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Lezione N 3
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Corso Open-Psy – Mariarosaria De Simone – mrdesimone@libero.it - Copyleft 2003
Il ritardo mentale rappresenta uno dei quadri nosografici di interesse psichiatrico più diffusi,
essendo diagnosticabile nel 1,5% della popolazione generale.
Non ha un’età di insorgenza, e in genere coincide con il percorso di vita della persona.
Esiste quindi un momento diagnostico, terapeutico, riabilitativo e di assistenza-supporto che
interessa tutte le età della vita, richiede un intervento sia medico-riabilitativo che
psicosociale,ha un costo sociale alto,non è suscettibile di cura farmacologia.
Il ritardo mentale si codifica, secondo i criteri diagnostici di riconoscimento (DSM-IV)
in asse II. I criteri di riconoscimento sono tre:funzionamento intellettivo significativamente
inferiore alla media, con QI minore di 70 concomitanti deficit o compromissioni nel
funzionamento adattivo attuale (le capacità del soggetto ad adattarsi agli standard propri
della sua età e del suo ambiente culturale) in almeno due delle seguenti aree:
comunicazione, cure della propria persona, vita in famiglia, capacità sociali ed interpersonali,
uso delle risorse della comunità, autodeterminazione, capacità di funzionamento scolastico,
lavoro, tempo libero, salute, sicurezza,esordio prima dei 18 anni di età.
La classificazione dei gradi di ritardo mentale si può così sintetizzare:
1) Ritardo mentale lieve con QI 50-70, età mentale 8-12 anni, soggetti educabili
e scolarizzabili
2) Ritardo mentale medio con QI 35-50, età mentale 3-7 anni, soggetti
addestrabili, non scolarizzabili, discreta autonomia
3) Ritardo mentale grave con QI 25-40, età mentale 2-3 anni, dipendenti,
scarsa autonomia, grave compromissione del linguaggio
4) Ritardo mentale gravissimo con QI inferiore a 20, i soggetti che possono
rispondere ad un addestramento all’uso di gambe, mani, mascelle
Landesman e Ramey (1990), a proposito del ritardo mentale, sottolineano come negli ultimi
anni si siano verificati cambiamenti sostanziali nella definizione di tale categoria diagnostica.
Infatti, accanto alla valutazione dell’intelligenza generale dei soggetti si considera ora, con
maggiore attenzione, la capacità di assumere comportamenti adeguati ai diversi contesti di
vita, o, come li definiscono gli autori, “ i successi nel mondo reale”.
Si impone sempre più, quindi un modello di diagnosi “funzionale”, che tiene in
considerazione la storia del soggetto e le sue attuali potenzialità di sviluppo “in funzione”
della creazione di un progetto di intervento individualizzato, unico per ciascuna persona.