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Cap.

1 - “La definizione dell’animazione culturale”


L’animazione ha una pluralità di significati. Il primo risiede nel suo significato
etimologico, che fa derivare animazione dal latino “animare”, ovvero dare vita,
animo, spirito. Un altro significato è quello derivato dal francese, che indica “un
moto vivace di una persona”. Questa seconda definizione è quella che si è diffusa
maggiormente, e che vede l’animazione come un complesso di tecniche e attività
volte a vivacizzare situazioni sociali. Accanto a questa definizione, Pollo inserisce ed
arricchisce la definizione introducendo accanto ad “animazione”, il termine
“culturale”. Con il termine “culturale”, Pollo sottolinea l’importanza di
educare e far nascere la vita. Oggi, l’animazione è una delle funzioni educative più
diffuse nei settori extrascolastici. Essa rivolge la propria azione nei confronti di tutte
le fasce di età, anche se il suo terreno privilegiato è ancora costituito dai giovani, e si
è anche affermata come metodo privilegiato di intervento nei confronti di situazioni
di disagio sociale. Forse proprio a causa di questo successo l’animazione è per
molti, purtroppo, la funzione educativa più indeterminata e, per molti versi, la più
generica. Il primo modello, forse quello più noto negli anni delle origini del
movimento dell’animazione, è quello legato all’animazione teatrale, o di tipo
espressivo, che conta al proprio interno figure storiche tra cui Rodari,
Passatore e Scabia. Questo tipo di animazione, nato sotto il segno della fantasia
attraverso la festa e il gioco, è passato progressivamente ai problemi della vita
quotidiana e del territorio. L’animazione teatrale è andata evolvendo verso
l’animazione socioculturale. Il secondo modello è quello dell’animazione socio-
culturale. La caratteristica è costituita dal suo collegamento con il volontariato, e dal
fatto che colloca la sua azione come intervento nel territorio; è volta a promuovere la
capacità espressiva delle persone. Il terzo modello è quello dell’animazione culturale
in senso educativo. Caratteristico di questo movimento è aver
ripensato l’animazione come un vero e proprio modello educativo valido sia in un
contesto scolastico che extrascolastico. L’animazione culturale è una vera e propria
teoria educativa. È il movimento più diffuso nell’ambito ecclesiale. Il quarto
modello è quello che raggruppa attività di animazione dei villaggi turistici.
Il quinto è quello che si limita ad applicare tecniche e metodi di lavoro. Il sesto
modello è costituito dall’animazione ludico-ricreativo ed espressivo che tende a
favorire ai ragazzi, ai giovani, agli adulti e agli anziani la riappropriazione della
propria espressività. Nella storia dell’animazione sono identificabili tre periodi ben
distinti: la nascita, il decollo e la maturità. L’animazione è nata, nel nostro paese,
intorno ai temi della creatività, negli anni del decollo dell’industria culturale e
dell’avvento della scuola di massa. Il periodo del decollo è successivo al ’68. In
quegli anni, l’animazione spostò la sua attenzione dall’ambito della scuola
dell’obbligo a quello del territorio. Il territorio divenne il luogo privilegiato di
varie esperienze finalizzate alla liberazione delle persone dai
condizionamenti sociali, culturali ed economici che ne impedivano la realizzazione
individuale e collettiva. Successivamente, si afferma il filone socio-culturale, e nasce
e cresce quello culturale. L’ambito di attività in cui si esercita oggi l’animazione va
dalla scuola ai laboratori teatrali ed espressivi, ai centri sociali, alla prevenzione di
soggetti a rischio e nel recupero di soggetti devianti. Secondo i dati di alcune
ricerche,l’ambito prevalente di attività è nel settore culturale. Subito dopo viene l’
attività con portatori di handicap. All’ultimo posto si colloca l’attività nella scuola
dell’obbligo e con gli anziani. Questi dati testimoniano una diffusione dell’attività di
animazione anche all’interno delle principali aree di intervento dei servizi socio-
assistenziali. L’animazione non ha mai voluto essere educazione, ma si è posta solo
come un modo diverso di fare educazione. Con la sua “diversità”, l’animazione ha
dimostrato che è possibile educare in ogni contesto, in ogni età della vita dell’uomo
ed in ogni luogo, purché esista un minimo di condizioni di libertà.
Ha dimostrato, poi, che si può educare anche al di fuori delle
tradizionali istituzioni educative. Ha dimostrato che l’educazione investe tutto
l’arco della vita umana, e può avvenire in ogni luogo in cui la vita si manifesta. Se
oggi l’educazione considera il gruppo un luogo educativo, ciò è dovuto in gran
parte all’animazione che, utilizzando abbondantemente le dinamiche di
gruppo, ha dimostrato che queste possono offrire un di più all’educazione.
L’animazione si è sempre dichiarata come una azione “militante” da parte di persone
che credono nel valore liberante dell’educazione, e che sono motivate nella loro
azione da un particolare credo religioso, politico o sociale. Nell’animazione non
possono confluire tutte le fedi. Solo quelle che mettono al centro il discorso della
dignità, della libertà e della autonomia e della persona umana. L’animazione non ha
bisogno, per realizzarsi, del contesto istituzionale. I soggetti dell’animazione
sono quasi sempre volontari, in quanto scelgono volontariamente di vivere questa
particolare esperienza educativa, e non perché costretti dalle regole sociali.
L’animazione, a differenza dell’educazione, non deve trasmettere un sapere sociale e
dei modelli di comportamento riconosciuti come validi dalla cultura sociale
dominante, ma deve invece aiutare la persona a realizzarsi come individuo e come
soggetto sociale. Questo non vuol dire che non trasmetta alcun sapere sociale, ma
solo che questi non sono al primo posto tra i suoi obiettivi formativi.

Cap.2 - “Chi è l’uomo e perché te ne curi? Un’antropologia del mistero”


Lo sviluppo delle scienze umane ha incrementato la conoscenza dei processi
emozionali cognitivi,
relazionali e sociali dell’uomo, ma non ha prodotto alcun significativo sviluppo della conoscenza
della
natura umana, Solo Dio può rivelare all’uomo chi è, e questo significa che la domanda sulla natura
umana
rinvia a ciò che è superiore alla natura umana. La domanda è destinata, perciò, a rimanere senza
risposta.
L’uomo vive prigioniero di un paradosso, in quanto possiede la capacità di sviluppare una
conoscenza
sempre più approfondita del suo organismo, della sua psiche e del suo agire sociale; ma questa
stessa
capacità gli impedisce di comprendere la sua natura. Esiste, tuttavia, un modo per l’uomo di
comprendere
la propria natura. È quello che gli proviene dalla rivelazione che Dio gli ha fatto circa la sua natura.
Questa
rivelazione è accettata solo da chi possiede una fede religiosa. Per gli altri, la natura umana è
destinata a
restare un mistero o ad essere banalizzata a qualche riduzionismo scientifico. La definizione
dell’uomo che
la Bibbia offre, aiuta a comprendere perché l’essere umano non possa afferrare l’essenza della sua
natura. È
proprio il fatto che l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio che spiega al credente perché
gli è
impossibile capire la propria natura. L’uomo è sì fatto a immagine e somiglianza di Dio, ma non è
Dio.
Questo significa che è dotato di una comprensione limitata della sua natura. L’unica via che l’uomo
ha per
conoscere Dio è quella di cercare di acquisire e attuare le principali qualità che caratterizzano Dio:
giustizia
e amore. L’uomo ha ricevuto da Dio la possibilità di essere simile a Lui, ma questa possibilità
dipende dal
suo impegno a realizzarla. Alla maggior parte delle persone sembra ovvio che tutti gli uomini
vivano e
percepiscano un’identica realtà. In verità, ogni specie vivente è una sorta di monade (=unità
indivisibile,
indipendente) che abita un suo mondo specifico in cui sperimenta un’esperienza particolare. Questo
perché
il mondo di una specie vivente è costituito dal suo sistema recettivo (=quello che gli consente di
percepire
gli stimoli che gli provengono dal suo ambiente), e dal suo sistema reattivo (=quello che gli
permette di
reagire a tali stimoli). Questi due sistemi formano il circolo funzionale. La realtà è costituita solo da
ciò che
entra in questo circolo funzionale. Ciò che non entra in questo circolo funzionale semplicemente
non esiste.
Il mondo vivente è un insieme di mondi distinti che in alcuni casi hanno una parte in comune, delle
intersezioni, che consentono la relazione comunicazione tra differenti specie. L’uomo si differenzia
dalle
altre specie viventi perché, oltre a possedere sistemi recettivi e reattivi molto più ampi, ha un
elemento che
rende unico il suo circolo funzionale e quindi il suo mondo: il sistema simbolico. L’uomo
interpreta lo
stimolo e sceglie la risposta più adeguata ad esso attraverso gli strumenti che gli offrono la sua
cultura
sociale e la sua esperienza personale, così come è stata rielaborata a livello simbolico. Si può
affermare che,
nella maggioranza dei casi, l’uomo reagisce non tanto allo stimolo materiale, quanto all’
interpretazione
simbolica che egli dà di quello stimolo. Per l’esistenza di questo sistema simbolico, il mondo
dell’uomo non
è un mondo materiale, ma un mondo culturale. Persone che abitano culture sociali
differenti e che
utilizzano linguaggi diversi, di fatto abitano mondi differenti. La creazione di questi
mondi, sociali e
individuali, avviene sin dai primi anni di vita, in quanto il bambino già nel periodo in cui completa
il suo
organismo attraverso la crescita incorpora gli elementi simbolici che costituiranno il suo mondo

Cap.3 - “L’uomo come essere progettuale, culturale, simbolico e relazionale”


Nietzsche definì l’uomo come “l’animale non definito”. Al momento della nascita, è un essere incompiuto
che si completa nel corso della sua vita individuale e sociale. Alla nascita ha di fronte a sé una molteplicità
di possibilità di essere. Questo significa che ogni individuo diviene ciò che è in seguito all’intersezione di più
fattori: il suo progetto personale, la cultura sociale, le condizioni dell’ambiente sociale. Tra tutti questi
fattori, la progettualità gioca il ruolo più importante. Ciò significa che è un essere aperto, a differenza delle
altre specie viventi che hanno un ambiente strutturato dalla loro organizzazione istintuale, e riguarda sia la
sua formazione come persona, sia la costruzione della realtà, ovvero del mondo che abita. Infatti egli,
producendo sé stesso, incorpora la cultura, i linguaggi e tutti i sistemi simbolici che mediano il suo rapporto
con la realtà. È attraverso le relazioni con le persone, con le istituzioni, con la cultura e la natura che ogni
individuo disegna i suoi confini individuali e sociali, si autocomprende e comprende. L’esperienza dell’
Alterità, ovvero l’esperienza dell’ascolto e della condivisione dell’Altro, è il movimento attraverso il quale la
persona può sfuggire a quella forma di soggettività distruttiva che è il narcisismo o l’egocentrismo, per
aprirsi invece a quella soggettività che è alla base di un’efficace partecipazione alla vita sociale

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