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Shimun VIII

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Shimun VIII Sulaqa


patriarca della Chiesa cattolica caldea

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Incarichi ricoperti
Patriarca di Babilonia dei Caldei (1553-1555)

Nato
1510 circa a Mosul

Ordinato presbitero
in data sconosciuta

Nominato patriarca
1551/1552 dal Sinodo della Chiesa Cattolica Caldea (confermato il 20 febbraio 1553
da papa Giulio III)

Consacrato patriarca
9 aprile 1553 da papa Giulio III

Deceduto
gennaio 1555 a Diyarbakır

Manuale

Shimun VIII (italianizzato in Simeone VIII, nato Yohannan o Yukhannan Sulaqa,


italianizzato in Giovanni Sulaqa; Mosul, 1510 circa – Amida, gennaio 1555) è stato
un patriarca cattolico iracheno con cittadinanza ottomana, abate di Rabban Ormisda
e primo patriarca della Chiesa caldea.

Indice [nascondi]
1 Contesto storico
2 Biografia
3 Lo scisma del 1551/52
4 Genealogia episcopale e successione apostolica
5 Note
6 Bibliografia
7 Voci correlate
8 Collegamenti esterni

Contesto storico[modifica | modifica wikitesto]

Fino a metà del XVI secolo, la Chiesa d'Oriente (comunemente chiamata in Occidente
Chiesa nestoriana) costituiva un unico patriarcato con sede, a partire dal tempo
del patriarca Mar Shimun VI (1503-1538) nel monastero di Rabban Ormisda, vicino
all'odierna Alqosh.

Nella seconda metà del XV secolo, il patriarca Mar Shimun IV (circa 1437-1497)
aveva introdotto il principio della successione ereditaria, per cui il titolo
patriarcale veniva ereditato dai parenti del patriarca in carica (fratelli, cugini
o nipoti). La famiglia patriarcale, che ereditò il titolo fino agli inizi del XIX
secolo, era chiamata Bar Mama o Bar Abouna.

La successione ereditaria fu resa possibile dal diritto canonico delle Chiese


orientali, che prevedeva che solo i vescovi metropolitani potessero eleggere il
patriarca. Mar Shimun IV ed i suoi successori nominarono perciò sulle sedi
metropolitane i propri familiari; di conseguenza il patriarca eletto apparteneva
necessariamente alla stessa famiglia. Inoltre il patriarca in carica aveva preso
l'abitudine di nominare un proprio familiare come Nator kursia (letteralmente:
Guardiano della Sede), ossia metropolita con diritto di successione.

Shimun VII Ishoyahb, patriarca nestoriano dal 1538 o dal 1539, fu molto impopolare
nella sua Chiesa a causa delle sue attività illecite e della vita dissoluta,
accusato di vendere le proprietà della Chiesa e di aver reso possibile il
concubinato. Inoltre negli ultimi anni della sua vita iniziò a consacrare vescovi
metropoliti alcuni nipoti di dodici e quindici anni. Tutto questo creò tensioni
all'interno della Chiesa nestoriana.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Yohannan Sulaqa (lett.: Giovanni Ascensione), figlio di Daniele della famiglia


Bellu, nacque verso il 1510 nella regione di Mosul. Attorno al 1540 divenne abate
del monastero di Rabban Ormisda.[1]

Le critiche nei confronti di Shimun VII Ishoyahb si levarono sempre più alte,
soprattutto quando il patriarca nominò un adolescente di 12 anni[2] come vescovo
metropolitano e Nator kursia. Ciò indusse i vescovi di Salmas, Urmia e Arbil a
convocare nel 1551 (o 1552) un'assemblea di monaci, clero e laici a Mosul. Fu
nominato un nuovo patriarca in alternativa a Shimun VII: l'abate di Rabban Ormisda,
allora quarantenne. Era tuttavia necessaria la consacrazione episcopale che solo un
vescovo metropolitano poteva conferire. La consacrazione non avvenne per il diniego
della famiglia patriarcale, gli Abouma. Gli scismatici, su consiglio dei
Francescani che da qualche anno lavoravano come missionari fra i nestoriani,
decisero di rivolgersi al papa di Roma per la consacrazione del patriarca Sulaqa,
divenuto Shimun VIII.

Una delegazione di settanta persone, elette all'interno dell'assemblea,


accompagnarono il nuovo patriarca a Gerusalemme, per incontrare il Custode di Terra
Santa, che all'epoca svolgeva anche le funzioni di commissario della Santa Sede per
l'Oriente, ed ottenne le credenziali necessarie per rivolgersi a Roma e ricevere
dal papa il riconoscimento del nuovo patriarca. Con le lettere credenziali (redatte
dal Custode, dall'assemblea di Mosul e dalla delegazione dei Settanta), Sulaqa
partì per l'Italia, accompagnato da tre laici (di cui solo uno arrivò a Roma).
Giunse nella Città eterna il 18 novembre 1552, dove ricevette assistenza da Andrea
Masio, traduttore ed incaricato di papa Giulio III. Sulaqa spiegò che l'ultimo
patriarca legittimo, Shimun VII, era deceduto nel 1551 ed il suo successore,
anch'esso chiamato Shimun, non era qualificato a succedergli, perché la sua nomina
a dodici anni (o otto anni) violava le regole sull'età canonica.[3] Egli quindi
chiese al papa di essere riconosciuto come patriarca.

Il caso fu presentato in concistoro dal cardinale Bernardino Maffei il 18 febbraio


1553 e ripreso il 20 febbraio, giorno in cui Sulaqa emise una professione di fede
cattolica.[4] Il 9 aprile fu consacrato vescovo nella basilica di San Pietro in
Vaticano dal cardinale domenicano Juan Álvarez y Alva de Toledo. Il 28 aprile fu
confermato patriarca con la bolla Divina disponente clementia e ricevette dalle
mani del papa il pallio nella basilica di San Giovanni in Laterano.

Prima di ripartire per l'Oriente, il nuovo patriarca chiese ed ottenne di essere


accompagnato da due missionari, necessari per annunciare la fede cattolica nella
sua nuova chiesa. Furono scelti due domenicani maltesi, Ambrogio Buttigeg (nominato
vescovo titolare di Avara e "nunzio di Mosul") e Antonino di Zahra. Sulaqa lasciò
Roma e passando per Costantinopoli, arrivò il 12 novembre 1553 a Amida, dove pose
la sua residenza.

Nel 1554 il patriarca ordinò cinque nuovi vescovi metropolitani cattolici: i


vescovi di Gazireh, Hesna d'Kifa, Amida, Mardin e Seert.

Le ostili manovre della parte nestoriana indussero il pascià di Amida ad arrestare


Sulaqa e ad imprigionarlo.
Morì in carcere, probabilmente per annegamento, nel gennaio 1555.

Lo scisma del 1551/52[modifica | modifica wikitesto]

Le fonti antiche riportano due tradizioni o versioni diverse e contrastanti circa i


motivi dell'elezione patriarcale di Sulaqa.
1.La prima versione deriva da un resoconto redatto da Andrea Masio e che si
riflette nelle decisioni concistoriali del mese di febbraio e aprile 1553. Secondo
questa versione, il patriarca nestoriano Shimun VII Ishoyahb, morto nel 1551, aveva
nominato Nator kursia un bambino di otto anni, designato a succedergli alla sua
morte. L'elezione di Sulaqa era perciò motivata dal rifiuto del principio
ereditario, con le sue nefaste conseguenze.
Questa tradizione ha cercato di legittimare l'elezione di Sulaqa di fronte a papa
Giulio III e ai suoi cardinali, presentandola come un ritorno al principio
elettivo, ed è diventata la versione ufficiale, ripresa dagli storici nei secoli
seguenti. Così Assemani nel De Catholicis seu patriarchis Chaldaeorum et
Nestorianum (Roma, 1775) e Becchetti nella Istoria degli ultimi quattro secoli
della Chiesa (Roma, 1796). Anche storici recenti hanno supportato questa tesi:
Joseph Tfinkdji nel 1913 e Eugene Tisserant nel 1931. Ancora nel 1993, Fiey, nel
Pour un Oriens Christianus Novus, nella cronotassi dei patriarchi assiri elenca
Simon VII Bar Mama (1538-51) e Simon VIII Denha (1551-58).
2.La seconda versione dei fatti deriva da una testimonianza di Abdisho IV Maron,
successore di Sulaqa, e da una lettera di Ambrogio Buttigeg del mese di gennaio
1555. Secondo queste fonti, l'elezione di Sulaqa fu occasionata dall'immoralità del
patriarca Shimun VII Ishoyahb ed in particolare dalla nomina di due bambini come
metropoliti.
Questa tradizione ha cercato di legittimare di fronte agli oppositori nestoriani
l'elezione di Sulaqa, presentandola come una giustificata rivolta contro un
Patriarca dissoluto, che era ancora vivo al momento della rivolta e lo sarà fino al
1558. Questa versione dunque attesta che l'elezione di Sulaqa non fu motivata dalla
morte del patriarca e dalla nomina di un bambino come successore, ma come un'aperta
ribellione nei confronti del patriarca regnante, ossia quel Shimun VII Ishoyahb che
era ancora patriarca della Chiesa d'Oriente quando Sulaqa fu consacrato vescovo a
Roma e confermato come nuovo patriarca.

Questa seconda tesi è stata proposta negli studi di Joseph Habbi (1966), Heleen
Murre-Van den Berg (1999) e David Wilmshurst (2000). Questi autori giungono alle
seguenti conclusioni:
il patriarca Shimun VIII Denha (1551-1558) non è mai esistito;
il patriarca Shimun VII Ishoyahb era ancora vivo al momento dell'elezione di Sulaqa
ed è morto il 1º novembre 1558, come attesterebbe la sua tomba nel monastero di
Rabban Hormizd;
Sulaqa perciò è stato eletto patriarca nel corso di una ribellione contro il
patriarca regnante Shimun VII Ishoyahb;
le autorità vaticane sono state indotte a fraintendere le circostanze dell'elezione
di Sulaqa da Sulaqa stesso o dai suoi sostenitori.

Genealogia episcopale e successione apostolica[modifica | modifica wikitesto]

La genealogia episcopale è:
Vescovo Tito Veltri de Viterbo
Cardinale Antonio Maria Ciocchi del Monte
Papa Giulio III
Patriarca Shimun VIII Sulaqa

La successione apostolica è:
Vescovo Elie-Hormez Habib Elias Asmar (1553)
Vescovo Hnan-Jesu (1553)
Patriarca Abdisho IV Maron (1553)
Vescovo Yosep Sulaqa (1553)
Vescovo Gabriel di Hesna d'Kifa (1553)

Note[modifica | modifica wikitesto]

1.^ Oppure del monastero di Beth Qoqa nei pressi di Arbil.


2.^ Secondo altre fonti, di soli otto anni.
3.^ Questi argomenti hanno indotto molto storici, tra i quali Tisserant, Tfinkdji e
Fiey, a postulare l'esistenza di un Shimun bar Mama (VIII), patriarca dal 1552 al
1558. Studi recenti di Habbi e Lampart smontano questa ipotesi, in quanto Shimun
VII avrebbe regnato fino al 1558. Ciò significa che Sulaqa, o il suo entourage,
mentirono al papa.
4.^ Testo latino della professione in Bessarione, 1901, Anno VI, vol. I, pp. 52-54.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]


Filippo Angelico Becchetti, Istoria degli ultimo quattro secoli della Chiesa, Roma
1796, vol. 10, pp. 155–157
(FR) Joseph Habbi, Signification de l'union chaldéenne de Mar Sulaqa avec Rome en
1553, in L'Orient Syrien 11 (1966), 99-132 e 199-230
(DE) Albert Lampart, Joseph I 1681-1696, ein beitrag zur geschicte der
Unionsbestrebungen der Nestorianer von Sulaqa bis 1700, 1966
(FR) Jean Maurice Fiey, Pour un Oriens Christianus Novus. Répertoire des diocèses
syriaques orientaux et occidentaux, Beirut 1993
(FR) M. J. Labourt, Note sur les schismes de l'Église nestorienne du XVIe au XIXe
siècle, in Journal asiatique, 11 (1908), pp. 227–235
(EN) David Wilmshurst, The Ecclesiastical Organisation of the Church of the East,
1318-1913, Louvain 2000
(FR) J. Tfinkdji, L'Eglise chaldéenne autrefois et aujourd'hui, in A. Battandier,
Annuaire Pontifical Catholique, XVII, 1914, pp. 456–457
(EN) Heleen H.L. Murre-Vandenberg, The Patriarchs of the Church of the East from
the Fifteenth to Eighteenth Centuries
(FR) Eugène Tisserant, Néstorienne (L'Eglise), in Dictionnaire de Théologie
Catholique, Tomo XI, parte prima, Paris 1931, coll. 228-229

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]


Patriarcato di Babilonia dei Caldei
Chiesa cattolica caldea

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

(EN) Shimun VIII, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.


Modifica su Wikidata
(EN) David M. Cheney, Shimun VIII, in Catholic Hierarchy. Modifica su Wikidata

Predecessore

Patriarca di Babilonia dei Caldei

Successore

PatriarchNonCardinal PioM.svg

- 20 febbraio 1553 – gennaio 1555 Abdisho IV Maron

Controllo di autorità
VIAF (EN) 22568932 · GND (DE) 104135891 · CERL cnp00352885 · WorldCat Identities
(EN) viaf-22568932

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Categorie: Patriarchi cattolici iracheni


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