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Fig. 3.6: Itinerari possibili di forze orizzontali entro una maglia di telaio in c.a.
Il conseguente itinerario risulta manifestamente tormentato. La spinta è costretta (da esigenze di
economia dell'energia di deformazione) a continue deviazioni, che a loro volta comportano
ulteriori spinte (questa volta verticali). Fra le due ipotesi (1) e (2) di fig. 3.5 accade molto spesso
che la prima (quella che presuppone la utilizzazione delle murature) risulti più "conveniente" e,
quindi, venga preferita dal carico. Infatti lungo di essa è spesso necessario un minore
investimento di energia di deformazione - nonostante il materiale costitutivo delle murature sia
normalmente meno rigido di quello delle strutture - proprio per le caratteristiche geometriche
dell'itinerario (che come si è visto è di gran lunga meno tortuoso) e per la minore quantità di
spinte, che a loro volta implicano ulteriore investimento in energia di deformazione lungo il loro
stesso percorso. In fig. 3.6 si illustrano possibili itinerari di forze orizzontali (spinte),
corrispondenti ai due casi della fig. 3.5, che si è precedentemente proposta per itinerari obliqui di
forze verticali. Si può immediatamente riconoscere che si ripetono le problematiche esaminate in
precedenza, ed in particolare la circostanza che lungo tali percorsi nascono inevitabilmente, in
corrispondenza di ogni nodo di deviazione, spinte ortogonali alla direzione delle forze itineranti,
che a loro volta impegnano il sistema strutturale e impongono ulteriori trasformazioni di energia
potenziale in energia di deformazione (assestamenti). La differenza fra la ipotesi di
attraversamento del pannello murario, e quella di attraversamento delle colonne, anche in questo
caso, risiede solamente nel numero di deviazioni e di spinte: ancora una volta la preferenza
potrebbe cadere sull'itinerario assai meno tortuoso, che impegna la muratura.
Fra i due casi mostrati dalle figg. 3.5 e 3.6 - nonostante la analogia - è tuttavia assai rilevante la
differenza sotto il profilo concettuale. Mentre infatti i carichi verticali normalmente non seguono i
percorsi deviati rappresentati dalla fig. 3.5, in quanto utilizzano le naturali traiettorie verticali
offerte dai pilastri, che abbandonano solo straordinariamente, come nel caso proposto di rottura
di una di queste traiettorie; al contrario le forze (spinte) orizzontali assai spesso non hanno
alternativa: sono costrette a fluire lungo itinerari tormentati. Ciò - come si è visto - è
conseguenza del fatto che esse non sono orientate "naturalmente" verso l'obiettivo al quale pure
sono dirette (il terreno di fondazione oppure una controspinta equilibrante, situata però a livelli
diversi, come il piano immediatamente soprastante o quello sottostante). Il by-pass della rottura
illustrato sarebbe possibile - naturalmente - solo se lungo esso non si verificano rotture
conseguenti al transito dei carichi F8 ,F7 ,F6 ,F5 ,F4, F3,F2 ,F1. E' tuttavia assai probabile che tali
rotture invece si verifichino, specie se l'organismo strutturale dell'edificio non è stato predisposto
in sede di progetto a simili eventi straordinari. La possibilità di attivare questa fondamentale
estrema risorsa di resistenza - che consentirebbe all'edificio di "sopravvivere" (con limitato danno
alle persone) anche alla rottura di un pilastro - riposa dunque sulla sua capacità di resistere al
nuovo scenario. E tale capacità dipende a sua volta da un adeguato dimensionamento e da una
corretta mutua connessione degli elementi strutturali coinvolti dal comportamento statico
prospettato in fig. 3.3. Il modello LpM mostra chiaramente quali siano tali elementi. (a) Lungo la
pilastrata in cui si è ipotizzato il collasso locale: i pilastri soprastanti la tesa in cui è avvenuto il
collasso (si noti il percorso a tratto intero, che configura un itinerario di trazione).
(b) Lungo gli impalcati orizzontali: le travi ed i solai, entro i quali si muovono le spinte orizzontali
H8, H7, H6, H5, H4 H3, H2, H1. (c) Le murature e/o i pilastri coinvolti dai percorsi obliqui (si
rivedano le figg.3.5 e 3.6). (d) Lungo le pilastrate contigue (nn° 23 e 25): tutti i pilastri, obbligati
a portare non solo una delle due aliquote (N'1 ed N''1 ) in cui si è suddiviso il carico N1, ma anche -
come mostra la fig. 3.6 - le spinte verticali V, (VH), conseguenti alla attivazione della solidarietà
delle maglie di telaio (fra i pilastri 22-23 e 25-26) contigue a quelle di appartenenza del pilastro
24 (fra i pilastri 23-24 e 24-25), che ha subito il collasso. (e) La struttura di fondazione dei pill.
nn° 23 e 25, anch'essi impegnati in misura straordinaria dall'avvento dei nuovi carichi (di N'1 ,N''1
e VH). (f) Il terreno di fondazione immediatamente sottostante i blocchi di fondazione dei pilastri
nn° 23 e 25, a sua volta straordinariamente sollecitato, in conseguenza dell'avvento dei nuovi
carichi. (g) I "nodi" strutturali entro i quali avviene la deviazione dei percorsi, e di conseguenza
l'introduzione delle spinte nel sistema strutturale. Se cedesse anche uno solo degli elementi
resistenti elencati - tutti indispensabili per assicurare al carico N1 gli itinerari alternativi a quello
interrotto dall'assunto collasso del pil. n° 24 alla 1^ tesa (secondo la rappresentazione della fig.
3.2) - le conseguenze sarebbero le seguenti. Si produrrebbe una seconda rottura locale [in (a),
oppure in (b), (c), (d), (e), (f),(g)], per cui la aliquota del carico N1 sarebbe costretta ad
abbandonare anche questo nuovo itinerario, ed a cercarne un altro. Come si può immaginare, altri
by-pass sarebbero in teoria praticabili, ma richiederebbero un nuovo investimento in energia di
deformazione, peraltro inevitabilmente più rilevante di quello precedente. Questa circostanza
merita una riflessione, in considerazione del fatto che essa costituisce uno degli elementi
caratterizzanti le modalità di collasso fragile, che appunto implicano un rapido esaltarsi dei
fenomeni deformativi, conseguenti al susseguirsi delle rotture locali. Si è detto che, in base al
principio del minimo di energia di deformazione, ogni volta che intraprende un nuovo cammino il
carico sceglie quello che richiede il minimo investimento. Pertanto il nuovo percorso non può non
richiedere una maggiore energia del precedente e provoca di conseguenza un assestamento
maggiore. Se infatti il nuovo itinerario avesse richiesto minore investimento rispetto a quello
vecchio - abbandonato in conseguenza della sua rottura locale - la preferenza per quest'ultimo,
all'inizio della fase statica della vita dell'edificio, sarebbe stata manifestamente in contrasto con
l'enunciato principio. Si è detto, dunque, che la crisi iniziale evolve verso un collasso progressivo
quando si produce una rottura anche nella nuova configurazione dell'organismo strutturale,
rappresentata ad esempio dal modello di fig. 3.3. Il crollo generale è infine la rappresentazione
fisica della perdita totale della energia iniziale di posizione dei carichi, dispersa nel vano tentativo
di trovare alternative ai molteplici percorsi, esplorati ma subito abbandonati per il sempre più
rapido susseguirsi delle rotture locali. A titolo di esempio si può analizzare questo scenario nel
caso (peraltro assai comune) in cui a cedere sia proprio il pilastro contiguo (il n° 25) a quello (il
n° 24) nel quale ha avuto inizio il fenomeno (fig.3.7). E' l'elemento contrassegnato con d
nell'elenco proposto di tutti gli elementi indicati come essenziali ai fini del funzionamento del
modello di fig. 3.2 La situazione di tali pilastri contigui è ora infatti di gran lunga peggiori alla
ricerca di un nuovo percorso ora non c'è più il carico di un solo pilastro ma quello del pilastro 24 e
del pilastro 25 a loro volta notevolmente incrementati dal sommarsi delle spinte verticali (V).
Fig. 3.7: Collasso a catena -dalla rottura del primo pilastro alla rottura del pilastro contiguo.
Si riconosce immediatamente che il fenomeno diventa rapidamente via via sempre più
"drammatico": contemporaneamente accade che la intensità dei pesi che sono costretti a
tormentati percorsi di emergenza cresce straordinariamente e si allungano i percorsi verso i
pilastri ancora integri, sempre più lontani dal punto in cui il fenomeno ha avuto inizio. Cresce,
quindi, rapidamente l'energia di deformazione durante questo gravissimo fenomeno, che abbiamo
definito collasso progressivo o a catena. A catena: in quanto ogni rottura locale provoca effetti più
gravi delle cause che l'hanno prodotta; e ciascuno di questi effetti si abbatte sugli elementi
strutturali contigui, diventando causa di condizioni ed effetti sempre più gravi.
Lo scenario descritto è quello che può essere definito comportamento fragile di sistema.
4. LA PROGETTAZIONE DEI DETTAGLI COSTRUTTIVI PER LIMITARE IL RISCHIO DI
COLLASSO PROGRESSIVO: ESPERIENZE IN ATTO IN EDIFICI DELLO I.A.C.P. DI BARI
La progettazione di un edificio, orientata verso l'obiettivo di dotarlo di una capacità controllata di
"resistere al fenomeno di collasso progressivo", non deve dunque riguardare solo gli aspetti
squisitamente strutturali. Il LP di fig. 3.2 - come si è visto - permette di individuare, con la
evidenza che è propria dei modelli geometrici, tutti gli elementi strutturali essenziali ai fini della
attivazione del sistema solidale che assicura la sopravvivenza dell'edificio alla rottura di un
pilastro. Una guida per la progettazione può dunque essere rappresentata proprio dalla lista
precedentemente proposta [da (a) a (g)]. Si può convenire (particolarmente a proposito dei punti
(c), (e) ed (f) ) che è necessaria un'adeguata attenzione alla concezione globale, architettonica e
strutturale, ed alla integrazione di questi due aspetti del progetto. Il tema merita uno specifico
approfondimento, anche in considerazione del fatto che è molto spesso possibile utilizzare a basso
costo caratteristiche intrinseche del progetto architettonico per assicurare agli edifici formidabili
presidi contro il rischio di collasso progressivo.
4.1 Le armature dei pilastri
Tenendo sempre come riferimento il modello di fig. 3.2., si può anche affermare che la capacità di
"sospensione" dei carichi lungo i pilastri per consentirne la risalita alla ricerca di percorsi
alternativi (punto (a) del par. precedente), la predisposizione all'interno degli impalcati di itinerari
anche di trazione utilizzabili dalle spinte orizzontali (punto (b) del par. precedente), la
organizzazione dei nodi adeguata alla necessità di solidarizzare fra di loro itinerari di
compressione e di trazione (punto (g) del par. precedente), rappresentano altrettanti obiettivi del
progetto per il cui conseguimento sono necessari specifici provvedimenti riguardanti la
disposizione, il dimensionamento ed i dettagli costruttivi delle barre di armatura.
Fig. 4.0a: Progetto esecutivo delle strutture per la costruzione di n. 2 fabbricati
con n. 36 alloggi di E.R.P. in Andria - sezione trasversale di un pilastro.
Applicazioni di criteri di progettazione mirati agli obiettivi indicati possono riscontrarsi nel progetto
esecutivo di alcuni edifici per civile abitazione, da realizzarsi in Andria, da parte dell'Istituto
Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Bari. Vari i provvedimenti adottati. Ci si sofferma
prima su quello che sembra offrire un assai elevato rapporto fra beneficio e costo di costruzione.
Si riporta nelle figg. 4.0a e 4.0b la soluzione adottata per l'armatura dei pilastri nel citato progetto
esecutivo strutturale [14]. Essa prevede l'inserimento di armatura aggiuntiva composta da forcelle
verticali (poss. 5 e 6 nelle figg. 4.0a e 4.0b) che permette ai carichi Fi di risalire di almeno una
tesa coerentemente con il percorso descritto in fig. 3.3. (punto (a)).
Fig. 4.3: Funzionamento a membrana tesa dei singoli campi di un solaio bidirezionale
In fig. 4.3 si mostra che ogni campo interno di un solaio bidirezionale può comportarsi, se ben
armato inferiormente, come una membrana a trama bidirezionale, vincolata lungo i bordi a
catenarie tese fra i centri delle colonne. Queste catenarie costituite da barre continue trasmettono
il carico alle colonne se ben ancorate alle stesse. E' indispensabile che siano appoggiate
fisicamente alla faccia orizzontale superiore del pilastro, passando all'interno delle sue barre
verticali, e siano ivi trattenute dalle staffe dello stesso pilastro. I campi di solaio esterni formano
delle membrane monodirezionali estese fra i pannelli esterni adiacenti. Queste membrane
monodirezionali sono appoggiate alle catenarie che corrono perpendicolarmente al bordo libero.
Il meccanismo resistente post-collasso dei pannelli d'angolo è costituito dalla formazione di
catenarie diagonali che tagliano l'angolo trovando nei pannelli adiacenti un vincolo rigido nel
proprio piano. Studi sperimentali effettuati su interi impalcati formati con solai bidirezionali hanno
messo in luce che, assimilata la struttura ad un'unica membrana tesa, la sua analisi con i metodi
di calcolo citati è in genere cautelativa e consente di stimare con soddisfacente attendibilità la
misura del carico uniforme in corrispondenza di un abbassamento al centro di 0,15ln.
Si ribadisce la decisiva importanza, tuttavia, che sulla attivazione di questi meccanismi svolge una
corretta disposizione dei dettagli di ancoraggio e di giunzione delle barre, che fungono da catene.
Mitchell e Cook [18] definirono un'espressione per il calcolo della singola catenaria, assumendo
che la stessa dovesse portare un carico uniforme pari alla metà di quello gravante sull'area di sua
pertinenza nel caso di solaio monodirezionale. Detta dunque l2 la distanza fra le mezzerie dei
campi di solaio a sinistra e a destra della catenaria stessa, dall'equazione di equilibrio per il
calcolo iterativo del carico sulla piastra già citato si ha:
con s coefficiente di sicurezza per la resistenza del materiale e ws carico distribuito non minore
dell'intero carico di servizio non ridotto per alcun fattore.
Affinché possano considerarsi continue le barre dell'armatura inferiore devono (v. fig. 4.4) esser
dotate di giunzione per sovrapposizione all'interno dell'area di diffusione della reazione delle
colonne per una lunghezza non inferiore a ld. In alternativa la giunzione può trovarsi all'esterno
dell'area suddetta, ma in tal caso la sua lunghezza va raddoppiata. Altra condizione essenziale è
che esse siano piegate o uncinate o comunque ancorate alle estremità e nelle zone di
discontinuità in modo da poter sopportare una tensione pari al limite di snervamento in
corrispondenza della sezione di attacco colonna-solaio.
Fig. 4.4: Schema elementare per le disposizioni di dettaglio per la continuità
delle armature inferiori: (a) caso di solai piani; (b) caso di solai a fungo.
L'inserimento delle staffe delle travi anche all'interno dei nodi, e tutte le disposizioni costruttive
specifiche delle verifiche a punzonamento risultano particolarmente efficaci anche ai fini della
attivazione di questi comportamenti post-collasso. Le raccomandazioni di progetto e sui dettagli
costruttivi elaborate da Mitchell e Cook furono recepite dalle normative canadesi (Canadian
Standards Association Code del 1984).
4.2.2 Solai unidirezional
Si affronta ora il caso dei solai tessuti in una sola direzione, portati da travi principali e con
nervature secondarie costituite da travetti gettati in opera o semi-prefabbricati con interposti
blocchi di alleggerimento ([11]).
(4.2)
Si noti che questa parabola ha un vertice nel punto x = a = l/2 - Hh/ql che cade fra i due supporti
solo se H applicato non è troppo elevato; in questo caso si avrebbe una freccia massima
(4.3)
(posto =h/l ).
In caso contrario l'abbassamento massimo coincide con la quota dell'estremo che ha ceduto, cioè
h.
Al variare di H è possibile individuare un andamento della catenaria che rispetti la condizione di
equilibrio 4.1, ma esiste un unico valore di H che garantisce la congruenza della deformazione
della catenaria con la condizione che il suo allungamento sia pari all'allungamento elastico
concesso alla stessa dalle relazioni costitutive del materiale di cui è costituita1.
1
Il fatto che l'allungamento della catenaria avvenga tutto in campo elastico è immediata conseguenza delle condizioni d'equilibrio
da imporre alla stessa: poiché H è costante e variabile (da 0 al vertice ad un massimo ad una od entrambe le estremità); ci sarà
una (o due) sezioni in cui lo sforzo assiale N raggiungerà un massimo che, nell'ipotesi di trascurare l'incrudimento del materiale
della catenaria sarà pari al limite elastico dello stesso. Pertanto lungo tutta la catenaria il materiale rimarrà in campo elastico.
La lunghezza totale L della catenaria deformata è:
Se dunque inizialmente la catenaria era distesa fra i due supporti collocati alla stessa quota,
l'allungamento complessivo subito l risulta pari a:
(4.4)
Nel contempo alla catenaria, soggetta punto per punto allo sforzo assiale
è concesso un allungamento elastico
(4.5)
(4.6)
A partire da questa equazione si può valutare lo sforzo H tale che la catenaria abbia sezione di
area minima per soddisfare la verifica di resistenza, cioè la A = Nmax / fyd, con
(4.7)
Calcolato H risulta definito l'andamento della catenaria e si può ricavare la freccia massima per
controllare se è soddisfatta la verifica di deformabilità.
In alternativa si può imporre a priori una freccia massima per la catenaria, ricavando la H dalla
(4.3) (nell'ipotesi che la deformata abbia vertice fra i due supporti):
(4.8)
(4.9)
Posto z=y':
dunque
(4.10)
una volta posto c=H/q
L'ascissa curvilinea di un punto (x,y) della catenaria a partire dal vertice è, ricordando che
ds=(1+(y'))1/2dx
(4.11)
Per esplicitare xB osserviamo che
(4.12)
Dividendo la (4.11) per la (4.12) si ha:
(4.13)
da sostituirsi nella (4.11). Nell'espressione di L resta (in genere) incognita H. Per determinare H
va ovviamente imposta la condizione di congruenza, cioè l'eguaglianza di l=L-l con
l'allungamento elastico
sino ad ottenere un'espressione da impiegare alla stregua della (4.6).
In questa sede non considereremo la soluzione esatta per la deformata della catenaria sia per il
notevole incremento dell'onere computazionale non giustificato da significativi miglioramenti della
precisione dei risultati, sia perché non è corretto ipotizzare che una variazione di lunghezza della
catenaria comporti variazioni del carico sui tratti elementari della stessa, come accade nel caso
delle funi ove il carico coincide col peso della fune stessa. Ricavate le relazioni per il calcolo della
catenaria, vediamo di applicare le stesse per analizzare il comportamento post-collasso di un
solaio unidirezionale. Si ammette che l'innesco del fenomeno si identifichi con la rottura, in
corrispondenza di una sola tesa, di un pilastro interno e che la trave principale (a spessore) che
ha perso con esso un supporto verticale sia costretta a funzionare a catenaria con luce l doppia
rispetto a quella delle campate della trave a cavallo del nodo col pilastro.
Supponiamo che il comportamento dei travetti non sia esclusivamente a catenaria e che, a
vantaggio di sicurezza, il grado di vincolo offerto loro dalla trave sia uguale a quello offerto dalle
travi alle estremità opposte. In tal caso, nell'ipotesi di carico distribuito uniforme w sull'impalcato,
sulla trave agirà un carico uniforme q=w lt/2. La trave principale potrebbe:
- ricevere un aiuto in corrispondenza del nodo sul pilastro collassato (in virtù della rigidezza
flessionale di travi ortogonali e/o del funzionamento a tirante della tesa superiore del pilastro) e in
questo caso lo schema di funzionamento sarebbe quello di fig. 4.8b; - non ricevere alcun aiuto da
altri elementi portanti, e in questo caso lo schema di funzionamento sarebbe quello in fig. 4.8a;
Fig. 4.8: Schemi statici per una trave principale in funzionamento a catenaria
A vantaggio di sicurezza, ammettiamo valida la seconda ipotesi: si vuole determinare la quantità
di armatura inferiore da portarsi continua. A titolo di esempio si considera il caso in cui lo
spessore del solaio sia pari a 25cm. Al variare della larghezza e della luce della trave si calcolano
il momento resistente limite e, quindi, il carico distribuito uniforme q cui la trave può esser
assoggettata nell'ipotesi che il momento massimo sia M=kqlp2. Si assume k=1/14 ed lP (luce trave
principale) pari all'interasse fra i nodi successivi. Si valuta il momento resistente come quello
limite in corrispondenza del quale è soddisfatta la verifica alle t.a. nell'ipotesi che al lembo più
compresso il calcestruzzo sia soggetto ad una tensione pari alla (c)amm e che l'armatura
inferiore sia soggetta alla (s)amm. Si considerano i casi in cui la larghezza della trave sia pari a
50, 70, 90, 110, 130cm e lunghezza pari a 3,5m, 4,5m e 5,5m. A titolo di esempio si riportano
nella tab. 4.1 i risultati relativi al caso in cui lo spessore del solaio sia 25cm e le travi siano
realizzate con cls di classe Rck 300 (o C25/30) ed armature con barre FeB44K.
Tabella 4.1: Percentuale armatura inferiore continua per il funzionamento a catenaria di una trave principale in un telaio di spina, a
spessore (25cm) realizzata con cls Rck 300 e barre di armatura FeB44K
Luce trave l [m] 3,50 3,50 4,50 4,50 4,50 5,50 5,50
Larghezza trave B [cm] 50 70 70 90 110 110 130
Altezza trave H [cm] 25 25 25 25 25 25 25
Copriferro [cm] 3333333
Rapp. geometrico armatura
0,7% 0,7% 0,7% 0,7% 0,7% 0,7% 0,7%
tesa s
limite assunto (=f/l) 0,15 0,15 0,15 0,15 0,15 0,15 0,15
% armatura di continuità 76% 76% 59% 59% 59% 48% 48%
Si rileva che, nelle ipotesi fatte per la stima del carico uniforme, la percentuale di armatura
inferiore da portarsi continua non varia al variare della larghezza della trave a parità degli altri
fattori.
Essa invece cresce al crescere della qualità dell'acciaio delle barre e al crescere dello spessore del
solaio, e decresce al crescere della lunghezza della trave e della qualità del cls impiegato.
In casi ordinari, le percentuali di armatura da portarsi continua oscillano fra il 30% e quasi l'85%.
Di conseguenza si può ritenere che se l'armatura massima in campata, necessaria in esercizio,
fosse portata sino agli appoggi, sarebbe sufficiente a garantire il funzionamento a catenaria.
E' indubbio che l'armatura inferiore continua necessaria si ridurrebbe in presenza un contributo
degli elementi trasversali, e cioè se i travetti funzionassero a loro volta a catenaria.
In tal caso il carico sulla trave principale sarebbe funzione delle deformate dei travetti che a loro
volta sono funzione dell'abbassamento del punto d'attacco alla trave principale. Passando dal
discreto al continuo possiamo ipotizzare che anziché ai travetti la trave principale sia vincolata
trasversalmente lungo ogni tratto dx ad una catenaria di sezione At·dx/i, ove At è l'armatura
inferiore continua nel singolo travetto e i è l'interasse fra i travetti. L'equazione di equilibrio per la
trave diviene: H y'' = VA(y) ove VA(y) è la reazione verticale di questa "catenaria trasversale
elementare" al punto di vincolo con la trave principale.
(4.14)
con lt lunghezza del travetto; dunque essendo ht=y l'equazione d'equilibrio per la catenaria-trave
Fig. 4.9b: Risalita del tiro dall'armatura inferiore verso l'estradosso della trave principale.
Fig. 4.9c: Trasferimento delle spinte H1/2 verso le travi di bordo (vista assonometrica).
Queste coppie tenderanno ognuna ad equilibrare la precedente e la successiva sfruttando dei
percorsi di trazione trasversale all'interno della trave principale (garantiti dalla staffatura):
restano non equilibrate la prima e l'ultima delle spinte H1.
Fig. 4.9d: Percorso delle spinte H1/2 all'interno delle travi di bordo.
Seguiamo dapprima lo sforzo principale. Questo divenuto di compressione al corrente superiore
della trave, C1=T, "entra" nella soletta seguendo percorsi diagonali di compressione e
raggiungendo il corrente superiore delle travi di bordo. Se il solaio è simmetrico rispetto al piano
medio del telaio di spina, ogni aliquota elementare C si suddividerà in aliquote uguali verso le
travi di bordo. Ognuna di queste aliquote andando incontro ad una coppia di deviazioni genera
una coppia di spinte H2, pari, nell'ipotesi che l'inclinazione della diagonale compressa sia di 45°
rispetto alla direzione longitudinale, a .
Le C/2 raggiungono le travi di bordo e "scendono" dal corrente superiore a quello inferiore (in
figura 4.9a è rappresentata la discesa della loro risultante C).
Le H2 delle due C in corrispondenza della trave principale si equilibrano reciprocamente, mentre
quelle sulle travi di bordo si possono autoequilibrare solo inserendo dei tiranti che possono esser
costituiti da una armatura continua longitudinale (cioè parallela ai travetti) nella soletta.
Passiamo ora ad esaminare il percorso delle spinte H1. Esse tenderanno a suddividersi in due
aliquote. Le H1' cercano l'equilibrio con un percorso attraverso le colonne (sollecitate,
rispettivamente, quella in testa a trazione e quella in coda a compressione) ed una H1" che
cercheranno un percorso di equilibrio tutto interno all'impalcato. Supponendo a vantaggio di
sicurezza che risulti H1''= H1 ,si osserva che esse dapprima agiranno come un carico concentrato
in mezzeria sulle strisce terminali della campata di solaio in oggetto (cfr. fig 4.9c) per trasferirsi
poi sulle travi di bordo e traslando in ognuna di esse (cfr. fig 4.9d) le H1/2 si faranno mutuamente
equilibrio. La traslazione attraverso le travi di bordo genera coppie di spinte che sollecitano queste
ultime a flessione. La coppia prodotta da queste spinte equilibra quella generata dalla "discesa"
delle C=T/2 - nelle travi di bordo - dal corrente superiore a quello inferiore. Si noti che con
l'attivazione del meccanismo appena descritto, l'equlibramento di tutte le spinte conseguenti al
cedimento di un pilastro, avviene all'interno dell'impalcato stesso, per cui gli elementi strutturali
verticali non risultano sollecitati da azioni orizzontali che potrebbero metterli in crisi per flessione
e/o taglio ma esclusivamente da una aliquota dello sforzo normale che veniva portato dal pilastro
che ha subito il collasso.
Tratto da "Dall'analisi dei crolli insegnamenti per adeguare i criteri di progettazione delle
nuove strutture in c.a"
di G. C. Marano, F. Parmisano, A. Vitone, C. Vitone
Provvedimenti costruttivi di dettaglio
Continuando a riflettere sull'esempio proposto nel paragrafo precedente, si può trarre spunto dal
modello e dalla lista di obiettivi prestazionali squisitamente strutturali da esso dedotte, per
delineare concretamente i conseguenti provvedimenti da assumere in sede di progettazione anche
dei dettagli costruttivi. Perché l'analisi risulti completa, e non sfuggano aspetti significativi, è
opportuno seguire un metodo. Si potrebbe a tal fine procedere secondo il LpM (cfr. riff. [10], [11],
[21]) e cioè esaminando distintamente i tre elementi fondamentali ai quali è possibile in generale
ricondurre il comportamento di una struttura: il percorso del carico; il percorso delle spinte; i nodi
di deviazione. Con riguardo al primo (il percorso dei carico verticale), non rappresenta
normalmente un problema rilevante (né sotto il profilo economico, né tanto meno sotto quello
tecnico) l'adeguamento della sezione resistente di ciascun pilastro alla funzione straordinaria alla
quale sarebbe chiamato qualora dovesse ricevere una parte anche rilevante del carico di un
pilastro contiguo che abbia subito una rottura locale (punto (d) del par. 3.2.1).
Una regola di base dovrebbe dunque essere quella di dotare i pilastri di una ridondanza - nei
confronti dello sforzo normale di compressione - maggiore di quella di qualsiasi altro elemento
strutturale dell'edificio. Come mostrato nel par. 3.1, la ridondanza di pilastri esili (l/z elevato)
gioverebbe contemporaneamente non solo al percorso del carico, ma anche a quello delle spinte
orizzontali. Un'altra ragione che deve indurre a dotare di maggiore ridondanza i pilastri, quando
appartengono alle ultime tese, è esposta qui di seguito. Si deve in conclusione convenire che si
tratta di provvedimenti progettuali caratterizzati da un ridotto rapporto costi/benefici, in
considerazione della loro versatilità, e cioè del fatto che risultano funzionali a diversi possibili
comportamenti alternativi. Passando al secondo elemento fondamentale del disegno del Load Path
(gli itinerari delle spinte orizzontali: punto b della lista del paragrafo precedente) la questione si
presenta ben più impegnativa. Innanzi tutto per la ragione che - come si è detto - le spinte
possono avere una intensità assai elevata, in relazione a quella dei carichi verticali che le
imprimono. La fig. 3.2 fornisce informazioni in tal senso di immediata percezione: l'angolo di
inclinazione () degli itinerari obliqui dei carichi verticali, pur nella ipotesi che essi attraversino i
pannelli murari confinati dalle maglie del telaio, può risultare alquanto ridotto. Angoli vicini ai 45°
implicherebbero spinte del medesimo ordine di grandezza dei carichi che le hanno generate. Un
primo importante obiettivo del progetto, dunque, potrebbe consistere nel favorire itinerari deviati
con valori elevati di (prossimi a 90°). Un mezzo per perseguire tale scopo è quello di rendere
possibile una risalita del carico - lungo il pilastro che ha subito il collasso - più in alto possibile.
Dalle quote più alte, peraltro, si presentano varie possibili alternative di ridiscesa del carico verso
pilastri ancora integri, utilizzando percorsi obliqui tanto meno deviati rispetto alla verticale quanto
più elevata è la quota di partenza. Questo particolare funzionamento implica tuttavia che i ritti
possano - in fase post-collasso - non solo decomprimersi, ma anche fungere da tiranti, e che lo
sforzo di trazione possa in essi risultare tanto maggiore quanto più elevato è il piano dell'edificio.
Due i provvedimenti a tal fine più importanti, dunque: in primo luogo assicurare la possibilità di
introduzione nel tirante del carico di impalcato da sospendere, attraverso una adeguata
progettazione di dettaglio del nodo (giunzioni delle barre verticali predisposte non solo per la
ipotesi di compressione, ma anche per quella di trazione; barre a canestro progettate per favorire
la inversione degli itinerari di compressione (LpM :[6], [10], [21]); in secondo luogo dimensionare
l'armatura longitudinale minima dei pilastri in ragione proporzionale non più solamente alla loro
area, ma anche a quella massima delle tese sottostanti. Come si era anticipato, si tratta di
accorgimenti che concorrono a dotare i pilastri di una ridondanza che si mostra poi utile anche in
previsione di differenti scenari, che lo vedano impegnato da carichi non più in risalita dai livelli
sottostanti , ma in discesa, provenienti dal pilastro contiguo (a seconda, appunto, che l'innesco
del collasso si sia verificato, rispettivamente, in un pilastro sottostante, oppure in uno contiguo).
Con riguardo al percorso delle spinte orizzontali resta comunque di fondamentale importanza la
predisposizione di itinerari che ne consentano - ove possibile - il mutuo equilibrio al livello di
piano. Infatti le spinte che fossero obbligate anch'esse a scendere, alla ricerca di equilibrio in
azioni uguali e contrarie, dovrebbero inevitabilmente deviare dalle loro naturali traiettorie
orizzontali per intraprendere itinerari obliqui (fig. 3.3), ed imprimere pertanto a loro volta spinte
(verticali) che andrebbero a sommarsi ai carichi, aggravando l'impegno dei pilastri.
Dallo studio del comportamento membranale di impalcato (cfr. riff. [21], [16], [17], [5]) si
possono trarre suggerimenti per provvedimenti progettuali. La grande efficacia dei circuiti di
compressione intorno a pilastri interni, che abbiano subito una rottura, deve indurre ad attenuare
la troppo spiccata ortotropia dei solai a nervature parallele, mediante sistematici travetti
trasversali e solette di spessore adeguato. Resta naturalmente di fondamentale importanza la
predisposizione di itinerari di trazione all'interno dell'impalcato, visto che inevitabilmente le spinte
orizzontali tenderanno ad utilizzarli, alla ricerca di soluzioni equilibrate che richiedano il minimo
investimento di energia di deformazione. La indisponibilità di catene filanti senza soluzione di
continuità attraverso gli impalcati, in entrambe le direzioni, è certamente una delle cause
principali della gravità del danno conseguente ad una rottura locale rilevante, come ad esempio il
collasso di un pilastro. Per realizzare un presidio dei pilastri di bordo e d'angolo risulterebbe
particolarmente efficace la predisposizione di un adeguato funzionamento a trave orizzontale, in
alternativa a quello membranale anulare di semplice compressione, che può attivarsi solo intorno
a pilastri interni. Giova a tal fine la ridondanza delle travi di bordo, con specifico riguardo alla
dimensione di base ed ai bracci orizzontali delle staffe, o - meglio - la solidarizzazione alle travi di
bordo di fasce di soletta dei solai contigui, adeguatamente armate. Con riguardo, infine, al terzo
elemento fondamentale del disegno del Load Path (i nodi di deviazione) va detto che
l'adeguamento del progetto di dettaglio dei nodi trave/solaio-pilastro [9] è manifestamente
decisivo, perché l'edificio possa effettivamente sviluppare comportamenti del tipo prospettato con
il modello di fig.3.2 (punto g della lista del paragrafo precedente). Andrebbero in primo luogo
estese a tutte le opere (indipendentemente dal fatto che sorgano o meno in regioni dichiarate
sismiche) alcune delle prescrizioni mirate a dotare la struttura di un elevato grado di duttilità [2],
ed in particolare quelle che tendono a favorire la deviazione delle coppie, dagli orizzontamenti ai
pilastri: una situazione non comune in modelli che presuppongano che i pilastri siano al riparo da
azioni orizzontali rilevanti. Così, ad esempio, andrebbero rigorosamente evitate sporgenze laterali
delle travi a spessore eccessive rispetto alla dimensione del lato longitudinale del pilastro;
adottate staffature infittite nelle cosiddette regioni di discontinuità dei pilastri; e così via. Il
dettaglio dei nodi, tuttavia, deve essere ispirato anche alla esigenza di favorire il comportamento
membranale di impalcato, di cui si è detto in precedenza. A tal fine i provvedimenti costruttivi
devono mirare a canalizzare le spinte orizzontali entro i loro itinerari, sia quelli orizzontali, sia
quelli obliqui. Con riguardo ai primi, particolare attenzione va posta nei confronti dell'ancoraggio
di estremità delle barre filanti continue (catene), lì dove le spinte devono introdursi nelle travi
orizzontali di recinzione, poste a presidio dei pilastri di bordo e di angolo. Durante la fase di
sviluppo progressivo del collasso, le spinte naviganti lungo le catene tentano di deviare anche in
corrispondenza dei nodi interni, per entrare nei pilastri sottostanti. Ciò tuttavia è possibile solo a
condizione che le barre longitudinali siano fisicamente appoggiate sulla faccia orizzontale di
estremità superiore del pilastro, e che questo appoggio sia stabile. A tal fine esse devono passare
all'interno di quelle verticali del pilastro, e queste ultime, a loro volta, devono essere recintate da
adeguata staffatura, che ne impedisca la divaricazione, per effetto dell'azione espulsiva delle
catene in fase di crollo.
BIBLIOGRAFIA
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