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Al contrario la mortalità intra-ospedaliera e a lungo termine[76] è aumentata

proporzionalmente all'aumento dei casi di insufficienza cardiaca: ciò è susseguente


a un numero maggiore di angioplastiche, che portano a una riduzione di mortalità
totale, ma in egual misura aumenteranno i pazienti sopravvissuti a un insulto
ischemico con sempre più anziani con comorbilità, e un relativo aumento di
scompenso cardiaco, legato alle situazioni con infarti miocardici estesi.

Comunque i risultati delle ricanalizzazioni nel post-infarto conducono a un


naturale rimodellamento del lume dell'arteria trattata, vista la presenza dello
stent, che possono portare alla riocclusione.[77] Nel contempo, la perdita più o
meno importante di miociti porterà a un processo analogo, che oltre al
riassestamento delle fibre condurrà al rimaneggiamento del sistema neuroendocrino
necessario al mantenimento dell'omeostasi del sistema cardiocircolatorio. Durante
la fase di rigenerazione le cellule colpite dall'ischemia andranno incontro ad
apoptosi, ma verranno sostituite da altre[78] che, attraverso il torrente
circolatorio, giungeranno nella zona peri-lesione per ricostruire dal tessuto
connettivo a nuovi vasi (neoangiogenesi).[79] Il rimaneggiamento riguarderà anche
il tessuto di conduzione in tutta la sua estensione.[80]

Complicanze
Nelle prime 48 ore vi è un'alta probabilità di aritmie da riperfusione,
generalmente ventricolari.[81][82] Abbiamo già trattato dell'insufficienza
cardiaca, che può evolvere in edema polmonare acuto e nel più pericoloso shock
cardiogeno che ha un tasso di mortalità dell'80-90%: è una situazione legata a
infarti massicci, ove è colpito oltre il 40% del muscolo cardiaco.[83] Altra
temibile complicanza è la rottura della parete laterale del cuore, che porta alla
morte in pochi secondi.[84] Ricordiamo l'embolia da frammentazione del trombo
coronarico, le trombosi venose profonde da allettamento, l'embolia polmonare da
possibile trombo apicale.[85] La pericardite e le recidive ischemiche sono sempre
da tener presenti, come le aritmie sopraventricolari (fibrillazione atriale e
flutter atriale).

Complicanze aritmiche
Le aritmie possono influire gravemente sul decorso poiché: peggiorano la funzione
di pompa del cuore, aumentano l'estensione della necrosi, sia per aumento del
consumo di ossigeno sia per la peggiore perfusione coronarica, evolvono verso forme
aritmiche maggiori, come la fibrillazione ventricolare.

Si possono instaurare:[86]

aritmie ipercinetiche ventricolari:


extrasistoli ventricolari, associate ad aumentato rischio di sviluppare
tachiaritmie gravi;
tachicardia ventricolare, per il rischio di degenerare in fibrillazione
ventricolare;
ritmo idioventricolare, ben tollerato, non comporta aumento significativo del
rischio di aritmie gravi;
fibrillazione ventricolare, principale causa di morte precoce nei pazienti con
infarto miocardico acuto;
aritmie ipercinetiche sopraventricolari;
aritmie ipocinetiche:
bradicardia sinusale, può essere spia di un'ischemia del nodo seno-atriale;
blocchi atrioventricolari, la prognosi è solitamennte favorevole.
Anatomia patologica

Visualizzazione di un infarto nella parete posteriore del ventricolo sinistro

Immagine microscopio ottico (ingrandimento 100x, ematossilina eosina) di una


sezione di pezzo autoptico al settimo giorno post-infarto
Dal punto di vista anatomo-patologico, la necrosi delle cellule miocardiche viene
classificata come necrosi coagulativa o necrosi a bande di contrazione, la cui
evoluzione è in genere determinata da un processo oncotico e da meccanismi
apoptotici: tale differenza può essere rilevata da un'analisi delle sezioni
istologiche da parte di personale altamente qualificato.[1]

Dopo l'insorgenza di ischemia la necrosi non è immediatamente evidente, ma richiede


tempo per svilupparsi (almeno venti minuti in alcuni modelli animali).[87] Sono
necessarie diverse ore prima che la necrosi si possa evidenziare all'esame
macroscopico o microscopico, infatti può completarsi nelle cellule a rischio in
circa due-quattro ore, se non oltre, e ciò può essere condizionato dalla presenza
di circoli collaterali, dall'occlusione coronarica persistente o intermittente
nonché del fabbisogno individuale di ossigeno e nutrienti.[11] Se valutiamo
l'infarto in base alla localizzazione e alle dimensioni potremmo definirlo in:[13]

microscopiche, come nella necrosi focale;


piccole, se è interessato meno del 10% della massa ventricolare sinistra;
medie, se la massa ventricolare sale dal 10 al 30%;
grandi, se l'interessamento supera il 30%.
Se analizziamo il profilo anatomo-patologico dovremmo valutare il quadro anche
sotto il profilo temporale: infarto in evoluzione (< alle sei ore), acuto (dalle
sei ore ai sette giorni), in via di cicatrizzazione (dai sette ai ventotto giorni)
e stabilizzato (dai ventinove giorni in poi).[11]

Il quadro acuto è caratterizzato da infiltrati di leucociti polimorfonucleati


(granulociti neutrofili, granulociti eosinofili, granulociti basofili); nella fase
successiva compaiono cellule mononucleate (macrofagi) e fibroblasti. L'infarto
stabilizzato presenta una cicatrice priva di infiltrati cellulari: tutto il
processo può durare all'incirca dalle cinque alle sei settimane.[11]

È importante sottolineare che, in termini temporali, il riscontro clinico ed


elettrocardiografico dello stadio della necrosi può non coincidere con il rilievo
anatomo-patologico: ad esempio, se dal punto di vista anatomo-patologico l'infarto
è già nella fase di cicatrizzazione, potrebbero essere evidenziate sia
sottoslivellamento del tratto ST sia inversione con negativizzazione dell'onda T
sia elevati valori dei marcatori di necrosi come nell'infarto acuto.[11]

Clinica
Classificazione

Approccio al paziente con sindrome coronarica acuta. La valutazione degli enzimi


cardiaci permette di distinguere l'angina instabile dai quadri infartuali, che
vengono ulteriormente differenziati grazie all'elettrocardiografia
L'infarto acuto del miocardio ricade nel gruppo delle sindromi coronariche acute,
che si differenziano a seconda della presentazione all'elettrocardiogramma in
infarto del miocardio co

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