Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
per Consagra
di Mariella Pasinati
Pietro Consagra, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita (Mazara del
Vallo 1920 – Milano 2005), ha incarnato il tipo dell’artista novecentesco per
eccellenza. Dalla seconda metà degli anni ’40 fino alla fine degli anni ’80, infatti, la
sua straordinaria attività creativa si è svolta parallelamente sul piano del linguaggio
visivo e su quello altrettanto intenso della scrittura attraverso la quale l’artista ha
precisato i suoi intenti, i termini programmatici del proprio lavoro e ha espresso le
sue considerazioni critiche sul contesto artistico e culturale del suo tempo, a volte
Pietro Consagra e Le Geometrie, 1947 con una notevole vis polemica, sempre con autenticità.
In scultura questa necessità si è tradotta nella frontalità, una delle più radicali innovazioni linguistiche del
secondo Novecento. Siamo di fronte ad una scelta sostenuta da una determinata e costante disposizione ideale che
ha contraddistinto tutto il suo percorso artistico, segnato dalla ricerca di un’arte svincolata da ogni schema, come
fondamento di libertà, anche rispetto alla fruizione, e contro ogni dogmatismo, ogni rigidità tipici del potere.
Dal punto di vista formale con il passaggio all’astrazione, la produzione degli anni dal 1947 al 1952 è caratterizzata
da forme stilizzate e pure, opere di ispirazione costruttivista, dai lavori più filiformi alle sculture verticali in ferro ‒
totemiche ‒ come le definisce lo stesso artista, che già anticipano uno schema frontale. Sono gli anni di opere
come Plastico in ferro (monumento al partigiano) del 1947 e Manifesto elettorale del 1948.
«[...] La frontalità è nata dentro di me come alternativa al totem, cioè alla scultura che doveva nascere al centro di uno spazio ideale.
Presentando un’urbanistica diversa, cioè quella della frontalità, mi sono tolto dal proposito di occupare uno spazio al centro del quale
costruire qualcosa, un punto di attenzione convergente. La frontalità io l’ho sentita come un ridimensionamento delle pretese che si erano
accumulate intorno alla scultura, pretese religiose, sociali, di ordine costituito passato o futuro; ho voluto scaricare la scultura da tutte
queste pretese di simbolo per creare un rapporto più diretto, frontale appunto, a tu per tu, con lo spettatore… ho sentito questo bisogno:
togliere la scultura dal centro ideale»[9].
C’è dunque più di una intenzione alla base della scelta estetica e del
rifiuto della tradizionale tridimensionalità della scultura monumentale:
c’è il tentativo di recuperare la valenza originaria della scultura,
sottraendola alla convenzionalità retorica e all’autoritarismo di
piedistalli e gerarchie, c’è la volontà di sviluppare un rapporto libero e
diretto con il pubblico, promuovendone la partecipazione attiva, c’è il
proposito di instaurare un nuova relazione con l’ambiente e una diversa
visione dello spazio.
«La mia scultura è frontale perché nasce da considerazioni tecniche di semplificazione del punto di vista costruttivo e dei materiali, ma
soprattutto perché nasce dal concetto di Spazio Differente. … Gli elementi plastici ridotti al piano, a una semplice sovrapposizione di piani
sono stati la conseguenza tecnica del mio rifiuto alla plastica modellata risolvendo con la minima spesa una scultura fatta di metallo
leggero, strisce di legno o di ferro»[10].
Si afferma così un’idea di arte – di forma – che di per sé rimanda ad un dialogo col
mondo e un nuovo orizzonte della scultura, quale territorio di incontro, di scambio
umano e sociale. Sul piano del linguaggio formale la frontalità, quest’idea
alternativa di spazio, si esprime primariamente nel passaggio dalla verticalità
all’orizzontalità, intesa come luogo dei rapporti, «nell’ipotesi di uno spazio
colloquiale». Ne deriva la serie dei Colloqui dove il dialogo oltre che fra scultura e
fruitore, si materializza fra gli elementi stessi che compongono l’opera e nel
contrasto superficie/profondità. Dal punto di vista visivo, infatti, le sculture sono
concepite secondo uno schema bidimensionale di forma quadrangolare e dal
perimetro irregolare, uno schema che si presenta a volte più aperto, con due/tre
elementi che esplicitamente si confrontano (Colloquio col tempo, 1957), a volte in
Consagra, Plastico in ferro,
forma più compatta (Colloquio fermo, 1960).
Monumento al Partigiano, 1947
(Archivio Pietro Consagra)
Sono piani sottili che l’artista dispone in modo da ottenere un contrasto dinamico
accostando e sovrapponendo le superfici di diverso spessore che ora avanzano ora
arretrano presentando fenditure e tagli più o meno ampi e profondi, vuoti che liberano le forme e immettono lo
spazio esterno all’interno della figura. Il gioco di contrasti chiaroscurali
delle superfici è messo in evidenza dal materiale impiegato, in un primo
momento il ferro, poi il bronzo e, dal 1954 anche il legno bruciato, a volte
con inserti in bronzo, che notevolmente accentua l’effetto dinamico ‒ e
drammatico ‒ di superficie.
È dunque nella seconda metà degli anni Sessanta che Consagra imprime una
svolta significativa al suo lavoro: lo spessore dei piani si riduce, le forme si fanno
più morbide, le superfici si incurvano lievemente e si colorano di tinte delicate:
rosa, turchese, viola, la scultura diventa più briosa e leggera. La scelta cromatica,
quasi una risposta alla Pop Art, in realtà non è del tutto nuova, come lo stesso
Consagra dichiarava nell’intervista a Carla Lonzi già citata, le sculture in ferro
degli anni Quaranta, infatti, erano state colorate col minio e a volte in blu, grigio o
nero, allo scopo di proteggerle dalla ruggine. Ora, però, l’artista spiega che il
colore risponde a un preciso intento formale ed espressivo, costituisce «un
alleggerimento della tensione dalla mia scultura e dal senso polemico della
frontalità. Il colore, quindi, per me non è stato un aggiungere ma un
togliere»[13]. Consagra, Ferro trasparente rosa, 1966
(Archivio Pietro Consagra)
Durante il soggiorno negli Stati Uniti, fra il 1968 e il 1969, seguono le Sottilissime
che rispondono all’esigenza di Consagra di sperimentare un materiale capace di
autosostenersi ma sottile come carta. Sono forme diafane, realizzate con fogli
d’acciaio dello spessore di soli due decimi di millimetro attraversati da una trama
di segni incisi che creano un effetto di trasparenza, rarefazione e
smaterializzazione consentendo di leggere lo spazio oltre la trama (Sottilissima
possibile numero 1, 1968).
Non si tratta dunque di una mera operazione di abbellimento e decorazione degli edifici e degli spazi urbani, bensì
della necessità di far vivere una nuova concezione della città basata su un rapporto armonico fra architettura e
ambiente e di determinare migliori condizioni del vivere, grazie a strutture ed architetture dalle forme originali,
ad uno spazio «mobile, provvisorio, trasparente, paradossale» in grado di porsi in condizione di dialogo con chi lo
abita per esaltarne le capacità creative [16].
Svilupperà la sua concezione urbanistico-architettonica nel libro La città frontale, pubblicato nel 1969, dove
afferma che
«la città frontale è possibile, può nascere oggi e dovrebbe già essere impiantata: non è una città del futuro. [...] non vorremo più stare
dentro dei cubi, […] non vorremmo stare dentro alcuna dimensione prestabilita dal carattere di produttività standardizzata, non vorremo
stare dentro alcun concetto di stabilizzazione. Qualsiasi spazio ci capiterà di dover usare, deve essere mobile, provvisorio, trasparente,
paradossale, sfuggente alle strutture eternali di Potere, disponibile alla mutabilità delle scelte»[17].
Questo compito innovativo, tuttavia, per Consagra non può che spettare
ormai all’artista, il solo che può riconsegnarci «una Città da vedere».
L’analisi delle città americane, infatti, lo ha confermato nella
convinzione dell’inadeguatezza degli ambienti urbani contemporanei,
espressione di una organizzazione dogmatica e gerarchica del “Potere”, e
si è acuita la sfiducia e la critica nei confronti degli architetti che
sembrano essersi sottratti al loro ruolo: «Per l’Architetto non ha senso la
Consagra, Città frontale tris trasparente n.1, 1968
rinuncia, non ha senso la crisi. Quanto più si inserisce nel Potere tanto
(Archivio Pietro Consagra) più si sentirà riuscito e utile. Il Potere non può disgustarlo»[18].
Da queste riflessioni nascono dunque i progetti degli Edifici Frontali in
acciaio inox, concepiti come strutture trasparenti e articolate,
caratterizzate dalla continuità di piani curvi e avvolgenti; in questi ambienti coloro che li abitano non saranno solo
accolti ma diventeranno, nell’intenzione dell’artista, «autori interni» in un processo di partecipazione che li rende
«partner dell’artista»[19].
L’occasione per mettere alla prova la frontalità in architettura è data, dopo il terremoto del 1968, dalla costruzione
di Gibellina nuova, lo straordinario esperimento voluto dal sindaco Ludovico Corrao, una scommessa sulla
capacità trasformativa dell’arte nel rendere la città luogo di vita e partecipazione attiva, capace di stimolare in chi
vi risiede il desiderio di abitarla in maniera creativa. Di quella eccezionale esperienza resta oggi il museo a cielo
aperto che Gibellina rappresenta, ma la città vivente purtroppo non è riuscita a conciliarsi con la città di pietra.
Negli anni a Gibellina, Consagra realizza anche diverse altre sculture che
fanno della città la più significativa e varia concentrazione di opere del
maestro siciliano, un insieme che testimonia buona parte della sua
ricerca estetica: Riferimento all’unicità e Riferimento all’irripetibile
(1977) che formano il cancello di ingresso al cimitero monumentale di
Gibellina (scelto dall’artista come ultima dimora), la ormai celebre,
imponente porta di accesso alla città, La stella del Belice (1981), il
gruppo di sculture antistanti la casa di riposo per anziani Tris (1988) e la
Consagra, La città di Tebe, 1988
Porta del Cremlino (1996) che segna l’ingresso all’Orto botanico. Altri
lavori si trovano anche al Museo delle trame mediterranee e in quello
d’Arte Contemporanea.
La ricerca visiva in architettura si articolerà ulteriormente negli anni Novanta con le Facciate di Ghibli città
frontale (1995) intitolata al vento del deserto che, nell’interpretazione di Consagra, spiritosamente ne “sferza” le
forme. Identificate in relazione al colore, le composizioni sono determinate a partire dalla dimensione geometrica
che l’artista segna con tagli, slabbrature, aperture dai profili definiti, in alcune di esse, da decorazioni e
modanature che richiamano negli andamenti arcuati le forme e i ritmi delle sue sculture.
Ma la matrice originaria di tutte le facciate è il progetto concepito per l’edificio comunale di Mazara del Vallo
(1984), nato per un moto interiore immediato che l’artista ha spiegato così: «Quando ho visto l’insopportabile
edificio del nuovo Palazzo Comunale, costruito in tempo record nella più bella piazza settecentesca di Mazara del
Vallo, mi sembra fosse nel 1983, mi indignai per l’incoscienza dell’amministrazione cittadina. […] non riuscivo a
disinteressarmi a quel guaio, non me la sentivo di arrendermi, di cedere all’irreparabile. Infine mi venne l’idea di
progettare una facciata, traforata da sculture-finestre, da sovrapporre a
quella mostruosità»[20]. Purtroppo, dopo oltre trent’anni dal primo
progetto ‒ e dagli altri che sono stati ideati nel corso del tempo ‒ dopo
incertezze, ostilità, pasticci, quell’occasione unica per la città è stata
colpevolmente mancata. C’è da augurarsi che sulla spinta del centenario
Mazara sappia ricomporre il rapporto con l’artista restituendo integrità,
immagine e valore alla scultura-fontana donata da Consagra alla sua
città natale (Uomini che vengono dal mare, 1962) attraverso il restauro
Consagra, Progetto di facciata per il Palazzo comunale e l’attivazione di una corretta funzionalità.
di Mazara, 1984
Fra le opere degli ultimi anni sono le Porte del Cremlino (1990-91) e la
Doppia bifrontale del 2000, riproposta nel 2003 in dimensioni maggiori
per la sede del Parlamento Europeo a Strasburgo. Nelle Porte il distacco
fra i piani, la fessura, il taglio si fanno passaggio e si manifesta una
nuova variante della bifrontalità, nella definizione della sagoma del
varco che segna l’attraversamento e relaziona due diversi punti di vista
della stessa, identica figura. Si tratta di una dozzina di modelli in legno
dipinto, di queste, oltre alla porta che segna l’ingresso all’orto botanico
Consagra, La Doppia Bifrontale, 2003
di Gibellina, è stata realizzata in pietra anche la Porta numero 10, fatta
da grandi blocchi di marmo rosso di Verona e botticino sovrapposti ed
alternati, oggi nel Parco di sculture di Briosco della Fondazione Pietro Rossini.
La Doppia bifrontale si presenta invece come la giustapposizione in un’unica figura uniformata dal colore bianco
di due bifrontali con diverso appoggio alla base e differenti nel segno che ne definisce i profili, con forme ondulate
per una, frastagliate secondo una linea spezzata per l’altra.
Fino alla fine del suo percorso umano ed artistico Consagra ha dunque continuato a sviluppare ed arricchire il suo
vocabolario di forme mettendo continuamente a nuova prova la finalità e i concetti chiave della sua pratica
creativa. La frontalità, un nuovo rapporto tra oggetto e spazio, tra scultura e ambiente attraverso il coinvolgimento
del fruitore/della fruitrice sono stati il perno di una ricerca e di una pratica di autoregolazione frutto di una
necessità interiore autentica, di «un’esperienza dentro se stessi»[23].
Note
[1] L’autobiografia Vita mia, Feltrinelli, Milano 1980, con la quale vinse il premio letterario Mondello e la raccolta di poesie Ci pensi amo,
All’insegna del pesce d’oro di Vanni Scheiwiller, Milano 1985.
[2] Carla Lonzi, Autoritratto, con prefazione di Laura Iamurri, et al./edizioni, Milano 2010: 30; la prima edizione, senza prefazione, è
stata pubblicata da De Donato, Bari 1969.
[3] Carla Accardi, Ugo Attardi, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato.
[4] Pietro Consagra, Necessità della scultura, Lentini, Roma 1952, in Consagra che scrive, scritti teorici e polemici 1947/89, All’insegna
del pesce d’oro di Vanni Scheiwiller, Milano 1989: 21.
[5] «Noi ci proclamiamo formalisti e marxisti, convinti che marxismo e formalismo non siano inconciliabili…» così si apriva il Manifesto
Forma 1.
[6] «Io e Turcato eravamo considerati nel Partito una coppia di pecore nere» (P. Consagra, Vita mia, Feltrinelli, Milano 1980: 68)
[7] Pietro Consagra, In difesa dell’Astrattismo, in Consagra che scrive, scritti teorici e polemici 1947/89, All’insegna del pesce d’oro di
Vanni Scheiwiller, Milano 1989: 15.
[9] Carla Lonzi, Intervista a Pietro Consagra, catalogo della mostra personale, Galleria dell’Ariete, Milano 1967 in Carla Lonzi, Scritti
sull’arte, et al./edizioni, Milano 2012: 510.
[14] Giuliano Briganti, Il mondo vestito di ferro, in “L’Espresso”, 4, 22 gennaio 1967: 17.
[16] «Se siamo sicuri che un edificio deve superare le sue funzioni pratiche, tanto da affermare che più che funzionale e retorico, opulento,
demagogico, deve essere un’opera nuova, un’opera che rifletta un rapporto nuovo tra fruitore e oggetto, è chiaro che vogliamo affrontare
un campo minato: addentrarci nella responsabilità di aver fiducia in una diffusione differente della coscienza plastica a livello dell’opera
d’arte». (Pietro Consagra, Architetti mai più, Prearo editore, Milano 1993: 21).
[18] Ivi: 30. Sulla critica agli architetti vedi anche Carla Lonzi, Autoritratto, cit.: 177-180 e Pietro Consagra, Architetti mai più, Prearo,
Milano 1993.
[19] «Se ora consideriamo la città frontale come una dimensione oltre i problemi plastici e introduciamo in essa tutta una serie di concetti
che riguardano la vita, i rapporti sociali, le cose, nella grande apertura dobbiamo registrare, accogliere la presenza del nuovo
personaggio che costituisce il fruitore: l’autore, il partner dell’artista» (Pietro Consagra, Architetti mai più cit.: 21).
___________________________________________________________________________________
Mariella Pasinati, già insegnante di storia dell’arte, è impegnata nella ricerca e nella pratica pedagogica ed è presidente della Biblioteca
delle Donne e centro di consulenza legale UDIPALERMO onlus. Autrice di saggi di storia e critica d’arte sull’opera di artiste
contemporanee, ha anche curato: Insegnare la libertà a scuola. Rendere impensabile la violenza maschile sulle donne (Carocci,
2017); Riletture (Ila Palma, 1999); Parole di libertà (Ila Palma, 1992).
_______________________________________________________________
Dialoghi Mediterranei
Motore utilizzato WordPress.