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Tra la politica della donne e l’arte c’è, per me, un legame pro-
fondo che, nella mia esperienza di femminista e storica dell’arte,
ho sempre avvertito molto intensamente: sono entrambe pratiche,
entrambe necessitano della relazione con l’altra/o, entrambe ricer-
cano e coltivano la capacità di trasformarsi e di cambiare il mondo
attraverso il linguaggio.
Il neofemminismo, d’altronde, è stato soprattutto politica della
parola, ricerca femminile di un linguaggio per dirsi, per trasformar-
si, per aprire passaggi di comunicazione e l’arte è innanzitutto ri-
cerca concreta di linguaggi efficaci. Li accomuna anche un’analoga
intenzionalità creativa, non a caso Carla Lonzi, storica dell’arte e
figura di riferimento primario del neofemminismo italiano, nella sua
autobiografia scriveva: «Adesso capisco … che il soggetto non cer-
ca la cosa di cui ha bisogno, ma la fa esistere. Io ho gustato questo
nel femminismo».1
Nel XX secolo fra la fine degli anni ’60 e l’inizio del decennio
successivo, con l’affermarsi del movimento femminista e il con-
seguente, nuovo protagonismo sociale delle donne, il rapporto fra
pratiche politiche e pratiche artistiche ha trovato storicamente una
nuova, originale espressione. Sempre più donne2 infatti iniziavano
ad intervenire nel mondo delle arti visive con azioni rivolte in due
Con mossa lucida e decisa Sauzeau Boetti andava, così, dritta alla
radice della questione e suggeriva una terza via fra il negare la spe-
cificità dell’esperienza estetica femminile e il sostenere un’icono-
grafia, un immaginario costruiti su elementi formali comuni e basati
sul sesso ed il corpo femminile (come proposto da tante artiste – e
critiche – femministe americane). Questa terza posizione consisteva
nel riconoscere che l’espressione artistica femminile autentica va
cercata e praticata al di fuori dell’ordine simbolico e linguistico che
ha dato ordine al reale secondo l’esperienza maschile.
… la fertilità è solo una delle molte funzioni della Dea. … Dea ma-
dre è anche questo un concetto erroneo. È vero che vi sono immagini
materne … ma il resto delle immagini femminili non può essere rubri-
cato sotto il termine generale di Dea Madre. Le Dee Uccello e Serpen-
te, per esempio, non sono sempre madri, né lo sono molte altre imma-
gini di rigenerazione come la Dea Rana, Pesce o Porcospino … esse
impersonano la Vita, la Morte e la Rigenerazione; sono assai più che
fertilità e maternità … il termine madre è riduttivo e non consente di ap-
prezzare il suo carattere complessivo.4
6 L. Lippard, From the Center, Dutton, New York 1976, p. 21: «The
ascending archetypal symbols of the feminine unfold today in the psyche
of modern Everywoman. They encompass the multiple forms of the Great
Goddess. Reaching across the centuries we take the hands of our Ancient
Sisters. The Great Goddess, alive and well, is rising to announce to the
patriarchs that 5,000 years are up-Hallelujah! Here we come.»
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8 La Síle na gig è stata interpretata come antica divinità celtica, figura apo-
tropaica o, nell’ambito del Cristianesimo, come ammonimento contro il
peccato, protettrice delle donne, simbolo di fertilità, santa o strega, come
spirito femminile ancestrale a protezione delle partorienti.
9 M. Mullin, Representation of History, Irish Feminism and the Politics of
Difference, in “Feminist Studies”, vol. 17, n. 1, 1991
10 W. Balzano, Irishness – Feminist and Post Colonial, in I. Chambers
and L. Curti (eds.), The post-colonial question: common skies, divided
horizons, Routledge, London 1996
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La dimensione materna
esempio, sulla difficoltà per una donna di trovare le parole per de-
finirsi in un ordine simbolico e sociale che non la prevede come
soggetto.
«Un viaggio all’inferno ed uno in paradiso e la morte di sé per un
nuovo sé»14 così l’artista ha definito i poli estremi di un’esperienza,
Mirella Bentivoglio, Ab ovo, ab Eva, Ave Eva, ea, 1979, cartella di 4 disegni
serigrafati nel 1986, courtesy Eidos
Bibliografia
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M. Pasinati - Dirsi a «partire da sé»: archetipi, creatività 155