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OCCOdW, HLorUrd 1. Chi non rammenta quel capitolo de- cimoquinto del Principe, in cui il grande Nic- col6 contrappone la ‘verita effettuale della cosa’ alla ‘immaginazione di essa’, cioé i fat- ti accaduti ai fatti sognati e desiderati? ‘Ve- rita effettuale’ é l’incancellabile e nudo ac- cadere: incancellabile, poiché ormai appar- tiene al mondo passato, alle cose che non possono piti non essere; nudo, poiché esso sta li, ed ha in sé la propria ‘verita’. Ed anche nel linguaggio comune, nel dire e conversare quotidiano, effettivita indi- ca l’accadere dei fatti, e cosi si separa da pa- role_contigue. Da éfficacia, ossia dalla capa- cita di produrre qualcosa; e da efficienza, che misura il rapporto tra mezzi impiegati e ri- o conseguito. Termini, i quali, scio. a precisione di significati e€ ritro. e nel flusso del dire, spesso ndono fungibili. sultat gliendosi d vandosi insiem s'intrecciano € si re Ma effettivita sempre conserva un ac. ato inconfondibile, ¢ sempre designa I’ ac. cel cadere storico, i fatti voluti dall’uomo. Alla na- * tura — al piovere o grandinare, allo svettare dei monti 0 allo scorrere dei fiumi — non si addice l’effettivita. Essi sono dinanzi a noi e fuori di noi, un che di esterno alle umane vo- lonta. Dove queste agiscono, costruendo o distruggendo, allora sentiamo che la parola ‘effettivit’’ riprende il suo proprio significa- to. Effettiva é la storia umana, il mondo che edifichiamo nel tempo con il nostro pensare e il nostro agire. I fatti della natura awengo- no da sé; i fatti storici sono azioni dell’uomo, il quale li decide e li reca a compimento. L’antitesi di natura e storia, di fatti av- venuti da sé e di fatti compiuti dall’uomo, agevola il discorso, e percid é data qui come premessa, ancorché la natura sia ormai sotto il dominio della tecnica, e la sua immagine dipenda dalle domande e dagli strumenti dell’ osservatore. Nell’indagare la natura, Duomo — come scrisse Werner Heisenberg — incontra sempre e soltanto se stesso. 2. Torniamo al nostro tema con la do- manda_decisiva: come _e_perché _l’effettivita storica, questa immensa distesa di fatti fra il pid remoto ieri ¢ l’oggi, pud assumere signi- ficato giuridico? ~~ La domanda rovescia il modo consueto: non sale dai fatti al diritto, ma scende dal di- ritto ai fatti; non chiede ai fatti di esprimere un significato di diritto, ma al diritto di ca- larsi sui fatti. Questo implica che debbo por- mi dinanzi ai fatti come giurista, che debbo guardarli nella prospettiva del diritto. Anzi, nella prospettiva di un diritto, poiché intor- no a mei diritti sono molteplici e discordi, e ciascuno mi vuole tutto per sé. La domanda sul significato giuridico dei fatti si risolve cosi nella domanda sulla mia posizione di giuri- sta, sulla mia concezione 0 filosofia del dirit- 5 Wk & Co @ bechkutdad to. Affinché il mio sguardo afferri il signig. cato giuridico dei fatti, € necessario che tn sia gia orientato secondo una Prospettiva i diritto. Il_significato giuridico dei fattj dic pende dal mio sguardo giuridificante, 3. Noneé da stupire che l’accento del dj- scorso si sia fatto cosi séngolare: singolare, in quanto riguarda ciascuno, di not come singolo, che voglia stabilire il significato giuridico dei fatti. Non posso togliere in prestito occhi al- trui per guardare il mondo: il ‘punto di vista’ é sempre vista da quel punto che é la mia soggettivita. Se i miei occhi si orientano secondo la prospettiva istituzionistica, rilegger6 una ce- lebre pagina di Santi Romano?: lo Stato “esiste perché esiste, ed é€ ente giuridico perché esiste, dal momento in cui ha vita. La sua origine non é€ un procedi- mento regolato da norme giuridiche; é; come si é ripetutamente messo in vista, un fatto. Ora, il diritto si ha appena questo fatto 10 € compiuto, appena si ha uno Stato effettivo, vivo e vitale; la norma invece pu6 essere po- sta da esso in seguito”. E ancora?: “Listituzione ... @ il diritto obbiettivo, ed é diritto obbiettivo perché é un ente, un corpo sociale, che ha, nel mondo giuridico, un’esistenza effettiva, concreta, obbiettiva”. Laggettivo ‘effettivo’ é tra le note do- minanti dell’ Ordinamento_giuridico. L’effetti-_ vita del corpo sociale é diritto: non sta fuori di esso, prima o dopo che sia, ma s’identifica con esso. Le norme sono un ‘aspetto deriva- to e secondario’; la costituzione di uno Stato non si esaurisce in norme, le quali sono sol- tanto “i suoi segni esteriori, la sua documen- tazione, una forma della sua affermazione”3. Le norme, se vengono, vengono dopo, docu- mentano e riconoscono cio che gia esiste e che non ha bisogno di esse: non ne ha biso- gno, perché si appoggia alla ‘verita effettua- le della cosa’, all’inconfutabile argomento dell’accaduto. L’essere dell’istituzione é il tutto del diritto, e assorbe e consuma in sé 11 stanza del dover essere. I] singolo 5 c it qualsiasi i po sociale, stabile e organizza. trova in un COT) 0; e codesta effettivita é il diritto, il suo qj. ] singolo - voglio ripetere — si troya, é situato, non si situa. t ritto. I non sceglie; L’effettivita istituzionale, nella sua con. ta e corposa esistenza, é imparagonabile e tabile. Essa é suscettibile soltanto di cre' irraffron un giudizio dia zio che la riconosca € descriva quale é. L’or dinamento giuridico é concetto a-valutativo, e — uso qui parole scritte da Benedetto Cro- ccertamento storico, di un giudi- ce con riguardo ai giudizi di valore4 — “si ride della mia disapprovazione pel semplice fatto che esso esiste”. Liistituzione - dice Roma- “non é un’esigenza della ragione, un stratto, un quid ideale, é invece nod — principio a un ente reale, effettivo”; il diritto si conclude “jn se medesimo, cioé in un’entita obbietti- va, che é il suo principio, il suo regno e Ja sua fine”, Le norme sono pedine e€ strumenti mossi dall’istituzione, che se ne serve per propri scopi, per manifestarsi e rivelarsi con segni esteriori. E dunque esse non possono 12 andare al di la dell'istituzione, né modificar- la o contestarla, ma soltanto documentarne la concreta effettivita. Non sono in grado di ag- giungere o togliere alcunché alla serrata e conchiusa unita di un corpo sociale. 4. Nella teoria_romaniana, |’effettivita non riceve un significato giuridico dall’ester- no, ma lo esprime dal di dentro, lo porta in sé, poiché essa é il diritto obbiettivo e percid non esige alcun altro fondamento. Santi Ro- mano spinge al pit alto grado la giuridicizza- zione_del_fatto, ed_anzi identifica diritto.con fatto, con_quel fatto che é la concreta vita di ~ \Y>,, un corpo sociale organizzato, di un ente \ chiuso fermo duraturo. ~ Il limite della teoria é che essa esclude qualsiasi ‘coscienza normativa’ (1’espressione é tolta da una pagina di Wilhelm Windel- band)®, e_assegna alle norme un’incerta e ambigua funzione. L’istituzione sembra far- ne a meno, degradarle a strumento eventua- le e secondario, e insieme averne bisogno. Dove, ad esempio, leggiamo7 che “Vistitu- zione intanto esiste e pud dirsi tale in quan- to é creata e mantenuta in vita dal diritto”, allora questo diritto, che sta prima e fuori dall’istituzione, e percid pud crearla e man- tenerla in vita, non s’identifica pid con J’i- stituzione, ma é la capacita costitutiva pro- pria delle norme. E dove Romano indaga genialmente le relazioni fra ordinamenti, i quali si dispongono in rapporti di rilevanza o irrilevanza, di superiorita 0 dipendenza; e discorre delle varie specie di rinvio; e tocca il nesso tra validita ed efficacia; anche allo- ra il diritto si ripresenta nell’implacabile volto normativo. Se la prima parte dell’ Or dinamento giuridico é tutta popolata di istitu- zioni, la seconda offre sottili esercizi su nor- me, e mostra che le istituzioni stringono e svolgono rapporti attraverso norme e che queste non ne sono un ‘aspetto derivato e secondario’, ma originario ed essenziale. La prima parte ha carattere statico, e descrive al gia accaduto; la seconda ha tensione dinami- ca, e disegna cid che pud accadere nei rapporti 14 fra ordinamenti. Li, il semplice esistere; qui, la decisione normativa di esistere in uno 0 altro modo. 5: Lieffettivita va giudicata: non con un semplice accertamento storico, che la rico- nosca e descriva nel suo accadere, ma commi- surandola ad una coscienza normativa, onde sia approvata o disapprovata, accolta o rifiutata, predicata conforme o difforme. Lo stesso Pietro Piovani, che, in un suo libro acutissi- mo, pur denuncia severamente il ‘vieto dua- lismo dell’essere e del dover essere’, e rifiu- ta ogni ‘mentalita legalistica, formalistica, deontologica’s; lo stesso Piovani, dicevo, si piega alla necessita “che una coscienza lo va- luti [valuti il fatto], e non una coscienza qualsiasi, bensi una coscienza storicamente determinata in una data collettivita”'°. Orbe- ne, la coscienza normativa, una qualsiasi co- scienza normativa (di un individuo o di una collettivita) guarda, non verso il passato ma verso il futuro, non alle azioni gid compiute ma alle azioni da compiere. La dimensione del fu- turo rimane estranea e avversa alla teoria ro- maniana, perché I’ éffettivitd si presenta al giu- rista come il gid accaduto, e listituzione come unita ferma e conchiusa. La dottrina istitu- zionistica, che pur esibisce titoli di adesione ai corpi sociali e alla pluralita dei gruppi umani, ha un fondo statico e immobile. registra il passato, non preannuncia forme e modi di vita futura. La sua indole é essenzialmente re- trospettiva. 6. La coscienza normativa, poiché valu- ta i fatti, ha bisogno di un criterio di giudizio, di una misura che, per cosi dire, calcoli e pesi il singolo fatto. Non si puo assegnare alcun predicato giuridico - liceita o illiceita, osser- vanza 0 trasgressione, adempimento 0 viola- zione, e via seguitando -, se non assumendo un criterio di giudizio. Il quale determina, esso e non il puro e semplice accadere, la ‘verita’ giuridica del fatto, la verita, come € owvio, secondo il prescelto punto di vista. La 16 coscienza normativa accetta, e non potrebbe non accettare, i fatti accaduti, ma insieme li misura in base ad un criterio, che sta fuori di essi, Mentre nella teoria del Romano I’effet- tivita é diritto, e dunque esprime dal di dentro il significato giuridico, la coscienza normati- va attribuisce significato giuridico ai fatti, che le stanno dinanzi e che essa isola col rifletto- re dei propri criteri. I fatti accaduti, appun- to per il loro storico accadere, sono inconfu- tabili, sono quel che sono, ed hanno la loro logica e la loro intrinseca razionalita; ma essi non possono sottrarsi ai qualsiasi giudizi di corrispondenza o non corrispondenza, di concordanza o discordanza, a cui ciascuno di noi voglia sottoporli. Non discuto qui la natura di codesti giudizi, e se essi esprimano piuttosto desideri e attese della volonta, ma certo é che appartengono alla storia umana, e orientano o determinano il nostro agire. A questo punto del discorso, la riflessio- ne si sposta dall’effettivita al criterio di giu- dizio, alla misura scelta per calcolare il peso giu- ridico dei fatti. 7. Ma dove prendere questo Criterio, questa unita di misura, che ci consenta dj at tribuire ai fatti un significato giuridico? Non c’é criterio assoluto e universale, vincolante tutti gli uomini e capace di def. nire, una volta per sempre, il significato giu. ridico di cid che accade. Non c’é una pro- spettiva unica e comune, da cui guardare Jo scorrere delle cose, assegnando a ognuna dj esse il luogo nel diritto. Ciascuno di noi Sceglie il proprio criterio; ciascuno di noi si pone di- nanzi ai fatti con la propria coscienza nor. mativa, e indossa propri occhiali, che danno colore giuridico agli accaduti. E cosi la co- scienza normativa pud assumere Per criterio un messaggio divino, o la ragione e la natu- ra dell’uomo, 0 una tradizione storica, o un codice immaginario e ideale, o il diritto di questo o di quello Stato. Alla ‘verita effettuale’, all’inconfutabile accadere delle cose che sono perché sono, la coscienza normativa sovrappone un significa- to giuridico, un predicato derivante dal raf- fronto tra essere e dover essere, tra azione 18 accaduta e azione attesa. E non propriamen- te il significato giuridico, ma un significato giuridico, 0, se si vuole, tanti significati giu- ridici quanti sono i criteri di valutazione. Di pluralita di criteri discorriamo, per cosi dire, dall’esterno e dal di fuori, poiché, tosto che sia scelto un criterio, esso é l’unico criterio, lesclusiva norma del nostro giudicare. Acca- de come per le religioni, che sono diverse e molteplici se osservate dall’esterno, ma si fanno religione unica ed esclusiva, quando il singolo compie la scelta ed entra in un tem- pio. Allora non siamo pit spettatori delle molteplici religioni, ma credenti e fedeli in un’unica religione. L’adozione di un criterio sempre esige una scelta, una decisione selet- tiva e isolante entro la pluralita delle fonti normative. Codesto fenomeno possiamo chiamare relativismo dei criteri normativi, 0, volgendo in nostro uso una celebre espressione di Max Weber, politeismo giuridico'. Nessun criterio é interdetto, nessun criterio é obbligatorio: la scelta é affidata alla volonta del singolo. I cri- teri di giudizio non sono sottomessi aq = criterio di giudizio, che li ordini in Sets. chia, e Puno accetti e l’altro rifiuti, Posto dj- nanzi ai fatti, o in attesa che essi accadano, ciascuno di noi sceglie una prospettiva ¢ Ses sume un canone di giudizio. L’effettivita fon basta a se stessa, ma viene piegata al a fronto con un criterio di approvazione 0 qj. sapprovazione, di corrispondenza o discoy. danza. 8. Il criterio scelto, e applicato nel giu- dizio sui fatti, ¢ il criterio che vale per cia. scuno di noi: non lo sceglieremmo se non avessimo fede nella sua validita, nella sua ca- pacita di distinguere e giudicare le cose ac- cadute. Qui si fa incontro il concetto di vali- dita, e il problematico rapporto fra esso e V’effettivita storica. E subito da dire che la va- lidita riguarda il criterio di giudizio, e non Voggetto di giudizio; la norma giudicante, e non il fatto giudicato. E anche da aggiunge- re, come sopra si vide, che la validita non é il 20 criterio dei criteri, il principio selettivo delle molteplici norme. Essa designa piuttosto la logica interna di ciascun criterio, i modi e le for- me in cui un criterio si fa per noi obbligato- rio e vincolante. La validita non misura il fondamento del criterio, ma impedisce antino- mie e contraddizioni nell’uso del criterio prescel- torz. Qui si svela l'importanza della lezione kelseniana. Dove la validita colloca le norme in gerarchia, ricava l’una dall’altra, le stringe in unita, e tutte riconduce alla norma fonda- mentale. L’ordinamento a gradi, lo Stufen- bau, & conquista inestimabile di pensiero giu- ridico e serieta morale: di pensiero giuridi- co, poiché trae le norme dal caos e le dispone in un ordine dinamico e produttivo; di serieta morale, insegnando all’uomo la di- rittura del carattere e la coerenza delle scel- te. Nella teoria di Hans Kelsen, la produzio- ne di diritto non é un semplice fatto, ma, essa stessa, un fenomeno giuridico, regolato da norme e degradante dal generale all’in- dividuale, dalla costituzione alla legge fino 21 all’estremo atto esecutivo. La validita é ne. Punita dinamica delle norme. yo La norma — scrive Kelsen gia nel 191113 _ “non ‘vale’ perché e in quanto ‘opera’; Ja “sua validita non consiste nella sua azione, ne] aie suo essere effettivamente osservata, non con- siste in un essere (accadere), bensi nel suo dovere (Sollen) ... Per la specifica validita-di- dovere della norma, la realizzazione del suo scopo resta senza significato”. La validita esprime la coerenza interna di un diritto: coerenza con la norma fondamentale, che regge e governa la produzione di ogni altra norma. Si sa — ed é tema di vivaci e implaca- te controversie — che Kelsen non tenne salda la rigorosa distinzione tra validita ed effica- cia, e, in certa misura, lego una all’altra, il dover essere della norma all’essere dei fatti. | Il Sein dell’effettivita determinerebbe il Sol- len della norma. g. La disputa interpretativa é ancora aperta, e rimane estranea alla linea del no- 22 stro discorso. Ci preme invece di raccogliere la feconda intuizione della norma fonda- mentale, cioé di una norma presupposta da ciascuno di noi, e tale da garantire la coeren- te validita di un sistema di norme. Cid che prima abbiamo chiamato criterio di giudizio si risolve appieno nella norma fondamenta- le: la scelta della prospettiva, in cui ci collo- chiamo e da cui guardiamo i fatti, é scelta del- la norma fondamentale:4. Questa é verita, in cui si trovano concordi giuristi € filosofi: pud apparire singolare (ma testimonia, ancora una volta, l’unita del pensiero umano) che Giovanni Gentile, affatto ignaro di teorie kelseniane, discorra, nel lontano 1916, di legge fondamentale, e di come “tutte le leg- gi si fondano sulla legge di osservare le leg- gi’'s. La legge, che istituisce l’autorita a cui noi obbediamo, ed é il principio generativo di ogni particolare legge, é appunto la nor- ma fondamentale, la norma da noi scelta per supremo criterio del giudizio giuridico. La norma fondamentale non é una, as- soluta e vincolante per tutti, ma molteplice e 23 discorde: messaggio divino 0 ragione dek l'uomo, tradizione storica, autorita e forza dello Stato, e via seguitando, II Politeismo giuridico é il politeismo delle norme Sondamentg, li, fra le quali siamo chiamati a compiere la nostra scelta. Ciascuno di noi sceglie Ja pro. pria norma fondamentale, garanzia dj vali. dita dei criteri di giudizio, da noi applicati aj fatti storici. La norma fondamentale non cjg data, ma viene scelta: essa € misura e Quida dei nostri rapporti con l’effettivita; orienta e determina il significato giuridico, che cia. scuno di noi assegna ai singoli fatti. Il criterio, che deduciamo dalla norma fondamentale, ci permette di assegnare a] fatto un significato giuridico, e percié di pre- dicarlo lecito o illecito, permesso 0 vietato, osservante o trasgrediente. Tra norma e fat- to non c’é alcun rapporto di causalita; né & utile indagare, nel nostro discorso, perché una data condotta si presenti come esecuzione di una norma (ad esempio, la consegna di una cosa come esecuzione di obbligazione deri- vante da contratto di compravendita). Quel 24

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