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Inni di S.

Ambrogio

Sant'Ambrogio arcivescovo di Milano nacque a Treviri nel 334 e morì a Milano nel 397.

La sua multiforme personalità esercitò un potente influsso sulla Chiesa dell'epoca, in particolare
sotto l'aspetto teologico, esegetico e liturgico come sull'organizzazione giuridica e politica
dell'Impero romano. Il padre, prefetto delle Gallie, morí nel 340, quando Aurelius Ambrosius[1]
aveva solo sei anni e proprio quando, durante la spedizione contro il fratello Costante, moriva
l'imperatore Costantino II. La madre, ormai vedova si trasferì con i figli Marcellina, Satiro e
Ambrogio a Roma, dove il futuro vescovo di Milano ricevette un educazione classica e venne
istruito nella dottrina cristiana, divenendo catecumeno.

Ambrogio scalò rapidamente i gradi della gerarchia pubblica romana, in un periodo difficile in cui
l'imperatore Giuliano l'Apostata, tentò di ripristinare, senza successo, l'antica religione pagana.
Dopo una residenza a Sirmio[2] come avvocato al tribunale della prefettura del pretorio, fu
nominato governatore (consularis) della Liguria ed Emilia con sede a Milano (370). Quando nel 374
muore Aussenzio, il vescovo ariano che dal 354 guidava la Chiesa di Milano con il sostegno
dell'allora filoariana corte imperiale, nasce il problema della successione alla cattedra vescovile.

Questo avvenimento fece crescere i dissapori e gli scontri tra Cattolici e ariani. Ambrogio,
intervenuto per sedare i conflitti fu acclamato vescovo e, ricevuto il battesimo il 30 novembre, fu
consacrato il 7 Dicembre 374.

In questo periodo si dedicò in particolare alla riforma del clero e all'azione pastorale. Scrisse il De
Virginibus e il De viduis (377). Poco più tardi, con il De Fide (378) composto su richiesta dell'
imperatore Graziano, iniziò la sua accesa lotta contro l'arianesimo. Graziano con la legge Omnes
vetitae (379) proibì il culto pubblico di tutte le eresie; Teodosio, ne seguì l'esempio proibendo
ugualmente il culto pubblico pagano.

La morte di Graziano (383) e l'elezione del giovane Valentiniano II, proclamato Augusto a soli
quattro anni, sotto la tutela della madre ariana Giustina, sembrò mettere in discussione tutta l'opera
di Ambrogio.

Valentiniano I aveva sostenuto l'elezione a vescovo di Ambrogio, ma alla sua morte nel 375, la
moglie Giustina mise in atto contro il vescovo di Milano una lotta aperta e costante. Nel 385 la setta
ariana di Milano rivendicò la basilica Portiana, incontrando la ferma opposizione di Ambrogio, il
quale arrivò a dire all'imperatore Valentiniano II (Ep. XX): «Non è lecito consegnarti la basilica, o
imperatore, né a te conviene prenderla. Tu che con nessun diritto puoi violare la casa di un cittadino
privato, pretendi di portar via una casa di Dio? Mi si risponde che all'imperatore tutto è lecito. Ed io
dico: non credere che tu abbia diritti imperiali sulle cose divine [... ]sta scritto: a Dio quel ch'è di
Dio, a Cesare quel ch'è di Cesare. All'imperatore appartengono i palazzi (imperiali), al sacerdote (al
vescovo) le chiese».

Ambrogio, rinchiuso nella basilica Porziana con altri vescovi cattolici e con il popolo che cantava i
suoi inni, fu assediato dall'esercito Imperiale.[3]

Nel 387 battezzò il suo più illustre catecumeno: Sant'Agostino[4]. In quello stesso anno, Massimo
invade l'Italia, costringendo Valentiniano II e Giustina a fuggire a Tessalonica. Teodosio nel 388
sconfisse Massimo, il quale fu trucidato dai suoi stessi soldati ad Aquileia.

Teodosio risiedette a Milano fino al 391, divenuto ormai indiscusso dominatore d'Oriente e
Occidente, dando inizio ad un periodo di pace e di cui lo stesso Ambrogio parlerà nel suo
commento al Vangelo di Luca[5]. Nel 390 dopo la strage di Tessalonica perpetrata da Teodosio,
Ambrogio impose all'imperatore di fare penitenza prima di potersi riaccostare ai sacramenti[6]. E
l'imperatore si piegò al volere del vescovo facendo pubblica penitenza nella basilica di Milano, nel
Natale del 390. Da quel momento, il potere e l'azione pastorale del vescovo di Milano divennero
sempre più ampie. La personalità e il prestigio del vescovo Ambrogio sono ormai conosciute in
tutto l'Impero. Fino alla sua morte, avvenuta il 4 aprile del 397, egli continuerà a prodigarsi
instancabilmente nella pastorale e nell'evangelizzazione, difendendo strenuamente l'ortodossia,
attraverso le sue omelie, i suoi insegnamenti e i suoi scritti.

Le opere

Ambrogio, nel corso della sua vita, ha dato origine ad un gran numero di opere. Accanto ad opere di
carattere apologetico che avevano l'intento di combattere l'arianesimo diffuso come, La fede (378-
380) e Lo Spirito Santo (381) ne ricordiamo altre di carattere esegetico su temi soprattutto
veterotestamentari come: Hexaemeron (I sei giorni della creazione), De Paradiso, De Cain et Abel,
De Noe, De Abraham, De Isaac et anima, De joseph, De patriarchis, solo per citarne alcune. Di fatto
la maggior parte delle opere di Ambrogio sono frutto delle sue orazioni e delle sue omelie. Egli era
preoccupato soprattutto di comunicare la fede al popolo dei fedeli.

Alcune di esse sono espresse in un linguaggio semplice e diretto, altre invece, forse destinate ad un
uditorio più erudito, sono più complesse da un punto di vista concettuale e letterario, come per
esempio il De bono mortis che tradisce una forte influenza platonica. Tra le più belle c'è
sicuramente l'Hexaemeron, una serie di nove omelie scritte da Ambrogio durante la Settimana santa
del 387, che sicuramente fu ispirata dall'omonima opera di Basilio di Cesarea e che cerca di
descrivere, la Provvidenza divina all'opera nel creato, tema già trattato, anche se in maniera
differente, da Lattanzio nel De opificio Dei. Un opera, quella di Ambrogio, pregevole anche sul
piano letterario, con accenti che rimandano a Virgilio e Orazio.

Particolarmente interessante è anche la raccolta dell'Expositio Evangelii secundum Lucam, una


serie di omelie scritte tra il 389 e il 390, come pure l'Expositio psalmi CXVIII e l'Enarrationes in
XII psalmos davidicos. E' nell'esegesi dei salmi, che si coglie l'autentica spiritualità di Ambrogio,
accanto al suo indubitabile talento artistico. Per il vescovo di Milano, i salmi parlano di Cristo, sono
testi contemporaneamente poetici e profetici. Uguale carattere poetico hanno i Discorsi, in
particolare De excessu fratris, scritta nel 378 in occasione della morte del fratello Satiro; De obitu
Valentiniani, scritto nel 392 a seguito dell'uccisione di Valentiniano II; ed il De obitu Theodisii del
395, in onore dell'imperatore Teodosio.
Accanto a queste ricordiamo le opere ascetico-morali come il De Verginitate e il De Viduis del 377
in cui Ambrogio esorta a preservare e conservare lo stato di vedovanza, perché si avvicina a quello
verginale, come pure le opere teologiche e liturgiche in forma catechetica tra cui: De fide ad
Gratianum; De Spiritu Sancto; De mysteriis, sul valore dei sacramenti del battesimo, della cresima e
dell'eucaristia; De poenitentia che tratta del tema della remissione dei peccati; ed infine sono stati
ritrovati diversi frammenti di un opera dal titolo: De sacramento rigenerationis sive de philosophia,
un aperta contestazione nei confronti di coloro i quali ritenevano che il cristianesimo derivasse dal
platonismo. Indubbiamente però, le opere per cui Ambrogio è maggiormente ricordato sono i suoi
Inni, un tipo di composizione poetica con contenuto teologico-dottrinale essenziale e comprensibile
a tutti, semplice nella metrica e facilmente cantabile dai fedeli. Quattro di essi sono citati anche da
Agostino, e sono sicuramente autentici: Aeterne rerum conditor; Iam surgit hora tertia; Intende qui
regis Israel; Deus creator omnium.[7] Nel medioevo furono attribuiti ad Ambrogio molti inni che
poi gli studi successivi smentirono. Anche oggi gli studiosi non concordano sul numero esatto di
Inni la cui paternità può essere fatta risalire con certezza ad Ambrogio. La maggior parte propende
per un numero di inni ambrosiani autentici pari a tredici.

L'innodia cristiana: origini e sviluppo

Fin dai primi tempi, nella liturgia cristiana gli inni hanno un posto di primaria importanza. Oltre ai
salmi e ai cantici dell'Antico Testamento ben presto vengono introdotte nuove composizioni ispirate
alla tradizione giudaica.

Il termine «inno» deriva dal greco hymnos, ed indicava anticamente un canto di lode o carme alla
divinità. Veniva cantato con l'accompagnamento della cetra e spesso della danza. Tra le più antiche
testimonianze di queste composizioni vanno ricordati i poemi omerici[8]. Questo termine viene in
seguito assunto in ambito cristiano per indicare i canti liturgici e per distinguerli dai salmi. Nei
primi tempi, dopo l'evento pasquale di Gesù, i cristiani provenienti dall'ebraismo, continuarono a
frequentare il tempio e la sinagoga, e a partecipare alle ufficiature ebraiche. Solo gradualmente, il
cristianesimo assunse una sua identità precisa e autonoma rispetto al giudaismo. Da Atti 2,15
sappiamo che i discepoli di Gesù si recavano regolarmente al tempio per la preghiera delle tre ore
principali della giornata: mattino, pomeriggio e sera, pratica che poi passò anche nella liturgia
cristiana. Non va dimenticata la presenza nel Nuovo Testamento (Vangelo di Luca) di cantici che
riprendono nel contenuto e nella forma i salmi: Magnificat, Benedictus, Gloria e Nunc dimittis.
Nella liturgia cristiana fin delle origini era inoltre presente la recita dei Salmi dell'Antico
Testamento, come attestato da San Paolo in Ef. 5,18-19 e in Col. 3,16: «La parola di Dio dimori
abbondantemente tra di voi; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di
cuore e con gratitudine, salmi, inni e cantici spirituali». Nel NT sono presenti forme poetiche come
l'inno cristologico di Fil. 2,6-11 che si ispira metricamente alla poesia ebraica, ed in Apocalisse
dove troviamo, in particolare il Trisaghion (Ap. 4,8) e il Maranathà (Ap. 22,20), che verranno
presto introdotti nella liturgia cristiana, come si evince dalla Didachè (10,6).

I primi inni cristiani erano molto vari nella forma e non seguivano i criteri metrici che noi oggi
conosciamo (quantitativo e accentuativo) ma erano composizioni liturgiche in forma ritmica, in cui
un solista guidava l'assemblea con l'alternanza di variazione e cantillazione, caratteristiche che si
ritroveranno in seguito anche negli inni ambrosiani.[9]
Innodia greca

Quando la Chiesa, a partire dalla Palestina si diffuse verso il mondo greco, incontrando nuove
forme culturali, sviluppò una letteratura poetica e innodica nuova. La prima testimonianza di un
innodia cristiana antica va fatta risalire a Plinio il giovane, il quale nella decima delle sua lettere
indirizzate a Traiano, chiede consiglio all'imperatore, sul modo di comportarsi nei confronti dei
cristiani, i quali a suo dire, durante le loro cerimonie nel “giorno del sole”, cioè la domenica, prima
dell'alba cantano alternativamente un carme a Cristo, che essi venerano come Dio.[10] Ciò viene
confermato quasi un secolo più tardi (197) da Tertulliano, il quale riferendosi alle lettere di Plinio,
spiega che il termine da lui usato carmen dicere andava intesa nel senso di cantare un inno[11].
Certamente ai romani ed ai greci, non doveva suonare strano che si rivolgessero dei canti in onore
di una divinità, visto che la cultura greco-romana aveva una fondata tradizione di inni. Basti pensare
ai carmen saeculare di Orazio, al tempo di Augusto, una sorta di ode in onore di Apollo e Diana.

In Oriente, l'innografia si sviluppa sia per rispondere alle crescenti esigenze liturgiche della
comunità cristiana, sia a causa delle sempre più numerose eresie nascenti.

Tra i primi documenti va citata la Didaché (50-70 d.C), come pure la Lettera agli Efesini di S.
Ignazio d'Antiochia[12] datata intorno al 110-117. Qualche accenno sull'innodia si trova anche nel
Protrettico di Clemente d'Alessandria, ma soprattutto in un inno che si ritrova nel Pedagogo,
chiamato Inno di Cristo Salvatore o Inno dei fanciulli, datato tra il 190 e il 202.[13] Si tratta di una
lunga serie di litanie degli attributi del Figlio, un elenco di titoli attribuiti al Cristo.

Sicuramente l'inno orientale antico più conosciuto è il Phòs Hilaron (II-III sec.) e che secondo
Fontaine ha una struttura accostabile ai successivi inni di Ambrogio, tre strofe di quattro versi
ottosillabici. Si tratta di un inno a carattere dossologico.[14] Un altro inno del III secolo, e che
probabilmente è quello a cui fa riferimento Plinio il giovane nella sua epistola a Traiano, è l'Inno
del mattino.[15] Il legame tra gli inni cristiani antichi e quelli pagani, se consideriamo valide le
ipotesi di Fontaine, porta ad intravvedere una continuità non solo rispetto alla tradizione giudaica
(Fontaine definisce la salmodia la «madre dell'innodia»), ma anche alla letteratura pagana[16].

Tra gli innografi orientali principali del IV secolo dobbiamo citare Efrem il siro e Gregorio di
Nazianzo, che aprirono la strada alla nascita, tra il V e il VI secolo dell'Innodia bizantina, che
arricchiranno la liturgia della Chiesa d'Oriente con numerosi e splendidi inni sia quanto al contenuto
liturgico e teologico, come al valore poetico e artistico (ricordiamo per esempio il Kontakion di
Romano il melode).

Innodia latina

L'innodia latina è la conseguenza di un processo evolutivo. Per molto tempo il cristianesimo


mantenne nella liturgia la lingua greca, il bilinguismo proprio dell'Impero romano facilitò anche
nella liturgia occidentale l'uso del greco.

Il latino entrò nella liturgia in maniera lenta e graduale, in quanto la poesia latina antica era
impregnata di mitologia e politeismo e quindi sospettata dai cristiani come immorale e demoniaca.
É innegabile d'altra parte che i cristiani conoscessero la tradizione filosofica greca, ed anche l'idea
che i filosofi greci avevano nei riguardi dei poeti, considerati falsi e menzogneri, in quanto la loro
arte mimetica, tentava di imitare una realtà che non era altro se non apparenza.[17] Platone, nello
Ione definisce il poeta come un ispirato, una specie di profeta, che opera da medium tra l'uomo e la
divinità. Quindi il cristianesimo antico soffre di una sorta di fenomeno contraddittorio nei confronti
della poesia, una sorta di attrazione-repulsione.

Dalla testimonianza di Tertulliano, sappiamo che nel III secolo, diverse sette eretiche usavano
cantare inni. In un mondo in gran parte analfabeta il canto era un mezzo straordinariamente efficace
di comunicare e propagandare il proprio credo. Lo stesso Tertulliano ci fa sapere che anche nella
preghiera domenicale pubblica dei cristiani, come in privato, c'era l'abitudine di cantare gli inni.
Erano dei canti liturgici dell'assemblea in forma spontanea.[18] Quindi accanto ai canti biblici, nella
Chiesa africana del III secolo, si sviluppano innodie carismatiche individuali improvvisate.

Un altro scrittore cristiano da tener presente è il discepolo di Arnobio, Cecilio Firmiano Lattanzio.
Nelle Istitutiones, Lattanzio fa capire che il ruolo del poeta consiste nel tradurre la realtà, ossia
nell'estrapolare la verità dalle apparenze. Il poeta quindi, non solo non è un mentitore, secondo
l'idea platonica, ma anzi è un cercatore di verità. Egli è chiamato ad insegnare il vero e il bene
attraverso le sue immagini.

L'arte cristiana è un mezzo a servizio della verità. In questo senso, come mostra bene Fontaine nei
suoi studi, il poeta cristiano assume un ruolo profetico. L'innodia allora non può essere considerata
semplicemente un imitazione della salmodia, anche se, come lascia intendere Lattanzio, vi è una
continuità tra di esse[19]. Si comprende inoltre come l'arte cristiana, non intendeva avere una
funzione di intrattenimento ma di comunicazione, essa non ricerca l'imitazione ma la rivelazione.
L'idea di arte cristiana quindi si distanzia fin dai primi secoli da quella pagana.[20]

Sappiamo che Lattanzio scrisse anche un’opera poetica indirizzata ad un pubblico pagano colto: La
fenice, in 85 distici elegiaci, in cui con argomentazioni razionali si preoccupa di presentare il
messaggio evangelico, insistendo in particolare sul tema della sapienza. I suoi versi sono
particolarmente eleganti, e si notano in essi l'influenza di Virgilio, Seneca ma soprattutto, come in
altre opere di Lattanzio, quella di Cicerone. Lattanzio oltre che ad ispirarsi alla poesia classica,
utilizza una forma allegorica e simbolica simile a quelle di Filone d'Alessandria e di Origene.[21]

Ilario di Poitiers

Ilario di Poitiers, può a buon diritto essere considerato colui che ha posto le basi dell'innodia
cristiana latina. L'innodia ambrosiana non è una creazione spontanea ed immediata, ma
un’evoluzione progressiva che ha proprio in Ilario il suo precursore e la sua tappa decisiva. La sua
importanza è attestata da Isidoro di Siviglia che lo considera l'autore dei primi inni cristiani in
lingua latina[22], come pure dal Concilio di Toledo (633) che approvò il canto degli inni e indicò
Ilario e Ambrogio come modelli di innografi da imitare.[23]

Nel 1885 venne scoperto il manoscritto di Arezzo, datato al IX secolo, in cui si trovano, benché
incompleti, tre inni di Ilario. Il loro contenuto è teologico. I temi trattati sono la Trinità, la
Resurrezione e le tentazioni di Gesù. Lo stile è laborioso e molto complicato. Si notano forti
influenze dell'innodia orientale greca, in particolare l'impiego di acrostici alfabetici e di variazioni
metriche tipiche dell'innodia cristiana di ambiente greco. Questo non stupisce, considerando che
Ilario, strenuo difensore dell'ortodossia contro gli ariani, fu esiliato in Asia minore nel 356, dove
ebbe certamente modo di udire nelle liturgie greche o siriache il canto degli inni e questo contatto lo
impressionò talmente che, tornato in Gallia, iniziò a comporre canti al modo orientale ma in lingua
latina. Nei suoi inni si vede anche l'influenza della metrica di poeti classici come Orazio.
Gli Inni di Ambrogio di Milano

Nella Settimana Santa del 386, Ambrogio, asserragliato con i suoi fedeli all'interno della basilica di
Milano, per difendersi dagli assalti degli ariani e delle truppe dell'imperatore, cerca di incoraggiare
ed elevare gli spiriti del suo gregge, con il canto di inni di sua composizione. Nel sermone contro
Aussenzio, lo stesso Ambrogio spiega la funzione degli inni: «Sostengono anche che mi servo del
canto dei miei inni per ammaliare il popolo. Non posso negare che ciò sia vero. Stupendo è questo
canto, di cui non c'è cosa più potente. Che cosa è infatti più potente della confessione della Trinità,
che ogni giorno è celebrata dalle labbra di tutto il popolo? Tutti a gara, aspirano a confessare la fede
e imparano a confessare in versi il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.»[24] Agostino, nelle
Confessioni, spiega chiaramente che la pratica degli inni non era stata introdotta nella Chiesa
milanese da molto tempo e che derivava dalla tradizione orientale: «Fu allora che si cominciò a
cantare inni e salmi secondo l'uso delle regioni orientali, per evitare che il popolo deperisse nella
noia e nella mestizia, innovazione che fu conservata da allora a tutt'oggi, e imitata da molti, anzi
ormai da quasi tutte le greggi dei tuoi fedeli nelle altre parti dell'orbe.»[25]

La novità introdotta da Ambrogio, consisteva nel cantare a cori alterni, si trattava cioè di un canto
antifonale, che in seguito avrà un grande successo e verrà inserito ufficialmente nella liturgia.[26]
Gli Inni ambrosiani trovano le loro radici nella poesia classica di Virgilio, Orazio, Seneca e
Lucrezio, ma il genio di Ambrogio si manifesta in particolare nell'immediatezza e nella lirica tipica
della poesia popolare di cui le sue opere risentono e i cui accenti semplici e profondi, allo stesso
tempo, commossero Agostino: «Quante lacrime versate ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici,
che risuonavano dolcemente nella tua chiesa!».[27] Il motivo di tanto successo era dovuto alla
semplicità, alla forza emotiva e al profondo contenuto spirituale degli inni ambrosiani, che
permettevano agli ascoltatori di memorizzare facilmente le melodie.

NOTE

[1] Apparteneva alla gens Aurelia per parte di madre, mentre Ambrosius era il nome del padre.

[2] Nel 365 iniziò la carriera di avvocato a Sirmio (ora Mitrovica in Iugoslavia), un importante città
romana, ponte tra l'Occidente e l'Oriente. Ebbe la possibilità di conoscere da vicino le condizioni
sociali ed economiche in cui versavano le popolazioni soggette all'impero romano, e i nascenti
tumulti barbarici; comprese meglio i pericoli dell'eresia ariana, già condannata dal Concilio di
Nicea nel 325 e contro cui anche il futuro vescovo si dovrà scontrare a Milano.

[3] In questa circostanza i fedeli della Chiesa milanese si strinsero compatti intorno al loro vescovo
dentro la basilica, vigili nella preghiera e nel canto degli inni, che aveva composto lo stesso
Ambrogio sull'esempio della liturgia orientale. Questi inni, in dimetri giambici di ascendenza
classica, come: «Aeterne rerum conditor» o inno del mattino; «Iam surgit hora tertia» o inno per
l'ora terza in cui Cristo sali sulla Croce; «Deus, Creator omnium» o inno della sera; «Intende, qui
regis Israel» ed altri ancora, si attribuiscono sicuramente a sant'Ambrogio. Introdotti nella liturgia
nel medioevo, hanno anche un grande valore letterario. Cfr. M. SIMONETTI, Innologia
ambrosiana, Roma 1960; W. BUEST, Hymni latini, Heidelberg 1956.

[4] Facendo memoria del battesimo ricevuto da Ambrogio, Agostino dirà: «Fummo battezzati, e si
dileguò da noi l'inquietudine della vita passata. In quei giorni non mi saziavo di considerare con
mirabile dolcezza i tuoi profondi disegni sulla salute del genere umano. Quante lacrime versate
ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici, che risuonavano dolcemente nella tua chiesa! Una
commozione violenta: quegli accenti fluivano nelle mie orecchie e distillavano nel mio cuore la
verità, eccitandovi un caldo sentimento di pietà. Le lacrime che scorrevano mi facevano bene». Cfr.
Agostino d'Ippona, Confessioni, IX, 6, 14.

[5] Ambrogio di Milano, Expositio Ev. sec. Lucam, IX, 32: «L'uragano delle dispute è cessato; tutto
il fuoco il cui incendio abbracciava l'intero popolo d'Italia a causa dell'errore ariano è ora calmato
per lo spirare di un tranquillo zeffiro»

[6] Cfr. Ambrogio di Milano, Epistola 51:«Ti scrivo non per umiliarti, ma perché gli esempi dei re
ti spingano a cancellare dal tuo regno questo peccato. Lo cancellerai umiliando la tua anima davanti
a Dio».

[7] Per un approfondimento su questa parte, cfr. C. MORESCHINI, Letteratura cristiana delle
origini greca e latina, ed. Città Nuova, Roma 2007.

[8] Cfr. C. MORESCHINI, Innografi, in F. DELLA CORTE (a cura di), Dizionario degli scrittori
greci e latini, Settimo Milanese 1988, pp. 1147-1154.

[9] Cfr. A. BONATO (a cura di), Inni, di Ambrogio, ed. Paoline, Milano 1992, p. 15-16.

[10] Cfr. PLINIO, Ep. 96,7.

[11] Cfr. TERTULLIANO, Apologetico 2,6.

[12] Il vescovo esorta i suoi fedeli a cantare: «ad una sola voce per mezzo di Gesù Cristo un inno al
Padre», cfr. IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Lettera agli Efesini 4,1-3.

[13] Fontaine fa risalire a Clemente, considerato dai Padri della Chiesa «il più grande degli
egiziani», le radici innografiche cristiane nelle forme metriche che poi si ritroveranno negli inni
ambrosiani, in particolare quest'inno cristologico. Cfr. J. FONTAINE, «Les origines de l'Hymnodie
chrétienne latine, d'Hilaire de Poitiers à Ambroise de Milan», in Reveu de l'Institut Catholique de
Paris, 1985, n.14, pp. 20-55.

[14] Una caratteristica che troviamo nella metrica antica è l'alternanza di sillabe lunghe e brevi ed
anche la ripartizione regolare degli accenti.

[15] Fontaine fa rilevare che gli inni cristiani del mattino hanno molte caratteristiche comuni agli
inni pagani precedenti, come quelli ad Helios e Iside di Mesomede, (metà del II sec.) maestro di
cappella dell'imperatore Adriano, a cui essi sembrano innegabilmente ispirati, in Op. cit. p. 21.

[16] Per Fontaine il Discorso di Paolo all'Areopago di Atene è emblematico, perché rivela i rapporti
tra il cristianesimo e la civiltà greca. In esso Paolo cita due testi poetici greci, uno tratto dai
Fenomeni celesti di Aratos di Soles, l'altro invece dall'Inno a Zeus di Cleante. In Atti, viene
riportato il fatto che Paolo, nel suo elogio della Provvidenza divina, allude ad un passo di
Epemenide, poeta cretese del VI sec. a.C, Cfr. Atti 17,28: «In Lui infatti viviamo, ci muoviamo ed
esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto [...]».

[17]Cfr. PLATONE, De Repubblica, X.

[18]Cfr. TERTULLIANO, La Preghiera, 39; Apologetico, 39,18; A sua moglie, 2,8-8.


[19] Cfr. LATTANZIO, Divinae Istitutiones, 6-25,7.

[20] J. FONTAINE, op. cit., p. 27: «Essi (i cristiani) posero le basi d'una corrispondenza tra
funzione poetica e profetica che coincidevano nella funzione di proclamare la verità religiosa.»

[21] Cfr. A. BONATO, op. cit., pp. 38-44.

[22] ISIDORO DI SIVIGLIA, De Ecclesiasticis officiis, 1,6,7: «Il vescovo delle Gallie, Ilario di
Poitiers, dotato di una straordinaria eloquenza, fu il primo a fiorire col canto degli inni».

[23] Cfr. Concilio di Toledo IV, can. 13, De hymnorum canto non revenendo: «Alcuni inni sono
ben conosciuti, come quelli che i beatissimi dottori Ilario e Ambrogio hanno composto.»

[24] AMBROGIO, Serm. contra Auss., 34.

[25] AGOSTINO, Confessiones, 9,7-15.

[26] A. BONATO, op. cit., p. 59: «La prosa di Ambrogio si innesta nella tradizione salmodica
orientale, a due cori, detta canto alternato e i suoi versi riflettono quella forma melodica».

[27] AGOSTINO, op. cit., 9,6-14.

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