicazioni di questi due
paradigmi contrapposti.
Nell’ultimo capitolo ho descritto
come la ghiandola pineale, tramite
la melatonina, inibisca la funzione
riproduttiva. In questo capitolo
considero invece l’ipotesi che la DMT
prodotta dalla pineale apra i nostri
sensi a profonde esperienze
psichedeliche. È come se all’interno
della ghiandola pineale vi fosse una
potente dinamica o tensione tra i
due ruoli che essa può svolgere:
uno spirituale e uno sessuale.
È interessante notare come molte
discipline religiose credano che il
celibato sia necessario per
raggiungere gli stati spirituali più
elevati. La spiegazione di tale idea è
che l’attività sessuale canalizza
l’energia richiesta per un completo
sviluppo spirituale. Si può scegliere
la vita nella carne o la vita nello
spirito. Eppure, il celibato non è in
linea con la riproduzione e c’è un
conflitto tra la continuazione della
specie e il conseguimento anti-
sessuale della massima fioritura
spirituale dell’individuo.
È possibile che questo conflitto
venga intessuto a livello biologico
nella ghiandola pineale. Risorse
preziose possono rivolgersi alla
formazione della melatonina,
importante a livello riproduttivo, o
della DMT , indispensabile dal punto
di vista spirituale: l’ormone
dell’oscurità o la sostanza chimica
della luce interiore.
Ad ogni modo, questa
contrapposizione può essere più
apparente che reale. Si consideri ad
esempio la possibilità che la DMT
prodotta dalla pineale intervenga
nell’estasi sessuale, che è il
risultato di uno sforzo fisico,
dell’iperventilazione e delle intense
emozioni dell’atto sessuale.
Durante l’orgasmo emergono
aspetti psichedelici. Gli effetti
estremamente piacevoli della
produzione di DMT attivata per via
sessuale possono essere infatti uno
dei fattori principali che stimolano
il comportamento riproduttivo.
I praticanti del Tantra mirano a
raggiungere il meglio di entrambi
questi mondi. Questa disciplina
spirituale riconosce che
l’eccitazione sessuale e l’orgasmo
generano stati altamente estatici, e
quindi utilizza l’atto sessuale come
una tecnica meditativa.
Combinando il sesso alla
meditazione, i praticanti del Tantra
accedono a stati di consapevolezza
inaccessibili con una sola delle due
pratiche. Il rilascio di DMT da parte
della pineale, stimolato sia da una
profonda meditazione che da
un’intensa attività sessuale, può
allora dar luogo a effetti
psichedelici particolarmente
spiccati.
C’è un terzo elemento che unisce
tra loro la riproduzione e un’elevato
stato di coscienza, la matrice
energetica all’interno della quale
vengono messe in atto queste
priorità della pineale in concorrenza
tra loro. Si tratta dello spirito o
forza vitale.
È difficile introdurre il concetto di
“spirito” in qualsiasi discussione di
carattere scientifico in generale e
nella biologia in particolare. In ogni
caso, è ancora più difficile non farlo
quando i fenomeni lo richiedono. Al
fine di trattare direttamente e in
maniera approfondita le questioni
sollevate dal materiale che ho
presentato, dobbiamo affrontare
questo problema.
Come definiamo lo spirito?
Si paragoni la vita alla morte: lo
stato dell’essere vivi a quello
dell’essere morti. Un momento
stiamo pensando, ci muoviamo e
proviamo sensazioni. Le cellule si
dividono, rimpiazzando quelle
morenti con cellule fresche per il
fegato, i polmoni, la pelle e il cuore.
Il momento dopo non stiamo più
respirando; il nostro cuore ha
effettuato il suo ultimo battito.
Qual è la differenza? Cosa se n’è
andato che c’era appena prima?
C’è qualcosa che ci “anima”
quando è legato al nostro corpo. Se
presente nella materia, si mostra
tramite il movimento e il calore. Nel
cervello, esso fornisce il potere di
ricevere e trasformare in
consapevolezza i nostri pensieri,
stati d’animo e percezioni. Quando
se ne è andato, è come se una luce
si fosse estinta e un motore si fosse
fermato. Qualunque cosa esso sia,
la presenza di questa forza animata
ci permette di interagire in questo
tempo e in questo spazio.
Sebbene non sia “personale”,
questo spirito o forza vitale ha una
“storia” legata alla nostra specifica
concentrazione di materia animata.
Ha sperimentato le cose insieme
noi, sebbene sia rimasto immutato
nella sua essenza a seguito di tali
eventi. I suoi movimenti hanno
creato dei campi di influenza unici
attraverso note o suoni generati
dalle nostre attività mentali e
fisiche. Quando il corpo è troppo
debole per contenerlo, lo spirito lo
lascia. Un po’ di esso va verso altra
materia, un’altra parte raggiunge
l’ambiente dietro i campi. Quei
particolari campi generati dalla sua
adesione al nostro corpo,
comunque, restano per un po’
prima di dissolversi. Più forte è il
campo, o più alta è la nota, più
tempo gli servirà per dissolversi.
Uno dei motivi più forti del mio
interesse per la ghiandola pineale
riguarda la funzione da essa svolta
nella vita dello spirito. Ne capii
l’importanza e il potenziale verso la
metà degli anni ’70, quando ero uno
studente di medicina. Venni a
sapere che esisteva una coincidenza
sorprendente tra la ghiandola
pineale e le credenze buddhiste
sulla reincarnazione. Non posso
enfatizzare abbastanza la forte
impressione che questa scoperta
ebbe su di me, né il modo in cui
essa diede forza alla mia ricerca di
un ruolo spirituale della ghiandola
pineale e della molecola dello
spirito al suo interno.
Sapevo già che il Libro Tibetano
dei Morti insegna che all’anima
della persona appena morta sono
necessari quarantanove giorni per
“reincarnarsi”. Praticamente,
trascorrono sette settimane dalla
morte di un individuo fino a che la
forza vitale “rinasca” nel suo nuovo
corpo. Ricordo molto chiaramente
come, diversi anni dopo, sentii un
brivido lungo la schiena quando,
leggendo il mio libro di testo sullo
sviluppo del feto umano, scoprii che
lo stesso intervallo di quarantanove
giorni contrassegnava due eventi
fondamentali nella formazione
dell’embrione umano. Occorrono
quarantanove giorni dal
concepimento per vedere i primi
segnali della presenza della pineale
nell’uomo. E sempre dopo
quarantanove giorni si ha la
differenziazione sessuale del feto.
In pratica, la rinascita dell’anima, la
ghiandola pineale e gli organi
sessuali necessitano tutti di
quarantanove giorni per
manifestarsi.
Ho scoperto questa sincronicità
quand’ero poco più che ventenne e
allora non sapevo bene come
interpretarla. Non lo so tuttora.
Difatti, le teorie legate a fenomeni
assai diffusi basati sulle
somiglianze possono rivelarsi nel
tempo dei pii desideri, come la
“teoria delle segnature” dell’antica
scienza erboristica, la quale
suggerisce che le proprietà di un
erba dipendono dal suo aspetto: se
una pianta aveva la forma di un
cuore, allora doveva essere adatta a
curare i disturbi cardiaci.
Quel che io propongo è piuttosto
una “teoria del tempo trascorso”. Se
i testi buddhisti e l’embriologia
umana rivelano che diversi tipi di
sviluppo richiedono quarantanove
giorni, allora gli eventi devono
essere collegati. Tale associazione
forse risulta incerta dal punto di
vista logico, ma da quello intuitivo è
comunque appetibile.
Come potrebbe l’insorgenza fisica
della pineale e degli organi
riproduttivi, quarantanove giorni
dopo il concepimento, coinvolgere
la forza dello spirito o forza vitale?
Nel momento in cui moriamo, se
le esperienze di pre-morte sono
attendibili, avviene un radicale
mutamento nella coscienza, che
non è più identificata con il corpo.
La DMT prodotta dalla pineale rende
disponibili questi particolari
contenuti della coscienza fuori dal
corpo. Tutti i fattori descritti in
precedenza si combinano tra loro
per dare origine all’ultimo rilascio
di DMT : rilascio di catecolamine;
abbassamento delle barriere e
aumento della produzione di DMT ;
riduzione dell’anti-DMT ; tessuto
della pineale in via di
decomposizione. Inoltre, è possibile
che la ghiandola pineale sia l’organo
più attivo all’interno del corpo al
momento della morte. Potremmo
dire che la forza vitale esce dal
corpo attraverso la pineale?
La conseguenza di questo rilascio
di DMT nella nostra mente cerebrale
in fase di spegnimento è quella di
tirare via i veli che di solito celano
ciò che i buddhisti tibetani
chiamano il bardo, ovvero gli stati
intermedi tra questa vita e la
prossima. La DMT apre i nostri sensi
interiori a questi stati intermedi con
la loro moltitudine di visioni,
pensieri, suoni e sentimenti. Nel
momento in cui il corpo diventa del
tutto inerte, la coscienza ha
completamente lasciato il corpo ed
esiste ora come un campo tra molti
campi di cose manifeste.
La molecola dello spirito non
serve più per sondare questi reami.
Ci ha portato sull’altra sponda e ora
siamo soli. Durante i successivi
quarantanove giorni, useremo la
nostra volontà, o l’intenzione, per
esaminare la nostra impronta unica
nella vita, le esperienze accumulate,
le memorie, le abitudini, le
tendenze e gli stati d’animo della
vita che è finita. Questo faccia a
faccia cosciente con la nostra storia
personale, quando è completo, ci
permette di raggiungere quei campi
dove tutto è unificato. È come
quando viene suonata una
campana: il suono all’inizio è forte,
poi giunge a essere un rumore di
sottofondo, infine gradualmente
svanisce.
Ciò che resta va a costituire la
materia della prossima forma di vita
che sembra più appropriata per la
successiva elaborazione delle
questioni irrisolte. Esiste una
risonanza, una vibrazione
simpatetica, dei campi fra loro
simili: un Do minore è attratto da
un altro Do minore, i tratti animali
da altri animali, le proprietà delle
piante da altre piante, le
caratteristiche umane da altri esseri
umani.
Nel caso degli esseri umani,
queste tendenze non ancora
assimilate, questo lavoro non
portato a termine, può entrare nel
feto solo quando è “pronto”. Anche
questa preparazione può richiedere
quarantanove giorni, e può
assumere la forma di una ghiandola
pineale in grado di sintetizzare DMT .
La pineale potrebbe agire come
un’antenna o come un parafulmine
per l’anima. E la differenziazione
sessuale in maschile e femminile,
che si verifica proprio nello stesso
momento, fornisce la struttura
biologica attraverso la quale la forza
vitale può adesso affermare se
stessa.
Il movimento di questa energia, la
forza vitale residua del passato che
passa nel presente, attraversando la
pineale e raggiungendo il feto,
potrebbe essere il primo e il più
primordiale bagliore di DMT . Questa
è l’alba della coscienza, della mente,
della consapevolezza come un'entità
biologica e sessuale differenziata.
La luce accecante della DMT , secreta
dalla pineale all’interno del cervello
in formazione, segna il passaggio
attraverso questa soglia.
Fino a questo spartiacque di
quarantanove giorni, il feto può
essere solo un essere fisico, anziché
fisico-spirituale. Di conseguenza,
trascorsi questi quarantanove giorni
possiamo davvero considerare il
feto come un individuo senziente e
quindi come un’entità spirituale?
Questo capitolo suggerisce che gli
stati alterati di coscienza che
avvengono spontaneamente
derivano da elevati livelli nella
produzione di DMT da parte della
pineale. Ad ogni modo, cosa
potrebbe succedere se qualcuno
non avesse più la ghiandola pineale,
per esempio a causa di un cancro o
di un ictus? Avrebbe accesso alle
esperienze coscienti originate dalla
DMT endogena allo stesso modo di
chi ha la ghiandola pineale intatta?
Gli enzimi e i precursori
all’interno della pineale non si
trovano soltanto in essa, anche se
l’alta concentrazione di questi
composti e la posizione
indubbiamente strategica occupata
dalla ghiandola la rendono la fonte
ideale della molecola dello spirito. I
polmoni, il fegato, il sangue, gli
occhi e il cervello possiedono tutti
le materie prime necessarie a
produrre la DMT . Per alcuni anni,
infatti, i ricercatori si sono riferiti
scherzosamente alla schizofrenia
come a una malattia dei polmoni a
causa dell’alta concentrazione
all’interno dei polmoni degli enzimi
necessari alla formazione della DMT .
Questi altri organi possono
produrre la DMT quando si
verificano le stesse condizioni che
stimolano la ghiandola pineale a
produrla.
Per quanto radicali fossero queste
teorie, credevo che potessero venire
dimostrate tramite il metodo
scientifico tradizionale: progettando
esperimenti, analizzando dati e
ridefinendo le teorie sulla base dei
risultati ottenuti passo dopo passo
dalla ricerca. Quindi, il passo
successivo alla formazione di
ipotesi era determinare se la DMT
somministrata alle persone avrebbe
riprodotto le caratteristiche di
quelle esperienze. Se gli effetti
prodotti dalla DMT assunta
dall’esterno fossero stati simili a
quelli presumibilmente causati
dalla DMT endogena, come nelle
esperienze di pre-morte e durante
gli stati mistici, allora le mie ipotesi
sarebbero state più forti. Inoltre,
avevo bisogno di trovare un modo
per poter intraprendere uno studio
sperimentale sull’uomo con la DMT .
Tuttavia, stavo studiando la
melatonina e gli effetti di questo
ormone pineale non somigliavano
nemmeno lontanamente a quelli
della DMT . Studi ulteriori sulla
fisiologia della melatonina
sembravano dunque inutili.
Un articolo che scrissi a San Diego
sulle reazioni avverse agli
psichedelici, pubblicato nel periodo
in cui stavo realizzando il progetto
sulla melatonina, attirò l’attenzione
di Rick Doblin, un indefesso
promotore e raccoglitore di fondi
per la ricerca sulle droghe
psichedeliche. Nel 1985 mi invitò a
una conferenza in cui incontrai le
principali personalità nel campo
della ricerca e della terapia
psichedelica. I rappresentanti di
una grande varietà di discipline si
erano riuniti per discussioni ad
ampio raggio e di vasta portata in
merito all’esperienza psichedelica.
Questi nuovi colleghi mi fornirono
supporto, ispirazione, preziosa
esperienza e informazioni
essenziali. Mi permisero di iniziare
a farmi un’idea di come sarebbe
dovuto essere un progetto sulla
ricerca psichedelica.
Nel 1987, il mio mentore
all’Università del New Mexico,
Glenn Peake, morì
improvvisamente il giorno di
Natale, tornando dalla sua corsa
mattutina sotto la neve. Intristito e
addolorato, vidi vacillare la
traiettoria della mia ricerca. C’era
stata una separazione tra la ricerca
che credevo fosse “rispettabile” e
ciò che invece ero personalmente
più incline a studiare. C’era il mio
studio sulla melatonina e poi il mio
interesse per gli psichedelici. La
morte prematura di Glenn accelerò
la chiusura di questo gap. Durante il
suo funerale, ricordai alcuni dei
suoi consigli più diretti: «Fa’ ciò che
veramente vuoi nella ricerca. Che ti
importa di quello che pensano gli
altri?»
Decisi di terminare la mia ricerca
sulla melatonina e tentare un
progetto sulla DMT . Resi partecipi di
questa mia idea i presidenti, i
direttori e i responsabili delle
divisioni universitarie che mi
avevano aiutato negli esperimenti
sulla melatonina. Tutti erano
convinti che un cambiamento del
campo di indagine comportasse un
rischio reale seppur ragionevole. Ad
ogni modo, tutti furono di supporto
al progetto di ricerca sugli
psichedelici, «se è ciò che davvero
vuoi fare».
Gli anni di preparazione erano
finiti. Adesso o mai più. Era il 1988.

47. Sebbene la DMT possa essere coinvolta sia in


esperienze spirituali che psicotiche, è importante
fare una distinzione tra di esse. Ci sono alcune
sovrapposizioni tra le esperienze spirituali e le
psicosi; ad esempio, l’elettrizzante sensazione di
imminenza, l’intensificarsi delle percezioni visive
e uditive, e un cambiamento nella percezione del
tempo.
Di solito, comunque, le esperienze mistiche sono
il risultato di uno sforzo maturo e cosciente per
ottenerle. Il praticante ne va alla ricerca, c’è un
contesto intellettuale e morale che le incoraggia
e le sostiene, e la loro espressione è autorizzata e
accettata dalla società.
Dall’altro lato, i sintomi della schizofrenia sono
per lo più imprevisti, indesiderati e si
manifestano in persone con precedenti disturbi
comportamentali o emozionali. C’è poco
supporto sociale per queste esperienze, e sia
l’individuo che coloro che hanno a che fare con
lui vorrebbero che questi sintomi se ne
andassero via.
Così come nel caso dei nostri volontari, il set e il
setting hanno a che fare con l’esperienza da DMT
tanto quanto la droga stessa. Il modo in cui una
persona si adatta alla presenza di DMT prodotta
naturalmente nella propria vita dipende da un
contesto ancora più ampio di set e setting: chi è
la persona, le sue esperienze e le sue aspettative,
il suo modo di interagire e interpretare gli effetti
della DMT, e il contesto sociale nel quale essi si
verificano.

48. Rick J. Strassman, Otto Appenzeller, Alfred


J. Lewy, Clifford R. Qualls e Glenn T. Peake,
Increase in Plasma Melatonin, beta-Endorphin,
and Cortisol After a 28.5-Mile Mountain Race:
Relationship to Performance and Lack of Effect
of Naltrexone, in «Journal of Clinical
Endocrinology and Metabolism», n. 69, 1989,
pp. 540-545.
Lo stato di euforia degli atleti non è solo una
sensazione di esaltazione legata al rilascio delle
endorfine. Ci sono anche dei cambiamenti
sensoriali: un campo visivo più brillante e
chiaro; una sensazione di leggerezza del corpo,
quasi come se si fluttuasse al di sopra del suolo;
una sensazione che il tempo rallenti
drasticamente. Tutti questi effetti sono stati
riportati anche dai volontari che hanno assunto
una dose minima di DMT. Forse sia gli atleti che i
volontari coinvolti nello studio sulla DMT stavano
descrivendo gli effetti dello stesso evento
biologico: livelli di DMT eccessivi, ma non
pienamente psichedelici, nel cervello. Nel caso
degli atleti, la massiccia impennata di adrenalina
e noradrenalina poteva stimolare la produzione
di DMT nella pineale e causare un’esperienza
spontanea da DMT a basso dosaggio. Purtroppo
non siamo stati in grado di misurare la DMT in
quel punto e non abbiamo potuto verificare
l’ipotesi.

49. Robin M. Murray, Michael C.H. Oon,


Richard Rodnight, James L.T. Birley e Alan
Smith, Increased Excretion of
Dimethyltryptamine and Certain Features of
Psychosis. A Possible Association, in «Archives
of General Psychiatry», n. 36, 1979, pp. 644-
649.

50. L. Bigelow, Effects of Aqueous Pineal


Extract on Chronic Schizophrenia, in
«Biological Psychiatry», n. 8, 1974, pp. 5-15.

51. Richard Jed Wyatt, J. Christian Gillin,


Jonathan Kaplan, Richard Stillman, Lewis R.
Mandel, H.S. Ahn, W.J.A. Vandenheuvel e R.W.
Walker, N ,N -Dimethyltryptamine – A Possible
Relationship to Schizophrenia?, in «Advances in
Biochemical Psychopharmacology», n. 11, 1974,
pp. 299-313.

52. Jace Callaway, A proposed mechanism for


the visions of dream sleep, in «Medical
Hypotheses», n. 26, 1988, pp. 119-124.

53. Anche i campi magnetici possono influire


sulla coscienza, come nelle variazioni della
consapevolezza di cui ci si accorge quando si è in
prossimità di determinati luoghi o formazioni
geologiche, i cosiddetti power spots. Studi recenti
descrivono il modo in cui i campi magnetici
influenzano la funzione della pineale, in
particolare inibendo la formazione della
melatonina. Tali effetti possono piuttosto deviare
l’energia della pineale e delle materie prime che
servono a produrre la DMT.
In un altro capitolo propongo una relazione tra
la DMT e le abduction aliene. Ad ogni modo, è una
buona occasione per notare come queste
esperienze accadano talvolta in prossimità di
luoghi ad alta intensità energetica, che
producono potenti campi magnetici. Inoltre, gli
incontri con alieni si verificano spesso in
determinati luoghi rurali, il che farebbe pensare
agli effetti di campi magnetici.

54. Jane Butterfield English, Different


Doorway: Adventures of a Caesarean Born,
Earth Heart 1985.
Grof sviluppò una terapia “psichedelica” senza
droghe tramite l’iperventilazione prolungata. Da
trenta minuti a un’ora di iperventilazione
controllata danno origine a uno stato di
coscienza profondamente alterato, che molti
paragonano all’esperienza con una dose elevata
di sostanze psichedeliche. Questa tecnica ha
mostrato di avere delle ripercussioni profonde
sul metabolismo: il ph del sangue diventa più
alcalino, o basico; i livelli di calcio aumentano;
la barriera ematoencefalica diminuisce la
propria efficienza; i livelli degli ormoni dello
stress aumentano sensibilmente. Tutti questi
fattori possono agire simultaneamente per
attivare nella ghiandola pineale vie raramente
utilizzate di sintesi della DMT. Si veda Stanislav
Grof, La mente olotropica, Red 1996.
PARTE II

CONCEPIMENTO
E NASCITA
Capitolo 5
89-001

C’erano due campi separati ma


sovrapposti sui quali avrei dovuto
lavorare per mettere a punto uno
studio della DMT sull’uomo. Uno era
il regno della ricerca clinica, l’altro
quello delle regole. In questo
capitolo mi concentrerò sulla
scientificità dello studio: l’effettiva
proposta di ricerca. Il prossimo
capitolo descriverà il labirinto di
comitati e agenzie attraverso cui è
dovuto passare il protocollo.
La Human Research Ethics
Committee presso l’Università del
New Mexico esamina qualsiasi
progetto che riguarda gli studi
sull’uomo. Tale comitato
contrassegna tutte le proposte di
ricerca di questo genere con un
numero: le prime due cifre
corrispondono all’anno e le
successive tre indicano l’ordine di
arrivo del protocollo. Presentai la
proposta per la DMT verso la fine del
1988; fu la prima a essere
esaminata dal comitato durante la
riunione di gennaio. Pertanto,
divenne la 89-001.
La prima frase, per la quale
impiegai ore a scriverla e riscriverla
nel tentativo di trovare una perfetta
battuta d’inizio, diceva: «Questo
progetto partirà da un riesame della
psicobiologia umana dell’abuso
della triptamina allucinogena N,N-
dimetiltriptamina (DMT ), che è
anche un allucinogeno endogeno».
Fu quasi due anni dopo, il 15
novembre 1990, che la Food and
Drug Administration mi scrisse:
«Abbiamo completato il nostro
esame [...] e abbiamo concluso che
è ragionevolmente sicuro procedere
con lo studio da lei proposto».
Avevo già avuto esperienza delle
difficoltà che si incontrano nel
somministrare una droga
psicoattiva e a rischio di abuso a
degli esseri umani. Diversi anni
prima di decidere di tentare uno
studio sulla DMT , sottoposi un
protocollo alla Food and Drug
Administration (FDA ). La droga in
questione era l’MDMA , comunemente
nota come Ecstasy, una droga
stimolante con proprietà
blandamente psichedeliche.
Nei primi anni ’80, una rete
eterogenea di terapeuti
somministrava questa droga ai
propri pazienti come un
complemento alla psicoterapia. Non
era illegale, e questi psichiatri e
psicologi trovavano che i suoi effetti
erano più affidabili e facili da
maneggiare rispetto all’LSD. Con loro
disappunto, com’era successo
decenni prima con l’LSD, di questa
“droga della meraviglia” si iniziò
presto a farne un grande abuso
negli ambienti universitari. Inoltre,
alcuni articoli scientifici iniziarono
a riportare che la MDMA provocava
danni cerebrali nelle cavie da
laboratorio. Nel 1985, l’U.S. Drug
Enforcement Administration (DEA )
collocò dunque l’MDMA all’interno
della categoria legale più restrittiva
per le droghe, la Tabella I.
Quasi tutti i terapeuti che usavano
l’MDMA cercarono di far cambiare
idea alla DEA . Io intrapresi un’altra
strada e chiesi il permesso di
somministrarla nel rispetto del suo
nuovo status legale.
Inoltrai una richiesta alla FDA nel
1986, proponendo di somministrare
MDMA a dei volontari umani e
misurarne gli effetti psicologici e
fisici. Quando mi risposero con la
loro formula standard – «Se non le
daremo alcuna risposta nel giro di
trenta giorni, potrà procedere» –
pensai tra me: «Fantastico! Potrò
iniziare la ricerca entro un mese!»
Invece, come un orologio, la FDA mi
chiamò dopo ventinove giorni per
dirmi che non potevo ancora
procedere. Presto arrivò una lettera
nella quale indicavano
dettagliatamente le loro
preoccupazioni riguardo agli effetti
neurotossici dell’MDMA . Non
sapevano quando ci sarebbero stare
sufficienti informazioni per
permettermi di andare avanti.
Poteva trattarsi di diverso tempo.
La mia richiesta per l’MDMA languì
tra gli archivi della FDA e non se ne
seppe più nulla. Tuttavia, venni a
sapere che la FDA era un ente
piuttosto conservatore. Doveva
esserlo. Ciò mi venne chiarito
durante una conversazione
informale con il dottor L., il
direttore della divisione della FDA
responsabile dell’esame della mia
proposta di ricerca sull’MDMA .
Nel 1987, partecipai con il dottor
L. a un convegno scientifico e ci
trovammo per caso l’uno accanto
all’altro durante una pausa caffè.
Dopo essermi presentato, gli chiesi
se mi avrebbe permesso di studiare
l’MDMA nei malati terminali, viste le
sue preoccupazioni per eventuali
danni cerebrali a lungo termine nei
volontari sani. In un modo che può
sembrare sprezzante e brutale, gli
dissi che ciò non sarebbe stato un
gran problema per coloro a cui
restavano solo sei mesi di vita. Per
di più, aggiunsi coraggiosamente,
poteva essere l’inizio di un lavoro
psicoterapico con i malati terminali.
Il dottor L. rispose in modo
asettico: «Anche i malati terminali
hanno dei diritti e non vorrai
sacrificare la loro morte. Oltretutto,
a volte le diagnosi di questi pazienti
sono errate». In seguito mi scrisse
per riconfermare la sua opposizione
a qualsiasi tipo di studio sull’MDMA
che coinvolgesse malati terminali.
Anni dopo, mentre ero a metà
dello studio sulla DMT , la FDA mi
inviò una lettera nella quale mi
domandava se volevo ritirare la
richiesta di permesso per la ricerca
sulla MDMA . Sembrava una buona
idea, così acconsentii.
Poiché il mio progetto sulla
melatonina stava cominciando a
rivelare inequivocabilmente i timidi
effetti psicologici di questo ormone
prodotto dalla pineale, decisi di
andare a trovare un caro amico e
collega le cui opinioni su questi
argomenti erano per me molto
preziose. Seduti nell’attico della sua
casa nel nord della California,
nell’agosto 1988, trascorremmo un
giorno intero a esaminare
scrupolosamente un’ampia serie di
approcci con i quali strutturare un
progetto di ricerca psichedelica
sull’uomo. Al tramonto eravamo
giunti a due conclusioni
relativamente semplici ma solide.
Primo: la DMT era chiaramente la
droga da studiare. Era
incredibilmente interessante e in
tutti i nostri corpi ne circolava un
po’. Secondo: ogni progetto di
ricerca psichedelica non doveva
entrare in conflitto con i timori
correnti sull’abuso delle droghe, ma
anzi avrebbe dovuto tenerne conto.
Il governo degli Stati Uniti stava
spendendo miliardi di dollari per
contrastare i problemi associati
all’uso incontrollato di sostanze.
Sicuramente un po’ di quel denaro
avrebbe potuto finanziare uno
studio della DMT sull’uomo. Anziché
lottare contro il governo per far sì
che eliminasse le restrizioni legali,
era più ragionevole appellarsi
direttamente al pensiero scientifico
che, in definitiva, guida la ricerca.
Tutti noi volevamo infatti conoscere
cosa facevano droghe come la DMT e
il modo in cui lo facevano.
I miei colleghi nel settore della
ricerca psichedelica non erano
particolarmente ottimisti sulle
possibilità di successo di un
progetto sulla DMT . Il caso dell’MDMA
ne aveva scoraggiati molti. «Sai
cosa?» pronosticò qualcuno.
«L’unico articolo che scriverai sarà
su come non avrai potuto
realizzarlo. Guarda che ne è stato
del tuo protocollo sulla MDMA ». Ad
ogni modo, avevo lavorato da solo al
mio progetto sull’MDMA . Per lo
studio sulla DMT avevo il supporto e
la consulenza del dottor Daniel X.
Freedman.
Lo conobbi nel 1987 in uno dei
tanti convegni scientifici ai quali
iniziavo a partecipare. Questo
genere di conferenze, e la rete di
relazioni che ne consegue, sono
parte del rituale di iniziazione a una
carriera di successo nella ricerca. Il
dr. Freedman era così piccolino da
ricordare uno gnomo, e
probabilmente era l’individuo più
potente negli Stati Uniti nel campo
della psichiatria. Aveva iniziato la
sua carriera al Dipartimento di
Psichiatria dell’Università di Yale,
studiando l’LSD sugli animali da
laboratorio. Poi aveva voltato
pagina, diventando direttore del
Dipartimento di Psichiatria
dell’Università di Chicago. Quando
lo conobbi si era di nuovo trasferito
ed era professore e vice-direttore
del Dipartimento di Psichiatria
all’Università della California di Los
Angeles.
Era stato presidente dell’American
Psychiatric Association, come del
resto di ogni altro principale ente di
psichiatria biologica. Piuttosto che
occupare una posizione di governo
nel settore sanitario, aveva deciso di
esercitare il suo potere come
direttore della più prestigiosa rivista
accademica di psichiatria, Archives
of General Psychiatry. Accettando o
rifiutando un articolo qualsiasi
delle migliaia che riceveva in
continuazione da aspiranti
ricercatori, era in grado di agevolare
o stroncare una carriera.
Freedman formò decine di
eccellenti ricercatori sia in ambito
accademico che industriale.
Telefonava in piena notte a
qualunque persona con cui
desiderasse discutere delle ultime
idee di ricerca o degli sviluppi
politici. Aveva un’energia illimitata
e sembrava quasi non aver bisogno
di dormire. Era un fumatore
accanito e beveva quantità infinite
di caffè spaventosamente forte.
Affascinante e seducente, era
capace di infuriarsi all’improvviso
se qualcuno risvegliava la sua ira.
Il suo scritto del 1968, Sull’uso e
l’abuso dell’LSD, influì in maniera
determinante sul mio pensiero.55
Ammiravo il suo approccio
pragmatico ma di larghe vedute nei
confronti della ricerca psichedelica
in ambito clinico. Sebbene negli
anni ’50 avesse lavorato con
pazienti schizofrenici sotto
l’influenza di LSD, aveva effettuato
quasi esclusivamente studi sugli
animali. I suoi primi articoli sulla
farmacologia degli animali sotto LSD
segnarono le basi per i futuri
approcci di laboratorio volti a
valutare il ruolo della serotonina
negli effetti delle droghe
psichedeliche. Inoltre, nel 1966,
Freedman testimoniò di fronte alla
commisione del Senato degli Stati
Uniti, presieduta dal senatore
Robert Kennedy, che relegò il
destino delle droghe psichedeliche
in una categoria legale ristretta.
Freedman nutriva seri dubbi sulla
possibilità di realizzare una buona
ricerca psichedelica sull’uomo.
Credeva che i volontari avessero
troppe aspettative sugli effetti della
droga. Era preoccupato inoltre per il
rischio di “personale inaffidabile”,
un riferimento eufemistico
all’assunzione di droghe da parte
dei membri di un gruppo di ricerca.
Quest’ultima preoccupazione
predisse in maniera infallibile
alcuni dei problemi che il nostro
stesso gruppo avrebbe incontrato
nel New Mexico.
Nei nostri incontri e attraverso la
nostra corrispondenza, Freedman
dichiarò che mi avrebbe fornito
qualsiasi tipo di aiuto a patto che la
mia ricerca sulla DMT fosse
incentrata unicamente sulla
farmacologia. Temeva che la ricerca
nel campo della psicoterapia
sarebbe sfociata in entusiasmo
irrazionale, risultati discutibili e
controversie scientifiche. Secondo
lui era più sicuro e funzionale, in
primo luogo, confermare ed
estendere l’abbondanza di dati
derivanti dagli animali da
laboratorio. Sebbene la sua logica
fosse inoppugnabile, l’aderenza a
questo modello biomedico preparò
il terreno per alcuni problemi che si
svilupparono più avanti nel corso
della nostra ricerca.
Sotto la guida del dottor
Freedman, scrissi uno studio sulla
DMT , il progetto della “reazione al
dosaggio”. Era semplice, sensato e
realizzabile, e conteneva quattro
particolari obiettivi:

Ingaggiare come volontari


“consumatori in buona
salute ed esperti di
allucinogeni”.
Sviluppare un metodo per
misurare la DMT nel sangue.
Creare una nuova scala di
valutazione per determinare
gli effetti psicologici della
DMT .
Individuare le risposte
psicologiche e fisiche ai
diversi dosaggi di DMT .
Dopo aver brevemente riassunto
la storia degli psichedelici
all’interno della psichiatria
accademica, sottolineavo il fatto che
mentre gli studi sugli animali erano
proseguiti, gli esperimenti
sull’uomo erano rimasti parecchio
indietro. Gli psichedelici
continuavano a essere noti come
droghe d’abuso e capire ciò che
facevano, e il modo in cui lo
facevano, avrebbe affrontato delle
reali preoccupazioni per la salute
pubblica.
Facevo inoltre un esame dei dati
pubblicati in precedenza sulla DMT
riguardanti sia gli animali che
l’uomo, e stilavo un elenco delle
qualità che la rendevano il
candidato ideale con il quale
riprendere la ricerca sull’uomo con
le droghe psichedeliche. Notavo che
una delle migliori ragioni per
scegliere la DMT era che pochissime
persone ne avevano sentito parlare.
Qualora i media fossero venuti a
conoscenza della mia ricerca, le
avrebbero dedicato molta meno
attenzione rispetto a un progetto
sull’LSD.
Poi riesumai il tema degli
psicotomimetici endogeni,
sostenendo che i ricercatori
dovevano ancora trovare un
candidato migliore in grado di
indurre un processo schizotossico
in modo naturale. I ricercatori
stavano sviluppando nuove droghe
antipsicotiche che inibivano gli
stessi recettori della serotonina che
gli psichedelici attivavano. Pertanto,
più conoscenze si avevano sulla
DMT , maggiori informazioni si
potevano ottenere riguardo ai
disturbi psicotici. Se fossimo
riusciti a bloccare gli effetti della
DMT negli individui sani, forse
avremmo potuto avere una nuova
arma nel nostro armamentario
contro la schizofrenia.
Suggerii anche che la breve durata
degli effetti della DMT ne avrebbe
reso più facile l’utilizzo rispetto a
droghe con una durata maggiore, in
particolare all’interno di un setting
potenzialmente negativo come
quello di un ambiente ospedaliero.
Infine, la DMT aveva una storia
comprovata, circa la sicurezza del
suo uso, nelle ricerche condotte
sull’uomo pubblicate in precedenza,
nello specifico negli studi condotti
dal dottor Szára.
Queste premesse condussero a
formare le basi teoretiche per
studiare la DMT : il modello
biomedico. Gli psicofarmacologi
avevano fermamente stabilito che
gli psichedelici, inclusa la DMT ,
attivavano molti degli stessi
recettori cerebrali sui quali agiva la
serotonina. La ricerca condotta
sugli animali da laboratorio, che era
proseguita per decenni dopo che
quella sull’uomo era terminata,
rivelò i particolari tipi di recettori
serotoninergici coinvolti. Era sulla
base dei dati sugli animali che
intendevo verificare se accadeva lo
stesso nell’uomo.
Le variabili biologiche più
importanti dovevano essere di
natura neuroendocrina. La
neuroendocrinologia è lo studio del
modo in cui le droghe influenzano
gli ormoni, stimolando innanzitutto
alcune aree cerebrali. Ad esempio,
l’attivazione di specifici recettori
della serotonina nel cervello
provoca un aumento del livello di
specifici ormoni pituitari nel
sangue, quali l’ormone della
crescita, la prolattina e la beta-
endorfina. Gli ormoni che cambiano
in risposta alle droghe rivelano i tipi
di recettori cerebrali sui quali
influiscono quelle droghe.
I recettori della serotonina
regolano anche il battito cardiaco, la
pressione sanguigna, la
temperatura corporea e il diametro
delle pupille. Avrei misurato anche
questi valori nel tentativo di
classificare in maniera meticolosa
altri segnali dell’attivazione dei
recettori della serotonina da parte
della DMT . Questi erano dati
oggettivi, numerici.
Nello studio avrei coinvolto solo
individui esperti nell’uso degli
psichedelici. Dei volontari esperti
sarebbero stati in grado di riportare
meglio gli effetti della droga
rispetto a coloro che non avevano
idea di cosa aspettarsi. Per di più,
era meno probabile che questi
veterani venissero colti da panico
sotto l’influenza degli effetti
estremamente potenti della DMT , i
quali potenzialmente sarebbero
stati più sconvolgenti all’interno
dell’ambiente angusto del centro di
ricerca dell’ospedale. Infine, c’erano
anche le questioni sulla
responsabilità, sgradevoli ma reali.
Mi dovevo difendere da qualsiasi
causa che poteva venire intentata
nei miei confronti se le persone
sostenevano di aver iniziato ad
usare gli psichedelici a causa della
loro partecipazione allo studio. Se
avevano fatto uso di psichedelici in
passato, sarebbe stato più difficile
sostenere che lo studio li aveva
introdotti a queste droghe.
I volontari dovevano poi essere in
grado di svolgere le loro attività a
livelli relativamente alti, nel lavoro
o nella scuola, e di avere relazioni
stabili. Ciò mi avrebbe assicurato
che fossero sufficientemente
radicati nella realtà quotidiana per
poter gestire quello che sarebbe
stato uno studio rigoroso e
impegnativo. Volevo che avessero
un supporto, oltre il team di ricerca,
al quale potersi rivolgere in caso di
necessità al di fuori delle sedute.
Ci sarebbe stato un accurato
monitoraggio medico e psicologico
dei volontari. Le donne non
dovevano essere incinte, né doveva
esserci la probabilità che lo
diventassero; avremmo inoltre fatto
i test dell’urina per le droghe
ricreative prima di ogni giorno della
ricerca.56
Passando in rassegna le tecniche
per misurare gli effetti psicologici
degli psichedelici, arrivai alla
conclusione che tutti i questionari
precedenti presumevano che i loro
effetti fossero sgradevoli e di
carattere psicotico. Una scala più
recente, con un minor margine di
errore, basata su risposte di persone
a cui piacevano gli psichedelici,
poteva fornire una prospettiva più
ampia sui loro effetti. A tale scopo,
proposi di fare più colloqui
possibile con persone che facevano
uso ricreativo di DMT . Questi
individui avrebbero offerto una
panoramica più ampia degli effetti
della DMT , gettando le basi di una
nuova scala di valutazione. Mano a
mano che la ricerca progrediva,
potei dunque modificare il
questionario in maniera
appropriata.
Era necessario sviluppare anche
una tecnica di analisi, o metodo di
misurazione, della DMT nel sangue.
C’erano diverse tecniche di analisi
più vecchie tra le quali poter
scegliere, e volevamo verificare
quale fosse la più facile e la più
precisa. Probabilmente avremmo
scelto quella utilizzata dai
ricercatori del National Institute of
Mental Health, lo stesso gruppo che
aveva scritto l’articolo sulla “morte
onorevole” della DMT .
Sulla base di uno studio risalente
al 1976 che descriveva gli effetti
della DMT sugli ormoni, calcolammo
che dodici volontari sarebbero
bastati per mostrare statisticamente
le differenze significative tra dosi di
DMT e un placebo di soluzione
salina. Nella maggior parte degli
studi sulla reazione alla dose di
qualsiasi nuova droga, viene prima
data una dose “elevata”, poi una
“bassa”, e infine una o due dosi
“medie”, in modo da descrivere
l’intero spettro degli effetti. Volevo
somministrare quanta più DMT
possibile, così decisi che ogni
volontario partecipante allo studio
avrebbe ricevuto un placebo e
quattro dosi di DMT (una elevata,
una bassa e due medie).
I volontari avrebbero ricevuto le
diverse dosi di DMT per
randomizzazione e in doppio cieco.
Randomizzazione significa che le
dosi non rispettano un particolare
ordine nella sequenza con cui
vengono assegnate, come se un tiro
di dadi stabilisse il giorno in cui
somministrare una determinata
dose. Clifford Qualls, biostatistico
del General Clinical Research
Center dell’Università del New
Mexico, creò una sequenza
randomizzata delle dosi necessarie
sul suo computer, la sigillò in una
busta e la spedì alla farmacia
universitaria. Doppio cieco significa
invece che né io, né i volontari,
avremmo saputo quale dose
avrebbe ricevuto un volontario un
dato giorno. Solo il farmacista era in
possesso della lista su cui era
indicata in dettaglio la sequenza
specifica delle dosi per ciascuna
persona.
Lo scopo degli studi randomizzati
in doppio cieco è di ridurre il ruolo
dell’aspettativa nell’influenzare i
risultati. Nel capitolo 1 ho
accennato a come gli studi
tradizionali abbiano dimostrato il
potere dell’aspettativa nel
determinare gli effetti della droga.
Analogamente, se i volontari
avessero saputo quando avrebbero
ricevuto una bassa dose di DMT , le
loro risposte avrebbero potuto
venirne influenzate. Avrebbero
potuto reagire in un modo coerente
con quello che si aspettavano
dovesse provocare una bassa dose,
piuttosto che con quello che
effettivamente accadeva, sia che
quel giorno gli fosse stato
somministrato un placebo o una
dose media.
Inoltre, prima di addentrarci in un
complicato studio in doppio cieco,
pensavamo fosse meglio introdurre
i volontari nello studio
somministrandogli inizialmente
due dosi di DMT non in cieco. Una
bassa dose iniziale di 0.05 mg/kg li
avrebbe introdotti all’interno del
setting di ricerca senza avere un
effetto così forte da disorientarli.
Una successiva dose elevata da 0.4
mg/kg avrebbe fatto sperimentare
ai volontari il massimo grado di
ebbrezza che avrebbero potuto
raggiungere durante qualunque
altro giorno della ricerca in doppio
cieco. La chiamavamo “dose di
calibratura”. Se qualcuno riceveva la
sua prima dose elevata a metà dello
studio, ma non sapeva che essa
costituiva il massimo dosaggio,
avrebbe potuto ritirarsi per paura di
avere effetti ancora maggiori con
dosi successive. Ricevendo una dose
elevata non in cieco, i volontari
potevano scegliere se abbandonare
subito lo studio, prima di
cominciare a raccogliere una serie
di dati su di loro. Così i soggetti
avrebbero ricevuto in realtà sei dosi
di DMT : due non in cieco e quattro in
doppio cieco.
I test sulle nuove droghe
includono sempre un placebo, e così
sarebbe stato anche per il nostro
studio. Gli studi in cui viene
impiegato un placebo di controllo
aiutano ulteriormente a separare gli
effetti provocati dall’aspettativa da
quelli della droga. Placebo deriva
dal latino e significa “ti compiacerò”
o, parafrasando, “soddisferò le tue
aspettative”. Molti di noi pensano al
placebo come a una sostanza
innocua, a cui ci riferiamo in
termini di placebo inattivo. Le
pillole di zucchero sono l’esempio
più celebre di placebo inattivi. Nel
nostro studio sulla DMT , il placebo
era una soluzione fisiologica o
salina.
Nella pratica, è estremamente
difficile mantenere in doppio cieco
uno studio con il placebo. Gli effetti
delle droghe attive sono
solitamente più evidenti rispetto a
quelli della soluzione fisiologica o
dello zucchero, e sia i soggetti
sottoposti alla ricerca che lo staff di
ricercatori riescono quasi sempre a
notare la differenza.
Tuttavia, in questa prima fase del
progetto sulla DMT , incentrata sulla
reazione al dosaggio, volevamo
impiegare un placebo per vedere se
i volontari e noi del personale
medico riuscivamo a distinguere tra
la dose minima della droga e
nessuna dose. A tale scopo, il giorno
del placebo svolse una funzione
preziosa.57
C’erano degli inconvenienti in
questo piano. I volontari di solito
avevano una forte ansia prima di
ricevere la prima dose in doppio
cieco. Sarebbe stato oggi il giorno di
una nuova, devastante, dose
elevata? O si potevano rilassare? Se
era evidente che le prime sedute in
doppio cieco non avevano implicato
la dose elevata, l’ansia cresceva
prima delle ultime sessioni, in un
modo che non avveniva per coloro
che si erano tolti il pensiero
avendola già ricevuta in una
sessione precedente. Sebbene
l’ordine randomizzato con cui tutti i
volontari ricevevano la loro serie
completa di dosi avesse
probabilmente equilibrato a livello
statistico questo fattore, a un livello
umano c’era comunque un prezzo
da pagare.
Mi posi anche il problema di come
avremmo affrontato effetti
collaterali di carattere psicologico e
fisico. Il primo tipo di risposta alle
reazioni di panico nei soggetti
sarebbe stato caratterizzato dall’uso
di un dialogo volto a rassicurarli e
sostenerli. Se questo non avesse
funzionato, ci saremmo avvalsi di
un tranquillante minore, come il
Valium iniettabile; se qualcuno
fosse andato completamente fuor
controllo, saremmo invece ricorsi a
un tranquillante maggiore, come la
Torazina. Per contrastare le reazioni
allergiche, come un principio di
soffocamento o un grave eczema,
erano disponibili degli antistaminici
da iniettare per endovena. Nel caso
in cui la pressione sanguigna fosse
aumentata troppo, sarebbero state
efficaci delle compresse sublinguali
di nitroglicerina, lo stesso rimedio
che viene dato a coloro che soffrono
di angina pectoris.
Aggiunsi una lista di alcune
decine di riferimenti che
supportavano le idee che avevo
messo a punto. Tra questi vi erano
una serie di articoli della prima fase
della ricerca psichedelica sull’uomo.
Vi erano articoli che descrivevano
ciò che conoscevamo degli effetti
psichedelici sugli animali e sui
recettori della serotonina.
Anticipando le preoccupazioni
riguardo alla sicurezza, indicai
anche una mia precedente
pubblicazione sugli effetti negativi
degli psichedelici. In essa suggerivo
che, se le persone erano
mentalmente sane, ben preparate e
strettamente sottoposte a
supervisione prima, durante e dopo
l’esperienza, le possibilità di seri e
prolungati effetti negativi dal punto
di vista psichiatrico erano
estremamente scarse.
Copie della proposta raggiunsero
tutte le commissioni preposte al
controllo sulla ricerca sull’abuso di
droga, compresa la Human
Research Ethics Committee
dell’Università del New Mexico, la
Food and Drug Administration e la
Drug Enforcement Administration
degli Stati Uniti. Lo studio si
sarebbe svolto al General Clinical
Research Center dell’ospedale
dell’Università del New Mexico, e
così inviai una copia della proposta
anche lì. Il Centro di Ricerca poteva
coprire i costi per l’analisi delle
numerose quantità di campioni di
sangue per rilevare i livelli di DMT e
di ormoni, pertanto sottoposi un
bilancio di previsione al loro
laboratorio.
Ma ora arrivava il difficile:
mettere d’accordo tutti coloro che
erano responsabili della gestione e
del finanziamento di questo
progetto sul fatto che fosse sicuro,
degno di venire realizzato e
meritevole di essere sovvenzionato.

55. Daniel X. Freedman, On the Use and Abuse


of LSD, in «Archives of General Psychiatry», n.
18, 1968, pp. 330-347.

56. Non abbiamo raccolto questi test dell’urina


al fine di scartare i volontari. Anzi, eravamo
interessati a vedere se coloro che risultavano
positivi al test avevano delle esperienze
psichedeliche diverse rispetto a quelle dei
volontari che non facevano uso di droghe
ricreative. Nel nostro primo studio, i test positivi
furono solo una manciata e i dati di questi
volontari non differivano da quelli dei volontari i
cui test erano risultati negativi. Negli studi
successivi, eliminammo quindi questi costosi
test.

57. Chiedemmo ai volontari di indovinare quale


dose avevano ricevuto durante i giorni del
doppio cieco. Era facile dire qual’era la dose
elevata. Ma era interessante scoprire quanto
fosse difficile distinguere tra le dosi intermedie,
di 0.1 mg/kg e 0.2 mg/kg. Ancor più
sorprendentemente, molti soggetti della ricerca
confusero la dose minima con il placebo di
soluzione salina. La nostra scala di valutazione
si rivelò più accurata dei volontari nel
catalogare, dalla più alta alla più bassa, la dose
ricevuta ogni giorno. In pratica, i questionari
mostravano chiaramente che la dose di 0.2
mg/kg dava luogo a marcati effetti di carattere
psicologico rispetto alla dose di 0.1 mg/kg, così
come la dose di 0.05 mg/kg rispetto al placebo,
anche quando le sensazioni dei volontari circa le
dosi erano sbagliate.
Capitolo 6
LABIRINTO

Negli Stati Uniti, il Controlled


Substances Act del 1970 esiste allo
scopo di proteggere la popolazione
dalle droghe potenzialmente
pericolose. Questa legge è anche
una barriera che impedisce
l’accesso a tali droghe da parte della
comunità di ricerca in ambito
clinico. È il labirinto attraverso il
quale deve passare chiunque voglia
realizzare una ricerca sull’uomo con
le droghe psichedeliche.
Il Controlled Substances Act
inserì tutte le droghe in “tabelle” in
base al loro «potenziale d’abuso»,
«all’uso terapeutico attualmente
consentito» e alla «sicurezza d’uso
sotto supervisione medica». Le
droghe all’interno della Tabella I,
quella più restrittiva, sono quelle
con un «elevato potenziale di
abuso, prive di utilità terapeutica e
non sicure sotto supervisione
medica». Nonostante le obiezioni di
decine di ricercatori psichiatrici di
alto livello, compreso il dr. Daniel
Freedman, il Congresso inserì l’LSD
e tutte le altre droghe psichedeliche
all’interno della Tabella I.
La Tabella II contiene droghe
come le metanfetamine e la
cocaina. Hanno un elevato
potenziale d’abuso, ma una qualche
utilità medica: ad esempio, la
cocaina viene impiegata come
anestetico locale negli interventi
chirurgici agli occhi e le
metanfetamine sono utilizzate nel
trattamento dei bambini iperattivi.
La codeina, un antidolorifico
comunemente usato, è inserita
nella Tabella III perché ha un
potenziale d’abuso inferiore alle
droghe della Tabella I e II; inoltre,
quando assunta sotto supervisione
medica, dà luogo a reazioni negative
limitate e di minor gravità. Le
droghe della Tabella IV , come Xanax
e Valium, hanno un potenziale
d’abuso inferiore rispetto alle
droghe della Tabella III e
manifestano un numero limitato di
controindicazioni associate al loro
utilizzo medico.
Nel caso degli psichedelici,
l’elevato potenziale di abuso che i
legislatori riscontrarono non era
l’uso compulsivo e indiscriminato
che comunemente si verifica nel
caso di droghe come eroina e
cocaina. Gli psichedelici non
causano assuefazione o dipendenza.
Infatti, uno dei loro tratti
caratteristici è che dopo tre o
quattro dosi giornaliere non
producono più alcun effetto, e
interromperne bruscamente l’uso
non provoca dipendenza. Piuttosto,
erano i loro intensi effetti a rivelarsi
così profondamente disturbanti e
talvolta disabilitanti. A causa di tali
effetti altamente destabilizzanti, il
Congresso decise che gli
psichedelici dovevano essere
strettamente controllati.
I ricercatori clinici negli anni ’50 e
’60 riconobbero e in genere presero
in considerazione i particolari
pericoli dell’LSD e di altri
psichedelici. In questo modo,
poterono prevenire o affrontare
subito con successo qualunque
reazione psicologica negativa a
queste droghe. Tuttavia, l’uso
incontrollato di queste droghe fra la
popolazione, e la rottura dei
protocolli di ricerca da parte di
Leary e dei suoi colleghi di Harvard,
sulla quale i media si concentrarono
in maniera intensa, portarono a
ovvie conclusioni. Queste droghe
stavano causando problemi ben noti
e si doveva porre un freno alla
situazione per limitare i danni.
Per invertire la tendenza
all’abuso, il Congresso evidenziò le
proprietà negative degli psichedelici
a scapito di quelle positive o
neutrali. Quello che un giorno era
“sicurezza sotto supervisione
medica”, il giorno successivo
divenne “mancanza di sicurezza
sotto supervisione medica”. La loro
“utilità terapeutica” in quanto
strumenti di ricerca e di aiuto nella
psicoterapia si trasformò
improvvisamente in “attualmente
non accettabile per l’uso
terapeutico”.
Era all’interno di questo buco
nero che avrei dovuto addentrarmi
per condurre il protocollo sulla DMT
attraverso il sistema normativo.
Il processo iniziò nel dicembre
1988. Nel corso dei due anni
successivi tenni un’agenda sulla
quale annotai ogni telefonata,
lettera, incontro, comunicazione via
fax e discussione riguardo al
protocollo sulla DMT , lo 89-001. Feci
un riassunto di questi appunti,
estrapolando le informazioni più
rilevanti ottenute da questi
rapporti, e nel 1990 scrissi un
articolo subito dopo aver ottenuto il
permesso di iniziare lo studio. Mi
riferivo a esso come se avessi scritto
un documento intitolato Che ne
sarebbe se venissi investito da un
autobus? Era importante che altre
persone sapessero farsi strada
all’interno di questo intricato
labirinto. Era possibile, e c’era una
via attraverso cui passare. Se non
fosse emerso altro dal progetto
sulla DMT , perlomeno volevo
lasciare questa mappa per il
successo.58
I primi guardiani dei reami
normativi erano due commissioni
della Scuola di Medicina
dell’Università del New Mexico: il
General Clinical Research Center
Scientific Advisory Committee e la
Human Research Ethics
Committee.
Il primo si occupò dell’aspetto
scientifico della mia proposta. I
colleghi ricercatori della
commissione esaminarono il valore
scientifico dello studio e offrirono
dei suggerimenti correttivi.
Decisero inoltre se permettere che
la ricerca venisse svolta presso il
Centro di Ricerca e se finanziare gli
innumerevoli esami del sangue che
avevo richiesto. All’epoca facevo
parte anch’io di questa
commissione, avendo condotto nei
due anni precedenti il progetto sulla
melatonina al Centro di Ricerca.
La Human Research Ethics
Committee si occupò degli aspetti
relativi alla sicurezza della ricerca. I
suoi compiti erano di assicurarsi
che il progetto avesse un profilo di
sicurezza accettabile e che il
documento per il consenso
informato spiegasse chiaramente la
natura dello studio e i suoi rischi.
Fu uno straordinario punto a mio
favore che il presidente di tale
commissione fosse un deciso
sostenitore del libertarismo,
secondo il quale l’individuo viene
prima dello Stato. Credeva che le
persone istruite potessero decidere
con la loro testa. Il suo motto, in
qualità di capo di una delle più
importanti commissioni di
revisione scientifica, trasmetteva un
grande incoraggiamento: «Non
siamo qui per recitare il ruolo di
Dio».
Il documento per il consenso
informato è un elemento cruciale
nella ricerca sull’uomo. In esso, il
ricercatore descrive gli obiettivi del
protocollo e il motivo per cui lo sta
effettuando. Il consenso stabilisce
in modo minuzioso, attraverso
tediosissimi dettagli, cosa aspettarsi
dalla partecipazione al progetto.
Elenca i potenziali rischi e i benefici
legati alla partecipazione come
volontari, descrive in dettaglio il
modo in cui il team di ricerca farà
fronte ai rischi e informa i volontari
che riceveranno gratuitamente tutta
l’assistenza necessaria in caso di
effetti avversi. Il consenso ricorda al
potenziale soggetto della ricerca che
la partecipazione è completamente
volontaria e continuativa. Egli si
può però ritirare in qualsiasi
momento e per qualsiasi ragione,
senza alcuna penalizzazione e senza
che gli venga negata l’assistenza di
cui ha bisogno. Nel caso in cui un
volontario si sentisse trattato
ingiustamente, il documento sul
consenso informato fornisce i nomi
e i numeri di telefono delle persone
a cui rivolgersi per esporre le
proprie lamentele.
Mentre stavo negoziando con le
commissioni universitarie, iniziai
anche a lavorare con le due agenzie
federali degli Stati Uniti che
costituivano le ultime, e più
consistenti, barriere normative. A
loro spettava l’ultima parola.
La prima era la US Drug
Enforcement Administration (DEA ).
Aveva un dipartimento dislocato ad
Albuquerque, ma il quartier
generale era a Washington. La DEA
avrebbe deciso se autorizzarmi a
possedere DMT . In caso affermativo,
tale autorizzazione avrebbe preso la
forma di un “permesso per la
Tabella I”.
L’altra agenzia federale normativa
era la US Food and Drug
Administration (FDA ), anch’essa con
sede a Washington. La FDA avrebbe
deciso se valeva la pena e se fosse
sicuro somministrare DMT a dei
volontari di una ricerca sull’uomo.
Se accordato, il permesso della FDA
avrebbe preso la forma di un
“permesso per un’indagine su una
nuova droga”.
Quando sottoposi il protocollo alle
commissioni universitarie, precisai
che lo studio non sarebbe iniziato
finché la FDA e la DEA non avessero
dato la loro autorizzazione per
somministrare la DMT . Ad ogni
modo, le agenzie federali
richiedevano innanzitutto
l’approvazione delle commissioni
locali.
Il documento sul consenso
informato avrebbe costituito un
ostacolo considerevole, pertanto fui
molto chiaro con la commissione
circa gli effetti che ci si poteva
aspettare dalla DMT . Non volevo dare
ai volontari la falsa sicurezza che si
sarebbe trattato di una passeggiata,
ma allo stesso tempo non volevo
nemmeno spaventarli enfatizzando
gli eventuali effetti negativi. A
pagina due del consenso, il
volontario poteva leggere:
Prendo atto che gli effetti
principali di questa droga sono di
carattere psicologico. Possono
verificarsi allucinazioni visive e/o
uditive, così come altre alterazioni
della percezione. La mia percezione
del tempo potrebbe risultare
alterata (dilatazione temporale o
viceversa). Potrei sperimentare
emozioni molto intense, sia
piacevoli che sgradevoli. Stati
d’animo e pensieri opposti
potrebbero essere vissuti nello
stesso tempo. Potrei essere
estremamente sensibile e
consapevole dell’ambiente;
viceversa, potrei anche manifestare
totale indifferenza nei confronti
dell’ambiente. Potrei avere la
sensazione che il mio corpo e la mia
mente si siano separati. Potrebbero
essere percepite sensazioni di morte
imminente o effettiva, oppure uno
stato confusionale. L’euforia è
molto comune. L’avvio
dell’esperienza è rapido, e con le
dosi più elevate è già molto intensa
nel giro di 30 secondi. Raggiunge i
massimi livelli tra i 2 e i 5 minuti e
generalmente, tra i 20 e i 30 minuti,
si avverte solo un lieve stato di
esaltazione. Ritornerò in condizioni
normali entro un’ora dall’iniezione.
Riguardo ai rischi, il modulo per il
consenso informato era breve, ma
onesto:
I principali effetti della DMT sono
di carattere psicologico e sono stati
descritti sopra. Di solito durano
meno di un’ora. Raramente,
reazioni emotive a questi effetti
possono durare più a lungo (ad
esempio dalle 24 alle 48 ore). Posso
stare al Centro di Ricerca per tutto
il tempo necessario a ristabilirmi,
notte compresa, se lo desidero. [...]
La DMT è sicura dal punto di vista
fisico. Si verificano leggeri e limitati
aumenti della pressione sanguigna
e del battito cardiaco.
Sarebbe stato prematuro e
inappropriato inserire all’interno
del documento sul consenso
informato che la partecipazione allo
studio sulla DMT avrebbe offerto dei
potenziali benefici. Sebbene sapevo
che i volontari avrebbero
probabilmente apprezzato le loro
esperienze con la DMT , tutt’altra
cosa era dichiarare che stavo
offrendo un trattamento per una
condizione diagnosticabile.
Pertanto, il consenso proseguiva col
dire:
Non trarrò alcun beneficio
personale dalla partecipazione allo
studio. Tuttavia, i potenziali
benefici sono una maggiore
comprensione del meccanismo di
azione degli agenti allucinogeni.
Una settimana dopo la
presentazione del progetto sulla
DMT , il comitato etico mi chiese di
aggiungere la frase «attualmente
non accettata per l’uso terapeutico»
nel paragrafo introduttivo del
consenso informato. Risposi
dicendo che questa frase avrebbe
inutilmente allarmato i possibili
volontari. Inoltre, se mi fosse stato
concesso il permesso di condurre lo
studio, la frase, nel senso stretto del
termine, non sarebbe più stata vera.
La DMT sarebbe infatti stata
accettata per l’uso terapeutico, in
questo caso come strumento di
ricerca clinica. Accettarono questa
risposta.
La riservatezza e l’anonimato
erano questioni importanti che
avrei dovuto affrontare con il
comitato etico, il Centro di Ricerca e
l’amministrazione dell’ospedale
dell’Università. Quasi tutti i
volontari dello studio sulla DMT
avevano un lavoro e una famiglia, e
si preoccupavano di non metterli a
repentaglio ammettendo l’uso di
droghe illegali. La confessione di
aver infranto la legge era un
prerequisito affinché venissero
ammessi nella ricerca, dato che solo
esperti utilizzatori di droghe
psichedeliche potevano prendervi
parte. Incontrai lo staff del
dipartimento che si occupava degli
archivi delle cartelle cliniche e il
personale degli uffici di
accettazione, il caporeparto
dell’infermeria, l’amministratore
del Centro di Ricerca e l’avvocato
dell’ospedale. Insieme elaborammo
un accordo complicato ma efficace.
I registri delle visite effettuate
nell’ambulatorio del Centro di
Ricerca avrebbero contenuto
importanti informazioni mediche.
Ciò poteva essere estremamente
utile nel caso in cui un volontario,
nel corso della ricerca, avesse
sviluppato dei problemi di salute
per i quali sarebbero occorsi dei
valori di riferimento, per esempio
riguardo alle funzioni cardiache.
Inoltre, mettemmo il vero nome del
volontario sulla scheda che
conteneva i risultati delle visite
mediche e dei test di controllo in
laboratorio. In questa scheda non
c’era alcun riferimento all’uso di
droga e nemmeno un collegamento
alla mia ricerca.
Il documento sul consenso
informato, che di solito era allegato
alla scheda, richiedeva il vero nome
del volontario sulla riga della firma.
Per motivi di riservatezza, conservai
sotto chiave, nel mio studio di casa,
tutti i consensi informati che erano
stati firmati. Un’annotazione sulla
scheda prendeva il posto del “vero
nome”: «Consenso firmato.
Conservato dal responsabile
scientifico della ricerca».
Tutti i volontari ricevevano poi un
codice identificativo, tipo DMT -3. Da
qui in avanti avrebbero avuto solo
questa identità anonima, e io sarei
stato l’unica persona a conoscerne
la chiave. Ognuno di essi riceveva
una nuova scheda clinica
contrassegnata solo dal loro
numero DMT . La prima volta che
usammo il codice fu durante le
visite psichiatriche nelle quali i
volontari raccontarono nei dettagli
la loro storia circa l’uso di droga e i
loro problemi emotivi.
C’era un’ultima preoccupazione,
relativa a come le agenzie esterne
avrebbero utilizzato le schede al
fine di valutare gli effetti a lungo
termine dell’esposizione a droghe
sperimentali. Nei miei studi sulla
melatonina avevo inserito una frase
nel consenso informato che
affermava come i fornitori di
melatonina e la FDA avrebbero
potuto controllare le schede dei
pazienti per individuare qualsiasi
rischio o problema associato
all’assunzione di melatonina.
Quando introdussi questa stessa
dicitura nel consenso informato per
la DMT , i possibili volontari fecero
delle obiezioni. Eppure doveva
esserci un meccanismo per poter
legittimare un’indagine sui possibili
rischi a lungo termine derivanti
dall’uso di DMT . Tuttavia, ciò doveva
essere volontario.
Il compromesso che
raggiungemmo fu che se la FDA o i
fornitori di DMT volevano
interrogare i soggetti della ricerca o
visionare le loro cartelle cliniche,
dovevano prima parlarne con me.
Avrei verificato con i singoli
volontari per vedere chi fosse
interessato. I registri della ricerca
potevano certamente costituire
delle prove legali, ma senza la
chiave di accesso ai codici
identificativi il loro uso sarebbe
stato limitato. Mi sarei rifiutato di
divulgare questa chiave,
avvalendomi del segreto
professionale. Si sarebbe creato
scompiglio, ma ne valeva la pena.
A quanto pare, nei cinque anni di
ricerca sulla DMT , con più di
sessanta volontari coinvolti, non ci
fu mai una violazione della
riservatezza o dell’anonimato. E
nemmeno ci fu, nei cinque anni
successivi alla fine della ricerca,
alcuna richiesta da parte delle
autorità di esaminare le cartelle
cliniche dei volontari.
Il Research Center’s Scientific
Advisory Committee riconobbe che
l’aspetto scientifico del protocollo
sulla DMT era relativamente
completo e lineare. I principali
ostacoli erano di carattere etico,
politico e amministrativo, campi in
cui aveva meno potere e
responsabilità rispetto al comitato
etico.
Tuttavia, vi erano alcune
preoccupazioni in merito alla
sicurezza e alla responsabilità. Il
Centro di Ricerca mi chiese di
tenere i volontari in ospedale
durante la notte per assicurarsi che
venissero tenuti sotto controllo
dallo staff medico per un intero
giorno dopo la loro partecipazione.
Risposi che questo avrebbe ridotto
il numero dei possibili volontari.
Negli studi precedenti sulla DMT ,
dopo aver partecipato alla ricerca
durante la mattina, i volontari
erano stati mandati a casa nel
pomeriggio con buoni risultati
quanto a sicurezza. Si dissero
dunque d’accordo.
I ricercatori del Centro di Ricerca
volevano inoltre stabilire l’ora
migliore del giorno in cui
somministrare la DMT . Esisteva un
ritmo giornaliero nella sensibilità
alla DMT ? Le risposte migliori si
avevano di mattina o nel
pomeriggio? Risposi che non lo
sapevo, ma che somministrando
DMT a tutti alla stessa ora del giorno,
durante il mattino, avremmo
normalizzato quel dato. Avremmo
potuto studiare le possibili
variazioni della sensibilità durante
il giorno in una ricerca successiva.
I miei colleghi ricercatori
richiesero inoltre un maggior
numero di dati dalla letteratura
sulla ricerca sugli animali per
rilevare i livelli sanguigni dei vari
ormoni che volevo misurare. Questi
riferimenti erano facili da
procurarsi. Infine, volevano che i
volontari fornissero dei campioni di
urina per verificare l’eventuale
abuso di droghe.
Nel giro di un mese, il 19 febbraio
1989, il Centro di Ricerca approvò il
protocollo sulla DMT . Per di più, fu
d’accordo a finanziare la mia
richiesta di testare i livelli ormonali
e di sviluppare un metodo di
misurazione della DMT nel sangue
umano.
Tre giorni dopo anche il Human
Research Ethics Committee
approvò la ricerca.
Iniziai allora a cercare una fonte
di DMT . Allo stesso tempo mi dovevo
anche assicurare che, una volta
trovata, fosse legale per me
possederla. Il più semplice di questi
due compiti era quello che
riguardava il possesso, e ciò
dipendeva dalla concessione da
parte della DEA di un permesso per
la Tabella I.
Nell’aprile 1989 affrontai con la
farmacia dell’ospedale universitario
la questione dei requisiti di
sicurezza che la DEA avrebbe
richiesto per far tenere in
magazzino una droga della Tabella I.
Siccome i farmacisti avevano già
lavorato in uno studio sulla
marijuana, credevano che le loro
misure di sicurezza fossero
adeguate.
Inoltrai allora la richiesta di
permesso per la Tabella I alla DEA .
Illustrava che il permesso era
necessario per entrare in possesso
di DMT per uso da laboratorio per
poter iniziare a sviluppare un modo
per misurare la DMT nel sangue
umano. In seguito, il permesso si
sarebbe dovuto estendere alla DMT
da somministrare ai volontari. La
DMT per uso umano doveva essere
più pura rispetto a quella destinata
agli studi di laboratorio. La
somministrazione di DMT ai
volontari non sarebbe cominciata
fino a quando la FDA non avesse
approvato la ricerca e la purezza
della droga.
Una sezione del modulo di
richiesta della DEA chiedeva il
“numero di droga” della DMT .
Chiamai l’ufficio della DEA a
Washington e un dipendente cercò
la DMT sull’elenco nazionale dei
codici delle droghe. Il numero
corrispondente fu inserito
nell’apposito spazio.
Due settimane dopo chiamai la
DEA , ma non avevano alcun
documento che attestasse la
ricezione della mia richiesta. La
persona con cui parlai disse: «Ci
stiamo trasferendo in un nuovo
ufficio e si trova tutto negli
scatoloni».
Passarono altre due settimane e
ancora nessuna notizia della mia
richiesta. Tuttavia, nel giro di alcuni
giorni, ricevetti indietro l’intero
modulo di richiesta. Avevano
bisogno dell’esatto codice della DMT ,
che mi indicarono su un foglio di
carta allegato. La persona con la
quale avevo parlato in precedenza
mi aveva dato il numero sbagliato.
Inserii il codice esatto e inviai la
richiesta “riveduta e corretta” quello
stesso giorno.
La DEA voleva anche un permesso
per la Tabella I da parte della New
Mexico Board of Pharmacy; nel giro
di alcune settimane mi procurai
anche questo certificato. «Dipende
tutto dalla DEA » sentenziò il
personale della commissione
farmaceutica.
La DEA mi confermò che avrebbe
approvato la richiesta per la DMT da
destinare agli studi di laboratorio a
patto che la farmacia dell’ospedale e
il personale avessero superato i
controlli di sicurezza previsti. Il
modulo passò da Washington a
Denver e da Denver ad
Albuquerque.
L’agente D., ispettrice capo della
DEA presso l’ufficio di Albuquerque,
venne all’Università per
incontrarmi e fare un’ispezione
della farmacia all’inizio di giugno
del 1989. Prese nota del nome,
dell’indirizzo, del numero di
telefono e del numero di previdenza
sociale di tutti i membri del
personale farmaceutico che
avrebbero potuto entrare in
contatto con la DMT . Trovò alcune
falle nella sicurezza e ci chiese di
munirci di un congelatore dotato di
lucchetto da mettere nella camera
di sicurezza destinata ai narcotici.
Disse che non potevo avere una
copia della chiave del congelatore,
la dovevano avere solo i farmacisti
dell’ospedale. Se fosse scomparsa
una qualsiasi delle droghe, in
questo modo nessuno avrebbe
potuto sospettare che l’avessi
rubata io.
Ogni tanto aveva l’abitudine di
fare battute inquietanti: «Bene, così
non verrà spedito in prigione»,
oppure: «Non si preoccupi, non la
porteremo via in manette per
questo».
Cercai di ridere con lei.
Quando ci salutammo, riassunse
così la situazione: «È lei a rischiare
il culo... Se qualcosa dovesse andare
storto – furto, perdite, cattiva
gestione dei documenti – sarà lei a
doverne rispondere».
La visita dell’agente D. mi rese
piuttosto ansioso, ma furono le sue
ultime parole a rivelarsi le più
allarmanti: «A proposito, dove ha
intenzione di procurarsi la DMT da
dare ai volontari?»
Verso la fine del mese, la DEA
approvò in linea generale la mia
richiesta di permesso per avere la
DMT da destinare agli studi di
laboratorio. Promisi che non avrei
somministrato quella droga di
purezza inferiore ai volontari e che
avrei aspettato l’approvazione della
FDA sulla DMT per uso umano prima
di iniziare la ricerca. Tuttavia, la DEA
aveva ancora il compito di decidere
se farmi entrare in possesso di DMT
per uso umano, perché si trattava di
una diversa partita di droga.
Nel marzo del 1989, a una
settimana dall’approvazione dello
studio sulla DMT da parte
dell’Università e subito dopo aver
inviato i moduli di richiesta alla DEA ,
contattai i Laboratori Sigma a St.
Louis, nel Missouri. La Sigma mi
aveva già procurato la melatonina
per il progetto sulla pineale umana.
La DMT era inserita nel loro catalogo
e chiesi se me ne potevano vendere
un po’. Richiesi una partita di DMT
per gli studi di laboratorio, nel
tentativo di misurare i livelli di DMT
nei fluidi corporei. Feci inoltre
richiesta di una partita di DMT da
destinare a soggetti umani. La
Sigma mi disse che non c’erano
problemi per fornirmi la DMT
destinata agli studi di laboratorio;
solamente, era necessario il
permesso per la Tabella I da parte
della DEA .
Ottenere la partita di DMT per uso
umano sarebbe stato più
complicato: la Sigma avrebbe infatti
dovuto redigere una
documentazione specifica per la FDA ,
una sorta di “macro-file sulla
droga”. La Sigma mi suggerì di
contattare i ricercatori che avevano
già somministrato la DMT in studi
precedenti per scoprire chi
gliel’avesse fornita. La Sigma
avrebbe poi saputo quali dettagli
fornire alla FDA . Se ci fossero stati
dei problemi nello scoprire queste
informazioni, ci suggerirono di
avvalerci del US Freedom of
Information Act. Questa legge
autorizza i cittadini a richiedere
informazioni privilegiate a patto di
non violare le norme in materia di
sicurezza vigenti all’interno del
territorio nazionale americano.
Ottenni una lista di tutti i
permessi in vigore sulle droghe
sperimentali per poter entrare in
contatto con chiunque ne avesse
uno per la DMT . Sfortunatamente
non ce n’erano. La mia ricerca di un
qualche permesso di vecchia data,
attraverso il Freedom Information
Act, non ebbe successo. Presso la
FDA non c’erano documenti o file di
precedenti permessi per la DMT .
Il modulo di richiesta per
somministrare la DMT a soggetti
umani passò alla FDA alla fine di
aprile. Chiesi il ripristino dei vecchi
permessi per la DMT utilizzati dalla
prima generazione di ricercatori,
sperando che la stessa FDA riuscisse
a trovare quei vecchi file nascosti.
Uno dei ricercatori che aveva
somministrato la DMT a soggetti
umani, co-autore dell’articolo sulla
“morte onorevole”, permise alla FDA
di dare un’occhiata nei suoi archivi
a nome mio. Tuttavia, in una
corrispondenza successiva, mi
comunicò di non avere
informazioni sulla droga e di non
ricordare chi fosse stato il suo
fornitore. Mi augurò buona fortuna.
Nei primi giorni di maggio la FDA
inviò la sua prima lettera, firmata
dalla signora P., nella quale mi
avvertiva che, se non si fossero
messi in contatto entro un mese, la
ricerca poteva procedere.
Naturalmente, non avevo DMT di
nessun tipo. Ad ogni modo, la mia
richiesta aveva ora un numero di
protocollo. La Sigma era quindi
disposta a discutere con la FDA per
redigere un macro-file sulla droga
per me.
A giugno, la signora P. della FDA mi
comunicò che la Sigma non stava
fornendo sufficienti informazioni
sulla composizione della loro DMT .
La Sigma replicò che i suoi fornitori
europei di DMT si rifiutavano di
trasmettere qualsiasi informazione
di quel tipo: si trattava di un segreto
commerciale. Inoltre, era
preoccupata che la FDA stesse
chiedendo più informazioni sulla
DMT di quanto avesse fatto per altre
droghe fornite in passato per
ricerche sull’uomo. La Sigma mi
diede il nome del chimico della FDA
che si sarebbe occupato della mia
richiesta: la signora R. Nel corso del
successivo anno e mezzo, io e lei
avremmo avuto decine di
conversazioni.
Chiesi alla signora R. perché la FDA
stesse richiedendo più informazioni
sulla DMT di quanto avesse fatto per
la melatonina nella mia precedente
ricerca.
Lei rispose: «Ogni caso è a sé».
La Sigma si lamentò del fatto che
la FDA si stesse comportando in
modo irragionevole. La FDA non
avrebbe proseguito oltre finché non
avesse avuto ulteriori informazioni.
Quando chiesi alla signora R. se
sapesse chi fossero i fornitori della
Sigma, precisando che avrei voluto
contattarli direttamente, mi diede i
loro nominativi. Quando chiesi
conferma alla Sigma, si alterarono
per quella che considerarono una
violazione della privacy. Nonostante
ciò, accettarono di inviare alla FDA
tutte le informazioni in loro
possesso sulla loro DMT .
Chiesi alla signora R.: «Se la DMT
fornita dalla Sigma non dovesse
soddisfare i requisiti necessari,
potrei purificarla per farla rientrare
nei vostri standard?»
Aveva dei dubbi a riguardo. Il
direttore della divisione della FDA
dove aveva lavorato in passato era il
collega che mi disse, in quel
convegno sulle neuroscienze di
qualche anno prima, che «anche i
malati terminali hanno dei diritti».
In passato, aveva bloccato tutte le
richieste dei ricercatori per
purificare le partite di droga
destinate agli studi di laboratorio in
modo da poterle utilizzare su
soggetti umani.
«Forse ora è diverso» disse.
«Questa è una nuova divisione, con
nuovi direttori».
Era vero. La crescente ondata di
AIDS e dell’abuso di droghe misero
in luce i ritardi nel processo di
approvazione delle droghe da parte
della FDA . Per sopperire a tali ritardi,
si formò una nuova divisione per
fare rapidi controlli sulle nuove
droghe. Per fortuna, la mia richiesta
per la DMT fu inoltrata a questa
nuova divisione anziché a quella del
dr. L., dove la mia proposta di
ricerca sulla MDMA non fece mai
alcun progresso.
Passarono diversi mesi e la
signora R. non ricevette mai alcuna
informazione dalla Sigma. La Sigma
riteneva che la FDA avesse violato la
loro privacy e probabilmente non
voleva proseguire oltre in quello
che sarebbe stato un lungo e
complicato iter. Cosa si poteva fare
per metterli d’accordo? Rinunciai
alla speranza di poter ottenere DMT
per uso umano dalla Sigma.
Nell’agosto del 1989 arrivò dalla
FDA una lettera prolissa che elencava
dettagliatamente venti diversi
requisiti che doveva possedere la
DMT per uso umano. Non si
sollevavano problemi circa la sua
tossicità generale, il che avrebbe
richiesto complessi e costosi test
sugli animali. Né vi erano
preoccupazioni circa il valore
scientifico dello studio. Con tali
presupposti, mi sentii molto
incoraggiato.
Contattai allora il collega chimico
che in passato aveva fatto il suo
tragico pronostico sul fatto che la
mia unica pubblicazione avrebbe
avuto come oggetto il mio
fallimento nell’ottenere il permesso
per condurre la ricerca. Gli chiesi in
modo diretto: «Mi farai un po’ di
DMT ?»
Rifiutò. Non credeva che il suo
attuale laboratorio rispettasse i
requisiti necessari per essere
qualificato come “laboratorio di
produzione”. Sarebbe stato troppo
dispendioso in termini di tempo e
denaro cercare di metterlo a norma.
Chiesi anche al dottor David
Nichols, chimico e farmacologo
presso la Purdue University,
nell’Indiana. Mi suggerì di parlare
con il dottor K., del National Istitute
of Mental Health, che dirigeva un
programma di ricerca sulle droghe
difficili da reperire. Il dottor K.
disse che il suo contratto proibiva
l’uso dei suoi composti nell’uomo,
ma non era escluso che in futuro
avrebbe potuto richiedere di
sintetizzare droghe per uso umano.
Il dottor K. mi consigliò di chiamare
Lou G., un vecchio collega che
lavorava in un laboratorio chimico
di produzione a Chicago.
Risultò che Lou, che aveva
continuato a lavorare lì dopo che
un’altra impresa aveva acquisito la
sua compagnia, aveva fornito molta
della DMT per gli studi sull’uomo in
America. Tuttavia, la sua impresa di
Chicago non aveva dato a quei
ricercatori nessun tipo di
informazione tossicologica circa la
produzione della droga e la
sperimentazione sugli animali.
Lou fece una risata al telefono e
disse: «Gli abbiamo solo detto che
era pura, al 95% più o meno. Le
cose erano molto più facili allora».
Scrissi al National Institute on
Drug Abuse (NIDA ), chiedendogli se
avessero della DMT per uso umano.
Trascorso un mese, gli scrissi di
nuovo. Il signor W. rispose che le
droghe della NIDA di solito
arrivavano da un laboratorio della
Carolina del Nord, diretto dal dottor
C.
Chiamai il dottor C., che mi disse
che non potevano produrre droghe
per uso umano. Quando gli ricordai
di un recente studio pubblicato nel
quale il suo laboratorio lo aveva già
fatto per un altro progetto di
ricerca, mi disse che avrebbe visto
cosa si poteva fare. Anche se avesse
acconsentito a produrre la droga,
non avrebbe però redatto il macro-
file sulla droga per la FDA .
«Non voglio la responsabilità»
disse. «Non ho l’assicurazione per
produrre droghe per uso umano. Il
mio contratto non lo prevede».
Il dottor C. mi suggerì di ottenere
un po’ di DMT dalla NIDA e di
purificarla fino al 99,5% di purezza
richiesto. Pensava che potessero
avere 5 grammi di DMT “da qualche
parte”.
Quando lo domandai al signor W.,
mi rispose: «La nostra DMT è troppo
vecchia. E non abbiamo nessun
dato di produzione».
«Abbiamo un contratto con il
dottor C.» continuò. «Loro
producono quello che gli chiediamo.
C’è un altro laboratorio che prepara
le droghe per uso umano. Credo che
il problema principale siano gli
scarsi movimenti di DMT , al giorno
d’oggi. Per noi non sarebbe molto
remunerativo impiegare tanto
denaro dal nostro contratto per una
droga ancora così poco nota. Mi
lasci vedere cosa posso fare».
Alcune settimane dopo, il signor
W. mi richiamò dicendo che il
dottor C. poteva fare la DMT , ma
avrei dovuto pagarlo. Il dottor C. era
disposto a fare un preventivo, ma
ribadì che non aveva intenzione di
redigere il file sulla droga richiesto
dalla FDA . «È troppo lavoro».
Ciò non era molto promettente.
Quando chiesi alla signora R. della
FDA se avessi potuto redigere da solo
il file sulla DMT preparata dal dottor
C., mi disse che mi avrebbe fatto
sapere.
«Se il dottor C. produrrà la DMT ,
potrò davvero usarla?»
«Mi consulterò con il personale
della sezione abuso di droghe»
rispose.
«Perché non potrei?»
«Non lo so» rispose. «Forse il
nostro direttore, il dottor H., le
telefonerà».
Il preventivo del dottor C. sul
costo della DMT era di più di 50.000
dollari.
«Bene» dissi, «grazie per avermi
fatto sapere».
Un’altra porta era stata chiusa.
Telefonai alla signora R.: «Sembra
che la fortuna non sia dalla mia
parte. Cosa suggerisce di fare?»
«Andrò al Federal Archives
Building a vedere se riesco a trovare
i file sulla DMT dei precedenti
ricercatori».
Nel luglio del 1989 la signora R.
trovò i file di queste vecchie
ricerche. «I dati al loro interno sono
pessimi» disse. «Non c’è nulla:
nessun dato sugli animali, né di
carattere chimico. Abbiamo chiuso
il progetto. Non hanno mai risposto
alle nostre richieste, mandandoci i
rapporti di avanzamento. Non le
potrà essere di alcun aiuto».
«Come avete fatto ad approvare
quella ricerca?»
«Non lo so. Non lavoravo ancora
qui». Cercò di assumere un tono
fiducioso. «Le invierò le
informazioni di cui ha bisogno per
redigere il suo file sulla droga».
Le informazioni che mi inviò
erano pensate per le grandi aziende
farmaceutiche quali Lilly, Merck o
Pfizer. Non avevano nulla a che fare
con un ricercatore indipendente.
Chiamai la signora R.: «Ho
bisogno di aiuto. Perché non mi sta
aiutando?»
«Il nostro direttore è il dottor H.
Ecco il suo numero di telefono.
Insista per parlare con lui».
Chiamai l’ufficio del dottor H. La
sua segretaria disse: «Le occorre
parlare con il dottor W.».
Prima che potessi protestare,
aveva trasferito la chiamata al
dottor W.
«Sono il dottor W.!» tuonò la voce
amichevole ma autoritaria all’altro
capo del telefono. «Sono l’unico
dottore dell’unità sull’abuso di
droghe in questa nuova divisione.
So cosa sta attraversando. Siamo
qui per aiutarla. Non disperi».
«Come posso ottenere della DMT
per uso umano?» chiesi.
«Trovi qualcuno che la faccia per
lei».
«Che ne dice di Dave Nichols della
Purdue?» proposi.
«È una possibilità» rispose.
«Potrebbe parlare lei con Dave?»
«Il dr. Nichols deve scrivere al
direttore, il dottor H. Qui c’è il suo
indirizzo. La funzionaria che
lavorerà alla sua richiesta è invece
la signora M. La chiami tra due
settimane».
Sentii che con quella telefonata
qualcosa si era smosso.
Telefonai a Dave Nichols. Stimò
un prezzo di 300 dollari per la DMT
(il solo costo della fornitura).
Mentre si stavano effettuando
tutte queste telefonate, sapevo che
le sovvenzioni esterne all’Università
erano fondamentali affinché il
progetto potesse ottenere tutta la
legittimità necessaria. Un supporto
finanziario supplementare mi
avrebbe fatto guadagnare del tempo
per trovare della DMT per uso umano
e avrebbe aiutato il Centro di
Ricerca a pagare una parte del
lavoro che avevo richiesto. Ciò
avrebbe senz’altro aumentato il
sostegno del protocollo da parte del
Centro di Ricerca.
Riesaminando alcune vecchie
ricerche sulla DMT e la schizofrenia,
venni a sapere che la Scottish Rite
Foundation, un ramo della
Massoneria, ne aveva finanziate
alcune attraverso il suo programma
di ricerca sulla schizofrenia. Pensai
allora di inviare una richiesta di
finanziamento. Il mio progetto sulla
DMT già trattava dell’importanza di
comprendere gli effetti della DMT nel
suo possibile ruolo di schizotimico
endogeno. Bisognava solo
modificarlo un po’ per enfatizzare
tale aspetto più chiaramente.
Scrissi al dr. Freedman,
informandolo della mia richiesta di
sovvenzione alla Scottish Rite
Foundation. Mi rispose che faceva
parte del loro comitato di revisione
scientifica e che “forse” avrebbero
concesso un finanziamento
annuale. Nel giro di un mese, nel
settembre 1989, arrivò una notifica
di conferimento del finanziamento
della durata di un anno per il
progetto.
Scrissi di nuovo al dr. Freedman,
aggiornandolo sulla ricerca di DMT
per uso umano. Scarabocchiò una
nota sulla mia lettera e ne inviò una
copia al direttore del National
Institute on Drug Abuse, che era
stato un suo studente. La sua
lettera, piuttosto concisa, terminava
così: «A Strassman serve qualcuno
della NIDA che sia disposto a
collaborare. Qualche idea?»
A settembre telefonai al sig. W.
della NIDA . Era appena ritornato da
una riunione con il dr. C. in cui
avevano discusso di come procurare
ai ricercatori droghe della Tabella I.
«Vogliamo essere d’aiuto» disse.
«Chiami la signora B. della DEA e
veda se le può dire come ottenere il
permesso per il dr. Nichols di
produrre una piccola partita di DMT
per lei. Se la quantità è troppo
grande, dovrebbe essere nominato
fornitore ufficiale, ma non sarebbe
in grado di garantire i requisiti di
sicurezza necessari».
Chiamai la signora B.
«Dave Nichols può produrre un
po’ di DMT per uso umano per il mio
progetto?»
Lei iniziò: «Be’, se il dr. Nichols
ha intenzione di essere un
produttore, gli occorrerà rispettare
dei parametri di sicurezza piuttosto
severi. C’è un ufficio della DEA
vicino alla sua università?
Potrebbero fargli una visita e dirgli
come è opportuno muoversi. Poi il
dr. Nichols potrà decidere se è in
grado di rispettare le loro
indicazioni».
Sentii che la mia voce stava
iniziando a diventare rauca. Mi
preoccupai di quanto fossi vicino a
perderla.
«Ho cercato ovunque della DMT
per uso umano: alla Sigma e presso
un altro laboratorio chimico, al
National Institute on Drug Abuse,
al National Institute of Mental
Health, dai primi ricercatori, dal
dottor C. della Carolina del Nord.
Dave Nichols è disposto a produrne
un po’ per me, a un prezzo
incredibilmente conveniente. Ha
bisogno del suo via libera. Ho
ottenuto un finanziamento esterno
e il Centro di Ricerca dell’Università
sostiene il progetto. Sto
impazzendo. Mi sto strappando i
capelli. Ho le gengive che
sanguinano. Mia moglie non mi
sopporta più!»
Ci fu una pausa. Sentii come se
stesse allontanando la sedia dalla
scrivania.
«Oh» disse, sembrando
sinceramente preoccupata. «Mi
faccia dare un’occhiata... Sì, c’è una
clausola nel regolamento relativa ai
“casi eccezionali”. Il dr. Nichols può
produrre una piccola partita se gli
darà la sua collaborazione. In
questo modo non occorrerà che il
suo laboratorio debba rispettare
norme di sicurezza supplementari».
La sentii estrarre un grosso libro
da non so dove: «È accettabile per
lui produrla...» e iniziò a leggere un
testo «...se e nella misura in cui...»
Leggeva troppo velocemente
perché riuscissi ad annotarmi le
informazioni.
La signora B concluse: «Mi faccia
scrivere dal dr. Nichols. Ecco il mio
indirizzo. Dovrà chiedere una
rettifica del suo attuale permesso,
dichiarando quanta DMT produrrà.
Controllerò con il nostro farmacista
per accertarmi che si tratti di una
quantità ragionevole».
«Bene» conclusi. «Mi sembra
perfetto. Apprezzo davvero il suo
aiuto».
Telefonai al dottor W. Mi confidò
ufficiosamente che il mio progetto
stava mettendo in luce una lacuna
delle leggi sulle droghe: come
possono dei ricercatori fare uno
studio sulle droghe d’abuso?
Poi mi descrisse in dettaglio come
soddisfare i venti requisiti stabiliti
dalla FDA nella lettera di quattro
pagine che mi aveva inviato alcuni
mesi prima. Questi passaggi
avrebbero fornito alla FDA le
informazioni di cui aveva bisogno
per determinare se la DMT fosse
“sicura per l’uso umano”.
Il Dipartimento di Psichiatria
dell’Università del New Mexico
acconsentì a pagare a Dave Nichols i
300 dollari per la DMT . Tuttavia, non
avrebbero compilato l’assegno fino
a quando la DEA non avesse
rilasciato il permesso per la Tabella
I.
La DEA non avrebbe approvato la
richiesta di Dave per poter produrre
la DMT , né il mio permesso per
entrarne in possesso, fino a quando
la FDA non avesse approvato il
protocollo. La FDA non poteva darmi
l’autorizzazione fino a quando non
fossi entrato in possesso della droga
e avessi fatto i test di sicurezza. Alla
DEA occorreva anche la conferma
della FDA che Dave potesse andare
avanti e produrre la droga.
Quattro mesi dopo, nel gennaio
1990, finalmente Dave ricevette
l’approvazione della DEA per
produrre la DMT . Ordinò subito i
precursori e si mise al lavoro.
Nel frattempo, avevo ricevuto una
partita di DMT da laboratorio dalla
Sigma e l’avevo messa nel
congelatore dotato di lucchetto
all’interno della camera di sicurezza
destinata ai narcotici della farmacia
dell’ospedale. Erano cento
milligrammi, un decimo di grammo,
all’interno di una piccola fiala. Il
Centro di Ricerca iniziò a sviluppare
un metodo per misurare la DMT nel
sangue umano.
Inoltre, ricevetti un punteggio
elevato dalla NIDA per fare domanda
di finanziamento per il mio studio
sulla DMT con buone probabilità di
poterlo ottenere. Due finanziamenti
approvati ma niente droga! Era
paradossale. Tutti volevano che la
ricerca venisse realizzata, ma
nessuno sapeva come procurarmi la
droga necessaria a svolgerla.
Entro febbraio la DEA aveva
raccolto informazioni sufficienti
dalla FDA per sapere che il protocollo
era abbastanza buono perché la FDA
lo approvasse “in linea generale”. La
DEA acconsentì a darmi il permesso
per la Tabella I. Tuttavia la signora
L., il mio contatto presso di loro, mi
telefonò dandomi alcune cattive
notizie:
«La Diversion Control ha bloccato
il permesso».
«Cos’è la Diversion Control?»
chiesi.
«Cercherò di chiedere che
facciano eccezione per la sua
richiesta. La richiamerò la
settimana prossima».
Il giorno seguente, la signora B.
della DEA , la donna che aveva
sbloccato l’impasse, mi telefonò per
dirmi che Dave era un produttore a
tutti gli effetti e avrebbe dovuto
quindi rispettare ulteriori requisiti
di sicurezza. Non sapevo cosa dire.
«Non so cosa dire» le dissi.
«Qui c’è il nome e il numero di
telefono dell’agente della DEA di
Indianapolis, vicino alla Purdue
University. Lui è responsabile per
quella zona. Dirà al dr. Nichols cosa
deve fare».
Mi richiamò quello stesso giorno:
«Mi scusi. Il dr. Nichols sta facendo
un’altra droga e abbiamo mischiato
quella richiesta con la sua per la
DMT . È stato un mio errore. Può
andare avanti secondo il
programma».
Dave mi contattò alla fine di
quella settimana, dicendo che i
legali della Purdue gli stavano
sconsigliando di produrre la DMT per
questioni relative alla
responsabilità professionale.
Chiamai il signor W. della NIDA e gli
chiesi se in passato ci fossero stati
reclami per negligenza nelle
ricerche che prevedevano l’uso di
droghe della Tabella I.
Mi diede qualche notizia
incoraggiante: «Non ci hanno mai
citato in giudizio per aver fornito
marijuana, una droga della Tabella
I , per la ricerca sull’uomo. Si
assicuri solo di avere un
ineccepibile documento per il
consenso informato».
Quel giorno telefonò di nuovo e
mi fece parlare con il legale della
NIDA ,che mi disse: «Potrebbe venire
citato in giudizio lei per primo, poi
la sua università, poi forse la FDA e
più remotamente il dr. Nichols.
Tutto quello che lui sta facendo
avviene nel rispetto delle norme
della FDA . Non è suo il compito di
decidere chi somministra quale
dose a chi: questa è una sua
responsabilità, dr. Strassman».
Lo dissi a Dave e lui mi rispose:
«Spero che tu sappia quello che fai.
Per me e per i nostri avvocati è un
vero atto di fede nei tuoi confronti».
Maggio e giugno trascorsero alla
ricerca di un laboratorio per
condurre i test richiesti dalla FDA
non appena la DMT fosse arrivata.
Un test richiedeva che la DMT
venisse esaminata in un laboratorio
esterno, ma i primi due laboratori
che contattai si rifiutarono di
lavorare con una droga della Tabella
I . Infine, una terza compagnia
accettò di effettuare i test.
Entro il luglio 1990 Dave aveva
prodotto la droga e stava
conducendo tutti i test che
occorrevano alla FDA per
determinarne la natura e la purezza.
Era pura quasi al 100%.
All’inizio di luglio inviò cinque
grammi di DMT alla mia clinica
tramite un corriere espresso. Quel
giorno la tenni nel mio ufficio e
prima di ritornare a casa la portai
alla farmacia dell’ospedale.
Chiamai il dottor W. per dirgli che
la DMT era arrivata e che potevano
volerci alcuni mesi per eseguire
tutti i test e raccogliere i risultati.
«Metti tutto insieme e invialo alla
signora R., il chimico, e alla signora
P.» disse. «Chiamale dopo una
settimana. Ti diranno di non aver
mai visto la tua lettera. Poi
chiamami se nel giro di due
settimane non ricevi notizie. Una
volta un poveretto, dopo aver
ottenuto il permesso dovette
aspettare un mese prima che gli
trovassimo qualcuno che gli
scrivesse una lettera».
La farmacia preparò della DMT
diluita in soluzione salina. Era
questo il modo in cui l’avrei
somministrata ai volontari. Il
farmacista la divise in cento fiale di
vetro. I campioni per i test della FDA
sarebbero venuti da lì. Avevo alcune
domande dell’ultimo minuto e a
settembre chiamai la signora R.
Non ci eravamo parlati per alcuni
mesi. «Ho bisogno di far mente
locale sul suo caso» disse. Dopo
alcune conversazioni telefoniche mi
fornì le informazioni necessarie.
Per la fine di ottobre tutti i test
erano stati completati e la DMT li
passò tutti. Misi insieme il tutto, lo
imballai e lo inviai alla FDA per posta
celere. Dopo una settimana iniziai
le chiamate. Nessuno rispose ai
numerosi messaggi che lasciai in
segreteria. Telefonai al dottor W.
«Qual è il problema?» domandò.
«Di solito mi telefona quando le
cose non stanno andando bene».
«Posso iniziare la mia ricerca
sulla DMT ?»
«Andrò a dare un’occhiata per
vedere cosa riesco a scoprire».
Telefonai di nuovo all’inizio di
novembre. La segretaria mi informò
che la loro divisione aveva cambiato
ufficio, ma che controllavano i
messaggi ogni mezz’ora.
La sera del 5 novembre 1990 la
signora M., il mio funzionario di
progetto, mi telefonò: «Il blocco al
suo progetto è stato rimosso».
«Una conferma verbale è tutto
quello che mi occorre?»
«Sì».
«L’Università non lo accetterà.
Potrebbe mandarmi una lettera via
fax?» chiesi.
«Gliela manderò domani».
Il mese di novembre nelle
montagne del New Mexico è freddo
e secco, ventoso e rigido. Feci molte
di queste telefonate dalla mia casa
nelle Manzano Mountains, a sud-
est di Albuquerque. Qualche volta
scherzavo con gli amici sul fatto che
i miei moduli di richiesta dovevano
essere approvati solo perché
nessuno del District of Columbia
poteva godere di un panorama bello
come il mio.
Il laboratorio tessile della mia ex
moglie era in un edificio separato,
distante poco più di una decina di
metri dalla casa. Riattaccando il
telefono dopo quell’ultima
conversazione con la signora M., mi
preparai ad affrontare il vento
freddo e mi avviai lentamente verso
casa, camminando lungo il sentiero
di ghiaia che mi scricchiolava sotto i
piedi, per condividere le notizie
ricevute.
«Hanno detto che posso iniziare».
Mi sdraiai sul freddo pavimento di
cemento con lo sguardo rivolto al
soffitto.
«È grandioso, caro» replicò la mia
ex moglie chinandosi a terra per
darmi un bacio sulla guancia.
Nei successivi dieci giorni
telefonai ogni giorno chiedendo del
fax. Arrivò il 15 novembre. Alla fine
del fax scritto a mano la signora M.
aveva annotato: «Buon Giorno del
Ringraziamento!»
Quel giorno il laboratorio
universitario mi chiamò per dirmi
che la DMT che era stata messa nelle
fiale di vetro si era decomposta del
30% ed era troppo diluita per essere
usata. Chiamai il tecnico di
laboratorio.
«Come ha calcolato la
concentrazione?»
«In base al peso della DMT
purificata» rispose.
«Non è purificata. È una
soluzione salina».59
«Ah, non lo sapevo. Mmm,
vediamo. Ha ragione. È la
concentrazione corretta, dopotutto.
Mi scusi».
Quattro giorni dopo diedi a Philip
la prima dose di DMT .

58. 1. Rick J. Strassman, Human Hallucinogenic


Drug Research in the United States: A Present-
Day Case History and Review of the Process, in
«Journal of Psychoactive Drugs», n. 23, 1991,
pp. 29-38.

59. La forma in soluzione salina era


indispensabile affinché la DMT si dissolvesse
nell’acqua. È come per la cocaina: in forma pura
non si scioglie nell’acqua, mentre lo fa se è in sali
PARTE III

SET, SETTING E DMT


Capitolo 7
ESSERE UN VOLONTARIO

Ottenni l’approvazione per lo


studio sulla DMT alla fine del 1990 e
subito, con Philip e Nils nel ruolo di
cavie, determinai il dosaggio
ottimale e la modalità di
somministrazione della droga. Era
ora di iniziare a ingaggiare i
volontari. Sebbene avessi trovato
molti volontari tra i miei amici di
vecchia data, dovevo ampliare il
gruppo dei soggetti della ricerca,
coinvolgendo persone al di fuori
della mia cerchia di conoscenze.
Ero restio a far pubblicità. Un
annuncio di questo tipo sarebbe
potuto sfociare in una marea di
telefonate e non avevo il tempo per
parlare con tutti coloro che
avrebbero chiamato solo per
curiosità. Un appello pubblico,
inoltre, sarebbe potuto arrivare ai
media locali, attirando attenzioni
indesiderate.
Nel considerare la possibilità di
reclutare degli studenti
dell’Università del New Mexico, mi
ricordai dei problemi che Leary e i
suoi collaboratori avevano avuto ad
Harvard per aver coinvolto dei
laureandi nel loro programma. Se
avessi fatto propaganda in
università alla ricerca di volontari,
questi avrebbero dovuto essere
studenti laureati, piuttosto che i più
giovani e meno maturi studenti non
laureati. Inoltre, non volevo inserire
più di un rappresentante per
ciascuna facoltà. La ricerca di Leary
ad Harvard aveva creato delle
cricche di studenti universitari che
facevano uso di droga. Tali studenti
avevano sviluppato una mentalità
del “noi” contro “loro” che aveva
contribuito a generare forti
contrasti all’interno delle facoltà tra
coloro che erano coinvolti nella
ricerca psichedelica e coloro che
non lo erano. Tale ostilità,
contrassegnata da invidia e spirito
di competizione, fu un fattore
decisivo per l’espulsione da Harvard
del gruppo di Leary.
Diversi volontari di questo nuovo
gruppo erano mie conoscenze in
società o in campo professionale.
Due erano colleghi del dipartimento
di psichiatria, uno era amico della
mia ex moglie e sette facevano parte
di una comunità nella quale sarei
entrato alcuni anni dopo l’inizio
della ricerca. Le circa trenta persone
che rimanevano vennero a sapere
dello studio tramite il passaparola;
alcuni erano amici dei volontari,
altri avevano ricevuto le newsletter
psichedeliche che descrivevano la
ricerca di Albuquerque, altri ancora
ne furono informati casualmente
durante conversazioni in cui si
discuteva di tali argomenti.
Per comodità inventerò un
ipotetico volontario di nome Alex,
un maschio di trentadue anni,
sposato, che lavora come
programmatore di software fuori
Santa Fe. Dal momento che la
maggior parte dei soggetti della
ricerca erano uomini, spero che
nessuno se ne abbia a male per aver
preso un maschio come volontario
tipo.
Il primo passo di Alex era quello
di telefonare al mio ufficio; gli
avrebbe risposto la segretaria del
dipartimento di psichiatria e in
seguito un membro del team di
ricerca. Dopo un breve colloquio
sull’età, le precedenti esperienze
psichedeliche e la sua salute fisica e
mentale, fissavo un appuntamento
con Alex per incontrarlo nel mio
ufficio del dipartimento.
Prima dell’incontro gli inviavo
una serie di documenti, tra cui una
copia del modulo sul consenso
informato, alcuni articoli sulla DMT
e un articolo che avevo scritto
alcuni anni prima sulla ghiandola
pineale, la DMT e la coscienza. In
seguito, quando il progetto era già
ben avviato, includevo anche gli
articoli che riportavano i risultati
del nostro lavoro.
Questo incontro durava come
minimo un’ora. Dovevo saperne
abbastanza su Alex da decidere se
coinvolgerlo o meno nello studio. In
maniera analoga, Alex aveva
bisogno di accertarsi che fossi
qualcuno di cui potersi fidare, dal
momento che avrei supervisionato
le sue profonde esperienze
psichedeliche con la DMT .
Una questione importante
riguardava la stabilità della sua vita
all’epoca. Se fosse stata caotica,
sarei stato riluttante a ingaggiarlo.
Se si fosse trovato in una fase di
transizione, avrebbe potuto
decidere di trasferirsi nel corso
dello studio. Se la sua capacità di
mantenere le relazioni fosse
sembrata scarsa, avrebbe potuto
non riuscire a far fronte ai potenti
effetti destabilizzanti della DMT .
Avrebbe potuto avere problemi a
fidarsi del team di ricerca mentre
era sotto effetto, oppure non
avrebbe potuto essere in grado di
trovare supporto tra una sessione e
l’altra nel caso in cui le sue
esperienze fossero state
particolarmente traumatizzanti.
Se Alex stava facendo uso di
droghe o di alcolici, avrebbe dovuto
limitarne le quantità o smettere di
assumerli. Ciò valeva in particolare
nel caso della cocaina o degli
psichedelici, in quanto avrebbero
potuto influenzare le sue risposte
alla DMT .
Le informazioni riguardo
precedenti esperienze con le droghe
psichedeliche erano di
fondamentale importanza. Il
numero di tali esperienze non era
così importante quanto il fatto che
fossero state completamente
psichedeliche. Poiché le sessioni
con alte dosi di DMT lo avrebbero
probabilmente catapultato nello
spazio psichedelico molto più di
quanto gli fosse capitato in passato,
volevo essere ragionevolmente
sicuro che Alex fosse perlomeno
familiare con quel territorio.
«Quanto lontano ti sei spinto
durante un’esperienza
psichedelica?» domandavo ad Alex.
«Hai creduto di morire o di perdere
ogni contatto con il tuo corpo e con
il mondo esterno?»
Era difficile scoprire se Alex fosse
saldo e responsabile sotto effetto.
In un certo senso ero più
interessato a sentire dei suoi bad
trip anziché delle sue esperienze
positive, perché sapevo che il nostro
setting avrebbe generato alcuni
momenti spiacevoli.
Idealmente, la natura della ricerca
psichedelica è altamente
collaborativa. Oltre al fatto di
sentirmi a mio agio con Alex, lui
aveva il diritto, e la responsabilità
verso se stesso, di sapere cosa
avrebbe provato quando gli avrei
somministrato la DMT . Alex
domandava quali erano le mie
motivazioni per la ricerca, cosa
speravo di scoprire e come
supervisionavamo le sessioni. Si
chiedeva se svolgessi qualche
pratica religiosa e mi faceva
domande sulla mia personale
esperienza con gli psichedelici. Il
modo in cui rispondevo alle sue
preoccupazioni e alle sue domande
gli fornva preziose informazioni di
carattere emotivo.
Una settimana dopo ci
incontravamo al 5-East, l’ala di
ricerca dell’ospedale dell’Università
del New Mexico, per gli esami
clinici. Prelevavamo il sangue per i
test medici di base ed effettuavamo
un elettrocardiogramma (ECG) per
valutare la sua salute cardiaca.
Ci raccoglievamo tutti attorno ad
Alex per guardare le sue vene
gonfiarsi sotto la pelle dopo che
l’infermiera gli aveva posto il laccio
emostatico al di sopra del gomito.
Delle vene efficienti erano un
elemento importante per una
partecipazione soddisfacente dei
volontari, dato che avremmo
prelevato molto sangue. Se le vene
di Alex collassavano o si ostruivano
facilmente, ciò gli avrebbe causato
parecchia tensione durante le
sessioni.
Esaminavo in modo
estremamente dettagliato la sua
storia clinica e lo sottoponevo a una
visita medica. I risultati dei test
clinici erano importanti, così come
lo era stabilire tra noi una solida
relazione prima di somministrare e
di ricevere la DMT . Il fatto di porre
ad Alex delle domande talvolta
imbarazzanti sulla sua salute, di
toccarlo e di relazionarmi con lui a
un livello fisico di base aiutava a
stabilire un fondamento di fiducia e
confidenza sul quale speravo che
avremmo potuto fare affidamento
nel momento in cui si sarebbe
trovato nella morsa delle potenti,
disorientanti e potenzialmente
regressive sessioni di DMT .
I valori degli esami in laboratorio
di Alex e quelli dell’ECG erano
normali, così procedevamo con la
visita psichiatrica. Questo colloquio
psichiatrico formale seguiva la
compilazione di un formulario di
novanta pagine e potevano volerci
diverse ore. Laura, la nostra
infermiera ricercatrice, effettuava
tutti i colloqui; era la loro prima
occasione per conoscersi. Laura poi
congedava Alex con un’ulteriore
pila di questionari e scale di
valutazione.
Dopo che ce li riconsegnava,
fissavamo le prime sessioni di
prova, non in cieco, con la DMT : una
bassa dose di 0.05 mg/kg seguita da
una dose elevata di 0.4 mg/kg il
giorno seguente. Per Alex e gli altri
uomini le prime sessioni potevano
aver luogo ogniqualvolta i nostri
programmi lo permettevano. Nel
caso delle donne avevamo invece
bisogno di standardizzare il periodo
del ciclo mestruale nel quale
avremmo potuto effettuarle.
Decidemmo che alle donne
sarebbero state somministrate le
prime due dosi, e tutte quelle
successive, durante i primi dieci
giorni dopo il termine delle
mestruazioni.
Il giorno del suo ingresso, Alex
lasciava la sua auto nel parcheggio
sul lato meridionale dell’ospedale.
Diceva al custode che stava
entrando per uno “studio
sperimentale” e gli veniva data
l’etichetta appropriata. Dopo aver
attraversato il cavalcavia del
trafficato Lomas Boulevard,
raggiungeva l’Ufficio Accettazione
dove il personale lo registrava come
DMT -22 per poi condurlo al quinto
piano del Centro di Ricerca. Alex
oltrepassava l’ambulatorio ed
entrava nel reparto dopo aver
varcato una serie di doppie porte.
Alex si registrava al bancone
dell’infermeria, dove lo accoglieva
una delle infermiere di turno.
«Buongiorno DMT -22» diceva.
«Come va?»
«Bene, anche se è strano essere
chiamato DMT -22».
«Oh, non ti preoccupare. Noi ci
siamo abituati. Vieni, lascia che ti
sistemi il tuo braccialetto
d’identificazione».
Gli allacciava dunque il
braccialetto al polso e lo conduceva
nella stanza 531.
All’inizio usavamo qualsiasi
stanza del Centro di Ricerca fosse
disponibile. L’ideale era averne una
situata in un luogo tranquillo,
lontano dai rumori della postazione
infermieristica e della cucina, ma
non troppo vicina alle doppie porte
che conducevano al 5-East.
In certi giorni avevamo poca
scelta riguardo alla stanza e
pertanto il setting poteva essere
lugubre. Ad esempio, a volte
dovevamo usare una stanza
rivestita di piombo che si trovava
alla fine del reparto, destinata ai
pazienti sottoposti a radioterapia
per il cancro. Altri giorni dovevamo
usare la “stanza di trazione”,
destinata ai pazienti che soffrivano
di molteplici traumi e fratture alle
ossa. Una “gabbia” sopra il letto
forniva speciali punti di accesso per
corde, pulegge e cavi che
permettevano di mantenere sospesi
gli arti ingessati dei pazienti. Alcuni
volontari affermarono di non essere
infastiditi dalla gabbia, ma
personalmente la trovavo
inquietante e raccapricciante. Dopo
un paio di sessioni in cui fummo
costretti a girarle intorno, mi
assicurai che la struttura venisse
smontata prima di iniziare.
Un’altra stanza alla fine dello
stesso reparto era la stanza dei
trapianti di midollo osseo.
Completamente sterilizzata, con un
soffitto pieno di ventole ad alta
potenza e due serie di doppie porte
che la separavano da un’anticamera,
era un ambiente asettico dove i
pazienti soggetti a gravi infezioni
potevano restare relativamente al
sicuro. Fortunatamente c’erano
degli interruttori che permettevano
di spegnere le ventole.
Ci occorreva una stanza più bella e
feci richiesta per ristrutturare una
stanza del reparto per la quale
avremmo avuto la priorità
nell’assegnazione. I finanziamenti
concessi dal National Institute on
Drug Abuse includevano i fondi per
questa ristrutturazione.
Scegliemmo la stanza 531.
Questa stanza era quadrata, di
circa quattro metri e mezzo per lato,
ed era abbastanza tranquilla,
essendo l’ultima del corridoio sul
lato nord. Alla fine del corridoio
c’era una porta che dava sulle scale,
e di traverso, ma più vicina alle
scale, c’era la stanza rivestita di
piombo. Direttamente di fronte alla
stanza 531 c’era l’entrata della
stanza per i trapianti di midollo
osseo, ma dalla nostra porta era
difficile vedere cosa ci fosse dentro.
Mi rivolsi al dipartimento di
ingegneria clinica dell’ospedale per
fare alcune modifiche alla stanza. I
falegnami coprirono i tubi e i fili
che spuntavano dal pannello dietro
il letto e costruirono un armadietto
sotto il lavandino per nascondere le
tubature. La porta fu isolata per
proteggere la stanza dai rumori
provenienti dal corridoio. E dopo
una seduta particolarmente
snervante nella quale l’altoparlante
sul soffitto continuava a
strombazzare rumori molesti,
l’elettricista installò un interruttore,
controllato dalla postazione
infermieristica, in grado di
disattivarlo.
Potemmo fare ben poco per il
letto perché doveva essere a norma,
e gli speciali letti d’ospedale sono
scandalosamente costosi. Una
testiera e una pediera in legno
davano alla stanza un tocco
piacevole. Ad ogni modo, un
bell’arredamento faceva la
differenza: una sedia a dondolo e un
poggiapiedi per me, una sedia
comoda e larga per Laura o per le
altre infermiere e due sedie per i
visitatori.
Insieme alla mia ex moglie,
un’artista dell’arazzo, studiammo
attentamente diversi campioni di
stoffa per ricoprire le sedie prima di
trovarne uno che faceva al caso
nostro. Il motivo doveva infondere
tranquillità, ma non essere troppo
scialbo da deprimere o smorzare
l’umore e le percezioni dei volontari
nel momento in cui avrebbero
aperto gli occhi. Doveva inoltre
essere coerente con i particolari
effetti visivi provocati dall DMT , ma
non così stimolante da spaventare o
disorientare i volontari nel
momento in cui avrebbero rivolto il
loro sguardo alla stanza nel loro
stato fortemente alterato. Il motivo
migliore era un gradevole blu dalle
sfumature colorate, con puntini,
macchioline e fantasie all’interno.
Uno spesso tappeto azzurro chiaro e
le pareti ridipinte con un
rassicurante blu tenue al posto del
precedente bianco acceso diedero il
tocco finale al rinnovamento della
stanza.
Nonostante queste modifiche alla
stanza 531, restarono però alcuni
piccoli e insormontabili problemi.
Dato che ora la stanza era isolata
acusticamente dal corridoio
esterno, la ventola sul soffitto era
più rumorosa che mai. Molti
volontari non vi facevano caso, ma
altri ne erano piuttosto infastiditi.
Inoltre, la parete del bagno
confinava con la doccia della stanza
affianco. Si sentiva chiaramente
quando qualcuno usava la doccia. E
se la persona stava male, sentivamo
i colpi di tosse, i gemiti e i pianti
attraverso la parete.
Un altro fattore sul quale non
avevamo controllo erano i rumori
provenienti dall’esterno
dell’ospedale. Il caotico aeroporto
internazionale di Albuquerque e
un’importante base militare
dell’Aeronautica degli Stati Uniti si
trovavano pochi chilometri a sud
dell’ospedale. Sebbene i voli si
concentrassero a sud, lontano
dall’ospedale, talvolta le condizioni
atmosferiche costringevano i jet a
passare sulle nostre teste. Il
rumore, per quanto attutito dai
doppi vetri delle finestre, poteva
essere stridente. Anche i rumori
provenienti dall’area circostante
l’ospedale potevano essere irritanti,
in particolare quelli che giungevano
dal compattatore di rifiuti che si
trovava proprio sotto la finestra
della stanza 531.
Una volta che Alex si era
sistemato nella stanza 531,
l’infermiera che lo aveva
accompagnato gli misurava il
battito cardiaco, la pressione
sanguigna, il peso e la temperatura.
Qualcuno del personale della cucina
veniva a chiedere ad Alex cosa
avrebbe voluto bere e mangiare
dopo la sessione: uno spuntino, una
colazione, un pasto vegetariano o a
base di carne. Raramente
ricevemmo lamentele riguardo al
cibo!
Laura era l’infermiera che mi
avrebbe assistito quel giorno. Al suo
arrivo, iniziava a preparare la dose
minima. Metteva sotto il braccio di
Alex un telo di plastica blu di circa
35 cm per proteggere le lenzuola
dalla soluzione antisettica e per
assorbire le macchie di sangue che
sarebbero potute fuoriuscire dalla
cannula endovenosa prima di
poterla tappare. Quindi disinfettava
la zona dell’avambraccio in cui
avrebbe inserito la flebo con la
soluzione sterile. Posizionava poi il
bracciale per la misurazione della
pressione attorno all’altro braccio e
rilevava nuovamente il battito
cardiaco e la pressione sanguigna.
Durante i primi giorni di test non
in cieco con la DMT non prelevavamo
il sangue. Tutto quello che ci
occorreva per somministrare la DMT
era un piccolo ago. Tuttavia, se
avessimo voluto prelevare dei
campioni di sangue, Laura avrebbe
inserito nell’altro braccio
un’apparecchio più complicato,
composto da alcune cannule
aggiuntive che permettevano di
prelevare il sangue e di fornire allo
stesso tempo un costante ricambio
di soluzione salina sterile nella
vena. Dopo aver prelevato il sangue,
Laura avrebbe iniettato all’interno
della vena un po’ di eparina, una
sostanza anticoagulante, per ridurre
la possibilità di trombosi.
L’ostruzione di quell’ago avrebbe
significato una giornata
particolarmente impegnativa,
poiché tutto dipendeva dalla
misurazione dei livelli delle diverse
sostanze nel sangue.
Nei giorni di prelievo dovevamo
tenere congelati i campioni, e a tale
scopo tenevamo accanto al letto un
contenitore con del ghiaccio.
Bisognava aspettare prima di
trasferire nelle provette il sangue
raccolto nelle siringhe. Era meglio
rimuovere i tappi di queste provette
prima che iniziasse la seduta,
altrimenti avrebbero prodotto un
botto fastidioso al momento
dell’apertura.
Infine c’era la sonda rettale o
“termistore”. Volevamo misurare la
temperatura diverse volte prima,
durante e dopo la somministrazione
di DMT . Bisognava dunque
mantenere il termometro nella
giusta posizione durante la
sessione, piuttosto che richiedere
ad Alex di interagire attivamente
con un’ulteriore apparecchiatura. I
dati più attendibili sulla
temperatura sono quelli rilevati a
livello rettale, e ciò ci fece
propendere per l’utilizzo di una
sonda rettale. Laura gliela inseriva
mezz’ora prima della seduta e
restava in posizione fino a quando
avevamo finito. La sonda, di circa 3
mm di diametro, era costituita da
un tubo rivestito in gomma
piuttosto flessibile. Si inseriva per
circa 10-15 cm senza causare alcun
disagio, eccetto in coloro che
soffrivano di emorroidi. Nonostante
venisse fissata col nastro adesivo,
talvolta scivolava fuori se un
volontario era particolarmente
agitato durante la sessione. Solo
Nils rifiutò la sonda rettale.
La sonda era collegata a un
piccolo computer portatile che
rilevava la temperatura ogni
minuto. Lo agganciammo al
corrimano del letto e dopo la fine
della sessione scaricavo i dati
direttamente nei computer del
Centro di Ricerca.
Prima che tutti questi preparativi
fossero finiti, anche in una giornata
di prelievi del sangue in doppio
cieco, Alex era rimasto nella stanza
per non più di venti minuti.
Eravamo efficienti.
Di solito arrivavo nel reparto circa
30-40 minuti prima della
somministrazione di DMT . Chiedevo
all’infermiera dell’accettazione che
aspetto aveva Alex per avere una
prima idea di come sarebbe stata la
mattinata. Nella stanza 531,
scambiavo alcune battute con Alex e
poi andavo a prendere la DMT .
Dopo aver fatto sei rampe di scale
per raggiungere il piano terra,
giravo a destra facendomi strada nel
corridoio minato di contenitori. La
solida porta di metallo della
farmacia era a sinistra. Un avviso
scritto in grassetto ordinava: NON
SUONARE PIÙ DI UNA VOLTA . SPINGERE
RAPIDAMENTE E CON DELICATEZZA DOPO
CHE LA PORTA SI È APERTA .
Premevo il
pulsante del citofono. Una
videocamera a circuito chiuso era
puntata su di me.
C’erano giorni in cui, nonostante
il mio buonsenso, suonavo più di
una volta: non riuscivo ad aspettare
troppo a lungo nel corridoio. A volte
non ero abbastanza svelto da
spingere subito la porta quando si
apriva e dovevo suonare di nuovo.
All’interno c’era un bancone che
percorreva in lunghezza una stretta
anticamera, da cui si innalzava una
parete, alta circa un metro e venti,
di vetro spesso, probabilmente
antiproiettile. Oltre il vetro si
vedevano alcuni farmacisti al
lavoro, e dietro di loro c’era il
deposito di tutti i medicinali
dell’ospedale, compresa la camera
di sicurezza destinata ai narcotici.
Il farmacista assegnato alla ricerca
apriva la stanza dei narcotici,
oltrepassava alcune porte e apriva il
lucchetto del piccolo congelatore
che conteneva le nostre droghe.
Aveva riempito la siringa con la
dose programmata di DMT la sera
prima. Metteva solo il tappo alla
siringa, perché inserirvi un ago era
un procedimento scomodo e
potenzialmente pericoloso: avrebbe
potuto iniettarsi per sbaglio la DMT .
La soluzione con la droga
all’interno della siringa era
congelata e la mettevo nel mio
taschino affinché potesse iniziare a
scongelarsi mentre firmavo i vari
moduli.
Tornando al reparto, annunciavo
alle infermiere al bancone che
l’iniezione avrebbe avuto luogo di lì
a quindici minuti. Il mio
avvertimento aveva l’intento di
creare un’atmosfera di serenità
all’interno di quel reparto, di solito
molto frenetico. Le infermiere
avevano sentito alcune strane storie
dai volontari, e a volte persino urla
e pianti provenire dalla stanza delle
sessioni, e dunque sapevano che
stava per iniziare qualcosa di serio.
Disattivavano l’altoparlante della
stanza 531 e aspettavano il mio
ritorno dopo circa un’ora. Poi
andavo in infermeria e preparavo
una siringa di soluzione salina
sterile per l’infusione che avrebbe
seguito l’iniezione di DMT . Inserivo
un ago nella siringa contenente DMT
e infine mi infilavo in tasca dei
tamponi imbevuti di alcol per
disinfettare l’estremità del catetere
in cui avrei iniettato la DMT ad Alex.
Tornavo nella stanza di Alex e
mettevo fuori la porta il cartello
Sessione in corso. Non disturbare.
A volte non bastava nemmeno
questo. In un paio di occasioni
alcuni inservienti, abituati a entrare
nelle stanze dell’ospedale a proprio
piacimento, si introdussero nella
stanza rumorosamente durante le
sessioni. Anche le telefonate
inattese erano sgradite. Dopo
essermi assicurato che il telefono
fosse staccato dalla presa, andavo a
sedermi sulla mia sedia accanto ad
Alex.
«Qui c’è la DMT » gli dicevo,
estraendo la piccola siringa dal
taschino e posandola sul letto
accanto alla gamba di Alex.
Impiegavamo alcuni minuti a
passare in rassegna i punti più
importanti e a prepararci per la
sessione. Mentre parlavamo, aprivo
il cassetto superiore del comodino
accanto al suo letto e prendevo
un’altra fiala contenente la
soluzione salina sterile. Inserendo
l’ago nella fiala, prelevavo una
quantità di soluzione salina
sufficiente quasi a riempire la
siringa contenente la DMT . Tale
volume supplementare nella siringa
rendeva più facile controllare la
velocità dell’iniezione. Le
infermiere volevano che tenessi
separate le fiale contenenti
soluzione salina per questo scopo
da quelle che usavano loro.
Temevano che se una goccia o due
di DMT si fosse versata in una delle
loro fiale, ciò avrebbe potuto
causare un inaspettato e spiacevole
trip a uno degli altri pazienti del
reparto.
Mentre parlavo e ascoltavo, davo
inizio al mio personale rituale:
sistemavo il mio taccuino giallo in
una cartellina portablocco e
scrivevo il numero DMT di Alex, la
data, il numero di protocollo e la
dose. Nel margine sinistro tracciavo
una colonna dei minuti in cui avrei
misurato la pressione sanguigna e il
battito cardiaco: -30, -1, 2, 5, 10, 15 e
30.
«Hai fatto qualche sogno la notte
scorsa?» domandavo.
I sogni di un volontario la notte
prima dello studio avrebbero potuto
darci un’idea del tipo di paure,
speranze e desideri circa
l’imminente sessione o quelle
precedenti. Alex non ne ricordava
nessuno.
Tiravo fuori dalla tasca la siringa
con la soluzione salina e i tamponi
imbevuti di alcol e li mettevo tutti
sul letto accanto alla soluzione di
DMT .
«Hai assunto qualche farmaco
stamattina o ieri sera?»
«No».
«Cosa farai dopo la sessione di
oggi?»
«Ho alcune ore di lavoro da
sbrigare. Poi non ho molto da fare.
Mi rilasserò, penserò al più e al
meno e mi farò una bella dormita».
A volte queste brevi conversazioni
sembravano dei veri e propri
colloqui di counseling o delle
sedute di terapia. Problemi nelle
relazioni, preoccupazioni sul lavoro
o nello studio, questioni di carattere
spirituale o religioso sollevate dalla
partecipazione alla ricerca: era
importante esprimere tutto ciò
prima di iniziare un’avventura così
intensa e profonda nei reami della
DMT .
Iniziavo a dire ad Alex cosa
aspettarsi.
«Oggi la dose di DMT è piccola.
Potresti quasi non accorgertene. Ma
non sottovalutare troppo la cosa. È
meglio essere eccessivamente
preparati che colti di sorpresa. Noi
non faremo quasi nulla quando la
DMT sarà dentro di te. Ci siederemo
tranquilli, staremo attenti, ti
controlleremo, saremo a tua
disposizione e ti circonderemo di
sensazioni e pensieri positivi. Se
avrai bisogno di contatto umano,
basta che allunghi la mano e
qualcuno la prenderà. Se perderai il
controllo, saremo qui per aiutarti.
Ad ogni modo, si tratta della tua
esperienza, non della nostra. Per lo
più, sarai da solo».
Nelle prime sessioni dello studio
sulla DMT raccomandavo ai volontari
di chiudere gli occhi prima di
iniziare e di riaprirli quando gli
effetti cominciavano a svanire. A
volte, tuttavia, lo shock iniziale di
un’esperienza ad alto dosaggio di
DMT spingeva automaticamente ad
aprire gli occhi nel tentativo di
orientarsi. Ciò, quasi sempre,
peggiorava le cose. La stanza, già
piuttosto minacciosa, poteva
assumere ai loro occhi tinte ancora
più inquietanti, e sia io che
l’infermiera, con i nostri volti
inesorabilmente trasfigurati,
probabilmente non avremmo avuto
un aspetto gradevole. Pertanto, a
questo punto della sessione
mettevamo a tutti i volontari delle
mascherine nere, come quelle di
seta morbida utilizzate da chi
viaggia in aereo o da chi ha bisogno
di dormire durante il giorno. Fu
piuttosto difficile reperirle nelle
farmacie locali.
Dopo aver fatto questa
introduzione, dicevo: «Prenditi tutti
il tempo che ti serve per prepararti.
Ti potrebbe essere d’aiuto
concentrarti sul respiro o sulla
sensazione del tuo corpo nel letto.
Ciò faciliterà il processo del
lasciarsi andare. Quando sei pronto,
fammelo sapere. Ti avvertirò cinque
o dieci secondi prima di iniziare
l’iniezione. Mi piace cominciare a
somministrare la droga quando la
lancetta dei secondi del mio
orologio si trova nella posizione
giusta. Adesso disinfetto la cannula
con dei tamponi imbevuti di alcol.
Come questo. L’alcol evaporerà
quasi immediatamente, così l’odore
non ti disturberà. Ora inserisco
l’ago nella cannula, ma ancora non
inietterò la DMT . Per me è più facile
che l’ago sia già in posizione, per
non dover poi andare a tentoni per
inserirlo nel modo corretto quando
l’iniezione sta per iniziare. Ti dirò io
quando comincerò. Potrai sentire
freddo oppure un pizzicore. Forse
brucerà leggermente o la sentirai
ribollire; alcune persone descrivono
queste sensazioni. La DMT entra in
circolo nel giro di 30 secondi.
Quando l’avrò iniettata
completamente, te lo dirò. Poi ci
saranno 15 secondi di iniezione di
soluzione salina attraverso la
cannula per essere certi che non
siano rimasti residui di DMT nel
catetere. Ti dirò quando avrà inizio
e quando terminerà. Qualche
domanda?»
«È tutto abbastanza chiaro».
A questo punto, il saliscendi della
tensione nella stanza era sempre
emozionante. Solo uno dei nostri
volontari aveva già assunto una
droga ricreazionale per endovena,
ma nessuno di loro aveva mai
assunto uno psichedelico in quel
modo. Tale novità bastava già di per
sé a farci stare all’erta più del solito.
Mentre spiegavo il procedimento
ad Alex e preparavo questa piccola
dose, già pensavo al modo in cui
avrebbe reagito alla dose elevata il
giorno successivo. Tuttavia, non
c’era alcuna garanzia che questa
dose minore non potesse avere
degli effetti maggiori. Alcune
persone si erano ritirate dopo
questa prima sessione. Altri invece
li avevamo dovuti escludere perché
la loro pressione sanguigna era
salita oltre il limite massimo
prestabilito.
«Alex, inizia velocemente»
proseguivo. «Forse ancora prima
che l’iniezione sia terminata. Può
essere un po’ spaventoso. Fa’ del
tuo meglio per restare vigile e
rilassato, pronto ma passivo. Gli
effetti massimi si avranno nel giro
di un paio di minuti. Poi rilassati e
aspetta un momento prima di
iniziare a parlare. È forte il
desiderio di parlare subito dopo
l’esperienza, ma perderesti alcuni
dei sottili effetti del down se non
aspetti almeno dieci o quindici
minuti, perfino oggi. Bene,
iniziamo. Sei pronto?»
«Certo, sono pronto» rispondeva
Alex.
Per rilassarsi e lasciarsi andare
completamente in modo da
sperimentare con successo i pieni
effetti della DMT era meglio che i
volontari stessero sdraiati per
l’iniezione. In caso contrario, ci
sarebbe stata tanta agitazione
inutile per far assumere ad Alex una
posizione più comoda mentre stava
perdendo l’ordinaria
consapevolezza del corpo e iniziava
il rush degli effetti psichedelici.
Sistemavamo il letto. Ad alcuni
volontari piaceva avere la testa un
po’ sollevata. Altri preferivano
tenere le ginocchia piegate, per cui
alzavamo quella parte del letto o
mettevamo un cuscino sotto le
ginocchia. Ci assicuravamo anche
che le mascherine fossero ben
posizionate.
Alcuni profondi respiri, varie
aggiustatine ai vestiti, alle braccia,
alle gambe e ai piedi, e poi le parole
di Alex: «Vai avanti».
«Bene, inizieremo tra 5 secondi...
Ok, adesso inizio».
Premendo lentamente lo stantuffo
della siringa, speravo che non ci
sarebbe stata alcuna ostruzione, che
avrebbe indicato la presenza di un
coagulo o il fatto che l’ago non
aveva centrato la vena.
Dopo 30 secondi la siringa era
vuota e la toglievo dalla cannula del
catetere.
«La DMT è dentro».
Con i denti toglievo il tappo che
proteggeva l’ago della siringa con la
soluzione salina. Mentre lo
inserivo, dicevo: «Qui c’è la
soluzione salina».
Quindici secondi dopo, togliendo
quell’ago, dicevo: «Bene, ho finito».
Oltre a far prendere dimestichezza
ad Alex con i dettagli tecnici
dell’assunzione di DMT per
endovena, il giorno della piccola
dose era il momento perfetto per
spiegargli come compilare il
questionario. Avremmo impiegato
un’ora a esaminare ogni dubbio che
aveva sul significato di particolari
termini o frasi. Dopo alcune
sessioni, Alex poteva completare il
questionario in dieci minuti.
Prima di concludere questa
sessione iniziale gli dicevo: «Non
mangiare o bere troppo stasera.
Fatti una bella dormita. Ricordati di
saltare la colazione. Se devi
prendere del caffè, assicurati di
berlo almeno due ore prima di
venire qui».
Si trattava di consigli dettati dal
buonsenso. Nel caso in cui la DMT
avesse causato una forte nausea,
era meglio essere a stomaco vuoto.
Tuttavia non valeva la pena avere
mal di testa per astinenza da caffè.
Mettevo la data sulla scheda di
DMT -22 e scrivevo: «Basso dosaggio
tollerato senza problemi. Il paziente
viene mandato a casa per passare la
notte con il permesso dell’ospedale.
Ritornerà domani mattina per la
dose elevata».
Alex ritornava la mattina
successiva. Seguivamo la stessa
procedura del giorno prima fino al
momento dell’iniezione. Guardavo
Laura, che si trovava all’altro lato
del letto, e notavo che accanto a lei
c’era un cestino per il vomito,
pronto all’occorrenza. Gettavo i
tamponi usati e i loro involucri nel
cestino e iniziavo: «È veloce come
l’altra, ma molto più forte. Ti
potrebbe spaventare. Non cercare di
opporre resistenza, perché di solito
è impossibile».
«Va bene» diceva Alex, sorridendo
debolmente ma in modo deciso.
«Cosa fai di solito quando vieni
travolto da un’esperienza
psichedelica?»
«Di solito faccio dei respiri lunghi
e profondi. L’ho imparato nel corso
di anni di meditazione. Oppure
potrei toccare questo» disse,
indicando il suo mala tibetano.
Altri volontari potevano tenere in
mano un feticcio, una pietra o un
pezzo di legno. Alcuni potevano
canticchiare, cantare o pregare. Altri
ancora evocavano l’immagine di un
maestro, di un amico o di una
persona amata. Coloro che avevano
alle spalle anni di intensa pratica
meditativa iniziavano a meditare
prima dell’iniezione di DMT e
cercavano di mantenere l’equilibrio
mentale nel corso dell’intera
sessione.
«A volte le persone credono di
essere morte» dissi, «di trovarsi in
punto di morte, oppure pensano che
abbiamo esagerato con la dose.
Finora nessuno ha subito dei danni.
Questa è una dose sicura dal punto
di vista fisico, sebbene la pressione
e il battito cardiaco faranno
probabilmente un bel salto. Se ci
saranno problemi, sapremo farvi
fronte. Se credi di essere morto, ci
sono due modi per poter gestire
l’esperienza. Uno è quello di lottare,
gridare e cercare di fermarla, l’altro
è quello di lasciarsi tranquillamente
andare e vedere con curiosità cosa
succede. Ovviamente è più facile a
dirsi che a farsi».
«So di cosa stai parlando».
«Probabilmente non ti accorgerai
del primo rilevamento della
pressione dopo due minuti. Ma
dopo cinque minuti sarai in fase di
down a sufficienza per accorgerti
del secondo».
Avevo finito di compilare il mio
taccuino: DMT -22, data, numero di
protocollo, dose. Colonne per i dati
relativi alla pressione sanguigna e al
battito cardiaco.
Quando tutto era stato detto e
fatto, noi tre – Alex, Laura e io – ci
guardavamo l’un l’altro. Se un aereo
fosse passato sopra di noi, ci
saremmo fermati aspettando che
passasse. Mano a mano che si
avvicinava il momento
dell’iniezione, l’aria nella stanza e
nell’intero reparto si faceva più
densa. C’era ancora qualcosa da
dire.
Alex si metteva la mascherina e
noi gli abbassavamo la testiera del
letto. Preparavo tutte le siringhe e
avvicinavo la mia sedia. Laura si
scaldava le mani per prepararsi a
tenere quelle di Alex nel caso in cui
avesse avuto bisogno di un contatto
amorevole.
«Sei pronto?» gli chiedevo.
«Sì» mi rispondeva con un
sussurro.
«Buona fortuna. Staremo qui ad
aspettarti» diceva Laura.
Guardavo la lancetta dei secondi
del mio orologio, mentre si
avvicinava al numero 9. «Inizierò
tra circa 5-10 secondi» dicevo.
Poi, quando la lancetta dei secondi
toccava il 12, gli dicevo
sommessamente: «Adesso inizio
l’iniezione...»
Passavano dieci, venti, trenta
secondi, iniettando lentamente la
droga nella vena di Alex. In quegli
istanti, i miei sentimenti erano
sempre intensi e contraddittori:
gelosia per la sua imminente
esperienza fantastica, tristezza per
qualsiasi sofferenza che lo avrebbe
potuto affliggere, dubbi misti a
certezze circa la saggezza di quello
che stavo facendo.
«La DMT è dentro».
Il tempo scorreva in maniera
accelerata e rallentata allo stesso
tempo. I miei movimenti erano
veloci, ma anche appesantiti. Alex
sarebbe stato bene? Sarebbe stato
in grado di gestire il suo viaggio?
Sentivo il cuore battermi nel petto.
Saremmo riusciti noi a gestire il suo
viaggio?
Non si poteva tornare indietro.
«Qui c’è la soluzione salina...»
Prima di finire la mia frase, Alex
mormorava: «Eccola...»
Proprio mentre finivo di dire che
l’iniezione della soluzione salina era
terminata, Alex faceva un profondo
respiro per poi sospirare
rumorosamente.
Sapevo che probabilmente non
aveva sentito la fine della mia frase,
e probabilmente non si sarebbe
ricordato nemmeno della sua
rumorosa espirazione.
Appoggiandomi indietro sulla mia
sedia, sospiravo anch’io, sebbene in
modo silenzioso, guardavo la
collega infermiera e poi fissavo il
corpo immobile di Alex. Un minuto.
Novanta secondi. Era quasi ora
della prima misurazione della
pressione. Stava per raggiungere il
picco massimo e non avrebbe
sentito l’anello di metallo del
bracciale.
Le sue ultime parole
riecheggiavano nella mia testa e nel
mio cuore.
«Eccola...»
Capitolo 8
ASSUMERE LA DMT

Dodici volontari parteciparono


allo studio sulla reazione alla dose,
per il quale impiegai buona parte
del 1991. Ogni volontario ricevette
una dose minima e una massima di
DMT non in cieco e successivamente
in doppio cieco. Due dosi
intermedie e un placebo di
soluzione salina completavano
questa serie di iniezioni.
Dopo aver definito in maniera
esauriente gli effetti della DMT
durante lo studio sulla reazione alla
dose, il progetto successivo
investigò se fosse possibile
sviluppare tolleranza a ripetute
iniezioni di DMT .
La tolleranza sopraggiunge
quando la stessa dose di una droga
produce effetti più leggeri se
assunta ripetutamente. L’LSD, la
psilocibina e la mescalina
provocano tutte una tolleranza
rapida e quasi completa dopo tre o
quattro dosi giornaliere. In altre
parole, una quantità che ha
provocato effetti altamente
psichedelici il primo giorno, se
assunta quotidianamente, il quarto
giorno dà effetti a malapena visibili.
La DMT sembrava anomala in
quanto era piuttosto difficile
dimostrarne la tolleranza, persino
in quegli animali ai quali erano
state somministrate delle dosi
complete ogni due ore per ventun
giorni di fila. L’unico studio
sull’uomo pubblicato, nel quale dei
ricercatori avevano dato una
completa dose intramuscolare due
volte al giorno per cinque giorni,
non aveva rilevato alcuna
tolleranza.60
I resoconti “sul campo” dei
consumatori ricreazionali di DMT
erano contrastanti. Alcuni
credevano di poter fumare la DMT
tutte le sere senza riscontrare una
diminuzione degli effetti, mentre
altri sostenevano di poterla
assumere solo per due o tre volte di
fila prima di diventare immuni ai
suoi effetti. Ad ogni modo, un
fattore importante di queste storie è
la fatica: è difficile fumare grandi
quantità di DMT ripetutamente in
una sola sessione. Forse la
“tolleranza” derivava dal non aver
introdotto una sufficiente quantità
di DMT nei polmoni dopo il secondo
o il terzo trip.
L’assenza dello sviluppo di
tolleranza era anche uno dei fattori
che rendevano la DMT simile a uno
schizotossico naturale. Se si
sviluppava tolleranza alla DMT
endogena, allora i sintomi psicotici
della schizofrenia, per esempio,
sarebbero durati solo finché la
tolleranza non si fosse consolidata.
Siccome i sintomi psicotici sono di
solito cronici e costanti, dimostrare
che la DMT non produce tolleranza
sarebbe una prova evidente del suo
possibile coinvolgimento in questi
disturbi.
C’erano altri motivi per cui ero
attratto dagli studi sulla tolleranza.
La breve durata degli effetti della
DMT sembrava limitarne l’utilità
come strumento per un qualsiasi
lavoro interiore di carattere
psicologico o spirituale. Tutto ciò
che si poteva fare era tenersi forte
durante il rush. Nel momento in cui
i volontari tornavano in sé, era già
iniziata la fase di down. L’ingresso
ripetuto nei reami della DMT poteva
fornire migliori condizioni per
usufruire delle sue profonde
proprietà psichedeliche.
Un’altra ragione, sebbene non così
chiaramente articolata, per
intraprendere questo studio subito
dopo quello sulla reazione alla dose,
era che si trattava di un studio
“puro” sulla DMT . I protocolli
successivi al progetto sulla
tolleranza avrebbero iniziato a
esaminare i meccanismi di azione
attraverso l’alterazione della
serotonina e di altri recettori
cerebrali, utilizzando diverse droghe
in combinazione con la DMT . Dentro
di me sapevo che questi studi, che
cercavano di replicare nell’uomo gli
esperimenti condotti su cavie da
laboratorio, sarebbero stati
complicati. Ripensandoci, credo che
volessi procrastinare il più a lungo
possibile l’avvio di questo tipo di
progetti.
Avanzai l’ipotesi che la breve
durata della DMT fosse la causa del
fallimento degli studi precedenti nel
dimostrare la tolleranza. In tutti gli
esperimenti sulla tolleranza a LSD,
psilocibina e mescalina veniva
somministrata una sola dose al
giorno. Tuttavia, i loro effetti
duravano dalle sei alle dodici ore,
mentre quelli della DMT durano
molto meno. Ciò suggeriva la
necessità di somministrare la DMT a
intervalli di tempo molto più brevi,
dai 30 ai 60 minuti, in modo da
dimostrare come gli effetti
diminuivano nel tempo.
L’altra opzione consisteva in una
continua somministrazione per
endovena, una “flebo” di DMT nelle
vene dei volontari. Tuttavia mi
piaceva l’idea che le persone
avessero il down dopo ogni
iniezione, in modo che potessimo
sentire cosa era successo. Con
l’opzione della flebo continua la
comunicazione sarebbe stata
problematica.
Dopo due mesi di prove,
determinai che il programma
migliore sarebbe stato di quattro
iniezioni di 0.3 mg/kg di DMT
somministrate a intervalli di 30
minuti. Questa dose, sebbene
altamente psichedelica, era appena
al di sotto della dose massima di 0.4
mg/kg. Un uomo, Cal, riuscì a
reggere quattro iniezioni da 0.4
mg/kg a distanza di mezz’ora l’una
dall’altra. Tuttavia, sua moglie
Linda risultò completamente sfinita
dopo tre dosi e rifiutò la quarta nel
corso del lavoro preliminare.
Ricordandomi di quanto straziante
si era rivelato aver somministrato
troppa DMT a Philip e a Nils, feci un
passo indietro e fissai un livello
inferiore. Era meglio essere
prudenti.
Ingaggiammo tredici volontari per
lo studio sulla tolleranza, molti dei
quali avevano già partecipato al
progetto sulla reazione alla dose. I
nuovi soggetti della ricerca furono
sottoposti agli stessi esami e
ricevettero la loro dose minima ed
elevata non in cieco.
Sebbene i test di tolleranza
fossero in doppio cieco e placebo-
controllati, il “cieco” si rivelava
entro pochi secondi dalla prima
iniezione: si trattava di una dose
elevata di DMT oppure di soluzione
salina. E, se fosse stata DMT , ci
sarebbero stati altri tre grandi trip
prima della fine della mattinata.
Prelevammo dei campioni di
sangue come per il progetto sulla
reazione alla dose e fornimmo una
versione ridotta della scala di
valutazione che si poteva compilare
in circa cinque minuti. I tempi
erano molto ridotti, ma
funzionavano alla perfezione. I
volontari iniziavano a parlare dopo
circa 10-15 minuti e poi
compilavano la scala di valutazione.
Avremmo avuto la possibilità di
esaminare il loro viaggio e di
prepararci per il prossimo durante i
seguenti 5-10 minuti. Se fossero
state quattro iniezioni di soluzione
salina, avremmo trascorso la
mattinata in conversazioni più
rilassate.
Lo studio mostrò che non c’era
tolleranza agli effetti psicologici di
ripetute iniezioni di DMT .
L’esperienza aveva la stessa
intensità psichedelica la quarta
volta così come la prima. Per questo
motivo, proprio come avevo
sperato, i soggetti erano
maggiormente in grado di
rielaborare e di mettere a frutto le
esperienze ripetute con dosi elevate
piuttosto che una singola
esperienza isolata. Molti dei
racconti più toccanti dei volontari
che troviamo nei capitoli successivi
derivano da questo studio.61
Dopo aver dimostrato quali effetti
causava la DMT , il modello
biomedico richiedeva di
determinare il modo in cui essi si
manifestavano. Si tratta degli studi
sul meccanismo di azione. Siccome
la nostra ricerca era basata sulla
farmacologia, queste indagini
ulteriori avrebbero cercato di
stabilire quali recettori cerebrali
erano coinvolti negli effetti della
DMT .
Il primo progetto fu quello sul
pindololo, una sostanza utilizzata
nella pratica medica per diminuire
l’elevata pressione sanguigna
attraverso l’inibizione di alcuni
recettori dell’adrenalina. Un’altra
proprietà del pindololo è quella di
bloccare uno specifico recettore
della serotonina nel cervello, l’1A .
Poiché nel cervello degli animali la
DMT si attacca saldamente ai
recettori 1A , questi potrebbero
essere coinvolti negli effetti della
DMT . Se ad esempio il blocco del
recettore 1A col pindololo avesse
causato un’esperienza
emotivamente meno intensa con la
DMT , avremmo potuto supporre che
esso regola le risposte emotive
provocate dalla DMT . Risultò invece
che il pindololo aumenta in
maniera significativa gli effetti
psicologici e relativi alla pressione
sanguigna della DMT .
Undici volontari parteciparono
allo sudio sul pindololo, alcuni dei
quali erano dei veterani degli studi
sulla tolleranza e sulla reazione alla
dose. Rispetto allo studio sulla
tolleranza, questo protocollo
produsse esperienze meno
“drammatiche” di lavoro interiore,
sebbene ve ne furono alcune
piuttosto intense.
Lo studio successivo sul blocco
dei recettori della serotonina
utilizzò la ciproeptadina, un
antistaminico dotato di proprietà
antiserotoninergiche. In questo
caso, la ciproeptadina impedisce
alle droghe di attaccarsi al recettore
2A della serotonina, che i ricercatori
suppongono sia il più importante
nel controllare il funzionamento gli
psichedelici.
Questo protocollo era strutturato
allo stesso modo di quello dello
studio col pindololo: i volontari,
infatti, ricevettero la ciproeptadina
alcune ore prima della DMT . Otto
volontari completarono questo
studio. La maggior parte di essi
erano nuovi.
Sembrava esserci una certa
limitazione degli effetti, così
somministrammo la dose elevata,
0.4 mg/kg, con e senza l’inibitore
della serotonina. Dato che la
ciproeptadina chiaramente non
incrementava gli effetti della DMT ,
speravamo che l’utilizzo di questa
dose elevata ci avrebbe fornito
l’occasione migliore per stabilire un
significativo grado di attenuazione
della DMT . Tuttavia, le proprietà
sedative del farmaco erano così
spiccate che resero complicata
l’interpretazione dei dati. Era
difficile dire in che misura si era
verificato il blocco specifico della
DMT e in che misura si trattava
invece di una comune azione
sedativa.
A questo punto stava diventando
difficile coinvolgere nuovi volontari
o indurre i veterani a ritornare. Chi
avrebbe mai voluto assumere un
farmaco che annullava gli effetti
della DMT ? Avrei potuto convincere i
volontari sottolineando il fatto che
avrebbero ricevuto due dosi pure ed
elevate di DMT : una durante il primo
giorno degli esami e l’altra in
combinazione con un placebo di
ciproeptadina. Ad ogni modo, mi
sentivo pieno di scuse e
giustificazioni per questo progetto,
un po’ come un venditore di auto
usate.
Iniziai anche altri esperimenti che
avevano ricevuto l’approvazione
dell’università e della FDA . Tuttavia,
non ottennero fondi a sufficienza
per effettuare indagini su vasta
scala.
Uno di questi, lo studio sul
naltrexone, continuava i precedenti
esperimenti sul meccanismo
d’azione volti a determinare i
recettori cerebrali che regolano gli
effetti della DMT . In questo caso, il
naltrexone inibisce i recettori
dell’oppio e per questo motivo è
utile nel trattamento della
dipendenza da eroina. Studi
condotti sugli animali hanno
mostrato alcune interazioni tra gli
oppiacei e gli psichedelici, e il
naltrexone potrebbe aiutarci a
saperne di più su questa relazione
negli esseri umani.
Per questo progetto iniziammo un
lavoro preliminare con tre
volontari. Tuttavia, uno di loro
stette così male dopo aver assunto il
naltrexone da ritirarsi subito dopo
la prima sessione. Negli altri due
volontari osservammo effetti
piuttosto scarsi e così decidemmo di
non proseguire oltre.
Un altro progetto pilota era volto a
scoprire se il ciclo mestruale
influisse sulla risposta alla DMT .
Molte donne riportano variazioni
legate al ciclo per quanto riguarda la
sensibilità agli psichedelici. Inoltre,
gli studi condotti sugli animali
indicavano chiaramente che gli
ormoni sessuali influenzavano la
risposta agli psichedelici e ad altre
droghe che attivano la serotonina.
In Willow, una donna che di solito
aveva delle esperienze con la DMT
piuttosto intense e profonde,
dividemmo il ciclo in iniziale,
centrale e finale. In quest’unica
volontaria non emersero chiare
differenze negli effetti psicologici.
Siccome non avevamo fondi per
approfondire questo interessante
aspetto della ricerca sulla DMT , non
coinvolgemmo altri volontari.
Ci rivolgemmo anche alla
tecnologia. Tre uomini ricevettero
dosi da 0.4 mg/kg di DMT al Centro
di Ricerca mentre registravamo
l’andamento delle loro onde
cerebrali tramite un
elettroencefalogramma (EEG).
Speravamo che questo ci avrebbe
mostrato quali aree cerebrali erano
più o meno attive durante
l’assunzione di DMT .
Si trattava di studi complessi,
perché l’EEG era un apparecchio
estremamente ingombrante e
rumoroso che richiedeva una
regolazione costante. Per di più,
c’erano diciotto elettrodi
saldamente attaccati al cuoio
capelluto dei volontari con uno dei
collanti dall’odore più forte che
avessi mai sentito. Sebbene tutti e
tre i soggetti avessero avuto delle
risposte “complete” alla DMT , il
setting era terribilmente spiacevole.
Non ingaggiai altri volontari, perché
prima volevo assicurarmi che i dati
fossero significativi al punto da
giustificare il disagio. I risultati non
furono particolarmente eclatanti e
dunque non proseguimmo con gli
esperimenti con l’EEG.
Infine, approfittai di una ricerca
d’avanguardia basata sulle tecniche
di brain imaging che si stava
svolgendo all’Università del New
Mexico. Si trattava di una
“risonanza magnetica funzionale”
(RMF), ovvero una variante di
risonanza magnetica del cervello
che misura il metabolismo
cerebrale anziché solo la sua
struttura. Ad esempio, avremmo
potuto essere in grado di mostrare
che le aree del cervello coinvolte
nella vista utilizzavano una
maggiore quantità di glucosio dopo
un’esperienza visionaria con la DMT .
Molto più imponente dell’EEG, il
macchinario della RMF dominava il
setting in maniera assoluta. Il
tomografo, le apparecchiature di
supporto e lo staff richiedevano un
edificio apposito dall’altro lato del
campus. Questi furono gli unici
studi sulla DMT condotti al di fuori
del Centro di Ricerca.
Il macchinario per la risonanza
magnetica genera campi magnetici
di elevata intensità energetica e non
possono esserci oggetti di metallo
nella stanza e nemmeno nel corpo
della persona. In caso contrario, il
metallo sarebbe immediatamente
attratto dalla forza magnetica del
macchinario. La stanza che lo ospita
è dunque buia e piuttosto fredda,
perché ciò riduce la potenza
necessaria a mantenere i campi
magnetici.
Lo spazio all’interno del quale
facevamo scorrere i volontari per le
scansioni era un tubo metallico
stretto e lucido. Sapevo che molte
persone avevano avuto il loro primo
attacco di panico durante una
risonanza magnetica a causa dello
spazio ristretto nel quale si
dovevano infilare. Ora ne capivo il
motivo.
La cosa peggiore era il rumore. Il
macchinario contiene un rullo
voluminoso che va avanti e indietro,
quasi come una lavatrice, ma dieci
volte più velocemente e cento volte
più rumorosamente. Il bang-bang-
bang-bang-bang-bang-bang del
rullo mi ricordava un martello
pneumatico. Chiunque stava
all’interno del tomografo, o nella
stanza, doveva mettersi i tappi per
le orecchie. Ma anche così, il
rumore dava sui nervi.
Ciò nonostante, alcuni dei nostri
volontari erano incredibilmente
forti. Gli piaceva la DMT , volevano
essere d’aiuto negli esperimenti ed
erano curiosi di sapere cosa
avrebbero mostrato le rilevazioni.
Restavo da solo con loro nella
stanza della risonanza magnetica,
mentre altri quattro o cinque
ricercatori, in contatto attraverso un
interfono, sedevano al pannello dei
comandi dall’altro lato di una
spessa finestra insonorizzata. La
scansione iniziava, iniettavo la DMT
e rimanevo nella stanza per tutta la
sessione, controllando la pressione
e fornendo supporto morale.
Durante il trip, i mie colleghi
effettuavano delle scansioni ogni
pochi minuti.
Malgrado gli sforzi, la fatica e le
aspettative, anche questi dati non si
rivelarono particolarmente
significativi. Il team della risonanza
magnetica credeva che alcune
rilevanti e costose modifiche
all’apparecchio ne avrebbero
aumentato la capacità di rilevare i
cambiamenti a livello cerebrale
indotti dalla DMT . Ad ogni modo,
non mi piaceva l’apparecchiatura e
non volevo esporre nessun altro
volontario – e nemmeno me stesso
– a quel rumore assordante, a
quello spazio claustrofobico e ai
potenti campi magnetici che
generava.
Sebbene possa sembrare che
avessi perso ogni modestia o
buonsenso, considerando il tipo di
studi in cui coinvolsi i volontari,
fissai un limite con la radioattività.
Le scansioni con la tomografia a
emissione di positroni (PET )
forniscono immagini fotografiche a
colori molto buone dell’attività
cerebrale, utilizzando quella che
credevo fosse una quantità
irrilevante di materiale radioattivo.
Individuai alcuni colleghi
interessati a questo studio sulla DMT
con la PET . Le scansioni con la PET
avrebbero senz’altro fornito
un’analisi più dettagliata dell’azione
della DMT all’interno del cervello.
Tuttavia, quando scoprii l’esatta
quantità di radiazioni impiegate,
decisi di lasciar perdere.
Questi ultimi due capitoli hanno
descritto il set e il setting dei nostri
studi: chi erano i volontari, in quali
circostanze e in che tipi di ricerca
hanno ricevuto la DMT . I capitoli
precedenti hanno passato in
rassegna quel che sappiamo della
droga stessa. Ora che l’analisi del
set, del setting e della droga è stata
completata, possiamo iniziare a
vedere dove conduce la molecola
dello spirito.

60. Gillin et al. (1976); B. Kovacic ed Edward F.


Domino, Tolerance and Limited Cross-
Tolerance to the Effects of N ,N -
Dimethyltryptamine (DMT) and Lysergic Acid
Diethylamide-25 (LSD) on Food-Rewarded Bar
Pressing in the Rat, in «Journal of
Pharmacology and Experimental Therapeutics»,
n. 197, 1976, pp. 495-502.

61. Rick J. Strassman, Clifford R. Qualls e Laura


M. Berg, Differential Tolerance to Biological and
Subjective Effects of Four Closely Spaced Doses
of N ,N -Dimethyltryptamine in Humans, in
«Biological Psychiatry», n. 39, 1996, pp. 784-
795.
Capitolo 9
SOTTO EFFETTO

Descrivere a cosa assomigliano i


reami della DMT è facile quanto
raccontare a parole un’arrampicata
in montagna, l’orgasmo sessuale, le
immersioni subacquee o altre
esperienze non verbali intense e
mozzafiato. Ad ogni modo, poiché la
maggior parte di noi non
parteciperà mai a un progetto di
ricerca sulla DMT , cercherò di fornire
una panoramica generale di ciò che
accade dopo aver ricevuto diverse
dosi di DMT per endovena.62
Una dose completa di DMT per
endovena provocava nei volontari,
quasi istantaneamente, intense
visioni psichedeliche, la sensazione
che la mente si fosse separata dal
corpo ed emozioni travolgenti.
Questi effetti rimpiazzavano
completamente qualunque cosa
avessero avuto per la mente prima
della somministrazione della droga.
Per la maggior parte delle persone,
le dosi psichedeliche di DMT erano
0.2 mg/kg, 0.3 e 0.4 mg/kg.
Gli effetti si manifestavano subito
dopo l’iniezione di DMT della durata
di 30 secondi, e i volontari si
trovavano completamente immersi
nel mondo psichedelico non appena
finivo di iniettare la soluzione
salina nei successivi 15 secondi. Il
picco massimo della risposta alla
DMT si raggiungeva entro due
minuti, e i volontari sentivano che
stava iniziando il down solo dopo 5
minuti. La maggior parte di essi,
sebbene fosse ancora
moderatamente sotto effetto, era
già in grado di parlare 12-15 minuti
dopo l’iniezione. Quasi tutti si
sentivano relativamente normali
dopo 30 minuti.
Misurammo frequentemente i
livelli di DMT nel sangue dopo averla
iniettata e verificammo che il
decorso degli effetti psicologici e i
livelli di DMT nel sangue si
sovrapponevano perfettamente. In
pratica, i livelli di DMT nel sangue
raggiungevano il loro picco dopo 2
minuti ed erano quasi impercettibili
dopo 30. Poiché il cervello trasporta
attivamente la DMT attraverso la
barriera ematoencefalica all’interno
dei suoi confini, è ragionevolmente
certo che alcuni livelli di DMT nel
cervello aumentino tanto
velocemente quanto i livelli del
sangue.
Dosi inferiori di DMT – 0.1 e 0.05
mg/kg – solitamente non erano
psichedeliche, ma di sicuro
producevano degli effetti
psicologici, soprattutto di carattere
emotivo e fisico, sebbene alcune
persone particolarmente sensibili
ebbero consistenti risposte
psichedeliche e fisiche persino a
queste piccole dosi. Anzi, alcuni
volontari si ritirarono perché non
gradivano l’intensità di 0.05 mg/kg.
Esonerammo anche altri soggetti
dopo questa piccola dose perché la
reazione della pressione sanguigna
destò in noi la preoccupazione di
come il loro cuore avrebbe retto il
giorno successivo a una dose otto
volte superiore.
Mentre gli intensi effetti
psicologici della DMT si
sviluppavano, il corpo fisico faceva
lo stesso con la sua costellazione di
reazioni. Inizialmente, il corpo
reagiva alla dose elevata con la
tipica reazione da stress del
“combatti o fuggi”. Il battito
cardiaco e la pressione avevano uno
sbalzo repentino, e il loro decorso
seguiva strettamente le reazioni
psicologiche. Dopo un po’ di tempo,
eravamo in grado di presagire
l’intensità della sessione del
volontario in base all’aumento della
pressione.
In media, le pulsazioni
schizzavano da circa 70 battiti al
minuto fino a 100. Ad ogni modo la
variazione era ampia. In alcuni
soggetti il battito saliva fino a 150,
mentre in altri non andava oltre i
95. Anche la pressione sanguigna
balzava da valori di 110/70 a una
media di 145/100. Il battito e la
pressione diminuivano tanto
rapidamente quanto erano
aumentati, e già iniziavano a calare
tra le rilevazioni del secondo e del
quinto minuto.
Ogni ormone della ghiandola
pituitaria che misurammo
aumentava rapidamente. Ad
esempio, i livelli ematici delle beta-
endorfine endogene, sostanze simili
alla morfina, iniziavano ad
aumentare in maniera costante
dopo due minuti dalla
somministrazione di DMT , e
raggiungevano il loro picco al
quinto minuto. La DMT stimolava
anche delle impennate nel rilascio
di vasopressina, prolattina, ormone
della crescita e corticotropina.
Quest’ultima è un ormone che
stimola le ghiandole surrenali a
produrre il cortisolo, un potente e
polivalente steroide dello stress
simile al cortisone. L’innalzamento
di questi ormoni potrebbe avere
generato alcuni effetti di tipo
psicologico (ne parlerò nel capitolo
21).
Con un’alta dose di DMT
raddoppiava il diametro della
pupilla, da 4 mm a quasi 8, e la
reazione massima si raggiungeva al
secondo minuto. La temperatura
corporea impiegava più tempo ad
aumentare: iniziava al
quindicesimo minuto e continuava
a salire fino a quando non
rimuovevamo la sonda rettale dopo
sessanta minuti.
Di tutti i fattori biologici che
misurammo, l’unico a non
aumentare fu la melatonina,
l’ormone secreto dalla ghiandola
pineale. Fu una sorpresa che ancora
una volta mi spinse a confrontarmi
con la natura misteriosa e
incredibile di questa potenziale
ghiandola dello spirito.
È possibile che la DMT
somministrata dall’esterno non
fosse uno stimolo abbastanza forte
da superare il meccanismo di difesa
della pineale che abbiamo visto in
precedenza. Se è chiaro che gli
ormoni dello stress aumentavano in
risposta alla molecola dello spirito,
è possibile tuttavia che non
raggiungessero un livello
abbastanza alto da stimolare la
produzione diurna di melatonina.
Un’altra possibilità è che la DMT
esogena stimolasse effettivamente
la ghiandola pineale a produrre una
quantità maggiore della sua DMT
endogena. In ogni caso, il nostro
metodo per la misurazione della
DMT nel sangue non era in grado di
distinguere tra le due sorgenti della
molecola dello spirito.
I volontari certamente non
percepivano l’innalzamento dei
livelli di prolattina e nemmeno
avevano coscienza dell’aumento
della pressione. Piuttosto, erano le
immagini, gli stati d’animo e i
pensieri che scorrevano nella loro
mente a definire l’essenza degli
effetti della molecola dello spirito.
I momenti iniziali della prima
dose elevata di DMT non in cieco
travolsero quasi tutti i volontari. Un
rush intenso, rapido e almeno
temporaneamente ansiogeno si
sviluppava attraverso il corpo e la
mente, e iniziava ancora prima che
avessi finito l’iniezione di soluzione
salina.
È difficile dare una corretta
descrizione del rush. Il mio
dizionario utilizza termini quali «un
movimento turbolento improvviso,
un impulso, un assalto; una
sensazione di urgenza o di fretta; un
violento o rapido movimento».
Quasi senza pensarci, quando
iniziavano gli effetti alcuni
volontari esclamavano: «Ecco, ci
siamo!» Alcuni paragonarono
questa sensazione a un treno merci,
all’epicentro di un’esplosione o a un
cannone nucleare. Alcune persone
riportarono che il respiro gli si era
bloccato in gola o che il vento li
aveva spazzati via. Chi aveva già
fumato DMT era avvantaggiato,
essendo in grado di anticipare
questo assalto disorientante. Ad
ogni modo, ritenevano che il rush
della DMT assunta per endovena
fosse più rapido e potente.
Quasi tutti sottolinearono le
“vibrazioni” causate dalla DMT , la
sensazione di una potente energia
che pulsava attraverso di essi a una
frequenza molto rapida ed elevata.
Commenti tipici furono: «Temevo
che la vibrazione mi facesse
esplodere la testa», «I colori e la
vibrazione erano così intensi che
pensavo di scoppiare», «Non
credevo che sarei rimasto dentro la
mia pelle».
Questo tsunami di effetti portava
velocemente a perdere la
consapevolezza del corpo, facendo
credere ad alcuni volontari di essere
morti. La dissociazione tra la mente
e il corpo andava di pari passo al
dispiegarsi delle visioni. In genere,
sentivamo frasi come: «Non avevo
più un corpo», «Il mio corpo si era
dissolto, ero pura consapevolezza».
Sembrava esserci la sensazione
chiaramente identificabile di un
movimento della coscienza lontano
dal corpo, come un “cadere”, un
“sollevarsi”, un “volare” in assenza
di gravità e in rapido movimento.
Alcuni volontari maschi, ma non
le donne, avvertirono delle
sensazioni nei loro genitali.
Sebbene talvolta fossero piacevoli,
in genere erano neutrali o leggere.
Nessuno eiaculò.
Il rush dei primi effetti provocava
inevitabilmente un po’ di paura e
ansia. Tuttavia, la maggior parte dei
volontari si calmava nel giro di 15-
30 secondi attraverso la
respirazione profonda, il
rilassamento fisico o qualsiasi altra
tecnica conoscessero per lasciarsi
andare. Forse grazie alle esperienze
psichedeliche precedenti, riuscivano
di frequente a separare le emozioni
dalle reazioni fisiche del corpo
senza andare nel panico.
Le visioni erano gli effetti
sensoriali predominanti di una dose
completa di DMT . Di solito c’era una
piccola differenza tra ciò che i
volontari vedevano a occhi aperti e
a occhi chiusi. Ad ogni modo, aprire
gli occhi spesso faceva sì che le
immagini si sovrapponessero a ciò
che c’era nella stanza, causando un
effetto disorientante. Questo fu uno
dei motivi per cui decidemmo di
mettere a tutti i volontari delle
mascherine di seta nera prima della
somministrazione di DMT .
I soggetti videro ogni sorta di cose
immaginabili e inimmaginabili. Le
meno complesse erano dei disegni
geometrici caleidoscopici, che a
volte avevano caratteristiche dello
stile maya, islamico o azteco. Ad
esempio, «bellissime ragnatele
rosa, un prolungamento della luce»,
«minuscoli colori geometrici
incredibilmente intricati, come se
fossero un pixel di un televisore a
colori».
I colori di queste figure erano più
brillanti e intensi, e avevano una
profondità maggiore rispetto a
quelli che si vedono in un ordinario
stato di coscienza o durante i sogni.
«Era come il blu del cielo del
deserto, ma su un altro pianeta. I
colori erano cento volte più
intensi». Le differenze tra lo sfondo
e il primo piano potevano
annullarsi, creando una serie di
immagini infinite che occupavano
per intero il campo visivo del
volontario. Era impossibile dire
cosa fosse “davanti” e cosa “dietro”.
Molti usarono il termine
“quadridimensionale” o
“oltredimensionale” per descrivere
questo effetto.
C’erano anche delle immagini più
distinte e specifiche.
Comprendevano «un uccello
fantastico», «l’albero della vita e
della conoscenza», «una stanza da
ballo con lampadari di cristallo».
C’erano «tunnel», «scalinate»,
«canali» e «un disco d’oro
roteante». Altri videro il «lavoro
interiore» di macchine e corpi:
«l’interno dei circuiti di un
computer», «la doppia elica del
DNA » e il «diaframma pulsante
intorno al cuore».
Ancora più impressionante fu
l’apprensione per le figure umane e
“aliene” che sembravano essersi
accorte della presenza dei volontari
e interagivano con essi. Si potevano
riconoscere delle entità non umane
quali «ragni», «mantidi», «rettili» e
«qualcosa di simile al cactus del
genere saguaro».
Le visioni duravano finché
l’organismo dei volontari non
metabolizzava rapidamente la DMT .
La stanza era fastidiosamente
luminosa quando si toglievano la
mascherina e aprivano gli occhi. Gli
oggetti nella stanza, irradiati di luce
propria, si muovevano ondeggiando.
I soggetti riportavano delle
percezioni esageratamente
profonde, e a volte restavano come
incantati dai disegni sulla porta di
legno del bagno.
Alcuni volontari ci dissero di un
particolare blocco nella normale
fluidità delle loro visioni: «I tuoi
movimenti non erano tuoi, non
erano più fluidi e coordinati»,
«Sembravate robotici, vi muovevate
in modo spasmodico, più meccanico
e geometrico».
Circa la metà dei volontari
sperimentò effetti uditivi: i suoni
erano diversi oppure udivano cose
che noi non sentivamo. Questi
effetti erano più marcati durante il
rush di DMT . A volte era poco più di
una intensificazione dei suoni
ordinari. Alcuni volontari
diventarono apparentemente sordi,
tanto da non sentire il motore
stridente della macchina per
misurare la pressione e qualunque
altro rumore esterno.
Tuttavia, era piuttosto raro che i
volontari sentissero delle voci
distinte o della musica. Piuttosto
c’erano dei suoni semplici, descritti
in maniera diversa come «di tono
acuto», «gemiti e ronzii», «brusii»,
«bisbigli e scricchiolii». Molti
notarono una somiglianza tra gli
effetti uditivi della DMT e quelli del
protossido di azoto, che provoca
una distorsione oscillante e
ondeggiante dei suoni, simile a un
wah-wah. Occasionalmente c’erano
quei rumori divertenti che si
sentono nei cartoni animati, tipo
sproing e boing.
A volte i volontari perdevano
l’orientamento e dimenticavano di
trovarsi in un ospedale o di essere
coinvolti in uno studio
sperimentale. Rivelando la loro
forza e agilità mentale, alcuni di
essi conservavano il proprio punto
di vista perfino in queste
condizioni: «La mia mente si
trovava decisamente in un altro
luogo, ma continuava a ragionare su
quello che stava accadendo».
Tuttavia, ci furono sessioni in cui la
confusione del rush iniziale
accompagnò i volontari fino a
quando gli effetti della sostanza
iniziarono a scomparire.
La maggior parte delle persone
trovò eccitante, euforica e
straordinariamente piacevole la
dose elevata di DMT . A volte tale
estasi era collegata alle visioni.
L’euforia poteva anche derivare
dalle nuove intuizioni acquisite
durante la sessione: «Mi sento
benissimo, come se avessi avuto
una rivelazione». Spesso era pura
beatitudine senza un oggetto
particolare.
Per altri la paura e l’ansia erano
quasi insopportabili. Per definire
questi stati d’animo facevano
commenti del tipo: «L’ho odiato.
Non ho mai avuto così tanta
paura», «Era minaccioso»,
«Un’incredibile tortura che credevo
non avesse più fine».
Sebbene molti soggetti della
ricerca sperimentarono degli stati
d’animo intensi con la DMT , sia
positivi che negativi, alcuni
riferirono di quanto le loro sessioni
fossero state prive di emozioni: «Ho
provato ad agitarmi di fronte a
quello che vedevo, ma
semplicemente non ero in grado di
avere una risposta emotiva».
Quando gli effetti della DMT si
stabilizzavano, la droga rivelava
un’influenza incredibilmente
leggera sulla capacità di pensiero e
di ragionamento dei volontari: «La
mia mente non era per nulla
alterata. Ero attento a ciò che stava
accadendo»; «Quando è cominciato
il down, ho assunto l’attitudine del
giornalista, trasformandomi in un
attento osservatore».
Altri, tuttavia, percepirono il loro
modo di pensare come anormale e
in effetti giunsero perfino a
domandarsi se la DMT potesse
causare pensieri psicotici. «Tutto
sembrava a posto, ma solo un po’
spento. Sembrava che l’orologio
stesse per muoversi ogni volta che
lo guardavo. I colori nella stanza
erano sinistri». Un altro disse: «Sai
come gli schizofrenici parlano dei
diversi significati delle cose? Di
come una foglia per terra assuma
un grande significato? Quel genere
di cose».
Un effetto comune era la perdita
dell’ordinaria percezione del tempo.
Ad esempio, quasi tutti si
sorprendevano di quanto fosse tardi
quando scoprivano che ora era,
credendo che fossero passati solo
alcuni minuti. Nonostante ciò, si
sperimentava una profonda
sensazione di eternità nel culmine
dello stato provocato dalla DMT .
I volontari di solito trovavano che
la dose elevata causasse una perdita
di controllo quasi totale. Si
sentivano del tutto indifesi,
impotenti, incapaci di agire e
interagire nel mondo “reale”. «Mi
sentivo come un bambino, indifeso,
incapace di fare qualunque cosa». I
volontari, a questo punto, erano
felici di trovarsi in un ospedale!
Oltre alla perdita totale di controllo,
alcuni volontari percepirono
un’altra “intelligenza” o “forza”
dirigere le loro menti in maniera
interattiva. Ciò era particolarmente
comune nei casi di contatto con
“entità”.
Quasi tutti i soggetti della ricerca
credevano che la prima dose elevata
di DMT non in cieco li avrebbe
condotti «più in alto di quanto
fossero mai stati». Tuttavia, questa
prima sessione di solito era
contrassegnata dall’ansia più di
qualunque altra seduta con dosi
elevate a cui avrebbero partecipato
in seguito. Una volta che i volontari
erano preparati a perdere il
controllo, era più facile per loro
farlo. Capivano che l’esperienza
della droga era essenzialmente
sicura, che sarebbero sopravvissuti
e che non avrebbero accusato
nessun danno di carattere fisico o
psicologico. Un’altra cosa che li
aiutò fu la crescente fiducia che
riponevano nella nostra capacità di
supportarli mano a mano che il
nostro lavoro insieme andava
avanti.
Sebbene gli effetti più sbalorditivi
si ebbero con dosi elevate di DMT ,
anche le dosi inferiori produssero
una varietà di reazioni, molte delle
quali furono piacevoli e interessanti
per i volontari.
La dose somministrata nello
studio sulla tolleranza, 0.3 mg/kg,
era completamente psichedelica e
per alcuni era la dose preferita, dato
che provocava l’intero spettro di
effetti psicoattivi ma con un po’
meno ansia.
La dose da 0.2 mg/kg costituiva la
soglia in cui iniziavano a emergere
in maniera inequivocabile i tipici
effetti psichedelici. Quasi tutti
avevano delle visioni relativamente
intense, ma gli effetti uditivi erano
rari. Alcuni volontari
particolarmente sensibili
preferivano la dose da 0.2 mg/kg a
quelle da 0.3 o 0.4 mg/kg.
La dose da 0.1 mg/kg era la meno
popolare. Predominavano gli effetti
vibratori ed energetici, ma non si
entrava mai all’interno di una
completa esperienza psichedelica. I
volontari si sentivano “sospesi”,
fastidiosamente tesi, sia
fisicamente che mentalmente. «Il
mio corpo sembra come se sapesse
di pepe» disse qualcuno. «Questa
dose ha tutti effetti negativi a livello
fisico senza nessuno di quelli
positivi a livello mentale».
La dose minima di DMT , di 0.05
mg/kg, era piacevole, e quasi tutti i
volontari sentivano come se
stessero sorridendo o ridendo dopo
averla assunta. Un volontario che in
precedenza aveva fatto uso di eroina
riteneva che questa dose avesse
qualcosa in comune con quella
droga: «Ho provato una sensazione
di tepore come se fossi avvolto
nell’ovatta». Poche persone
sperimentarono degli effetti
relativamente intensi con questa
piccola dose di DMT che gli veniva
somministrata il primo giorno.
Quando accadeva, era indicativo del
fatto che il giorno successivo la
dose elevata sarebbe potuta
rivelarsi particolarmente forte.
Per i lettori che conoscono gli altri
psichedelici, gli effetti della DMT
possono sembrare più o meno
tipici. Sebbene le sue proprietà
siano molto simili a quelle dell’LSD,
della mescalina e della psilocibina,
c’è qualcosa di incomparabile che
contraddistingue la molecola dello
spirito. Non so se sia a causa della
rapidità con cui entra in azione o
per la sua particolare struttura
chimica. Forse è perché il cervello
già la conosce e si mette
attivamente alla ricerca di questo
psichedelico endogeno. Qualunque
siano le ragioni, i volontari, dopo
aver raggiunto i limiti estremi della
molecola dello spirito, tornarono
con racconti di incontri che né io né
loro credevamo possibili. Ed è a
queste storie che volgeremo ora la
nostra attenzione.
62. I risultati dello studio sulla reazione alla dose
nel quale definimmo gli effetti delle diverse
quantità di DMT vennero pubblicati nel 1994 nella
rivista del dr. Freedman, Archives of General
Psychiatry. Un articolo descriveva i dati
biologici, le risposte psicologiche e la nuova scala
di valutazione. Freedman ebbe particolare cura
di questi articoli, chiedendo che venissero scritti
e riscritti più volte. Purtroppo morì un anno
prima che fossero pubblicati, e non ebbe dunque
la possibilità di godersi la pubblicazione di quei
lavori che testimoniavano la realizzazione di un
sogno a lungo coltivato: la ripresa della ricerca
psichedelica sull’uomo. Si veda Rick J.
Strassman e Clifford R. Qualls, Dose-Response
Study of N ,N -Dimethyltryptamine in Humans.
I: Neuroendocrine, Autonomic, and
Cardiovascular Effects, in «Archives of General
Psychiatry», n. 51, 1994, pp. 85-97; e Rick J.
Strassman, Clifford R. Qualls, Eberhard H.
Uhlenhuth e Robert Kellner, Dose-Response
Study of N ,N -Dimethyltryptamine in Humans.
II: Subjective Effects and Preliminary Results of

a New Rating Scale, in «Archives of General


Psychiatry», n. 51, 1994, pp. 98-108.
PARTE IV

LE SESSIONI
Capitolo 10
INTRODUZIONE ALLE
RELAZIONI DEI CASI

Nel corso di ciascuna sessione di


DMT , presi nota in modo dettagliato
di ogni aspetto degli eventi del
giorno: cosa facevano e dicevano i
volontari; come apparivano e come
io li percepivo; le condizioni del
reparto, il tempo, la politica
mondiale; il comportamento e lo
stato emotivo delle altre persone
all’interno della stanza, compresa
l’infermiera che mi assisteva, la
famiglia o gli amici del volontario e
i visitatori; e infine i miei personali
pensieri e stati d’animo.
Quando tornavo nel mio ufficio,
dettavo questi appunti alla mia
segretaria che poi li trascriveva al
computer. Una volta stampate,
queste note occuparono più di mille
pagine di testo a interlinea singola.
Dopo aver completato uno
specifico esperimento con la DMT ,
inviavo al volontario una copia di
queste note, chiedendogli di
correggerle per renderle più
complete, chiare e accurate, e di
aggiungere qualsiasi cosa gli fosse
venuta in mente dopo la fine dello
studio. Alcuni volontari integrarono
i miei appunti con annotazioni di
diario, lettere, opere d’arte e poesie
legate ai loro incontri con la
molecola dello spirito.
Sebbene la maggior parte delle
sessioni fosse caratterizzata da
elevate quantità di DMT , c’erano
anche diversi giorni in cui si
somministravano bassi dosaggi e il
placebo. Erano giornate tranquille
in cui era possibile discutere e
confrontarsi sulle precedenti
sessioni con dosi elevate. Era utile
per i volontari poterlo fare in uno
stato mentale meno alterato, se non
completamente normale. L’onda
d’urto di un’esperienza intensa con
la DMT si estendeva molto al di là
della singola sessione, continuando
a ripercuotersi su tutti gli aspetti
della vita della persona per giorni,
mesi o anni.
La DMT agisce in modo consistente
sulla nostra coscienza, ma non in
maniera totale. Se possiamo
limitare il numero del tipo di
esperienze prodotte dalla DMT ,
potremmo iniziare a concentrarci su
una serie di ipotesi che ci aiutino a
comprenderle. Fare dei
raggruppamenti dettati dalla
coerenza e dalla ragionevolezza ci
aiuterà a dare un senso alla serie
incredibilmente ampia di storie che
stiamo per sentire.
Dividere tali esperienze in
categorie era utile anche per
verificare l’ipotesi secondo cui la
DMT somministrata dall’esterno
provoca degli stati alterati di
coscienza simili a quelli riportati da
persone che hanno avuto
esperienze psichedeliche
spontanee: esperienze di pre-morte,
stati mistici e il fenomeno definito
abduction aliena. Se gli stati indotti
dalla droga e quelli che si verificano
spontaneamente avessero mostrato
una forte analogia, si sarebbe
rafforzata l’ipotesi secondo cui la
DMT endogena svolge un ruolo nel
produrre queste esperienze
psichedeliche spontanee. Si sarebbe
aperto un ampio campo di
possibilità per studiare,
comprendere e applicare queste
scoperte in modo proficuo.
Tre categorie maggiori includono
quasi tutte le diverse esperienze
riportate in questi resoconti.
Sebbene la maggior parte delle
sessioni ne comprendesse almeno
due, di solito era predominante una
sola categoria.63
Le tre categorie distinguono tra
esperienze personali, invisibili e
transpersonali.
Le esperienze personali con la DMT
erano limitate ai processi mentali e
fisici di ciascun volontario. La DMT li
aiutava ad aprire nuove strade
all’interno della loro psicologia
personale e a relazionarsi in
maniera diversa con il corpo. Il
capitolo 11, Sensazioni e pensieri,
presenta diversi esempi di questo
tipo di risposte. Una volta che i
volontari iniziavano ad avvicinarsi
ai confini di questa categoria,
cominciavano a emergere temi di
carattere spirituale. L’esperienza
personale diventava allora
transpersonale.
Il segno caratteristico della
categoria dell’invisibile è l’incontro
con realtà parallele apparentemente
solide e indipendenti. Quando
questi piani di esistenza erano
abitati, il contatto tra i nostri
volontari e questi “esseri” dava
luogo alle sessioni di DMT più
allarmanti e imprevedibili. Tratto di
queste storie bizzarre nei capitoli 13
e 14.
Le sessioni più preziose e
ricercate erano quelle
transpersonali, che comprendevano
esperienze mistico-spirituali e di
pre-morte. Le descrivo nel capitolo
15, La morte e il morire, e nel
capitolo 16, Stati mistici.
L’ultimo capitolo sui resoconti dei
casi, Dolore e paura, affronta gli
effetti negativi, spaventosi e
potenzialmente dannosi della DMT
sui volontari. Qui troviamo gli
aspetti negativi di tutti e tre i tipi di
esperienze: personale, invisibile e
transpersonale.
Questa introduzione è il luogo
adatto per iniziare a trattare di
come abbiamo risposto a ciò che i
volontari dicevano e facevano
durante le loro sessioni con la DMT .
Nel capitolo 7 ho descritto come,
dopo aver somministrato la DMT , io
e l’infermiera sedevamo tranquilli
ciascuno a un lato del letto della
persona, permettendole di fare la
sua personale esperienza senza
interferire, se non per guidarla nei
passaggi essenziali. Tuttavia, non
potevamo mantenere un
atteggiamento completamente
neutrale e passivo nel momento in
cui qualcuno iniziava a parlare di
esperienze che gli procuravano
confusione o ansia. Se un
volontario aveva bisogno del nostro
aiuto e e del nostro supporto, glielo
fornivamo.
C’è un confine sottile tra il
supportare una persona e il
raccontarle che tipo di esperienza
sta attraversando. Dopo una dose
elevata di DMT , i volontari erano
estremamente suggestionabili,
aperti e vulnerabili. Questi fattori
richiedevano una particolare
sensibilità in relazione al campo
interpersonale che si era creato
nella stanza. Riflessioni, assistenza,
indicazioni, consigli e
comprensione sono tutt’altra cosa
rispetto a critiche, discussioni,
convinzioni e lavaggio del cervello.

63. Dobbiamo distinguere questa classificazione


dai dati derivanti dalla scala di valutazione degli
allucinogeni. Sebbene più avanti descriva lo
sviluppo e l’uso di questa scala, è opportuno dire
cosa essa misuri e in che modo differisca dalle
categorie di esperienze che seguono.
L’oggetto della scheda di valutazione era la
mente, non il singolo volontario. La scala
forniva il punteggio numerico dei vari aspetti
dell’intossicazione acuta da DMT sulla base di una
comprensione teorica del modo in cui la mente
funziona. In questo sistema, una serie di
funzioni, incluse percezioni, emozioni,
consapevolezza del corpo, pensiero e tendenze
abituali si combinano tra loro in modo
uniforme, e il risultato è quello che
normalmente sperimentiamo come il nostro
attuale stato mentale.
Le classi di effetti che suggerisco in questo
capitolo, d’altro canto, si riferiscono
all’esperienza della persona, non solo a quelle
della sua mente. Gli effetti acuti in se stessi
fanno certamente parte di questa esperienza, ma
non le danno alcun significato. È solo all’interno
del contesto del singolo individuo, con il suo
corpo, il suo spirito e la sua mente, che le
sessioni assumono un vero valore.
Capitolo 11
SENTIMENTI E PENSIERI

Nella maggior parte dei casi, le


esperienze personali con la DMT si
svolgono entro i confini del corpo e
della mente di un individuo: i regni
delle sensazioni e dei pensieri. In
quanto tali, i fenomeni che
incontreremo non sono molto
diversi da ciò che qualunque
psicoterapeuta può sentire dai
propri pazienti: sensazioni basate
sul corpo e pensieri basati sulla
mente.
Molti dei volontari speravano, più
o meno consapevolmente, in una
svolta spirituale con l’aiuto della
DMT : desideravano una risposta
definitiva riguardo al motivo della
loro esistenza o il raggiungimento
di un’unione con il Divino, dove
cessano tutti i conflitti e prevale
un’imperturbabile certezza.
Tuttavia la DMT , come una vera
molecola dello spirito, dava ai
volontari il viaggio di cui avevano
bisogno, piuttosto che quello che
desideravano.
Alcuni soggetti della ricerca
risolsero dei difficili problemi
personali durante le loro sessioni.
In seguito, si rendevano conto di
averli affrontati con atteggiamento
positivo e si sentivano meglio.
Sembravano essersi attivati i
processi di base della psicoterapia:
riflettere, ricordare, sentire, mettere
in relazione le emozioni con i
pensieri. Per la maggior parte di noi
è difficile affrontare sentimenti
dolorosi, e la DMT può rendere più
agevole confrontarsi con essi. Le
sessioni di DMT , ad esempio,
aiutarono Stan a contattare
sentimenti troppo forti per poter
essere affrontati in uno stato di
coscienza ordinario.
I sogni sono uno strumento
fondamentale per qualsiasi tipo di
crescita personale e di
comprensione di sé, e la DMT può
generare immagini altamente
simboliche, simili al sogno. Le
sessioni di Marsha sono uno
splendido esempio di come la
molecola dello spirito sia in grado di
mostrarci ciò che abbiamo bisogno
di sapere per mezzo di questo
particolare aspetto del suo potere.
Per molti di noi, le esperienze
traumatiche mettono in scena
ricostruzioni drammatiche e
dolorose di situazioni in cui
affrontiamo quegli stessi
sentimenti ripetutamente. Una dose
elevata di DMT condivide molte delle
caratteristiche dei traumi fisici e
psicologici. Vedremo come è
possibile utilizzare questi aspetti a
proprio vantaggio nella storia di
Cassandra.
Mi aspettavo di vedere molti
volontari ripercorrere i propri
conflitti emozionali e psicologici nel
corso di questo studio. Sessioni di
questo tipo avrebbero potuto aprire
la strada a sedute di psicoterapia
psichedelica. Avremmo notato in
che modo la DMT influiva
positivamente sui volontari, per poi
incorporare quegli effetti in un
successivo protocollo sui
trattamenti psicologici.
La prima generazione di scienziati
psichedelici aveva reso tali progetti
di terapia il perno delle attività di
molti centri di ricerca. In sostanza,
avremmo ripercorso le loro tracce
in previsione di un rinnovamento
del loro lavoro per applicarlo al
contesto contemporaneo.
Ero pronto per questo tipo di
sessioni. Credevo che, attraverso
l’uso degli psichedelici, i volontari
avrebbero potuto trarre intuizioni
significative circa i propri conflitti
personali, le difficoltà e i sintomi
psicosomatici. Inoltre, per diversi
anni mi ero sottoposto alla
psicoterapia analitica, l’avevo
praticata e insegnata, e ciò mi aveva
preparato ad affrontare le emozioni
dolorose che sarebbero emerse
durante alcune sessioni con la DMT .
Stan aveva quarantadue anni
quando ci incontrammo e iniziò a
partecipare agli studi sulla DMT . Sua
moglie era una terapista del respiro
che seguiva molti pazienti presso il
Centro di Ricerca. Pensava che il
marito potesse essere interessato al
progetto, così mi fece chiamare da
lui.
Era uno dei consumatori di
psichedelici più esperti tra tutti
coloro che presero parte allo studio,
avendo assunto LSD «più di
quattrocento volte». «Non per
niente viene chiamato acido» disse
ridendo durante il nostro primo
incontro. Prendeva LSD o funghi a
intervalli di qualche mese,
assumendoli in compagnia di alcuni
amici intimi, fortemente convinti
come lui degli effetti positivi di
queste droghe.
Stan era sposato, aveva una figlia
giovane e ricopriva una posizione di
grande responsabilità all’interno
dell’amministrazione locale. Era un
uomo di statura e corporatura
media, di bell’aspetto, attento alla
propria immagine. Era poco
propenso a parlare della sua
esperienza interiore, ed espresse il
motivo del suo interesse nello
studio sulla DMT in modo piuttosto
conciso: «Per legittimare lo studio e
per un’indagine personale».
Per Stan la dose minima di DMT da
0.05 mg/kg fu tranquilla. Come
molti altri, sentì l’impulso di
sorridere all’inizio della sessione.
Il giorno successivo Stan avrebbe
ricevuto la dose massima. Con il
mio carico di aghi, siringhe e
tamponi disinfettanti, entrai nella
stanza e lo trovai seduto a gambe
incrociate su un cuscino da
meditazione, con lo schienale del
letto sollevato in modo da formare
un angolo il più retto possibile. Era
una delle poche persone che stava
meglio in posizione seduta anziché
sdraiata.
Stan non disse molto riguardo
all’esperienza con la dose elevata.
Più che altro, era rimasto colpito
dalla potenza dell’assalto iniziale
degli effetti. In effetti, pensava che
gli sarebbe perfino piaciuta una
dose di poco maggiore di 0.4 m/kg.
In ogni caso, non era sicuro se la
DMT avesse degli effetti positivi.
«Non è così efficiente come l’LSD o
la psilocibina. È troppo veloce. Non
ci si riesce proprio a lavorare. Si è
totalmente fuori controllo. Non era
un’esperienza spirituale e aveva
anche ben poco di emotivo».
Tutto ciò che riuscì a vedere
furono «un sacco di colori
caleidoscopici nelle tinte del blu e
del viola».
Stan completò con successo lo
studio sulla reazione alla dose, ma
l’esperienza non gli lasciò
un’impressione particolarmente
profonda. Ad ogni modo, gli piaceva
partecipare alla ricerca e voleva
essere informato su quando
iniziavano i test di tolleranza.
Circa un anno dopo, Stan firmò
per partecipare al progetto sulla
tolleranza. Nel frattempo erano
accadute molte cose. La moglie
aveva avuto una ricaduta dei suoi
seri disturbi psichiatrici e stava
effettuando le pratiche per il
divorzio. Era in atto una battaglia
piuttosto dura per la custodia della
figlia di otto anni, che al momento
abitava con lui.
Mi chiedevo se le sedute di DMT gli
avrebbero fornito un po’ di
chiarezza nelle sue emozioni per
questi momenti difficili. Sebbene gli
obiettivi dello studio restassero
inalterati, Stan era un essere umano
che stava sperimentando una
grande perdita, e se potevamo
aiutarlo nel contesto del progetto,
tanto meglio.
Il suo primo giorno in doppio
cieco fu con la droga attiva: quattro
dosi elevate e consecutive di DMT
tramite iniezione. Le prime due dosi
lo aiutarono a fare chiarezza sullo
stress da cui era oppresso.
«Mmm. C’erano i colori tipici.
Scommetto che supererò anche le
prossime dosi, nonostante l‘ansia».
Punzecchiandolo simpaticamente
in riferimento al suo “machismo
psichedelico”, ma allo stesso tempo
incoraggiandolo ad andare più in
profondità, gli dissi: «Non credevo
che avessi altra scelta».
Era sdraiato tranquillamente con
la mascherina sugli occhi.
«Mi piace la mascherina».
«In effetti, si stanno rivelando
piuttosto utili... Hai avuto qualche
pensiero o sensazione?»
«Ho un po’ d’ansia, più o meno.
Non ricordo di averla provata
prima».
Gli diedi questo suggerimento:
«Ora ci sono molte più cose che si
stanno verificando nella tua vita. Mi
domando se la tua ansia non sia
legata all’incertezza e alla perdita di
controllo che caratterizzano la tua
vita in questo momento. Questa è
una droga che provoca la perdita del
controllo. Potrebbe metterti a
disagio».
«Avverto una leggera nausea»
disse cinque minuti dopo la terza
iniezione.
Ho notato che la nausea, durante
gli stati alterati di coscienza, è
spesso un modo con cui il corpo ci
distrae dall’ansia e dalla tristezza.
Durante la meditazione o l’ipnosi,
oppure quando si assumono droghe
psichedeliche e perfino marijuana,
in un certo senso è più facile
sentirsi male anziché tristi.
«Non ho intenzione di mollare.
Non preoccuparti. Forse è la
combinazione dell’ansia e della mia
sinusite. Una parte della ma ansia è
legata a come mia figlia affronterà il
prossimo anno scolastico. Ora è al
quinto anno. Devo decidere questa
mattina. Sta vivendo un periodo
difficile a causa del divorzio e, in
particolare, ha un rapporto difficile
con sua madre. È dura anche per
me, ma per lei lo è ancora di più».
«Sono sicuro che sia dura anche
per tua moglie. È una situazione
terribile».
«Sì, in un certo senso vorrei che ci
fosse una dose ancora più alta.
Potrei spazzare via tutti i
problemi».
«Vorresti far piazza pulita di
tutto?»
«Sì, esatto».64
«Che ne dici di altre due dosi?»
Sorrise.
«Ho due emozioni molto
contrastanti: paura e trepidazione».
Forse, se si fosse sdraiato, Stan si
sarebbe potuto sentire più al sicuro,
così da lasciare andare un po’ di
controllo e “vomitare” le sue tossine
emotive interne, nel caso in cui
avesse avuto bisogno di espellerle.
«Vuoi stendere la testa?» gli chiesi.
«Non credo che faccia differenza,
comunque va bene, proviamo. Hai
qualcosa dove posso vomitare, nel
caso ne avessi bisogno?»
«Certo, abbiamo un cestino. Non
è bello, ma è grande e capiente».
Dopo la terza dose prese la mano
di Laura con la mano destra e la mia
con la sinistra.
«Non sono sicuro sulla quarta
dose. Non so se posso reggerne
un’altra».
«Sono passati solo tre minuti.
Vediamo come ti senti tra un pò».
Al quinto minuto disse in tono
ironico: «Ne riceverò una quarta
per te, Rick».
«La terza dose sembra essere
quella più forte».
«Lo stai dicendo apposta...»
«Non proprio. Le persone
sembrano stravolte dopo la terza
dose, ma si riprendono dopo la
quarta».
«Credo di avere molti sentimenti
irrisolti».
«Questo ha un senso».
«È facile dirlo, per te».
«Lo so, scusami se ti sembro poco
serio. Perché credi che queste cose
siano irrisolte?»
«Le emozioni sono intense.
Stanno lì, ma credo che mi stia
proteggendo da esse per affrontare
il divorzio. Non è del tutto
piacevole, per dirla con un
eufemismo. L’intensità emotiva
aumenta ogni volta, ma ora mi
sento per lo più sereno. Quel
sentimento irrisolto se n’è andato.
Forse è accaduto qualcosa. Magari
tra quindici minuti non parlerò più
in questi termini».
Dieci minuti dopo la sua quarta e
ultima iniezione, Stan emise un
sospiro attraverso le labbra
socchiuse e disse: «Questa volta il
viaggio è andato molto meglio. Era
come se stessi cavalcando tre onde
senza tavola. Ti travolgono per
prepararti alla quarta, che è
spettacolare. Ho voglia di rifarlo!»
Ci mettemmo tutti a ridere,
alleviati dal fatto che stesse meglio.
Nel caso di questo uomo, che
teneva così tanto a se stesso, la
precedente ammissione di avere
l’ansia doveva essere indice di
sentimenti profondamente intensi.
Trascorse i successivi minuti
tranquillamente sdraiato,
rilassandosi e godendosi la pace
interiore da poco trovata.
Stan sembrava ricaricato e di
buonumore dopo la quarta dose.
Pranzò e se ne andò via subito dopo
aver finito.
Un paio di giorni dopo parlammo
al telefono.
«Mi sento bene» mi disse. «Ieri e
oggi ho sentito una leggera euforia,
probabilmente legata all’esperienza.
Non ero sicuro di continuare con
tutte e quattro le dosi. Infine è
scattato qualcosa e ho deciso. Forse
è stato un abbandonarsi. Mi ha
davvero fatto passare attraverso
alcuni cambiamenti. Con la prima
dose c’è stato un mix di emozioni.
La seconda e la terza sono state
travolgenti, c’era molta ansia
irrisolta. La quarta è stata il
momento di svolta».
«C’è stato qualche tema che ha
contrassegnato le tue sessioni?»
domandai.
«Non molto. È come se il sistema
nervoso venisse completamente
risucchiato, liberandoti di alcune
cose. Era qualcosa di puramente
energetico. Ci sono stati degli effetti
a catena. Qualcosa è accaduto,
qualcosa è cambiato tra la terza e la
quarta dose. Dopo la terza, mi sono
semplicemente arreso».
Stan teneva a debita distanza i
suoi sentimenti. Come molti dei
nostri volontari, gli piacevano gli
psichedelici perché intensificavano
le emozioni. Riusciva a sentire
qualcosa con grandi quantità di LSD,
magari sensazioni non proprio
piacevoli o positive, ma che
comunque erano meglio di niente.
Ogniqualvolta ci troviamo bloccati
nella nostra vita, di solito è perché
non riusciamo a entrare in
relazione con i sentimenti che
accompagnano quella situazione.
Sebbene nel caso di Stan sembrò
senz’altro esserci uno
sconvolgimento capace di abbattere
gradualmente le sue resistenze
psicologiche, anche l’elaborazione
cosciente gli fu d’aiuto. Era ansioso
e insicuro. Sebbene sapesse in un
certo senso di che cosa si trattava,
non era però in contatto con le sue
emozioni profonde. La sua ansia
“fluttuante” era tutt’altro che senza
nome. La sua vita era in subbuglio e
il solo fatto di rendersene conto lo
aiutò a iniziare un processo di
cambiamento. Il potere emotivo
della DMT lo spinse poi verso alcune
soluzioni.
La battuta di Stan sul fatto di
assumere l’ultima dose di DMT per
me, piuttosto che per se stesso,
mise in luce un conflitto
interessante: avevamo bisogno di
dati, ma eravamo anche preoccupati
di far fronte alle necessità dei
volontari. Se Stan avesse avuto
un’esperienza chiaramente
traumatica che con sembrava in
grado di affrontare, avremmo
interrotto lo studio. Ma,
mostrandosi intenzionato a
proseguire, non prendemmo in
considerazione l’idea di fermarlo
prima del previsto. Ciononostante,
la sua battuta mostrava di avere un
fondo di verità.
Le visioni che i volontari avevano
sotto DMT a volte ricordavano i
sogni. E, come disse Freud, i sogni
sono «la strada maestra verso
l’inconscio». Osservare, pensare e
discutere dei sogni può aiutarci a
comprendere le emozioni nascoste,
di cui ci accorgiamo solo attraverso
i sintomi dolorosi che si
manifestano nello stato ordinario di
veglia.
Supponiamo che qualcuno
sviluppi una paralisi alla mano
destra e che svariati esami medici
non rivelino alcun problema fisico.
Viene mandato da uno psichiatra,
che gli chiede di ricordare i suoi
sogni. Quella notte il nostro
ipotetico paziente sogna di picchiare
il suo capo al lavoro. Lo psichiatra
supporrà che la sua mano
paralizzata simboleggia la profonda
rabbia nei confronti del capo, una
rabbia che non sapeva di avere.
Forse sono emozioni che ha paura
di provare, perché non sa cosa
potrebbe succedere se lo facesse.
Una luce si accende nella mente del
paziente, ed egli riacquista la
funzionalità della mano!
Sebbene un esempio del genere
ricordi i cartoni animati dal sabato
mattina, cattura però il processo
essenziale tramite cui il lavoro sui
sogni può essere utile a livello
personale. I sintomi non sono così
spesso evidenti come le paralisi, ma
di solito includono ansia,
depressione o problemi nelle
relazioni.
L’approccio che adottammo nella
supervisione delle sessioni di DMT fu
il più neutro possibile dal punto di
vista clinico, ma sarebbe stato
negligente ignorare le
problematiche psicologiche che
emergevano dalle esperienze dei
volontari. A volte dovevo decidere
rapidamente se occuparmi della
trama psicologica personale che un
volontario aveva iniziato, o se
spingerlo in profondità quel tanto
che bastava per vedere delle
soluzioni alla sua confusione o
incertezza. Dovevo anche tenere in
considerazione il rischio che tali
commenti o interpretazioni
potessero causare alcuni effetti
destabilizzanti nella sua vita. Nel
caso di Marsha, ad esempio, lei
stava lottando per il proprio
matrimonio.
Quando entrò nello studio sulla
DMT , Marsha aveva quarantacinque
anni, due divorzi alle spalle e stava
con il suo attuale marito da sei
anni. Lei era di origine afro-
americana, mentre suo marito era
bianco. Aveva una franchezza e un
senso dell’umorismo deliziosi. Il
suo umore sembrava decisamente
migliorato in quell’ultimo anno
rispetto al periodo precedente.
Aveva provato un grande sollievo
dopo essersi ritirata da un
programma scolastico che trovava
disumano e non rispettoso della sua
razza e cultura. Tuttavia, i continui
problemi a casa ruotavano attorno
al marito, che era più depresso di
lei, e stava pensando di lasciarlo.
Marsha aveva fatto uso di droghe
psichedeliche forse una trentina di
volte nella sua vita, trovandole
capaci di spalancare le porte della
mente. Si propose come volontaria
per il nostro studio «per dare una
mano ai miei amici», «per
sperimentare la droga al di là della
curiosità e dello stupore», «per
mettermi alla prova» e «perché mio
marito non può assumerla: di
conseguenza, può condividerla
indirettamente con me». Il marito
aveva la pressione sanguigna
leggermente alta e pertanto era
stato escluso dalla ricerca.
Marsha affrontò bene la bassa
dose iniziale di DMT . La dose elevata
del giorno successivo la catapultò
completamente al di fuori del corpo.
Si spaventò nel ritrovarsi all’interno
di una bellissima struttura a cupola,
un Taj Mahal virtuale.
«Credevo di essere morta e di non
poter più tornare indietro. Non so
cosa sia successo. Tutt’a un tratto,
BAM! Mi sono ritrovata di là. È stata
la cosa più bella che abbia mai
visto».
Marsha descrisse in maniera
molto dettagliata quello che vide e
come venne trasformata durante la
sua esperienza. Fu una mattinata
estremamente piacevole.
Ascoltammo il suo resoconto senza
che ci fosse bisogno di aggiungere
altro. Le era piaciuto. C’era stato
poco conflitto e prendemmo parte
alla sua gioia.
Marsha in seguito partecipò allo
studio sulla ciproeptadina. Quando
giunse il momento della sua quarta
sessione in doppio cieco eravamo
quasi sicuri, considerando gli effetti
delle precedenti, che questa dose
finale fosse da 0.4 mg/kg.
«Spero di incontrare alcuni dei
miei antenati oggi» disse, «e che mi
aiutino ad affrontare le attuali
difficoltà della mia vita».
Parlò del suo matrimonio; suo
marito era stato in terapia e il
terapista gli aveva suggerito di
essere più sincero con Marsha. Di
conseguenza, le aveva detto che non
gli piaceva che lei stesse
ingrassando, perché ciò spegneva in
lui il desiderio sessuale. Mi
domandò se pensavo che fosse
grassa.
Aggirai la sua domanda e le
suggerii: «Forse c’è dell’altro oltre
alla semplice questione del peso».
Annuì e iniziammo a prepararci
per l’iniezione.
Pochi minuti prima di
somministrare a Marsha la DMT suo
marito entrò nella stanza, pronto
per unirsi alla sessione. L’atmosfera
nella stanza era un po’ triste, ma
anche carica di speranza.
Iniziò a parlare quindici minuti
dopo l’iniezione.
«Non avrei mai immaginato che
sarebbe stato così. Nessuna
transizione. Nessun universo
stellato o puntini luminosi come
l’ultima volta. Sai cosa è successo?
Ero su una giostra! C’erano tutte
queste bambole vestite nello stile di
fine Ottocento, a grandezza
naturale, uomini e donne. Le donne
portavano dei corsetti: avevano seni
prosperosi, sederi abbondanti e
girovita strettissimi. Roteavano
tutte attorno a me sulle punte dei
piedi. Gli uomini portavano dei
cappelli a cilindro e andavano su
biciclette a due posti. Una giostra
dopo l’altra... e un’altra ancora. Le
donne avevano dei cerchi rossi
dipinti sulle guance, e c’era la
musica di un organetto in
sottofondo. C’erano anche dei
clown che si muovevano
velocemente dentro e fuori la scena;
non erano i personaggi principali,
ma i più indaffarati, in un certo
senso erano più consapevoli della
mia presenza rispetto ai
manichini».
Sembrava simile a un sogno.
Diverse volte avevo sentito parlare
altri volontari di un incontro con
clown o giullari. Tuttavia, essi
sembravano meno importanti
rispetto alla giostra e ai sentimenti
di Marsha al riguardo.
Prima dell’iniezione stavamo
parlando di questioni
“terapeutiche”. Decisi di indossare
l’abito del terapeuta e di vedere cosa
succedeva. Quando qualcuno
racconta un sogno in una sessione
di terapia, di solito chiedo: «Che
sensazioni hai provato?»
«Domanda sbagliata, provi con
un’altra».
In quel momento Marsha non era
pronta per “lavorare” sul sogno, e
così le diedi una risposta riguardo
agli aspetti più superficiali della sua
esperienza, ovvero l’atmosfera
carnevalesca.
«Era divertente?»
«Sì».
Potevamo scendere più in
profondità? «È stato davvero
divertente?»
«Sì, però non c’era nessun Taj
Mahal. Speravo di vedere i miei
antenati, un tempio, oppure degli
africani alti vestiti con vecchi abiti».
«E invece eri a una fiera di
carnevale».
«Un delirio! Ero l’unico essere
umano lì. Loro avevano questi
sorrisi dipinti sulla faccia, non
cambiavano mai espressione. Ho
pensato: “Hey, che sta
succedendo?” C’era quel tipo di
energia sessuale che si manifesta
nel volere di più, nel desiderio di
eccitarsi... di volere di più. Non mi
ero mai sentita così con la DMT .
Suppongo che i manichini erano
talmente belli che mi sono
eccitata».
Si tolse la mascherina e guardò il
marito. «Scopiamo!» esclamò.
Mi misi a ridere. «Mi dispiace, ma
dovrete aspettare finché non
tornate a casa».
«Le persone hanno esperienze
sessuali sotto l’effetto della DMT ?»
mi domandò il marito.
Sebbene fosse una domanda
sensata, non c’entrava molto con i
temi personali ed emozionali che
erano emersi. Dovevo rispondere,
ma lo feci in modo molto rapido
nella speranza di ritornare al punto
a cui eravamo arrivati.
«C’è dell’energia sessuale, ma di
solito non quel tipo di sensazioni
che si hanno nei rapporti sessuali».
Sapevo di dover essere rapido se
volevo essere di qualche aiuto
nell’interpretare gli aspetti onirici
della sessione di Marsha. Cosa stava
cercando di dirci la molecola dello
spirito?
«I manichini erano bianchi?
Erano anglosassoni?»
«Sì, tutti. Non c’era nessuna
persona di colore».
«È interessante. La DMT sembra
avere un proprio programma. Che
cosa ne deduci?»
«Non riesco a venirne a capo.
Sono esausta e affamata».
«Sembrano un’esagerazione o una
caricatura della bellezza
anglosassone. È interessante se lo
poniamo in relazione a quello che
dicevamo prima, e cioè alle tue
preoccupazioni sul peso».
«È vero, forse dovrei godermi il
mio fisico».
Guardò il marito e disse: «Ho
raccontato a Rick che pensavi che
fossi grassa, e che questo faceva
parte della tua terapia».
Sembrava un po’ imbarazzato.
«Da giovane ero proprio snella.
Quando ho conosciuto mio marito
pesavo dieci chili in meno di adesso.
Sembravo un figurino. Non è per
niente la mia cultura. Anzi, per me
la forma ideale è grossa e tonda, con
un seno prosperoso e la vita e i
fianchi abbondanti. Magro è
qualcosa di orribile nella mia
cultura. Usavano una parola gergale
per indicare il termine magro, ma
io non sapevo cosa volesse dire.
Sembra che parlassero di qualcosa
di brutto, malato e cattivo».
Il marito di Marsha si assentò per
andare in bagno. Quando tornò, si
rese conto che Marsha aveva
bisogno di parlare di queste cosa in
sua assenza e così se ne andò al
lavoro. Io e lei continuammo questa
conversazione per un po’, per poi
passare ad altri argomenti.
Di solito non ero così impositivo
con i volontari come lo fui quel
giorno con Marsha. Tuttavia, le sue
visioni da DMT sembravano così
perfettamente legate alle sue attuali
difficoltà che non potevo ignorare il
messaggio che la molecola dello
spirito ci stava mandando. Il marito
di Marsha, di origine anglosassone,
la stava paragonando alla sua
immagine ideale di donna, che
Marsha non rispecchiava per nulla.
Il suo fisico non andava bene. Ad
ogni modo, i “manichini”
raffiguranti uomini e donne
anglosassoni erano senza vita,
immagini dipinte che giravano in
tondo senza uno scopo. Marsha
ricordava l’orgoglio con il quale la
sua famiglia accoglieva l’immagine
abbondante della femminilità, e
cercava di farla propria. Sentiva che
la propria sessualità innata era
abbastanza buona, e voleva fare
sesso per riconnettersi con suo
marito a quel livello di base.
Sorpreso e stupito, in quel
momento era difficile per lui
affrontare le necessità emotive della
moglie. Si trattava di una versione
in miniatura dei problemi che
stavano vivendo.
Un altro modo in cui la DMT
influisce sulla mente e sul corpo in
maniera potenzialmente utile è
attraverso la creazione di
un’esperienza traumatica
controllata. Trauma deriva da una
parola greca che significa “ferita”. Il
mio dizionario definisce il trauma
come «un grave shock emozionale
che ha effetti profondi e spesso
duraturi sulla personalità».
Le esperienze traumatiche di
solito sono fuori dal nostro
controllo. Ad esempio, non
scegliamo di avere un’infanzia
violenta, di essere esposti a disastri
naturali o provocati dall’uomo, né
di subire delle minacce alla nostra
vita. Una volta che abbiamo vissuto
degli eventi simili, la tendenza
naturale della mente è di erigere un
muro contro i sentimenti di paura,
impotenza e ansia che hanno
minacciato di travolgerci in quei
momenti.
Nonostante ciò, il trauma non
affrontato viene a galla nella nostra
vita. Possiamo trovarci più e più
volte in situazioni che riproducono i
fantasmi o le ombre propri dei
sentimenti che hanno caratterizzato
il trauma. È come se fossimo
costretti a ripetere alcuni tipi di
relazione per portare alla luce i
sentimenti che non siamo riusciti a
dominare o a controllare la prima
volta, di solito quando eravamo dei
bambini indifesi. Ad esempio, un
coniuge violento riproduce i
sentimenti prodotti da un genitore
violento. Possiamo notare inoltre
che è difficile costruire dei profondi
legami emotivi, perché l’intimità ci
rende pericolosamente vulnerabili.
Se stiamo per superare le
conseguenze di un trauma, bisogna
affrontarle in maniera diretta. Di
solito ciò richiede di sperimentare
nuovamente, in modo volontario, i
sentimenti provocati dal trauma
all’interno di un ambiente sicuro e
solidale. Il problema, innanzitutto,
è come accedere a questi
sentimenti.
Per molti versi, una dose elevata
di DMT è traumatica in quanto
induce una perdita di controllo e un
annichilimento dell’identità
personale. La parola “shock” fu
usata diverse volte durante le
sessioni. Anch’io utilizzavo questa
parola mentre preparavo le persone
alla loro prima sessione da 0.4
mg/kg. Alcuni volontari ci
consigliarono di stampare delle
magliette con la frase
Sopravvissuto a 0.4 da distribuire a
chi aveva superato con successo la
sessione.
Sono certo che molti dei nostri
volontari fossero attratti dal
progetto sulla DMT perché
prometteva un’esperienza
traumatica travolgente ma
strutturata, a cui sottoporsi
volontariamente. Sperimentando
l’assoluta perdita di controllo in
un’ambiente protetto, sarebbe stato
possibile entrare in contatto in
maniera più completa con alcune
emozioni dolorose per poi
riconoscerle e liberarsene.
Cassandra, ad esempio, era una di
quei volontari per i quali le
emozioni derivanti da un vecchio
trauma, non espresse né percepite
fino in fondo, ostacolavano la sua
vita attuale.
Cassandra aveva ventidue anni,
quasi la volontaria più giovane,
quando aderì al progetto sulla DMT .
Il suo modo di fare e il suo aspetto
fisico facevano emergere dei
sentimenti conflittuali in molte
delle persone che incontrava, me
compreso. La sua andatura e il suo
modo di vestire avevano un non so
che di mascolino, ed era bisex. Sia
gli uomini che le donne trovavano
attraenti il suo viso gradevole e il
suo corpo sinuoso e androgino.
L’atteggiamento volutamente
noncurante riguardo all’aspetto
fisico e alla cura di sé la faceva
sembrare una specie di bambina
abbandonata a se stessa, ed era
facile provare per lei un senso di
protezione materna: le infermiere
più anziane del reparto volevano
darle da mangiare e farle il bagno.
Possedeva anche un’intelligenza
acuta, un’ironia laconica e un modo
di fare diretto. Cassandra era una
giovane donna complicata e
occorreva un po’ di tempo per
capire con chi avevi veramente a
che fare.
Cassandra soffriva nelle relazioni.
I genitori divorziarono prima che
compisse un anno e sua madre
l’allevò senza darle le dovute
attenzioni. Questa situazione
raggiunse l’apice all’età di sedici
anni, quando sua madre la lasciò
sola con il patrigno per una
settimana. Durante questo periodo
lui la violentò ripetutamente,
rafforzando la sua estrema
ambivalenza verso gli uomini e le
donne: se da un lato provava
sfiducia e odio, dall’altro aveva
bisogno del loro amore e della loro
protezione.
Dopo questa esperienza sviluppò i
sintomi dei disturbi da stress post-
traumatico: durante i rapporti
sessuali della sua prima relazione di
lunga durata tornò a rivivere alcuni
momenti della violenza. A vent’anni
decise che non avrebbe mai voluto
avere figli e così si sottopose a un
intervento di legatura delle tube.
Cassandra era passata per diverse
relazioni di breve durata, sia
terapeutiche che romantiche.
All’inizio idealizzava e rendeva
romantica la figura del terapeuta o
dell’innamorato. Poi viveva la
delusione e il disprezzo per la loro
incapacità di darle quella
comprensione di cui aveva
parecchio bisogno. Era amica di uno
dei nostri volontari maschi, e dopo
aver completato i test di tolleranza
ebbe una relazione sessuale con lui.
Subito dopo lei lasciò il paese, senza
lasciare alcun indirizzo.
Inserisco qui la storia di
Cassandra anche se potrebbe
rientrare nei capitoli sul contatto
con entità o sulle esperienze
mistiche. Le sue sessioni inclusero
incontri con i “clown”, che la
portarono a uno stato di profonda
serenità mai sperimentato prima.
Tuttavia, l’effetto primario di quelle
entità fu di farla sentire amata e
felice, anche se la soluzione
spirituale ai suoi conflitti arrivò
solo dopo un sofferto processo
psicologico. Come molte di quelle
che presenterò, le sessioni di
Cassandra erano dunque incroci di
generi diversi.
Inoltre, era come se con
Cassandra stessi facendo della
psicoterapia, piuttosto che fornirle
un’assistenza spirituale
nell’interpretazione di fenomeni
“transdimensionali”. Per questo,
l’inserimento del suo caso nella
categoria delle esperienze personali,
relative ai pensieri e alle sensazioni,
si collega al tipo di risposta che la
sua sessione suscitò tanto in me
che in lei.
Aveva alcune aspettative ben
precise circa la sua partecipazione
allo studio: «Voglio vedere che
sensazione dà la DMT ». Inoltre ci
chiese di non farle troppe domande:
«Così posso semplicemente
godermi gli effetti».
Non fummo affatto sprovveduti
nel considerare la capacità di
Cassandra di affrontare alte dosi di
DMT . Sapevamo del suo
temperamento potenzialmente
esplosivo ed era particolarmente
importante evitare di farla sentire
costretta o forzata a fare qualcosa.
Non volevamo che si replicasse
nessuna tematica di violenza nella
stanza 531.
Per Cassandra la dose bassa
iniziale di DMT fu leggera e
piacevole. Ci incontrammo il giorno
seguente per la sua dose elevata da
0.4 mg/kg non in cieco.
Mentre cominciava la fase di
down, disse: «Qualcosa mi ha preso
la mano e mi ha strattonato.
Sembrava voler dire: “Andiamo!”
Poi ho iniziato a volare in un
ambiente affollato, simile a un
circo. Prima d’ora non ero mai stata
fuori dal corpo in questo modo.
All’inizio ho sentito un prurito nel
punto in cui la droga è stata
iniettata. Abbiamo attraversato un
labirinto a un ritmo incredibilmente
veloce. Dico “abbiamo” perché mi
sembrava di essere accompagnata.
Era fantastico. C’era una
stranissima attrazione circense,
piuttosto stravagante. È difficile
descriverla. Sembravano dei clown,
stavano recitando per me. Erano
vestiti in modo buffo, con dei
campanelli sul cappello e dei grandi
nasi. Ad ogni modo, avevo la
sensazione che potessero
prendersela con me e che non
fossero proprio così amichevoli.
Lo voglio rifare! Voglio vedere se
riesco a rallentarlo».
Il giorno dopo telefonai a
Cassandra.
«È impossibile dargli un senso»
mi disse. «Piuttosto lo farei di
nuovo per vedere cosa succede. È
bello avere un cambio di prospettiva
e vedere quanto sono insignificanti
i miei problemi quotidiani. Mi sono
sentita in pace. C’è stato un attimo
in cui volevo che finisse, talmente
era intenso, ma mi sono ricordata di
respirare e di mettermi comoda. È
così strano, è impossibile
prepararsi, sapere cosa attendersi.
Preferirei non analizzare troppo».
E fu d’accordo a partecipare allo
studio sulla tolleranza.
Cassandra era di buonumore
quando la incontrai nella stanza 531
un mese dopo.
«Ho lasciato il lavoro al ristorante
dove lavoravo» iniziò. «Non so cosa
mi riserverà la vita adesso. Ho
incontrato una donna che mi piace
davvero, penso molto a lei».
«Cosa pensi oggi dello studio?» le
domandai.
«Il mese scorso, mentre mi stavo
riprendendo dalla dose elevata, mi
sono davvero sentita nel mio corpo
per la prima volta in vita mia. Di
solito vivo nella testa. Ricordo
quella sensazione. È stato
terapeutico. Mi è piaciuta la
sensazione di essere nel mio
corpo».
«Riesci a portarla con te?»
«È difficile farlo tutto d’un colpo»
rispose. «Ho perso il contatto con il
mio corpo per così tanto tempo, in
lotta contro di esso, che immagino
sarà un processo graduale».
Si scoprì che questo primo giorno
di test sulla tolleranza in doppio
cieco era con la droga attiva. Lo
capimmo al secondo minuto,
quando il battito di Cassandra e la
sua pressione aumentarono
sensibilmente.
Quella mattina non disse molto
sulla sua prima dose. Sembrava
sentirsi a proprio agio, con i
documenti stretti al petto. Quando
terminò di rispondere alla prima
delle quattro scale di valutazione,
disse: «Ho pensato molto alla mia
nuova amica. È stato bello, ma la
prossima volta voglio che sia il mio
viaggio».
Quando fu in grado di parlare
dopo la seconda dose, disse: «È
divertente, stavolta mi sono lasciata
andare di più. Non c’era proprio
nessun problema. Era come se tutto
fosse bello. Non ci sono state
rivelazioni o allusioni significative.
Il corpo è proprio un ingombro, non
è vero? Ho sentito chiaramente la
presenza degli altri. Erano gentili
nei miei confronti, carini e
premurosi. Sembravano piccoli,
come se potessero entrare nel mio
corpo e nella mia mente. Ho avuto
la completa sensazione di aver
perso il mio corpo, ma le piccole
presenze sapevano in qualche modo
come entrarci».
«Come ti senti a proposito della
terza dose?»
«Dovresti brevettarla, ma
scommetto che ormai è troppo
tardi. Se solo potessi mantenere
questa sensazione! Se lo facessero
tutti, ogni giorno, il mondo sarebbe
decisamente un posto migliore! La
vita sarebbe di gran lunga migliore.
Il potenziale del bene è così grande.
Sentirsi bene con se stessi... Credo
che anche la meditazione sia fatta
per portarti nello stesso posto».
«Non sono sicuro che sia
possibile».
«Nemmeno io».
Dopo dieci minuti che si trovava
nel pieno della terza dose,
Cassandra iniziò a sorridere.
Proprio in quel momento si sentì
un tremendo tossire nel corridoio di
fuori.
«Posso ancora sentirla. Tengo
tutta questa roba, tutte le stronzate,
nella parte sinistra del mio addome.
Questa volta mi è arrivato il
messaggio di sbarazzarmi di tutto
ciò. Riesco ancora a sentire il
rilassamento. È calda e pungente».
Sembrava un’apertura. Se
Cassandra avesse reagito con
ostilità o evitato di rispondere ai
miei commenti, l’avrei lasciata in
pace. Ad ogni modo, sembrava
chiedere aiuto.
«A cosa ti stai aggrappando?»
«Al dolore».
«Quale dolore?»
«Credo a tutto il dolore».
Iniziò a piangere.
«Credo che sia tutto il dolore che
abbia mai provato».
«Ce n’è tanto lì?»
«Sì» e iniziò a piangere in modo
più forte.
«Va bene sentirlo, va bene
piangere, e anche lasciarlo andare».
«Questo è l’aspetto positivo:
liberarsene». Al quindicesimo
minuto sospirò: «Sento di avere un
corpo nuovo. È di gran lunga più
consapevole».
«È il tuo».
Fece un sorriso tirato e poi riprese
a piangere più profondamente.
«Non sono lacrime di tristezza, ma
lacrime di illuminazione».
«Non importa».
La sentii adirarsi nel dire: «Certo
che importa!»
«Credo che siano una sorta di
lacrime purificatrici» azzardai,
riflettendo con più attenzione sul
suo caso.
«Sì, dopo stamattina sarò un guru.
Hai presente come tutti cerchino il
significato e lo scopo della vita?
Ecco, si tratta di sentire in questa
maniera. Ma la vita normalmente
non facilita le cose».
«In che senso?»
«Tutto ciò che riguarda la vita in
generale. Non è molto stimolante.
Non ti viene insegnato a
concentrarti su di te, a renderti
conto della forza che hai dentro. La
vita ti proietta nel ruolo della
vittima. So di aver usato un luogo
comune, ma credo sia vero. Le cose
accadono quando non hai il
controllo della tua vita. Queste
esperienze con la DMT hanno un
effetto simile ai più alti livelli di
meditazione, permettendoti di
accedere al tuo potere interiore e
alla tua forza. Sai quella domanda
della tua scala di valutazione sulla
“potenza superiore o Dio”? Ecco, ho
delle difficoltà con questo concetto
perché implica che vi sia un
elemento esterno, mentre contatto
qualcosa di più profondo e di più
interno. Questa sessione è stata più
unitaria, in termini di presenze che
ho incontrato e per il fatto di essere
maggiormente oggetto della loro
attenzione. Nel primo viaggio c’ero
solo io, nel secondo viaggio c’erano
soprattutto le presenze; questo è
stato una combinazione».
«Che ne pensi della quarta dose
che sta arrivando?»
«Sarà la migliore, ancora meglio
delle precedenti. Sto andando
sempre più in profondità attraverso
questi strati».
Subito dopo aver dato a Cassandra
la sua ultima dose, delle persone
cominciarono a parlare ad alta voce
fuori dalla porta. Al sesto minuto
sentimmo un gran fracasso. Cinque
minuti dopo, Cassandra disse: «Mi
sento molto amata».
«È una bella sensazione».
«Sì, accogliente».
Sembrava triste e tamburellò le
dita sul letto. «Lo sento parecchio».
C’era un terribile rumore fuori
dalla porta, qualcuno stava usando
un trapano. Era incredibile come i
volontari riuscissero a ignorare il
rumore di un reparto ospedaliero e
a vivere delle esperienze così
profonde.
Cassandra si tolse la mascherina
ma tenne gli occhi chiusi. Poi li
socchiuse appena, fissando dritto
davanti a sé. Guardò il soffitto e
ricominciò a piangere.
«Cosa senti?»
«Andrà tutto bene. Non devo
preoccuparmi di tutti i miei dubbi,
di cose tipo: “Dove andrò? Cosa
farò?” È rassicurante».
«Una sensazione di ottimismo?»
«Sì, mi dà molto sollievo. Sento
come se ci fossero migliaia di parti
separate di me stessa e questa droga
fosse in grado di riunirle. È una
sensazione di completezza».
«Hai detto di sentirti amata».
«Era una sensazione di calore al
petto. L’ho sentito espandersi. È
stato davvero fantastico. Ero amata
dalle entità o qualsiasi cosa fossero.
Era molto piacevole e
rassicurante».
Alcune settimane dopo, parlai al
telefono con Cassandra.
«Ci sono stati dei forti
cambiamenti a livello fisico, molto
positivi» disse. «È come se mi fosse
stato restituito lo stomaco. Adesso,
per la prima volta dopo anni, sono
in grado di respirare profondamente
nello stomaco. Sono più ottimista.
Ora questa sensazione è un po’
diminuita, ma non eccessivamente.
Durante la meditazione sono in
grado di ricontattare
quell’ottimismo. È stato come
ricevere un massaggio profondo ai
tessuti. Durante il terzo viaggio ero
davvero in grado di lasciar andare
tutto. Credo di esser stata ferita lì
dentro quando sono stata
violentata. È lì che nascondo le cose
e mi proteggo, stringendole
costantemente. Per anni ho
trattenuto questi sentimenti
tenendoli stretti nell’addome. Ora
mi sento molto più libera.
La DMT è molto meglio di qualsiasi
altra terapia che abbia mai provato.
Tutte le terapie mi ricordavano di
quanto fossero e sono brutte le
cose. Con la DMT mi sono vista e
sentita come una brava persona,
come se fossi amata dai folletti
della DMT ».
«Folletti?»
«Avevo la sensazione che ci
fossero tantissimi ospiti. Erano
allegri e si sono divertiti parecchio a
farmi sentire amata. Ad ogni dose
aumentava progressivamente anche
l’appagante sensazione di sicurezza
e benessere.
Sarebbe bellissimo poter fare una
sessione di DMT una volta l’anno per
fare il punto della situazione,
vedere dove mi trovo e curarmi. La
sensazione di libertà nel mio
addome è ancora lì. La costrizione
allo stomaco un po’ è tornata, ma su
un altro piano riesco a ricordare di
essere riuscita a liberarmene
davvero».
«Può essere un utile punto di
riferimento» aggiunsi.
Freud coniò il termine transfert
per indicare il modo in cui le
persone reagiscono abitualmente
agli altri, come se questi fossero
figure importanti della vita passata
di quella persona. In terapia, i
sentimenti di controtransfert sono
quelli che il terapeuta proietta sul
suo cliente.
La vita di Cassandra era piena di
sentimenti di transfert per le
persone con cui aveva una
relazione. Siccome non esiste
transfert senza controtransfert, le
persone reagivano in maniera
altrettanto forte. Aver condiviso con
me la sua sensazione di benessere
poteva rivelarsi una trappola o
un’opportunità. Avevamo bisogno
di considerare la nostra relazione
senza questa danza disorientante di
transfert e controtransfert.
Il mese seguente Cassandra tornò
per la seconda parte dei test di
tolleranza: le quattro dosi
consecutive di placebo.
Dopo aver terminato con la quarta
dose di soluzione salina, la
ringraziai per aver partecipato allo
studio.
«Grazie, è stato facile parlare con
te».
Interpretai questa sua frase come
un’apertura per lavorare ancora un
po’ prima di salutarci. Era lucida e
in buone condizioni, così affrontai
direttamente il tema principale.
«Mi domando se all’inizio hai
avuto qualche difficoltà a fidarti di
un medico uomo che ti avrebbe
fatto perdere il controllo
somministrandoti una droga».
«Volevo fare questa esperienza»
rispose. «Mi sono fidata di te. Non
sono mai stata davvero preoccupata.
Hai cambiato la mia vita!»
Conoscendo la tendenza di
Cassandra a elevare le persone su
un piedistallo per poi buttarle giù,
replicai con molta attenzione: «Io ti
ho aiutata a creare il contesto
affinché tu potessi cambiare la tua
vita».
«Suppongo di sì. La DMT ti spoglia
di tutto per farti arrivare all’anima.
So che non c’è nulla di cui
preoccuparsi. La DMT mi ha
mostrato come guardare al di là di
tutto questo. In sostanza, tutto si
sistemerà. Mi viene in mente un
pensiero di Samuel Coleridge: se fai
un sogno meraviglioso e riporti
indietro una rosa e poi ti svegli e la
rosa è ancora nella tua mano,
significa che il sogno era reale.
Quando sono ritornata a casa e ho
visto i lividi e i buchi nel braccio, mi
sono davvero sentita in quel modo:
era successo veramente e davvero
ero stata dove ero stata e avevo
provato quel che avevo provato».
Il caso di Cassandra ci mostra
come sia estremamente importante
reagire in modo appropriato a
qualsiasi questione la DMT sollevi.
Le avevo detto il minimo
indispensabile per farla proseguire
nel suo processo di cambiamento,
senza cercare di giudicare, di
riconoscermi dei meriti o tradendo
la sua fiducia in altro modo. In caso
contrario, avrei vanificato
l’importante lavoro che stava
facendo e molto probabilmente
Cassandra lo avrebbe vissuto come
un’altra violazione della sua
integrità.
Con Cassandra ci fu una miscela
che comprendeva diverse
tematiche. Ad ogni modo, il tema
principale sembrava essere stato
l’aver ricontattato il trauma
psicologico dello stupro attraverso i
sintomi del suo dolore addominale.
La DMT le rese più facile stabilire un
contatto emozionale con ciò che il
suo dolore fisico rappresentava e
con il luogo da cui aveva avuto
origine. La molecola dello spirito le
fu d’aiuto nel mostrarle di poter
perdere il controllo, in particolare
con un uomo in posizione di potere
accanto a sé, e di sentirsi amata e al
sicuro allo stesso tempo. La
questione di chi l’aveva amata e le
aveva detto che era buona, e la
natura di quell’amore, ci portano in
altre categorie, quali il contatto con
entità e la spiritualità.
Sia Marsha che Cassandra fecero
degli incontri con clown e presenze
che sembravano risiedere da
qualche altra parte rispetto alla
stanza 531. Ora esamineremo questi
altri mondi, e coloro che li
popolano, ai quali ci può condurre
la molecola dello spirito. Non sono
di natura personale, né
transpersonale. Piuttosto, sono
invisibili, e per i volontari e il team
di ricerca si rivelarono abbastanza
impressionanti e inaspettati.

64. Questa idea è comune tra le persone che


fanno uso di psichedelici a scopo di crescita
personale. Ha a che fare con il valore catartico
della purificazione e della liberazione. Un’intensa
e significativa esperienza emotiva si potrebbe
rivelare molto più utile rispetto a una lunga
analisi verbale condotta su quello stesso
conflitto. Nella pratica medica, tuttavia, sono
necessari entrambi i metodi per gestire i blocchi
emozionali all’interno di un percorso di crescita.
La catarsi senza nessuna comprensione potrebbe
non avere effetti a lungo termine. D’altro canto,
la comprensione senza alcun contatto di tipo
emotivo conduce di solito a ben pochi progressi
reali.
Capitolo 12
MONDI INVISIBILI

In questo capitolo inizieremo a


seguire la molecola dello spirito in
un territorio più inaspettato. Si
tratta di un terreno non così facile
da riconoscere o da comprendere,
perché le esperienze che vi hanno
luogo non sono chiaramente
collegate ai pensieri, ai sentimenti o
al corpo dei volontari. Piuttosto,
suggeriscono dei livelli indipendenti
di esistenza dei quali siamo per lo
più solo vagamente consapevoli.
Questi resoconti sfidano la nostra
visione del mondo e alzano
l’intensità emotiva del dibattito: «È
un sogno? Un’allucinazione?
Oppure è reale?» «Dove si trovano
questi luoghi? Dentro o fuori di
noi?» Queste sono solo alcune delle
domande sulle quali inizieremo a
riflettere mano a mano che
passeremo in rassegna i seguenti
racconti.
I volontari hanno già menzionato
questi luoghi. Marsha si avventurò
nel “Taj Mahal”, mentre Cassandra
venne catapultata nella “stravagante
attrazione circense” piena di clown
e di altri esseri. In questo capitolo
mi concentrerò sulla questione del
dove. In quali luoghi ci conduce la
DMT prendendoci per mano? Si
tratta di un elemento indispensabile
da considerare per tracciare la
mappa del territorio della molecola
dello spirito.
Un aspetto interessante di questi
resoconti è il fatto che essi siano
per lo più degli estratti anziché dei
rapporti delle intere sessioni. Di
rado l’ambiente della DMT da solo
occupava la posizione centrale nel
corso del viaggio di qualcuno. Di
sicuro, gli spazi nei quali i volontari
si ritrovarono erano estremamente
insoliti. Ad ogni modo, era più
importante il significato o lo stato
d’animo, le informazioni, associate
al luogo in cui si trovavano.
Certamente, non appena altre
“forme di vita” iniziavano a
comparire in questi spazi, era
difficile non esserne
completamente travolti, e questi
resoconti sono giustamente oggetto
di capitoli separati.
Nonostante la loro natura
misteriosa, questi estratti sono
introduttivi. Preparano il terreno
per il successivo livello di esistenza
al quale conduce la molecola dello
spirito. Il dove è lo sfondo, lo
scenario. Il chi va al nocciolo di
questi temi. Prima di tutto, però,
facciamo la conoscenza del
paesaggio.
Al livello biologico di base c’era la
percezione del DNA e di altre
componenti biologiche.
Karl fu il nostro primo volontario
dello studio sulla reazione alla dose:
DMT -1. Iniziò a parlare circa due
minuti dopo l’assunzione della sua
dose minima non in cieco: «C’erano
delle spirali di quello che sembrava
il DNA , rosse e verdi».
Anche Philip, della cui tormentata
esperienza con la dose da 0.6 mg/kg
abbiamo già parlato, individuò il
noto motivo a doppia elica, stavolta
con la dose in doppio cieco da 0.4
mg/kg.
«Le immagini si sono ritirate
all’interno di tubi, come dei
protozoi, come l’interno di una
cellula, e si vedeva il DNA che
roteava e si muoveva a spirale.
Sembravano simili a gelatina, come
dei tubi all’interno dei quali vi era
attività cellulare. Era come averne
una visione al microscopio».
Anche Cleo, la cui esperienza di
illuminazione sarà discussa in un
capitolo successivo, vide l’immagine
del DNA : «C’era una spirale simile al
DNA formata da cubi incredibilmente
brillanti. Io “sentivo” i cubi ogni
volta che la mia coscienza si
allontanava».
Vedremo più in dettaglio anche
l’esperienza di Sara, di contatto con
altre entità, in uno dei capitoli
successivi. Comunque è
interessante notare il suo
riferimento al DNA : «Ho sentito che
la DMT liberava l’energia della mia
anima e la spingeva attraverso il
DNA . È quel che mi è successo
quando ho perso il mio corpo.
C’erano delle spirali che mi
ricordavano cose che avevo visto al
Chaco Canyon. Forse era il DNA .
Forse gli antichi lo conoscevano. Il
DNA viene introdotto nell’universo
come in un viaggio spaziale. Una
persona ha bisogno di viaggiare
senza il proprio corpo. È ridicolo
pensare a un viaggio nello spazio
con delle piccole navi».65
Alcuni soggetti ebbero esperienza
di una rappresentazione di
informazioni a livello biologico
meno ovvia del DNA .
Vladan, un regista di quarantadue
anni dell’Europa dell’Est, era uno
dei soggetti più impegnati della
ricerca: si era offerto volontario
nella maggior parte degli studi
pilota volti a determinare le dosi e
l’esatta combinazione delle
sostanze da impiegare con la DMT .
Inoltre, nello studio dosimetrico
preliminare, aveva ricevuto più
psilocibina rispetto a chiunque
altro.
Con una dose relativamente bassa
di DMT , da 0.1 mg/kg, nel corso dello
studio sul pindololo, vide dei
simboli ricchi di significati.
«Nel momento di picco apparvero
delle immagini morbide e
geometriche. Erano cerchi e coni
tridimensionali con ombreggiature.
Si muovevano parecchio. Era quasi
come guardare un alfabeto, ma non
era quello inglese. Sembrava un
alfabeto fantastico, un incrocio tra
le rune e la grafia russa o araba.
Sentivo che conteneva delle
informazioni, dei dati. Non era
casuale».66
In seguito, durante la sessione dei
test pilota sulla ciproeptadina,
Vladan ricevette 0.2 mg/kg di DMT e
di nuovo vide le figure simili alle
lettere dell’alfabeto.
«Era come vedere dei pannelli con
una forma ritagliata all’interno e dai
bordi smussati, come una sorta di
geroglifici. Non erano dipinti ma
ritagliati, e riuscivo a vedere i colori
attraverso di loro».
Un altro esempio lampante delle
trasformazioni visive del linguaggio
e dei numeri arriva da Heather.
All’età di ventisette anni era una
delle nostre volontarie più esperte:
aveva preso psichedelici quasi
duecento volte, aveva fumato DMT
più di dieci volte, e conosceva
piuttosto bene la marijuana, gli
eccitanti e l’MDMA . Inoltre, aveva
assunto la bevanda contenente DMT ,
l’ayahuasca, dieci volte.
Dopo essere riemersa dalla sua
prima dose elevata di DMT non in
cieco, disse: «C’era una donna che
ha parlato spagnolo per tutto il
tempo del viaggio. Il suo accento
era piuttosto particolare; forse non
era spagnola, ma lo sembrava da
come parlava. A un certo punto ha
detto: “Regular”.67 Ha gettato una
coperta bianca sulla scena per poi
ritrarla ripetutamente. Era davvero
strano. C’erano dei numeri.
Sembrava numerologia e
linguaggio. C’erano tutti questi
colori e poi tutti questi numeri, dei
numerali romani. I numeri si
trasformavano in parole. Da dove
vengono le parole? La donna voleva
coprire con la sua coperta sia le
parole che i numeri.
È iniziata come una tipica
esperienza da DMT , ma poi è andata
oltre, al di là di dove ero mai stata
con la DMT . C’è quel suono
squillante quando stai salendo
lassù, poi sono passata alla
questione del linguaggio o dei
numeri. Era completamente
inspiegabile. Forse stava cercando
di insegnarmi qualcosa. Il primo
numero che ho visto era un 2, poi
ho guardato attorno e c’erano
numeri dappertutto. Erano separati
nei loro piccoli contenitori, poi i
contenitori si sono fusi e i numeri si
sono mescolati tra loro formando
cifre ancora più alte».
Eli era un architetto di trentotto
anni e uno dei nostri soggetti di
ricerca più coraggiosi. Aveva già
avuto un’esperienza di regressione
con l’LSD, e si era ritrovato a
osservarsi dall’alto in un momento
della propria infanzia. Quando
ricevette la dose da 0.4 mg/kg
durante i test con la ciproeptadina,
annotò: «Quello che è interessante
è che ho iniziato ad avere una serie
di allucinazioni e poi mi sono detto:
“Ah, questo è il Logos”. C’è il nucleo
giallo-blu del significato e della
semantica, fondamentalmente».68
Risi per come aveva usato la
parola “fondamentalmente”: «È
facile per te dirlo».
«Lo so! È come una catena di
parole o il DNA o qualcosa del
genere. Sono tutti qui intorno, sono
ovunque. Dopo le forme amebiche
di colore blu, fu la volta di diversi
spazi vuoti “pulsanti”. “Ce ne sono
moltissimi” ho pensato. Una bella
sensazione. Poi sono esplosi in una
realtà caotica. Quando mi sono
guardato attorno, mi sembrava che
il significato o i simboli fossero lì.
Una specie di essenza della realtà in
cui è stato immagazzinato il
significato di tutto. E io ho fatto
irruzione nella sua stanza
principale».
Cercando di stare al passo con Eli,
dissi con stupore: «Sembra come se
tu sia passato attraverso una specie
di membrana, raggiungendo una
sensazione di significato e di
certezza».
«Appunto! Non so se è a causa del
mio interesse per i computer, ma
sembravano i puri bit della realtà. È
molto più di semplici uno e zero. È
un livello superiore, sono bit
davvero potenti».
Eli proseguì a descrivere la
“stanza” nella quale aveva fatto
irruzione. Con questo resoconto, la
prospettiva fornita dalla DMT inizia
ora ad ampliarsi.
«Ero in una stanza bianca,
provavo certe emozioni e
sentimenti che mi davano la
sensazione di trovarmi in una realtà
coesistente. Come in un sogno,
dovevo essermi scontrato con l’auto
contro alcuni ragazzi ispanici
all’interno del loro veicolo. Erano
arrabbiatissimi con me. Allora gli
ho detto: “Se mi odiate, odiate voi
stessi. Le nostre culture sono
mescolate, e quindi non c’è bisogno
di difendersi da questo”. La loro
cultura, la nostra cultura, erano co-
reali, esistevano simultaneamente.
La stanza bianca era per lo più
costituita da luce e spazio. C’erano
dei cubi accatastati con delle icone
sulle superfici, come un Logos della
coscienza. C’era luce, ma c’erano
molte altre informazioni che
arrivavano».
Altri volontari si ritrovarono
all’interno di stanze che
somigliavano a stanze da gioco o a
delle nursery, delle specie di sale
d’attesa fatte apposta per loro,
ricche di significato e di profondità.
Gabe, un medico di trentatré anni,
viveva e lavorava in una lontana
comunità rurale. Era uno dei pochi
volontari che aveva già fumato DMT .
Dopo aver ricevuto la dose da 0.4
mg/kg di DMT in combinazione con
la ciproeptadina, riportò quanto
segue: «C’erano alcune scene o
forme simili a quelle che ci sono in
una nursery. Non c’erano bambini,
ma culle e diversi animali, vivaci.
Mi è passata davanti una scena o
una sensazione dell’infanzia. Era
come se mi trovassi dentro un
passeggino, immagini di un
bambino. Era quasi spaventoso.
Non riesco a descriverlo. Forse
potrei disegnarlo. Era come se fossi
in una stanza, da bambino, con un
passeggino. Nella stanza c’erano
persone che somigliavano a cartoni
animati, ma non erano quello che
volevo vedere».
Aaron era all’avanguardia
nell’utilizzo di tecnologie legali per
lo sviluppo della coscienza: supporti
elettronici come quei macchinari in
grado di direzionare le onde
cerebrali, integratori e vitamine, e le
discipline spirituali orientali. Aveva
quarantasei anni quando iniziò a
lavorare con noi. Aaron era uno dei
pochi volontari ebrei del nostro
studio e per questo sentivo una
particolare affinità nei suoi
confronti. Era fiducioso ma scettico;
non vedeva l’ora di vivere
l’esperienza, ma pregava di uscirne
indenne.
Durante la sua sessione di DMT
con l’aggiunta del pindololo, scorse
due elementi dei mondi invisibili:
l’aspetto del linguaggio
informazionale e il tema della
stanza da gioco/nursery.
«Non ci sono porte, non c’è nulla
attraverso cui passare. Qui è buio e
di là ci sono delle immagini, ma non
puoi farci nulla. Erano dei
geroglifici maya. Era interessante. I
geroglifici si sono trasformati in
una stanza, come se fossi un
bambino. C’erano dei giocattoli,
come se fossi un ragazzino Era così.
Era carino».
Su una scala leggermente più
vasta, la molecola dello spirito
condusse un altro volontario a una
specie di “appartamento”. Tyrone
aveva trentasette anni quando
partecipò allo studio sulla reazione
alla dose. Era stato un mio
studente, un laureando in
psichiatria che avevo seguito per un
anno in qualità di supervisore.
Quando si riebbe dalla sua dose di
DMT da 0.2 mg/kg in doppio cieco,
riferì: «Era una scena in cui c’erano
degli appartamenti del futuro!»
E si mise a ridere, tanto lo trovava
incredibile.
«Erano come dei quartieri
residenziali stupendi. Erano rosa,
arancioni, quel tipo di colori, giallo,
molto brillanti».
«Come facevi a sapere che erano
del futuro?» gli chiesi.
«I posti per sedersi, per fare le
cose, i banconi erano modellati
sulla base delle pareti. Non ho mai
visto nulla di simile. Aveva davvero
un aspetto moderno. La natura
quasi organica dell’appartamento
era meravigliosa. Non solo era
funzionale, ma nell’arredamento
stesso c’era vita, come se fosse stato
modellato sulla base di qualcosa di
vivo, un animale o un essere
vivente. Ero incantato dagli
appartamenti. Provavo
un’ammirazione artistica, come
quando si guarda un bel quadro e ci
si perde dentro, ci si perde nella
felicità. Alla fine ho proseguito oltre
gli appartamenti e sono entrato
all’interno di uno spazio, una crepa
nella terra. Non era orizzontale, ma
verticale. Una crepa nello spazio».
Aaron prese parte anche allo
studio con l’EEG. Alcuni giorni dopo
la sessione in cui ricevette la dose
da 0.4 mg/kg di DMT , ci inviò delle
note scritte a mano che forniscono,
meglio di quanto potrei fare io, una
descrizione di dove era stato quel
giorno. Ora vedremo qualche
scorcio della natura abitata da
questi spazi strani.
«Non si poteva tornare indietro.
Dopo qualche attimo mi sono
accorto che stava succedendo
qualcosa alla mia sinistra. Ho visto
uno spazio psichedelico con colori
fluorescenti che si avvicinava a una
stanza in cui le pareti e il pavimento
non avevano dei limiti definiti e
nemmeno dei bordi. Vibrava e
pulsava come l’elettricità. Di fronte
a me si ergeva un tavolo simile a un
podio. Sembrava che alcune
presenze mi stessero
dando/servendo qualcosa. Volevo
sapere dove mi trovavo e come
risposta ho “percepito” che quel
luogo non mi riguardava. La
presenza non era ostile, più che
altro sembrava infastidita e
brusca».
La dose in doppio cieco di Philip
da 0.4 mg/kg fu decisamente più
facile da gestire rispetto al
sovradosaggio di 0.6 mg/kg. In
questa sessione, il luogo si espande
così tanto da permettere di arrivare
a osservazioni su scala ancora più
vasta.
«Quelle immagini inarrestabili,
accompagnate da stridori e crepitii,
non sono durate a lungo. Poi mi
sono trovato al di sopra di un
paesaggio insolito, simile alla Terra,
ma molto poco terrestre. C’erano
delle specie di montagne. Era molto
accogliente e invitante. Era così
reale che ho dovuto aprire gli occhi.
Quando l’ho fatto, l’immagine del
soffitto si è sovrapposta alla scena.
Ho richiuso gli occhi e
l’interferenza è scomparsa. Era
come un manifesto fosforescente
dai colori estremamente accesi, ma
molto più complesso. Ero sospeso
per chilometri sopra di esso. Ne
avevo la chiara sensazione corporea,
non era soltanto una percezione
visiva. C’erano dei telescopi, o
antenne paraboliche, o delle torri
idriche con delle antenne in cima.
Vorrei poterti condurre là e
mostrartele. L’orizzonte si stendeva
ampio. Il sole era diverso: diversi
colori e sfumature rispetto al nostro
sole».
Concludiamo questo capitolo con
la descrizione di Sean di un mondo
della DMT molto simile al nostro.
Tuttavia, quel mondo non aveva
nulla a che fare con la stanza 531 ed
era abitato da esseri diversi da me e
Laura. Mi piace questo esempio
perché unisce il materiale di questo
capitolo con quello dei capitoli
successivi. In altre parole, quel
mondo si trova “da qualche altra
parte”, con “qualcuno al suo
interno” e con “qualcosa che
succede”, ma è così familiare da
ingannarci riguardo al suo “essere
altro”.
Più avanti, leggeremo in dettaglio
dell’esperienza di illuminazione di
Sean. Ad ogni modo, per i nostri
scopi, è interessante notare quel
che ci raccontò dopo la sua terza
sessione da 0.3 mg/kg di DMT
durante lo studio sulla tolleranza.
Quasi come un ravvedimento,
prima di ricevere la sua quarta e
ultima dose disse: «Be’, c’erano
delle persone e delle guide. Io mi
trovavo presso una famiglia di
messicani nella veranda di una casa
nel deserto. All’esterno c’era un
giardino. C’erano dei bambini e
delle cianfrusaglie. Io giocavo con i
bambini, facevo parte della famiglia.
Avevo la sensazione che un uomo
anziano stesse in piedi dietro di me
o attorno a me. Volevo parlare con
lui, ma in qualche modo mi ha fatto
capire che era più importante far
visita alla giovane ragazza. Regnava
un’atmosfera di tranquillità,
benevola. Sembrava tutto così
naturale e perfetto nel suo
svolgersi. Non era affatto un sogno
e ho pensato: “Sembra un
meraviglioso giorno qualsiasi”, poi
mi sono fermato e ho pensato: “No,
sto facendo un viaggio”.
C’erano anche degli uomini di
colore che sembrava mi stessero
strattonando. Ho provato la strana
sensazione di venire estratto. Mi
sentivo frastornato. Venivo
chiamato da qualche altra parte».
Cercando di mantenere il suo
flusso di pensieri, suggerii:
«Sembra un libro di Carlos
Castaneda».69
«Già, non è vero? Non ci avevo
pensato».
Forse si potrebbe pensare che
queste percezioni non sono così
strane, dopotutto. Tutti noi
sogniamo luoghi e cose fantastiche.
Ad ogni modo, i nostri volontari
non solo vedevano queste cose, ma
avevano l’incrollabile certezza di
trovarsi davvero in quel luogo.
Aprendo gli occhi in qualsiasi
momento, la nostra realtà si
sovrapponeva alla realtà invisibile
che gli si stava manifestando.
Non erano addormentati. Erano
iperconsapevoli e svegli, in grado di
dirsi cosa fare in questo nuovo
spazio. È incredibile quante volte li
ho sentiti dire: «Mi sono guardato
intorno e ho visto...»
Ascoltando queste esperienze, io
stesso ho iniziato ad allargare i miei
orizzonti di psichiatra e ricercatore.
Facevo pochi commenti sui
resoconti dei volontari in merito a
questi regni invisibili. Era difficile
stargli dietro e non sapevo cosa
dire. È stato a questo punto che
iniziai a lottare con la tendenza a
considerare queste storie come
sogni o prodotti dell’immaginazione
amplificata dalla DMT . Dall’altro
lato, iniziai anche a dubitare del
mio stesso modello che descriveva
quel che succede con la DMT . Le
persone si trovavano davvero da
qualche altra parte? Di che cosa
erano esattamente testimoni?
Non si tratta di domande banali.
Come già abbiamo visto nel capitolo
precedente, è fondamentale fornire
delle risposte delicate, empatiche e
incoraggianti quando si lavora con
persone sotto l’effetto della DMT .
Un’osservazione sbrigativa,
contrassegnata da dubbi o
scetticismo, potrebbe far star male
qualcuno o farlo sentire svilito, e
quindi condurlo rapidamente ad
avere una reazione negativa o
demoralizzante. Ne è un esempio il
secco rifiuto di Sean al mio
suggerimento che la scena della
famiglia messicana fosse basata sul
ricordo dei libri di Carlos
Castaneda. Sean era con loro; non si
trattava di nient’altro.
Oltre alla necessità di tenermi al
passo con i loro racconti e di
fornirgli delle risposte empatiche,
dovevo anche aiutare i volontari a
capire cosa gli fosse successo.
Quando si entra in quei mondi
invisibili, la difficoltà maggiore si
riscontra nel dare un senso a quello
che sta accadendo. Come vedremo
nei prossimi due capitoli, tale
questione diventava ancora più
pressante quando nelle sessioni dei
volontari predominavano gli
incontri con entità.

65. Chaco Canyon è uno spettacolare sito di


antiche rovine a circa tre ore a nord-ovest di
Albuquerque. Fu popolato per secoli dagli
Indiani Anasazi, probabilmente precursori delle
tribù Pueblo contemporanee. Il luogo originario
da cui provengono gli Anasazi, e quello che
raggiunsero dopo aver abbandonato il canyon
durante la metà del XIII secolo, restano due dei
grandi misteri archeologici mondiali. Le loro
conoscenze in campo astrologico erano
estremamente sofisticate, e gli Anasazi misero a
punto un proprio sistema di irrigazione e delle
tecniche agricole davvero sorprendenti, se si
considera la tendenza alla siccità di quella zona.
Il Chaco Canyon affascina tutti coloro che lo
visitano, e molte persone vi si recano in
pellegrinaggio con un fervore quasi mistico.

66. Le rune sono un antico strumento di


divinazione utilizzato nei paesi nordici, simile all’
I-Ching e ai Tarocchi. Le rune risalgono almeno
al 1000 a.C. e utilizzano pietre con dei simboli
incisi, anziché bastoncini o carte. Le moderne
rune hanno venticinque simboli diversi.

67. Regular in spagnolo significa “regolare”,


“normale”, “ordinario”. Nella pronuncia corretta
l’accento è sull’ultima sillaba.

68. Nella filosofia classica greca e neo-platonica,


il Logos è la ragione cosmica che dà al mondo
ordine, scopo e intelligenza.

69. Carlos Castaneda fece una ricerca


antropologica sul campo, nel deserto del
Messico. Trascorse anni in compagnia di uno
sciamano indigeno, Don Juan Matus. Molti degli
episodi che Castaneda descrive iniziano come dei
semplici incontri con Don Juan e i suoi amici,
all’interno di scenari simili a quelli descritti da
Sean. Si veda, ad esempio, Carlos Castaneda, Gli
insegnamenti di Don Juan, Rizzoli 1999.
Capitolo 13
CONTATTO ATTRAVERSO
IL VELO: 1

Il materiale di questo capitolo e


del successivo è il più insolito e
difficile da comprendere. È anche il
più misterioso e quando le persone
mi chiedono: «Cosa hai trovato?», è
l’argomento più difficile a cui
sottrarsi.
Mentre rivedevo i miei appunti,
mi sorprendevo in continuazione
nel constatare quanti dei nostri
volontari – in un modo o nell’altro
almeno la metà – erano entrati in
contatto con loro o con altri esseri.
C’era chi li definiva “entità”,
“esseri”, “alieni”, “guide” e
“aiutanti”. Le “forme di vita”
assomigliavano a clown, rettili,
mantidi, api, ragni, cactus e figure
stilizzate. Mi stupisco ancora adesso
nel leggere nei miei appunti
commenti del tipo: «C’erano questi
esseri», «Ero guidato», «Mi furono
subito addosso». È come se la mia
mente rifiuti di accettare quello che
è scritto lì sopra, nero su bianco.
Forse ho difficoltà con queste
storie perché sfidano il comune
senso della realtà e la mia stessa
visione del mondo. Il nostro attuale
approccio alla realtà si basa sulla
coscienza ordinaria e sui suoi
strumenti come uniche vie di
conoscenza. Se non possiamo
vedere, sentire, odorare, gustare o
toccare le cose nel nostro ordinario
stato di coscienza, oppure
attraverso i nostri sensi amplificati
dalla tecnologia, allora non sono
reali. Perciò, si tratta di esseri “non
materiali”.
Al contrario, le culture primitive
sono in contatto costante con gli
abitanti dei mondi invisibili e non
hanno difficoltà a stare a cavallo tra
i due mondi. Spesso lo fanno con
l’aiuto di piante psichedeliche.
Molti scienziati moderni, pur
avendo una fede salda nella
spiritualità, sono tuttavia
profondamente combattuti tra le
proprie convinzioni personali e
quelle professionali. Ci può essere
una profonda contraddizione tra ciò
che affermano e ciò che sentono. È
difficile essere “oggettivi” in
materia di cuore e di spirito. Gli
scienziati possono categorizzare la
loro fede tralasciando di verificare
le loro intuizioni spirituali. In altri
casi possono annacquare la natura
della loro fede per mantenere un
po’ di coerenza con la loro
comprensione intellettuale. Magari
ignorano semplicemente la
presenza di angeli e demoni nelle
antiche scritture, oppure li
considerano manifestazioni
simboliche o fantastiche di
un’immaginazione religiosa
eccessivamente fervida.
La mancanza di un dialogo aperto
su questi temi rende molto più
difficile anche solo immaginare di
poter ampliare il nostro punto di
vista sulla realtà dei mondi
immateriali usando il metodo
scientifico. Cosa accadrebbe agli
studi sui reami spirituali se
potessimo accedervi in modo
affidabile usando molecole come la
DMT ?
Oltre alle questioni che
riguardano l’esistenza dei mondi
immateriali o spirituali, dobbiamo
anche considerare di estendere la
nozione di ciò che possiamo
percepire al loro interno. Sono in
grado le nostre strutture spirituali e
religiose di accogliere ciò che si
trova all’interno di questi diversi
livelli di esistenza? Le storie che
stiamo per sentire vanno oltre gli
incontri ragionevolmente “semplici”
con il Divino o con gli angeli, e non
sono particolarmente chiare e
ordinate, né sono in armonia con
ciò che ci aspetteremmo dalle
esperienze spirituali.
Spero che questi resoconti
accrescano l’interesse per i mondi
non materiali tramite l’utilizzo di
qualunque mezzo, sia esso
intellettuale, intuitivo o
tecnologico. Quando ci sarà
sufficiente interesse, allora tali
fenomeni potranno diventare un
argomento degno di essere oggetto
di indagine scientifica.
Paradossalmente, potremmo dover
fare maggiore affidamento sulla
scienza, specialmente sui campi
indipendenti della cosmologia e
della fisica teorica, rispetto alle
nostre più conservatrici tradizioni
religiose per ottenere dei modelli e
delle spiegazioni soddisfacenti di
queste esperienze nel “mondo dello
spirito”.
Mi aspettavo di ascoltare questo
genere di esperienze una volta
iniziato a somministrare la DMT .
Conoscevo i racconti che Terence
McKenna fa delle “macchine
elfiche” che aveva incontrato dopo
aver fumato dosi elevate della
droga. Anche dai colloqui con venti
esperti fumatori di DMT , fatti prima
di intraprendere la ricerca nel New
Mexico, erano emersi racconti di
simili incontri. Poiché la maggior
parte di queste persone era della
California, a dire il vero ascrissi
queste storie all’eccentricità della
West Coast.
Quindi non ero preparato dal
punto di vista intellettuale, né da
quello emotivo, alla frequenza con
la quale si verificarono gli incontri
con le entità nel corso del nostro
studio, e nemmeno alla natura
totalmente bizzarra delle
esperienze. E non sembravano
esserlo nemmeno molti dei
volontari, perfino quelli che
avevano fumato DMT in passato.
Altrettanto sorprendenti erano gli
elementi comuni di ciò che questi
esseri facevano con i nostri
volontari: li manipolavano,
comunicavano con loro, gli
mostravano delle cose, li aiutavano
o gli facevano delle domande. In
sostanza si trattava di una strada a
doppio senso.
Per quanto strani possano essere i
resoconti che seguono, la nostra
ricerca degli anni ‘90 non fu la
prima nella letteratura scientifica a
descrivere esperienze di contatto
indotte dalla DMT . Esistono anche
dei resoconti degli anni ’50. Questi
casi più vecchi sono degni di nota in
quanto fanno da preludio alle storie
che avremmo ascoltato quasi
quarant’anni dopo. Ciò che è ancora
più singolare è che non sono stato
in grado di trovare nessun
resoconto simile in soggetti di
ricerca che avevano fatto uso di altri
psichedelici. Solo con la DMT le
persone si incontrano con loro, con
altri esseri all’interno di un mondo
non materiale.
Questi vecchi estratti clinici
giungono da pazienti affetti da
schizofrenia, molti dei quali furono
ricoverati in ospedale per anni, se
non decenni. Non erano
particolarmente eloquenti, acuti o
prestanti. Ricevettero la DMT
durante studi volti a determinare
quanto fosse simile alla
schizofrenia lo stato prodotto dalla
DMT . I ricercatori erano anche
interessati a definire se i pazienti
nei quali la psicosi si era
manifestata in maniera spontanea
fossero più meno sensibili agli
effetti della DMT .
Nel corso di uno studio presso il
primo laboratorio di Stephen Szára
in Ungheria, un paziente affetto da
schizofrenia riportò ciò che segue
dopo un’alta dose di DMT ricevuta
per via intramuscolare: «Ho visto
dei sogni così strani, ma solo
all’inizio... ho visto delle strane
creature, gnomi o qualcosa del
genere, erano neri e si muovevano
in continuazione».70
Anche un team di ricerca
americano somministrò la DMT a
pazienti affetti da schizofrenia. Dei
nove soggetti, l’unica che riuscì a
dire qualcosa sulla propria
esperienza fu una povera donna, la
quale, dopo aver assunto una dose
consistente da 1.25 mg/kg di DMT
per via intramuscolare, affermò:
«Ero in un posto grande e loro mi
facevano male. Non erano umani...
erano orribili! Mi trovavo in un
mondo abitato da persone
arancioni».71
Questi aneddoti dovrebbero
trattenerci dall’assumere un
atteggiamento troppo compiaciuto
nel ritenere che quanto riportato
dai nostri volontari fosse un
fenomeno puramente new age degli
anni ’90. La molecola dello spirito
aveva rivelato i mondi invisibili e i
loro abitanti alla scienza occidentale
molto prima che la nostra ricerca
iniziasse.
Il primo incontro di Karl con le
forme di vita, così come le sue
visioni del DNA descritte nel capitolo
precedente, offrì un preludio delle
successive storie più complesse
narrate da altri volontari. Karl era
un fabbro di quarantacinque anni.
Era sposato con Elena, della cui
esperienza di illuminazione
parleremo più avanti.
Dopo otto minuti dall’iniezione di
una dose elevata non in cieco,
descrisse questo incontro: «Era
davvero strano. C’erano parecchi
folletti. Erano dispettosi e irascibili,
forse quattro di loro comparvero al
lato di un tratto di autostrada che
percorro abitualmente.
Controllavano la scena, era il loro
territorio! Erano alti all’incirca
come me. Tenevano alzati dei
manifesti, mostrandomi gli scenari
incredibilmente belli, complessi, dai
motivi geometrici vorticosi, che si
trovavano al loro interno. Uno di
essi mi impediva di muovermi. Non
c’era verso di poter controllare
qualcosa, erano loro ad avere il
controllo di tutto. Loro volevano
che io guardassi! Ho sentito delle
risate: erano i folletti che
ridacchiavano o parlavano
velocemente, cinguettando e
squittendo».
Nel capitolo precedente abbiamo
letto dell’esperienza di Aaron
riguardo ai mondi invisibili.
Torniamo ora alla sua prima dose
elevata di DMT non in cieco. Circa
dieci minuti dopo l’iniezione, mi
guardò ridendo: «All’inizio c’era
una serie di immagini simili a un
mandala, delle visioni come di gigli.
Poi una cosa simile a un insetto mi
è venuta dritta in faccia, volandomi
sopra mano a mano che la droga
scendeva. Questa cosa mi ha
risucchiato fuori dalla testa,
spingendomi nello spazio. Era
chiaramente lo spazio, un cielo nero
con milioni di stelle.
Mi trovavo in una sala d’attesa
molto grande, o qualcosa del
genere. Era molto lunga. Mi sentivo
osservato dall’insettoide e da altri
come lui. Poi hanno perso interesse.
Sono stato portato nello spazio e mi
sono messo a osservare».
Aaron riassunse così i suoi
incontri con questi esseri dopo una
successiva dose elevata in doppio
cieco: «C’è uno scenario sinistro, un
lato alieno, insettoide e non molto
piacevole in tutto questo, non è
vero? Non del tipo: “Stiamo
venendo a prenderti, figlio di
puttana”. È più come essere
posseduti. Nel corso dell’esperienza
c’è la sensazione che qualcun’altro
o qualcos’altro prenda il controllo.
È come se ci si dovesse difendere da
loro, chiunque essi siano, ma
certamente sono lì. So che ci sono,
così come loro sanno di me. È come
se avessero un loro programma. È
come fare una passeggiata in un
quartiere diverso. Non sei più molto
sicuro di cosa sia la normalità.
Quegli esseri rettiliani hanno una
natura così differente».
«E per quanto riguarda la paura?»
domandai. «Qual è la peggior cosa
che potrebbero fare se fossero liberi
di arrivare a te?»
«Ecco il punto. È la sensazione
che ciò sia possibile a essere così
strana».
In uno dei capitoli seguenti
leggeremo dei problemi fisici
incontrati da Lucas dopo la sessione
con la dose elevata. Ad ogni modo, è
interessante esaminare una parte
della lettera che ci scrisse alcuni
giorni dopo quell’esperienza: «Non
c’è nulla che ti possa preparare a
questo. C’è un suono, un bzzzz. È
iniziato e si è fatto sempre più forte
e sempre più veloce. Io stavo
andando avanti e a un certo punto
BUM! C’era una stazione spaziale
sotto di me e alla mia destra.
C’erano almeno due presenze, una
su ogni lato, che mi guidavano
verso una piattaforma. Sapevo che
c’erano anche numerose entità
all’interno della stazione spaziale:
degli automi, creature simili ad
androidi che sembravano un
incrocio tra manichini da crash test
e le truppe imperiali di Guerre
Stellari, con l’eccezione che si
trattava di esseri viventi e non di
robot. Sembravano avere delle
fantasie a scacchi su alcune parti
del corpo, in particolare nella parte
superiore delle braccia. Stavano
eseguendo una specie di lavoro
tecnologico di routine e non mi
prestavano attenzione. In uno stato
di travolgente confusione, ho
riaperto gli occhi».
Fu a questo punto, nella stanza
531, che il battito e la pressione di
Lucas precipitarono a livelli quasi
non registrabili.
Nel capitolo 15 leggeremo
dell’esperienza sciamanica di morte
e rinascita di Carlos, originata dalla
sua prima dose elevata di DMT non
in cieco. Nel corso di una delle
sessioni con dosi elevate, anche lui
incontrò degli esseri che cercarono
di aiutarlo con la sua ansia: «C’è
questo mondo completamente
diverso con opere architettoniche e
paesaggi. Là ho visto uno o due
esseri. Sono sessuati, ma la loro
pelle non era color carne.
Comunicavo con loro ma non c’era
abbastanza tempo. Ero così teso,
eccitato e agitato quando arrivai lì.
Loro volevano cercare di ridurre la
mia ansia in modo che potessimo
comunicare».
Gabe, del cui viaggio in una
nursery o in una stanza da giochi
abbiamo letto nel capitolo
precedente, sentì una sensazione
ancora maggiore di cura e
attenzione nei suoi confronti da
parte degli “spiriti” durante la sua
prima sessione di DMT con la dose
elevata: «C’è stata un’iniziale
sensazione di panico. Poi dei colori
meravigliosi si sono combinati
insieme per poi dar forma a degli
esseri. C’erano moltissime entità.
Mi parlavano senza emettere alcun
suono. Era più come se mi stessero
benedicendo, gli spiriti della vita mi
stavano benedicendo. Dicevano che
la vita era bella. All’inizio sentii
come se stessi attraversando una
caverna o un tunnel, come se stessi
viaggiando nello spazio a un’alta
velocità. Mi sentivo come una palla
che stava precipitando».
Molti incontri dei volontari con le
forme di vita all’interno di questi
mondi non materiali comportavano
la forte sensazione di uno scambio
di informazioni. Il tipo di
informazioni variava notevolmente.
A volte riguardava la “biologia” di
questi esseri.
Chris aveva trentacinque anni, era
sposato e vendeva computer. Aveva
anche del talento artistico e recitava
in una compagnia teatrale locale.
Prima di iniziare la nostra ricerca
aveva fatto uso di psichedelici già
cinquanta-sessanta volte. Sperava
che le sessioni con la DMT lo
avrebbero sospinto in uno stato di
consapevolezza che aveva cercato di
raggiungere nel corso degli otto
anni di uso di LSD, del quale però
aveva avuto solamente alcuni
barlumi.
La sua dose elevata non in cieco
fu l’esperienza più rassicurante
della sua vita. La separazione dalla
mente e dal corpo avvenne
facilmente, e ne conseguì che «se la
morte è così, non c’è nulla di cui
preoccuparsi».
Alcune settimane dopo, Chris
ritornò per lo studio sulla
tolleranza.
Dopo la prima dose, sollevò la
mascherina e disse: «C’erano molte
mani che cercavano di sentire i miei
occhi e la mia faccia. Era tutto un
po’ confuso. C’erano più persone.
Cercavano di riconoscermi e di
identificarmi. C’era molta intimità.
All’inizio ho pensato che si trattasse
della mascherina sulla mia faccia,
ma non lo era senz’altro!»
Mentre stava compilando la scala
di valutazione, aggiunse: «Per
arrivare in quel posto sono dovuto
passare attraverso una specie di
spazio poco benevolo. Era come se
vi fossero degli artigli o delle
tenaglie che in qualche modo
cercavano di difendere quel luogo».
Erano delle giornate lunghe e
aveva bisogno di un
incoraggiamento. Mi lasciai guidare
dall’intuito: «Se è necessario, lascia
che ti strappino a brandelli, così poi
potrai continuare».
«Lo smembramento è parte
dell’iniziazione sciamanica, non è
vero? Ho sentito la presenza di una
specie di drago. E c’erano gli stessi
colori: rosso e giallo oro».
«I colori potrebbero essere una
specie di drappo o di tenda. Per
quanto belli siano, ci puoi passare
attraverso per raggiungere l’altra
parte».
Dopo essersi ripreso dalla seconda
dose, sembrava intontito e si
aggrappava a parole che
sembravano inadeguate.
«Era selvaggio. Non c’erano
colori, ma c’era il solito suono
piacevole, un ruggito, una specie di
ronzio interno. Poi sono apparsi tre
esseri, tre forme fisiche. I loro corpi
emanavano dei raggi che poi
tornavano indietro. Erano rettiliani
e umanoidi, cercavano di farmi
comprendere non con le parole ma
con i gesti. Volevano che guardassi
all’interno dei loro corpi. Ho
guardato dentro e ho capito la
riproduzione, come si è prima della
nascita e il passaggio nel corpo.
Dopo aver compreso quel che
volevano comunicarmi, non sono
svaniti, ma sono restati lì per un po’
di tempo. La loro presenza era
molto solida».
A quel punto della ricerca avevo
già sentito di molti incontri del
genere e potevo dunque avvalorare
la sua esperienza: «Non te lo
aspettavi».
«Cerco di programmare e di
procedere con un’idea di cosa
vedere, ma semplicemente non ci
riesco. Pensavo che stessi
sviluppando la tolleranza, ma poi,
tutt’a un tratto... sono spuntati
questi tre tizi o esseri».
Sembrava un po’ in difficoltà nel
raccontare la sua esperienza, e
cercai di entrare in empatia con la
sua perplessità dicendogli: «È
davvero strano».
«Certo che lo è. Mentre mi
toglievo la mascherina, non ero
sicuro di volertene parlare».
La terza dose di Chris fu
relativamente tranquilla. Restò
consapevole del proprio corpo, del
suo battito nel petto e dello
stomaco che brontolava per la fame.
La sua quarta dose approfondì i
temi delle tre sessioni precedenti e
si concluse con molte
caratteristiche di un’esperienza
mistica: «Stavano cercando di farmi
vedere quante più cose possibili.
Comunicavano attraverso le parole.
Sembravano dei clown, dei buffoni,
dei pagliacci o dei folletti. Ce
n’erano tantissimi impegnati nei
loro giochetti. Mi ci ero abituato.
Ero incredibilmente calmo e mi
sembrava di trovarmi in un luogo
straordinariamente tranquillo. Poi
ho ricevuto un messaggio che mi
diceva che mi era stato dato un
dono, che quello spazio era mio e
che potevo andarci in qualunque
momento. Dovevo sentirmi
fortunato ad avere una forma, a
essere vivo. La scena andò avanti
all’infinito. C’erano delle mani di
colore blu, cose che svolazzavano, e
poi migliaia di cose sono uscite da
queste mani blu. Ho pensato: “Che
spettacolo!” Era davvero curativo.
Era parte di me, non qualcosa di
separato. Ciò mi rassicurava sul
fatto che tutto questo non sarebbe
sparito: era mio ed era stata
stabilita una connessione. L’intera
esperienza è stata davvero
fondamentale per il mio sviluppo
spirituale. Era quello che avevo
cercato di fare con l’LSD, una sorta di
auto-iniziazione. Con l’LSD per certi
versi aveva funzionato e per altri
no».
Ancora più strani sono i racconti
di come queste forme di vita dei
mondi invisibili hanno agito, in
modo più o meno invasivo, sui
volontari nel corso delle sessioni
con la DMT .
Jim, un insegnante di trentasette
anni, era un volontario che non
amava parlare molto delle sue
esperienze. Durante lo studio sulla
tolleranza parlammo di come
andare oltre i colori brillanti, che
finivano col distrarlo. Sentiva che ci
potevano essere delle entità dietro i
colori, e lo incoraggiai ad andare a
vedere se ci fossero. Dopo essere
riemerso dalla sua ultima dose,
disse in modo sbrigativo e tagliente:
«Come mi hai suggerito, sono
andato con loro. C’erano dei
ricercatori clinici che esploravano
l’interno della mia mente. Mi hanno
inserito nelle pupille delle specie di
lunghi arnesi a fibra ottica».
Erano anni che avevamo smesso
di usare il pupillometro, perciò non
aveva nulla a che fare con quello
che stava succedendo nella stanza
531. Gli domandai come gli era
sembrato.
«Era abbastanza strano, ma ho
pensato che fosse causato solo dalla
droga».
Jeremiah, all’età di cinquant’anni,
era uno dei nostri volontari più
anziani. Era andato in pensione di
recente dopo aver prestato servizio
nell’esercito per decenni e stava
iniziando una nuova fase della sua
vita professionale, seguendo un
corso di formazione in counseling
clinico. Inoltre stava dando avvio
alla sua terza famiglia, e a metà
dello studio sulla reazione alla dose
si sottopose a un intervento di
lifting al volto. Era un uomo molto
impegnato.
Nel corso dei primi minuti della
sua dose elevata di DMT non in cieco,
Jeremiah se ne uscì con diverse
esclamazioni: «Oh!», «Wow!»,
«Incredibile!» Iniziò a illuminarsi,
un sorriso enorme dipinto sul viso.
Sembrava passarsela molto bene.
«C’era una nursery
tecnologicamente avanzata, con un
solo Gumby, alto quasi un metro,
che si prendeva cura di me.72 Mi
sentivo come un neonato. Non un
neonato umano, ma un neonato
imparentato con quegli esseri
intelligenti rappresentati dal
Gumby. Lui sapeva che ero lì, ma
non era particolarmente
interessato. Era come se da parte
sua vi fosse un interesse distaccato,
simile a quello di un genitore che
guarda il figlio di un anno
all’interno del box. Mentre mi
addentravo in tutto ciò, ho sentito
un suono: hmmm. Poi due o tre
voci maschili che parlavano. Una di
loro ha detto: “È arrivato”.
Ho sentito l’evoluzione compiersi.
Questi esseri intelligenti ci
osservano. C’è speranza oltre il
casino che abbiamo combinato.
Non potevo modificare per nulla
quell’esperienza. Non me la potevo
aspettare e nemmeno immaginare.
Fu una sorpresa totale! Cercai di
aprirmi all’amore, ma fu sciocco da
parte mia. Tutto quello che potevo
fare era osservare».
Trovai questo ultimo commento
particolarmente interessante perché
metteva in dubbio la mia congettura
che ciò che Jeremiah aveva
incontrato fosse un prodotto della
sua mente, anziché una “reale”
percezione. “Aprirsi all’amore” è un
modo di dire simbolico per indicare
lo sforzo di tramutare in amore
l’ansia provocata da un’esperienza
inaspettata o spiacevole. Se quello
che Jeremiah aveva appena visto
era solo frutto della sua
immaginazione, sarebbe stato in
grado di alterare le sue reazioni. Il
fatto di percepire “sciocco” il suo
tentativo mi fece ricordare
dell’inutilità di cercare di “aprirsi
all’amore” nei confronti di un
camion in arrivo. “Aprirsi
all’amore”, dopo essere stato
catapultato in una nursery aliena,
era una risposta talmente inutile e
inappropriata da sembrare sciocca.
Alcuni mesi più tardi Jeremiah
ricevette la sua dose da 0.4 mg/kg
di DMT in doppio cieco.
Al quinto minuto iniziò a dire: «È
stata molto più forte della prima
dose massima. È un mondo diverso.
Ci sono degli strumenti fantastici,
cose che sembrano macchine. Una
persona azionava alcuni di questi
arnesi. Io mi trovavo in una grande
stanza, mentre lui era da qualche
altra parte nella stessa stanza.
Mi gira un po’ la testa... tutti i mie
sensi sono acuiti... sento dei piccoli
tremori per tutto il corpo».
«Forse chiudere gli occhi ti può
aiutare. Ecco, lascia anche che ti
copra con una coperta».
«C’era una grande macchina al
centro, con dei tubi rotondi che
quasi si arrotolavano, non proprio
come dei serpenti, ma in un modo
più tecnico. I tubi non erano aperti
all’estremità. Erano dei tubi solidi,
di colore blu-grigio, fatti di plastica?
Sembrava che la macchina mi
stesse ricablando o
riprogrammando. C’era un umano,
per quel che ne posso dire, in piedi
accanto a una specie di console, che
rilevava i dati e azionava dei
comandi. Era occupato, impegnato
nel suo lavoro. Ho osservato alcuni
dei risultati su quella macchina,
forse si riferivano al mio cervello.
Era un po’ inquietante, e così
intenso da sembrare insopportabile.
Tutto era iniziato con un gemito, un
ronzio».
L’ultima sessione in doppio cieco
di Jeremiah fu con la dose da 0.2
mg/kg, meno intensa ma
indubbiamente psichedelica. In
questa sessione era circondato dalla
gabbia di trazione ortopedica, la
quale, a detta sua, non gli dava
fastidio. Quella mattina Josette
aveva sostituito Cindy come nostra
infermiera.
Dopo dieci minuti, Jeremiah
iniziò: «C’erano quattro diversi
esseri che mi guardavano dall’alto,
come se mi trovassi sul letto di una
sala operatoria. Ho aperto gli occhi
per vedere se eravate tu e Josette,
ma non si trattava di voi. Avevano
fatto qualcosa e ora stavano
osservando i risultati. Sono molto
avanzati dal punto di vista
scientifico e tecnologico. Stavano
guardando proprio al di sopra della
gabbia di trazione di fronte a me.
Credo che stessero dicendo:
“Arrivederci, fatti vivo!”».
Josette disse che alcune delle cose
descritte da Jeremiah le
ricordavano di alcuni sogni “strani”
che aveva fatto, e proseguì
raccontandocene uno.
Jeremiah ribatté: «Quello che hai
descritto era un sogno. Questo
invece è reale. Totalmente
inaspettato ma assolutamente
costante e oggettivo. Si potrebbe
spiegare la sensazione di essere
osservati con il fatto che voi
guardavate le mie pupille, mentre i
tubi che sentivo nel mio corpo
potrebbero essere i tubi che sto
osservando ora. Ma sarebbe una
metafora, mentre quello che ho
vissuto non lo era affatto. È una
realtà indipendente e costante».
Josette raccolse gli ultimi
campioni di sangue e lasciò la
stanza, chiudendo la porta dietro di
sé. Io e Jeremiah ci rilassammo.
«La DMT mi ha mostrato la realtà
del fatto che esiste un’infinita
varietà di realtà. C’è la reale
possibilità di dimensioni parallele.
Potrebbe non essere così semplice
come se si trattasse di altri pianeti
alieni con i loro tipi di società.
Questa è troppo vicina. Non è come
alcuni tipi di droga. È un’esperienza
con una nuova tecnologia piuttosto
che con una droga.
Puoi scegliere se venirne
coinvolto o meno. Continuerà a
svolgersi anche se non gli presti
attenzione. Non ritorni da dove sei
partito, ma da dove le cose sono
continuate dal momento in cui tu
sei partito. Non si tratta di
un’allucinazione, ma di
un’osservazione. Quando sto lì non
mi sento drogato, ma sono lucido e
sobrio».
Le sessioni di Dmitri proseguono
con i temi riguardanti la
sperimentazione e i test sui
volontari una volta che la molecola
dello spirito li aveva condotti nei
reami non materiali.
Quando iniziò lo studio con la
DMT , Dmitri aveva ventisei anni. Era
di origine greca e viveva con
Heather, della cui esperienza nei
mondi invisibili abbiamo letto nel
capitolo 12. Era uno scrittore e un
editor, oltre che un navigato e
determinato esploratore dello
spazio interiore. Aveva fumato DMT
una sessantina di volte, fatto uso di
LSD «centinaia di volte», provato la
ketamina dalle cinquanta alle cento
volte e l’MDMA una trentina di volte.
Quando giunsi nella sua stanza,
Dmitri non era particolarmente
entusiasta del programma del
giorno: «Non sono particolarmente
eccitato, so che si tratta solo di una
piccola dose».
«Aspetta che arrivi domani» gli
risposi.
Dieci minuti dopo l’iniezione di
quella prima piccola dose, Dmitri
disse: «Era una quantità abbastanza
psichedelica, più di quanto mi
aspettassi».
Il giorno seguente si unirono a noi
il dottor V. e il suo assistente, il
signor W. Il dottor V. lavorava per la
NIDA , l’agenzia che finanziava la mia
ricerca. Stava mettendo a punto un
progetto per curare i
tossicodipendenti con l’ibogaina, un
allucinogeno di origine africana.
Voleva vedere gli effetti di una
potente droga psichedelica
somministrata in un setting di
ricerca.
Il signor W. era stato tra i più
disponibili, all’interno del labirinto
burocratico, durante la mia ricerca
di DMT per uso umano. Ero felice di
condividere con lui i risultati della
sua collaborazione.
Quel giorno era con noi anche la
ragazza di Dmitri, Heather.
Considerando Dmitri, Laura e io, in
totale eravamo sei persone. La
stanza 531 era affollata.
Quasi subito dopo aver
completato l’iniezione, Dmitri iniziò
a respirare in maniera rapida e
profonda. Sospirava ripetutamente
e sbadigliava come per espellere la
tensione fisica. Dopo circa nove
minuti, chiese dell’acqua e ci
ringraziò quando gliene offrimmo
alcuni sorsi. Dopo essersi bagnato
le labbra iniziò: «Mi sento come se
fossi in un lieve stato di shock. Mi
sento tremare tutto».
«Qui c’è una coperta».
«Grazie».
«Non dimenticarti di respirare.
C’è molta energia da rilasciare».
Chiesi a Laura di andare fuori in
corridoio e spegnere gli interruttori
di alcuni apparecchi che stavano
suonando. Dmitri non era
completamente sicuro di cosa
stavamo facendo. Decise di ignorare
il trambusto.
«La prima cosa che ho notato è
stata una bruciatura dietro il collo.
Poi c’era questo forte ronzio.
All’inizio sembrava il ventilatore,
però era un rumore a sé. Ha iniziato
a inghiottirmi. Mi sono lasciato
andare e poi... WHAM!
Mi sentivo come se fossi in un
laboratorio alieno, in un letto
d’ospedale come questo, ma si
trovava laggiù. Era una specie di
piattaforma di atterraggio o un’area
di recupero. C’erano degli esseri.
Stavo cercando di trovare un modo
per capire cosa stesse succedendo.
Sono stato trasportato con un
carrello. Il luogo non sembrava
alieno, ma la sensazione era quella.
C’era uno spazio tridimensionale.
Mi aspettavo di vedere delle
creature tipo cartoni animati, come
una pubblicità dell’LSD, ma qui il
motto era: “Oh mio Dio! Oh mio
Dio!” È stata diversa da qualsiasi
altra esperienza con la DMT che ho
avuto.
Avevano uno spazio pronto per
me. Non erano così sorpresi come
lo ero io. Era incredibilmente non-
psichedelico. Ero in grado di
prestare attenzione ai dettagli. C’era
una creatura principale che
sembrava essere dietro a tutto,
supervisionando ogni cosa. Gli altri
erano dei subordinati, o degli
insubordinati.
Hanno attivato un circuito
sessuale e ho ricevuto una scarica di
incredibile energia orgasmica. Una
buffa mappa è apparsa
all’improvviso come i raggi X dei
cartoni animati, e un’illuminazione
gialla indicava che il relativo
sistema, o la serie di sistemi, erano
a posto. Stavano verificando i miei
strumenti, testandoli. Quando stavo
per riemergere, non potevo fare a
meno di pensare che fossero
“alieni”.
Sono così dispiaciuto per non
avergli parlato. Ero confuso e in
soggezione. Sapevo che mi stavano
preparando per qualcosa. In un
certo senso avevamo una missione.
Avevano delle cose da mostrarmi,
ma stavano aspettando che prima
familiarizzassi con l’ambiente, con i
movimenti e col linguaggio di quel
luogo».
L’atmosfera nella stanza era
surreale. Era piena di persone e
c’era una storia molto singolare.
Speravo che il dottor V. e il signor
W. stessero bene. Mi domandai
anche se la settimana seguente
avrei perso il mio finanziamento. O
forse l’avrei visto raddoppiare?
«Non era come una delle
abduction da parte degli UFO di cui
ho sentito parlare. Questi esseri
erano amichevoli. Avevo un legame
con uno di loro. Mi stava per dire
qualcosa, o ero io che stavo per
parlargli, ma non riuscivamo a
stabilire una vera e propria
connessione. Era quasi un legame
di carattere sessuale, ma non si
trattava di sesso inteso come atto
sessuale quanto di una
comunicazione che coinvolgeva il
corpo intero. Ero pervaso da
sentimenti d’amore nei loro
confronti. Il loro lavoro aveva
sicuramente qualcosa a che fare con
la mia presenza. Di cosa si trattasse
esattamente, resta un mistero».
Concludiamo questo capitolo con
uno dei casi più impressionanti di
intervento realizzato su uno dei
volontari da parte di questi esseri di
un altro mondo. Nell’esperienza
vissuta da Ben, non si limitarono a
sottoporlo a test e a sondare i suoi
meccanismi, ma gli impiantarono
anche qualcosa nel corpo.
Ben aveva ventinove anni e si era
recentemente trasferito da Seattle.
Nel giro di dieci anni aveva
cambiato ben trenta lavori. Era un
vecchio amico di Chris, del quale
abbiamo già visto l’esperienza di
contatto con entità. Nel corso di
uno dei suoi periodi di lavoro più
lunghi, Ben aveva prestato servizio
come poliziotto militare per due
anni.
Era un tipo duro: sbarbato, con i
capelli quasi completamente rasati,
un fisico muscoloso e un modo di
fare molto diretto. Era in costante
ricerca di novità e cambiamenti, per
cui non c’è da sorprendersi se tra le
motivazioni per cui voleva
partecipare allo studio sulla DMT
aveva scritto: «Sono un esploratore,
e mi aspetto di vivere un’esperienza
interessante».
Come nel caso di Dmitri, anche la
sessione di Ben con la dose minima
non in cieco fu relativamente forte.
La sua alta sensibilità alla DMT ci
fece presumere che forse il giorno
successivo avrebbe avuto una delle
più intense esperienze
psichedeliche della sua vita. Lo
invitai a prepararsi.
Sebbene quel giorno fosse un po’
nervoso, Ben non vedeva l’ora di
cominciare con la sua dose elevata
non in cieco. Ci misi un po’ più
tempo del solito per prepararlo, e gli
consigliai di provare a fare qualche
profondo respiro mentre la DMT
entrava.
«Potresti fare un inspirazione e
non ricordarti altro; potresti perfino
non accorgerti della successiva
espirazione. Questo significa che
sarai lì».
Ben cercò di respirare
profondamente mentre la droga
stava entrando. Poi il suo respiro si
calmò quando ormai era sotto
l’effetto della droga. Si poteva
vedere chiaramente il suo cuore
battere nel petto. Dopo circa tre
minuti il suo collo mostrava un po’
di orticaria, una reazione che si era
già manifestata in diversi altri
volontari che avevano vissuto delle
esperienze davvero stupefacenti.
All’ottavo minuto vi furono degli
spasmi in tutto il corpo e Ben si
schiarì la voce.
Era ora di cercare di riportarlo a
terra: «Ti sto per coprire con una
coperta. Se puoi, cerca di mandare il
respiro dove c’è tensione».
Rallentò il respiro e cominciò a
calmarsi; un grande sorriso gli
apparve sul volto. Rimase in
silenzio per trentasei minuti, più a
lungo rispetto alla maggior parte dei
nostri volontari, finché non lo
svegliai.
«È cominciato con un suono. Era
acuto come un cavo saldamente
tirato.
C’erano quattro o cinque di loro.
Mi furono subito addosso. Per
quanto strano possa sembrare,
somigliavano a dei cactus saguaro
giganti, molto peruviani nel colore.
Erano dei cactus flessibili, mutevoli
e geometrici. Non erano solidi. Non
mostravano un atteggiamento
benevolo, ma nemmeno negativo.
Facevano delle vere e proprie
indagini. Sembrava che sapessero di
avere poco tempo e volevano sapere
che cosa io – ovvero quella creatura
che si era presentata – stessi
facendo. Non ho risposto, ma loro
sapevano. Non appena si sono
convinti che ero a posto, hanno
proseguito con le loro faccende».
I suoi occhi erano aperti, lucidi e
fissavano il soffitto. Sembrava
incapace di comprendere quel che
gli era appena successo.
«Lo so, ti sembra incredibile.
Anche per noi lo è, ma è successo».
Con titubanza, quasi non fosse
davvero sicuro di volercelo
raccontare, disse: «Ho sentito come
se qualcosa mi venisse inserito
nell’avambraccio sinistro, proprio
qui, qualche centimetro sotto il
tatuaggio a forma di catena che ho
sul polso. Era un oggetto lungo, per
niente rassicurante. Faceva
semplicemente il suo lavoro».
«Hai avuto paura?» gli domandò
Laura.
«Forse all’inizio, quando il mio
ego era appena stato spazzato via.
Quando mi erano addosso, c’era più
una sensazione di confusione che di
paura. Cercavo più che altro di
capire cosa stesse accadendo. E poi
loro erano lì, ma non ho avuto
nemmeno il tempo di chiedergli:
“Chi diavolo siete? Vediamo i vostri
documenti!”».
C’è una coerenza sorprendente e
impressionante tra i resoconti dei
volontari che hanno come oggetto il
contatto con esseri dei mondi
invisibili. I suoni e le vibrazioni si
sviluppano finché la scena si
trasforma in modo quasi esplosivo
in un regno “alieno”. I volontari si
ritrovano su un letto, o su una
piattaforma di atterraggio, in una
specie di laboratorio o in una stanza
tecnologicamente avanzata. Gli
esseri dall’intelligenza superiore di
questi “altri” mondi sono interessati
al soggetto; in apparenza sembrano
pronti al suo arrivo e non perdono
tempo nel “mettersi al lavoro”. Può
esserci una particolare entità al
comando che dirige gli altri. Spesso
i volontari fanno commenti sulla
qualità emozionale delle relazioni
che si creano con questi esseri:
amore, premura o distacco
professionale.
Il loro “lavoro” sembrava essere
quello di fare dei test, esaminare,
analizzare e perfino modificare la
mente e il corpo dei volontari.
Talvolta all’inizio venivano fatti dei
test, e se i risultati si rivelavano
soddisfacenti, avevano luogo
ulteriori interazioni. Inoltre, essi
comunicavano con i volontari
cercando di trasmettergli
informazioni per mezzo di gesti,
telepatia o immagini visive. Lo
scopo del contatto era misterioso,
ma molti soggetti percepirono un
tentativo benevolo da parte di
quegli esseri per migliorarci come
individui o come razza.
Rimasi confuso e stupito dalla
natura bizzarra e dal tono sincero di
questi resoconti. Le mie risposte
brevi e secche ai racconti dei
volontari in questo capitolo rivelano
chiaramente le mie perplessità.
All’inizio cercai di evitare la
tentazione di sviluppare un
qualsiasi modello esplicativo, sia a
mio beneficio che a quello dei
volontari. Dopo un po’, tuttavia, noi
tutti avevamo bisogno di dare un
senso a questo tipo di sessioni.
In qualità di psichiatra,
accarezzavo l’idea che la frequenza
e la coerenza di questi resoconti,
nonché il loro forte realismo,
avrebbero avvalorato una
spiegazione di carattere biologico.
Stavamo attivando specifiche aree
nel cervello, strettamente collegate
tra loro, che innescano una
sequenza di visioni e di sensazioni a
livello della mente. In quale altro
modo potrebbero così tante persone
riportare simili esperienze con
creature rettiliane o insettoidi?
Credevo che queste esperienze
fossero allucinazioni, sebbene
piuttosto complicate: semplici
prodotti della chimica cerebrale
originati da una droga
“allucinogena”, tipo un sogno
lucido. Durante le sessioni con dosi
elevate di DMT , in alcuni volontari si
verificava il movimento rotatorio
dei bulbi oculari all’interno delle
orbite, similmente al “movimento
rapido degli occhi” (REM) che si ha
durante il sonno quando si sogna.
Forse la DMT induceva uno stato di
sogno lucido.
Ad ogni modo, i soggetti della
ricerca si opposero in maniera
tenace a queste spiegazioni di
carattere biologico, perché
riducevano la vastità, la consistenza
e l’innegabilità dei loro incontri.
Come si poteva credere che ci
fossero delle parti di tessuto
cerebrale che, una volta attivate,
mostravano per un attimo incontri
con esseri, esperimenti e
riprogrammazioni? Nemmeno
l’ipotesi che si trattasse di un sogno
lucido soddisfaceva il bisogno dei
volontari di trovare un modello che
desse un senso alla loro esperienza.
Molti di loro iniziavano i loro
resoconti dicendo: «Non era un
sogno» o «Non me lo sarei potuto
inventare nemmeno se avessi
voluto».
A un livello leggermente più
teorico, cercai una spiegazione di
tipo psicologico. In pratica, queste
esperienze erano il simbolo di
qualcos’altro: desideri, paure e
conflitti irrisolti. Ad ogni modo,
queste spiegazioni “simboliche” non
ebbero maggior successo. Persino le
mie interpretazioni più ostinate
facevano gradualmente fiasco. In
che modo tali esperienze potevano
riflettere aspetti psicologici inconsci
come tendenze all’aggressività e alla
dipendenza?
Per alcuni volontari il bisogno di
dare un senso alle sessioni più
bizzarre risultava quasi accademico:
«Era solo la droga».
Per altri, tuttavia, questo bisogno
si faceva più pressante. Come
avrebbero potuto accogliere
l’esperienza appena fatta? Era stata
la loro immaginazione? Ma come
aveva potuto la loro immaginazione
creare uno scenario più reale di
quello della coscienza ordinaria? E
se quello fosse stato “reale”, come
potevano ora vivere la propria vita
sapendo dell’esistenza di altri
universi paralleli e invisibili abitati
da forme di vita intelligenti? Chi
sono questi esseri? Qual è la natura
della loro relazione con i volontari
una volta stabilito il “contatto”?
A un certo punto decisi dunque di
abbandonare l’approccio
riduzionista e materialistico del
tipo: «So io di cosa si tratta». Non
che ciò mi aiutasse a sentirmi più a
mio agio con quello che mi veniva
raccontato. Ma almeno non avrei
più rischiato di peggiorare le cose
interpretando le esperienze delle
persone nel modo sbagliato.
Interpretare, spiegare o al contrario
minimizzare i loro resoconti di
solito portava i volontari a
chiudersi, e sapevo che avrei perso
dei pezzi importanti e preziosi
dell’intera storia se non riuscivo a
incoraggiarli a parlare.
Così, come un esperimento
mentale, decisi di agire come se i
mondi che i volontari avevano
visitato e gli esseri con i quali
avevano interagito fossero reali,
proprio come lo era la stanza 531, il
letto d’ospedale, l’infermiera e io
stesso. C’era ora la libertà di
rispondere in maniera più empatica
e di vedere dove ciò ci avrebbe
condotto. Ciò rese anche possibile
iniziare a considerare altre vie per
comprendere quei resoconti
inspiegabilmente coerenti dei
volontari.
Nonostante ciò, c’era un certo
disagio nell’adottare questo
approccio in risposta ai resoconti
sul contatto. Iniziai a domandarmi
se non stessi per iniziare ad
addentrarmi in una specie di psicosi
condivisa.
Anche i volontari se lo
chiedevano. Dopo aver sentito di
incontri simili dai loro compagni
durante una riunione indetta alla
fine dello studio, alcuni soggetti
decisero di formare un gruppo di
supporto della DMT che si incontrava
ogni mese o due. Il motivo? «Non
posso parlare con nessuno di queste
cose». «Nessuno capirebbe, è
troppo strano». «Voglio ricordare a
me stesso che non sto
impazzendo».

70. Z. Boszormenyi e Stephen I. Szára,


Dimethyltryptamine Experiments with
Psychotics, in «Journal of Mental Science», n.
104, 1958, pp. 445-453.
71. William J. Turner Jr. e Sidney Merlis, Effect
of Some Indolealkylamines on Man, cit.

72. Gumby era un personaggio di uno spettacolo


televisivo americano per bambini della fine degli
anni ’50 e dei primi anni ’60. Era fatto di un
materiale simile all’argilla modellato su di un filo
metallico. In questo modo era possibile fargli
assumere diverse forme, e ciò era molto
apprezzato dai bambini che creavano così il
proprio Gumby, alto una trentina di cm. Il fido
compare di Gumby era Pokey il cavallo. Gli
animatori piegavano e muovevano i corpi di
argilla di Gumby e Pokey, e poi li filmavano
utilizzando la fotografia time-lapse, dando in
questo modo l’impressione del movimento.
Capitolo 14
CONTATTO ATTRAVERSO
IL VELO: 2

In questo capitolo descriveremo


due dei casi più complessi di
contatto con entità che abbiamo
visto nella nostra ricerca in New
Mexico. Sebbene siano
qualitativamente simili ai racconti
già letti nel capitolo precedente, si
distinguono in virtù dei loro dettagli
e del significato particolarmente
profondo che hanno avuto per i
volontari, Rex e Sara. Le loro storie
esemplificano quanto lontano la
DMT , la molecola dello spirito, ci
possa condurre all’interno di mondi
e scenari che non possiamo
lontanamente immaginare. Queste
sessioni particolari rappresentano
la punta di diamante di questa serie
di esperienze intense e
assolutamente inaspettate.
Mi lasciarono inoltre allibito e
sconcertato nel vedere dove la
molecola dello spirito ci stava
conducendo. Fu a questo punto che
iniziai a chiedermi se non mi fossi
spinto troppo oltre con questa
ricerca. Le esperienze erano tali che
i modelli della mente, del cervello e
della realtà iniziavano a sembrare
troppo limitati per recepire e
contenere la natura di quello che
volontari come Rex e Sara stavano
sperimentando. Cominciai anche a
domandarmi quanto fossimo in
grado di fornire supporto,
comprensione e aiuto ai nostri
volontari nell’integrare queste
esperienze ultraterrene. Stavamo
aprendo il vaso di Pandora? Come
avrebbero vissuto la loro vita i
volontari da quel momento in poi,
dopo aver sperimentato una realtà
tanto inspiegabile quanto reale?
Cosa potevamo dirgli per attenuare
la loro confusione?
Sara era DMT -34 e Rex DMT -42.
Quando si offrirono come volontari,
più di due anni e mezzo dopo
l’inizio del progetto sulla DMT ,
avevamo raggiunto una certa
familiarità, sebbene fosse una
familiarità un po’ turbolenta, con i
racconti di incontri con forme di
vita intelligenti. Se le loro sessioni
avessero avuto luogo prima nel
corso della ricerca, probabilmente
non gli saremmo stati così d’aiuto e
nemmeno avremmo appreso tutti i
dettagli dei loro racconti.
Può darsi che le sessioni di Rex e
Sara siano state così straordinarie
perché entrambi riuscirono a
sospendere immediatamente la
propria incredulità e il proprio
turbamento nel momento in cui la
molecola dello spirito aprì le porte
dei mondi invisibili e gli presentò
gli abitanti di quei luoghi. Sia Rex
che Sara avevano attraversato molte
vicissitudini nella loro vita ed erano
incredibilmente capaci di
mantenere la lucidità anche in
situazioni stressanti e spaventose.
Affrontarono dunque quel tipo di
esperienze con l’intento di imparare
il più possibile da esse, senza
trascurare nulla, ma accogliendo
tutto quello che potevano.
Rex aveva quarant’anni quando si
offrì come volontario nel nostro
studio. Mentre prestava servizio
nelle forze armate aveva assunto
PCP , o polvere d’angelo, pensando
che si trattasse di THC, il
componente attivo della marijuana.
Ciò scatenò una psicosi e fu
ricoverato in un ospedale
psichiatrico per una settimana. Era
andato al college per alcuni anni,
ma aveva abbandonato gli studi a
causa delle difficoltà economiche e
della mancanza di una casa. Dopo
aver affrontato un divorzio in
giovane età, aveva sofferto di
depressione. Nonostante queste
difficoltà la sua attuale salute
emotiva era buona, e avevamo
poche preoccupazioni circa la sua
capacità di far fronte al nostro
studio.
Rex aveva un aspetto da duro, ma
era molto più mite di quello che
sembrava. Gli occhi, i capelli e i
baffi scuri risaltavano ancora di più
sulla sua carnagione pallida. Fu
l’unico volontario che si rivolgeva a
me più spesso come “Dr.
Strassman” anziché “Rick”. Sebbene
fosse un falegname specializzato,
aveva anche vinto dei concorsi
locali di scrittura creativa. Era
vagamente vicino alla religione
Wicca, i cui rituali sono basati sulla
natura.
Queste furono le sue motivazioni
per fare il volontario: «Voglio
esplorare le potenzialità della
mente, la natura della realtà
concreta e di quella percepita, e il
nostro rapporto con la realtà e con
Dio. Spero di ottenere perlomeno
una maggiore conoscenza di me
stesso».
La reazione di Rex alla sua prima
dose di DMT , quella minima
somministrata non in cieco, fu
sorprendentemente forte e sapevo
che il giorno successivo avrebbe
avuto delle esperienze potenti.
Dopo cinque minuti dalla prima
iniezione con la dose minima, disse:
«Sentivo un ronzio. Non riesco a
dire se si trattava del climatizzatore.
Poi ho sentito come se
all’improvviso accanto a me ci
fossero uno o più alieni, vagamente
umanoidi. Erano circondati da
colori serpeggianti che seguivano i
contorni del loro corpo. Stando a
quanto avevo letto, mi aspettavo di
trovare dei folletti e non qualcosa
del genere.
Il letto girava e oscillava in modo
sgradevole e allarmante. Sentivo un
po’ di oppressione al petto. Questa
sensazione si trasformò poi in una
presenza aliena. Cercai di stabilire
un contatto e di rilassarmi. La
presenza sembrava mantenere un
maggior controllo: era interessato a
me e alla mia paura.
Ricordo che quando da bambino
provavo la stessa sensazione di
paura, cercavo di rilassarmi dicendo
a me stesso: “La cosa peggiore che
mi può capitare è di raggiungere
Dio”».
Sapevo che il giorno successivo
Rex avrebbe avuto un incontro
potenzialmente devastante con gli
esseri che aveva appena visto. Mi
sembrò giusto avvisarlo, prepararlo
meglio che potevo, sulla base delle
altre esperienze. Ciononostante, fu
strano sentirmi dire: «Sembrano
proprio interessati a te, alle
persone, in particolare alle loro
sensazioni».
«Fico!» disse cercando di
mantenere un tono disinvolto.
«Sii pronto a venire smembrato
domani. So che è un suggerimento
sinistro, ma sembra che ti stia
aspettando un viaggio veramente
tosto».
Il mattino seguente, al risveglio,
ero nervoso. Che ne sarebbe stato di
Rex? Entrambi eravamo
preoccupati dalla sua reazione a una
dose che era un ottavo di quella che
avrebbe ricevuto oggi.
Ci mettemmo subito al lavoro.
«Credo di essere preoccupato più
che altro per le vertigini, ho paura
di stare male» mi disse.
Il suo commento mi fece ricordare
di una pratica di meditazione
tibetana che avevo imparato molti
anni prima. Il metodo consisteva
semplicemente nel chiedere
ripetutamente a se stessi: «È questo
ciò che sono?» Qualunque risposta
si dava – «Il mio corpo», «Il mio
lavoro», «Le mie relazioni» –
l’importante era chiedersi di nuovo:
«È questo ciò che sono?» Il corpo,
la mente, il senso d’identità, le
opinioni, i sentimenti, tutto iniziava
a svanire. Questa meditazione mi
aveva turbato così tanto che ero
corso fuori a vomitare.
Mi domandavo se a Rex sarebbe
accaduto qualcosa del genere.
«A volte la nausea e le vertigini
possono essere collegate a qualcosa
che non vuoi riconoscere, qualcosa
di profondo ma evidente. C’è
qualcosa di importante in questi
giorni a cui stai cercando di non
pensare?»
«Ho rotto con la mia ragazza circa
sei settimane fa e stamattina le ho
telefonato. Non sono sicuro se
lasciarla sia stata una buona idea».
Donne. Relazioni. Fiducia.
«E riguardo al tuo matrimonio?
Com’è stato?»
«Le fu diagnosticata una
schizofrenia paranoide. Era
tremenda. Mi ha fatto delle cose
orribili».
Era il momento di buttarsi. «In un
certo senso, c’è una specie di paura
di impegnarsi» suggerii.
«Impegnarsi per te vuol dire venire
sfruttati da qualcuno che è
completamente pazzo».
«Sì» e fece il collegamento. «Ho
anche avuto paura della reazione
fisica alla droga, di ammalarmi e di
morire per una reazione allergica.
Mi sono chiesto se fossi allergico
alla droga, con tutta quella
pressione che ho avvertito nel petto
e nella testa».
Ritornando alle sue emozioni, e
non al modo simbolico con cui il
suo corpo reagiva a esse, continuai
a insistere: «La questione
dell’impegno è importante. Prima
un impegno con te stesso, e poi, una
volta preso, un impegno a non avere
più un io. Sostanzialmente, un
impegno ad aver fiducia che
qualcuno ti accudirà, e non abuserà
di te, quando ne avrai bisogno».
Andammo avanti per un po’ con
questo tema. Dopo mezz’ora
sembrava molto più calmo, sebbene
ora fossi io ad avere mal di stomaco
e le vertigini. Rex era riuscito a
sbarazzarsi della sua paura
trasferendola su di me. Gli dissi che
adesso probabilmente potevamo
iniziare. Feci su e giù per il
corridoio alcune volte, camminando
a passo svelto, andai in bagno a
lavarmi la faccia con l’acqua fredda,
dopodiché mi sentivo abbastanza in
forma.
Nei primi minuti dopo l’iniezione
Rex restò tranquillamente disteso.
Vedo nei miei appunti il seguente
commento dopo aver annotato
quanto calmo fosse: «Grazie a Dio».
Al settimo minuto, iniziarono a
comparirgli sul collo segni di
orticaria. Laura prese la fiala di
antistaminico che tenevamo a
portata di mano nel caso in cui
l’orticaria si fosse fatta troppo grave
o qualora la reazione allergica si
fosse estesa ai polmoni e avesse
iniziato ad ansimare. Rex aveva un
sistema allergico davvero iperattivo.
Come se avesse percepito le nostre
preoccupazioni, allungò la mano
sinistra e Laura gliela prese.
Al decimo minuto Rex si tolse la
mascherina e iniziò a parlare:
«All’inizio, quando stavo partendo,
c’erano queste creature insettoidi
intorno a me. Stavano chiaramente
cercando di manifestarsi. Io stavo
lottando per liberarmi dell’idea di
chi sono o di chi ero. Più lottavo e
più diventavano indiavolati,
indagando nella mia psiche e nel
mio essere. Finalmente sono
riuscito a liberarmi di alcune parti
di me, perché non ero più in grado
di tenermi dentro così tante cose di
me tutte insieme. Nel momento in
cui l’ho fatto, mi sono aggrappato
ancora all’idea che tutto era Dio,
che Dio era amore e che mi stavo
arrendendo a Dio e al suo amore
perché ero sicuro di stare per
morire. Nel momento in cui ho
accettato la mia morte e la mia
dissoluzione nell’amore divino, gli
insettoidi hanno cominciato a
cibarsi del mio cuore, divorando i
sentimenti di amore e di
abbandono.
Non è come l’LSD. Le cose si
stringevano davvero attorno a me, a
differenza dell’immensità dello
spazio che si sente con l’LSD. Non
c’era la percezione dello spazio.
Tutto era vicino. Non ho mai visto
niente del genere. Erano interessati
alle emozioni. Mentre mi stavo
aggrappando al mio ultimo
pensiero, che Dio è amore, mi
hanno chiesto: “Anche qui? Anche
qui?” Io gli ho risposto: “Sì, certo”.
Erano ancora lì ma allo stesso
tempo stavo facendo l’amore con
loro. Si stavano cibando di me come
se stessero facendo l’amore con me.
Non so se fossero maschi o
femmine o qualcos’altro, ma era
qualcosa di estremamente alieno,
sebbene non per forza sgradevole.
Mi è arrivato con certezza il
pensiero che stessero manipolando
il mio DNA , modificandone la
struttura.
Poi iniziò a svanire. Non volevano
che me ne andassi».
Ricordandomi di molte altre storie
precedenti, dissi: «Sì, sono
interessati a noi e ai nostri
sentimenti. E no, non vogliono che
ce ne andiamo».
«Quell’intensità totale era quasi
insopportabile. Più lottavo e più
quelle figure diventavano sinistre.
Ora avrò bisogno di andare in
terapia: fare sesso con degli
insetti!»
Aggrappandomi ancora a una
spiegazione di carattere psicologico
per queste strane esperienze, provai
a dire: «Sono loro. Le tue paure, i
tuoi limiti».
Ma Rex non abboccò: «Mmm.
Forse, non lo so. Era una
comunicazione non verbale. La
frase “Anche qui? Anche qui?” non
la espressero a parole. Si trattava di
una comunicazione empatica,
telepatica».
Al ventottesimo minuto non
sembrava ancora completamente
“ritornato”.
«Come ti senti ora?»
«In questo preciso momento? Il
mio corpo non sembra del tutto
mio. C’è ancora qualcosa dell’altra
dimensione che vi scorre dentro. Mi
sento pervaso da qualcosa di
estraneo».
«Come ti senti emotivamente?»
«Emotivamente, emotivamente...
Mi sento leggermente euforico».
«Sei felice di essere vivo?»
Rise, guardandomi più
attentamente: «Sì! Sono contento di
essere vivo!»
«Potresti essere svenuto mentre
si stavano cibando di te. Non ne
sarei sorpreso. Probabilmente
farebbe svenire la maggior parte
delle persone».
«Giusto, è vero. A seconda della
persona, potrebbe davvero spingerti
oltre il limite. Si tratta del proprio
sé? Si tratta di altro?
Semplicemente non lo so. Non so
da dove provengano queste cose».
Come spesso accadeva, rispondere
alla scala di valutazione aiutò Rex a
colmare alcune lacune del suo
racconto. Fece eco a ciò che molti
volontari avevano affermato
riflettendo sulla realtà dei loro
incontri con questi esseri di un altro
mondo: «Sul fatto di essere “su di
giri” non so che dire. Ero in
possesso delle mie capacità. Ero in
grado di osservare in maniera
abbastanza chiara. Non mi sentivo
stordito o drogato; stava accadendo
e basta».
Rex ritornò alcune volte per gli
studi-pilota per il progetto sul
pindololo. Per prima cosa avrebbe
ricevuto una dose di DMT . Una volta
svaniti gli effetti, gli avremmo
somministrato una dose di
pindololo per via orale e la stessa
dose di DMT novanta minuti dopo. A
questo punto, il pindololo avrebbe
dispiegato il suo massimo effetto
sui recettori della serotonina.
Le dosi da 0.05 e da 0.1 mg/kg di
DMT prima senza e poi con il
pindololo risultarono relativamente
tranquille. Utilizzammo il tempo
per analizzare l’incontro con gli
insetti alieni divoratori che aveva
avuto con la dose elevata.
«Ora ho la sensazione che ci sia
qualcosa di più a cui non riesco ad
accedere nella vita ordinaria. Credo
che sia la sensazione di aver
stabilito un contatto alieno. Credo
di poter avere la possibilità di un
tale contatto nella vita di tutti i
giorni. Ci spero. So che è là».
«Qual è la natura del sesso con gli
alieni?» dovetti chiedergli. «Diresti
che è come un rapporto sessuale o è
più una sensazione? O cos’altro?»
«È positivo e accogliente. Forse è
più simile al momento che segue il
rapporto sessuale, quando ci si
sente vivi e lucidi».
Rex ritornò per due dosi da 0.2
mg/kg, una senza e una in
combinazione al pindololo. La
prima dose da 0.2 mg/kg sembrò
avere su di lui un effetto leggero:
«Mi rendo conto che quell’intenso
ronzio e le vibrazioni sono un
tentativo da parte delle entità della
DMT di comunicare con me. Gli
esseri erano là e stavano facendo
degli esperimenti di qualche tipo su
di me. Ho visto un volto
minaccioso, ma poi uno di loro ha
cercato in qualche modo di
tranquillizzarmi. Poi lo spazio si è
aperto attorno a me. C’erano
creature e macchine. Sembrava di
trovarsi nelle profondità dello
spazio. Sia le creature che le
macchine erano circondate da
brillanti colori psichedelici. Lo
spazio continuava all’infinito. Loro
lo stavano condividendo con me,
permettendomi di vedere tutto ciò.
C’era una femmina che, nel
momento in cui credevo di stare per
morire, è apparsa e mi ha
tranquillizzato. Mi ha
accompagnato durante la visione
delle macchine e delle creature.
Quando ero con lei mi sentivo
profondamente rilassato e sereno».
Ero contento che alla fine Rex
avesse trovato un po’ di sostegno
all’interno dei suoi trip.
«Finalmente un’amica!»
«Sì, aveva una testa dalla forma
allungata. Credo che i guardiani mi
stessero impedendo di vederla».
Cercando di nuovo di interpretare
psicologicamente la sua esperienza,
dissi: «I guardiani sono prodotti da
te. Rappresentano ciò che ti
impedisce di vedere quello che c’è
lì».
E di nuovo, proprio come l’ultima
volta, Rex mi rimproverò
gentilmente: «Lo so, ma sembrano
proprio qualcosa di diverso.
Sembrano dei guardiani della soglia,
dei custodi. Stavano riversando la
comunicazione dentro di me, ma
era così intenso che non riuscivo a
sopportarlo. Dal volto dell’entità
che mi tranquillizzava
fuoriuscivano dei raggi di luce
psichedelica di colore giallo. Stava
cercando di comunicare con me.
Sembrava molto interessata a me e
agli effetti che stavo sperimentando
grazie ai suoi tentativi di
interazione.
C’era qualcosa circondato di
verde, proprio di fronte a me, in
alto. Stava ruotando e facendo delle
cose. Lei mi stava mostrando,
perlomeno così sembrava, come
usare questa cosa che assomigliava
al terminale di un computer. Credo
che volesse che cercassi di
comunicare con lei tramite quello
strumento, ma non riuscivo a capire
come funzionava».
Ritornammo circa novanta minuti
dopo, consapevoli del fatto che
questa seduta da 0.2 mg/kg di DMT
col pindololo avrebbe potuto essere
per lui l’esperienza più intensa mai
vissuta con la DMT . Lo avvisai:
«Considerando quanto intensa è
stata la tua prima sessione da 0.2
mg/kg, questa potrebbe essere
piuttosto pesante. Sei pronto?»
«Credo di si!»
Dopo due minuti la pressione di
Rex era piuttosto alta, 180/130, e
feci segno a Laura di ricontrollarla
al terzo minuto. Era ancora alta,
mentre il battito cardiaco stava
rallentando, un normale
meccanismo fisiologico di difesa per
proteggere il cervello e gli altri
organi da un eccessivo aumento
della pressione. Ad ogni modo,
sembrava stare bene.
Al quinto minuto la sua pressione
diastolica si assestò sopra i 105.
Pensai fra me e me: «La risposta
della pressione è troppo elevata». Al
dodicesimo minuto si tolse la
mascherina, sembrava sconvolto:
«È davvero strano. È come se fossi
disteso in un bagno bollente».
«Hai caldo?»
«Mmm, un po’. Più che altro mi
sento intorpidito. Le cose nella
stanza sembrano strane. È iniziato
davvero forte. Credevo che sarebbe
durato per sempre e che non
sarebbe mai finito. Si trattava dello
stesso posto, con le luci al neon che
permettevano di distinguere tutto.
Mi trovavo in un’enorme, infinito
alveare. C’erano degli esseri
insettoidi ovunque. Erano in uno
spazio ipertecnologico».
Sollevò le braccia sopra la testa,
guardò la mano destra e rise.
«A un certo punto ho sentito
qualcosa di bagnato a contatto con
tutto il mio corpo. Stavano facendo
gocciolare delle cose su di me. Tutto
lì dentro era amichevole. Non credo
di aver perso conoscenza, ma non
riesco a ricordarmi tutto».
Fissò il soffitto, perplesso. «Mi
dispiace, dottore. Non riesco a
ricordare».
«Va bene. Sei ritornato. È questo
ciò che conta».
«Ce n’era uno che mi stava a
fianco» disse provando a sforzarsi.
«C’era la solita vibrazione pulsante.
Volevano che mi unissi a loro, che
restassi con loro. Ne ero tentato».
«Forse quello che non riesci a
ricordare è il luogo in cui sei stato».
«Ho guardato in basso verso un
corridoio che si estendeva
all’infinito. Forse è stato qui che mi
sono perso. I movimenti
caleidoscopici e fruscianti erano
intensi e sono durati a lungo. Poi si
sono ridotti e mi sono ritrovato in
quell’alveare. C’era un altro essere
ad aiutarmi, diverso da quello che
ho visto prima.
Era molto intelligente e per nulla
umanoide. Non era un’ape, ma le
somigliava. Mi stava facendo fare
un giro dell’alveare. Era davvero
molto amichevole e ho sentito una
calda energia sensuale irradiarsi
attraverso l’alveare. Ho pensato che
doveva essere una cosa
meravigliosa vivere in un ambiente
così amorevole e sensuale. L’essere
mi ha detto che quel luogo è ciò che
ci riserva il futuro. Non so perché
me lo ha detto, né cosa significava,
e se considerarla una cosa positiva o
meno. Rammento che mentre stava
iniziando il down mi sono detto:
“Voglio ricordare, voglio ricordare”,
ma non ci riesco».
Dove era stato Rex? Chi erano
quegli esseri insettoidi così
interessati a lui e che avevano
intrecciato delle complesse
relazioni, cibandosene e
consumandolo, ma anche amandolo
e allevandolo? I miei tentativi di
fornire un’interpretazione
personale di carattere psicologico
venivano ignorati, il che accadeva
spesso con i nostri volontari quando
cercavo di aiutarli a interpretare le
loro esperienze in questa maniera.
Rex viveva bene le sue esperienze
e le comprendeva a modo suo,
riuscendo a collegarle ai sogni via
via sempre più complessi e
simbolici che iniziò a fare.
Cominciò anche a interpretare più
seriamente tutto quello che
riguardava le piante psichedeliche e
lo sciamanesimo.
Prima di una delle ultime sessioni
dello studio col pindololo, mi chiese
di dare un’occhiata a un neo infetto
sulla gamba. Gli dissi di consultare
immediatamente un dermatologo,
che gli diagnosticò un melanoma
maligno. Rex non avrebbe più
potuto partecipare a nessun’altro
studio fino a quando il suo cancro
non fosse stato curato. Per fortuna
il melanoma non si era diffuso e fu
sufficiente rimuoverlo. Nel
frattempo, però, avevo lasciato il
New Mexico.
Sara iniziò a partecipare al
progetto sulla DMT quando aveva
quarantadue anni. Viveva con il suo
secondo marito, Kevin, il loro figlio
piccolo e altri due figli più grandi
che aveva avuto dal primo
matrimonio. Sara era una scrittrice
freelance e stava frequentando una
scuola di specializzazione. Era di
corporatura robusta, aveva i capelli
rossi e degli scintillanti occhi
azzurri. Il suo modo di fare era
diretto e quando parlava abbozzava
spesso un sorrisetto malizioso.
Probabilmente era la volontaria
che aveva maggiormente sofferto di
depressione, avendo ecceduto con i
tranquillanti quando aveva tra i
venti e i trent’anni. Fu ricoverata in
ospedale per due settimane dopo un
tentativo di suicidio e in seguito
assunse per diversi anni degli
antidepressivi. Nonostante ciò, da
dieci anni non prendeva alcun
farmaco e si era ristabilita in modo
eccellente, ed era una dei soggetti
della ricerca più contenti e profondi.
Sara ci disse che un “angelo” le
aveva fatto visita da piccola quando
aveva la febbre alta, e ora era in
contatto con degli “spiriti guida” dai
quali riceveva consigli e aiuto. Si
considerava «più sensibile della
maggior parte delle persone alle
energie psichiche e di guarigione».
Praticava la religione Wicca, come
Rex, ed entrambi si erano
conosciuti all’interno della grande
comunità Wicca.
Sara si offrì come volontaria per lo
studio per una «personale
comprensione ed espansione della
coscienza. Spero di riuscire ad avere
una maggiore comprensione di me
stessa e delle mie relazioni con
l’universo e i mondi invisibili». Le
sue principali paure erano di
«trovarsi persa nell’abisso e di non
riuscire a essere abbastanza
coraggiosa per far fronte alle sfide».
L’esperienza di Sara con la piccola
dose di DMT fu come quella di altri
volontari: piacevole, rilassante e
accompagnata dall’impressione che
ci sarebbe stato dell’altro. Il giorno
successivo, tuttavia, la sessione con
la dose elevata fu profonda e
intensa. Vediamo ora gli appunti
che mi inviò a distanza di una
settimana dagli eventi di quella
mattina:
«Rick disse: “Va bene, inizieremo
tra quindici secondi”. La sua mano
fredda sulla mia era l’ultimo e
confortante legame con la realtà.
Cercai di contare i battiti del cuore,
una specie di appiglio mentale a cui
potermi aggrappare. Arrivai a
contarne tre.
C’era un suono, come un ronzio
che si trasformò in un sibilo, e poi
fui sbalzata fuori dal mio corpo a
una velocità tale e con una forza
tale che sembrava la velocità della
luce. I colori erano aggressivi e
terrificanti; mi sentii come se mi
stessero consumando, come se mi
trovassi su un nastro trasportatore
che procedeva a una velocità
supersonica verso i dischi
psichedelici del cosmo. Ero
terrorizzata. Mi sentivo
abbandonata, completamente e
totalmente persa. Non sono mai
stata così sola in vita mia. Come
descrivere la sensazione di sentirsi
l’unica creatura nell’universo?
Ci sono dei suoni: un canto dai
toni acuti, simile a delle voci
angeliche. Ma non sono
rassicuranti. Sono impersonali e
non fanno caso a me. Sono
solamente parte del rumore di
fondo di quell’esplosione attraverso
il vuoto dell’universo. Era come se
mi stessi muovendo a ritroso dalla
vita all’interno di un corpo fisico
verso la vita come semplice forma
di energia. L’essenza di chi sono era
l’unica cosa presente nel vuoto, ed
era ritornata nell’area di transizione
della vita nella quale le anime
aspettano di incarnarsi. Mi trovavo
in un luogo dove non c’erano forme
fisiche di vita, solo colori e suoni.
Gli angeli che intonavano i canti
erano lì solo per osservarmi, non
per confortarmi. Ma nonostante la
loro indifferenza, riportai indietro
un’incredibile sensazione di Amore.
Una presenza maschile cerca di
comunicare con me, ma non
capisco. Uso la mia mente per
chiedergli: “Cosa?” La risposta è
confusa. Sta cercando di dirmi che
avrei visto qualcosa. Ma cosa?
Provo a domandargli: “Lo saprò
quando lo vedo?” La presenza mi
ripete che vedrò qualcosa. È
attraverso la luce dell’orizzonte che
io vedo nella vasta oscurità? C’è un
grande boato. Interferisce con la
voce, perché so che è il volo di
ritorno che mi riporterà “là fuori”.
Sto tornando. La Voce se n’è andata.
Inizia con il mio viso che sembra
irrigidirsi, indurirsi anziché
rilassarsi. Sento il bracciale per la
misurazione della pressione. Il
resto del mio corpo arriva tutto
insieme, e so di essere ritornata
completamente. Mi tolgo la
mascherina. Provo un affetto
profondo e intenso per Laura e
Rick, le prime persone che vedo. Mi
volto a guardare Kevin. Che gran
sollievo».
Sara ritornò anche per lo studio
sulla tolleranza. Ecco i suoi appunti
di quel giorno memorabile. Non c’è
quasi bisogno di aggiungere le mie
note.
Dose 1
«Nel primo trip c’erano molti
colori in movimento. Avevo paura,
ma continuavo a dirmi: “Rilassati,
arrenditi, accogli l’esperienza”. Poi
ho visto qualcosa che posso
descrivere solo come una specie di
casinò di Las Vegas, con una
miriade turbinante di luci
lampeggianti. Ero piuttosto delusa.
Mi aspettavo una profonda
esperienza spirituale e mi ritrovavo
Las Vegas! Ma subito, prima di
avere il tempo di essere delusa,
sono salita verso l’alto e ho visto dei
clown che si stavano esibendo.
Sembravano delle marionette o dei
pagliacci animati. Ho avuto
l’impulso irrefrenabile di ridere.
All’inizio avevo mantenuto un
atteggiamento abbastanza
consapevole, ma non sono riuscita a
contenermi e ho riso
fragorosamente guardando quei
clown.
Rick mi aveva avvertito che è
normale imbattersi nei clown.
Infatti poi mi ha detto: “Oh, hai
visto i clown?”, come se fossero dei
vecchi amici o qualcosa del genere.
Poi ha aggiunto: “Sì, sono spassosi”.
Mi sono sentita più sicura e non più
così spaventata».
Dose 2
«Stavolta quei colori energici e
vorticosi mi erano familiari.
All’improvviso, un’entità vibrante è
apparsa all’interno dei disegni. È
strano descriverla come una specie
di “Campanellino” di Peter Pan.
Cercava di convincermi a seguirla.
All’inizio ero riluttante, perché non
sapevo come trovare la via del
ritorno. Quando ho cambiato idea e
ho deciso di andare con lei, l’effetto
della droga ha iniziato a svanire e
non ero più abbastanza “fatta” per
seguirla. Le ho detto: “Ora non
posso venire con te. Vedi, vogliono
che ritorni”. Non sembrava essersi
offesa, e infatti mi ha seguito fino a
che non ho percepito che avevamo
raggiunto il suo confine. Ho sentito
come se mi stesse salutando. Il
rientro è stato lento, e quasi non
volevo togliermi la mascherina.
Gli occhi di tutti erano così
brillanti quando me la sono tolta!»
Sapevo che Sara era sul punto di
scoprire qualcosa, ma la sua forte
reazione alle allucinazioni colorate
la stava in un qualche modo
trattenendo.
«Puoi decidere di non entrare in
contatto con i colori? Non puoi fare
a meno di vederli, ma puoi evitare
di reagire a essi».
«È meglio avere l’intenzione di
fare qualcosa, come voler vedere di
nuovo quella piccola creatura
luminosa e pulsante?»
«La cosa migliore è non avere
alcuna intenzione. Se hai
l’intenzione di fare qualcosa e poi
non succede, gli rimbalzerai contro.
Reagirai contro di essa. Senti
solamente il tuo corpo disteso sul
letto e cerca di svuotare la mente».
Sara annuì e facemmo tutti una
pausa per guardare fuori dalla
finestra, ammirando la bellezza dei
nuvoloni grigi che si stavano
formando nel cielo primaverile.
Sembrava esausta.
Dose 3
«Ho capito che quanto diceva Rick
era vero, che la parte più intensa di
ogni trip aveva luogo mentre si è
intrappolati in questi colori. Questa
volta, mi sono fiondata rapidamente
dall’altra parte. Ero in uno spazio
oscuro. All’improvviso sono
comparsi degli esseri. Erano
mascherati, come delle sagome.
Erano felici di vedermi e mi dissero
che avevano già avuto un contatto
con me in una forma individuale.
Sembrava che fossero contenti che
avessimo scoperto questa
tecnologia. Mi sentivo come un
ricercatore spirituale che si era
spinto troppo oltre, e che, anziché
incontrare il mondo dello spirito,
aveva superato la propria
destinazione, finendo su un altro
pianeta.
Questi esseri volevano saperne di
più sui nostri corpi fisici. Mi dissero
che gli esseri umani esistono su
diversi livelli. Avevo bisogno di
ricollegarmi con il mio corpo in
tempo per il controllo della
pressione e per il prelievo del
sangue. Era come se fossero loro,
anziché Laura, a raccogliere le
informazioni, e apprezzavano la mia
collaborazione. In un certo senso
avevamo qualcosa in comune. Mi
dissero di “accogliere la pace”.
Ho sentito che iniziavo ad
allontanarmi da loro nel momento
in cui gli effetti della droga stavano
svanendo. Mentre iniziava il down,
ho visto queste cose del loro mondo
che non riesco proprio a descrivere.
Pensavo a come i nativi del Sud del
Pacifico riuscirono a vedere solo le
piccole barche del Capitano Cook e
non le sue grandi navi fino a
quando non vi salirono
effettivamente a bordo e le
toccarono con mano.
Il rientro è stato molto difficile.
Ho sentito una specie di perdita, ma
ho percepito il raggio trainante
dell’amore di Kevin e l’ho seguito».
Secondo i miei appunti, Sara a un
certo punto si era alzata per andare
in bagno. Al suo ritorno aveva detto:
«Sono stanca, ma sono pronta per
la quarta dose».
«Questa è l’ultima. Ce la puoi
davvero fare».
«Mi raccomando di ritornare»
aggiunse Kevin.
Al quinto minuto la pressione
sanguigna e il battito cardiaco
aumentarono più di quanto era
accaduto nel corso di tutta la
mattinata, anche a confronto della
rilevazione del secondo minuto,
quando di solito le risposte dei
soggetti si attestano ai livelli
massimi. Stava certamente facendo
un grande sforzo, ma solo più tardi
avremmo scoperto in merito a cosa.
Al decimo minuto, i miei appunti
indicano che mormorò: «Abbiamo
anche noi delle cose che possiamo
offrirti. La spiritualità... Ok, sbrigati.
Per di là, per di là. L’ho fatto per te.
Di là, puoi uscire».
Dose 4
«Andai direttamente nelle
profondità dello spazio. Sapevano
che stavo tornando ed erano pronti
per me. Mi dissero che c’erano
molte cose che potevano
condividere con noi, nel momento
in cui avessimo imparato a
instaurare un legame più
prolungato. Di nuovo, volevano
qualcosa da me, non solo delle
informazioni di tipo fisico. Erano
interessati alle emozioni e ai
sentimenti. Gli dissi: “Abbiamo
qualcosa che possiamo darvi: la
spiritualità”. Credo che ciò che
intendevo realmente fosse l’Amore.
Cercai di individuare il modo per
farlo. Sentii un’incredibile energia,
una brillante luce rosa con i
contorni bianchi, prendere forma
alla mia sinistra. Sapevo che si
trattava dell’energia spirituale e
dell’Amore. Loro erano alla mia
destra, così distesi le mani
attraverso l’universo e mi preparai a
fare da ponte. Lasciai che questa
energia mi attraversasse per farla
arrivare fino a loro. Dissi qualcosa
del tipo: “Vedete, l’ho fatto per voi.
Ora ce l’avete”. Mi ringraziarono.
Stavo iniziando a ritornare da quel
viaggio con la DMT , stavo perdendo
quota. Dovevo tornare indietro.
Ero un po’ delusa che
quell’esperienza fosse consistita nel
“dare”, mentre ciò che volevo era
l’illuminazione spirituale. Avrei
forse dovuto chiedere prima
qualcosa in cambio? Credo di non
sentirmi a mio agio nei panni di un
emissario spirituale terrestre.
Tuttavia, feci del mio meglio. Ho
sempre saputo che non eravamo
soli nell’universo. Pensavo che
l’unico modo per incontrarli fosse
tramite le luci luminose e i dischi
volanti provenienti dallo spazio. In
effetti non mi era mai capitato di
incontrarli nel nostro spazio
interiore. Credevo che le uniche
cose che potevamo incontrare
fossero quelle presenti nella nostra
sfera personale di archetipi e
mitologia. Mi aspettavo spiriti guida
e angeli, non forme di vita aliene».
I miei appunti aggiungono questo
piccolo scambio verso la fine della
sessione: «Ho visto delle specie di
apparecchiature, da cui
fuoriuscivano dei bastoncini con
delle gemme a goccia. Sembravano
delle macchine».
«È probabile che fossero
macchine».
Gli appunti di Sara contengono
anche la descrizione del suo stato
mentale in seguito a queste
sessioni:
«È difficile mettere in ordine tutto
questo. Era reale? Di certo
sembrava reale, ma lo sembrano
anche i sogni mentre stiamo
sognando. Eppure c’era qualcosa di
diverso da un sogno, perfino dai
sogni lucidi che talvolta faccio.
C’erano davvero altre forme di
vita là fuori? Ho davvero inviato
loro il potere dell’Amore e della
spiritualità? Cosa ancor più
preoccupante, mi avevano
marchiato in un qualche modo? Ora
mi stanno osservando? Ciò mi fa
sentire un po’ pazza e molto
confusa. Quel che è peggio, mi
sento molto isolata nella mia
esperienza. Come potrebbe
comprenderla una persona che non
è stata di là? Forse tutta questa
storia mi ha fatto impazzire. Di
certo so che ha cambiato la mia vita.
Che ne farò adesso di questa
esperienza? Come farò a tenermi
dentro qualcosa di così grande?»
Prima di iniziare lo studio sulla
DMT non mi era per niente familiare
la letteratura sul fenomeno
dell’abduction aliena. E lo stesso
valeva per molti dei nostri
volontari. Non sapevo quasi nulla al
riguardo, né avevo il desiderio di
saperne di più. Sembrava un
argomento ancora più
anticonvenzionale dello studio sulle
droghe psichedeliche! Ad ogni
modo, quando iniziammo a sentire
così tanti racconti di incontri con
entità, sapevo di non poter più
ignorare il fenomeno. Nonostante il
buonsenso, ora mi sento obbligato a
misurarmi con le mie opinioni in
merito all’esperienza di contatto
con “forme di vita aliene”.
Esaminiamo dunque le cosiddette
esperienze di abduction aliena.
Noteremo l’impressionante
somiglianza tra questi contatti
avvenuti spontaneamente e quelli
riportati durante lo studio sulla DMT .
Questa notevole sovrapposizione
potrebbe facilitare l’accettazione
della mia teoria per cui l’esperienza
di abduction aliena è resa possibile
da un livello eccessivo di DMT nel
cervello. Ciò può verificarsi in modo
spontaneo per mezzo di qualsiasi
condizione, descritta in precedenza,
che attiva la formazione di DMT nella
ghiandola pineale. Può anche aver
luogo quando i livelli di DMT
aumentano per aver assunto la
droga dall’esterno, come nel caso
del nostro studio.
La nostra cultura moderna è
affascinata dalle esperienze di
abduction aliena. Lo psichiatra
John Mack ha pubblicato diversi
resoconti di “addotti”, persone che
lui definisce “sperimentatori”, nei
libri Rapiti! Incontri con gli alieni e
Passport to the Cosmos.73
Quando l’abduction ha inizio,
Mack dice: «La coscienza è
disturbata da una luce intensa, da
suoni che somigliano a canti senza
parole, da strane vibrazioni
corporee o paralisi [...] o
dall’apparizione di uno o più
umanoidi o perfino di strani esseri
simili all’uomo all’interno del loro
ambiente». Mack enfatizza la
sensazione di vibrazioni ad alta
frequenza riportata da molti
addotti, che potrebbe fare in modo
che si sentano come se si stessero
disgregando a livello molecolare.
Alcuni addotti si trovano in
ambienti familiari, come «un parco
con altalene», con figure che
emergono dallo sfondo. Gli addotti
spesso si trovano anche su una
specie di tavolo operatorio o lettino
da visita. Gli sperimentatori sono
totalmente sotto il controllo degli
alieni. Nonostante la natura
certamente insolita e bizzarra di
quello che stanno vivendo, non
hanno alcun dubbio che
l’esperienza sia del tutto reale; anzi,
la descrivono come «più reale della
realtà».
Durante questa fase preliminare
si manifestano livelli di ansia
variabili, specialmente se una
persona percepisce che la coscienza
si sta separando dal corpo. Per
molti, l’esperienza della paura è già
di per sé trasformativa. “Lasciarsi
andare” al terrore sembra cambiare
la natura dell’esperienza da
negativa a positiva. La persona può
“fluttuare” o, al contrario, farsi
strada «all’interno di un tunnel
curvo che sembra contenere delle
specie di computer e altre
apparecchiature tecniche». Una
volta arrivati, «si vedono strani
esseri che si muovono indaffarati,
svolgendo dei compiti che gli
sperimentatori non comprendono
bene». Di solito gli addotti
riferiscono di aver visto dei tunnel
pieni di energia e dei cilindri di luce
all’interno di questi ambienti.
L’alieno “tipico” assomiglia a
quelli generalmente raffigurati dai
media: testa grande, corpo magro,
grandi occhi, bocca piccola se non
assente, pelle grigia. Ad ogni modo,
Mack riporta anche frequenti
descrizioni di rettili, mantidi e
ragni.
Alcuni addotti percepiscono una
specie di riprogrammazione
neuropsicologica o un
trasferimento incredibilmente
rapido di informazioni tra gli esseri
e lo sperimentatore. Gli alieni
possono comunicare utilizzando un
linguaggio di simboli visivi
universali anziché suoni o parole.
Molti addotti raccontano uno
scenario complesso in cui gli alieni
utilizzano delle macchine per la
riproduzione allo scopo di allevare
degli «ibridi umano-alieni».
Tuttavia, Mack riferisce che il
progetto di ibridazione «non è
affatto tutto ciò che accade. [...] Gli
addotti possono essere osservati
molto da vicino [...] e anche
esaminati, esplorati e monitorati. A
volte gli sperimentatori sentono che
gli alieni si stanno occupando della
loro salute, in particolare attraverso
esami rattali e al colon, e riportano
perfino delle guarigioni. [...] Altre
volte gli sperimentatori sostengono
che gli siano state inserite delle
sonde nel cervello attraverso il
naso, le orecchie e gli occhi, e
possono sentire una trasformazione
a livello della psiche. [...] Degli
impianti vengono inseriti sottopelle
[...] e hanno la certezza che si tratti
di una specie di dispositivo per
rintracciarli e monitorarli».
Gli addotti affermano che «gli
esseri sembrano essere
enormemente interessati al nostro
corpo e alle nostre emozioni;
sembra, come si dice degli angeli,
che invidino il nostro essere
incarnati, [...] hanno bisogno di
qualcosa che solo l’amore umano
può dare». Questo può perfino
prendere la forma di incontri
sessuali tra alieni e umani. Tali
esperienze «possono andare
dall’indifferenza e dall’assenza di
contatto fisico fino all’estasi, al di là
di ciò che essi conoscono dell’amore
terreno».
Come descrive Mack,
«l’esperienza di un legame tra uno
o più alieni e l’addotto è un aspetto
notevole e significativo
dell’esperienza. [...] Di solito i
ricordi iniziali [...] sono di contatti
freddi e distaccati nei quali gli alieni
(in particolare i rettiliani grigi o gli
esseri dalle sembianze di mantidi
religiose) rendono la persona del
tutto vulnerabile». È frequente
negli addotti percepire di avere un
legame speciale con un alieno in
particolare. Ed è come se questo
alieno fosse “al comando”.
La relazione può in seguito
svilupparsi fino a raggiungere un
grande senso di familiarità, un
rapporto denso di significato, e
perfino un legame d’amore tra
l’addotto e l’alieno. Diversi dei
soggetti di Mack riportano di essere
“salutati” dagli alieni quando
emergono nella loro realtà; gli
alieni dicono telepaticamente:
«Bentornati!» Alcuni riferiscono di
una serie di incontri iniziati durante
l’infanzia.
Gli sperimentatori spesso
raccontano che gli alieni li avvisano
con una certa enfasi che la Terra è
in pericolo. Le loro abduction sono
legate a questo, in quanto essi
forniscono il materiale riproduttivo
per il progetto di ibridazione o
decidono di diffondere il messaggio
della degradazione ambientale a un
pubblico più ampio.
Mano a mano che il lavoro di
Mack con i suoi soggetti progrediva,
egli notò un altro elemento
ricorrente fondamentale
dell’esperienza di abduction. Si
tratta della natura trasformativa e
spirituale dell’incontro: «La
percezione del collasso spazio-
temporale, la sensazione di entrare
in altre dimensioni della realtà o in
altri universi [...] la sensazione di
essere connessi con tutta la
creazione». La sensazione degli
addotti di sentirsi parte di quel
mondo può essere così forte da
indurli a desiderare di “non
ritornare”. Molti addotti non hanno
più avuto paura della morte,
sapendo che la loro coscienza
sarebbe sopravvissuta alla morte
del corpo. Una persona prese
addirittura in considerazione l’idea
di suicidarsi per poter tornare in
quello stato di beatitudine che
aveva vissuto nel corso delle sue
abduction.
La somiglianza dei resoconti di
Mack delle abduction aliene con i
contatti descritti dai nostri volontari
è innegabile. Come si può dubitare,
dopo aver letto i resoconti degli
ultimi due capitoli, che la DMT
provochi i “tipici” incontri con gli
alieni? Se presentassimo i racconti
dei nostri volontari, eliminando
ogni riferimento alla DMT , chi
sarebbe in grado di distinguerli da
quelli degli addotti?
I contatti con forme di vita
provenienti da altre dimensioni,
essendo sconvolgenti e inquietanti,
non comparivano mai tra le
motivazioni dei volontari per
partecipare alla ricerca. E nemmeno
era qualcosa che mi aspettavo
avvenisse con una certa frequenza.
Piuttosto, erano stati
transpersonali, mistici e spirituali ai
quali aspiravano i volontari. E
proprio a questi stati volgeremo ora
la nostra attenzione.
73. John E. Mack, Rapiti! Incontri con gli alieni
(Mondadori 1995) e Passport to the Cosmos
(Crown 1999).
Capitolo 15
LA MORTE E IL MORIRE

Da quando Raymond Moody


pubblicò La vita oltre la vita nel
1975, e Kenneth Ring Life at Death
nel 1980, l’espressione “esperienza
di pre-morte” è entrata a far parte
del nostro vocabolario.74 Questi
insoliti stati di coscienza
notevolmente alterati si verificano
quando il corpo si trova di fronte a
circostanze che minacciano la vita,
come nel caso in cui uno scalatore
cade da un dirupo. Inoltre possono
avvenire quando il corpo è già in
punto di morte, come dopo un grave
attacco di cuore o mentre si sta
annegando.
A grandi linee, un’esperienza di
pre-morte (NDE, near-death
experience) è contrassegnata dalla
sensazione di un rapido viaggio
attraverso un tunnel, talvolta
accompagnato da voci, canzoni o
musica. C’è la presenza di “altri”:
parenti, amici e membri della
famiglia vivi o morti. Questi esseri
possono anche assumere la forma
di spiriti, angeli o di altri “aiutanti”.
Può arrivare la comprensione che
uno sia davvero morto.
Molti sperimentano un’immensa
pace e serenità, mentre altri
raccontano di immagini ed
emozioni terrificanti. Alcuni vivono
un “riassunto della loro vita”, una
sequenza veloce e ordinata di
ricordi personali che terminano al
momento presente. Altri ancora
sentono il “comando” di ritornare in
vita perché non è arrivato il loro
momento per morire.
Le NDE possono culminare nella
fusione in una luce bianca
indescrivibilmente amorevole e
intensa che emana dal divino. Ciò
conduce a una esperienza mistica o
spirituale in cui tempo e spazio
perdono ogni significato. Coloro che
sperimentano una NDE si sentono
avvolti da qualcosa di più grande di
loro, che precedentemente non
potevano immaginare: la “sorgente
di tutto ciò che esiste”. Si ha la
certezza che la coscienza continui a
esistere dopo la morte. Coloro che
raggiungono il livello mistico della
NDE ritornano con un grande
apprezzamento per la vita, una
minore paura della morte, e una
riorganizzazione delle proprie
priorità verso scopi meno materiali
e più spirituali.
È indiscutibile la sensazione di
realtà di tutti quelli che
sperimentano le esperienze di pre-
morte; spesso si sentono
espressioni come: «Era più reale
della realtà». Per quelli che
“tornano” da una NDE è difficile
descrivere la propria esperienza;
spesso dicono che «va oltre il
linguaggio».
Siccome una delle teorie che mi
ha spinto a intraprendere la ricerca
sulla DMT era la convinzione che la
molecola dello spirito viene
rilasciata dalla ghiandola pineale al
momento della morte, o poco
prima, ascoltai attentamente questo
tipo di esperienze. Se la DMT
somministrata dall’esterno avesse
riprodotto le caratteristiche di una
NDE, ciò avrebbe avvalorato la mia
ipotesi secondo cui la DMT endogena
è implicata nelle esperienze di pre-
morte che si verificano in maniera
naturale.
Tuttavia, soltanto in due soggetti
della ricerca, Willow e Carlos, i temi
della morte e del morire furono
predominanti durante le sessioni.
Inoltre, alla luce di quello che
effettivamente constatammo nel
corso della ricerca, trovo ora quella
iniziale aspettativa piuttosto
ingenua.
Il problema nel prevedere le
numerose NDE aveva a che fare con
il set e il setting. Certamente, molti
volontari sperimentarono una
radicale e completa separazione
della coscienza dal corpo. Per molti
di noi, ciò potrebbe tradursi nella
sensazione di essere morti.
Tuttavia, molte delle nostre reclute
avevano già vissuto questo tipo di
dissociazione durante precedenti
esperienze psichedeliche, e dunque
sapevano già di cosa si trattava
quando si verificò al Centro di
Ricerca. Si resero conto che non
stavano morendo e che non erano
nemmeno prossimi alla morte, e di
conseguenza poterono osservare lo
svolgersi degli effetti con un
equilibrio e una padronanza di sé di
gran lunga maggiori. Non andarono
nel panico, ma si mantennero
attenti e concentrati per osservare e
ricordare quel che stava accadendo.
Nel giro di pochi minuti, gli effetti
della DMT svanivano ed essi
rientravano nel loro corpo.
Di certo, se la loro esperienza
fuori dal corpo fosse durata più a
lungo di quei pochi minuti, e se
davvero ci fossimo sforzati per
rianimarli, si sarebbe trattato di una
più “classica” NDE. Tuttavia, i nostri
volontari stavano vivendo delle
esperienze inusuali che
probabilmente solo i più inesperti e
impreparati avrebbero interpretato
come esperienze di morte o di pre-
morte.
Vediamo ora alcune sessioni in
cui vi sono dei riferimenti
occasionali al tema della morte. In
esse, i volontari si riferiscono con
una certa disinvoltura alla natura
“simile alla morte” di un’esperienza
con la dose elevata di DMT . In
seguito vedremo più in dettaglio le
sessioni di Willow e di Carlos, nelle
quali i temi relativi alla morte e alla
pre-morte assunsero un ruolo di
primo piano.
La sessione di Elena con la dose
elevata di DMT condivise molti
elementi caratteristici di
un’esperienza di illuminazione
spirituale. Ne parleremo nel
prossimo capitolo. Per ora mi
limiterò a citare un suo commento
all’interno di una lettera che mi
inviò un anno dopo la sua
partecipazione allo studio sulla DMT :
«Più di una volta le sessioni di DMT
mi hanno fatto dono dell’autentica
conoscenza personale del fenomeno
descritto nell’Introduzione ai Morti
all’interno del Libro Tibetano dei
Morti. Ancora più straordinario è il
dono di sapere che ho sperimentato
il morire e il ritornare».
I commenti di Elena non furono
gli unici riferimenti al Libro
Tibetano dei Morti. In questo testo
vecchio di secoli, i praticanti del
Buddhismo tibetano hanno
tracciato una mappa dei differenti
stati del bardo che una persona
attraversa lungo il cammino che
conduce dalla morte alla rinascita
nella prossima forma di vita. Il
bardo è talvolta definito come “stato
intermedio”, ovvero quello che si
colloca tra la vita, la morte e la
rinascita. Molte descrizioni dei
bardo riecheggiano con precisione i
resoconti delle persone che hanno
avuto una esperienza di pre-
morte.75
Sean, la cui esperienza di
illuminazione sarà esamanita nel
prossimo capitolo, fece questa
osservazione in una delle giornate
in cui ci aiutò a sviluppare il
programma dei dosaggi per lo
studio sulla tolleranza: «È così
incredibile, così strano, al di fuori di
ogni controllo, che devi per forza
imparare qualcosa. Credo di aver
imparato cosa vuol dire morire e
trovarsi completamente inermi in
balia di qualcosa. È stato utile».
Eli, che abbiamo incontrato nel
capitolo 12, ci scrisse dopo la sua
prima dose elevata di DMT :
«Intontito, mi sentii trattenuto. Mi
rilassai e l’ambiente iniziò a
cambiare in maniera evidente.
Sapevo che mi sarei addentrato nel
primo bardo della morte, che ero già
stato qui molte altre volte e andava
bene così. “È proprio come l’ultima
volta” pensai. Una sufficiente
continuità con la mia coscienza da
sveglio mi mandò quest’altro
pensiero: “Ma questa è la prima
volta che lo attraverso”. Ne conclusi
che ero uscito dal tempo e dallo
spazio e che stavo sperimentando il
mio percorso “ordinario” del
morire, oppure che ero collegato a
un momento nel futuro nel quale,
di nuovo, saprò che questa è la volta
in cui c’ero, in quel momento,
adesso”».
Alcuni mesi più tardi, durante un
altro studio, Eli disse: «Non temo
più la morte. È come se un
momento sei lì e poi ti ritrovi da
qualche altra parte, è proprio così.
Credo che abbia questo effetto.
Questi esperimenti mi stanno
aiutando nella lettura del Libro
tibetano del vivere e del morire.76
So cosa vuol dire essere
completamente liberi».
Anche Joseph, un imprenditore
trentanovenne di origini italiane,
notò quanto simili alla morte
fossero le esperienze con la DMT :
«Credo che la dose elevata somigli
al trauma della morte. Ti proietta
fuori dal corpo. Sotto l’effetto della
DMT sarei riuscito a sopportare la
morte e anche altre esperienze
fisiche più intense. Potrebbe
rivelarsi una droga utile per le
persone ricoverate negli ospizi o per
i malati terminali».
A differenza di questi volontari, i
temi di morte e pre-morte
dominarono i viaggi di Willow e
Carlos in compagnia della molecola
dello spirito. Vediamo ora le loro
storie.
Willow aveva trentanove anni
quando si unì al progetto sulla DMT .
Era sposata e viveva in un’area
semirurale. Era un’assistente
sociale che lavorava in ospedale con
i tossicodipendenti. Vedeva l’ironia
della sua partecipazione al nostro
studio e apprezzò le nostre
preoccupazioni circa la riservatezza
e l’anonimato.
Willow faceva uso di droghe
psichedeliche due-tre volte l’anno e
in totale le aveva assunte una
trentina di volte. Si candidò come
volontaria per il progetto sulla DMT
«per curiosità e per poter
sperimentare degli stati di coscienza
più profondi ed elevati allo scopo di
ottenere delle intuizioni su di me».
La dose base non in cieco provocò
a Willow degli effetti più forti
rispetto alla media.
«Non ho mai avuto così tante
visioni» disse.
La avvisai della dose
dell’indomani: «Sarà come
precipitare da una scogliera».
«Mi piace immaginarmi così
coraggiosa da saltar giù da una
scogliera».
Il mattino seguente ci mettemmo
subito al lavoro, dedicando poco
tempo agli aggiornamenti o alle
chiacchiere. Non erano ancora le
otto quando finii di somministrare
la DMT a Willow. Il suo corpo ebbe
un leggero scatto.
Sebbene dopo tre minuti un aereo
passò sopra l’ospedale, nella stanza
e nel reparto si era creato quel
profondo e completo silenzio che
ogni tanto avevamo la fortuna di
avere durante le sessioni di DMT con
dosi elevate. Willow restò sdraiata,
perfettamente immobile, per i
seguenti venticinque minuti. Poi
iniziai a diventare inquieto e le
chiesi con delicatezza come stava.
«Bene. È un posto davvero
incantevole. Quasi non me ne
voglio andare. Le transizioni sono
completamenti. Come sono. Chi
sono.
All’inizio ho visto un tunnel o un
canale di luce alla mia destra. Ho
dovuto girare per entrarci. Poi
l’intero processo si è ripetuto a
sinistra. Era stato fatto apposta in
questo modo. Era come se ci fosse
una sorgente, molto più lontano.
Diventava più grande mano a mano
che si andava avanti, come un
imbuto. Era luminoso e vibrava.
C’era della musica, una specie di
colonna sonora per me sconosciuta,
che si intonava al tono emozionale
degli eventi e che mi attirava
dentro. Io ero piccolissima, mentre
il tunnel era molto grande. Sulla
destra c’erano dei grandi esseri
accanto a me. Ho avuto la
sensazione di muovermi ad alta
velocità. Tutto il resto era
insignificante paragonato a questo.
Le cose mi sfrecciavano accanto da
prospettive differenti. Era molto più
reale della vita.
I tunnel a sinistra e a destra si
sono uniti davanti a me. C’erano dei
piccoli gremlin, delle facce per lo
più. Avevano ali e code. Gli ho
prestato poca attenzione. Gli esseri
più grandi erano lì per sostenermi e
aiutarmi. Quello era il loro regno.
Era come se vi fosse sia il bene che
il male: i gremlin contro gli esseri
alti. Questi ultimi erano amorevoli,
sorridenti e tranquilli.
Qualcosa mi attraversò
rapidamente. Ricordo di aver
pensato a un certo punto: “Qui
inizia la separazione”. Sentivo il mio
corpo solo quando deglutivo o
respiravo, ma non era tanto una
sensazione fisica, quanto una
maniera di fluttuare attraverso
l’esperienza. Ho avvertito con forza:
“È questo il morire e va bene così”.
Avevo sentito del tunnel
luminoso, ma non mi aspettavo che
fosse così. Credevo che sarebbe
stato soprattutto di fronte a me,
invece comparve sia a destra che a
sinistra per poi congiungersi al
centro. E non era nemmeno così
luminoso come pensavo.
Sono sorpresa che la DMT sia nel
corpo. C’è per un motivo, per
morire oggi. Avevo la sensazione di
stare per morire, di lasciarmi
andare e di separarmi, dopo che gli
esseri nel tunnel mi prestarono il
loro aiuto».
«Come ti senti a essere ritornata
di nuovo all’interno del tuo corpo?»
«Per il momento, bene».
Sembrava pensierosa.
«Di là è tutto davvero molto
diverso. Non c’è il corpo, non ci
sono parole o suoni a limitare le
cose. All’inizio ho visto uno spazio
profondo, bianco, con delle stelle.
Poi è iniziata questa esperienza
multidimensionale. Era viva. Era la
vivacità che sentivo. Il mio corpo
cercava di dire: “Ricorda il corpo”,
mentre mi addentravo in quel
luogo. Non era un lamento
disperato ma un tentativo di
mantenere reale l’esperienza dal
punto di vista dei sensi. Il corpo mi
rivoleva indietro.
Credevo di riuscire a vedere la
luce lì sotto, la luce del mondo. Era
come se si fosse alzato un piccolo
velo su una realtà alternativa e
simultanea».
Alcuni mesi più tardi, Willow
ricevette un’altra dose elevata di
DMT durante lo studio sul ciclo
mestruale. Quando si risvegliò,
iniziò a parlare: «Assomiglia a uno
scherzo dell’universo. Se tutti
sapessimo cosa ci attende, ci
uccideremmo. Ecco perché stiamo
in questa forma così a lungo, per
rendercene conto. È anche il motivo
per cui è così difficile ricordarne
l’immediatezza.
Ho letto dei libri sulle esperienze
di pre-morte: Salvato dalla luce e
Abbracciata dalla luce. Entrambi
danno una buona descrizione dello
stato originato dalla DMT .
Leggendoli, l’argomento mi era
familiare.77
Chiunque dovrebbe provare
almeno una volta una dose elevata
di DMT . Non so se quegli esseri oggi
mi stavano dicendo: “Prova la morte
una volta” oppure “Prova la vita una
volta”. Quel luogo è così pieno e
completo che l’idea di questo luogo
è quella di provare a essere
altrettanto completo. Però quando
sono tornata nel mio corpo era così
pesante e limitante. Inoltre, qui ho
una strana percezione del tempo.
L’eternità è un attributo di quel
luogo».
Sebbene non sia mai una buona
idea definire “classica” l’esperienza
di qualcuno con la DMT , credo che
non sia del tutto fuori luogo
utilizzare questo termine per
descrivere l’esperienza di pre-morte
di Willow. La sua coscienza si
separò dal corpo, si mosse
rapidamente attraverso un tunnel, o
dei tunnel, verso una calda,
amorevole e onnisciente luce
bianca. Degli esseri l’aiutarono
lungo il percorso, mentre altri
minacciavano di rallentarla. Una
bellissima melodia la accompagnò
durante le prime fasi del viaggio. Il
tempo e lo spazio persero ogni
significato. Fu tentata di non
ritornare, ma si rese conto che
doveva condividere le straordinarie
informazioni ricevute in quel
mondo. C’erano sfumature di
carattere mistico e spirituale nel
suo riunirsi alla luce bianca e bearsi
in essa.
La consapevolezza nascente di
Willow nei confronti di una «luce lì
sotto, la luce del mondo», ci ricorda
di uno degli ultimi bardo del Libro
Tibetano dei Morti. Si tratta dello
stadio nel quale l’anima inizia a
cercarsi un nuovo corpo in cui
incarnarsi, vede le luci del mondo e
inizia la sua discesa.
Il suo commento sul fatto che
tutti si suiciderebbero se sapessero
quanto è straordinario “l’aldilà” fa
emergere un’altra somiglianza tra le
esperienze di Willow e quelle delle
NDE che si verificano in maniera
naturale: coloro che hanno avuto
un’esperienza di pre-morte non
corrono a suicidarsi. Piuttosto,
restano con la consapevolezza che
c’è vita dopo la morte e che la
transizione perde il suo travaglio. E
così riescono a vivere una vita più
piena, perché la paura della morte,
che porta tanti alla disperazione, è
diminuita in maniera considerevole.
Era interessante sentire che aveva
trovato le esperienze di pre-morte
descritte in celebri libri simili a
quelle vissute con la DMT . Avevo
bisogno di qualche prova in più per
convincermi che eravamo sulla
strada giusta nel mettere in
relazione alti livelli di DMT con le
NDE.
Carlos fu una sfida. Esuberante,
diretto e giocosamente polemico,
aveva quarantaquattro anni quando
si unì alla ricerca sulla DMT .
Proveniva da una famiglia indio-
ispanica del Messico del Nord, era
stato sposato per quasi vent’anni e
aveva due figli adulti. Lavorava
come programmatore informatico e
aveva studiato presso l’Università
del New Mexico per alcuni anni. Era
anche un praticante di
sciamanesimo urbano. Come tale,
guidava un gruppo in cui i canti, le
visualizzazioni e altri insegnamenti
fornivano ai suoi studenti la
possibilità di sperimentare
un’ampia varietà di stati di
coscienza. Faceva più cose
contemporaneamente.
Carlos era ben informato su molte
sostanze psicoattive. Aveva assunto
psichedelici «più di un centinaio di
volte» e descriveva i loro effetti
come qualcosa di «assolutamente
bizzarro». Recentemente aveva
preso i semi della Datura
stramonium, o stramonio comune,
una pianta altamente tossica e
pericolosa che provoca delirio e a
volte terribili scollamenti dalla
realtà. Non c’è molta differenza tra
dosi psichedeliche e dosi letali di
questi semi.
Carlos non si aspettava molto
dalla «medicina dell’uomo bianco».
Questo fatto suscitò in me una
singolare dicotomia. Da un lato,
volevo fargli vedere chi possedeva la
droga migliore – di certo non la più
nobile delle reazioni, ma così era! –
dall’altro, temevo che non fosse
saggio da parte sua farsi beffe della
DMT e che l’intensità dei suoi effetti
avrebbe potuto sorprenderlo in
negativo. Può darsi che il suo
atteggiamento sprezzante
nascondesse delle paure più
profonde.
Il giorno della dose minima non
in cieco trovammo Carlos seduto
sulla mia sedia a dondolo. Era
arrivato con quasi due ore di
anticipo. Non stava lasciando nulla
al caso e mi stava sfidando,
nemmeno così sottilmente,
mettendosi sulla “sedia
dell’autorità”.
«Questo sarà un giro dell’isolato
fino al minimarket locale, piuttosto
che un viaggio in qualche altro
luogo» disse come prima cosa.
Prima di iniziare, volle benedire la
DMT verso “le quattro direzioni” e
per il bene della comunità. Si
trattava della preparazione
sciamanica tradizionale di una
sostanza psicoattiva. Le sue
benedizioni erano semplici ma
profonde, e instaurarono con
successo un sentimento di
riverenza nei confronti del “lavoro”,
più intenso rispetto a quanto
accadeva di solito.
La sua esperienza con la dose
minima sembrò abbastanza leggera.
E lo fu fino a quando non cominciò
a tremare, quindici minuti dopo
l’iniezione. Inizialmente erano solo
leggeri brividi, che però nel giro di
poco tempo si trasformarono in
scosse violente per tutto il corpo.
«Odio questa parte. Il mio corpo,
la mia energia inizia a vibrare. È
come dopo qualunque viaggio di
tipo spirituale, è come una scossa di
terremoto. Ogni volta che prendo
una qualsiasi droga psicoattiva,
tremo per un po’. Succede anche
agli altri?» mi chiese, mostrando
un’inaspettata vulnerabilità.
Gli risposi con cautela, avendo
scorto nelle sue parole un’apertura
per instaurare un rapporto più
sincero e profondo. «A volte
succede, in particolare dopo la dose
elevata. Di solito non si verifica nel
caso di una piccola dose. Mi chiedo
se non si tratti della paura».
Si sentiva effettivamente a
disagio, tremava e sembrava quasi
spaventato.
«Non ti preoccupare, non è
niente. Non importa se si tratta di
una dose grande o piccola di una
qualsiasi sostanza. Tremo per gli
effetti post-traumatici».
Il suo tremore iniziò a scomparire
mentre compilava il questionario.
Dopo averlo completato, si sentiva
bene, fece uno spuntino leggero e se
ne andò.
Più tardi io e Laura discutemmo
della reazione di Carlos a questa
piccola dose di DMT . Mentre lui
minimizzava gli effetti, il suo corpo
aveva mostrato una reazione ben
diversa. Pensammo che fosse
meglio cambiare leggermente le
regole e somministrargli la dose da
0.2 mg/kg prima di passare a quella
da 0.4.
Quando glielo dissi, Carlos non si
oppose: «Voi sapete cosa è meglio
fare».
Questa decisione sembrava
giustificata. Quando entrai nella
stanza la settimana dopo, Carlos
stava tremando in maniera
preoccupante dopo che l’infermiera
del reparto non era riuscita per tre
volte a inserirgli la flebo
endovenosa.
Nel suo modo brusco che stavamo
imparando a riconoscere, disse: «È
cominciato negli anni ’70, quando
un giorno entrai in una chiesa».
Mi avvicinai a lui più preoccupato
per la sua salute che per il timore
che la DMT dell’uomo bianco non
funzionasse.
«Sarà un bella botta» lo avvertii.
«Ti darà un’idea di come potrebbe
essere una dose doppia rispetto a
questa. Si tratta di una dose
psichedelica».
«Bene, non vedo l’ora. Mi
piacerebbe che avesse effetti ben
più che psichedelici».
L’iniezione procedete senza
problemi. Dodici minuti dopo, fece
una sonora risata ed esclamò:
«Accidenti! Non c’è alcun
contenuto spirituale... proprio per
niente! Fammi delle domande».
«Cosa è successo?»
«Mi stavo chiedendo: “Cos’è
questo?” Poi è arrivata. È la droga.
Questo è quello che fa. C’era troppa
roba da elaborare. È come quando si
cerca di ascoltare della musica a un
volume troppo alto. Non sapevo
cosa stava succedendo. Mi chiedevo
se fossi morto. Ho preso così tanti
psichedelici e non mi è mai capitato
nulla di simile. Il mio sistema
nervoso era annichilito, il mio
spirito frantumato».
«Cosa intendi per “spirito”? Mi
sembra che tu ti riferisca
all’immagine che hai di te stesso,
alla tua identità».
«Be’, potremmo discutere sui
termini».
«Quando penso allo spirito, penso
a qualcosa che non nasce e non
muore, che esiste prima ed esiste
dopo, e che non dipende dal corpo».
«Sono abituato all’ “Io” che è il
corpo, e dato che posso lasciarlo,
non dipende dal corpo».
La nostra conversazione sembrò
aumentare il suo entusiasmo.
«Ho visto chi sono a un livello
essenziale. Sai che esiste un
particolare spettro di suoni e
immagini sul quale una persona si
può sintonizzare e che costituisce il
sé individuale? Quello si è svelato
completamente ed era lì».
«Ricorda... questa è solo metà
della dose elevata».
«È spaventoso se ci penso».
Era il mio turno: «Ora l’avrai!»
Aveva davvero intenzione di
prendere una quantità doppia di
DMT ? Avrei preferito che rifiutasse
in quel momento, anziché
pentircene tutti quanti in seguito.
«Come ti senti a proposito di una
dose doppia rispetto a questa?»
«Qual è il senso? In che modo
può questa esperienza essere
d’aiuto a me, all’umanità o alla
comunità di cui faccio parte? Se
ritornassi con una straordinaria
verità, sarebbe magnifico».
«Be’, hai parlato incessantemente
per venti minuti del “nulla”» dissi
con una risata.
Ad ogni modo, non appena finì di
compilare la scheda di valutazione,
disse: «Credo che completerò
questo studio. Riceverò la dose da
0.4 e poi farò lo studio sul
pindololo. Ma non credo che farò
altro. Credo che gli sciamani del
Sud America usino altre piante per
completare e rendere la DMT più
ragionevole. La DMT pura sembra
vuota e vacua».
La mattina della dose da 0.4
mg/kg trovai Carlos sudato e
tremante quando entrai nella
stanza.
«È soprattutto una paura di tipo
fisico. È lo stress. Non c’è modo di
prepararsi. Arriva all’improvviso.
Con la Datura mi viene la paura
della morte, ma riesco
gradualmente a farla svanire.
Invece con la dose da 0.2 mg/kg
della scorsa settimana ho pensato
che mi aveste dato la droga
sbagliata, credevo di esser stato
avvelenato e che sarei morto. La
costrizione è terribile. Faccio uso di
sostanze per lasciare il corpo, non
per sottoporlo a costrizione».
Cercai di infondergli un po’ di
conforto: «Questa dose è maggiore
come quantità, ma la qualità resta
la stessa».
Quando iniziai a somministrargli
la droga, si mise a cantare, ma
s’interruppe all’improvviso a metà
dell’iniezione salina. Dopo due
minuti emise un grande sospiro, e
dopo tre minuti e mezzo riprese a
cantare, questa volta più a bassa
voce.
Al dodicesimo minuto disse: «Per
favore, toglietemi la mascherina».
Laura gliela sfilò.
«È stata una cosa davvero
singolare. Per circa tre minuti e
mezzo non sono stato umano.
Questa dose crea un livello di stress
che non ha precedenti negli annali
della storia di Carlos».
Si schiarì la voce e disse: «Ho
incontrato il Creatore».
«Creatore di cosa?»
«Il Creatore di tutto. Mi era già
successo, ma non a questo livello».
«A uno dei nostri volontari piace
dire: “Puoi ancora dirti ateo fino
alla dose da 0.4”».
«È vero».
Carlos fece un respiro profondo e
iniziò a raccontarci cosa era
successo. Era difficile seguire il
ritmo con cui raccontava la sua
incredibile storia.
«C’era il suono dell’intero
universo, più simile a un ronzio.
Era penetrante e travolgente. Ho
pensato: “Porca miseria, come ci
sono finito dentro?” Le cose non
andavano bene, anzi andavano
sempre peggio. Poi la mia capacità
di percepire come essere umano ha
cominciato a vacillare. Non c’erano
più emozioni, perché le emozioni si
sviluppano solo fino a un certo
punto.
Ho visto un uomo disteso in una
stanza d’ospedale. Era nudo, con
una persona su ciascun lato, una
donna e un uomo. All’inizio non
assomigliavano a nessuno che
conoscessi. Erano dei comunissimi
esseri umani. Poi ho realizzato che
eravamo io, te e Laura. Il modo in
cui si comprendono le cose era
totalmente diverso da questa realtà.
Io non sapevo di far parte di alcun
tipo di studio.
Ma c’era qualcosa, in quest’uomo,
che non andava. Era lì per
ristabilirsi. L’ospedale era un centro
di guarigione. Ciò che non andava
con lui era la morte. L’uomo nudo
era morto. Lo aveva ucciso lo stress
provocatogli dalla DMT . Non è
comparso nessuno dei miei
guardiani e protettori. Non ne erano
a conoscenza.
L’uomo è stato guarito, molto più
che guarito. È rinato. È stato curato
dalla morte, sanato dalla morte. E
poi è diventato il creatore di un
intero universo.
Gradualmente sono diventato
sempre più denso e ho recuperato la
mia presenza ordinaria. Ho
osservato la creazione
nell’universo: dall’energia mentale
di base fino alla frequenza
vibratoria della materia. Ho capito
che stavo ricostruendo l’ospedale e
la stanza. Mano a mano che il
mondo prendeva forma, io volevo
vederlo e quindi ho chiesto che mi
venisse tolta la mascherina. Sono
rimasto affascinato dalle mie dita,
come un neonato.
Ho fatto delle lezioni su come
l’universo è un costrutto della
nostra mente, e qui stava accadendo
proprio questo. Il mio
atteggiamento era diverso quando
ho saputo che vi avevo creati io. Vi
sentivo così vicini da considerarvi
come un figlio e una figlia.
Potrei dire che ciò che ho vissuto
è una classica esperienza di morte e
rinascita. L’avevo già vissuta prima,
ma in un modo diverso. Aveva un
simbolismo, una consistenza e
un’atmosfera spettacolari mischiati
a iridescenze ed effetti incredibili.
Se fosse stata meno intensa, allora
sarebbe stata un’esperienza molto
classica.
La dose da 0.2 mg/kg è stata
sconcertante, questa è andata oltre.
Sapevo che esiste un confine oltre
la vita, ma non ho mai pensato che
avrei potuto essere là, a una così
giovane età. È una di quelle cose di
cui parlano le persone anziane, del
tipo: “Un giorno ci andrò”. È
semplicemente il luogo e il
momento sbagliato. Mi aspetto che
questo genere di cose accadano
mentre mi trovo in montagna con i
miei amici in un contesto più
cerimoniale».
Sebbene fossi rimasto colpito
dalle caratteristiche della sessione,
mi domandavo anche quali altre
cause ne stavano alla base. Il fatto
di aver “creato” Laura, me e
l’ambiente ospedaliero aveva
invertito l’equilibrio di potere
all’interno della stanza. Carlos non
aveva più bisogno di avere paura di
noi e della DMT . Nonostante ciò, non
serviva a nulla fare una simile
interpretazione. Certamente per lui
avrà avuto del valore. Mi limitai
invece a occuparmi dei sentimenti
che erano emersi mentre parlava.
«Eri sorpreso».
«Davvero una sorpresa».
Carlos non aveva avuto quel tipo
di esperienza di pre-morte di cui si
legge spesso nella letteratura
scientifica popolare. Il caso di
Willow è invece l’esempio di questa
versione più contemporanea delle
NDE. In ogni caso, la sessione di
Carlos con la dose elevata di DMT
rivelò molte caratteristiche simili a
quelle riportate dai praticanti di
sciamanesimo come parte
dell’iniziazione ai regni superiori
delle loro pratiche; vale a dire,
l’esperienza della morte e della
rinascita.78
Carlos si percepì come già morto
piuttosto che sul punto di morire.
Vide il suo corpo nudo e senza vita
sdraiato sul letto, sebbene non
proprio nel modo in cui lo aveva
lasciato, dato che era vestito prima
che la molecola dello spirito
entrasse nel suo cervello. Nel
momento in cui rinacque, si
ricostituì anche il suo universo. E di
nuovo possiamo vedere il culmine
mistico di un’esperienza di pre-
morte. Carlos sperimentò la
Creazione in un modo simile
all’esperienza di Sara con la dose
elevata che abbiamo visto nel
capitolo precedente, e a quella di
Elena che vedremo nel prossimo:
un’energia potente che rallentava di
vibrazione per diventare infine
materia. Carlos, sentendosi come
un neonato, si meravigliò delle
proprie dita allo stesso modo di un
bambino affascinato dalla scoperta
del suo corpo.
C’è una progressione dalla serie di
esperienze personali a quelle di tipo
transpersonale originate dalla DMT .
È possibile lavorare sui propri
problemi di carattere psicologico e
psicosomatico per mezzo della luce
e del potere della molecola dello
spirito. Affrontare un’esperienza di
pre-morte conduce a quella che
sembra essere la fine di tali
complicazioni, simulando o
preannunciando come sarà dopo
l’abbandono del corpo fisico.
Le esperienze di pre-morte
sembrano avere l’impatto maggiore
su coloro che compiono il passo
successivo all’interno di questa
misteriosa esperienza, ovvero
l’ascesa a un livello di
consapevolezza spirituale. I
volontari e io stesso credevamo che
fossero proprio questi mondi, ai
quali la DMT permette di accedere, a
racchiudere la promessa più grande
di una potente trasformazione
personale. È all’interno di questi
luoghi visionari della DMT che
adesso ci inoltreremo.

74. Raymond A. Moody, La vita oltre la vita


(Mondadori 1977) e Kenneth Ring, Life at
Death. A Scientific Investigation of the Near-
Death Experience (Coward, McCann and
Geoghegan 1980).

75. W.Y . Evans-Wentz, Tibetan Book of the


Dead (Oxford University Press 1974).

76. Rinpoche Sogyal, Il libro tibetano del vivere


e del morire (Astrolabio-Ubaldini 199$). Si
tratta di una versione moderna del Libro
Tibetano dei Morti.

77. Dannion Brinkley, Salvato dalla luce


(Sperling&Kupfer 1996) e Betty J. Eadie,
Abbracciata dalla luce, (Sperling&Kupfer 1994).

78. Mircea Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche


dell’estasi (Edizioni Mediterranee 1974) e
Michael Harner, La via dello sciamano (Edizioni
Mediterranee 1995).
Capitolo 16
STATI MISTICI

Uno dei fattori preponderanti


della mia decisione di fare carriera
nel settore della ricerca psichedelica
fu la somiglianza esistente tra le
esperienze con alte dosi di
psichedelici e le esperienze
spirituali. Anni dopo, erano questo
tipo di sessioni che speravo di
osservare, studiare e comprendere
durante la ricerca sulla DMT nel New
Mexico.
Il dibattito sull’importanza
spirituale delle esperienze
psichedeliche infuriò fintanto che le
persone fecero uso di queste
sostanze per i loro profondi effetti
psicologici sulla psiche. Ad esempio,
libri come The Varieties of
Psychedelic Experience fanno
esplicito riferimento all’opera di
William James, Le varie forme
dell’esperienza religiosa, risalente
ai primi anni del xx secolo.
Recentemente, l’opera Entheogens
and the future of religion perpetua
una lunga e controversa tradizione
nel sostenere che qualsiasi
profonda pratica spirituale includa
dei sacramenti psichedelici.79
Durante le mie prime visite in
quella comunità di Buddhismo Zen
presso la quale ho studiato, sollevai
la questione con molti dei giovani
monaci americani. Quasi tutti
risposero che le droghe
psichedeliche, in particolare l’LSD,
all’inizio gli avevano aperto le porte
su una nuova realtà. Fu l’obiettivo
di consolidare, rafforzare e ampliare
quel loro primo flash psichedelico
che li condusse verso una vita
ascetica e comunitaria, basata sulla
meditazione.
Naturalmente, mi domandai se le
droghe psichedeliche potevano
accelerare e agevolare il
raggiungimento di stati estatici
senza gli “effetti collaterali” della
pratica istituzionale, quali il
comportamento ritualistico e il
ritiro dal mondo.
La risposta che emerse dallo
studio del New Mexico fu
complessa: gli psichedelici potevano
indurre stati simili alle esperienze
spirituali, ma non avevano lo stesso
impatto. Ancora più eloquente di
queste risposte relativamente
semplici fu la reazione della mia
comunità buddhista al solo fatto di
aver osato chiedere e discutere di
questo argomento. Ad ogni modo,
sto correndo troppo.
Allo scopo di stabilire le strette
similitudini tra l’esperienza
spirituale e quella resa possibile
dalla molecola dello spirito, inizierò
esaminando brevemente le
caratteristiche di un’esperienza
spirituale.
I tre pilastri del sé, del tempo e
dello spazio sono tutti soggetti a
una profonda trasfigurazione in
un’esperienza spirituale.
Non esiste più alcuna separazione
tra il sé e ciò che non è il sé:
l’identità personale e tutto ciò che
esiste diventano un tutt’uno. In
effetti, non c’è un’identità
“personale” perché comprendiamo,
al livello più basilare, l’unità e
l’interdipendenza di tutto ciò che
esiste.
Passato, presente e futuro si
fondono insieme nell’eternità del
momento presente. Il tempo si
ferma poiché non “scorre” più.
L’esistenza non dipende più dal
tempo. L’adesso e il poi, il prima e il
dopo, tutto si congiunge in questo
punto preciso. Brevi periodi di
tempo contengono un enorme
quantità di esperienze.
Dal momento in cui il nostro sé e
il tempo perdono i loro confini, lo
spazio diventa immenso. Come il
tempo, anche lo spazio non è più
collocato in un punto definito, ma si
trova ovunque, illimitato, senza
barriere. Il qui e il lì sono un’unica
cosa. Tutto è qui.
In questo tempo e spazio
infinitamente estesi e senza alcun
sé definito, ci fermiamo a
esaminare tutte le contraddizioni e i
paradossi, vedendo che tra essi non
c’è più conflitto. Siamo in grado di
contenere, assimilare e accogliere
tutto ciò che appare nella nostra
mente: il bene e il male, la
sofferenza e la felicità, il piccolo e il
grande. Ora abbiamo la certezza che
la coscienza continua a esistere
dopo la morte fisica, e che esisteva
da molto prima di aver assunto
questa particolare forma fisica.
Vediamo l’intero universo
all’interno di un filo d’erba e
sappiamo com’era il nostro volto
prima che i nostri genitori si
conoscessero.
Sentimenti eccezionalmente
potenti si riversano nella nostra
coscienza. Siamo in estasi, e
l’intensità di questa gioia è tale che
il nostro corpo non riesce a
contenerla, sembra aver bisogno di
disincarnarsi temporaneamente.
Sebbene la beatitudine sia intensa,
ci sono anche una pace e una
serenità di fondo che non vengono
toccate nemmeno da questa felicità
incredibilmente profonda.
C’è una sensazione marcata del
sacro e del divino. Entriamo in
contatto con una realtà immutabile,
eterna, immortale e non creata. È
un incontro personale con il Big
Bang, Dio, la Coscienza Cosmica, la
fonte di tutta l’esistenza. In
qualsiasi modo la chiamiamo,
sappiamo di aver incontrato
l’essenza e la sorgente
dell’esistenza, dalla quale
scaturiscono amore, saggezza e
potere a livelli inimmaginabili.
La chiamiamo “illuminazione” per
la presenza della luce bianca che
manifesta lo splendore del creato.
Potremmo incontrare delle guide,
angeli o altri spiriti disincarnati, ma
passiamo oltre nel momento in cui
confluiamo nella luce. Adesso i
nostri occhi, finalmente, sono
davvero aperti e vediamo
chiaramente le cose, in una “luce
nuova”.
L’importanza e la grandezza
dell’esperienza sono soggettive. Può
esserci utile per mettere a fuoco il
resto della nostra vita in direzione
della realizzazione, della
completezza e del lavoro su di sé
attraverso le intuizioni ottenute.
Alcune esperienze di questo tipo
si sono manifestate nei nostri
volontari nel contesto di una classe
di incontri più potente, tra cui la
guarigione psicosomatica, il
contatto con le entità o le
esperienze di pre-morte. Ad
esempio, le esperienze di pre-morte
di Willow avevano una natura
profondamente spirituale. E le
sessioni di Cassandra durante i test
sulla tolleranza implicarono
qualcosa di più di un semplice
lavoro sui propri traumi; sentì
anche la presenza di entità
profondamente amorevoli e
guaritrici. In questo capitolo,
ascolteremo le esperienze di tipo
spirituale che predominarono nelle
sessioni dei volontari.
Queste sessioni con la DMT furono
alcune delle più soddisfacenti della
ricerca. Siccome le sessioni di Elena
e Sean si verificarono relativamente
presto nel corso dello studio,
contribuirono a dimostrare la
validità e l’importanza di studiare le
proprietà più sublimi della molecola
dello spirito. Quando ebbe luogo
l’esperienza spirituale di Cleo, ero
già in procinto di lasciare
l’università. Pertanto, riguardo alle
sue sessioni avevo un
atteggiamento in un certo senso più
disilluso. Tuttavia, se ogni incontro
dei volontari con la DMT fosse stato
così gratificante come il suo, ci
sarebbero state meno motivazioni
per fermare la ricerca.
La supervisione di queste sessioni
fu relativamente facile, perlomeno
all’inizio. Conoscevo il percorso
fatto di pratica, studio ed
esperienza. Le difficoltà emersero
nell’interpretazione degli effetti e
nella valutazione della loro
importanza. Si trattava di “reali”
esperienze di illuminazione? Come
potevo saperlo? E con chi mi sarei
potuto consultare a riguardo?
Sebbene l’esperienza spirituale di
Cleo avvenne dopo quella di Elena e
Sean, si rivelò in un certo senso
meno impegnativa. Perciò
preferisco raccontarla per prima.
Questo ci fornisce una buona
preparazione al luogo in cui ci
porteranno gli incontri degli altri
due volontari.
Cleo aveva quarant’anni quando
iniziò il nostro studio. Era
ipovedente a causa di una
malformazione genetica agli occhi.
Nonostante ciò non si era abbattuta,
riuscendo a ottenere una laurea e
un diploma in massaggioterapia.
Adesso era iscritta a un master in
counseling. Capelli rossi,
corporatura minuta e un
temperamento focoso, Cleo era nata
in una famiglia ebrea, ma nel corso
del tempo aveva iniziato la pratica
di rituali volti a celebrare la natura
all’interno della fede Wicca. Una
volta, sotto effetto di LSD, Cleo vide
un “episodio di una vita precedente”
nel quale veniva bruciata sul rogo
perché era una strega.
Sua padre l’aveva molestata
quando era una bambina, e i ricordi
di questa esperienza emersero per
la prima volta durante un recente
trip con i funghi psilocibinici. Da
piccola aveva la fobia della neve, e
quando si trovava a contatto con
essa andava in iperventilazione e
vomitava. Ora non era più
disturbata da questa paura
irrazionale: l’aveva risolta diversi
anni prima lavorandoci sopra con la
psilocibina. Di solito non uso la
parola “indomabile”, ma Cleo
sembra proprio incarnare questo
atteggiamento come poche persone
di mia conoscenza.
I motivi che la spinsero a
partecipare allo studio riflettevano
il suo spirito pionieristico e
altruistico: «Sono curiosa. Credo di
essere pronta per il passo
successivo. Credo in questo genere
di ricerca, da un punto di vista
scientifico, e sono convinta che gli
allucinogeni possano avere un
valido uso clinico e terapeutico».
Incontrai Cleo nella stanza 531, il
pomeriggio in cui doveva ricevere la
dose minima, mentre stava
estrando i tarocchi dal suo mazzo.
Quelli che prese mostravano
farfalle e viaggiatori: temi di buon
auspicio.
A quindici minuti dall’iniezione,
disse: «Ho avuto la lievissima
sensazione di un richiamo a seguire
qualcosa. Era come una luce
all’orizzonte, come due strade che si
congiungevano nell’orizzonte.
C’erano degli occhi che mi
osservavano, in modo amichevole.
Volevano vedere chi c’era, e
sembravano dirmi che più tardi li
avrei seguiti».
Il mattino seguente Cleo mi fece
delle domande sul consiglio che le
avevo dato il giorno prima riguardo
al modo di prepararsi per ricevere la
dose elevata: «Cosa intendevi dire
quando mi hai suggerito di
“attraversare” i colori?»
«Sembra che le persone possano
essere ipnotizzate dai colori»
risposi. «Se riescono a oltrepassare
il velo che i colori sembrano
rappresentare, spesso si accede a
maggiori informazioni e sensazioni
rispetto ai soli colori».
Diciannove minuti dopo averle
somministrato la dose elevata di
DMT , fuori iniziò a nevicare. Mi
ricordai della vecchia fobia di Cleo
per i fiocchi di neve. Laura si alzò
dalla sua sedia e alzò il termostato.
«Rick, so perché sei diventato uno
psichiatra».
«Perché?»
«Per dare questo alla gente».
Le dissi che aveva ragione.
«Mi aspettavo di “uscire”, ma
invece sono entrata dentro ogni
cellula del mio corpo. Era
straordinario. Non era solamente il
mio corpo... erano loro... erano
proprio loro... tutto è connesso. Oh,
questo è ciò che ho fatto. Bene».
Rise della sua incapacità di
esprimersi.
Dopo mezz’ora parlò in modo più
comprensibile: «Ho sentito la DMT
entrare e bruciare nelle vene. Era
difficile respirarci dentro. Poi sono
iniziati i disegni, e mi sono detta:
“Attraversiamoli”.
A questo punto si sono aperti e mi
sono ritrovata da qualche altra
parte. Credo che sia stato a quel
punto che sono uscita nell’universo,
essendo, danzando con un sistema
stellare.
Mi sono chiesta: “Perché sto
facendo questo a me stessa?” E la
risposta è stata: “Questo è quello
che hai sempre cercato. È quello
che tutta te stessa ha sempre
cercato”.
C’era un movimento di colori. I
colori erano parole. Ho sentito cosa
mi stavano dicendo i colori. Stavo
cercando di guardare fuori, ma loro
dicevano: “Vai dentro”. Stavo
cercando Dio all’esterno. Mi hanno
detto: “Dio è in ogni cellula del tuo
corpo”. E lo sentivo, completamente
aperta alla sensazione, continuavo
ad aprirmi ancora di più e l’ho
accolta semplicemente dentro di
me. I colori continuavano a dirmi
delle cose, ma lo facevano in modo
da farmi sentire non solo quello che
stavo vedendo, ma anche in modo
da percepirlo con ogni cellula. Dico
“percepire”, ma era un modo di
percepire senza pari, come se
sapessi ciò che stava avvenendo
nelle mie cellule, che Dio è presente
in ogni cosa e che siamo tutti in
connessione l’uno con l’altro, che
Dio danza all’interno di ogni cellula
della vita, e che ogni cellula della
vita danza in Dio».
In una lettera che mi inviò alcuni
giorni dopo, Cleo scrisse: «Sono
cambiata. Non sarò mai più la
stessa. Dire solo questo sembra
quasi sminuire l’esperienza. Non
credo che chi ascolti o legga di
questa esperienza possa afferrare
veramente ciò che ho provato e
comprenderlo profondamente e
completamente. L’euforia continua
nell’eternità. E io sono parte di
quella eternità».
Cleo era pronta e ben preparata
per le sue sessioni di DMT . Pertanto,
quando la molecola dello spirito la
chiamò nella stanza 531, rispose
con slancio. Nella sua sessione
vediamo molti elementi
caratteristici di un’esperienza
spirituale: la sospensione dei
confini ordinari di spazio e tempo,
la natura estatica degli incontri,
l’incapacità del linguaggio di
descrivere l’esperienza. Sperimentò
la certezza della sua natura divina;
tutte le sue domande trovarono una
risposta durante quei brevi ma
intensi momenti.
Elena fu una delle nostre prime
volontarie, aveva trentanove anni
quando iniziò. Era bassa di statura,
atletica, mora, dal carattere emotivo
e dal modo di fare scherzosamente
brusco. Viveva con Karl (DMT -1) e
sua figlia in un piccolo paese fuori
Taos.
Elena aveva fatto uso di
psichedelici una ventina di volte nel
corso della sua vita. Più recenti
erano le sue quasi cento esperienze
con l’MDMA , che riteneva avessero
contribuito alla sua decisione di
rallentare la carriera professionale.
Aveva venduto la casa e l’attività di
consulenza, e aveva iniziato un
intenso lavoro interiore. Sperava
che partecipando allo studio sulla
DMT avrebbe potuto «giungere a una
comprensione più chiara delle mie
verità spirituali».
Elena e Karl erano una coppia
divertente. Li conoscevo da anni, e
offrirono un solido e significativo
supporto durante il periodo
estenuante che ho descritto nel
capitolo 6. Non c’è da stupirsi che
divennero DMT -1 e DMT -2.
La sessione di Elena con la bassa
dose non in cieco fu traquilla.
Tuttavia, era molto preoccupata il
giorno seguente mentre preparavo
la siringa con una quantità di DMT
otto volte superiore. Il suo battito
passò da 65 a 114 e la pressione da
96/66 a 124/70 solo guardandomi
preparare l’iniezione! Le sue pupille
ampiamente dilatate contribuirono
ad aumentare la tensione che si
respirava nella stanza. Cercai di
stemperare l’atmosfera posando la
siringa e restandomene tranquillo.
Niente da fare. L’energia era sul
punto di straripare. Anche Karl e
Cindy la sentivano e sembravano
agitati.
«Be’, che ne pensi?» azzardai
fiducioso.
Elena fece un sorriso dei suoi
«Starò bene. Ho solo paura di
quello che porterà l’ignoto.
Iniziamo».
Dopo quarantacinque secondi
dalla fine dell’iniezione, Elena
iniziò a gemere, a sospirare, a
risucchiare l’aria e a soffiarla fuori.
La forza dei suoi movimenti rese
impossibile rilevare la pressione e il
battito al secondo minuto. Le sue
mani erano fredde e sudate, e il viso
le si fece pallido. Le sue pulsazioni
aumentarono ancora di più, fino a
134, durante la rilevazione del
quinto minuto, mentre la pressione
era stabile. La sua testa oscillava
lentamente avanti e indietro, e
talvolta annuiva. Si leccò le labbra,
sbadigliò, sospirò, sembrava non
trovare pace. Nel giro di quattro
minuti finalmente iniziò a calmarsi.
Il colorito del viso ritornò al
tredicesimo minuto, e restò
tranquillamente distesa. Dieci
minuti dopo esplose in una risata,
che crebbe fino a diventare
fragorosa. Al trentesimo minuto
iniziò a parlare animatamente.
Sebbene avessi preso appunti, il
resoconto che scrisse il giorno
seguente descrive la sua esperienza
meglio delle mie note
stenografiche.
«Prima che tu mi dicessi: “Bene,
abbiamo finito”, si risvegliò in me
un’energia così potente che non è
possibile descriverla con le parole.
Ha scosso il mio cuore. Il turbinio
dei colori mi ha fatto ricordare
l’esperienza visiva del giorno prima,
ma moltiplicata per milioni di volte.
Potevo solo tener duro, ricordando
di non cadere nella trappola di
quello spettacolo di luci. Poi tutto si
è fermato! L’oscurità ha fatto spazio
alla luce, e dall’altro lato dello
spazio tutto era completamente
immobile. Poi le parole “solo perché
è possibile” emersero dal nulla e mi
invasero.
L’immensa energia cercò di
insinuarsi in tutte le possibilità. Era
“amorale”, ma era amore,
nient’altro che amore. Non c’era un
dio benevolo, ma solo questa
potenza primordiale. Tutte le mie
idee e convinzioni sembravano
assurdamente ridicole. Non volevo
dimenticarmene. Sapevo che avrei
potuto aprire gli occhi ed entrare in
contatto con quelli attorno a me.
Ma all’inizio dovevo aspettare che
tutto questo si consolidasse, per
consentire all’esperienza di
cristallizzarsi, in modo da poterla
condividere con gli altri.
Mi chiesi: “Perché tornare
indietro?” Non volevo aprire gli
occhi. Quando lo feci, la stanza mi
apparve molto luminosa, ma del
tutto diversa da come me la
ricordavo».
Alcuni mesi dopo, nello studio
sulla reazione alla dose, Elena ebbe
la possibilità di visitare nuovamente
quello stato con una dose elevata in
doppio cieco. Questa volta era
molto meno ansiosa prima di
iniziare.
Dopo venti minuti, iniziò a
parlare: «È stata veloce e potente,
ho sentito un’incredibile pressione
crescermi nella testa e spingermi
indietro. Mi ha fatto esplodere nel
mondo in cui la pura energia
vivente inizia a prendere forma.
Quando ha iniziato a rallentare, ho
visto il processo di separazione
della coscienza. Questo
rallentamento crea la forma e la
coscienza. Prima di esso, la
coscienza non è presente. Non è
involontario, ma nemmeno
consapevole. È reale, fatta di una
propria sostanza, non frammentata.
È sorprendente quanto lentamente
di muovano le cose qui sulla Terra!
Esce e rallenta verso il margine
esterno, verso i suoi confini, nella
forma. C’è un infinito flusso di
creazione, senza sforzo, e poi questo
enorme processo lo riporta indietro.
Anche il mio piccolo frammento di
energia procede dentro e fuori, né
più né meno di qualunque altro.
Non puoi morire. Non puoi andare
via. E nemmeno aggiungere o
sottrarre. C’è un continuo flusso
che è l’immortalità. Il concetto di
“io sono” viene e riviene. Ne ho la
certezza.
C’erano un sacco di paradossi.
Non ero disorientata, però mancava
un orientamento. Non sapevo dove
mi trovassi, né chi fossi, ma non
c’era niente da sapere sul chi o sul
dove fossi. Non dovevo chiedermi
cosa fare dopo. Non ci sono spazi
vuoti, erano tutti riempiti».
Sebbene Elena avesse descritto
come “amorale” l’essenza del suo
incontro, la sua gioia e la meraviglia
suggerivano che l’aveva trovato
tutt’altro che freddo o senza vita.
Piuttosto, «era amore», ed era stata
così felice da considerare l’idea di
non ritornare. Comprese il ciclo di
nascita e rinascita con la
conseguente certezza soggettiva
dell’immortalità. Come Carlos nel
capitolo precedente, anche lei vide
quello che i moderni studiosi di
cosmologia suppongono sia la
sorgente dell’universo. All’inizio
non c’è nulla, poi c’è il Big Bang, dal
quale le particelle, rallentando e
raffreddandosi, diventano elementi
della materia. E dalla materia
derivano i nostri stessi corpi e
menti separati.
La storia di Sean è significativa
per la sua combinazione di elementi
diversi. Le sue sessioni condividono
le caratteristiche delle esperienze
dei mondi invisibili, di quelle di
contatto con entità, oltre che degli
stati mistici. Tuttavia, la sua
esperienza di illuminazione
costituisce il culmine a cui venne
progressivamente condotto
attraverso altri tipi di effetti.
Sean aveva trentotto anni quando
iniziammo a lavorare insieme, e
ricevette la maggiore quantità di
DMT rispetto a ogni altro volontario.
Prese parte a ogni esperimento in
doppio cieco o placebo controllato,
così come agli studi pilota volti a
determinare le dosi ottimali di DMT
da utilizzare in combinazione con il
pindololo e la ciproeptadina.
Partecipò inoltre allo studio sulla
DMT con l’ EEG e a diverse sessioni
con la psilocibina nel corso di un
lavoro preliminare con quella
sostanza.
Capelli di un color biondo
rossiccio, carnagione chiara, di
corporatura e statura media, aveva
un modo di fare gentile e un
temperamento pacato. Solo dopo
aver passato un po’ di tempo con lui
si aveva modo di apprezzarne il
forte carattere, l’intelligenza acuta e
curiosa, e l’umorismo pungente.
Era un avvocato presso una delle
maggiori aziende di Albuquerque.
Ad ogni modo, lavorava solo part-
time per avere il tempo di dedicarsi
alla sua altra grande passione:
coltivare una grande varietà di
alberi indigeni.
In precedenza aveva assunto LSD
circa trentacinque volte, e funghi
psilocibinici e mescalina un paio di
volte. Le sue motivazioni per
partecipare allo studio sulla DMT
sono semplici, in linea con il suo
approccio alla vita: «Voglio provare
un altro tipo di allucinogeno. Non
so proprio cosa aspettarmi, ma non
ho paura di una nuova esperienza,
né di me stesso e di quello che
potrei fare».
La sessione di Sean con la dose
bassa di DMT non in cieco andò
bene, mentre la dose elevata del
giorno successivo fu
un’aberrazione. Il catetere
endovenoso si era allentato, e
inavvertitamente iniettai la droga
sottopelle anziché nella vena. Lo
sospettavo, ma non ne fui
completamente sicuro fino a
quando non si trovò nel pieno dello
studio sulla reazione alla dose
condotto in doppio cieco. Andò
molto più su di giri con alcune di
queste dosi di quanto aveva fatto
con quella che credevamo fosse la
sua prima dose elevata.
Gli effetti di questa dose iniziale
non in cieco da 0.4 mg/kg
impiegarono un po’ di tempo a
manifestarsi e non furono molto
maggiori rispetto a quelli della dose
minima ricevuta il giorno prima.
L’iniezione sembrò strana già
mentre gliela stavo facendo, ma non
mi venne in mente di aver mancato
la vena. Non credevo di poter fare
quell’errore. Forse Sean era una di
quelle persone che mi aspettavo
potessero avere una piccola
reazione alla droga.
Durante uno dei giorni dello
studio in doppio cieco, Sean
ricevette quella che poi si scoprì
essere la dose da 0.2 mg/kg. A causa
della sua reazione a questa dose
sconosciuta, iniziai a pensare che
forse c’era stato un problema con la
prima dose elevata. Anche lui era di
quell’avviso.
«Scommetto che è questa la dose
elevata, e non quella dell’altra volta.
Non sono mai stato così su di giri.
La venatura nella porta si è
semplicemente aperta!»
Sean cominciò a partecipare
abbastanza presto allo studio,
quando non avevamo ancora
iniziato a utilizzare regolarmente le
mascherine, e all’inizio gli piaceva
tenere gli occhi aperti. Ciò mi
permise di aiutarlo a riflettere più
intensamente sulle immagini
prodotte dalla DMT e sulla loro
natura talvolta dispersiva.
«Vediamo se riesci a concentrarti
sullo spazio all’interno delle
venature del legno, piuttosto che
sulla venatura in sé. Potresti andare
oltre, una volta che sarai più in
confidenza con ciò che accade con la
DMT . Le visioni e le manifestazioni
non sono tutto ciò che c’è lì».
«Ero giusto sul punto di perderlo.
Non avevo la percezione di quello
che voi due stavate facendo, sentivo
solo che eravate lì vicino. Ero
contento di conoscervi entrambi;
sarei stato a disagio se foste stati
degli sconosciuti».
I suoi commenti circa il trovarsi a
proprio agio in nostra presenza la
dicevano lunga sulla variabile, tanto
importante quanto poco discussa,
costituita dal rapporto esistente tra
chi somministra e chi riceve la
droga. Sentirsi a proprio agio con
chi si ha accanto favorisce il
lasciarsi andare; l’ansia e la sfiducia
conducono al risultato opposto.
Alcune settimane dopo ricevette il
placebo, il che gli diede il tempo di
riflettere sulla sua sessione
precedente.
«Credo che l’ultimo viaggio fosse
un’esperienza di pre-morte. Tutto è
più vivo adesso. Non sono annoiato,
persino quando dovrei esserlo! È
stato il timore reverenziale e la
paura di Dio. Non ho pensato quasi
a nient’altro nei due giorni
seguenti. Il desiderio di parlarne
con tutti è svanito dopo tre-quattro
giorni».
È curioso il fatto che Sean avesse
avuto un’esperienza così profonda
senza che nessuno di noi ne fosse a
conoscenza. Ciò mi suggerì di
prestare molta attenzione a come le
diverse persone si trovassero a
proprio agio o avessero la capacità
di discutere delle proprie sessioni,
in particolare subito dopo che si
erano verificate.
Sean si candidò per il progetto
pilota sulla tolleranza, volto a
stabilire la dose appropriata di DMT
da somministrare e il tempo che
doveva trascorrere tra un’iniezione
e l’altra. Un giorno ricevette quattro
iniezioni da 0.2 mg/kg a intervalli di
un’ora. Quando si stava per
riprendere dalla terza dose, disse:
«Non riuscivo a guardare tutto,
c’era molta confusione. Qualcosa
mi ha chiesto: “Cosa vuoi? Quanto
ne vuoi?”».
Sean citò questo episodio in
maniera del tutto casuale. Fu la
prima volta che disse di aver sentito
“l’altro”.
«Gli ho risposto che volevo vedere
meno cose, ma in modo più
approfondito. Ciò ha ridotto
l’intensità di quello scenario
confuso, crepitante e colorato con
motivi cinesi. Il tutto si è fatto più
ordinato e nitido. Mi sento più
libero all’idea di andare là fuori.
Non sono smarrito. Faccio domande
e ricevo risposte».
Sean ritornò per le quattro dosi da
0.3 mg/kg a intervalli di un’ora.
Ebbe una giornata particolarmente
movimentata. Sebbene i miei
appunti registrarono molto di ciò
che accadde durante la sua
sessione, la lettera che Sean mi
inviò in seguito è ancora più
completa: «La prima sessione fu
davvero uno spasso. Sentii
sollevarmi dal letto per circa un
metro. Le immagini si svilupparono
velocemente in un motivo luminoso
e scintillante dalle tonalità blu-
verde. Chiesi: “Sei ancora qui?” Non
ricevetti risposta, così mi misi a
osservare una città situata in basso,
su una pianura, in un orizzonte
lontano che mutava in una varietà
di tinte e colori, con molte “cose”
indefinite che fluttuavano nell’
“aria” sopra la città.
Poi notai una donna di mezza età,
con il naso aguzzo e la pelle
verdognola, che sedeva alla mia
destra guardando questa città
cangiante in mia compagnia.
Teneva la mano destra su un
quadrante che sembrava comandare
il panorama che stavamo
osservando. Si girò appena verso di
me e mi chiese: “Cos’altro
vorresti?” Io le risposi
telepaticamente: “Be’, cos’altro hai?
Non ho idea di quel che puoi fare”.
Poi si alzò, camminò fino alla
destra della mia fronte, la toccò e la
scaldò; quindi utilizzò un oggetto
affilato per aprire un pannello nella
mia tempia destra, liberando una
considerevole pressione. Questo mi
fece sentire molto meglio di prima,
sebbene sapessi che mi sarei sentito
bene nel posto precedente».
La seconda dose di Sean fu
impegnativa, disturbata dal rumore
di un aspirapolvere fuori dalla
stanza e dall’orribile stridore del
camion della spazzatura fuori dalla
finestra. Temporaneamente
confuso e in preda all’ansia, Sean
poté fare ben poco in quella
sessione.
Dose 3
«Per la prima volta in assoluto ero
in uno stato di vuoto mentale prima
dell’iniezione di DMT . Non avevo
pensieri, speranze, paure o
aspettative.
Il viaggio iniziò con una
sensazione di formicolio elettrico
nel corpo, e all’improvviso
arrivarono le allucinazioni visive.
Poi notai cinque o sei figure che
camminavano rapidamente di
fianco a me. Avevo la sensazione
che fossero degli aiutanti, dei
compagni di viaggio. Una figura
umanoide maschile venne verso di
me, stese il braccio destro verso il
mosaico di colori luminosi e chiese:
“Che ne pensi di questo?” I motivi
caleidoscopici divennero
immediatamente più luminosi e
accelerarono il loro movimento. Un
secondo e poi un terzo essere mi
domandarono la stessa cosa,
ripetendo quello che aveva fatto il
primo. A quel punto decisi di andare
oltre, più in profondità.
Vidi immediatamente una luce
abbagliante, di colore giallo-bianco,
proprio di fronte a me. Decisi di
aprirmi a essa: ne venni consumato
e diventai parte di essa. Non c’erano
più differenze: nessuna figura o
linea, ombra o contorno. Non c’era
nessun corpo, non vi era niente
all’interno o all’esterno. Ero privo di
personalità, di pensiero, di tempo,
di spazio, di un senso di separatezza
o di ego. Non c’era nulla all’infuori
della luce bianca. Non ci sono
simboli nel mio linguaggio che
possano descrivere quella
sensazione di pura esistenza, unità
ed estasi. C’era una straordinaria
sensazione di quiete e di estasi.
Non ho idea di quanto tempo
restai in questa concentrazione di
pura energia, o in qualunque altro
modo possa descriverla. Finalmente
sentii che stavo rotolando
lentamente, scivolando all’indietro
su una rampa, lontano da questa
Luce. Potevo vedermi mentre lo
facevo: ero un essere innocente,
nudo, sottile e luminoso che
risplendeva di calda luce gialla. La
mia testa si era fatta più grossa,
mentre il corpo era quello di un
bambino di quattro anni. Le onde
della Luce mi toccavano mentre il
mio corpo si allontanava. Stavo
quasi impazzendo di felicità quando
terminò il mio scivolare lungo la
rampa».
Di sicuro, non avevamo idea di
quel che stava succedendo a Sean. I
miei appunti indicano che nove
minuti dopo la terza iniezione Sean
affermò: «Credo di essere tornato».
Dopo aver completato la scala di
valutazione, disse: «È interessante.
Ho scelto di entrare in una luce
abbagliante».
«Mi fa piacere che tu abbia scelto
di entrarci, anziché aspettare e
osservare» dissi per incoraggiarlo.
«Non fu una scelta tanto
consapevole».
«Fede può voler dire saltare da un
precipizio con ottimismo».
«Non ero così spaventato».
Fece una pausa e sorrise.
«Non posso credere di star
facendo questo, che tu stia facendo
questo».
Torniamo a quanto scrisse nella
sua lettera in merito alla sua quarta
e ultima dose di quel giorno:
«C’erano persone fatte di filo
metallico dappertutto, andavano in
bicicletta, come se fossero
programmate, come i personaggi di
un videogioco che si divertono. Li
guardai. Erano di colore blu-verde e
correvano tutti attorno a me. Era
come trovarsi su un parcheggio a
torre. Ho dimenticato cosa successe
alla fine. Andarono avanti a lungo!
Continuavo a chiedermi se sarebbe
accaduto qualcos’altro. Lentamente
il viaggio si concluse, ma non
ricordo come».
Quel giorno era quasi alla fine. Il
volto di Sean era pallido quando si
tolse la mascherina. Si portò le
ginocchia al petto.
«Sembri stanco» gli disse Laura.
«No, non sono stanco. Mi sento
solo un po’ confuso».
Si guardò attorno, posò lo sguardo
su me e Laura e sospirò: «Che
giornata!»
Sicuramente ci sono delle
analogie sorprendenti tra le
esperienze spirituali spontanee e
quelle indotte dalla DMT in alcuni
individui. Le sessioni con dosi
elevate di Cleo, Elena e Sean furono
estatiche, rivelatorie, rivoluzionarie
e profonde. Tutti e tre i volontari
erano persone stabili ed equilibrate
che avevano conoscenza dei
concetti religiosi. Le parole che
usarono per descrivere le loro
sessioni sono incredibilmente simili
a quelle utilizzate dai più grandi
mistici di tutte le epoche.
La DMT riproduce molte delle
caratteristiche di un’esperienza di
illuminazione: sensazione di
eternità, ineffabilità, coesistenza
degli opposti, contatto e fusione con
una presenza estremamente
potente, saggia e amorevole, che
talvolta si sperimenta come una
luce bianca; certezza che la
coscienza continui dopo la morte
del corpo fisico; conoscenza diretta
dei “fatti” principali della creazione
e della coscienza.
Sebbene gratificato e incantato da
queste sessioni, domande sempre
più grandi iniziarono a profilarsi
mano a mano che ascoltavo questi
resoconti. Per il fatto che la DMT è in
grado di generare stati mistici, ciò
significa che tali esperienze siano
necessariamente positive? Oppure,
detto in altre parole, hanno
un’influenza spirituale in coloro che
le sperimentano? Se così fosse, mi
sarei sentito giustificato nel
catalogare questi incontri come
propriamente spirituali. Inoltre, gli
occasionali effetti negativi della DMT
sarebbero stati più facili da
accettare in presenza di reali
esperienze trasformative vissute da
alcuni volontari.
Queste riflessioni portarono a due
diverse questioni di carattere
medico: gli effetti negativi da un
lato, e i benefici a lungo termine
dall’altro, generati dall’incontro con
la molecola dello spirito. Allo scopo
di iniziare a tracciare un bilancio
complessivo, prendiamo ora in
considerazione il lato oscuro della
DMT .
79. Robert Master e Jean Houston, The Varieties
of the Psychedelic Experience, Park Street Press
2000; William James, Le varie forme
dell’esperienza religiosa, Morcelliana 2009;
Robert Forte, Entheogens and the Future of
Religion, Council on Spiritual Practices 1997.
Capitolo 17
DOLORE E PAURA

Per scrivere questi capitoli sulle


sessioni con la DMT ho riesaminato
ogni pagina dei miei appunti. Mi ci
volle un mese per rivederli tutti e
per sistemare i resoconti dei
volontari nelle diverse categorie di
esperienze. Una di queste
riguardava gli “effetti negativi”, tra i
quali inserii le reazioni difficoltose
o problematiche alla DMT . Alcuni
elementi di venticinque sessioni
con i volontari finirono in questo
“contenitore”. Tali effetti negativi
variavano da quelli più lievi, di
minore entità e di breve durata, a
quelli che si rivelarono terrificanti,
pericolosi e persistenti.
Venticinque su un totale di
sessanta volontari sembra un gran
numero. All’epoca, non ebbi mai
l’impressione che quasi la metà dei
volontari stava avendo dei
problemi. Stavo forse minimizzando
le difficoltà nel desiderio di andare
avanti nella ricerca a qualunque
costo?
Questo numero era sorprendente
anche perché speravo di ridurre
l’incidenza di reazioni spaventose
alla DMT inserendo nello studio solo
volontari sani che avevano già fatto
uso di psichedelici. Questa
sembrava una strada più sicura del
coinvolgere persone che non
avevano idea di cosa aspettarsi o
che già manifestavano disturbi
psicologici.
Osservando più in dettaglio
queste sessioni, diventò chiaro che
la grande maggioranza di questi
problemi erano, se non proprio di
lieve entità, di breve durata; il che,
per certi versi, mi rassicurò. Uno dei
motivi principali per cui scelsi la
DMT come sostanza con cui
riprendere la ricerca psichedelica in
campo clinico era la breve durata
dei suoi effetti. Prevedevo che, per
quanto male potessero andare le
cose, perlomeno non sarebbero
durate troppo a lungo.
Il setting della ricerca aveva tutte
le caratteristiche per indurre delle
risposte negative alla droga, e
questo può aver contribuito all’alta
frequenza di reazioni negative.
L’ambiente ospedaliero era
piuttosto sgradevole, anche se
alcuni volontari erano rassicurati
dal fatto che avremmo potuto
rispondere prontamente a
qualunque emergenza di carattere
medico.
Oltre all’effettivo ambiente fisico
costituito dal Centro di Ricerca,
anche l’assetto della ricerca
contribuiva a creare una tensione di
solito assente nei comuni setting
psichedelici. I prelievi di sangue, la
compilazione dei questionari e
diverse altre procedure sperimentali
influivano nei rapporti con i
volontari. Volevamo ottenere
qualcosa da loro, non si trattava
soltanto della loro esperienza
psichedelica, e questa aspettativa
non poteva essere ignorata.
Mi aspettavo che quasi tutti
provassero un po’ di ansia non
appena gli effetti della DMT
iniziavano a manifestarsi. Sapevo
che molte persone si sarebbero
trovate a lottare per mantenere il
controllo, in particolare con le dosi
più elevate. Il mio rispetto per le
proprietà profondamente
dirompenti della DMT aiutò i
volontari a sentirsi compresi circa la
naturale preoccupazione che
precede l’assunzione di dosi
massime della molecola dello
spirito.
Facemmo del nostro meglio nel
curare dettagli quali odori, gesti,
discorsi, stati d’animo e il
comportamento di chiunque fosse
presente nella stanza. Questa
attenzione ai dettagli contribuì
notevolmente a proteggere i nostri
soggetti da influenze esterne che
avrebbero potuto provocargli uno
stato d’ansia non necessario o
disturbarli in altro modo. Ci
rendemmo conto che mantenere un
atteggiamento incoraggiante,
attento e comprensivo era la
garanzia migliore contro effetti
negativi gravi, e il modo migliore
per gestirli qualora fossero
emersi.80
Il tema delle reazioni avverse
assume notevole importanza nel
valutare il rapporto rischi-benefici
nel lavoro con gli psichedelici. I
benefici erano maggiori dei rischi?
Vale la pena correre il rischio di
effetti negativi a fronte degli effetti
positivi? Questo capitolo affronta il
lato oscuro della DMT , mentre il
successivo si concentrerà su quanto
utili si siano rivelate le esperienze
dei volontari nel lungo periodo.
La letteratura più vecchia sulla
ricerca sperimentale accenna ad
alcuni tipi di reazioni negative che
si possono avere con la DMT .
Uno dei soggetti di Stephen Szára
in uno studio sulla DMT con l’EEG
effettuato negli anni ’50 era un
medico donna. Nel momento di
massimo effetto della DMT
somministratale per via
intramuscolare, esclamò: «È
spaventoso perché non riesco a
interrompere [anche aprendo gli
occhi] [...] È così sgradevole! Oh,
che brutto. Sarebbe stato meglio
cadere svenuta. Ne avrò ancora per
un’ora? Mi dia qualcosa per morire
rapidamente, sarebbe meglio
morire. Come ha potuto farmi
questo?»81
In seguito Szára riassunse le
cinque reazioni “paranoidi o
ingannevoli” nei suoi primi trenta
volontari: «Questi soggetti
riferirono dopo un paio di giorni
che erano convinti che qualcuno
volesse ucciderli o avvelenarli
durante l’esperimento. La DMT era il
veleno, e la persona che conduceva
l’esperimento l’assassino. Un
soggetto divenne molto violento nel
corso dell’esperimento e dovette
essere contenuto con la forza».82
Le descrizioni di Szára sono
insolitamente disinvolte per un
ricercatore psichiatrico. Di solito è
abbastanza difficile avere la chiara
percezione di cosa accada
esattamente durante le sessioni con
le droghe psichedeliche in
un’ambiente di ricerca. Questo è
particolarmente frequente quando
si verificano reazioni negative nel
corso di studi nei quali il team di
ricerca ha degli interessi personali
nel dimostrare gli effetti positivi
della droga.83
Le reazioni negative alla DMT da
parte dei nostri volontari del New
Mexico non erano qualitativamente
diverse da quelle dei volontari
coinvolti in altri tipi di sessioni e
delle quali abbiamo parlato. Tali
reazioni negative comprendevano
aspetti di tutte le categorie descritte
in precedenza: temi di carattere
psicologico, mondi invisibili,
contatto con esseri non materiali,
esperienze mistiche e di pre-morte.
Ciò che rese negativi gli effetti non
fu l’esperienza in sé, ma la reazione
a essa dei volontari. Le risposte dei
volontari agli elementi ansiogeni
determinavano conseguentemente
se avrebbero continuato una discesa
spaventosa oppure se si sarebbero
tirati fuori verso una soluzione più
positiva.
Ida fu una di quei pochi volontari
che si ritirò dalla ricerca dopo la
dose minima non in cieco.
Aveva trentanove anni all’epoca in
cui partecipò allo studio sulla DMT e
aveva conosciuto la mia ex moglie
durante un seminario sulla
spiritualità femminile tenutosi ad
Albuquerque. Aveva tre figli ed era
stata infelicemente sposata per
quasi la maggior parte della sua
vita. Aveva un senso dell’umorismo
pungente che sembrava nascondere
una gran quantità di rabbia e
rancore. Era difficile stare rilassati
accanto a lei, perché non era facile
dire se stava ridendo con te o di te.
Era interessata allo studio sulla
DMT perché era attratta dallo
sciamanesimo. Aveva assunto LSD e
funghi psilocibinici una ventina di
volte nella sua vita, ma nemmeno
una volta da quando aveva messo
su famiglia circa vent’anni prima.
Entrando nella stanza 531 il
pomeriggio della piccola dose non
in cieco di Ida, mi sorpresi nel
vederla seduta sul letto a leggere un
numero del New Yorker. Fu la
prima e unica volta in cui un
volontario si preparò in questo
modo alla prima sessione di DMT .
Sembrava nervosa.
Continuò a sfogliare le pagine
mentre le davo le mie indicazioni.
C’era tensione e inquietudine nella
stanza, e mi trovai a balbettare delle
frasi anziché far scorrere i miei
soliti discorsi, il che mi allarmò
ancor prima che la mia mente
cosciente si accorgesse del forte
stato d’ansia di Ida.
Quattro minuti dopo l’iniezione,
gli occhi di Ida si aprirono
velocemente. Mi guardò e poi
subito distolse lo sguardo. Un
minuto dopo, iniziò a parlare: «Non
mi è piaciuta. Non mi è piaciuta la
sensazione. La mia testa era
caldissima. Ero fuori dal mio corpo.
Facevo fatica a respirare».
«È piuttosto veloce, non trovi?»
«Forse per te».
«Mi riferisco all’assalto iniziale. Ti
è sembrato che durasse tanto?»
«Speravo che finisse non appena
ho iniziato a sentirla. Ho percepito
gli effetti mentre stava entrando la
soluzione salina. Non sarei riuscita
a muovermi se mi avessi chiesto di
farlo. Mi sono guardata i piedi e non
li riconoscevo come miei. È stato
spaventoso, e non mi sentivo al
sicuro».
Non ci fu modo di darle una dose
otto volte superiore il giorno
seguente.
«Sai, non a tutti piace questa
droga».
«Io l’ho odiata».
«Finiamola qui, considerala
un’esperienza. Non c’è bisogno di
sfidare la sorte».
«Ok».
Dalla cucina le portarono un
pessimo pranzo: tacos di carne
misteriosa. L’epilogo perfetto di una
sessione difficile.
Quella sera le telefonai. Si sentiva
bene, ma mi confermò di non voler
prendere mai più la DMT .
Per alcuni volontari le esperienze
con le dosi elevate si rivelavano
estremamente inquietanti, al punto
da abbandonare lo studio dopo
queste sessioni. Ken era uno di loro.
Ken, ventitré anni, si era trasferito
ad Albuquerque solo alcuni mesi
prima di imbarcarsi nel nostro
progetto di ricerca. Con i capelli
lunghi e ondulati, portati in modo
sportivo, e una moto vistosa, era
uno dei volontari più appariscenti.
Si era trasferito nel New Mexico per
frequentare un corso di formazione
in una scuola di medicina
alternativa, avendo abbandonato
un’altra università perché si sentiva
«come una pecora».
Aveva preso l’MDMA abbastanza
spesso e ammise di avere difficoltà
nel limitarne l’uso. Gli piacevano
«il divertimento, l’esaltazione,
l’amore, il senso di appartenenza, la
profondità e la spiritualità» che
procurava. Curiosamente, tralasciò
di rispondere al questionario
sull’uso delle classiche droghe
psichedeliche, ma notai la cosa
solamente dopo che abbandonò lo
studio. Se me ne fossi accorto
prima, avrei avuto delle remore
riguardo le sue esperienze con
queste droghe decisamente più
potenti.
C’era qualcosa in Ken che mi
turbava. Aveva sempre questo
atteggiamento rilassato e new age, e
io e Laura ci chiedevamo come
fosse il suo lato ombra. Dov’erano
la sua ansia, la sua rabbia e i suoi
limiti? Cosa di preciso lo rendeva
così? Sembrava svolazzare nella vita
anziché assumere un vero e proprio
ruolo in essa. Ovviamente, col
senno di poi, questo sarebbe stato il
punto di partenza per le sue
successive complicazioni, ma era
difficile poter prevedere la sua
reazione negativa alla DMT .
La dose minima da 0.05 mg/kg
non comportò alcuna difficoltà.
«Ho provato una sensazione di
serenità e di eccitazione, come con
l’MDMA . C’erano alcuni colori. È
stato piacevole. Mi chiedo come
sarà la dose elevata di domani».
Non ero sicuro di come avrebbe
affrontato il giorno successivo. Per
me l’MDMA è una droga leggera. Le
persone che la preferiscono agli
psichedelici tendono a non gestire
bene lo stress, sia nella loro vita, sia
quando assumono delle droghe
intrippanti più potenti. Mi piace
definire l’MDMA come una droga
“tutta luce e amore”, in quanto
accentua gli stati positivi e
minimizza quelli negativi. Se solo la
vita fosse così semplice!
Il giorno successivo Ken
indossava dei pantaloni di cotone
leggero larghi e scoloriti e una
maglietta dalle vivaci fantasie
psichedeliche. Le infermiere
dell’accettazione fecero dei
commenti su quanto fosse carino.
Il suo respiro sembrò fermarglisi
in gola non appena l’iniezione di
soluzione salina ripulì ogni traccia
della dose elevata di DMT dal suo
catetere endovenoso. Stando alle
reazioni di Philip e di altri volontari
alle dosi elevate di DMT , quel piccolo
moto di soffocamento quasi sempre
era il segno di un effetto potente. La
testa di Ken oscillava avanti e
indietro, e i piedi andavano su e giù
in modo involontario, come per
scaricare la tensione in eccesso.
Al quinto minuto circa ritrovò la
calma, ma fece una smorfia e scosse
la testa. Dopo un paio di minuti si
tolse la mascherina e fissò dritto
davanti a sé. Le sue pupille erano
ancora dilatate, così io e Laura
restammo seduti tranquilli,
aspettando che ritornasse
completamente. Al quattordicesimo
minuto, pur sconvolto ma
mantenendo una certa
compostezza, si mise a raccontare:
«C’erano due coccodrilli sul mio
petto. Mi schiacciavano e poi mi
hanno sodomizzato. Non sapevo se
sarei sopravvissuto. All’inizio
credevo di sognare, di avere un
incubo. Poi mi sono reso conto che
stava accadendo realmente».
Ero contento che non gli avessimo
inserito la sonda rettale, dato che si
trattava di un giorno di test.
Delle lacrime si formarono nei
suoi occhi, ma restarono lì.
«Sembra raccapricciante» gli
dissi.
«È stato orribile. Non ho mai
avuto così tanta paura in tutta la
mia vita. Volevo chiederti di
tenermi la mano, ma ero tenuto
fermo così saldamente da non
riuscire né a muovermi né a parlare.
Cristo!»
L’esperienza era terminata e
potevamo dargli dei piccoli consigli
per lasciarla andare e cercare di
superare il trauma degli assalitori
rettiliani. Era stato aggredito, e il
massimo che potevamo fare era
cercare di aiutarlo ad accettare e
magari anche a imparare qualcosa
dalla sessione.
«Cosa ne pensi?»
«Non ne ho la più pallida idea. Era
come se mi stessero punendo».
Mi guardò direttamente negli
occhi e mi chiese: «Le prossime
dosi saranno così forti? Non credo
che potrei sopportare di nuovo una
cosa simile».
Si stese sul letto tranquillamente,
assimilando quello che gli era
appena accaduto. Non voleva
parlare troppo, ma compilò la scala
di valutazione senza troppe
difficoltà. Dopo aver fatto colazione
sembrava più sereno ed equilibrato.
Tornai nella stanza 531 dopo aver
compilato le mie annotazioni sulla
sua cartella. Sembrava essersi
ripreso e mi stava aspettando prima
di lasciare l’ospedale.
«Come ti senti adesso?»
«Credo che questa droga non
faccia per me. Preferisco la
morbidezza dell’MDMA . Questa è
troppo forte e intensa».
«Va bene. Ci sono altre forti
esperienze in serbo per te in questo
studio, se decidi di continuare. È
una buona idea fermarsi ora».
Continuavo a pormi domande sul
contenuto di quel suo incontro
raccapricciante: «Hai una qualche
idea del motivo per cui ti si sono
presentati dei coccodrilli?»
«Non proprio. Mi piacciono i
rettili, ho anche avuto un’iguana
come animale domestico» disse
ridendo. «Forse è stata una specie
di regressione a una vita passata in
Egitto».
Restai in contatto con Ken,
sebbene presto lasciò Albuquerque
per trasferirsi in California. La sua
reazione era stata così traumatica
che temevo avrebbe potuto
sviluppare dei danni psicologici
permanenti. Ci chiedemmo se per
caso avesse subito delle molestie
sessuali da bambino, ma lui non
ricordava nessun episodio del
genere e pertanto questa restò
solamente un’ipotesi.
In un certo senso, quella sessione
lo spaventò per bene. Lo stupro dei
rettilli era diventato un brutto
ricordo al quale pensava raramente,
ma i cui effetti si continuavano a
ripercuotere all’esterno. Smise di
prendere qualsiasi droga
psicoattiva, compresa l’MDMA , e
ridusse significativamente l’uso di
marijuana. Trovò lavoro in
un’erboristeria e andò a vivere con
la sua ragazza. Gli sarebbe potuta
andare molto peggio.
È facile, col senno di poi, collegare
l’esperienza negativa di contatto
con entità vissuta da Ken con la sua
tendenza a respingere gli aspetti
oscuri e ombrosi di se stesso. Le sue
difese psicologiche erano troppo
deboli per agire sotto la potente
influenza della molecola dello
spirito.
Sebbene le sessioni stupefacenti
con dosi elevate di DMT potessero
assumere tinte fosche e minacciose,
alcuni volontari fecero un lavoro
notevole per sfruttare
quell’esperienza a proprio
vantaggio. Ad esempio, Andrea ebbe
una reazione di terrore nel
momento in cui la molecola dello
spirito la portò verso un’esperienza
di pre-morte. Ad ogni modo, utilizzò
la sua iniziale paura come
catalizzatore di un’importante
lavoro su di sé.
Andrea aveva trentatré anni e
abitava a nord di Santa Fe con i due
figli e il marito. Erano entrambi
degli sviluppatori di software e
conoscevano piuttosto bene le
droghe psicoattive. Andrea aveva
preso psichedelici più di un
centinaio di volte e alcuni anni
prima aveva anche fatto uso di
grandi quantità di cocaina e
metanfetamine.
Da bambina Andrea iniziò a
sperimentare quelle che chiamiamo
“paralisi del sonno” e “allucinazioni
ipnagogiche”. Quando si stava per
addormentare, era incapace di
muoversi e aveva delle brevi,
terrificanti allucinazioni. Sua
madre, una fervente cattolica, le
diceva che era Satana che la
torturava e che avrebbe dovuto
pregare Gesù affinché la
proteggesse. Queste esperienze
terrificanti continuavano ancora
adesso, sebbene le capitassero
raramente.
Questa incapacità di immergersi
serenamente nel sonno la
preoccupava pensando al momento
in cui avrebbe preso la DMT al
Centro di Ricerca. Forse non
sarebbe riuscita a rilassarsi
completamente durante il rush
iniziale degli effetti. Pensava di
poter avere un’esperienza di pre-
morte con la DMT e si chiedeva se
sarebbe stata in grado di lasciare la
consapevolezza del proprio corpo.
Nonostante le sue preoccupazioni,
ad Andrea piacque la dose minima.
Riassunse quello che provò con
queste parole: «È stato divertente!»
Il giorno successivo iniziò
dicendo: «Stamattina, quando mi
sono alzata, ho provato un
momento di paura. Poi ho pensato
che siccome le cose erano andate
così bene ieri, allora lo stesso
sarebbe accaduto oggi».
Per qualche motivo avevo piazzato
il kit d’emergenza –Valium in caso
di panico e compresse di
nitroglicerina in caso di pressione
troppo elevata – accanto
all’apparecchio per la misurazione
della pressione. Non ricordavo di
averlo mai fatto prima.
Andrea tossì ancora prima che
giungessi a metà dell’iniezione di
DMT .
Sospirò profondamente una o due
volte mentre la soluzione salina
stava entrando.
Poi urlò: «No! No! No!»
Per tutto il minuto seguente
continuò a gridare: «No! No! No!»
Iniziò a tirar calci con le gambe e a
dimenarsi. Suo marito le appoggiò
la mano sulla gamba, dandole delle
leggere pacche e massaggiandola. Io
misi la mano sull’altro piede.
Al secondo minuto aveva smesso
di gridare e sospirava; sembrava che
si fosse calmata un po’.
Le dissi: «Brava, respira
semplicemente».
«Va bene».
Al quarto minuto notai che sotto
la mascherina si stavano formando
delle lacrime.
«Puoi piangere».
Cominciò a singhiozzare, andando
avanti per circa cinque minuti, poi
riprese a rilassarsi.
«Ho urlato?»
«Un paio di volte».
«Lo sapevo. Era difficile lasciarsi
andare».
«Ci sono parecchi sentimenti lì
dentro».
Rise in modo sommesso: «Mi
sono offerta volontaria per questo,
giusto?»
«Sì, ho il tuo consenso informato
a casa».
«Non sono mai uscita veramente
dal corpo. L’ho combattutto in ogni
modo possibile. Credevo di stare per
morire. Non volevo morire. Ero
spaventata. Mi sono resa conto di
avere un corpo per una ragione e
che avevo del lavoro da fare con
questo corpo».
A questo punto Andrea trasformò
la sua paura in sfida, anziché in una
sconfitta.
«Quando stavo nella fase di down,
non ero sicura di volerlo fare di
nuovo, ma ora ho cambiato idea.
Non credo che la prossima volta
sarà così spaventoso. Era la morte.
Mi sono vista in quel vuoto, nel
vuoto. C’era solo il buio, ed era
troppo. Non mi è mai successo
nulla del genere. Con l’LSD o i funghi
puoi creare le cose mentre sei
ancora all’interno del tuo corpo e ti
puoi muovere sia all’interno che
all’esterno di esso. Con questa
droga non hai scelta. Ero
completamente impreparata,
sorpresa e spaventata».
Quando tornai all’accettazione per
compilare la scheda di Andrea,
alcune infermiere del reparto mi
chiesero se andasse tutto bene.
Erano preoccupate dopo aver
sentito le urla provenienti dalla
stanza 531.
«Ha avuto una partenza tosta, ma
ora sta bene».
Dopo trenta minuti dall’inizio
della sessione Andrea si era ripresa
piuttosto bene e compilò la scala di
valutazione. Nel giro di un’ora stava
facendo colazione. È davvero
incredibile la velocità con cui la DMT
ci scaglia nell’abisso e poi ci fa
ritornare!
Quando parlammo al telefono il
giorno dopo, mi disse: «Ora ho
un’idea più precisa di quello che
voglio fare nella mia vita prima di
morire. Non sono ancora pronta a
lasciare questo mondo. All’inizio ci
siamo trasferiti nel New Mexico
affinché potessi studiare al college,
in particolare Scienze Motorie. Ma
mi sono scoraggiata e non ho
completato gli studi. La mia vita è
limitata, tuttavia, e se ho intenzione
di riprendere i corsi, è questo il
momento di farlo».
Andrea ritornò il mese seguente
per lo studio sulla tolleranza.
Prima di iniziare, la misi di fronte
alla sua paura. «Hai paura di
perdere conoscenza? Se è così, va
bene avere un black out. Puoi
semplicemente svenire. Non
preoccuparti. Potrai uscire di testa,
ma poi ritornerai, andrà tutto bene.
Oggi quattro dosi di DMT ti
sfiniranno. Speriamo che riuscirai a
lasciarti andare senza troppo dolore
e troppa paura».
«Mi preoccupa solo dove andrò.
Starò bene?»
Fece un breve urlo soffocato
quando la prima dose da 0.3 mg/kg
le venne iniettata. Ad ogni modo,
avendolo previsto, suo marito,
Laura e io rispondemmo con
prontezza mettendole le mani sulle
braccia e sulle gambe. Si calmò
rapidamente e durante la mattinata
ebbe modo di lavorare sul tema che
era emerso durante la sua prima
dose elevata: la paura della morte
legata alla paura di come vivere
appieno la sua vita.
Come nel caso di molti volontari
dello studio sulla tolleranza, Andrea
arrivò a una soluzione estatica del
suo stato d’ansia e di confusione nel
corso della sua quarta sessione.
Dopo diciotto minuti dall’inizio di
questa sessione disse: «È stato un
vero regalo, quest’ultima dose. Ero
così angosciata e addolorata per le
prime dosi, in particolare per la
terza, che ho pensato: “Oddio, ho
davvero intenzione di farlo di nuovo
con quest’ultima dose?” E mi sono
detta che sì, l’avrei ripetuto. Non mi
sarei mai arresa. E allora è stato
facile.
C’erano tutti questi esseri che
dicevano: “Bene, ricordi quando eri
giovane e piena di sogni e volevi
imparare le tecniche del lavoro
corporeo?” Non c’è ragione per cui
non possa farlo adesso».
Quando parlammo al telefono
qualche giorno dopo, mi disse: «Ti
sono davvero grata per
quest’esperienza. Volevo davvero
far piazza pulita di certe cose.84 Ha
cambiato la mia prospettiva. Mi ha
aiutato a rimettere a fuoco il mio
interesse per il lavoro di guarigione.
Ci sono così tante cose che voglio
fare.
Non provo alcuna sensazione del
tipo “va tutto bene”. Non c’era
alcuna luce bianca durante la mia
sessione. Ho ancora molto su cui
lavorare. Parte della gioia che ho
provato alla fine era una sensazione
di realizzazione».
Andrea avrebbe potuto continuare
a lottare contro quei sentimenti di
dolore e paura, peggiorando le cose.
Sapevamo che avrebbe potuto avere
delle difficoltà a lasciarsi andare,
dopo che ci aveva raccontato di
come la madre avesse paragonato i
suoi disturbi del sonno ad attacchi
demoniaci. Nonostante ciò, grazie al
nostro aiuto e a quello del marito,
continuò a confrontarsi con la sua
paura e trovò la tristezza e la
confusione che vi si celavano dietro.
Affrontando la sua ansia e le sue
paure, lasciando andare le
resistenze, ritornò con una più
chiara percezione di chi era, di ciò
che desiderava e dei piani per
realizzare i propri obiettivi.
Alcune delle sessioni di DMT più
terribili implicavano problemi reali
di vita e di morte legati alla
pressione sanguigna che saliva o
cadeva a livelli pericolosi. Nel caso
di Lucas, la pressione scese a livelli
allarmanti, mentre nel caso di
Kevin salirono a livelli
spaventosamente alti.
All’età di cinquantasei anni, Lucas
era uno dei nostri volontari più
anziani. Scrittore e imprenditore,
viveva in un lontano paese nel nord
del New Mexico, dove curava una
serra che conteneva ogni varietà di
piante esotiche dalle proprietà
psicoattive. Lucas sapeva esprimersi
bene, era intelligente e coraggioso.
Durante il monitoraggio con
l’elettrocardiogramma (ECG)
effettuato in ambulatorio risultò
che i suoi valori non erano
completamente nella norma. Il suo
battito cardiaco era piuttosto lento,
poco al di sotto dei 60 battiti al
minuto, e soffriva di quella che è
comunemente nota come “aritmia
sinusale”. Quando inspirava ed
espirava, il suo battito cardiaco
rallentava e accelerava in misura
maggiore rispetto a quanto avviene
nella maggior parte delle persone.
Mi consultai con il cardiologo, che
interpretò i dati dell’ECG come una
“variabile normale”, assicurandomi
che non c’era da preoccuparsi se
Lucas non mostrava sintomi o
segnali di disturbi cardiaci.
La dose minima di Lucas ci fece
pensare che il giorno successivo
avrebbe potuto avere una sessione
intensa. Come Rex, che era svenuto
mentre si apprestava a entrare
nell’alveare futuristico (si veda il
capitolo 14), anche Lucas riportò di
aver percepito una leggera
sensazione di oscillazione, dondolio
e vertigine: «È come se il letto
dondolasse dolcemente. Come
un’amaca che oscilla avanti e
indietro».
Una parte della sessione di Lucas
non in cieco con la dose elevata del
giorno successivo – quella in cui
arrivava in una stazione spaziale
accompagnato da diversi automi
umanoidi – è stata raccontata nel
capitolo 12. Vediamo adesso gli
aspetti più terrificanti di quella
mattinata.
Subito dopo aver terminato
l’iniezione, Lucas divenne pallido e
sospirò inquieto. Sollevò e distese
più volte le gambe, poi guardò
Cindy.
«Cristo! Non avevo idea di cosa
mi avrebbero fatto!»
Ebbe un conato di vomito. Mi
guardai attorno. Non c’era nessun
recipiente in cui poter vomitare.
Cindy mi indicò una vestaglia
appallottolata. Era tutto quello che
avevamo e gliela diedi. Lucas la
prese tra le mani e la osservò come
se non capisse cosa fosse.
«Mmh?» mugugnò.
«Usalo» suggerii.
Ebbe un altro conato, ma non
vomitò nulla.
«Cristo!»
Mentre tentava di vomitare nella
vestaglia, iniziò a scivolare giù dal
letto a testa in avanti. Mi alzai,
raggiunsi Cindy al lato del letto e la
aiutai a tirarlo indietro. Teneva la
vestaglia premuta contro il suo viso.
Al quinto minuto la sua pressione
scese da 108/71 a 81/55, mentre le
pulsazioni passarono da 92 a 45.
Era pallido, in effetti stava
diventando livido. Reggendosi la
testa e tremando, stava per avere un
collasso.
Dopo due minuti il battito
segnava 47 e la pressione 87/49.
Cercammo di sistemare il letto –
per sollevargli i piedi e abbassargli
la testa – in modo da aumentare
l’afflusso di sangue nel cervello.
Nella confusione era infatti
impossibile azionare i comandi del
letto. Dovevo chiamare la squadra
di rianimazione per le emergenze
cardiache? Oppure procurarmi dei
farmaci per far aumentare la
pressione? La DMT produce forti
aumenti di pressione e temevo che
se la sua circolazione si fosse
ristabilita da sola e gli avessimo
somministrato una dose
consistente di adrenalina per far
fronte al collasso, avremmo potuto
esagerare e causargli un ictus per la
pressione troppo alta.
«Stai andando bene» gli dissi.
«Fa’ qualche respiro profondo e
concentrati sul tuo respiro».
Sembrava stordito e in cattive
condizioni.
I suoi parametri vitali si
ristabilirono da soli nel giro dei
successivi due minuti. Al
dodicesimo minuto, la sua
pressione si attestò sui 102/78
mentre il battito era di 73.
Al quindicesimo minuto iniziò a
descrivere il suo ingresso nella
stazione spaziale. Terrificante fu ciò
che vide dopo aver aperto gli occhi:
«Ho guardato Cindy ed era
incredibilmente truccata da clown.
Non era divertente, era malevola.
Avevo paura di guardarla. In realtà
non ti conosco per niente, Cindy,
ma sembri davvero una brava
persona. Era la droga. Di te, Rick,
ho avuto solamente un flash: avevi
una faccia che sembrava di acciaio
inossidabile, con accenni di
protuberanze e mammelle. Cindy
era abbastanza cattiva. Non potevo
guardarti direttamente: ciò avrebbe
pregiudicato per sempre il tuo
modo di trattare i pazienti».
Iniziò a rilassarsi e proseguì
raccontando concitatamente il suo
viaggio nello spazio. Facevo fatica a
prestare attenzione, pensando a
quanto vicini al disastro fossimo
arrivati.
Il suo furgone si ruppe durante il
viaggio di ritorno a casa. La moglie
lo andò a prendere e gli raccontò dei
raccapriccianti ricordi di incesto
infantile emersi in terapia. Altre
due notizie li attendevano appena
giunti a casa: un loro amico si era
suicidato sparandosi un colpo alla
testa e un altro stava rapidamente
morendo di cancro.
Quando ne parlammo il giorno
successivo, Lucas si domandò:
«Cosa è reale? Cosa non lo è? Era
come se un macigno, non un
sassolino, fosse stato gettato in uno
stagno e il suo eco si fosse sentito
ovunque. L’uomo che si è suicidato
lo ha fatto proprio mentre stavo
prendendo la DMT , il che mi fa
pensare a una sincronicità di un
qualche tipo».
Non avevo altra scelta che dirgli:
«Sto pensando che sarebbe più
sicuro per te abbandonare lo studio.
Sei un elemento prezioso nella
ricerca, ma non potrei sopportare
che ti danneggiasse fisicamente».
Lucas protestò debolmente, ma
comprese la mia decisione. Gli
eventi di quella giornata lo avevano
scosso seriamente. Mi chiese di
andarlo a trovare, così verso la fine
di quella settimana andai a casa sua
e trascorsi una giornata con lui: si
trattava della prima e unica visita a
domicilio che feci nel corso dello
studio sulla DMT . Ripercorremmo la
sua sessione, quello che era
accaduto e come si sentiva al
riguardo. Verso la fine del
pomeriggio era riuscito, in qualche
modo, a ritrovare il proprio
equilibrio. Nel giro di qualche
giorno tornò a sentirsi bene e
riprese la sua normale routine.
Prese parte a quasi ogni evento
organizzato dopo la fine dello studio
nel corso degli anni successivi e
giunse a riconsiderare in maniera
positiva la sua esperienza con la
DMT .
Kevin aveva trentanove anni ed
era sposato con Sara, della cui storia
abbiamo parlato nel capitolo 14. Era
un individuo piuttosto serio, e nella
sua carriera di matematico aveva
trovato una certa prevedibilità che
gli si adattava. Aveva fatto uso di
psichedelici circa duecento volte e li
trovava «utili per una crescita
emotiva e spirituale».
Kevin era un uomo grande e
grosso, una di quelle persone il cui
corpo sembra svolgere un ruolo di
protezione dal mondo esterno.
Aveva un’ironia tagliente e una luce
negli occhi, ma sembrava impiegare
parecchia energia per tenere a bada
certe paure, per esempio
mostrandosi iper-razionale ed
eccessivamente loquace.
Anche Kevin passò a malapena i
test di valutazione delle funzioni
cardiache. La sua pressione era
appena al di sotto del limite
consentito, e il suo ECG mostrò
alcune anomalie “non ben definite”,
che però non indicavano particolari
problemi di cuore. Mostrando una
straordinaria determinazione per
entrare a far parte dello studio sulla
tolleranza, iniziò a fare un regolare
esercizio fisico, calò di una decina di
chili e smise di bere caffè. Fece una
visita a pagamento con un
cardiologo privato e si sottopose a
un test su tapis roulant, ottenendo
in entrambi i casi un certificato di
buona salute.
La sua sessione con la dose
minima non diede problemi, ma ero
preoccupato per il suo
atteggiamento.
Al secondo minuto dopo la sua
piccola dose, disse: «Allora quando
comincia? O è tutto qui? Oh, adesso
sento degli effetti fisici: il mio cuore
sta accelerando il battito e il
bracciale per la pressione lo sento
strano».
Appariva troppo sprezzante.
Volevo scuoterlo per prepararlo al
grande trip del giorno dopo. A
maggior ragione dopo avermi detto
che quella sera sarebbe andato con
la moglie e degli amici a mangiare
una grande pizza a base di carne e
formaggio e a bere birra!
Lo misi in guardia: «Mi preparerei
per domani come se stessi andando
a morire. Sii preparato per questo.
Assumi un atteggiamento di timore
e allo stesso tempo di fede. È questo
il modo in cui io stesso mi preparo
per le sessioni. Ti consiglio un pasto
più leggero. Cerca di essere
clemente con te stesso stasera e
domani».
Il giorno seguente sembrava
nervoso mentre era disteso sul
letto. Sara gli sedeva vicino, ai piedi
del letto, pronta ad assisterlo.
«Sono preoccupato per la
pressione» disse.
«Anche noi, ma dovrebbe andare
tutto bene. Abbiamo già avuto casi
in cui la pressione è salita molto,
ma si sono risolti in breve tempo».
Il suo respiro accelerò dopo
l’iniezione, ma restò immobile. La
sua pressione massima, quella
sistolica, subì un’impennata e
raggiunse i 208 alla rilevazione del
secondo minuto. Un allarme sulla
macchina per la pressione, di cui
non conoscevo l’esistenza, iniziò a
suonare in modo acuto. Laura non
riuscì a localizzare l’interruttore,
così spense tutta l’apparecchiatura.
Le passai un’annotazione in cui
avevo scritto: «Falla ripartire al
quarto minuto».
Vediamo ora le note che Kevin
mandò alcuni giorni dopo a
proposito di quanto era accaduto:
«Sento un formicolio nel corpo.
Una strana sensazione, come se
venissi sollevato. Vedo dei colori
che vengono verso di me nel buio.
Poi vedo una luce, una griglia di
cellule, simile a come appare la
pelle al microscopio, con una luce
bianca dietro. Tutt’a un tratto al
mio lato destro vedo una figura.
Sembra una dea africana della
guerra: è nera, ha una lancia, uno
scudo e sembra avere una maschera
sul viso. L’ho colta di sorpresa.
Assume una posizione di difesa.
Dice in tono aggressivo: “Osi venire
qui?” Io rispondo mentalmente:
“Credo di sì”.
La scena davanti a me esplode in
un modo che posso solamente
paragonare alla serie televisiva Star
Trek, nel momento in cui le
navicelle spaziali sfrecciano oltre la
velocità della luce. Sento una
terribile spinta nel petto. Il mio
cuore sta battendo all’impazzata.
Sento un flusso attraversarmi il
corpo e penso: “Ci siamo. Rick e
Laura mi hanno ucciso”. Poi il mio
subconscio o qualcuno mi ha detto:
“Stai morendo, non morire”.
Lontano sento quello che sembra
una specie di allarme. Credo che
qualcosa sia andato davvero storto.
Penso a Sara e al mio bambino.
Combatto. Non ho intenzione di
morire. Mi sento come se mi fossi
tuffato da un trampolino di dieci
metri, colpisco l’acqua e mi trovo
sul fondo della piscina. Nuoto per
risalire in superficie.
Gli effetti stanno per svanire.
Sono ipersensibile alle persone
nella stanza. Riesco a sentire il loro
respiro e i loro movimenti. Sento la
loro tensione».
I miei appunti indicano che al
terzo minuto Kevin disse: «Sono
ancora qui».
«Bene».
La rilevazione della sua pressione
sistolica del quinto minuto era
scesa solo di due punti, si attestava
sui 206, poi l’allarme scattò di
nuovo. Sara sembrava preoccupata,
mentre Laura si rivolse a me con
fare interrogativo. La situazione
iniziò a diventare caotica.
«È un allarme quello?»
«Non è nulla, la tua pressione sta
scendendo un po’».
«È stato incredibile!»
I miei appunti riportano che non
appena Kevin iniziò a parlare, si
sfregò la nuca.
La sua pressione continuava a
scendere lentamente.
«Ho un po’ di mal di testa, alla
base del collo» disse.
Il suo mal di testa derivava
probabilmente dallo stiramento
delle arterie che permettono
l’espansione del cervello, le quali
fortunatamente non subirono
lacerazioni a seguito del forte
aumento di pressione.
Poi Kevin aggiunse: «Sarebbe
interessante vedere se la guerriera
nera comparirà di nuovo nelle
prossime sessioni. Magari la
prossima volta non sarà presa alla
sprovvista».
«Le prossime sessioni?» pensai.
La pressione di Kevin tornò ai
valori normali dopo trenta minuti.
Era stanco, ma stava bene. Sapevo
di aver evitato una collisione con
qualcosa di veramente pericoloso.
Più tardi gli parlai nel mio ufficio.
Sembrava allegro e determinato a
continuare lo studio.
«Ho vissuto molte esperienze
psichedeliche nella mia vita» mi
disse, «ma nulla che possa essere
paragonato o che mi abbia potuto
preparare a quello che mi è
successo oggi. Sento di essere
ritornato come una persona diversa.
Ho capito che ci sono molti più
mondi oltre a quello in cui viviamo.
Anche se è stato spaventoso, non
vedo l’ora di farlo di nuovo. La
prossima volta voglio lasciarmi
andare e vedere dove andrò e cosa
sperimenterò. Voglio saperne di più
degli spazi che ho visitato».
Laura e io acconsentimmo allora
ad ammetterlo per le quattro dosi
da 0.3 mg/kg nello studio sulla
tolleranza. Sebbene fosse un
dosaggio di poco inferiore alla dose
massima da 0.4 mg/kg,
continuavamo a chiederci: «E se gli
prende un ictus?» La risposta
ovviamente fu che non potevamo
correre questo rischio.
Kevin rimase deluso, ma noi
tentammo di lavorare il più
possibile con quello che aveva
vissuto.
«Hai molto su cui meditare» gli
dissi. «Hai fatto esperienza di una
dose elevata di DMT , qualcosa che
hanno fatto in pochi. Probabilmente
mi sarei dovuto attenere
scrupolosamente alle regole sin
dall’inizio, quando
l’elettrocardiogramma ha indicato
quei valori anomali».
Tornando a casa attraverso le
montagne alla fine di quella
giornata, mi domandai come mi
sarebbero sembrati i segnali stradali
che avevo incrociato sull’autostrada
se Kevin fosse morto. Esausto,
cenai senza averne voglia e andai
direttamente a letto.
Un monitoraggio e una
preparazione efficaci erano la
chiave per mantenere poco
frequenti gli effetti avversi che
potevano manifestarsi nei volontari.
Sebbene la percentuale degli effetti
negativi avrebbe potuto essere
ancora minore con uno screening
migliore, è difficile capire come
avremmo potuto migliorare i nostri
metodi. Ripensandoci, una cosa che
avrei potuto fare sarebbe stato di
fidarmi di più della mia intuizione
circa l’idoneità psicologica di alcuni
volontari e la salute del loro sistema
cardiovascolare.
Forse le nostre dosi di DMT erano
troppo alte. Ci trovavamo sul filo
del rasoio: una dose troppo bassa
non avrebbe permesso di
raggiungere la soglia psichedelica,
ma una dose troppo alta, come nel
caso di Philip (descritto nella
prefazione), era pericolosa. Col
senno di poi, la dose da 0.3 mg/kg
avrebbe potuto essere una dose
massima più adatta. Nessuno la
sperimentò come “sub-
psichedelica”. Avevamo però scelto
la dose da 0.4 mg/kg sulla base di
considerazioni mediche e alla luce
degli scopi della nostra ricerca.
Nonostante ciò, tale dose elevata di
DMT avrebbe potuto compromettere
la sicurezza e il benessere di quella
minoranza di volontari che persero
l’orientamento, lottarono
strenuamente per ritrovarlo e
furono traumatizzati nel corso del
loro viaggio.
Detto questo, resta il fatto che la
molecola dello spirito non ci
conduce sempre verso l’amore e la
luce. Può anche aprirci gli occhi su
realtà sconcertanti e segnarci con
quelle esperienze più a lungo di
quanto possano fare le esperienze
estatiche. La DMT è una droga
potenzialmente pericolosa. Per
questo motivo, occorre riflettere
bene e a lungo prima di utilizzarla
su noi stessi o sugli altri.

80. Potrebbe trattarsi solo di una mancanza di


queste considerazioni dietro ai recenti resoconti
sulle reazioni avverse nella ricerca sull’uomo con
la ketamina. Si veda Anna Nidecker, Alleged
Abuses Accelerate Reform, in «Clinical
Psychiatry News», n. 26, 1998, p.1. In pratica,
gli scienziati sapevano cosa stavano facendo?
Avevano fatto uso loro stessi della ketamina?
Quanto attentamente controllavano il setting
nel quale i loro volontari ricevevano la
ketamina? Che atteggiamenti assumevano e che
risposte davano quando si trovavano di fronte
allo stato indotto dalla ketamina? Certamente,
bisogna prendere in considerazione solo queste
variabili leggendo i resoconti di effetti negativi
durante la prima ondata di ricerca psihcedelica
sull’uomo tra gli anni ’50 e ’60.

81. F. Kajtor and Stephen Szára,


Electroencephalographic Changes Induced by
Dimethyl-tryptamine in Normal Adults, in
«Confinia Neurologica», n. 19, 1959, pp. 52-61.

82. A. Sai-Halasz, G. Brunecker e S. Szára,


Dimethyltryptamin: Ein Neues Psychoticum,
cit.

83. In tempi più recenti, Doblin ha portato alla


luce un tipo di reazione negativa alla psilocibina
nel noto studio Good Friday. L’articolo originale
del 1966 (Walter N. Pahnke and William A.
Richards, Implications of LSD and Experimental
Mysticism, in «Journal of Religion and Health»,
n. 5, 1966, pp. 175208) dà una descrizione delle
esperienze spirituali generate dalla psilocibina
sugli studenti della Harvard Divinity School.
Tuttavia, non si fece menzione di quel ragazzo
andato fuori di testa che i membri del team di
ricerca inseguirono per il campus, bloccarono a
una porta e tranquillizzarono con un’iniezione di
un farmaco antipsicotico! Si veda Rick Doblin,
The Good Friday Experiment: A Twenty-Five
Year Follow-Up and Methodological Critique, in
«Journal of Transpersonal Psychology», n. 23,
1991, pp. 128.

84. Vedi la nota 1 del capitolo 11.


PARTE V

INTERRUZIONE
Capitolo 18
E QUINDI?

I nostri volontari hanno vissuto


indubbiamente alcune delle più
intense, insolite e sorprendenti
esperienze della loro vita durante la
ricerca sulla DMT . La molecola dello
spirito li ha trascinati, spinti,
trainati, sospinti dentro se stessi,
all’esterno dei loro corpi, attraverso
diversi livelli di realtà. Abbiamo
letto di ogni sorta di sessione, molte
delle quali sembravano aiutare le
persone a capire meglio il rapporto
che avevano con loro stesse e con il
mondo che le circondava. Ci siamo
accorti anche del prezzo che alcune
esperienze hanno fatto pagare alle
nostre reclute.
Ne è valsa la pena? Tutti quelli
che hanno contribuito alla nostra
ricerca si sono sentiti meglio
nell’averne preso parte? Si sono
sottoposti a qualche cambiamento
produttivo nelle loro vite? C’era
stato qualcosa che li abbia
completamente appagati? In altre
parole: «E quindi?»
La risposta che vi darò a queste
domande è: «Dipende». Dipende
dalla concezione che abbiamo di
“beneficio”. I sottili cambiamenti
del modo di fare, di prospettiva e
creatività sono valide motivazioni
per assumersi tutti i rischi di cui
abbiamo parlato? O abbiamo
bisogno di un segno ancora più
visibile per capire che è accaduto
qualcosa di favorevole? In cosa
dovrebbe consistere questa prova?
E se il risultato non è stato
soddisfacente, per quale motivo non
lo è stato? La colpa risiede nel set o
nel setting?
Prima di iniziare lo studio, mi
aspettavo che le persone
sperimentassero delle profonde
esperienze psichedeliche. Tuttavia,
sappiamo bene quanto fugaci
possano essere la maggior parte di
queste intuizioni, comprensioni e
prese di coscienza. Speravo che in
un ambiente ospedaliero più sicuro,
coerente e affidabile i nostri
volontari sarebbero stati in grado di
addentrarsi più in profondità e più
lontano all’interno dell’esperienza
psichedelica rispetto a quanto
avessero mai fatto in precedenza.
Probabilmente, date quelle
circostanze, gli effetti sarebbero
durati molto più a lungo.
Cosa potrebbe testimoniare un
coinvolgimento totale che mettesse
in pratica idee, percezioni,
sensazioni alle quali viene dato
accesso grazie alla molecola dello
spirito? Un cambiamento
lavorativo; iniziare la psicoterapia;
cominciare a meditare
regolarmente, all’interno o al di
fuori di una disciplina spirituale
istituzionalizzata; degli sforzi
coordinati per modificare il proprio
stile di vita, come ad esempio fare
maggiore attività fisica, migliorare il
tipo di dieta o smettere di fare uso
di droghe potenzialmente dannose e
di alcol; spendere tempo e denaro
per aiutare organizzazioni di
beneficenza e umanitarie. In altre
parole, le esperienze di
illuminazione erano causa di un
comportamento più illuminato?
Quando i volontari venivano per
la loro ultima sessione di qualsiasi
particolare esperimento, gli
chiedevo come avevano vissuto la
propria partecipazione. «Cosa ti è
rimasto dell’adesione a questo
progetto?» Così cominciavo questo
tipo di conversazioni.
Si trattava di una valutazione
relativamente a breve termine di
qualsiasi tipo di beneficio, dato che
la durata degli esperimenti andava
dai tre ai sei mesi. In tale contesto,
la maggior parte di loro credeva di
essere in qualche modo cresciuta,
soprattutto dopo gli incontri a dosi
elevate con la molecola dello
spirito. Si trattava di impressioni
informali e casuali ottenute nella
stanza 531, dove la gestione delle
sessioni e il raccoglimento dei dati
si contendevano la nostra
attenzione.
Raccogliemmo inoltre alcuni dati
riepilogativi che avevano un
riscontro a lungo termine dal primo
gruppo di volontari. Laura contattò i
soggetti che avevano partecipato
allo studio originario sulla reazione
alla dose e organizzò delle interviste
da condurre di persona o per
telefono. Quando lasciai il New
Mexico, avevamo completato solo
undici di questi colloqui formali
riepilogativi. Quelli degli altri
cinquanta volontari sono di
indiscutibile importanza, e spero
davvero di avere l’opportunità di
completarli in futuro.
Abbiamo letto dell’esperienza
spirituale di Sean nel corso dello
studio sulla tolleranza. Un giorno,
quando ricevette il placebo durante
l’esperimento con la ciproeptadina,
avemmo il tempo di parlare di altre
cose oltre che della sua risposta
immediata alla DMT .
Dopo avergli fatto qualche
domanda sui risultati generali della
sua partecipazione alla ricerca, ci
pensò su un minuto e disse: «
Sembra che tu possa creare un
mondo tutto tuo, in un certo senso.
È sorprendente quello che può fare
la mente!»
«Stai parlando della straordinaria
esperienza avuta durante il progetto
sulla tolleranza?»
«Sì» disse. «Io la considero
un’esperienza spirituale. L’altro
giorno ho portato mia madre in
chiesa. C’era una cerimonia che
aveva a che fare con la Pasqua:
Paolo sulla via di Damasco. Dopo
aver incontrato Cristo rimase cieco
per tre giorni. Penso che sia un po’
quello che è successo a me. Non
riesco però esattamente a capire in
che modo abbia influito sulla mia
vita. Credo che una parte di questo
abbia avuto qualche funzione
ognuna delle tre volte.
Probabilmente, molto di tutto ciò
ha influito nei cambiamenti
avvenuti nella mia vita. Adesso
riesco a gestire meglio la mia vita.
Mi sento libero di fare nuove
esperienze, e poi le faccio per
davvero».
Mike era un ragazzo di trent’anni,
laureato, le cui sessioni erano state
positive ma gli avevano sempre
provocato un po’ d’ansia. Non era
sicuro di ricordarsi completamente
la sua prima sessione da 0.4 mg/kg,
e non gli piaceva perdere
l’orientamento. Ricevette il placebo
l’ultimo giorno dello studio sulla
reazione alla dose, e gli chiesi che
cosa gli era rimasto dal tempo
trascorso nella nostra ricerca.
«A volte ci penso» rispose.
«Adesso, quando leggo, sono ancora
più interessato alle zone periferiche
di me stesso. Quando in gioventù
feci uso di LSD, mi aprì la mente su
altre possibilità di cui altrimenti
non sarei stato consapevole. Anche
la DMT potrebbe averlo fatto. Prima
della ricerca facevo troppa fatica.
Adesso sto guardando altre cose.
Non riesco a pensare a nient’altro
che mi avrebbe potuto volgere verso
quella direzione».
Ciononostante, due anni dopo il
suo entusiasmo era calato: «È stata
un’esperienza all’interno della
quale mi sono sentito infilato e
conficcato, e in cui il mio cervello è
stato bombardato dai farmaci; non
proprio un’esperienza che ti cambia
la vita. Ogni mese o due scorrono
nella mia mente dei pensieri
inerenti alla dose elevata.
Comunque il mio risultato non è
stato un cambiamento. Mi ha
solamente ricordato che quando a
vent’anni facevo uso di droghe ero
più spensierato e avevo più tempo
per me».
Abbiamo visto le esperienze di
pre-morte di Willow nel capitolo 15.
Dopo una piccola dose di DMT , si
mise a riflettere sulla sua vita dal
momento in cui era entrata a far
parte dello studio: «La DMT mi ha
fatto capire cosa si intende per
transizione, per cambiamento, per
morte. Recentemente, dopo la
morte di mio suocero, ho capito che
molto dipendeva dalla concezione
che avevo della morte. Anziché
essere scomparso, era solamente in
una fase di transizione.
La DMT ha a che fare con la morte
e con il morire. Infatti ho vissuto
un’esperienza di pre-morte. Non si
tratta della morte come uno stato di
vuoto, anzi, è uno stato di pienezza.
Mi è piaciuto per davvero. Non ho
più paura della morte. Non ho
bisogno di aspettare di morire per
tranquillizzarmi e capire cosa si
prova in quel momento. Al
contrario, sono più accogliente e
serena nei confronti della vita».
Tyrone era quel volontario che
durante lo studio sulla reazione alla
dose si ritrovò nell’ “appartamento
organico del futuro”. Un giorno in
cui ricevette del placebo siamo
riusciti a riflettere sulla sua
partecipazione.
«Forse mi ubriaco di meno»
ammise. «Mi servono ancora una o
due birre la sera per andare un po’
fuori, ma non ne bevo quasi più
cinque tutte in una botta, come
facevo il sabato o il venerdì sera. Le
cose sono più o meno rimaste
uguali. La mia ragazza vuole che ci
sposiamo. Io non sono mai stato
sposato, è una decisione
importante. Sto pensando a
sistemarmi per sempre. Non so,
forse tutto questo è frutto dello
studio o del punto in cui mi trovo in
questa fase della mia vita. È
probabile che mi abbia aiutato un
po’, ma non in maniera così
significativa».
Due anni dopo, sottolineò: «Ho
fatto delle riflessioni profonde
allora, ma non le ho
conseguentemente portate a
compimento. Comunque era bello
pensarci. Ma non ci ho pensato
molto negli ultimi tre o quattro
mesi.
In generale penso di stare meglio,
ma non credo che questo sia dovuto
alla DMT . Ho attraversato un
trasloco importante e un
cambiamento nel mio lavoro dopo
la partecipazione allo studio, anche
se questo era già nei piani. In
sostanza non ci sono stati
cambiamenti che posso attribuire
esclusivamente alle esperienze con
la DMT ».
Stan, della cui esperienza
terapeutica abbiamo letto nel
capitolo 11, ha descritto alcuni
possibili effetti della sua
esposizione alla DMT sulla sua
susseguente accresciuta sensibilità
ai funghi allucinogeni. Ne
parlammo verso la fine della sua
sessione con la dose minima in
doppio cieco durante lo studio sulla
reazione alla dose.
«Da quando sono nella ricerca ho
preso i funghi due volte» disse Stan,
«e non ho mai viaggiato così tanto
con gli psichedelici prima d’ora. Mi
sono proiettato nella luce bianca e
non ne sono più uscito. In
precedenza, la scelta di rimanerci o
tornare indietro non sembrava
dipendesse da me. Ho visto come la
luce bianca sia tutto quello che c’è,
e che questo mondo è solo ombre e
giochi di luce».
«Che mi dici di qualche
cambiamento emozionale
positivo?»
«Può darsi che ci sia stata
un’apertura dei canali psichici»
rispose, «ma i trip erano per lo più
privi di contenuto e di intuizioni.
Forse adesso sono diventato un po’
più empatico, in sintonia, ricettivo.
Se così fosse, si tratta di un
cambiamento molto lieve. Ma non è
dovuto alla DMT . Se guardo agli
ultimi due mesi, mi accorgo che ci
sono stati dei cambiamenti, ma le
esperienze con la DMT non ne sono
la causa diretta».
Continuammo a seguire Stan
dopo la fine dei test sulla tolleranza.
Il suo atteggiamento piuttosto
reticente circa l’impatto con le
sessioni con la DMT non era
cambiato: «Forse è cambiata la
concezione che ho di me stesso.
Fare un viaggio del genere ti può
portare a sentirti meglio con te
stesso. Ad ogni modo, può prendere
qualsiasi direzione. Non ci sono
comunque state intuizioni, né
spirituali né psicologiche. In ogni
caso, ha davvero avuto un effetto
catartico che ha posto le basi per
qualcos’altro».
Nel capitolo 12, Mondi invisibili, e
nel capitolo 13, Contatto attraverso
il velo: 1, ho descritto una parte di
quello che accadde ad Aaron. Un
giorno, durante lo studio sul
pindololo, gli fu somministrato del
placebo, ed ebbe occasione di
riflettere su ciò che era avvenuto
nella sua vita per mezzo della DMT .
«Gli effetti a lungo termine sono
molto interessanti. La DMT mi porta
in un altro stato. Non alterato in sé
per sé, ma decisamente più aperto
alla sincronicità, alla magia e alle
opportunità che sono dietro
l’angolo».
Durante lo studio di
monitoraggio, Aaron disse: «La DMT
mi ha scrollato un po’ di cose di
dosso con la sua incontenibilità.
Adesso sento di avere più controllo
sulla mia realtà lasciandola scorrere
liberamente; è un paradosso. Ho
visto che l’esperienza con la DMT ha
intensificato abilità verbali, visuali e
musicali. Complessivamente, la DMT
mi ha mostrato un altro livello o un
altro sistema che avevo bisogno di
vedere. Nulla di quello che pensavo
o percepivo ha influito sul controllo
delle sessioni. Ho conosciuto i
benefici di quando si perde il
controllo».
Anche Sara, che durante lo studio
sulla tolleranza ebbe un’esperienza
piuttosto complessa di contatto con
entità non materiali, partecipò allo
studio sul pindololo. Nell’ultima di
quelle quattro sessioni abbiamo
potuto fare il punto sulla sua
partecipazione alla ricerca.
«Le cose si sono espanse. Ora
sono consapevole dell’esistenza di
altri mondi che non fanno parte di
questa realtà. Sento di avere un
ricordo di quelle entità. La mia
esperienza con loro è stata così
reale che non è svanita col tempo,
come succede con le altre cose. Loro
vogliono farci tornare indietro,
vogliono darci insegnamenti e
giocare con noi. Io voglio tornare
indietro e imparare! Quanto vorrei
che non controllassi chi prende la
DMT !»
Prima che Rex si sottoponesse alla
sua sconvolgente sessione da 0.2
mg/kg di DMT con l’aggiunta del
pindololo (descritta nel capitolo 14,
Contatto attraverso il velo: 2),
aveva ricevuto una dose inferiore di
DMT con il pindololo. Conclusa
quest’ultima sessione, gli chiesi
come si sentisse riguardo la sua
partecipazione.
«I miei impulsi creativi sono
aumentati» rispose, «e ho scritto di
più. Per quanto caotiche, le sessioni
con la DMT mi hanno aiutato a
essere più bilanciato. Averle
sperimentate mi ha dato un senso
di forza in me stesso molto più
grande.
Ho scritto alcune poesie sull’Altro.
Ne avevo già scritte molte prima,
ma ce ne sono anche altre che ho
scritto subito dopo aver iniziato lo
studio. La DMT mi ha messo faccia a
faccia con alcuni aspetti del mio
subconscio che pensavo non
esistessero nemmeno, come la mia
paura di morire».
Abbiamo letto dell’esperienza
traumatica di Ken, violentato dai
coccodrilli. Alcuni mesi dopo, lo
chiamai per vedere come gli
andavano le cose. Dalla voce mi
sembrò inaspettatamente filosofico:
«Ha cambiato per davvero ciò che
provavo verso la morte. Non ne ho
più paura come ne avevo prima. Ha
cambiato realmente anche il mio
modo di considerare la vita:
fondamentalmente le cose non
sono quello che sembrano. C’è stata
un’indiscutibile distruzione di
aspettative.
Anche la mia follia mi spaventa
meno. C’è questo senso di colpa
ebraico nel sentirmi bene ed essere
normale, adesso però mi sento
meno propenso a essere così. Non
sono interessato a persone o a
situazioni sociali di circostanza che
per me non significano niente. Le
amicizie che si sono rivelate poco
importanti stanno svanendo piano
piano».
Di Frederick invece non abbiamo
ancora sentito parlare; le sue
esperienze con la DMT non furono
particolarmente degne di nota al di
là degli effetti “tipici” di una dose da
0.4 mg/kg. Ad ogni modo, una
mattina, dopo aver ricevuto una
piccola dose della molecola dello
spirito, ci disse di come gli effetti
della DMT si fossero dispiegati nel
tempo: «In generale, adesso sono
più rilassato dopo quella dose da
0.4. È come se mi fossi tolto dei
blocchi energetici. Tutta la forza che
ho riversato in due anni di duro
lavoro è difficile da smaltire.
Quando stavano per svanire gli
effetti della dose massima, ho
sentito quanto l’energia fosse
bloccata dalle paure e come
controllasse le cose. Non c’è stato
niente di particolare, se non una
maggiore lucidità e consapevolezza
della mia condizione. Ora penso di
meno agli obiettivi. Se le cose non si
compiono in questo momento,
prima o poi lo faranno».
Gabe, il fisico di cui abbiamo già
letto l’esperienza di contatto con
altri esseri all’interno di una
nursery, ha descritto alcune
ripercussioni positive in seguito al
suo incontro con la molecola dello
spirito. Questa conversazione si è
svolta la mattina in cui ha ricevuto
quattro infusioni saline nel corso
dello studio sulla tolleranza.
«L’aver partecipato allo studio mi
ha dato una sensazione totalizzante
di pace. È un mondo
completamente diverso da quello in
cui ti conducono gli altri
psichedelici, presi anch’essi a dosi
elevate. Riesco ad accedere a cose
profonde che si trovano all’interno
della psiche. È proprio là, è come lo
schermo del cinema. È di fronte a
te. Con l’LSD non è un film come lo è
con la DMT . Per le due o tre
settimane che hanno fatto seguito
allo studio sulla tolleranza ero
molto più presente con le persone
che lavorano con me. Io ero super-
presente».
L’overdose di Philip con la dose da
0.6 mg/kg di DMT si era verificata
durante la fase iniziale dello studio,
quando ci stavamo occupando di
stabilire le dosi esatte di DMT
“massima” e “minima” da
somministrare nelle sessioni. Nei
mesi successivi continuò ad
accusare dei leggeri sintomi di
panico ogni volta che si trovava in
situazioni insolite e incerte.
Ciononostante, ci lavorò sopra e alla
fine riuscì a trovare la sua strada
attraverso lo studio sulla reazione
alla dose.
Nella sua intervista di
monitoraggio con Laura, Philip
affermò: «Adesso ho una
sensazione più tangibile della
coscienza divina e cosmica, unita a
un senso alterato del mio io nel
rapporto con gli altri. C’è un senso
di connessione molto più forte con
tutto quello che è intorno a me. Mi
sento molto più integrato. La mia
divinità personale non è più così
astratta. Pensare e percepire si
sovrappongono di più adesso».
Nonostante anch’egli credesse che
ciò avesse modificato la sua
capacità di farsi coinvolgere nella
psicoterapia dei suoi pazienti, non
riusciva a credere che ciò fosse
palese anche per gli altri. Philip
aveva ridotto l’utilizzo di
psichedelici da quando era entrato
nello studio sulla DMT . Ora ne faceva
uso ogni due-tre mesi, anziché più
volte al mese, e lo faceva con più
cautela e nel contesto di un gruppo
di sostegno. Non era sicuro di
quanto ciò fosse il risultato di altri
cambiamenti avvenuti nella sua vita
– il trasloco e il divorzio – e quanto
invece derivasse dalle sue
esperienze con la DMT .
Don era un uomo di trentasei
anni, faceva il cameriere e lo
scrittore. Le sue sessioni
transpersonali con alti dosaggi di
DMT avevano talmente destabilizzato
la sua visione del mondo da farlo
smettere di scrivere per la prima
volta dopo anni. Al contrario di
Elena, quando Don si trovò faccia a
faccia con l’immensa e
impenetrabile natura della fonte di
tutta l’esistenza, cadde nella
disperazione. Mentre Elena era
stata immersa nel misticismo
orientale, Don era stato educato
nella fede cattolica, che continuava
a professare. Elena aveva visto
l’amore sottostante al vuoto
“impersonale”. Don, al contrario, si
sentì scioccato, impietrito e tradito
dall’assenza di un Dio personale o
di un Salvatore che stesse al fondo
d’ogni cosa. La DMT aveva demolito
le sue fondamenta spirituali e
filosofiche, e si era ritrovato
incapace di trovare qualcosa per
sostituirle.
Quando gli proposi di partecipare
agli studi successivi aveva rifiutato;
nonostante questo, mi tenne
comunque aggiornato. Si sentiva
piuttosto bene. «Le cose ora vanno
meglio di come andassero prima di
iniziare lo studio» mi disse. «Nutro
più entusiasmo per la vita, visto che
per me si è trattato di un’esperienza
di morte. Ho ripreso a scrivere e ho
trovato un amico che mi dà una
mano part-time. C’è qualcosa delle
mie sessioni con la DMT in quello
che scrivo, ma non tutto».
Nel capitolo 15, La morte e il
morire, abbiamo letto un breve
stralcio di una delle sessioni di Ray
con la dose elevata di DMT e l’EEG.
Quando parlammo con lui alcuni
anni dopo, disse questo riguardo gli
effetti a lungo termine delle sue
sessioni con dosi elevate: «Il mio
vocabolario mentale adesso è ricco
di nuove parole per descrivere
l’esperienza psichedelica. Considero
le persone più come organismi.
Credo che l’esperienza con la DMT
convalidi alcune credenze spirituali,
permettendo di comprendere in
particolare il valore della
soggettività, al di là e oltre
l’efficacia e l’importanza
scientifica».
Ci mandò anche una fotografia del
suo bambino, il cui secondo nome
era Strassman.
Lucas, nonostante la sua
esperienza estremamente reale di
pre-morte fosse terminata quasi
con un collasso cardiaco, riconobbe
di aver ricavato qualcosa di positivo
dalle sessioni.
«Dopo aver preso la DMT non vedo
più il mondo allo stesso modo»
disse. «La mia mente è molto più
vasta e distesa. L’esperienza mi ha
dato nuovamente conferma di quale
sia la mia strada e di quello in cui
sono coinvolto. Tutto è stato
consolidato, dalle mie convinzioni
alle posizioni in campo spirituale».
Elena, della cui esperienza
spirituale si è letto nel capitolo 16,
mi inviò una lettera un anno dopo
aver finito lo studio sulla reazione
alla dose: «La maggior parte delle
mie esperienze sono svanite con il
tempo. Non è stato così con la DMT .
Le immagini e le esperienze
traumatiche provocate dalle mie
sessioni sono divenute più chiare e
distinte. Mi ricordo di essere stata
capace di osservare il fuoco eterno
della creazione senza venirne
bruciata, e di essere riuscita a
sostenere il peso dell’intero
universo senza esserne schiacciata.
Tutto questo mi ha portato a
ridimensionare la mia vita
quotidiana e ora riesco a rilassarmi
e ad accoglierla molto più
facilmente. Le cose intorno a me
non sono cambiate. Mi sento in
pace nel sapere che la mia anima è
immortale e che la mia coscienza è
interminabile».
Facciamo ora un riassunto di
questi pochi colloqui e
conversazioni di monitoraggio. I
volontari hanno riportato un
aumento della percezione del
proprio io, una minore paura della
morte e un apprezzamento
maggiore per la vita. Alcuni si sono
accorti di avere più facilità nel
rilassarsi e hanno deciso di
affaticarsi un po’ meno. Diversi
volontari hanno iniziato a bere
meno alcol e hanno riscontrato una
maggiore sensibilità alle droghe
psichedeliche. Altri ancora hanno
iniziato a credere fermamente
nell’esistenza di diverse dimensioni
della realtà. Abbiamo anche visto
come alcuni abbiano ricevuto forti
conferme e avvaloramenti delle
ferme convinzioni che già
possedevano. In questi casi, visioni
e percezioni si sono ampliate e sono
diventate più profonde, ma in
sostanza erano rimaste le stesse.
Fortunatamente non ci sono stati
effetti negativi a lungo termine con
Philip, Lucas e Ken. Anche se non
abbiamo sottoposto Kevin a un
colloquio formale dopo quello che
era successo con il suo
preoccupante aumento della
pressione, in seguito abbiamo avuto
modo di vederci in modo informale,
e lui sembrava non soffrire di alcun
effetto negativo.
I pochi esempi di cambiamenti
visibili nelle vite “esteriori” dei
volontari erano in un modo o
nell’altro già in corso prima di
venire in contatto con la molecola
dello spirito. Alcuni dei nostri
soggetti affrontarono dei divorzi,
ma nessuno era la conseguenza
diretta degli effetti provocati dalla
DMT . Forse Marsha e la sua dose
elevata di DMT descritta nel capitolo
11, quando ebbe l’incontro con
quelle figure porcellanate sulla
giostra, la convinsero di
appartenere alla sua cultura della
East Coast. Aveva divorziato dal
marito e lasciato il New Mexico. Ad
ogni modo, prima di intraprendere
il presente studio, era già stata
sposata e aveva due divorzi alle
spalle che le permisero di capire
chiaramente i problemi del suo
attuale matrimonio.
Nessuno però lasciò il proprio
lavoro fisso per seguire una più
profonda vocazione. A Peter, una
delle nostre reclute, la DMT provocò
visioni di una comunità nella quale
aveva considerato la possibilità di
trasferirsi. Ci si trasferì dopo aver
completato lo studio sulla reazione
alla dose, ma era un pensionato
benestante, quindi il trasferimento
gli risultò semplice e naturale.
Anche Sean prese decisioni
produttive per il suo lavoro, infatti
ridusse le sue estenuanti ore come
legale per dedicarsi maggiormente
alla cura del suo giardino,
piantando più alberi nella sua
lontana proprietà rurale. Inoltre,
riuscì a superare con dignità la
rottura con la sua ragazza di quel
tempo e intraprese una nuova e più
soddisfacente relazione nel corso
dello studio sulla DMT . Nel caso di
Sean, molti di questi cambiamenti
erano già in corso prima che
iniziasse a lavorare con noi.
Andrea, i cui «No! No! No!»
risuonarono per tutto il Centro di
Ricerca, sembrava essere una delle
persone più propense a grandi
cambiamenti nella propria vita. Le
sue sessioni con le alte dosi di DMT
le rivelarono sia il valore
inestimabile che i limiti del corpo, e
la aiutarono a ricordare i sogni che
aveva da giovane riguardo il suo
lavoro. Tuttavia due anni dopo,
quando stavo per lasciare il New
Mexico, non era andata più in là di
alcuni depliant informativi sulle
scuole di terapie naturali della zona.
Anche nel caso di Elena non ero
molto convinto che avesse davvero
tratto dei benefici concreti dalla sua
esperienza. Siamo rimasti amici e
continuai a restare in contatto con
lei e con Karl, ma non sembravano
esserci segni di cambiamenti
significativi nei suoi abituali schemi
di comportamento: il suo modo di
interagire e reagire al suo stesso
mondo non era cambiato. Il suo fu
uno dei primi casi che mi rese
riluttante nell’accettare a
prescindere il potere trasformativo
delle più profonde e incredibili
esperienze spirituali.
Particolarmente deludente fu il
fatto che nessuno aveva intrapreso
un percorso psicoterapeutico o una
disciplina spirituale per svolgere un
ulteriore lavoro sulle intuizioni alle
quali era giunto grazie alla DMT . Le
poche persone per le quali la terapia
costituiva un problema tornarono
in terapia, o cominciarono a
riprendere antidepressivi, perché
ebbero una ricaduta dopo le loro
sessioni di DMT con dosi elevate.
Vale a dire, cercavano un rimedio
agli eventuali effetti negativi invece
di trarre vantaggio dalle svolte
psicologiche o spirituali che
seguivano le loro sessioni.
Perché nei nostri volontari non si
riscontravano benefici evidenti?
Nel corso delle sessioni, il nostro
obiettivo non era aiutare le persone
a risolvere i loro problemi. Non si
trattava di studi sul trattamento
terapeutico. I nostri volontari erano
psicologicamente sani. Né era
nostra intenzione sottoporre i
soggetti del nostro studio a un
trattamento. Noi volevamo
assisterli e supportarli, e per lo più
ci siamo riusciti, piuttosto che
orientarli e guidarli verso una
direzione specifica. Quando
abbiamo applicato principi o
tecniche psicoterapeutiche,
l’abbiamo fatto per necessità clinica
o per precauzione. Abbiamo evitato
accuratamente di sottoporre la
maggior parte dei nostri volontari a
un lavoro su un piano psicologico.
In effetti, una delle mie domande
più impellenti era se un ambiente
neutrale avrebbe favorito delle
risposte positive in coloro che
avevano avuto delle intense
esperienze con la DMT .
Trovai un’altra risposta man
mano che lo studio andava avanti.
Mi resi conto in modo così
profondo e inequivocabile che la
DMT non era di per sé terapeutica.
D’altro canto, avevamo dovuto
affrontare nuovamente
l’importanza cruciale del set e del
setting. Ciò che i volontari
portavano nelle loro sessioni, così
come il loro intero background di
vita, era ugualmente importante, se
non addirittura più importante,
della droga in sé nel determinare il
modo in cui affrontavano le loro
esperienze. Senza un contesto
adeguato – spirituale,
psicoterapeutico o di qualsiasi altro
tipo – nel quale sviluppare i loro
viaggi con la DMT , le loro sessioni
sarebbero risultate solamente
un’altra serie di intense esperienze
psichedeliche e niente di più.
Con il passare degli anni, ho
iniziato a provare un’angoscia
particolare nel sentire i resoconti
dei volontari delle loro prime
sessioni con dosi elevate di DMT . Era
come se non li volessi ascoltare.
Queste sessioni psicoterapeutiche,
di pre-morte e spirituali, mi
ricordavano continuamente di
quanto fossero inefficaci nel
compiere qualsiasi cambiamento
significativo. Quello che volevo dire
era: «È molto interessante, ma
adesso? A cosa è servito?» In
generale, la mancanza di un impatto
duraturo in queste sessioni aveva
cominciato a sgretolare i
fondamenti delle motivazioni che
mi avevano spinto a intraprendere
questo tipo di ricerca. Inoltre, i
resoconti del contatto con mondi
invisibili e con ciò che li occupava,
per quanto formidabili, mi fecero
concentrare troppo sulle loro inezie
concettuali piuttosto che sulla loro
realtà e sul loro significato. Il mio
atteggiamento nei confronti delle
sessioni con dosi elevate iniziò a
passare dalla speranza di scoperte
sensazionali al sollievo nel sapere
che i volontari ne erano usciti sani e
salvi.
C’era un chiaro bisogno di
spostare l’attenzione della ricerca
psichedelica che si stava svolgendo
ad Albuquerque. I rischi erano reali,
mentre i benefici a lungo termine
erano vaghi. Ho iniziato a cercare
un modo per equilibrare il rapporto
rischio-beneficio. Per fare questo
serviva uno sforzo molto più
coordinato per sviluppare uno
studio sulla terapia che prevedesse
un lavoro con pazienti veri anziché
con volontari sani. Questo
richiedeva anche l’uso di una droga
che avesse effetti più duraturi, che
lasciasse tempo per svolgere un
lavoro di tipo psicologico nel
momento in cui gli effetti
raggiungevano la vetta massima.
Nei due prossimi capitoli
racconterò di come l’interruzione
del mio lavoro abbia coinciso con
l’avvio della ricerca sulla
psilocibina, i cui effetti durano più a
lungo della DMT , accompagnata da
un programma per il trattamento
dei pazienti. Le cose che accaddero
fuori e dentro l’ambiente di ricerca
si sommarono fino a esercitare una
pressione sia personale che
professionale. A un certo punto ho
sentito che avrei avuto meno da
perdere, e più da guadagnare,
interrompendo la ricerca
psichedelica.
Capitolo 19
SUL FINIRE DELLA
RICERCA

Innumerevoli difficoltà iniziarono


a intaccare il nostro studio sulle
droghe psichedeliche. Il loro
effetto-domino mi portò a lasciare il
New Mexico e a concludere la
ricerca. In questo capitolo
racconterò tutto quello che è
successo.
Alcune difficoltà erano
incorporate nella ricerca sin dal
principio, ed era solo questione di
tempo prima che iniziassero a dar
luogo a dei problemi veri e propri. Il
modello biomedico era il più
evidente di questi impedimenti.
Gli altri fecero seguito a una serie
di circostanze avverse. Fu il caso
della Human Research Ethics
Committee dell’Università, che non
ci diede il via libera per condurre il
progetto sulla psilocibina al di fuori
dell’ospedale, in un ambiente più
confortevole.
Molti degli ostacoli li avevo già
intravisti, ma li avevo sottovalutati
nella speranza che potessero
risolversi da soli. Non fu
sorprendente la mancata creazione
della promessa massa critica di
collaboratori dell’Università del
New Mexico. Avevo sospettato, ma
mi occorreva verificarlo di persona,
che i volontari avrebbero potuto
sperimentare pochi effetti positivi
duraturi in seguito alle singole
sessioni con dosi elevate di DMT .
Avevo tenuto nel team di ricerca un
dottorando particolarmente
problematico, che i problemi li
procurava anche agli altri. Avevo
deciso di trascurare i resoconti di
contatti con entità durante le
sessioni di DMT e non ero pronto ad
avere a che fare con la loro
frequenza nel nostro lavoro. Avrei
dovuto prevedere la reazione della
mia comunità buddhista alla
pubblica dichiarazione che esisteva
un legame tra gli psichedelici e la
stessa pratica buddhista.
Alcuni sviluppi furono del tutto
inaspettati, ma, ripensandoci,
sembrerebbero legati allo sforzo di
portare avanti la ricerca e agli effetti
che essa aveva su tutti quelli che mi
circondavano. L’improvviso cancro
che colpì la mia ex moglie rientra in
questa categoria.
Le ripercussioni che derivano dal
lavoro con la molecola dello spirito
risultano talmente complesse,
diffuse e di vasta portata, che
nessuno, a meno che non abbia
preso parte allo studio sin
dall’inizio, può veramente avere
un’idea delle sue implicazioni. Ad
ogni modo, lo scopo del presente
libro è quello di raccontare tutta la
storia. E ogni storia che si rispetti
ha un proprio epilogo. Per coloro
che ora stanno lavorando o
vorrebbero lavorare con le droghe
psichedeliche è importante
descrivere questi dettagli nello
spirito di un “consenso informato”.
È meglio che tu sappia ciò a cui stai
per andare incontro.
Ci sono stati diversi fili intrecciati
nella trama di questi progetti, e
nella fase iniziale si sono sistemati
tutti in modo ordinato. Volevo
somministrare parecchia DMT ,
vedere quello che avrebbero causato
le diverse dosi, per poi aumentarne
la quantità. I primi due progetti,
ossia quello volto a rilevare la
reazione alla dose e quello sulla
tolleranza, sembravano essere come
l’antipasto e la portata principale.
Le singole dosi elevate della
molecola dello spirito erano
altamente psichedeliche, e il loro
ripetuto dosaggio ci permise di
assimilare e di lavorare in modo più
efficiente con l’accesso che
offrivano verso i profondi stati
alterati. Tuttavia, il modello che mi
consentì di iniziare fu lo stesso che
poi tenne a freno i successivi
progetti di ricerca con la DMT .
Il chiaro compito del modello
biomedico è quello di analizzare,
scavare ancora più in profondità e
dare una spiegazione descrittiva del
fenomeno biologico in esame. Dato
che questo modello è quello
dominante nella ricerca
psichiatrica, l’ho studiato a fondo
per poi applicarlo nella
presentazione degli studi sulla DMT .
Durante lo studio sulla reazione
alla dose e quello sulla tolleranza, le
rilevazioni biologiche erano
personalmente meno convincenti di
quelle sugli effetti psicologici della
DMT . I prelievi di sangue, la
rilevazione dei parametri vitali e
della temperatura corporea ci
fornivano dati che dimostravano
matematicamente che qualcosa
stava accadendo per davvero. Anche
i dati derivanti dalla scala di
valutazione riflettevano bene la
realtà scientifica e oggettiva; in
pratica, il questionario forniva un
riscontro oggettivo degli effetti di
tipo soggettivo. Nonostante ciò, i
dati più interessanti e gratificanti
erano stati ottenuti ascoltando e
osservando i nostri volontari
all’interno della stanza 531.
Tuttavia, una volta avviata la
procedura necessaria per la ricerca,
il modello biomedico avrebbe
rivelato dei limiti maggiori sul tipo
di studi che ci era consentito
eseguire. Nel capitolo 8, Assumere
la DMT , ho descritto questi studi di
monitoraggio sulla DMT che
indagano gli effetti del pindololo,
della ciproeptadina e del naltrexone.
Abbiamo combinato queste droghe
che inibiscono i recettori con la DMT ,
e abbiamo poi confrontato gli esiti
di questa combinazione con quelli
della sola DMT . Abbiamo potuto
dedurre il ruolo svolto dai relativi
recettori nel mediare gli effetti della
molecola dello spirito.
Questo tipo di studi non metteva
più al primo posto della nostra
indagine gli effetti soggettivi della
DMT . Il meccanismo, adesso, era più
importante dell’esperienza. Il
contesto assumeva ora
un’importanza colossale. Questi
protocolli consideravano i soggetti
non più come degli individui che
stavano attraversando
un’esperienza psichedelica, bensì
come dei sistemi biologici con i
quali poter definire il meccanismo
d’azione della droga in modo più
preciso.
Non era così facile essere
soddisfatti di questi studi come lo
eravamo stati per quelli precedenti.
In effetti, i volontari facevano di
tutto per incoraggiarmi a
continuare a seguirli, come avevo
fatto quando gli avevo chiesto di
partecipare allo studio. Questo
sconforto si era sommato alla
sensazione di aver imparato
qualcosa di profondo e
fondamentale sui meccanismi della
molecola dello spirito. Nell’ultimo
capitolo parlo proprio di questa
conclusione: la difficoltà nel trovare
benefici duraturi e significativi a
seguito delle sessioni con dosi
elevate di DMT all’interno del nostro
setting. Se consideriamo anche la
crescente frequenza degli effetti
negativi, mi resi conto che il
rapporto rischio-beneficio non era
dalla nostra parte. Avevo bisogno di
sostituire quel modello con un altro
nel quale le persone avrebbero
tratto beneficio dalla partecipazione
agli studi.
I due contesti entro i quali
inserire progetti in cui le persone
“stessero meglio” erano quello
psicoterapeutico e quello spirituale.
Un progetto basato sulla spiritualità
appariva improbabile all’interno di
un ambiente di ricerca clinica. Per
questo ho iniziato a concentrarmi
su un progetto di carattere
psicoterapeutico, uno studio
psicoterapeutico affiancato alla
somministrazione della psilocibina
sui malati terminali.
È a questo punto che ho sentito in
maniera ancora più forte la
mancanza di una più numerosa
comunità di ricerca sulle droghe
psichedeliche all’interno
dell’università. Sebbene il Centro di
Ricerca e il reparto di psichiatria
supportassero in maniera
innegabile e costante il mio studio,
non vi erano altri colleghi psichiatri
della zona che avessero confidenza
con la ricerca psichedelica.
Ho intrapreso questo studio
avvalendomi di un modello
strettamente biomedico sulla base
delle promesse degli altri ricercatori
in campo psichedelico, soprattutto
quelli di ambito psicoterapeutico, di
unirsi a me una volta iniziata la
ricerca nel New Mexico. Ero
disposto ad assumermi le
responsabilità riguardo al set e al
setting, che erano legati al modello
biomedico, in attesa che altri
colleghi mi aiutassero a utilizzare
ulteriori tecniche di carattere
terapeutico.
Negli Stati Uniti esiste una vasta e
capillare rete di scienziati e medici
specialisti interessati alle droghe
psichedeliche, la maggior parte dei
quali ha degli stretti rapporti di
collaborazione con il settore
accademico e privato. Li ho
conosciuti quasi tutti durante
diversi convegni prima che iniziasse
la ricerca sulla DMT . Questa rete di
ricercatori psichedelici mi è
sembrata molto più altruista e
collaborativa della più numerosa
comunità di ricerca biomedica.
Forse gli scienziati che credevano
nel potere degli psichedelici
avrebbero potuto unire le forze
anziché competere tra loro.
Ad ogni modo, a questi convegni
c’era una lamentela generale circa il
divieto del governo di studiare
queste droghe. Se qualcuno, da
qualche parte, fosse riuscito a
intraprendere uno studio del
genere, quel luogo sarebbe allora
diventato il fulcro di un
Rinascimento della ricerca
psichedelica. Non appena risultò
chiaro che avrei ricevuto il
permesso per somministrare la DMT
e che avrei ottenuto delle
sovvenzioni per lo studio, sembrò
che l’Università del New Mexico
sarebbe diventata proprio quel
centro della ricerca psichedelica.
Ero disposto ad accettare gli
inconvenienti a breve termine legati
al modello basato sulla
sperimentazione animale come
prezzo da pagare per dare avvio allo
studio. Ad ogni modo, speravo che
dopo aver accertato la sicurezza
dell’uso degli psichedelici sotto la
supervisione medica sarebbero
cominciate molte più ricerche
terapeutiche con il supporto dei
miei colleghi. Si sarebbe trattato di
un leggero passaggio da quegli studi
sulla reazione alla dose e sulla
tolleranza verso progetti di terapia
psichedelica.
A conclusione di questo ambizioso
studio sperimentale c’era lo
sviluppo di nuove droghe
psichedeliche con proprietà
esclusive. Con la disponibilità di
tutte le strutture cliniche, sarebbe
stato facile valutare gli effetti delle
nuove cure sia sui volontari sani
che su quella specifica porzione di
pazienti da trattare.
Sembrava un buon inizio.
L’Università del New Mexico è
l’università più importante dello
stato e si trova al vertice di decine di
facoltà universitarie e corsi di
specializzazione medica per
dottorandi, istituti professionali e
istituti di medicina più prestigiosi.
Ero convinto che, una volta iniziata
la ricerca ad Albuquerque, circa la
metà di quella decina di colleghi
ben distribuiti sul territorio dello
stato si sarebbe rapidamente unita a
me. Mi avevano detto che lo
avrebbero fatto.
Dopo che la Food and Drug
Administration approvò il mio
studio sulla DMT , che ebbe inizio
verso la fine del 1990, chiesi la
collaborazione dei miei colleghi.
L’occasione che stavamo aspettando
era finalmente arrivata.
Loro risposero così: «Mia moglie
crede che Albuquerque sia troppo
piccola. Non ci sono abbastanza
centri commerciali. E mia figlia non
vuole lasciare i suoi amici».
«Dobbiamo aspettare che nostro
figlio porti a termine i suoi studi
superiori di sette anni».
«L’Università del New Mexico è di
seconda categoria. Non inizierei mai
una ricerca in quel posto».
«Ci siamo già trasferiti tante
volte. Non posso trasferirmi di
nuovo, a meno che non abbia la
garanzia che stavolta si tratti di
quella definitiva».
«Devo aspettare di finire il
dottorato in medicina e non so
quando sarà».
«Non voglio un lavoro così
impegnativo: mi piace il mio lavoro
part-time al centro di salute
mentale. Mi sto per prendere
parecchi giorni di ferie per farmi dei
ritiri di meditazione».
Se ci ripenso, ero stato vittima
della mia pia illusione. Era più
facile parlare del valore
trasformativo dell’esperienza
psichedelica piuttosto che metterlo
davvero in pratica. I miei colleghi
potevano anche aver avuto delle
nobili motivazioni, ma non erano
disposti a impegnarsi in una ricerca
i cui obiettivi avrebbero richiesto
fatica e duro lavoro.
Certamente c’erano anche altre
motivazioni meno esplicite in quel
repentino cambiamento nel loro
atteggiamento riguardo
l’importanza di unire le forze per
formare una massa critica di
ricercatori psichedelici. Di sicuro,
una di queste fu quel normale e
giustificato, sebbene difficile da
ammettere, stato d’ansia di chi
intraprende per davvero questo tipo
di lavoro. Chiunque non conosca
nulla sulla somministrazione degli
psichedelici già si innervosisce al
solo sentirne parlare.
Un’altra questione riguardava
motivazioni di carattere politico. In
sostanza, chi sarebbe stato il leader
della ricerca psichedelica? Anziché
unire le nostre forze, alcuni colleghi
considerarono la svolta di
Albuquerque come un’occasione
per porre le basi di una ricerca tutta
loro, ponendosi a capo delle relative
organizzazioni.
Per quanto la mancanza di un
supporto da parte dei colleghi
ricercatori nel campo degli
psichedelici costituisse una perdita
dal punto di vista emotivo, l’avrei
superata. Il problema era che
adesso ero stato lasciato solo a
occuparmi di tutto. Avevo
intenzione di far proseguire la
ricerca e di effettuare un
cambiamento di programma non
appena fossi riuscito a ottenere
l’aiuto di quei collaboratori.
Quando lo studio sulla reazione
alla dose fu quasi terminato, avevo
bisogno di decidere in che modo
avrei progettato i successivi moduli
di richiesta di finanziamento e
organizzato lo studio. Cominciare
con la proposta di protocolli
completamente sviluppati sulla
psicoterapia mi sembrava un po’
avventato. Infatti non avevo alcuna
conoscenza in quel campo della
ricerca e sapevo che un tal genere di
proposte non avrebbe ricevuto
finanziamenti. C’era la spinta a
continuare gli studi seguendo il
modello biomedico. Eravamo in
possesso dei dati e del supporto del
Centro di Ricerca, e si trattava del
mio settore di competenza. Gli studi
di monitoraggio incentrati sul
meccanismo d’azione non
sarebbero stati discutibili e
avrebbero trovato i finanziamenti
necessari.
Potevo posticipare questo
processo realizzando studi volti a
misurare la reazione alla dose e
forse anche la tolleranza di altre
droghe come la psilocibina e l’LSD.
Ad ogni modo, i progetti di carattere
neuroscientifico sarebbero diventati
sempre più importanti. Qualunque
studio di psicoterapia si sarebbe
rivelato secondario, informale e
limitato rispetto alla vera essenza
del mio lavoro. Misi a punto diversi
esperimenti sul meccanismo
d’azione della droga, che ricevettero
l’approvazione e anche un
consistente finanziamento per
permettermi di realizzarli.
Contemporaneamente, ricevetti
anche il via libera e la sovvenzione
per realizzare uno studio sulla
reazione alla dose con la
psilocibina.
Dal punto di vista chimico la
psilocibina, che è l’ingrediente
attivo dei funghi allucinogeni, è
strettamente legata alla DMT . È
attiva per via orale e ha una durata
molto più lunga. Inoltre, è di gran
lunga più nota della DMT ; pertanto,
venire a conoscenza dei suoi effetti
si rivela molto importante in
questioni di salute pubblica quando
si parla di abuso di droga.
La psilocibina ha una durata che
va dalle sei alle otto ore, il che, per
molti versi, era molto interessante.
Saremmo riusciti a studiarne gli
effetti in modo più tranquillo
rispetto alla DMT . Infatti con la
psilocibina i volontari potevano
partecipare agli esperimenti mentre
si trovavano sotto effetto della
sostanza, il che invece era
impossibile nel caso della DMT , i cui
effetti massimi si manifestavano
nel giro di poco tempo, rivelandosi
debilitanti.
Tuttavia, il setting del centro di
Ricerca restava un ostacolo per la
progettazione e l’organizzazione dei
protocolli con la psilocibina.
Parecchi dei nostri volontari
coinvolti nello studio sulla DMT
avrebbero approfittato
dell’opportunità di partecipare a un
progetto sulla psilocibina, se non
fosse stato per il fatto di ritrovarsi a
passare un giorno intero
all’ospedale in uno stato alterato di
coscienza.
La breve durata della DMT di solito
ci permetteva di trovare un
momento di tranquillità all’interno
del Centro di Ricerca. Eppure,
nonostante questo, capitò molte
volte che ci fossero diversi rumori
che si ripercuotevano
negativamente sulle sessioni dei
volontari con la DMT : i rumori degli
aerei, le risa e le discussioni del
personale medico, il trambusto dei
carrelli, i lamenti e le urla dei
pazienti, il rumore della ventola che
stava sul soffitto e lo stridore del
compattatore dei rifiuti.
Particolarmente sgradevoli erano
l’odore di cibo bruciacchiato, quello
dei medicinali o quello intenso dei
disinfettanti. Fonte di ansia
continua era la presenza, rara ma
costante, del personale ospedaliero
che entrava nella stanza 531. Tutti
questi fattori insieme rendevano
un’intera giornata sotto l’effetto
della psilocibina un esercizio per i
nervi.
L’università possedeva alcune
piccole case all’interno di un isolato
dell’ospedale. Vi era un costante
andirivieni di personale medico,
amministrativo e di corpo docente.
Alcune di queste case avevano dei
piccoli cortili e dei giardini, e
sembravano perfette per condurre
una ricerca sulla psilocibina “fuori
sede”.
Così comunicai la mia intenzione
di condurre la ricerca sulla
psilocibina al di fuori dell’ospedale
al personale del Centro di Ricerca, a
quello amministrativo,
all’assistenza legale dell’ospedale
dell’università, all’ufficio di
Gestione del Rischio e alla Facoltà
di Psichiatria. Tutti valutarono la
mia richiesta come ragionevole,
avveduta e realizzabile.
Ad ogni modo, la Human
Research Ethics Committee, che
all’epoca era composta da molti
membri che non sapevano nulla
della nostra ricerca, non era a suo
agio con i problemi di sicurezza che
avrebbero potuto comportare degli
studi condotti al di fuori del
contesto ospedaliero. Volevano
assicurarsi che i servizi di sicurezza
fossero a portata di mano per poter
far fronte a un qualsiasi volontario
che avesse reagito in maniera
pericolosa, e volevano che il nostro
studio continuasse a svolgersi nel
più circoscritto ambiente
ospedaliero. Come solitamente
avviene, le loro paure condussero
proprio all’esito che speravano di
evitare.
Alcuni dei coraggiosi volontari
coinvolti nello studio sulla DMT
acconsentirono a partecipare agli
studi pilota sulla psilocibina nel
corso dei quali avremmo stabilito le
dosi “minime”, “medie” e
“massime” della droga. Alcuni si
chiamarono fuori dopo le
esperienze con la dose minima,
avendo trovato la stanza d’ospedale
e il setting troppo limitanti. Non vi
furono problemi significativi con
questi soggetti della ricerca, se non
per il fatto che si sentivano
angustiati e annoiati. In seguito
però si verificò un grave incidente.
Una di questi volontari era
Francine, la fisioterapista che
conobbi nel periodo in cui lavoravo
all’ospedale come consulente
psichiatrico. All’epoca dello studio
sulla DMT , somministrata con
l’aggiunta del pindololo, aveva
trentacinque anni. Quando studiava
all’università aveva fatto un uso
consistente di psichedelici, ma
aveva smesso quando stava per
iniziare il dottorato, per poi sposarsi
e formare una bella e numerosa
famiglia.
Ero preoccupato dai suoi racconti
di quando percorreva in macchina
lunghe distanze, nuotava nei laghi e
svolgeva altri tipi di attività che
richiedevano attenzione e presenza
mentre si trovava sotto l’effetto
degli psichedelici. Forse stava
cercando di resistere agli effetti
della droga tramite la sua
iperattività. Fisicamente era
piuttosto robusta, ma la sua
struttura fisica era solo una delle
cose che dava un’impressione di lei
come di una persona
profondamente ferita, chiusa in se
stessa e repressa. Nonostante ciò,
pur avendola sottoposta
scrupolosamente a delle domande,
non ero riuscito a cogliere nessun
segno della sua incapacità di gestire
ciò che le capitava nel momento in
cui era sotto l’effetto della sostanza.
Francine tollerò la dose minima di
DMT nella fase dello screening senza
alcuna difficoltà, ma tenne il
poggiatesta del letto alzato al
massimo, quasi a formare un
angolo di 90°. Appariva
terribilmente a disagio, ma aveva
negato qualsiasi tipo di fastidio.
Parlò per l’intera durata della
sessione: dal momento in cui iniziai
a somministrarle la droga fino a
quando non c’era più traccia di
qualsiasi effetto. La misi
chiaramente in guardia sulla dose
massima del giorno successivo.
«Dubito che sia così forte.
Dopotutto, in passato ho fatto uso
di grandi quantità di LSD, e gli effetti
erano leggeri».
Le chiedemmo di mettersi la
mascherina e di sdraiarsi prima di
cominciare con la dose elevata del
giorno successivo. Se fosse stata
meno distratta dal desiderio di
raccontarci di continuo ciò che le
stava accadendo, probabilmente
sarebbe riuscita a farsi trascinare
più facilmente dagli effetti.
Acconsentì di malavoglia a
indossarla, mettendola sulla fronte
in modo da poterla abbassare sugli
occhi in un secondo momento,
«qualora mi servisse». Alzò di
nuovo il poggiatesta.
La sessione di Francine con la
dose massima non le piacque per
niente, e le ricordò di quanto tempo
separasse il suo presente dai giorni
spensierati all’università in cui
viveva i suoi trip. Adesso aveva un
vita piena di impegni, molte
responsabilità e non era più sicura
di quale elevato rischio a livello
psichico avrebbe comportato
assumere grandi quantità di droga.
Come aveva fatto durante la
sessione con la dose minima, tenne
gli occhi aperti e parlò per tutta la
sessione. Uno dei commenti che
riassume chiaramente il suo
atteggiamento verso la molecola
dello spirito, fu: «La DMT mi ha
detto: “Vieni con me, vieni con me”,
ma io non ero sicura di potermi
davvero permettere di andare».
A dispetto dei suoi timori,
Francine completò anche gli studi
sul pindololo senza difficoltà e si
candidò impaziente allo studio
pilota con la psilocibina. Credeva
che la lenta progressione dei suoi
effetti le sarebbe piaciuta di più
rispetto all’effetto da “cannone
nucleare” della DMT .
Francine, dopo una prima dose di
psilocibina, visse un’esperienza di
picco straordinariamente
soddisfacente. Quel giorno si
mostrò molto più collaborativa nei
confronti della struttura del setting:
rise, sghignazzò e fece delle
esclamazioni di gioia per la maggior
parte della sessione. Verso la fine di
quella giornata, riassunse per noi la
sua esperienza in questi termini: «È
stata la cosa più incredibile che
abbia mai vissuto. Non sono mai
stata così su di giri. A confronto, la
dose da 0.4 di DMT sembra piccola. È
stato il trip più forte. Potrei non
volerne più fare uso. Perché dovrei?
A che scopo? Di sicuro non
occorrono dosi superiori di
psilocibina».
La dovetti riaccompagnare a casa
in macchina perché suo marito non
poteva staccare prima dal lavoro per
venirla a prendere. Fu allora che
scoprii quanto lui fosse ansioso per
la partecipazione della moglie al
nostro studio. Nella loro casa di
città parlammo un po’ tutti e tre, e
rimasi perplesso riguardo le paure
del marito. Mentre me ne stavo
andando, Francine era ancora
pallida e provata, ma felice.
La dose che aveva ricevuto si
rivelò essere inferiore a quella
psichedelica negli altri partecipanti,
così la aumentai della metà per la
successiva serie di esperimenti.
Francine telefonò a Laura perché
sentiva il bisogno di “tenersi
aggiornata” sulle sessioni degli altri
volontari, non volendo essere
considerata un “peso piuma del
trip”. Seppur avessi qualche dubbio,
alla fine acconsentii a riammetterla
nello studio.
Quella mattina già si era
preannunciata difficoltosa: prima
che Laura e io arrivassimo,
Francine aveva spostato il letto nel
più remoto angolo della stanza. Non
lo voleva rimettere al centro, nella
sua posizione originaria. Inoltre,
uno studente esterno di medicina
era entrato nella stanza per
incontrare Francine prima che
gliela presentassi, andando così
espressamente contro il mio volere.
Francine era estremamente cauta
rispetto alle questioni riguardanti
l’anonimato, perché anche lei
lavorava in ospedale. Per prima
cosa, quindi, le avrei chiarito la
questione della presenza di uno
studente esterno.
Entrambe queste irregolarità,
ovvero il fatto che Francine avesse
spostato il letto e la visita non
autorizzata dello studente, mi
provocarono una forte apprensione
prima di iniziare. Stavo per disdire
la sessione, ma poi vidi che tutti
erano disposti a continuare.
Quindici minuti dopo aver
ingoiato la capsula di psilocibina,
Francine divenne agitata,impaurita
e ansiosa. Mi accusò di averle
“incasinato” la mente. Quando la
telefonata che fece in preda al
panico al marito ci interruppe nel
bel mezzo della conversazione,
incolpò le mie “onde cerebrali” per
quelle difficoltà tecniche.
Praticamente riusciva a tollerare
solo Laura all’interno della stanza, e
chiese che sia io che lo studente di
medicina uscissimo per un po’.
Mentre ci trovavamo alla
postazione infermieristica
decidendo come procedere, vidi il
marito di Francine arrivare di corsa
all’ingresso, entrare nella stanza
531 e portarla via. Si fecero strada
passando davanti a Laura e si
precipitarono fuori dal Centro di
Ricerca prima ancora che riuscissi a
rendermi conto di ciò che stava
accadendo. Quando suo marito mi
passò davanti di corsa, disse: «L’ho
già vista in queste condizioni».
«Adesso me lo dice» pensai.
Il personale della sicurezza arrivò
troppo tardi. Mentre si trovava sotto
l’effetto massimo della psilocibina,
Francine era in giro per
Albuquerque.
Fortunatamente l’occhio vigile del
marito la controllava e così quel
giorno non corse alcun pericolo.
Nonostante ciò, dovevo comunque
fare un rapporto scritto e inviarlo a
tutte le commissioni dell’università
e ai vari comitati che
sovrintendevano lo studio. La FDA e
la NIDA ricevettero anch’esse una
copia del resoconto dell’incidente.
Descrissi come durante la sessione
di Francine si fosse verificata una
«spiacevole, ma non del tutto
inaspettata, reazione avversa. Sotto
l’influenza di queste droghe
possono verificarsi dei crolli
psicotici, che sono quasi sempre di
breve durata. Il volontario si è
ripreso velocemente e non ha
riportato alcun danno dalla sua
sessione».
In senso stretto era vero. La
mattina successiva Francine “stava
bene” ed era tornata al lavoro, come
se nulla fosse successo. Ad ogni
modo, restava convinta del fatto che
lasciare il Centro di Ricerca
andando contro i nostri consigli, per
di più mentre era sotto l’effetto
della psilocibina, fosse l’unica cosa
– anzi, la cosa coraggiosamente
nobile – da fare. La mia “influenza
negativa” le aveva lasciato poca
scelta. Né Laura né io stesso, dopo
diversi mesi, potemmo capire
minimamente il perché della paura
e dell’angoscia sperimentata quella
mattina.
Facemmo delle modifiche ai
nostri protocolli, richiedendo di
parlare più attentamente con i
coniugi dei volontari in modo da
conoscere la natura e la fonte di un
qualsiasi serio dubbio da parte loro.
Stabilimmo con più chiarezza la
necessità che il team di ricerca
desse ai volontari l’autorizzazione
definitiva per lasciare l’ospedale.
Decidemmo anche di iniziare a
somministrare la dose elevata di
DMT a chiunque era interessato al
progetto sulla psilocibina. Così
facendo, potevamo stabilire con
maggiore esattezza la loro capacità
di affrontare stati estremamente
psichedelici.
La sessione di Francine, in effetti,
fece svanire ogni speranza di poter
condurre la ricerca al di fuori
dell’ambiente ospedaliero.
Ne fui profondamente scosso.
Francine era una donna intelligente
e aveva esperienza con gli
psichedelici, inoltre aveva già preso
parte al lavoro con la DMT . Da un
lato, ci aveva avvertito dicendoci
che probabilmente dopo
quell’esperienza estrema con la
psilocibina non ne avrebbe più
voluta assumere. Dall’altro lato,
non volevo deluderla rifiutando una
sua ulteriore partecipazione. Le sue
esperienze spiacevoli con la DMT
sarebbero potute essere un
campanello d’allarme circa la sua
incapacità di scivolare
completamente all’interno degli
stati psichedelici, ma allora era
ancora troppo presto per dirlo.
Inoltre, avevo scelto di ignorare i
segnali d’avvertimento di quella
mattina: il fatto che Francine avesse
spostato il letto e la visita non
autorizzata dello studente di
medicina.
Iniziai a dubitare della mia
capacità di giudizio.
Oltre a ciò, sorse in me la paura di
somministrare dosi completamente
psichedeliche di psilocibina
all’interno dell’ospedale. Ma
d’altronde, se non avessi
somministrato quelle dosi complete
e attive, che senso avrebbe avuto?
Ci occorreva studiare le proprietà
psichedeliche della psilocibina e
non quelle sub-psichedeliche. Dosi
inferiori non lo avrebbero
permesso, mentre il setting avrebbe
potuto rivelarsi inadeguato per dosi
superiori.85
Con l’avanzamento dello studio
iniziarono anche a emergere dei
contrasti all’interno del team di
ricerca. Uno particolarmente
difficile vide protagonista Bob, un
dottorando che lavorava part-time e
che si unì a noi dopo che avevamo
terminato i primi studi sulla
reazione alla dose.
Passai a Bob molti degli esami
iniziali dei potenziali volontari dello
studio con la DMT . Si occupò di
richiamarli, fargli una prima serie di
domande in merito all’idoneità e
spiegargli gli studi ai quali
avrebbero potuto prendere parte.
Poi incontrava Laura e me per
discutere se far passare la persona
alla fase successiva dei test di
screening. Qualora avessimo avuto
ulteriori domande, Bob si sarebbe
occupato di trovare le risposte
necessarie. Anche se il suo ruolo
non era fondamentale, c’erano
voluti diversi mesi perché avesse
tutte le informazioni necessarie e
conobbe bene molti volontari che
parteciparono alla seconda fase
dello studio.
Quasi l’ultimo arrivato nel settore
psichedelico, Bob era come un
bambino in un negozio di
caramelle: trasudava entusiasmo
per i nostri progetti e si mostrava
molto collaborativo nell’ingaggiare
nuovi soggetti. Trovava affascinanti
i volontari e voleva trascorrere del
tempo con loro. Lo appassionava
assistere a convegni e conferenze in
cui famosi scienziati della ricerca
psichedelica ricordavano i “bei
vecchi tempi” e la nuova
generazione di ricercatori
pianificava gli studi futuri.
Ad ogni modo, per Bob era
difficile capire quando era arrivato
il momento di fermarsi. Uno dei
nostri volontari lo invitò a casa sua
per far uso di droga e Bob non si
lasciò sfuggire quell’opportunità.
Quando gli esternai le mie
preoccupazioni a riguardo, si
mostrò ferito e replicò: «Tu fai
questo da così tanto tempo, io ho
bisogno di recuperare». Lo avvisai
che non avrei più tollerato un
comportamento del genere, ma il
mio monito si rivelò poco meno di
un semplice divieto.
Ben presto, tuttavia, un altro
incidente che aveva a che fare con la
mia funzione di supervisione mi
fece capire che non potevo
permettermi di essere così
superficiale. Questo campanello
d’allarme suonò all’interno della
clinica psichiatrica nella quale
vedevo i pazienti esterni sottoposti
agli studi sperimentali
dell’università.
Per alcuni anni avevo prescritto
delle cure a Leanne, una donna
giovane, intelligente e di bella
presenza che soffriva di una
sindrome maniaco-depressiva. Tom,
un nuovo tirocinante nel settore dei
servizi sociali, si inserì all’interno
dello studio dopo un po’ di tempo e
capitò sotto la mia supervisione. Mi
chiese di trovargli un paziente
equilibrato e ben disposto nei
confronti della psicologia per
sottoporlo a psicoterapia, e
ovviamente pensai a Leanne.
Iniziarono a lavorare insieme e,
sulla base dei loro resoconti, la
terapia stava andando bene. Anzi un
po’ troppo bene, come si rivelò in
seguito.
Leanne e Tom iniziarono ad avere
rapporti sessuali alcuni mesi dopo
l’inizio della terapia. Né Leanne
durante le nostre visite mediche, né
Tom nelle sessioni settimanali di
supervisione, fecero alcuna
allusione in merito. Nel giro di
alcuni mesi Leanne chiese a Tom di
lasciare la moglie e di sposare lei.
Tom andò nel panico e mise fine
alla relazione. Leanne allora fece
causa a Tom, alla clinica e
all’università. Tom minacciò poi di
citarmi in giudizio per «non avergli
fornito l’adeguata supervisione» se
l’università gli avesse impedito di
andarsene senza ripercussioni serie.
L’università, che voleva evitare un
lungo e dispendioso processo
pubblico, risolse il caso in privato, e
io evitai che il mio nome venisse
fatto durante il processo. Alla luce
di questa esperienza, in cui capii
fino a che punto ero responsabile
del comportamento di coloro che
lavoravano per me, anche se non
sapevo quello che stavano facendo,
decisi che era ora di riprendere il
comando su Bob, il dottorando
ribelle.
Gridando e accusandomi di essere
ingiusto, Bob non prese bene il mio
divieto di assumere droghe in
compagnia dei volontari. Il direttore
di facoltà mi suggerì di mandarlo
via. Ad ogni modo, il nostro team di
ricerca era piccolo e ci sarebbero
voluti mesi per formare un suo
eventuale sostituto. Gli diedi una
seconda possibilità, dicendogli che
avrebbe potuto continuare a
lavorare nella ricerca se prometteva
di non socializzare con i volontari. Il
legale dell’università e il mio
responsabile mi raccomandarono di
fargli firmare una dichiarazione che
riportava su carta questo impegno.
Ciò mi avrebbe consentito di
chiudere il suo coinvolgimento nel
progetto in maniera pulita qualora
avesse violato di nuovo l’accordo.
Considerato l’entusiasmo che Bob
aveva dimostrato per il suo
coinvolgimento nello studio, fu
piuttosto inaspettato sentirgli dire
che «aveva bisogno di tempo per
rifletterci». Dopo una settimana
acconsentì controvoglia a firmare la
dichiarazione in cui gli veniva
proibita ogni attività inappropriata
che andasse oltre gli scopi della
ricerca. Tuttavia, il suo scarso senso
del limite e il desiderio di assumere
le droghe con coloro che erano
coinvolti nella ricerca si rivolse in
un’altra direzione, ovvero nel voler
assumere droghe con me.
Un sabato Bob fece un viaggio in
macchina di un’ora fino a casa mia,
tra le montagne dietro
Albuquerque, e apparve alla mia
porta senza preavviso. Dopo aver
iniziato a dire allegramente e in
maniera poco credibile: «Mi trovavo
in zona e sono passato a trovarti»,
la conversazione si volse
rapidamente al suo reale interesse:
«Forse potremmo prendere insieme
dei funghi psilocibinici». Ne fui
sorpreso e gli chiesi cosa gli stava
succedendo.
«Ho così tanto da imparare sugli
psichedelici, però ora non posso
assumerli con i volontari. Ma tu hai
così tanto da insegnarmi. Voglio
attingere un po’ alla tua conoscenza
ed esperienza. Quale idea migliore
se non farmi un trip con te, a casa
tua?»
Sentendomi come se avessi a che
fare con un paziente psichiatrico
con dei disturbi, cercai di
concludere quella conversazione nel
modo più veloce possibile: «No,
non succederà. Puoi farti i trip con i
tuoi amici, certamente, ma non con
i volontari, né con me. La cosa
migliore da fare, comunque, è
sottoporti a un qualche tipo di
terapia per parlarne. Hai bisogno di
mantenere un po’ di distanza
professionale da tutto questo, e
sembra che tu abbia difficoltà a
farlo».
Bob diventò rosso in viso e alzò di
nuovo la voce: «Sapevo che non
avrei dovuto passare a trovarti! Mi
dispiace, non so cosa mi è preso!
Credo che sia perché mi sento così
solo, vorrei solamente sentirmi
adeguato».
«Va bene» dissi cercando di
mostrargli il mio appoggio.
«Pranziamo e poi te ne potrai
tornare a casa».
Ma non finì lì. Durante i mesi
successivi, ogniqualvolta Laura, Bob
e io ci incontravamo per parlare
della ricerca, Bob alzava la voce o
arrivava quasi alle lacrime quando
si parlava dell’assunzione di droghe
sia con i volontari che con me.
Ancor peggio, riversava questi suoi
sentimenti nei rapporti con i
potenziali volontari. Mi riportarono
alcuni dei commenti che
sbadatamente si lasciò sfuggire
mentre parlava loro dello studio:
«Rick è piuttosto rigido in questa
ricerca, sai».
O anche: «Non è bello che Rick si
tenga per sé i sentimenti e le
motivazioni che l’hanno spinto a
intraprendere questo lavoro».
Inoltre non voleva dare ai
volontari gli importanti moduli da
firmare e gli articoli da leggere.
Bob doveva andarsene, ma
dirglielo non fu facile. In realtà,
sembrava sollevato di non dover più
lavorare in condizioni per lui così
irragionevolmente limitanti.
Purtroppo, adesso era libero di
socializzare e prendere le droghe
con chiunque desiderasse.
Nonostante cercasse di tenerlo
nascosto, non smisi mai di sentir
parlare di lui.
Infine, avevo dei problemi a
comprendere appieno e ad
affrontare tutto ciò che la molecola
dello spirito ci mostrava di poter
fare. Durante il nostro studio, mi
aspettavo si verificassero esperienze
di pre-morte, spirituali e di
carattere psicoterapeutico. Ad ogni
modo, l’assenza di una svolta
sostanziale mi fece dubitare della
loro efficacia.
Ero anche impreparato ad
affrontare quei resoconti
eccezionalmente frequenti che
avevano come oggetto il contatto
con entità. Essi misero alla prova la
mia concezione della mente e della
realtà. Inoltre, smagliarono e
logorarono anche la mia empatia e
la capacità di offrire supporto ai
nostri volontari. L’assenza di
personale psichiatrico in possesso
delle mie stesse competenze si
aggiunse alla mia sensazione di
isolamento e alle preoccupazioni su
come avrei risposto a queste
sessioni.
Il modello biomedico stava
rendendo difficile ingaggiare i
volontari ed essere incoraggianti su
ciò che li aspettava. I benefici a
lungo termine sembravano minimi,
mentre gli effetti negativi
primeggiavano nettamente e
andavano aumentando. Non
riuscivo ad accettare con serenità e
nemmeno a comprendere l’alta
frequenza con cui si verificavano i
contatti con entità. I colleghi che
aspettavo così tanto non si unirono
a me nella ricerca, né al mio fianco,
né per contendersi i preziosi
finanziamenti e i collaboratori. Il
setting ospedaliero per lo studio
sulla psilocibina era poco pratico e
potenzialmente pericoloso, il che mi
rese pessimista riguardo la
somministrazione di dosi complete.
I conflitti all’interno del team di
ricerca minacciavano ulteriormente
quella che era la mia già fragile
presa sul progetto.
Persino Margot, la mia
massaggiatrice, era preoccupata,
sebbene parlassi raramente della
ricerca durante le nostre sessioni.
Era una praticante di lavoro
corporeo molto intuitiva che da
anni incontravo una o due volte al
mese. Durante una sessione in
particolare, era diventata irrequieta
e preoccupata mentre mi osservava
disteso sul tavolo.
«Vedo degli spiriti maligni che ti
svolazzano attorno» mi disse.
«Vogliono entrare in questo piano
utilizzando te e le droghe. Sono
preoccupata. Non mi sembra una
cosa buona».
Margot appariva un po’ troppo
new age perfino per il New Mexico.
Mi misi a ridere e le risposi: «Be’,
Margot, se busseranno non gli
risponderò».
Al di là di tutto, Margot restava
una persona scrupolosa. Sia che
fosse una metafora, un simbolo, o
qualcosa di reale, un tremendo
ammasso di negatività si era
accumulato attorno a me. Che fare?
Non dovetti aspettare a lungo per la
soluzione, senza che la cercassi io
stesso direttamente. Anzi, giunse
sul mio cammino in un modo
terribile.
La mia ex moglie, Marion, di colpo
sviluppò un cancro.
Fortunatamente si trattava di un
tumore localizzato e il chirurgo era
sicuro che dopo una breve
operazione non ce ne sarebbe più
stata alcuna traccia. Ad ogni modo,
“per sicurezza”, il medico consigliò
un’asportazione chirurgica più
radicale, che Marion rifiutò,
preferendo delle terapie mediche
alternative. Contemporaneamente il
mio figliastro, il figlio più piccolo di
Marion, era caduto in depressione e
aveva lasciato la scuola mentre
viveva con suo padre in Canada.
Marion mi chiese se ci potevamo
trasferire in Canada per stare vicino
alla sua famiglia mentre si
rimetteva, in modo da aiutare il
figlio e per dare anche a me un po’
di respiro. Pur non sapendo come
avrei potuto fare il pendolare fino
ad Albuquerque, acconsentii a
trasferirmi.
Ogni due mesi organizzavo un
soggiorno di due settimane nel New
Mexico, cercando di condurre
quanti più studi potevo in quel
lasso di tempo. Lo sfinimento fu
tremendo, e quando ero via mi
preoccupavo del gruppo di supporto
locale. Nessuno conosceva lo studio
meglio di me, nemmeno i volontari.
Uno dei soggetti della ricerca dello
studio con la psilocibina volto a
determinare la dose da
somministrare iniziò ad avere dei
problemi. Vladan, della cui
esperienza abbiamo già parlato nel
capitolo 12, si trovò intrappolato in
una spirale di pessimismo che
aumentava a ogni sessione con la
psilocibina, con un atteggiamento
da “qual è il punto?” Non giunse
mai alla svolta che credeva potesse
arrivare con le dosi più elevate. Al
contrario, divenne più solitario e
inquieto. Quando gli dissi che
avremmo preferito che si prendesse
una pausa prima di ricominciare
con gli studi successivi, si procurò
una pistola semiautomatica, «nel
caso ci fosse l’Armageddon». Negò
in maniera irremovibile di volerla
usarla contro di noi. Non ne ero
particolarmente rassicurato, così lo
invitai nel mio ufficio durante una
delle mie visite nel New Mexico per
capire quanto fosse pericoloso. Mi
tranquillizzai un po’ dopo aver
parlato con lui per ben due ore, ma
alla fine rifiutò di rinunciare alla
pistola.
Ottenni il permesso per iniziare
uno studio con l’LSD, ma decisi di
aspettare. Le condizioni non
sembravano promettenti per
somministrare LSD al Centro di
Ricerca.
Per finire, la mia ex comunità di
monaci buddhisti iniziò a criticare
la mia ricerca e allo stesso tempo
mi negò il suo aiuto. Questi ultimi
eventi mi portarono a concludere la
ricerca psichedelica, e saranno
oggetto del prossimo capitolo.
85. La dose di psilocibina generalmente usata nei
gruppi di ricerca svizzeri e tedeschi è di 0.2
mg/kg, meno della metà della dose che
avevamo stabilito avesse un indiscutibile effetto
psichedelico (ovvero 0.45 mg/kg). Sebbene
questi gruppi abbiano pubblicato i loro dati sotto
il nome di “effetti psichedelici della psilocibina”,
non credo che l’oggetto del loro studio sia una
sindrome tipica. Vedi E. Gouzoulis-Mayfrank, B.
Thelen, E. Habermeyer, H.J. Kunert, K.-A.
Kovar, H. Lindenblatt, L. Hermle, M. Spitzer e
H. Sass, Psychopathological, Neuroendocrine
and Autonomic Effects of 3,4-
Methylenedioxyethylamphetamine (MDE),
Psilocybin and d-Methamphetamine in Healthy
Volunteers, in «Psychopharmacology», n. 142,
1999, pp. 41-50; inoltre F.X. Vollenweider, K.L.
Leenders, C. Scharfetter, P. Maguire, O.
Stadelmann e J. Angst, Positron Emission
Tomography and Fluorodeoxyglucose Studies of
Metabolic Hyperfrontality and
Psychopathology in the Psilocybin Model of
Psychosis, in «Neuropsychopharmacology», n.
16, 1997, pp. 357-372. Abbiamo continuato ad
aumentare la dose fino a 1.1 mg/kg. A questo
punto, i due volontari che la ricevettero dissero
di sentire che era troppa. Uno di loro perse per
un attimo l’orientamento, mentre l’altro ebbe
una sensazione quasi schiacciante di “pressione
mentale”. Prima che altre circostanze
contribuissero a farmi lasciare l’università, era
nostra intenzione somministrare la dose da 0.9
mg/kg come dose massima finale di psilocibina:
una quantità più di quattro volte superiore alla
“dose psichedelica” somministrata dai ricercatori
europei.
Capitolo 20
CALPESTARE UN SUOLO
SACRO

Generalmente, nell’ambito della


ricerca clinica non viene caldeggiata
l’inclusione della spiritualità, con i
suoi fattori immateriali e quindi
non misurabili. In questo capitolo
vedremo che nemmeno la religione
istituzionalizzata, non importa
quanto possa essere incline al
misticismo, aperta di mente o
rassicurante, prende seriamente in
considerazione il potenziale
spirituale della ricerca clinica con
gli psichedelici.
In questo libro ci sono alcuni
passi nei quali faccio riferimento al
mio interesse per la teoria e la
pratica buddhista. Oltre ai
contributi teorici e pratici alla
ricerca, ho anche ricevuto un
grande aiuto a livello personale e
orientamento dai decenni di
coinvolgimento in un monastero
americano di Buddhismo Zen. La
mia comprensione del Buddhismo
ha permeato quasi ogni aspetto del
lavoro con la molecola dello spirito,
dall’ispirazione originaria di
intraprendere una ricerca nel
campo degli psichedelici fino allo
sviluppo di una scala di valutazione
e dei metodi di supervisione delle
sessioni.
Essendo cresciuto in una famiglia
ebrea nel sud della California tra gli
anni ’50 e ’60, la mia formazione
religiosa dava rilievo allo studio
della lingua ebraica, alle festività,
alla storia e alla cultura ebraiche.
Inoltre, memori dell’Olocausto,
eravamo a favore dello stato ebraico
di Israele appena formatosi. In
quegli insegnamenti trovai poche
indicazioni su come entrare
direttamente in contatto con Dio,
prerogativa solo degli antichi
patriarchi: Abramo, Isacco,
Giacobbe e Mosè.
C’erano momenti di gioia durante
la mia educazione ebraica. Intonare
canti popolari ebraici e preghiere in
grandi gruppi era qualcosa di
estatico, sebbene a quel tempo non
usassi quella parola. Tali erano
anche le danze popolari israeliane
che ci venivano insegnate,
caratterizzate da movimenti rotanti
e vorticosi. Oltre a questo, una delle
mie insegnanti di religione cercò di
insegnarci a meditare. Quando
chiudeva gli occhi lo facevamo
anche noi, e poi con gli occhi
socchiusi guardavamo in giro per
vedere chi stava sbirciando. La
nostra insegnante, seduta alla
scrivania con le mani sul grembo e
le dita intrecciate, aveva
un’espressione di beatitudine sul
volto. Un paio di volte, durante
queste meditazioni che facevamo in
classe, riuscii a sentire qualcosa
dentro di me che percepii come
buono, calmo e giusto, ma ne fui
anche spaventato e mi sentii un po’
a disagio nell’entrarvi in contatto.
In seguito scoprii che gli
insegnamenti religiosi e le pratiche
orientali fornivano i metodi più
accessibili per soddisfare
l’aspirazione a verità più profonde
che cominciò a emergere durante
gli anni del college. In questo senso,
sono molto simile a molti della mia
generazione. Queste “nuove
religioni” comprendevano lo Zen e
altri tipi di Buddhismo, Induismo e
Sufismo. L’enfasi che davano alla
fusione mistica con la fonte di tutta
l’esistenza risuonava
profondamente con quel bisogno di
trovare la verità ultima delle cose.
La sicurezza personale incarnata da
quei maestri giapponesi, indiani e
tibetani appena arrivati in America
e gli esercizi spirituali che
promettevano risultati attestati da
generazioni di praticanti
costituivano un binomio davvero
molto allettante.
La mia introduzione ai misteri
dell’Oriente avvenne nella forma
della Meditazione Trascendentale
nei primi anni ’70. Traevo beneficio
dallo stato di quiete e di serenità a
cui conduceva questa pratica, anche
se non mi attraevano i fondamenti
teorici che ne erano alla base. Poco
dopo, scoprii nel Buddhismo sia la
pratica che l’ispirazione
intellettuale che stavo cercando.
Il Buddhismo è una religione
basata sulla meditazione, vecchia di
2.500 anni, che descrive e considera
in termini imparziali, psicologici e
facilmente accessibili tutti gli stati
mentali che si possono immaginare,
siano essi terribili, estatici, neutri,
utili o dannosi. Inoltre, il
Buddhismo offre una serie di
precetti sia pratici che morali, basati
sul principio di causa-effetto, che
permettono di applicare nella vita
quotidiana le intuizioni derivanti
dalla meditazione.
Dovetti fare diversi tentativi
prima di trovare una comunità
buddhista che facesse per me.
Ancora una volta, Jim Fadiman di
Stanford mi indicò la giusta
direzione segnalandomi un
monastero Zen nel Midwest degli
Stati Uniti guidato da un maestro
orientale, una specie di eremita che
però era anche molto affidabile. Nel
1974 partecipai a due ritiri di
meditazione della durata di un fine
settimana ed ebbi l’impressione di
essere arrivato a casa. I monaci
erano sereni ma con i piedi ben
piantati a terra, e trascorremmo
insieme dei momenti piacevoli. La
cosa che trovai più interessante fu
che la maggior parte di loro aveva
avuto il primo scorcio di cammino
spirituale sotto l’effetto di droghe
psichedeliche.
Ovviamente non lo ammisero di
loro spontanea volontà. Tuttavia,
nei primi giorni spensierati al
tempio capitava di frequente di
aprirsi gli uni con gli altri. Era facile
domandare: «Hai fatto uso di
psichedelici prima di diventare un
monaco? Quanto hanno influito
sulla tua decisione?» La stragrande
maggioranza ne aveva fatto uso e
con il loro ausilio aveva dato una
prima occhiata allo stato di
illuminazione.
Un ritiro di cinque settimane nel
monastero, durante una pausa dai
corsi di medicina, mi aiutò a
sviluppare un’efficace pratica
buddhista. La meditazione era
semplice: stare seduti in posizione
comoda, schiena diritta, e
semplicemente restare seduti.
“Stare semplicemente seduti”,
proprio come “camminare
semplicemente”, “lavare
semplicemente i piatti”, “respirare
semplicemente”. In altre parole,
rivolgere tutta la propria attenzione
a ciò che si sta facendo in quel
momento. Quando si stava seduti,
si stava semplicemente seduti.
Nessun pensiero, fantasticheria,
inquietudine, reazione emotiva,
discorso o qualunque altra cosa
potesse complicare il processo dello
stare seduti. La respirazione, con i
suoi movimenti regolari di
inspirazione ed espirazione,
fungeva da ottimo punto di
riferimento al quale la mente
vagante avrebbe potuto aggrapparsi,
focalizzando su di essa la sua
attenzione ogniqualvolta i pensieri
o le sensazioni avessero interrotto
lo stato di pura consapevolezza.
Quando tornai alla scuola di
medicina, riservai una stanza per
meditare durante la pausa pranzo e
c’erano sempre una o due persone
che si univano a me in quella
“seduta” di mezz’ora. Strinsi dei
rapporti molto forti con alcuni
monaci, andavo regolarmente al
monastero e ospitai un ritiro
condotto da alcuni sacerdoti in
viaggio per New York.
Il Buddhismo e la meditazione
sembravano anche un terreno
fertile per i miei studi universitari.
Mi organizzai per iscrivermi a una
scuola di medicina facoltativa,
durante l’estate, per professionisti
della salute mentale al Nyingma
Institute, fondato da un lama
tibetano sulle colline di Berkeley in
California. Durante questo corso
apprendemmo i principi e le
pratiche della psicologia buddhista.
Fu allora che per la prima volta
venni a conoscenza
dell’Abhidharma, il sistema di
psicologia buddhista.
Abhidharma viene tradotto
all’incirca come “catalogo degli stati
mentali”. L’Abhidharma è
composto da un centinaio di testi,
ma il lama di Nyingma era
interessato a illustrarci solo i
principi fondamentali.
Secondo uno di essi il corso
normale dell’esperienza personale è
in verità una sintesi armoniosa di
diversi elementi. Questi aspetti
cono chiamati skandha, o
“ammassi”, i cinque “elementi” che
costituiscono il nostro stato
cosciente: forma, sensazione,
percezione, coscienza e tendenze
abituali. Trascorremmo giorni a
esaminare ciascuno di questi
elementi, finché non
raggiungemmo una definizione
unanime con la quale avevamo
dimestichezza e con cui potevamo
esprimerci nei comuni termini
occidentali.
Un altro punto importante era la
possibilità di (e i metodi per)
dissolvere la colla che teneva uniti
questi skandha. Destrutturando,
perché di questo si trattava, la
facciata della nostra percezione
dell’io, i buddhisti credono che sia
possibile accedere a strati più
profondi della realtà, della
compassione, dell’amore e della
saggezza. C’era una serie di fasi in
quel processo, e un maestro esperto
poteva aiutare il praticante di
meditazione a riconoscerle e a
progredire attraverso questi passi. Il
Buddhismo ha perfezionato queste
tecniche nel corso di millenni, e
milioni di praticanti hanno
verificato di persona e confermato
l’efficacia di questi metodi e dei loro
risultati.
Sebbene queste meditazioni
fossero più elaborate e complicate
del semplice “stare seduti”, erano
affascinanti e portavano ai risultati
promessi. Dovevo scrivere un
articolo scientifico sulla mia
esperienza estiva e colsi l’occasione
per pubblicare una descrizione del
sistema dell’Abhidharma,
raccontando anche alcune mie
personali esperienze di
meditazione. Studiare
l’Abhidharma mi fece pensare
anche alla sua utilità nella
valutazione degli stati
psichedelici.86
Dopo essermi laureato in
Medicina tornai in California per un
tirocinio in Psichiatria, a
Sacramento. Qui aiutai a formare e
a dirigere un gruppo di meditazione
affiliato al monastero che si riuniva
con cadenza settimanale e che
sponsorizzava i ritiri condotti dai
monaci. Per anni il gruppo si
incontrò a casa mia, ed ebbi molte
occasioni per parlare del mio
interesse per gli psichedelici con i
membri della comunità monastica.
Nel monastero ero stato sottoposto
a un’investitura laica nella setta
buddhista i cui insegnamenti erano
praticati dall’abate, e nel frattempo
mantenevo stretti rapporti con i
miei amici monaci che stavano per
diventare membri anziani della
gerarchia sacerdotale.
Dopo quattro anni di internato in
Psichiatria presso l’Università della
California di Davis, le opportunità
di carriera e di formazione mi
portarono lontano da Sacramento,
ma vi feci ritorno due anni e mezzo
più tardi per unirmi al loro ordine.
Il gruppo di meditazione locale che
avevo contribuito a formare si
riuniva ancora, anche se la struttura
originaria dell’organizzazione aveva
subito un radicale mutamento.
Molti monaci avevano lasciato
l’ovile perché gli insegnamenti
erano diventati sempre più
incentrati sull’insegnante e sulle
sue esperienze spirituali. Allo stesso
tempo, l’abate stava diventando
sempre più solitario e si circondava
solo di assistenti fidati. Inoltre, ora
si era formata una gerarchia
all’interno della comunità laica.
L’atmosfera aveva preso una piega
del tipo “o si è fuori o si è dentro”.
Non vi era più spazio per uno
scambio di idee informale e sereno.
Quando in seguito mi trasferii nel
New Mexico, mi consideravo ormai
solo vagamente affiliato a quella
comunità buddhista allargata che
faceva capo al monastero. Non
avevo intenzione di avere a che fare
con la struttura politica ora
necessaria per avviare un gruppo
locale di meditazione, ma mi misi in
contatto con altri membri della
zona e meditavo regolarmente
insieme a loro in un contesto
informale. Inoltre, restai in contatto
costante con diversi monaci del
monastero centrale, molti dei quali
li conoscevo ormai da vent’anni.
Sebbene la comunità monastica nel
complesso avesse perso parte del
suo lustro, la consideravo la mia
casa spirituale e vi celebrai il mio
matrimonio nel 1990.
Ci sono molti modi in cui la mia
formazione buddhista, sia teorica
che pratica, ha influenzato la ricerca
sulla DMT . Uno di questi era il modo
in cui effettuavamo la supervisione
degli incontri dei volontari con la
DMT .
Il termine con cui si indica
l’attività di supervisione delle
sessioni con gli psichedelici è sitting
(“seduta”). Molti sono convinti che
derivi dall’idea del babysitting,
ovvero l’accudire persone che si
trovano in uno stato di forte
vulnerabilità, dipendenza e a volte
di confusione. Ma il termine sitting
si rivela ancora più importante se
riferito alla meditazione. Io e le
infermiere ricercatrici, sia Cindy
che Laura, facemmo del nostro
meglio per praticare lo “stare
semplicemente in ascolto” mentre
eravamo con i volontari:
osservavamo il respiro, stavamo in
allerta, lo sguardo fisso davanti a
noi, pronti a reagire, mantenendo
un atteggiamento positivo e
consapevole, permettendo ai
volontari di fare la loro esperienza
senza inutili intrusioni da parte
nostra.87
La mia comprensione della
meditazione mi fu inoltre d’aiuto
nel guidare le persone attraverso le
fasi dell’esperienza con la DMT . Ad
esempio, applicai il modello della
mente dell’Abhidharma quando
insegnavo ai volontari a non
lasciarsi travolgere dall’assalto dei
colori o a esplorare lo spazio
all’interno delle venature del legno
della porta quando tenevano gli
occhi aperti. Suggerire ai volontari
di lasciarsi andare, di portare
l’attenzione al respiro e alle
sensazioni del corpo e di mantenere
la mente aperta ma fluida nei
confronti di qualsiasi cosa
incontrassero: tutti questi
strumenti li avevo acquisiti nel
corso di decenni di studio e di
pratica della meditazione.
Un altro esempio di come gli
psichedelici e la meditazione
buddhista trovarono un punto di
congiunzione fu nello sviluppo della
nostra scala di valutazione.
I precedenti questionari di
carattere psicologico volti a
misurare gli effetti delle droghe
psichedeliche avevano delle gravi
mancanze. Ritenevano infatti che
gli psichedelici fossero
“psicotomimetici” o “schizotossici”,
di conseguenza mettevano in rilievo
le esperienze sgradevoli. Molte di
queste scale furono sviluppate da
volontari, a volte detenuti ex
tossicodipendenti, ai quali non
veniva detto quale droga avrebbero
ricevuto, né quali effetti si
sarebbero potuti manifestare.
Come alternativa a questa
modalità di valutare l’esperienza
psichedelica utilizzai un metodo
basato sull’Abhidharma e sugli
skandha per distinguere i diversi
stati mentali. Questo modello
puramente descrittivo ben si
combina con quello che è noto
come “esame dello stato mentale”,
utilizzato nei colloqui con i pazienti
psichiatrici. Mentre si parla con un
soggetto si cerca di esplorare con
delicatezza la qualità delle sue
funzioni cognitive di base, quali
l’umore, il pensiero e le percezioni.
I termini noti nell’Abhidharma –
“forma”, “sensazione”, “percezione”,
“coscienza” e “tendenze abituali” –
divennero lo schema o la struttura
entro cui si sviluppò la scala di
valutazione, nonché il modo in cui
classificammo le risposte a quelle
domande. Ad ogni modo, anziché
chiamarli skandha, per un pubblico
occidentale si rivelò più appropriato
chiamarle “categorie cliniche”.
Distribuimmo e analizzammo
questo nuovo questionario, la Scala
di Valutazione degli Allucinogeni, o
HRS (dall’inglese Hallucinogen
Rating Scale), alla fine di ogni
sessione con la DMT per la durata
dell’intero progetto. I risultati
furono notevoli.
È ormai ben noto nella
psicofarmacologia clinica che un
questionario valido è più sensibile
di qualsiasi altro fattore biologico
nel valutare gli effetti di una droga.
In altre parole, una scala di
valutazione ben progettata
distingue meglio i diversi dosaggi di
una droga, o di differenti tipi di
droghe, rispetto alla misurazione
della pressione, del battito cardiaco
o dei livelli ormonali. Mi auguravo
che anche l’HRS avrebbe seguito
questa tendenza, e lo fece senza
difficoltà. Riuscimmo a distinguere
meglio le risposte alle diverse dosi
di DMT , così come gli effetti della
DMT combinata con altre sostanze,
utilizzando i punteggi dell’HRS
anziché misurando le variazioni di
ogni singolo fattore biologico,
compresi tutti i dati sull’attività
cardiovascolare e sugli ormoni
presenti nel sangue. Peraltro,
questa scala di valutazione
dimostrò la sapienza e la forza
dell’approccio buddhista agli stati
mentali.
Clifford Qualls, medico e
biostatistico che lavorava presso il
Centro di Ricerca, mi affiancò nel
raggruppare le domande dell’HRS
utilizzando la suddivisione in
“categorie cliniche”, ovvero il
metodo basato sugli skandha, e
confrontammo questo metodo di
analisi con un gran numero di
modelli alternativi puramente
statistici. La tecnica
dell’Abhidharma era ugualmente
valida, se non addirittura superiore,
a quelle sviluppate esclusivamente
su basi matematiche. Poiché la
classificazione dei risultati eseguita
tramite computer non era migliore
della classificazione clinica, e dal
momento in cui aveva più senso, a
livello intuitivo, utilizzare gli
skandha, propendemmo per questa
seconda modalità. Da quel
momento in poi, altri gruppi di
ricerca hanno utilizzato l’HRS e ne
hanno confermato l’utilità nel
misurare altri tipi di stati alterati di
coscienza, sia quelli indotti da
droghe che di altro tipo.88
Il Buddhismo mi ha anche aiutato
a dare un senso alle sessioni di DMT .
La sua ampia prospettiva
comprende tutte le esperienze:
spirituali, di pre-morte e perfino
quelle relative ai mondi invisibili e
non materiali. Tuttavia, mi dovetti
scontrare con due gravi limitazioni
dovute alla mia mancanza di
un’educazione buddhista.
Come avrei dovuto rispondere a
un volontario che mi avesse chiesto
se aveva appena vissuto
un’esperienza spirituale indotta
dalla droga? Si trattava di una
“reale” illuminazione oppure no?
Come ho scritto più in dettaglio nel
capitolo 16, Stati mistici, queste
sessioni mi lasciarono senz’altro la
sensazione che fosse avvenuto
qualcosa di veramente profondo. E
non c’era nessun dubbio da parte
dei volontari sul fatto di aver
vissuto l’esperienza più profonda e
intensa della loro vita. Ad ogni
modo, andava oltre la mia
formazione e la mia competenza
stabilire la validità o la
“certificabilità” della comprensione
di un volontario con un modello di
interpretazione diverso da quello
psichiatrico.
Un altro problema era il modo in
cui mettere in relazione ciò che
sapevo sugli approcci buddhisti con
le entità non materiali con i
racconti dei volontari. Ad esempio,
le versioni tibetane e giapponesi del
Buddhismo possiedono un albo
completo di demoni, divinità e
angeli. Avevo interpretato questi
incontri come rappresentazioni
simboliche di alcune qualità di noi
stessi e non come forme di vita
immateriali e indipendenti.
Quando i volontari iniziarono a
raccontare dei contatti, la mia prima
reazione fu: «Oh, questo è qualcosa
di cui si parla anche nel Buddhismo.
Sono solo aspetti della nostra stessa
mente».
Questi incontri, tuttavia, si fecero
sempre più strani, e gli esseri
iniziarono a sottoporre i volontari a
test e perlustrazioni fisiche,
inserendo oggetti al loro interno,
divorandoli o violentandoli. La
struttura di pensiero buddhista non
sembrava in grado di spiegare
questo tipo di esperienze.
Genericamente, potevo applicare il
caratteristico scetticismo del
Buddhismo evitando di considerare
queste storie “speciali” o “reali”. In
pratica, si trattava “semplicemente
di incontri con altri esseri”. Queste
apparenti forme di vita non erano
necessariamente più sagge o
affidabili di qualsiasi altra cosa che
potremmo incontrare nella vita o
nella nostra mente.
Nonostante ciò, avevo bisogno di
una guida sia per le esperienze
spirituali che per gli aspetti del
“contatto” nel nostro lavoro. Iniziai
a condividere le nostre scoperte, e i
miei dubbi, con fidati amici monaci.
Mi rivolsi di frequente alla
Venerabile Margaret, una
sacerdotessa buddhista che avevo
conosciuto nel 1974 durante il mio
primo soggiorno al monastero.89
Formatasi come psicologa clinica,
Margaret era diventata una monaca
buddhista dopo essersi resa conto di
non voler lasciare questo mondo
allo stesso modo in cui vi era
entrata. Prima di cercare di aiutare
gli altri voleva sperimentare la sua
salute mentale e spirituale.
Comunque le piaceva la vita
monastica, e così rimase nel
monastero. Io e lei parlavamo la
stessa lingua, condividevamo le
stesse preoccupazioni e
consideravamo la condizione
dell’uomo dallo stesso punto di
vista, avendo avuto la stessa
formazione professionale.
Prima di dare avvio allo studio
sulla DMT , mi capitò di trascorrere
alcuni giorni al monastero. La mia
avventura di due anni nel labirinto
normativo alla ricerca di permessi e
fondi per iniziare la
somministrazione di DMT stava
volgendo al termine. Margaret era
diventata vice-abate e doveva
rispettare una rigida scala di
impegni. Trovammo comunque
un’occasione per vederci e la
aggiornai sulla mia vita personale e
professionale. La conversazione si
spostò verso il mio interesse nella
somministrazione di DMT a soggetti
umani in un contesto sperimentale.
Avendola resa partecipe della mia
ipotesi che la ghiandola pineale
producesse la DMT durante i
momenti mistici nella nostra vita,
feci una congettura riguardo la sua
possibile implicazione nella morte e
negli stati di pre-morte.
Quella donna smilza e dal capo
rasato congiunse la punta delle dita
davanti alla bocca, tendendole verso
l’interno e verso l’esterno. I suoi
intensi occhi blu si socchiusero e
guardarono oltre le mie spalle, fino
a incontrare la parete bianca dietro
di me.
«Quello che suggerisci è qualcosa
che solo una persona su un milione
potrebbe fare» disse lentamente.
Presi questo commento
intenzionalmente ambiguo come un
incoraggiamento ad approfondire la
questione. Ragionando sul ruolo
degli psichedelici nello sviluppo
spirituale, le feci notare quanti
monaci, ormai appartenenti alla
classe degli anziani, avevano
avvertito per la prima volta la loro
vocazione spirituale dopo aver fatto
uso di LSD o di altre droghe.
Margaret rise. «Sai, francamente
non ti so proprio dire se i miei trip
con l’LSD mi abbiano aiutato o meno
nella pratica spirituale!»
«Difficile da dire, non è vero?»
replicai.
«Già».
Guardò il suo orologio, raccolse la
sua tazza di tè e si congedò
educatamente.
L’anno seguente, il 1990, mi
sposai al monastero. Durante un
incontro separato prima della
cerimonia, chiacchierai con altri
due monaci miei amici che adesso
occupavano alcune delle cariche più
alte all’interno dell’ordine.
Entrambi avevano fatto uso di
droghe psichedeliche al college
insieme a un altro ragazzo che poi
sarebbe diventato un mio caro
amico in New Mexico. Questa
nostra conoscenza comune era
famosa per utilizzare l’MDMA
all’interno di un contesto
psicoterapeutico. Entrambi i
monaci mi chiesero di lui e del suo
studio con la MDMA , e restarono
altrettanto affascinati dai miei
progetti di studio sulla DMT .
Dopo aver concluso lo studio sulla
reazione alla dose nel 1992, scrissi
una lunga lettera a Margaret in cui
descrivevo l’intera serie di storie
che i volontari avevano condiviso
con noi, incluse quelle relative alle
esperienze di pre-morte, di
illuminazione e di contatto con
entità. Inoltre la resi partecipe della
mia sensazione che il setting fosse
troppo asettico e che i volontari
conoscessero troppo bene le droghe
psichedeliche perché potessero
trarne un qualche beneficio reale.
Sollevai la questione di provare ad
aiutare le persone in maniera più
diretta, attraverso un progetto di
psicoterapia con l’ausilio di
psilocibina sui malati terminali.
Ero stato condotto verso uno
studio con i malati terminali perché
il lavoro in questo settore si era
rivelato promettente durante la
prima ondata della ricerca
psichedelica negli anni ’60. Inoltre,
l’enfasi sugli effetti positivi di
esperienze spirituali e di pre-morte
rese possibili dagli psichedelici
aveva suscitato il mio profondo
interesse.
«Davvero interessante!» mi
rispose Margaret. «Ma qual è lo
scopo di tutto questo? Forse un
futuro lavoro di “aiuto” darà
maggiore visibilità a questo tipo di
ricerca». Si domandava anche del
rapporto rischi-benefici,
suggerendomi di intraprendere uno
studio del genere solo se fossi stato
sicuro di una minima quantità di
rischi e di un altrettanto alta
probabilità di benefici.
Intuitivamente, mi chiedeva anche
di considerare la mancanza di
tempo a disposizione per far fronte
a qualsiasi incidente derivante da
una seduta di psilocibina dolorosa e
problematica.
Gli anni passarono velocemente, e
prima della fine del 1994 le
domande che mi ponevo sull’utilità
della mia ricerca psichedelica si
erano fatte più numerose. Gli effetti
negativi si accumulavano e i
benefici a lungo termine erano
difficili da attestare. Inoltre, il
costante contatto con i volontari
sotto effetto psichedelico iniziava a
stancarmi. Misi al corrente
Margaret di questi sviluppi.
Come sempre, mi sosteneva in
quello che sembrava più utile per la
mia personale crescita spirituale. Se
ciò avesse implicato lasciar perdere
la ricerca, lo avrebbe capito. Ad ogni
modo, mi incoraggiò a cercare
qualcuno al quale poter trasferire il
progetto, affinché il lavoro che
avevo iniziato non terminasse in
mia assenza.
Le ulteriori circostanze, descritte
nell’ultimo capitolo, mi portarono a
trasferirmi in Canada, anche se
andavo continuamente ad
Albuquerque per continuare a
condurre gli studi. Dopo essermi
trasferito, conobbi i membri del
gruppo locale di meditazione degli
affiliati al monastero e iniziai a
partecipare a degli incontri di
meditazione. In uno stato federale
dall’altra parte del confine vi era
uno dei rami più importanti
dell’ordine, e il loro abate
programmò un ritiro presso la
nostra comunità. La Venerabile
Gwendolyn arrivò e diede inizio a
un seminario di un fine settimana.
Gwendolyn era entrata nell’ordine
principale direttamente dalla casa
dei genitori. Presso il monastero
aveva avuto una serie di esperienze
spirituali di incredibile profondità
ed era un’insegnante di alto livello.
Nonostante ciò, non era altrettanto
esperta delle cose del mondo, e far
funzionare un centro di
meditazione in una città era una
grande sfida per le sue capacità
relazionali.
Durante una seduta di counseling
pastorale con Gwendolyn, la misi al
corrente della ricerca condotta in
New Mexico e di alcune delle mie
crescenti perplessità a riguardo. Ero
contento di poter esporre la mia
storia a una monaca che non sapeva
nulla di me, e ascoltare un punto di
vista diverso.
Rimasi sorpreso quando, una
settimana dopo, sentii la voce di
Gwendolyn al telefono.
«Dopo aver parlato con te sono
stata male per tre giorni, la cosa mi
ha turbato. Ho chiamato l’abate, che
come sai sta per morire. Questa è
stata la prima questione di cui si sia
occupato personalmente in più di
un anno. Ho parlato con lui, così
come con altri monaci anziani.
Abbiamo deciso che devi terminare
immediatamente la tua ricerca.
Questa settimana ti scriverò una
lettera più formale».
«Fammici pensare» le risposi.
Dopo due settimane mi arrivò una
lettera, ma non da Gwendolyn,
bensì da Margaret. Iniziava dicendo:
«Spero che quello che ho sentito
indirettamente non sia vero. Ma se
lo è, fammi dire questo». Con
questa premessa, avviava un’accusa
contro la mia ricerca: quella
passata, presente e perfino quella in
progetto.
«La tua ricerca in campo
psichedelico, in sostanza, è inutile,
priva di alcun reale beneficio per
l’umanità, e pericolosa; l’idea di
somministrare degli psichedelici ai
malati terminali è estremamente
pericolosa. È la cosa più simile al
voler “giocare a essere Dio” che
abbia mai visto nel settore della
salute mentale. Il tentativo di
indurre esperienze di illuminazione
tramite delle sostanze chimiche non
potrà mai avere successo. Quel che
farà, invece, sarà provocare una
gran confusione nelle persone, con
gravi ripercussioni su di te».
La lettera di Gwendolyn arrivò il
giorno dopo.
«[La tua ricerca] rappresenta un
errato mezzo di sostentamento,
secondo gli insegnamenti del
Buddha. È ingannevole che la DMT
possa generare delle esperienze di
illuminazione e va contro gli
insegnamenti del Buddha. I disturbi
e la confusione mentale causati
dagli allucinogeni ostacolano
l’insegnamento religioso e possono
provocare la rinascita in mondi
caratterizzati da confusione e
sofferenza. Questo è
l’insegnamento e anche il mio
punto di vista, [dell’abate],
[dell’ordine] e di tutto il
Buddhismo. Ti esortiamo a cessare
tali esperimenti».
Ricordai a questi monaci degli
anni trascorsi a parlare del mio
interesse nel campo della ricerca
psichedelica e della mia intenzione
di realizzarla. Sottolineai, inoltre, il
continuo interessamento per il mio
lavoro da parte dei membri della
comunità e il fatto che all’epoca non
vi fu mai alcuna raccomandazione
per evitarlo o abbandonarlo. Al
contrario, vi erano stati entusiasmo
e incoraggiamento a sfruttare questi
miei interessi per andare più in
profondità nel mio rapporto
spirituale con il mondo esterno.
Ricordai le numerose conversazioni
avute con i monaci che avevano
confermato l’importanza delle loro
esperienze psichedeliche nel
condurli verso i primi barlumi di
illuminazione.
Inoltre, ero desideroso di
discutere di alcune delle loro
preoccupazioni. Tra queste, gli ovvi
problemi legati alla credenza che un
certo tipo di conoscenza fosse
accessibile solo con l’ausilio di un
agente esterno, cioè una droga.
Accettavo anche la possibilità
teorica, messa in luce da
Gwendolyn, che qualcuno potesse
confondere un flashback
psichedelico con una reale
esperienza di illuminazione.
Tuttavia, nessuno dei miei
tentativi per ampliare il dialogo
ebbe esito positivo.
Cosa stava succedendo?
L’abate stava per morire e cercava
di fare in modo che i suoi
insegnamenti restassero il più
possibile incontaminati. Inoltre, i
monaci anziani cercavano di
influenzare le cariche elettive che
avrebbero determinato il futuro
della comunità. Chi era il più
fervido difensore
dell’insegnamento? Coloro che
inizialmente erano arrivati al
Buddhismo tramite le proprie
esperienze psichedeliche positive
dovevano starsene zitti e fare
quadrato con quelli che non
avevano avuto la stessa esperienza.
Gli psichedelici non potevano
diventare motivo di divisione in un
momento così delicato
dell’esistenza del monastero.
In seguito, nell’autunno del 1996,
su un numero della rivista
buddhista americana Tricycle. The
Buddhist Review comparve un mio
articolo nel quale si parlava del
ruolo degli psichedelici all’interno
della pratica buddhista.
In questo articolo presentai la
prima sessione di Elena con la dose
elevata, della quale abbiamo letto
nel capitolo 16, Stati mistici. La sua
esperienza costituiva l’esempio
della possibilità di una svolta
spirituale con la DMT in tutti coloro
che si mostrano ricettivi, ovvero
persone con una seria pratica di
meditazione alle spalle, una certa
solidità a livello psicologico e un
atteggiamento di umiltà e profondo
rispetto nei confronti di droghe
come la DMT . Avevo anche esternato
la preoccupazione che esperienze
isolate, all’interno di un contesto né
spirituale né terapeutico, non
fossero particolarmente efficaci nel
portare grandi cambiamenti a lungo
termine nei volontari. Per finire,
concludevo nella maniera che
segue: «Credo che vi siano dei modi
in cui il Buddhismo e la comunità di
ricerca psichedelica possano trarre
dei vantaggi reciproci da un aperto,
sincero, interscambio di idee,
pratiche e principi morali. La
strutturazione etica e metodica
della vita, dell’esperienza e delle
relazioni fornita da migliaia di anni
di tradizione buddhista condivisa ha
molto da offrire alla comunità
psichedelica. Questa tradizione ben
sviluppata potrebbe infatti dare
senso e coerenza alle esperienze
psichedeliche isolate, sconnesse e
non complete. Senza l’amore e la
compassione che si alimentano con
un esercizio quotidiano, la saggezza
che deriva dall’esperienza
psichedelica potrebbe essere
dilapidata da un eccesso di
narcisismo e autoindulgenza. Se
questo si può verificare anche
all’interno della tradizione
contemplativa buddhista, è
comunque meno probabile che
accada quando ci si trova in una
comunità dinamica di praticanti, in
un sistema di controlli ed equilibri.
Dall’altro lato, gli zelanti
praticanti buddhisti con uno scarso
successo nelle loro meditazioni, ma
ben avanti quanto a sviluppo
morale e intellettuale, potrebbero
trarre beneficio da una sessione
psichedelica attentamente
monitorata e preparata per
accelerare la loro pratica. Gli
psichedelici possono fornire una
prospettiva. E una prospettiva, a
una persona che abbia tali
inclinazioni, può essere di stimolo
al lungo e duro lavoro che occorre
per renderla una realtà vivente».90
Questo articolo segnò il mio
destino nella comunità monastica.
La mia affiliazione a vita nell’ordine
ne avrebbe risentito. Gwendolyn
inviò delle copie dell’articolo
comparso sul Tricycle ai membri
del mio nuovo gruppo di
meditazione, oltre che ad altri
gruppi e al monastero. All’interno vi
scarabocchiò alcuni dei commenti
che avevo fatto durante quella che
credevo fosse stata una seduta
confidenziale di counseling
pastorale. Scrisse alla
congregazione locale, dicendogli di
non venire a casa mia perché
potevano esserci delle droghe
psichedeliche.
Il suo comportamento fu la goccia
che fece traboccare il vaso
dell’intera faccenda. Sporsi un
reclamo ufficiale contro la sua
violazione del rapporto
confidenziale. Per quanto mettessi
in discussione il comportamento di
Gwendolyn, volevo una
dichiarazione definitiva dell’ordine
in merito alla sua posizione nei
confronti della mia ricerca.
Risposero a entrambe le questioni.
L’osservatorio monastico fu
d’accordo nel riconoscere che
Gwendolyn aveva violato il rapporto
confidenziale, ma lo aveva fatto per
un «bene maggiore», «per evitare
che venissero commessi degli errori
in nome del Buddhismo». Nessuno
può dirsi buddhista se riconosce
agli psichedelici un qualche ruolo
nel Buddhismo stesso.
Potevo fare ben poco. La santità
aveva vinto sulla verità. Questo
particolare aspetto del Buddhismo
non differiva molto da qualsiasi
altra istituzione la cui
sopravvivenza dipendeva da una
piattaforma di idee uniformemente
accettate. Solo essi potevano
determinare quali domande erano
ammissibili e quali no.
In seguito seppi che la comunità
monastica aveva eletto Margaret a
capo dell’ordine. Le elezioni
andarono bene anche per i due
monaci che avevano fatto uso di
psichedelici anni prima con quel
mio amico del New Mexico. Uno fu
eletto abate del monastero, mentre
l’altro vice-abate. E così anche le
ambizioni politiche erano più
importanti di un dialogo sincero.
L’organizzazione non avrebbe mai
ammesso e discusso apertamente
del fatto che i loro tre insegnanti
più importanti avessero fatto uso in
passato di LSD o che avessero scelto
la vita monastica in seguito
all’ispirazione provocatagli dalla
droga.
Nonostante riuscissi a vedere
oltre quell’ipocrisia che stava alla
base del disconoscimento del mio
lavoro da parte dei membri del
monastero, ne pagai comunque il
prezzo.
Insieme agli eventi e alle
circostanze descritti nell’ultimo
capitolo, la mia energia per
continuare la ricerca si affievolì
notevolmente. Dopo due lunghi
viaggi ad Albuquerque per
proseguire la ricerca, l’ulteriore
pressione esercitata dalla mia
comunità spirituale diede il colpo di
grazia a quel che rimaneva del mio
desiderio di continuare lo studio.
Era ora di fermarsi.
Diedi le dimissioni dall’università
e restituii alla NIDA le droghe e i
fondi che mi avevano concesso
l’anno precedente. Scrissi dei
resoconti conclusivi su tutti i
progetti e ne inviai delle copie ai
comitati e alle commissioni che
avevano collaborato con me nel
corso degli ultimi sette anni. La
farmacia pesò tutte le nostre
droghe, le impacchettò e le inviò a
un deposito protetto vicino a
Washington DC. Le forniture di DMT ,
psiclocibina e LSD si trovano ancora
lì.

86. Rick J. Strassman e Marc Galanter, The


Abhidharma: A Cross-Cultural Application of
Meditation, in «International Journal Social
Psychiatry», n. 26, 1980, pp. 283-290.

87. Questo metodo è alquanto simile a quello


che Freud chiama “attenzione ugualmente
fluttuante” da parte di uno psicanalista
qualificato. L’analista fornisce supporto
ascoltando seduto attentamente, per lo più in
silenzio, a fianco o dietro il divano del paziente.
Questo tipo di ascolto e di osservazione discreta
da parte dell’analista rispecchia in gran parte ciò
che si verifica interiormente durante la
meditazione Zen.

88. Ad esempio ci sono ora traduzioni dell’HRS in


diverse lingue, tra cui spagnolo, italiano, russo,
portoghese, tedesco e olandese. Diversi gruppi di
ricerca nel mondo l’hanno utilizzata per
misurare gli effetti della ketamina,
dell’ayahuasca, delle anfetamine, della
psilocibina e dell’MDMA . Un gruppo di ricercatori
tedeschi per mezzo dell’HRS ha perfino misurato
alcune caratteristiche che si manifestano nelle
psicosi spontanee.

89. Come in molte comunità monastiche


religiose tradizionali, Margaret adottò un nuovo
nome dopo essere entrata nell’ordine
sacerdotale. Dal momento che il suo e altri nomi
sono giapponesi, e siccome non conosco questa
lingua e mi dispiacerebbe inventare un nome
che casualmente potrebbe avere un significato
deplorevole o imbarazzante, ho deciso di usare
degli pseudonimi inglesi.

90. Rick J. Strassman, DMT and the Dharma, in


«Tricycle, The Buddhist Review», n. 6, 1996, pp.
81-88.
PARTE VI

COSA PUÒ E
POTRÀ ESSERE
Capitolo 21
DMT: LA MOLECOLA
DELLO SPIRITO

Sembra assurdo che una sostanza


chimica così semplice come la DMT
possa dare accesso a una così
straordinaria varietà di esperienze:
da quella meno drammatica a
quella più incredibilmente
devastante; dalle intuizioni di
carattere psicologico agli incontri
con gli alieni; dal terrore abietto
all’incontenibile beatitudine;
esperienze di pre-morte, di
rinascita, di illuminazione. Ognuna
di queste scaturiva da una sostanza
chimicamente imparentata con la
serotonina, neurotrasmettitore
cerebrale tra i più noti e
fondamentali.
È emozionante chiedersi perché la
Natura, o Dio, abbiano creato la
DMT . Quale vantaggio biologico o
evolutivo scaturisce dal fatto che
alcune piante vegetali e il nostro
corpo sintetizzano la molecola dello
spirito? Se la DMT viene davvero
rilasciata nei momenti più
stressanti della nostra vita, è una
coincidenza o si tratta di qualcosa di
voluto? E in quest’ultimo caso, per
quale ragione?
Nei resoconti dei casi abbiamo
visto quanto sorprendentemente si
somiglino le esperienze dei
volontari e gli stati di coscienza
psichedelici che si verificano in
maniera spontanea. Non si può
ignorare il sovrapporsi delle
descrizioni riportate dai soggetti
della ricerca nelle sessioni con dosi
elevate di DMT con quelle di persone
che hanno vissuto spontaneamente
esperienze spirituali, mistiche o di
pre-morte. Anche se prima di
iniziare il nostro lavoro non mi
aspettavo che i contatti con entità
non materiali sarebbero stati così
frequenti, la rassomiglianza tra
quelli avvenuti “sul campo” e quelli
avvenuti nella stanza 531 è
indiscutibile.
Le somiglianze tra i fenomeni
spontanei e quelli indotti dalla DMT
avvalorano la mia tesi secondo cui
le esperienze “psichedeliche”
spontanee sono mediate da elevati
livelli di DMT endogena. Nel capitolo
4, La pineale psichedelica, ho
elencato una serie di situazioni di
carattere biologico in cui la
ghiandola pineale può sintetizzare
la DMT , immaginando le
implicazioni metafisiche e spirituali
di queste possibilità.
Come potrebbe allora questa
molecola dello spirito – sia che
venga prodotta dall’interno
attraverso queste ipotetiche vie
biologiche, o assunta dall’esterno
come nel caso del nostro studio –
modificare in maniera così radicale
le nostre percezioni? In questo
capitolo lasceremo la nostra
immaginazione libera di prendere
in considerazione ogni possibilità.
La maggior parte di noi, inclusi i
neuroscienziati più cocciuti e i
mistici non materialisti, accetta
l’idea che il cervello sia una
macchina, lo strumento della
coscienza. È un organo formato da
cellule e tessuti, proteine, grassi e
carboidrati. Elabora i dati sensoriali
grezzi che gli vengono inviati dagli
organi di senso tramite elettricità e
sostanze chimiche.
Se accettiamo il modello che il
cervello funziona da “ricevitore
della realtà”, paragoniamolo allora a
un altro ricevitore che tutti
conosciamo: la televisione.
Attraverso l’analogia tra cervello e
TV ci si può fare un’idea di come gli
stati alterati di coscienza, compresi
quelli psichedelici indotti dalla DMT ,
siano collegati al cervello come a un
sofisticato ricevitore.
Il livelli di cambiamento più
semplici e comuni a cui dà accesso
la molecola dello spirito sono quelli
personali e psicologici. Tali effetti
potrebbero essere come la
regolazione delle immagini sullo
schermo, quando si sistema il
contrasto, la luminosità e lo schema
dei colori. Queste “immagini” sono
fatte da sensazioni, ricordi e
percezioni che non sono del tutto
insolite o inattese. Non vi è nulla di
particolarmente nuovo, ma quello
che c’è viene ora visto con una
chiarezza maggiore e nei più piccoli
dettagli.
Dosi minime di DMT provocavano
questo tipo di risposte nei nostri
volontari. Qualche volta si
verificavano addirittura con le dosi
elevate in coloro i cui bisogni e
formazione richiedevano una
revisione più profonda della propria
vita e delle proprie relazioni.
Nel realizzare tali aggiustamenti
della coscienza la DMT non è molto
diversa da altre droghe o metodi che
si utilizzano in psicoterapia. Gli
eccitanti, in particolare le
anfetamine e le metanfetamine
come la MDMA , amplificano i
processi mentali in un modo
potenzialmente utile, e rendono più
facile ricordare e pensare.
Ingrandendo e chiarificando i
sentimenti legati a tali ricordi e
pensieri, ci permettono di
affrontare e accettare quelle
emozioni e di andare oltre.
Molti di questi meccanismi si
applicano anche in profonde sedute
di psicoterapia. La perseveranza e il
supporto del terapeuta nel portare
alla luce ricordi dolorosi e nel
gestire le forti emozioni da essi
evocate hanno effetti positivi simili.
Nel nostro lavoro con la DMT ,
abbiamo visto gli effetti indotti
dalla droga sullo stato mentale
ordinario combinarsi con i nostri
atteggiamenti solidali e
incoraggianti per far emergere
nuove e profonde intuizioni
personali.
Ad esempio, Stan riuscì a
percepire in maniera più intensa e
diretta l’ansia e lo stress causati dal
suo divorzio e le sue ripercussioni
sulla figlia. Marsha, nelle sue
surreali sedute popolate da
caricature che incarnavano l’ideale
di bellezza anglosassone, riuscì ad
affrontare il dolore derivante dalla
difficoltà del marito di accettarla
per come era realmente, sia dal
punto di vista fisico che culturale.
Cassandra comprese finalmente la
relazione tra la brutale violenza
subita e il dolore addominale che si
portava dietro da molti anni,
iniziando così a liberarsene.
Ci possono essere anche delle
componenti biologiche in alcuni
degli effetti liberatori, terapeutici e
curativi che abbiamo visto in questo
tipo di sessioni.
Ad esempio, l’euforia provocata
dalla DMT aiutava i volontari a
osservare la propria vita e i propri
conflitti con un atteggiamento più
risoluto. Queste sensazioni
estatiche possono essere legate in
parte al forte afflusso, indotto dalla
DMT , di beta-endorfine, sostanze
simili alla morfina prodotte dal
cervello. La DMT stimolava inoltre
un consistente aumento della
vasopressina e della prolattina nel
cervello. Gli scienziati ritengono
che questi composti siano
importanti per le sensazioni di
legame, attaccamento e solidarietà
verso gli altri membri della specie.
Forse l’aumento di queste sostanze
cerebrali rese più facile per i
volontari fidarsi di noi, lasciarsi
andare agli effetti della droga ed
esprimere con forza dinamiche
personali attraverso modalità prima
d’allora inimmaginabili.
Cosa succede quando la molecola
dello spirito ci spinge e ci forza oltre
i livelli fisici ed emozionali della
consapevolezza? Entriamo
all’interno di mondi invisibili,
mondi che normalmente non
percepiamo e della cui esistenza
abbiamo solo una vaga idea. Ancora
più sorprendente è che questi
mondi sembrano essere abitati.
A un certo punto, decisi di
prendere per buoni i resoconti dei
volontari. Questo esperimento
mentale prese il posto della mia
tendenza originaria a giustificare,
interpretare o ridurre le loro
esperienze a qualcos’altro, come ad
esempio ad allucinazioni di un
cervello confuso, a sogni o a un
simbolismo psicologico. Adesso,
dopo anni di ulteriori ricerche e
riflessioni, credo che valga la pena
considerare seriamente la
possibilità che queste esperienze
fossero proprio ciò che
apparivano.91
Ho faticato personalmente e
professionalmente per sviluppare le
seguenti spiegazioni radicali degli
apparenti contatti dei volontari con
entità non materiali. Anche dopo
averle esposte, resto comunque
scettico sul loro valore. Perché non
potevo attenermi ai modelli testati e
provati della biologia o della
psicologia tradizionale?
Dal punto di vista delle
neuroscienze, forse i nostri
volontari avevano vissuto una
vivida esperienza allucinatoria
causata dall’attivazione da parte
della DMT dei centri cerebrali
responsabili della vista, delle
emozioni e del pensiero. Dopotutto,
le persone quando sognano sono
completamente trasportate
all’interno della realtà
dell’esperienza che stanno vivendo.
I rapidi movimenti oculari che si
verificavano talvolta nei nostri
soggetti avrebbero potuto indicare
la presenza di uno stato di sogno
lucido.
Tuttavia, i volontari erano
convinti che ci fossero delle
differenze tra ciò che
sperimentavano durante il contatto
con entità indotto dalla DMT e i loro
sogni ordinari. Il fatto di osservare
le stesse cose con gli occhi aperti e
con gli occhi chiusi, in uno stato di
coscienza vigile e attento, gli
rendeva difficile accettare che fosse
semplicemente un sogno. Anche per
me era diverso ascoltare le loro
storie di incontri rispetto ai sogni
raccontati durante una seduta di
psicoterapia. I resoconti dei nostri
volontari erano così chiari,
convincenti e “reali” che continuavo
a pensare: «Non ho mai sentito
niente del genere nei sogni dei miei
pazienti. Sono molto più bizzarri,
ben ricordati ed emotivamente
coerenti».
Per di più, una spiegazione
biologica sulla falsariga del sogno
lucido o delle allucinazioni
produceva di solito nei volontari
una certa resistenza. Ciò poteva
creare un sottile attrito che avrebbe
limitato la profondità delle loro
condivisioni e rivelazioni, così
preziose per il nostro lavoro
insieme. Un soggetto della ricerca
avrebbe potuto usare queste parole:
«No, non era un sogno o
un’allucinazione. Era reale. Ti posso
spiegare la differenza. Ma se credi
che lo sia, allora terrò per me gli
aspetti più strani della mia
sessione!»
Qualsiasi tentativo di utilizzare i
modelli esplicativi della psicologia
rendeva i volontari ancora più
inclini a respingere le mie
interpretazioni in quanto inaccurate
o inappropriate. I modelli della
psicanalisi freudiana avrebbero
spiegato le esperienze di contatto
con entità come manifestazioni di
conflitti inconsci legati a impulsi di
rabbia, di natura sessuale o di
dipendenza. Ci sono stati
certamente alcuni casi in cui ho
utilizzato questo approccio per
reagire ad alcune sessioni
particolarmente surreali. Tuttavia,
non potevo suggerire in buona
coscienza che dietro le
manipolazioni e le comunicazioni
con gli esseri vi fosse un qualche
impulso inconscio represso che
affondava le sue origini
nell’infanzia.
La psicologia junghiana dà una
visione più ampia del linguaggio
dell’inconscio, e include nel suo
sistema i campi della mitologia,
dell’arte e della religione più di
quanto non faccia la scuola
freudiana. Nonostante ciò, si tratta
comunque di un modello
psicologico e non di un modello
fisico o biologico. Ad esempio, Jung
si riferisce all’immagine di “oggetto
volante non identificato” come a un
desiderio di completezza
rappresentato dal cerchio.
Interpretare gli esseri come
costrutti o proiezioni mentali,
indipendentemente dall’ampiezza
della scala, continua a convertire
l’esperienza in “qualcos’altro”. Non
si concentra sulla schiacciante e
convincente sensazione di certezza
provata dalla persona che ha vissuto
l’esperienza.
Al di là di tali questioni
intellettuali, dovevo affrontare
continuamente la sfida emotiva
dello sviluppare una relazione tra le
esperienze dei volontari e la mia
capacità di spiegarle. I miei studi, la
mia formazione e la mia esperienza
si armonizzavano bene con le
descrizioni delle sessioni personali
e transpersonali dei volontari, tra
cui quelle che affrontavano
“sentimenti e pensieri”, stati di pre-
morte e di rinascita ed esperienze
mistiche. Comprendevo queste
esperienze, i volontari sentivano
che li stavo seguendo e che gli
rispondevo in modo appropriato, e
per questo l’attrito era minimo.
Ad ogni modo, ogni volta che
cercavo di reagire alle sessioni di
contatto con le entità sulla base
delle mie vecchie nozioni o
credenze, semplicemente non
funzionava. Ero bloccato. Così,
decisi di dedicarmi all’esperimento
mentale a cui faccio riferimento alla
fine del capitolo 13, Contatto
attraverso il velo: 1. Praticamente,
cercavo di rispondere ai resoconti di
contatto con entità come se fossero
veri. All’inizio, questo richiedeva
semplicemente di ascoltare e di
chiedere dei chiarimenti. In seguito,
mano a mano che i racconti
aumentavano, potevo
empaticamente riferirmi ai
resoconti di altre persone facendo
capire ai volontari che io li
comprendevo e accettavo quello che
avevano da dire. In questo modo
potevano condividere con me i loro
incontri più insoliti e imbarazzanti.
Quindi, consideriamo l’ipotesi che
quando i nostri volontari
viaggiavano oltre i confini della DMT ,
quando si sentivano come se si
trovassero altrove, stessero davvero
percependo diversi livelli di realtà.
Tali livelli alternativi sono reali
come quello in cui ci troviamo. Il
fatto è che il più delle volte non
siamo in grado di percepirli.
Avanzando questa ipotesi, non
voglio scartare i modelli
neurochimici e psicologici.
Piuttosto, vorrei aggiungere le
possibilità che abbiamo preso in
considerazione per elaborare
spiegazioni utili per i volontari,
intellettualmente soddisfacenti per
i ricercatori e magari anche
verificabili con metodi non ancora
inventati ma teoricamente possibili.
Ritornando all’analogia con la TV ,
questi casi suggeriscono che, invece
di aver modificato solo la
luminosità, il contrasto e i colori del
programma precedente, abbiamo
cambiato canale. Non è più Canale
Normale, il programma che
guardiamo nella realtà di tutti i
giorni.
La DMT fornisce un accesso
regolare, ripetuto e affidabile ad
“altri” canali. Gli altri piani di
esistenza sono sempre lì. In effetti,
sono proprio qui, vengono
trasmessi costantemente! Ma non
possiamo percepirli perché non
siamo stati programmati per farlo; i
nostri circuiti ci mantengono
sintonizzati su Canale Normale.
Bastano solo uno o due secondi –
quei pochi battiti che servono alla
molecola dello spirito per
raggiungere il cervello – per
cambiare canale e aprire la nostra
mente a questi altri piani di
esistenza.92
Come può avvenire questo?
Capisco ben poco delle teorie della
fisica sugli universi paralleli e la
materia oscura. Quello che so,
comunque, mi porta a considerarli
possibili luoghi in cui la DMT ci può
condurre una volta che ci siamo
lasciati alle spalle tutto ciò che è
personale.
I fisici teorici propongono
l’esistenza degli universi paralleli
basandosi sul fenomeno
dell’interferenza. Una delle
dimostrazioni più semplici di come
funziona l’interferenza è ciò che
accade a un fascio di luce che passa
attraverso una fessura o un buco su
un cartoncino. Sulla superficie dove
la luce è proiettata appaiono alcuni
cerchi e bordi colorati, e non i
semplici contorni del cartoncino
come ci si aspetterebbe. Gli
scienziati, grazie a questo e ad altri
esperimenti più complessi, hanno
concluso che ci sono delle particelle
di luce “invisibili” che
interferiscono con quelle che
vediamo noi, e che deviano la luce
in maniera imprevedibile.
Quando ha luogo l’interferenza,
gli universi paralleli interagiscono
gli uni con gli altri. In teoria, esiste
un numero impensabile di universi
paralleli, o “multiversi”, ognuno dei
quali è simile al nostro ed è
governato dalle stessi leggi fisiche.
Quindi, non ci sarebbe nulla di
particolarmente strano o diverso in
questi altri mondi. Tuttavia, quello
che li rende paralleli è che le
particelle che li compongono sono
posizionate in maniera diversa in
ogni universo.
La DMT potrebbe permettere al
nostro cervello ricevitore di
percepire questi multiversi.
Lo scienziato britannico David
Deutsch, autore de La trama della
realtà, è uno dei massimi teorici in
questo campo.93 Abbiamo
intrattenuto una corrispondenza
per discutere se la DMT potesse
modificare le funzioni cerebrali e
quindi rendere possibile l’accesso
agli universi paralleli o la
consapevolezza di essi. Deutsch
dubitava che fosse possibile perché
ciò avrebbe richiesto il “calcolo
quantistico”, «in grado di
distribuire le componenti di un
compito complesso a grandi numeri
di universi paralleli, per poi
condividere i risultati». Quindi, il
suo potenziale potere è
inimmaginabile. Una delle
condizioni necessarie per il calcolo
quantistico è una temperatura
vicina allo zero assoluto, come il
freddo che c’è nello spazio
profondo. Pertanto, un contatto
prolungato tra gli universi è
improbabile in un sistema
biologico.
Nonostante questo, un tempo i
fisici credevano che la
superconduttività – quando
l’elettricità passa attraverso cavi
elettrici o altro materiale con una
resistenza quasi nulla – potesse
avvenire solo a temperature
altrettanto basse. Tuttavia, nel
corso degli ultimi dieci-quindici
anni i chimici hanno sviluppato
nuovi materiali che permettono la
superconduttività a temperature
sempre più alte. Infatti si pensa che
un giorno la superconduttività potrà
avvenire anche a temperatura
ambiente.
Chiesi a Deutsch se il futuro del
calcolo quantistico avrebbe potuto
seguire una traiettoria simile.
Sebbene considerasse questa
un’analogia «abbastanza
ragionevole», riteneva che la
complessità del calcolo quantistico
fosse di gran lunga superiore a
quella della superconduttività. «Un
computer quantistico che funzioni a
temperatura ambiente sarebbe
qualcosa di enormemente più
sorprendente della
superconduttività a temperatura
ambiente».94
Sapendone poco di fisica teorica,
ci sono meno vincoli che mi
frenano nel considerare ipotesi del
genere. Il fatto che l’analogia tra la
superconduttività e il calcolo
quantistico sia «abbastanza
ragionevole» mi incoraggia a fare il
passo successivo nel formulare
delle teorie sulla DMT e il cervello.
In uno scenario del genere, la DMT
sarebbe l’ingrediente principale che
modifica le proprietà fisiche del
cervello in modo che il calcolo
quantistico possa avvenire alla
temperatura del corpo. Se così
fosse, “guardare dentro” gli universi
paralleli sarebbe un risultato
possibile.
Su questa falsariga, tuttavia,
Deutsch non pensava che dare
un’occhiata agli universi paralleli
sarebbe stato particolarmente
strano. «Anche se ci fosse una
computazione quantistica nel
cervello» disse, «a livello soggettivo
non si avrebbe la percezione di
“vedere dentro i reami quantici”
[espressione mia]. Non ci sarebbe
proprio nulla di speciale. Proprio
come in ogni altro esperimento
sull’interferenza, una persona
dovrebbe lavorare all’indietro
partendo dalla logica, dalla statistica
e dalla complessità del risultato dei
pensieri di un soggetto per dedurre
che questi abbia pensato “in
maniera quantistica” prima di
ottenere quel risultato».95
Il commento di Deutsch su
quanto normale possa sembrare un
universo parallelo mi ricorda alcune
delle storie di cui abbiamo sentito
parlare nel capitolo 12, Mondi
invisibili: incontri che sembravano
apparentemente normali; esistenze
ordinarie che non avevano
assolutamente niente a che fare
quello che stava accadendo al
Centro di Ricerca; persone, scene e
interazioni che in tutto e per tutto
sembravano essere paralleli
all’esistenza del qui e ora.
Si consideri, ad esempio,
l’atterraggio di Sean all’interno
della scena di una famiglia
incredibilmente normale in quella
che sembrava una zona rurale del
Messico, e l’incontro di Heather con
la donna che parlava spagnolo e che
ripetutamente le gettava davanti
una coperta bianca. Inoltre, molti
volontari si erano trovati all’interno
di stanze vuote, corridoi o
appartamenti che sembravano
simili a quelli presenti in questo
mondo, ma con alcune differenze.
Dall’altro lato, mi chiedo se gli
universi paralleli che si sono
formati, come il nostro, miliardi di
anni fa ci apparirebbero
particolarmente familiari. Per
quanto le stesse leggi fisiche e
biologiche possano influenzare il
nostro e gli altri mondi, gli
organismi e le tecnologie che si
sono sviluppati potrebbero aver
preso una piega incredibilmente
diversa. Forme di vita intelligenti
rettiliane, insettoidi e dalle
sembianze irriconoscibili non
dovrebbero dunque essere
sorprendenti, né la tecnologia
spaziale avanzata dei viaggi nel
tempo, i supercalcoli e la
combinazione di biologia e
tecnologia, così come riportato da
molti volontari.
I mondi più strani ai quali la DMT
potrebbe condurci sono quelli che si
trovano all’interno del misterioso
spazio della materia oscura. Lì, che
potrebbe davvero essere anche qui,
nessuno sa cosa troverà.
La materia oscura comprende
almeno il 95% della massa di questo
universo. In altre parole, quasi tutta
la materia dell’universo è invisibile.
Non possiamo vederla. Non produce
né riflette alcun tipo di radiazione,
visibile o di altro genere. Sappiamo
che si trova lì solo per i suoi effetti
gravitazionali. La materia oscura
deve esistere in virtù del fatto che
l’universo visibile mantiene la sua
forma particolare. Senza questa
massa, non ci sarebbe sufficiente
gravità per tenere insieme
l’universo, che volerebbe via in
pezzi.
Gli scienziati hanno nominato
diversi candidati per il ruolo di
“elementi” che compongono la
materia oscura. La “normale”
materia che irradia una piccola o
nulla quantità di luce – pianeti,
stelle morte o non ancora nate,
buchi neri – costituisce circa il 20%
della materia oscura.
Tuttavia, è probabile che la
maggior parte della materia oscura,
se non tutta, sia composta da
particelle piuttosto diverse dai
nostri protoni, elettroni e neutroni.
Queste particelle “nere” potrebbero
essere soggette a leggi fisiche
completamente diverse, a differenza
di quelle degli universi paralleli.
Dato che ci troviamo in un mondo
che ne è composto, con molta
probabilità non le riconosciamo
granché.
I principali candidati per formare
la materia oscura sono le WIMP
(dall’acronimo inglese weakly
interacting massive particles),
ovvero particelle dotate di massa
che interagiscono debolmente con
la materia normale. Vengono
definite massicce solo in senso
relativo, perché sono più grandi di
un protone o di un atomo di
idrogeno.
Recenti ipotesi sulle WIMP
suggeriscono la loro natura
particolare, che ci fa subito pensare
a molti dei resoconti dei nostri
volontari: «Se le WIMP fossero state
davvero originate nel Big Bang,
saremmo circondati da queste
particelle a causa dell’interazione
gravitazionale con la materia
visibile nell’universo. Infatti,
mentre state leggendo questo libro
potrebbero esserci addirittura un
miliardo di WIMP che ogni secondo
fluiscono attraverso il vostro corpo,
viaggiando alla velocità di milioni di
chilometri all’ora. Comunque,
siccome le WIMP interagiscono
debolmente con la materia, la
maggior parte di esse vi attraversa
senza alcuna difficoltà».96
Enti scientifici degli Stati Uniti e
di altre nazioni stanno stanziando
miliardi di dollari per la costruzione
di rilevatori di queste particelle
nelle profondità della Terra. Stanno
attendendo il flash di luce
occasionale che potrebbe indicare
una rara collisione di una particella
di materia oscura con una di
materia normale. Queste sofisticate
apparecchiature devono essere
posizionate molto in profondità per
impedire altre fonti di radiazione.
Forse non servono sensori così
dispendiosi. È possibile che la DMT
alteri le caratteristiche del nostro
cervello per percepire l’interazione
delle WIMP con la materia normale.
È difficile immaginare a cosa
potrebbe assomigliare un mondo
fatto di materia oscura, figuriamoci
come potrebbero apparire coloro
che lo popolano. Forse, qualcosa di
quello che alcuni volontari hanno
descritto come una “visualizzazione
dell’informazione” nel capitolo 12 è
una diversa forma di “vita” della
materia oscura: quei geroglifici in
movimento, ricchi di significato,
numeri e parole che fluttuavano
trasmettendo informazioni.
Entrambi questi livelli invisibili
dell’esistenza, gli universi paralleli e
la materia oscura, sono presenti
nella stessa dimensione temporale
di questa realtà. Sono quindi
possibilità che dobbiamo prendere
in considerazione per spiegare gli
spazi in cui ci porta la DMT quando
la nostra coscienza non è più su
questo piano di esperienza.
L’immediatezza della transizione
rende interessanti questi due punti
di vista alternativi che riguardano i
luoghi incredibilmente insoliti
descritti dai volontari. Questo
perché essi si trovano sia lì che qui.
Dunque, la domanda sull’ “interno”
versus l’ “esterno”, così come
l’hanno posta i volontari, non ha
più alcun senso.
Il concetto di questi diversi livelli
di realtà che permeano e pervadono
la nostra realtà ci conduce ai
resoconti sorprendentemente
frequenti dei volontari del tipo: «Mi
stavano aspettando», «Mi diedero il
benvenuto quando tornai da loro».
Le entità si trovano a casa loro e
stanno lavorando nel loro ambiente,
e pertanto si tratta di un “lavoro del
tutto normale” per loro. Noi, invece,
possiamo solamente restare a bocca
aperta dallo stupore, capaci a
malapena di rispondere.
Poiché di solito non vediamo o
non sentiamo la presenza di questi
esseri in altre circostanze, vale la
pena indagare su come sanno
quando aspettarsi il nostro arrivo.
Forse, prima che possiamo vederli,
la nostra presenza è meno reale
anche per loro. Potrebbero
percepirci, ma non in modo
particolarmente chiaro o tale da
consentirgli di interagire con noi. È
come se loro vedessero solo le
nostre immagini, come allo
specchio o attraverso una finestra.
Quindi potrebbero essere pronti ma
non ancora in grado di agire su di
noi finché non oltrepassiamo la
porta o passiamo dall’altro lato
della finestra dove si trovano loro.
Pensate a uno strumento che ha
bisogno di temperature
particolarmente alte per registrare e
inviare informazioni. A temperatura
ambiente non funziona, è di colore
grigio spento e sembra quasi
invisibile poiché si mimetizza con
l’ambiente circostante. Quando
raggiunge la temperatura che gli
permette di entrare in azione, oltre
a essere in grado di svolgere le sue
nuove funzioni di ricezione e
trasmissione, si accende di un rosso
brillante e risalta in maniera
piuttosto chiara. Forse, cambiando
la nostra consapevolezza in modo
da percepire gli abitanti che
popolano altri piani di esistenza, la
DMT modifica anche “l’aspetto” della
nostra coscienza. Quindi
diventiamo reali per quegli esseri
quando essi lo diventano per noi.
Ma come possono queste entità
essere anche solo lontanamente
consapevoli della nostra presenza se
noi normalmente non abbiamo
sentore della loro? Ancora una
volta, stiamo pericolosamente
giocando col fuoco nel pensare alle
spiegazioni di questo fenomeno. Il
semplice bisogno di tentare di
comprendere ci mostra quanto il
nostro pensiero sia andato fuori
strada. Nonostante ciò, possiamo
fare un altro piccolo passo per
interrompere l’incredulità e
considerare tale questione.
Può darsi che noi non siamo
“oscuri” per gli abitanti della
materia oscura, o “paralleli” per gli
esseri intelligenti che hanno
padroneggiato il calcolo quantistico.
Noi siamo limitati nel dare
esistenza a queste realtà alternative,
impiegando un’enorme quantità di
dati sperimentali derivanti da
complicati calcoli matematici. È
possibile che coloro che si sono
evoluti all’interno di altri universi, o
grazie alle loro specifiche leggi
fisiche, ci possano effettivamente
osservare direttamente con i loro
propri sensi, oppure usando
particolari tipi di tecnologia.
Dobbiamo porci la domanda che
segue naturalmente. Quando siamo
“là” e siamo entrati in contatto con
gli esseri, con che tipo di corpo
interagiscono? Da quello che
abbiamo sentito, avvengono tutti i
generi di manipolazione:
aggiustamenti, impianti, contatti
piacevoli o spiacevoli di carattere
sessuale o fisico. Non si tratta di
uno sforzo particolarmente difficile
accettare l’ipotesi che nella materia
oscura o negli universi paralleli si
possano verificare degli scambi da
coscienza a coscienza. Più
problematico è immaginare in che
modo i cambiamenti nelle nostre
abilità di ricevere nuovi livelli di
realtà influenzino i nostri “corpi”.
Nonostante ciò, credo che
dobbiamo considerare l’argomento,
anche solo in via preliminare.
Mentre stiamo osservando, o
piuttosto esistiamo su Canale
Normale, il nostro corpo è denso, ha
dei contorni distinti ed è sottoposto
alla gravità. Quando stiamo
percependo o ci trasferiamo su
Canale Materia Oscura, potremmo
fare esperienza del nostro corpo
attraverso le WIMP anziché tramite la
luce visibile e la gravità. Con il
nostro cervello che riceve livelli di
realtà così nuovi e diversi, anche il
nostro corpo non ci appare più lo
stesso. Così come siamo
indubbiamente certi della verità di
ciò che vediamo, sentiamo e
conosciamo sotto effetto della DMT ,
anche il nostro sé fisico assume una
natura radicalmente diversa ma
similmente reale.
La vista e il suono giocano un
ruolo infinitamente importante
nella nostra ordinaria
consapevolezza, ed è proprio con
questi sensi che all’inizio notiamo il
nuovo luogo in cui ci troviamo.
Comunque, il tatto, le sensazioni
corporee e la materia possono
anch’esse avere diverse capacità.
Ritornando alla precedente analogia
dello strumento grigio e rosso,
possiamo sostituire facilmente l’
“inconsistenza” del grigio con la
“palpabilità” e “solidità” del rosso.
Una volta che noi e gli abitanti
della materia oscura riusciamo a
percepirci a vicenda con lo stesso
mezzo, cioè utilizzando le WIMP,
allora essi possono iniziare a
lavorare sui nostri corpi di materia
oscura: a Sean fu sistemato
l’orecchio, a Ben venne inserito un
impianto sottopelle
nell’avambraccio, a Jim fu
introdotta una sonda nell’occhio,
Jeremiah venne sottoposto a una
riprogrammazione del cervello.
Questi interventi hanno luogo
utilizzando “cose” fatte di materia
oscura (o che esistono negli
universi paralleli). Perciò non vi è
una “prova fisica” di questi
interventi quando si ritorna su
Canale Normale. Non utilizzano il
materiale presente in questo
universo. Nonostante ciò, questi
interventi sono avvenuti.97
Queste riflessioni sui mondi
invisibili e i loro abitanti ci
riconducono alle esperienze di
abduction aliena. In effetti, questa
discussione può essere fatta solo
sulla base di tali esperienze e sulle
loro modalità di svolgimento.
Questa impressionante somiglianza
è alla base dell’ipotesi che
l’esperienza di abduction sia
collegata a livelli eccezionalmente
elevati di DMT prodotta dal cervello.
Nel capitolo 4, La pineale
psichedelica, ho suggerito l’idea di
un legame tra la DMT rilasciata dalla
ghiandola pineale e le esperienze
cruciali quali nascita, pre-morte,
stati mistici e morte. Avevo scarso
interesse per gli incontri con gli
alieni, e ne sapevo poco. I risultati
dello studio sulla DMT sfidarono la
mia ignoranza e richiesero che
includessi anche il “contatto” quale
ulteriore fenomeno mediato da
livelli eccezionalmente alti di DMT
nel cervello.
Nel suo lavoro sugli incontri
avvenuti spontaneamente con gli
alieni, John Mack sottolinea la
frequenza con cui avvengono queste
esperienze durante momenti di crisi
personale, traumi o perdite. Forse
in questi individui lo stress e il
dolore prevalgono sulla capacità
della ghiandola pineale di evitare un
eccessivo rilascio di DMT ,
innescando l’accesso a queste
esperienze insolite. Inoltre, molti
addotti hanno una storia di questi
incontri che risale alla loro infanzia.
Queste persone potrebbero avere la
capacità di produrre DMT
particolarmente attiva derivante da
una predisposizione biologica a
metterla in circolo, eventualmente
combinata a uno stato intenso di
stress cronico o ricorrente. In
precedenza abbiamo visto come
alcune delle tendenze all’eccessiva
formazione di DMT potrebbero
manifestarsi utilizzando particolari
enzimi o inibitori di enzimi.
Mack nota anche che molti
rapimenti nelle case delle persone
hanno luogo nelle prime ore del
mattino, proprio nel momento in
cui la ghiandola pineale è più attiva.
È possibile che la produzione di DMT
nelle prime ore del mattino apra le
porte agli incontri con gli alieni in
questi individui predisposti?
È affascinante notare come Mack
abbia recentemente avanzato
l’ipotesi che la «riconnessione con
la spiritualità» sia centrale nel
fenomeno delle abduction. In modo
simile, alcuni dei nostri casi di
contatto indotti dalla DMT , come ad
esempio quelli di Cassandra, Sean e
Willow, hanno mostrato una
transizione dalla sorpresa e dallo
shock iniziali in presenza di quelle
entità intelligenti a una più grande
profondità di equilibrio spirituale e
psicologico.
Queste esperienze mistiche sono
l’ultima serie di incontri ai quali la
molecola dello spirito può condurre.
Esse erano l’obiettivo ultimo di
molti dei volontari che
parteciparono alla nostra ricerca.
Perché, allora, così tanti dei nostri
soggetti di ricerca si ritrovarono
invece in mondi invisibili
inaspettati?
Può darsi che il potere selvaggio e
sfrenato della DMT abbia fatto
mancare loro il bersaglio. È come
quando montiamo su una moto
molto potente per la prima volta. La
spinta all’indietro è talmente forte
che spesso voliamo sul retro del
veicolo o finiamo direttamente in
un fosso. Solo imparando a gestire
la sua forza possiamo controllare il
veicolo e andare dritti verso il
nostro obiettivo.
In modo simile, credo che i
volontari che hanno avuto
principalmente esperienze di
contatto sarebbero potuti andare
oltre e raggiungere il livello
transpersonale con il tempo e la
pratica necessari. I casi di Sean e
Cassandra supportano questa
teoria: passarono dall’esperienza di
contatto con entità a esperienze
mistiche e di guarigione durante le
ripetute esposizioni ad alte dosi di
DMT nello studio sulla tolleranza.
Un’altra spiegazione è meno
ottimista. In pratica, alte dosi di DMT
somministrata per endovena
potrebbero spingere le persone in
piani di realtà popolati da esseri
perché la droga fa proprio questo.
Dai abbastanza DMT alle persone e
questo è ciò che succede.
Mi viene in mente Jeremiah, nel
capitolo 13, Contatto attraverso il
velo: 1, quando venne trascinato nel
laboratorio-nursery alieno. Cercò di
indirizzare l’intensità
dell’esperienza verso un incontro
spirituale di “apertura all’amore”.
Tuttavia, si rese immediatamente
conto che era impossibile. Forse la
vera ultima funzione della DMT è
proprio il contatto attraverso il velo,
piuttosto che l’iniziazione a una
consapevolezza spirituale. Se i
numeri puri e semplici dei resoconti
dei volontari sono indice della
validità di questa ipotesi, dobbiamo
considerarla probabile.
Nei casi di stati di pre-morte e
mistici, va considerato che la DMT fa
molto di più che cambiare
semplicemente canale,
permettendoci di vedere il
programma di un altro canale.
Ipotizzo questo a causa della natura
vuota o priva di contenuti
dell’esperienza mistica estrema.
Non ci sono suoni, contatti, visioni,
odori o sapori. Non ci sono pensieri,
parole e tempo.
Contemporaneamente c’è un
indescrivibile senso di completezza,
potere e comprensione.
Tra un canale televisivo e l’altro
c’è la “neve”, il rumore bianco e le
immagini associate a ciò che sta “in
mezzo” al materiale di
programmazione delle diverse
stazioni televisive. Cosa notiamo se
osserviamo e ascoltiamo con
attenzione? Si tratta della vera
natura della televisione in sé, con
l’elettricità che vi scorre attraverso
e che la stimola, portandola a far
vedere qualcosa che sembra non
essere nulla per la mente ordinaria
alla ricerca di schemi definiti.
In questo caso, la migliore
analogia potrebbe essere che la DMT
abbia riconfigurato le proprietà
ricettive del cervello per smettere di
ricevere le informazioni
“dall’esterno”. È consapevole
solamente della propria esistenza,
della sua natura intrinseca. Mostra
la propria coscienza o le frequenze
di risonanza che non hanno un
contenuto particolare. Nonostante
ciò, è la base da cui dipende il
mantenimento di tutti i programmi:
lo spazio occupato dai canali.
Questo spazio tra un canale e
l’altro, o l’assenza di canali, non è
vuoto; anzi, è anch’esso pieno. Il
contenuto dei programmi
sostituisce questo vuoto perfetto
con la loro indaffarata pienezza. E la
sua natura non è nemmeno
necessariamente “potenziale”. Anzi,
è completa di per sé. Non ha
bisogno di nient’altro per esistere
così com’è. Ma ha bisogno di
qualcosa per prendere una forma,
plasmarsi, per potersi manifestare.
Per alcuni volontari, lo staccarsi
della coscienza dal corpo
sperimentato con la DMT era lo
stimolo per cercare quello spazio tra
i diversi livelli della realtà percepita.
Proseguirono dritti verso quella
vacua totalità sottostante la
coscienza di sé e del mondo esterno
senza più il supporto del corpo.
Come Freud affermò anni fa:
«L’ego è prima di tutto un io-
corpo». Senza corpo, cosa restava?
Soggetti della ricerca come Carlos e
Willow sperimentarono la coscienza
mistica lasciandosi il loro corpo alle
spalle.
Altri volontari trovarono la via per
arrivare alla loro natura essenziale
attraverso un utilizzo più diretto
della volontà. Sean si concesse di
andare oltre e più in profondità
nell’ignoto. Elena si liberò dalla
visione selvaggia dei colori
psichedelici che le oscuravano la
loro vera natura senza forma.
Entrambi riuscirono a ritrarsi e ad
andare oltre solo grazie a
quell’equilibrio soave, sul filo del
rasoio, richiesto per fare quel salto
coraggioso nello spazio tra il
pensiero, la percezione e il
sentimento. La molecola dello
spirito li condusse sul precipizio,
ma toccava a loro fare il passo
finale.
Adesso che abbiamo trattato
alcuni dei modi in cui la DMT
prodotta naturalmente o
somministrata dall’esterno
permette di accedere a esperienze
così singolari e sorprendenti,
consideriamo il significato
evolutivo della DMT prodotta in
maniera spontanea. In altre parole,
perché la DMT è presente in tutti i
nostri corpi? Si tratta di una
coincidenza o c’è un motivo
specifico?
Dal punto di vista dei vegetali, dei
funghi e degli animali che
contengono DMT , è ragionevole
prospettare che le altre specie,
soprattutto gli esseri umani, li
cerchino e li proteggano. Chi fuma,
beve o mangia forme di vita ricche
di DMT fa esperienza di viaggi
affascinanti che vanno al di là
dell’immaginazione. Le specie in
grado di indurre esperienze
psichedeliche dovrebbero collocarsi
ai primi posti della classifica delle
risorse rinnovabili essenziali,
giacché la loro sopravvivenza
diventa importante per i propri
simili.
Ma allora perché gli esseri umani
producono DMT ? Finora non è stata
ancora scoperta nessuna forma di
vita che fumi, mangi o beva la
ghiandola pineale umana, quindi
dobbiamo scartare l’ipotesi per cui
la DMT , in un qualche modo, assicuri
la nostra sopravvivenza fisica.
Forse i nostri vecchi antenati che
producevano DMT avevano qualche
vantaggio di tipo adattivo rispetto a
quelli che non la producevano. O
forse il loro accesso a diversi stati di
coscienza gli permise di sviluppare
migliori abilità di problem-solving
rispetto ai membri della loro specie
privi di DMT . Coloro che, alla fine,
erano in grado di sintetizzare la DMT
hanno soppiantato chi non ne era in
grado.
Sebbene vi sia un certo interesse
per questo argomento, la presenza
di DMT in così tante altre forme di
vita facilmente reperibili in un certo
senso lo indebolisce. In pratica, se
qualcuno non riuscisse a produrre
da sé la DMT , ad esempio tramite la
meditazione profonda, vi sono
moltissime piante ricche di questa
sostanza che sono più facili da
utilizzare rispetto alle austere
pratiche spirituali. Questo è
certamente il caso delle persone che
vivono in un ambiente ricco di DMT ,
come ad esempio l’America Latina.
Un ragionamento più fecondo
emerge dalle implicazioni del
rilascio di DMT in condizioni di
morte e di pre-morte. In questi
momenti la forza vitale o lo spirito
si muovono all’interno, al di fuori e
attraverso il nostro corpo. Abbiamo
parlato del meccanismo biologico di
questa ipotesi nel capitolo 4. In
questo capitolo useremo queste
idee per cercarne il possibile
significato.
A prima vista sembra che vi sia
uno scarso vantaggio evolutivo per
l’individuo o per la specie nel
rilasciare le sostanze “illuminanti”
quando moriamo. Tuttavia, Karl
Jansen, uno psichiatra inglese,
sostiene che un soggetto che si
trova in uno stato di pre-morte trae
effettivamente dei benefici dalle
sostanze chimiche che il cervello
produce in quel momento. Ciò
sarebbe dovuto alle loro proprietà
“neuroprotettive”.
In presenza di ketamina, l’ictus e
altre forme acute di lesioni cerebrali
risultano meno distruttive. Dati
sperimentali sugli animali
suggeriscono che nel cervello siano
presenti sostanze simili alla
ketamina. Quindi, durante le
esperienze di pre-morte il cervello
le potrebbe rilasciare per ridurre il
danno cerebrale nel caso in cui
l’individuo sopravviva. La natura
dell’esperienza di pre-morte
sarebbe dovuta agli “effetti
collaterali” psichedelici della
ketamina.98
Tuttavia, resta da scoprire il
motivo per cui la ketamina abbia
degli effetti psichedelici anziché
sedativi. Sebbene il rilascio di
composti neuroprotettivi sia una
risposta adeguata in caso di pre-
morte, gli effetti psichedelici
collaterali non sono visibilmente
benefici. Ci si deve quindi chiedere
se queste proprietà spirituali siano
una coincidenza o abbiano uno
scopo particolare.
Io suggerisco che le sostanze
rilasciate dal cervello durante le
esperienze di pre-morte abbiano
effetti psichedelici per questo
motivo: perché è così. È come
chiedersi perché c’è il silicio
all’interno dei chip del computer.
Perché il silicio funziona, fa il suo
lavoro. Le sostanze che il cervello
produce nei casi di pre-morte sono
psichedeliche perché quelle sono le
proprietà di cui la coscienza ha
bisogno in quel momento.
I composti psichedelici rilasciati
durante questo tipo di esperienze
mediano la coscienza che esce dal
corpo. Questa è la loro funzione e
questo è quello che fanno. La DMT è
una molecola dello spirito proprio
come il silicio è una molecola del
chip. Anziché far percepire alla
mente la sensazione dell’abbandono
del corpo, il rilascio di DMT è il
mezzo attraverso cui la mente sente
l’allontanamento da sé della forza
vitale e del contenuto della
coscienza.
Queste teorie considerano il ruolo
della DMT solo in particolari stati di
coscienza. Tuttavia, potrebbe la DMT
manifestare un effetto durante la
nostra normale consapevolezza di
tutti i giorni? Il fatto che il cervello
trasporti attivamente la molecola
dello spirito attraverso la barriera
ematoencefalica sembrerebbe
confermarlo.
Nel capitolo 2, Cosa è la DMT , ho
posto l’attenzione sul fatto che il
cervello sembra “aver fame” di DMT ;
spende energia preziosa nel
trasportare attivamente la sostanza
dal sangue ai suoi angoli più
nascosti. È come se la DMT fosse
necessaria per le normali attività
cerebrali.
Forse solo la giusta quantità di
DMT è coinvolta nel mantenimento
da parte del cervello delle corrette
proprietà riceventi. In pratica,
mantiene il nostro cervello
sintonizzato su Canale Normale.
Troppa DMT , ed ecco apparire sullo
schermo della mente ogni genere di
strano e inaspettato programma.
Troppo poca, e la nostra visione del
mondo si restringe e si appiattisce.
Infatti, questo tipo di effetti che
intorpidiscono ed esauriscono
l’energia sono quelli che i volontari
sani riportano quando assumono
farmaci antipsicotici. Tali farmaci
possono inibire gli effetti della DMT
endogena. Forse vediamo e
percepiamo ciò che facciamo su
questo livello di esistenza proprio
grazie alla giusta quantità di DMT
endogena. Essa è una componente
essenziale nel mantenere la
consapevolezza che il cervello ha
della realtà di tutti i giorni. In un
certo senso, possiamo considerare
la DMT come un “termostato della
realtà” che ci mantiene in una fascia
ristretta di consapevolezza, quel
tanto da assicurarci la
sopravvivenza.
Quando tutte le ipotesi, non
importa quanto stimolanti,
intriganti e rivoluzionarie, sono
superate, cosa ci resta? Anche se un
giorno risultasse che ciò che ho
ipotizzato è vero, che cosa
otteniamo realmente dalla DMT ?
Ancora una volta torniamo a
chiederci: «E quindi?» A che scopo?
Mano a mano che la ricerca del New
Mexico si avvicinava al suo
complesso epilogo, iniziai a lavorare
sull’interrogativo più profondo
sollevato dallo studio.
All’inizio di questo capitolo ho
introdotto la questione di quanto
sia difficile accettare l’esistenza e gli
effetti della molecola dello spirito
nel nostro corpo. In maniera
analoga, possiamo accettare la
conclusione alla quale sono infine
arrivato, e cioè che la natura della
DMT è essenzialmente neutra e priva
di valore in quanto tale?
La molecola dello spirito non è né
buona né cattiva, né positiva né
dannosa in sé e per sé. Piuttosto,
sono il set e il setting a determinare
il contesto e la qualità delle
esperienze alle quali la DMT ci
conduce. Chi siamo e ciò che
portiamo nelle sessioni e nella
nostra vita in definitiva significano
molto di più dell’esperienza con la
droga in sé.
Nonostante ciò, la DMT e gli altri
psichedelici non scompariranno
mai, specialmente quelli che il
nostro cervello produce
continuamente. Dobbiamo
considerare tutto il loro complesso
e misterioso potere in ogni computo
della coscienza umana. Tali risposte
negative non implicano quindi che
non esistano anche molte risposte
positive e incondizionate quando ci
si interroga circa l’uso più congruo
di tali sostanze. Il set e il setting che
abbiamo utilizzato nello studio del
New Mexico ci hanno fornito una
notevole quantità di informazioni
su ciò che è possibile fare o non fare
con l’ausilio della molecola dello
spirito. Adesso è arrivato il
momento di chiederci come
impiegare quella conoscenza. È
possibile farne buon uso?

91. Tra i volontari ci furono pochissimi contatti


nel corso delle prime fasi della ricerca. Anche
quando si incontrarono in occasioni sociali a
casa mia o nei gruppi di supporto che si
formarono verso la fine dello studio, tra di essi vi
era una generale timidezza e un certo impaccio
nel raccontare i loro strani incontri. Quando
sentimmo per la prima volta dai volontari questi
racconti insoliti, le conferenze e gli articoli di
Terence McKenna non erano ancora molto
popolari. Chiedevo spesso ai volontari se
conoscevano qualche famoso resoconto di
incontri avvenuti tramite la DMT con folletti o
alieni insettoidi. Ma solo pochissimi ne erano a
conoscenza. Pertanto, non ritengo che questi
resoconti fossero un caso di isteria di massa o di
profezie auto-realizzanti. Anzi, se si fosse
verificata una cosa del genere, mi sarei dovuto
invece attendere un’epidemia di esperienze
mistiche e di pre-morte, dato che io speravo
fortemente che accadessero.

92. Prima che gli ingegneri delle


telecomunicazioni sviluppassero l’opzione di
picture-in-picture avrei potuto estendere questa
analogia sostenendo che i livelli di realtà sono
mutualmente esclusivi. In pratica, non si
possono vedere contemporaneamente più canali.
Ad ogni modo, ora ciò è possibile. Il concetto del
picture-in-picture in effetti ci aiuta meglio a
comprendere il paragone con la TV , soprattutto
se consideriamo quante volte i volontari,
aprendo gli occhi, videro i diversi livelli di realtà
mescolarsi e confondersi. Sempre di frequente, i
volontari manifestavano il desiderio di
appartenere totalmente a quel nuovo mondo a
cui la DMT dava accesso, ricordandosi tuttavia
che i loro corpi si trovavano nella stanza 531
dell’ospedale dell’università. Si trovavano
contemporaneamente in più mondi: quale epico
sforzo di multitasking!

93. David Deutsch, La trama della realtà,


Einaudi 1997.

94. David Deutsch, comunicazione privata,


gennaio 2000.

95. David Deutsch, comunicazione privata,


giugno 1999.

96. Nigel Smith e Neil Spooner, The Search for


Dark Matter, in «Physics World», n. 13, 2000,
p. 4.

97. Il motivo per cui le entità o le intelligenze


aliene desiderano interagire con noi resta una
domanda cruciale. Molte delle esperienze di
abduction raccolte da Mack descrivono progetti
volti a creare degli ibridi umano-alieni per
ripopolare il nostro pianeta morente. Anche
alcuni dei nostri volontari ritornarono con il
motivo “dell’allevamento”, essendosi ritrovati
all’interno di stanze con giochi, culle e altri
oggetti dell’infanzia. Inoltre, il trasferimento di
informazioni e la “messa a punto” e la
“riprogrammazione” della coscienza seguono un
procedimento simile a quello in cui una razza
più avanzata ha intenzione di trasmetterci un
po’ delle proprie conoscenze. Ciò si collega spesso
all’incalzante degradazione ambientale che
minaccia il nostro pianeta. Anche in questo caso
si riscontrano delle somiglianze con alcuni
racconti dei nostri volontari.
Diversi dei nostri soggetti di ricerca si riferiscono
anche alla natura non materiale di questi esseri,
in particolare alla loro mancanza di emozioni
legate all’amore e al senso di appartenenza,
come elemento decisivo del loro interesse nei
nostri confronti. In qualche modo, interagendo e
imparando da noi, sono in grado apprendere
nuovamente conoscenze che hanno perso o
dimenticato da molto tempo. Questi resoconti
rasentano la “possessione da parte degli spiriti” e
assumono dei significati allarmanti. Da un
punto di vista meno serio, richiamano la
giocosità di alcune delle figure descritte dai
nostri volontari che rimandano a fate, folletti ed
elfi appartenenti al nostro passato folkloristico.

98. Karl L.R. Jansen, The Ketamine Model of the


Near-Death Experience: A Central Role for the
N-Methyl-D-Aspartate Receptor, in «Journal of
Near-Death Studies», n. 16, 1997, pp.5-26. (Ho
fatto delle ricerche, ma non sono stato in grado
di trovare alcuna informazione per scoprire se la
DMT sia o meno una sostanza con proprietà

neuroprotettive).
Capitolo 22
LE PROSPETTIVE
FUTURE DELLA RICERCA
PSICHEDELICA

Questo capitolo conclusivo tratta


delle possibili prospettive
dell’utilizzo e dello studio della DMT
e di altre droghe psichedeliche.
Questi scenari hanno il fine di
ampliare il campo d’indagine sulle
droghe psichedeliche, proprio come
voleva Willis Harman durante
quella nostra passeggiata lungo la
costa della California alcuni anni fa.
Divulgatori e operatori ben
informati potranno determinare nel
modo migliore quanto accessibili e
accettabili diventeranno queste
droghe. Le applicazioni più proficue
potranno emergere solo se
riusciremo a lasciare da parte la
paura, l’ignoranza e i pregiudizi
associati agli psichedelici. Andrebbe
anche evitato il modo di pensare
velleitario e naif di alcuni
sostenitori degli psichedelici, che
finisce con l’indebolire i loro
argomenti.
Le proposte che seguono sono
basate su anni di profonde
riflessioni e dibattiti sugli eventi
dell’Università del New Mexico.
Sebbene il quadro d’insieme che
traccerà questo capitolo possa
apparire eccessivamente
ottimistico, è invece, al contrario,
più realistico dei miei progetti di
ricerca originari. Si basa, infatti,
sull’anticipare e l’affrontare la
maggior parte di quelle
supposizioni implicite attorno al
lavoro con gli psichedelici che
portano inevitabilmente a esiti
negativi e a conclusioni premature.
Una delle più importanti di tali
ipotesi è che le droghe
psichedeliche siano benefiche di per
sé. È sufficiente assumerle per
avere un risultato positivo.
Un’altra ipotesi è che gli
psichedelici sarebbero “solo” delle
droghe. In pratica, i loro effetti
sarebbero indipendenti
dall’ambiente in cui le persone le
assumono, così come dagli obiettivi,
dalle aspettative e dai modelli di chi
le somministra.
Nella ricerca sulla DMT abbiamo
riverificato di persona che nessuno
di questi luoghi comuni è vero.
Quindi il modello che presenterò
evita queste due fondamentali e
pericolose falsità circa il lavoro con
le droghe psichedeliche.
Prima di scrutare nel futuro,
diamo una rapida occhiata alla
situazione attuale della ricerca.
Diversi progetti di ricerca
psichedelica sull’uomo, che
utilizzano mescalina, psilocibina,
ketamina e MDMA , sono ancora attivi
negli Stati Uniti e in Europa.
Nessuno però sta studiando la DMT .
Tutti questi progetti usano il
modello “psicotomimetico”, che
paragona gli effetti psichedelici ai
sintomi della schizofrenia. Si tratta
di studi sulla psicofarmacologia e
sulla fisiologia del cervello.
Attualmente sono in corso due
programmi di psicoterapia
psichedelica. Uno, nei Caraibi, è un
programma di trattamento con
l’ibogaina per l’abuso di sostanze;
l’altro, che si svolge fuori San
Pietroburgo, in Russia, studia la
psicoterapia assistita con la
ketamina, sempre per trattare
l’abuso di droghe.
Vedo molte vie possibili se
immagino il lavoro futuro con la
DMT e con altre droghe
psichedeliche. Una delle
diramazioni più grandi è quella tra
“ricerca” e “uso”. Alcuni si
domandano perfino se
“psichedelico” e “ricerca” siano
parole che possano stare l’una
vicino all’altra. Occupiamoci per
prima cosa di questo punto.
Nel contesto della ricerca c’è
l’aspettativa di ottenere dei dati dai
soggetti dello studio, cosa che
influenza il rapporto tra chi
somministra gli psichedelici e chi li
assume. I volontari sanno di dover
dare qualcosa al progetto, e i
ricercatori vogliono qualcosa da
loro. Per chi si trova sotto effetto
non è sufficiente fare il proprio
viaggio. Allo stesso modo, per il
ricercatore non è sufficiente aiutare
il volontario a ottenere il miglior
risultato possibile. Ciò genera delle
aspettative, con l’inevitabile
possibilità di delusione,
risentimento e cattiva
comunicazione. Il setting
interpersonale viene
sostanzialmente alterato.
Esistono varie alternative a questo
modello, tutte molto più popolari
del modello di ricerca. Tuttavia,
popolare non significa
necessariamente “migliore”. E
spesso l’argomentazione contro il
modello di ricerca è semplicemente
che ci sono modi migliori per
sperimentare queste droghe.
Le culture indigene continuano a
usare piante psichedeliche ancor
più di quanto abbiano fatto nel
corso di migliaia di anni. I membri
delle chiese africane in Gabon
assumono l’ibogaina per entrare in
contatto con i loro antenati; in
America Latina l’ayahuasca, un
infuso che contiene DMT , consente
all’anima di accedere ad altri
mondi; nel Nord America il peyote
apre le porte dei mondi spirituali
per scopi di assistenza e guarigione.
Il moderno uso occidentale degli
psichedelici in contesti non
sperimentali è in continuo
aumento. Molte persone assumono
gli psichedelici da soli o in piccoli
gruppi privati. In questi casi di uso
“popolare”, gli psichedelici possono
essere impiegati per ottenere
differenti prospettive su se stessi,
sulle proprie relazioni e sul mondo
naturale. Alcuni ne fanno uso in
grandi raduni, all’aperto o al chiuso,
con o senza musica e spettacoli di
luci abbaglianti. Un esiguo numero
di terapeuti psichedelici
somministra queste droghe nel
corso di terapie individuali o di
gruppo. Esistono anche comunità
che ne fanno un uso religioso, ad
esempio quelle che utilizzano
l’ayahuasca per scopi rituali e che
si stanno diffondendo nel Nord
America e in Europa. In tutti questi
casi, l’illegalità dell’uso degli
psichedelici impedisce un dialogo
trasparente sui loro effetti
all’interno di questi setting.
Non c’è nulla di sbagliato in
nessuno di questi modelli, ma è
importante non confonderli o
scambiarli con la struttura della
ricerca. La ricerca potrebbe un
giorno scoprire dei modi nuovi di
utilizzare gli psichedelici che non
richiedano di ottenere dati dai
partecipanti e di aderire a regole di
interazione relativamente rigide.
Allo stesso modo, i nuovi
trattamenti e le tecniche
terapeutiche, se si mostreranno
utili nella ricerca, si faranno strada
nelle interazioni professionali e
sociali di tutti i giorni.
Molti di questi conflitti sembrano
derivare da una confusione sui
motivi che stanno alla base dell’uso
degli psichedelici. Così, la risposta
alla domanda «Qual è il modo
migliore per assumere gli
psichedelici?» è «Dipende».
Se vuoi divertirti, allora prendili
da solo o con gli amici e passa la
giornata in un bellissimo ambiente.
Se vuoi imparare qualcosa su te
stesso e sulle tue relazioni, assumili
con un terapeuta. Se ti vuoi sentire
parte dell’umanità, prendili a un
concerto, a un rave o in altri grandi
raduni. Se vuoi sperimentare una
relazione più profonda con il divino
e le sue manifestazioni, prendili
sotto la guida di un maestro
spirituale, in una comunità o
immerso nella natura. Se vuoi
contribuire agli sforzi della ricerca,
offriti volontario per uno studio
scientifico. Queste categorie sono
alquanto arbitrarie e ogni tipo di
effetto può verificarsi in qualsiasi di
questi possibili setting: ad esempio,
esperienze spirituali possono
verificarsi in uno studio
sperimentale, mentre effetti di
carattere psicoterapeutico possono
verificarsi in un contesto religioso.
Tuttavia, i problemi e le difficoltà
vengono fuori quando si cerca di
mescolare diversi modelli a causa
della confusione tra l’autorità e i
comportamenti accettabili. Ciò mi
fu estremamente chiaro quando
affrontai il conflitto tra i metodi
aperti, grezzi ed empirici della
scienza e le opposte priorità della
mia comunità buddhista circa fede,
discepolato e dottrina.99
Abbiamo bisogno di un dialogo
aperto su come impiegare al meglio
queste droghe nella nostra vita e
nella società. Giacché una ricerca
legittimata sarebbe maggiormente
in grado di fornire un contesto per
questo livello della discussione, mi
limiterò ad affrontare solo questo
punto di vista.
A livello di ricerca, possiamo
dividere i progetti tra quelli che
potrebbero essere svolti e quelli che
dovrebbero avere luogo. In pratica,
sebbene ci siano diverse domande
che potremmo fare ed esaminare, il
farlo potrebbe rivelarsi ingannevole
e pericoloso. Quei pericoli ci
potrebbero colpire in maniera
diretta o indiretta, e potrebbero
rivelarsi dannosi anche per altri
organismi viventi.
La mia principale preoccupazione
sull’uso delle droghe psichedeliche
ha a che fare con una loro
applicazione che sia utile piuttosto
che astuta. Conoscere il modo in cui
funziona l’illuminazione, come
avvengono gli stati di pre-morte o i
fenomeni di abduction aliena non è
così utile come imparare a essere
più generosi, saggi e
compassionevoli. Ciò significa che il
modello biomedico – “che smonta
tutto per vedere come funziona” –
potrebbe essere antitetico agli
impieghi più fruttuosi delle droghe
psichedeliche.
Sono giunto a questa conclusione
con una certa dose di ironia, dato
che molti degli studi che proporrò li
ho concepiti diversi anni prima di
effettuare la ricerca. Ora che questa
fase del mio coinvolgimento con gli
psichedelici è finita, non li sento più
così importanti come una volta, né
ho intenzione di realizzarli io
stesso.
Esaminiamo ora i possibili studi
sperimentali con queste droghe e i
loro potenziali benefici, limiti e lati
negativi.
I progetti sul meccanismo
d’azione forniranno una sempre più
perfezionata descrizione del tipo di
recettori dei neurotrasmettitori
coinvolti negli effetti psichedelici.
Anche le moderne tecnologie di
brain imaging ci permetteranno di
localizzare le zone del cervello
influenzate da queste droghe.
Ad ogni modo, sebbene sia
possibile collegare specifici
cambiamenti nella fisiologia del
cervello ad alcuni effetti soggettivi,
siamo ancora lontani dallo scoprire
come gli uni si traducano negli altri.
Si tratta, certamente, del sacro graal
delle neuroscienze cliniche, ma
potrebbe essere un obiettivo
irraggiungibile, come trovare il
centro di una cipolla: possiamo
togliere sempre più strati, ma il suo
centro continuerà a sfuggirci.
Nonostante ciò, avremo
importanti informazioni teoriche e
scientifiche. Una più sofisticata
comprensione di pensieri,
percezioni ed emozioni potrebbe
portare a nuove cure per i pazienti
nei quali i danni cerebrali o le
malattie psicotiche limitano l’abilità
di elaborare le informazioni. È
altrettanto importante essere in
grado di ribaltare gli effetti negativi
acuti degli psichedelici in una
situazione di emergenza. Infine,
potremmo essere capaci di
sviluppare nuovi composti
psichedelici dalle proprietà uniche.
Questo tipo di ricerca dipende
fortemente dagli studi sugli
animali. Dovremmo bilanciare il
nostro bisogno di conoscere con i
principi fondamentali della
compassione verso gli animali. Ciò
riguarda ancor più coloro che sono
interessati agli psichedelici per
motivi di carattere terapeutico e
spirituale. È “spirituale” uccidere un
numero spropositato di animali da
laboratorio per accrescere la nostra
estasi religiosa o i nostri processi
creativi?
Conosciamo già abbastanza bene
il funzionamento di queste droghe.
Focalizzarsi principalmente sul
meccanismo d’azione o sullo
sviluppo di una nuova droga
potrebbe cullarci nella convinzione
di stare studiando gli psichedelici
nel migliore o più importante modo
possibile. Forse possiamo spendere
molto più tempo ed energia per
capire come usare meglio le droghe
che abbiamo già – come stiamo
facendo adesso studiando il modo
in cui si manifestano i loro effetti –
o per progettare nuovi agenti
chimici.
Possiamo esaminare perfino le
esperienze più insolite e
controverse a cui ci porta la
molecola dello spirito
scomponendole in parti più piccole.
Per quanto siano insolite, restano
comunque studi sul meccanismo di
azione. Dovremmo ricordarci del
mantra «E quindi?» quando
indaghiamo, analizziamo e
sperimentiamo in queste aree di
indagine. In che modo ci sta
aiutando ciò che impariamo?
Spero di aver dato una
dimostrazione convincente del fatto
che gli stati psichedelici che si
verificano in maniera spontanea,
come il contatto con gli esseri non
materiali, le esperienze di pre-
morte e mistiche, sono simili a
quelli indotti nei nostri volontari
tramite la somministrazione di DMT
dall’esterno. Molte delle seguenti
serie di studi si basano su queste
analogie.
Il primo passo consiste
nell’esaminare il ruolo della DMT
endogena nel mediare gli stati
psichedelici spontanei di cui stiamo
discutendo. Potremmo iniziare
studiando il ruolo della ghiandola
pineale nel produrre la DMT
endogena.
Ci sono diversi modi non invasivi
che utilizzano tecniche moderne di
brain imaging per studiare la
fisiologia della ghiandola pineale in
una persona viva. Se la ghiandola
dello spirito è più attiva durante i
sogni, la meditazione profonda o le
esperienze di abduction aliena, ciò
potrebbe provare il suo ruolo in
queste manifestazioni. Inoltre,
potremmo utilizzare queste
tecnologie per determinare se le
droghe psichedeliche influenzano
direttamente la ghiandola pineale.
Potremmo rimuovere le ghiandole
pineali di animali che stanno per
morire in diversi momenti dopo la
loro morte. Se trovassimo quantità
misurabili di DMT , ciò suggerirebbe
che qualcosa di simile accade negli
esseri umani. Il rilascio di DMT da
parte della ghiandola pineale degli
esseri umani nei momenti prima,
durante o dopo la morte
rafforzerebbe l’ipotesi che la
molecola dello spirito accompagna
l’allontanamento della coscienza dal
corpo.
Elevati livelli di DMT nei fluidi
corporei durante i sogni e al
momento della nascita
suggeriscono una relazione tra la
DMT endogena e questi profondi
spostamenti nella coscienza. Ancora
più convincente sarebbe trovare alti
livelli di DMT in persone che si
trovano nel pieno di un’esperienza
di pre-morte, mistica o di
abduction.
Potremmo considerare anche
l’ipotesi che i bambini nati con un
parto cesareo non siano stati
esposti durante la nascita alla
primordiale “sessione ad alto
dosaggio di DMT ”. Nel capitolo 4
suggerisco che l’assenza di DMT nei
loro parti è responsabile di alcune
difficoltà di tipo psicologico e
spirituale che incontreranno nella
loro vita gli adulti nati con il
cesareo. Confrontare le loro
risposte alla DMT con quelle di altri
adulti nati con parto naturale
potrebbe supportare questa idea.
L’esposizione controllata alla DMT
negli adulti nati con parto cesareo
potrebbe permettergli di partecipare
all’esperienza soggettiva di un
normale parto naturale, e pertanto
essere terapeutica.
Un’altra serie di esperimenti
prevede la somministrazione di DMT
a coloro che hanno già avuto delle
esperienze psichedeliche spontanee
per poi chiedergli di paragonare i
due tipi di esperienza. Una
somiglianza sostanziale
confermerebbe il ruolo svolto dalla
DMT endogena nell’evento
spontaneo. La DMT somministrata
dall’esterno potrebbe allora fornirci
un accesso più controllato a quegli
stati per poterli studiare e utilizzare
in modo più efficace.
Il più semplice di questi progetti
sarebbe quello di indagare la
relazione tra la DMT e il sonno (o il
sogno) REM. Se la DMT
somministrata durante il sonno
causasse l’immediato inizio dei
tipici sogni, ciò confermerebbe il
ruolo svolto dalla DMT prodotta in
modo naturale in questo comune
stato alterato di coscienza.
Se la somministrazione di DMT
riproducesse in parte o per intero le
precedenti esperienze spontanee di
pre-morte, illuminazione o
abduction di una data persona,
allora saremmo su un terreno
ancora più solido nel sostenere un
ruolo della DMT naturale in queste
esperienze.
Iniziammo ad affrontare la
questione delle esperienze di
illuminazione avvenute in maniera
spontanea oppure indotte dalla
droga con una dei nostri volontari,
Sophie, una ex suora di
quarantadue anni. Aveva avuto
un’esperienza mistica nel corso di
un ritiro al suo monastero che la
badessa confermò essere autentica.
Sophie rivelò una reazione minima
alla dose elevata di DMT , una prima
conferma, piuttosto promettente,
della mia ipotesi. In pratica, se la
DMT aveva a che fare con la sua
esperienza mistica, forse il suo
cervello aveva imparato a gestire
quei livelli elevati prodotti in
maniera naturale riducendo la sua
sensibilità alla molecola dello
spirito. Qualcosa di simile alla
tolleranza.
Ad ogni modo, l’altro volontario
che mostrò una reazione ancora
minore alla dose da 0.4 mg/kg di
DMT mise a dura prova questa teoria.
Charles, un barista
trentaquattrenne, non aveva mai
meditato in vita sua. Nel suo caso,
supponemmo una predisposizione
genetica per spiegare la sua debole
reazione alla DMT . Era nato così.
Tuttavia, avrei dovuto essere più
cauto nell’attribuire la piccola
reazione di Sophie alla sua
precedente esperienza mistica.
Certo, è possibile che ciascuna di
queste ipotesi fosse corretta per un
particolare individuo, ma ci sarebbe
stata una certa disonestà
intellettuale nell’utilizzare quei dati
per interesse personale.100
Anche se i progetti citati potevano
fare molto per legittimare lo studio
sugli stati mentali insoliti, non mi
suscitavano più l’interesse di una
volta. Ora sono meno interessato
alla questione del “come” e più a
quella del “e quindi?” L’utilità di ciò
che impariamo dipende dall’utilizzo
che ne facciamo.
Credo che il miglior uso di
psichedelici in una ricerca sia
trattare unicamente i disturbi
dell’uomo e potenziare
distintamente delle caratteristiche
umane. Immaginiamo ora un
setting ottimale, nel quale
somministrare e ricevere le droghe
psichedeliche, che accolga queste
sfide.
Un centro di tal genere avrebbe la
sua sede in un bellissimo contesto
naturale, ma avrebbe anche tutte le
attrezzature mediche necessarie per
le emergenze. Ci sarebbero squisiti
esempi di arte e architettura capaci
di ispirare i partecipanti della
ricerca. I ricercatori e lo staff
dovrebbero avere una formazione
psicoterapeutica, psichedelica e
spirituale, e lavorerebbero sotto
d