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Laboratorio (Il GIORNO di G.

Parini)
comprendere
1.L’incipit del Giorno è animato da molti personaggi: individuali e descrivili
brevemente.
1.Narra Personaggio principale e senza dubbio destinatario dell’ironica “invettiva”
di Parini è il Giovin Signore, rappresentante di una classe nobiliare decaduta, le
cui giornate sono all’insegna del divertimento e della nullafacenza, senza una
reale prospettiva. In contrapposizione a quest’ultimo viene poi presentato il “Buon
Villan” e il Fabbro,
Analizzare
2. Individua gli elementi paesaggistici presenti nel brano quelli legati alla mitologia.
2.
3. Riscrivi in italiano corrente i versi:<< e scuote/ lungo il picciol sentier da’ curvi
rami/ il rugiadoso umor che, quasi gemma, / i nascenti del Sol raggi rifrange>>.
3. Passando attraverso il piccolo sentiero fa cadere dai rami curvi, gocce di
rugiada, che come pietre preziose, luccicano riflettendo i raggi del sole nascente .
4. Trova nel brano i versi che descrivono il compito del precettore.
4.

Giovane signore, ascolta me, che sono maestro di buone maniere, sia che il tuo sangue purissimo e divino
discenda da una lunga serie di nobili antenati, sia che il titolo nobiliare o le ricchezze raccolte con
l'agricoltura o con i commerci dal padre parsimonioso correggano la mancanza di sangue nobile. (vv 1-7)

Ora io ti insegnerò come trascorrere questi noiosi e lunghi giorni della vita, che sono accompagnati da una
così grande monotonia e da un così tanto insopportabile fastidio. Imparerai quali dovranno essere le tue
preoccupazioni al mattino, dopo mezzogiorno e alla sera, se nel tuo oziare avrai tempo di ascoltare i miei
versi. (vv. 8-15)

Il mattino sorge in compagnia dell'alba, prima del sole, che poi appare grande all'orizzonte a rallegrare gli
animali, le piante, le terre e i mari. Il quel momento il buon contadino si alza dal caro letto che di notte è
stato intiepidito dalla sposa fedele e dai suoi figli minori; poi, portando sulle spalle gli attrezzi sacri, creati per
la prima volta da Cerere e da Pale, dee dell'agricoltura e della pastorizia, va lentamente con il bue verso il
campo, e lungo il piccolo sentiero scuote dai rami ricurvi la rugiada, che, quasi come una gemma, rifrange i
raggi del sole. In quel momento si alza il fabbro, riapre l'officina ricca di rumori e riprende i lavori non
terminati il giorno precedente, sia che costruisca per il ricco preoccupato chiavi difficili da contraffare e
congegni di ferro per rendere sicure le sue casseforti, sia che voglia incidere gioielli e vasi d'oro e d'argento
come ornamento di nuove spose o delle mense. (vv. 33-52)

Ma come? Tu inorridisci sentendo le mie parole, e mostri in testa, come se fossi una istrice pungente, i capelli
irti? Ah, non è questo, signore, il tuo mattino. Tu al tramonto non ti sei seduto alla tavola povera di cibi, e
ieri, alle luce del tremolante crepuscolo, non sei andato a dormire in un duro letto, come è condannato a fare
il popolo umile. (vv. 53-60)

A voi, figli del cielo, a voi, adunanza di semidei in terra, il generoso Giove concesse un altro destino, e a me
conviene guidarvi per una nuova strada con altre arti e leggi. (vv. 61-64)

Tu sei stato alzato fino a tardi tra le veglie, il teatro dell'opera e il gioco che da forti emozioni; e infine stanco
in una carrozza dorata, con il rumore di ruote calde e rapide e il calpestio di veloci cavalli da corsa, hai agitato
per un lungo tratto la tranquilla aria notturna, e hai aperto le tenebre con le fiaccole levate in alto, così come
Plutone fece rimbombare la Sicilia da un mare all'altro con il carro davanti al quale splendevano le torce delle
Furie, che hanno serpi come capelli. (vv. 65-76)

Così sei tornato a casa; ma qui ti attendeva con una nuova occupazione la mensa, che era ricoperta da
appetitosi cibi e prelibati vini delle colline francesi, spagnole o toscane, oppure una bottiglia di tokai
ungherese, alla quale Bacco concedette una corona di edera verde, e disse: "Siediti, regina delle mense".
Infine il Sonno in persona ti ha sistemato il letto, dove, dopo averti accolto, il fedele servo ha tirato le tendine
di seta; e ti ha chiuso gli occhi il canto del gallo che di solito li apre alle altre persone. (vv. 77-89)

Già i servi aggraziati hanno sentito lo squillo del campanello vicino a loro, scosso da lontano dalla tua mano
attraverso un movimento trasmesso con una corda; sono accorsi a spalancare le imposte che si oppongono
alla luce, e sono stati molto attenti che Febo, il sole, non osasse entrare direttamente nei tuoi occhi, dandoti
fastidio. Ora ti alzi un po', e così ti appoggi ai cuscini, che, scendendo dolcemente, ti fanno da soffice
appoggio alle spalle. Poi scorrendo l'indice destro con molta leggerezza, dilegui ciò che resta della nebbia
Cimmeria, il sonno; e formando con le labbra un piccolo arco, bello da vedere, sbadigli. Oh se ti vedesse
compiere un gesto così aggraziato il rozzo capitano quando, storcendo le labbra, lancia in battaglia un grido
che lacera anche le orecchie più resistenti, impartendo ordini alle truppe; se in quel momento ti vedesse,
sicuramente avrebbe vergogna di sé più di quanta ne ebbe Minerva il giorno in cui, suonando il flauto, vide in
uno specchio d'acqua il brutto aspetto delle sue guance gonfie. (vv. 101-124)

Ma già vedo entrare di nuovo il tuo servo ben pettinato; ti chiede quale delle solite bevande oggi tu preferisca
bere nelle tazze preziose, tutte merci e bevande provenienti dalle Indie; scegli quella che più desideri. Se oggi
preferisci dare allo stomaco un gradevole tepore, in modo che il calore naturale vi bruci in giusta misura, e ti
aiuti a digerire, scegli la cioccolata scura, della quale ti fanno dono i Guatemaltesi e i Caraibici, che hanno i
capelli avvolti di piume come i barbari; ma se una noiosa tristezza ti opprime, o cresce troppo grasso intorno
alle tue membra graziose, rendi onore con le tue labbra al nettare dove fuma e

brucia tostato il seme arrivato a te da Aleppo e da Moka, città superba per le mille navi che sempre la
affollano. (vv. 125-143)

Certo fu necessario che un regno, la Spagna, uscisse dai suoi antichi territori, e con navi ardite superasse i
confini da tempo rimasi inviolati, tra tempeste in mari stranieri, nuovi mostri, paure, rischi e privazioni
inumane; ed è giusto che Cortes e Pizarro non giudicarono umano il sangue che scorreva negli uomini d'oltre
oceano, per cui, con armi da fuoco che tuonavano e fulminavano, rovesciarono dai loro antichi troni i re
aztechi e i valorosi Incas; perchè in questo modo giunsero al tuo palato, o gemma degli eroi, nuove delizie.
(vv. 144-157)

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