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Una mappa limitata manda insiemi limitati in insiemi limitati. Infatti, un insieme è
limitato se è contenuto in una sfera di raggio r (kxk ≤ r); l’immagine della sfera di raggio
r è però contenuta nella sfera di raggio Kr a causa della definizione 2 (kf (x)k ≤ Kr).
Negli spazi normati il concetto di limitatezza è equivalente a quello di continuità.
Vale infatti il seguente teorema,
Teorema 1 Sia f : X → Y una mappa lineare tra spazi normati. Le seguenti affermazioni
sono tra loro equivalenti:
a) f è limitata
b) f è continua
c) f è continua in un punto
Dim: a) → b): da kf (y) − f (x)k = kf (y − x)k ≤ Kkx − yk, segue che x → y implica
f (x) → f (y). b) → c): ovvio. c) → a): f sia continua in x0 . Per ogni esiste un δ tale
per cui
kf (x + x0 ) − f (x0 )k = kf (x) + f (x0 ) − f (x0 )k = kf (x)k < (3)
δy δ
per ogni kxk < δ. Fissato e un generico y ∈ X, x = (2kyk) soddisfa kxk = 2
< δ. Quindi
δy
kf ( 2kyk )k < e, di conseguenza, kf (y)k < 2δ kyk. f è quindi limitata. 2
Definizione 3 Si definisce norma della mappa lineare f il più piccolo dei numeri K per
cui l’identità (2) è valida. La norma di f viene indicata con kf k. Vale quindi
1
x
per ogni x ∈ X. Poichè f è lineare, questa identità si può riscrivere come kf ( kxk )k ≤ kf k.
La formula (4) è quindi equivalente a
kAn (x) − Am (x)k = k(An − Am )(x)k ≤ kAn − Am kkxk < kxk (8)
concludiamo che kAn (x)k è una successione di Cauchy in Y per ogni x fissato. Poichè Y
è completo, An (x) convergerà a un vettore in Y che chiamiamo A(x). A è ovviamente
un operatore lineare ed è anche continuo; infatti passando al limite nell’equazione (8)
otteniamo kA(x)−An (x)k ≤ kxk e kA(x)k = k(A(x)−An (x))+An (x)k ≤ (+kAn k)kxk.
Quindi A ∈ B(X, Y ). Infine dalle stesse equazioni segue che kAn − Ak ≤ e che la
successione An converge ad A nella norma di B(X, Y ). 2
Ricordiamo che uno spazio vettoriale normato completo si chiama spazio di Banach.
Se Y è uno spazio di Banach anche B(X, Y ) lo è. In particolare, B(H) ≡ B(H, H), cioè
lo spazio vettoriale degli operatori lineari continui in uno spazio di Hilbert, è uno spazio
di Banach.
Osservazioni: una mappa che preserva la norma si chiama anche isometria. In gen-
erale, un isomorfismo tra spazi è una mappa biunivoca che preserva le proprietà (alge-
briche, topologiche, etc...) che sono definite su questi spazi. Nel caso particolare in cui lo
spazio normato sia anche uno spazio di Hilbert sembrerebbe più naturale definire un iso-
morfismo come una mappa lineare che preserva il prodotto scalare: (f (x), f (y)) = (x, y).
2
Le due definizioni sono in realtà equivalenti: qualora in uno spazio siano definiti sia un
prodotto scalare che l’associata norma, una mappa lineare che preserva l’uno preserva
anche l’altra, e viceversa. Infatti, norma e prodotto scalare si possono ricostruire una
dall’altro attraverso le identità
kxk2 = (x, x)
4(x, y) = kx + yk2 − kx − yk2 + i(kx + iyk2 − kx − iyk2 ) (9)
Esempio 2: La trasformata di Fourier può essere pensata come una mappa lineare da
L2 (R) in L2 (R). Preserva la norma kfˆk = kf k (teorema di Parseval) ed è biunivoca. È
pertanto un isomorfismo.
3
Dimostrazione: Nel caso particolare L = 0, x0 = 0 e il teorema è ovvio. Possiamo
quindi supporre L 6= 0. Definiamo M = {x ∈ H|Lx = 0}. Poichè L è lineare e continuo,
M è un sottospazio chiuso di H ed ammette quindi un complemento ortogonale M ⊥ .
Scegliamo un particolare z ∈ M ⊥ con kzk = 1. Definito u = L(x)z − L(z)x, abbiamo
che L(u) = L(x)L(z) − L(z)L(x) = 0; quindi u ∈ M . Visto che u ∈ M e z ∈ M ⊥ ,
0 = (u, z) = L(x)(z, z) − L(z)(x, z). Ne segue che L(x) = L(z)(x, z) = (x, L(z)z).
Quindi il teorema vale con x0 = L(z)z. Da |L(x)| = |(x, x0 )| ≤ kxkkx0 k segue che
kLk ≤ kx0 k. Visto che |L(x0 )| = kx0 k2 , la disuguaglianza precedente è certamente
saturata e kLk = kx0 k. L’unicità segue dal fatto che, se L(z) = (x, x0 ) = (x, x00 ), allora
(x, x0 − x00 ) = 0; x0 − x00 è quindi nullo perchè ortogonale a qualunque vettore nello spazio
di Hilbert. 2
XN N
X
(Ax)i = (Ax, ei ) = (A( xj ej ), ei ) = xj (Aej , ei ) (10)
j=1 j=1
Vediamo che A, in termini delle coordinate rispetto alla base scelta, è rappresentato da
una matrice
XN
(Ax)i = Aij xj , Aij = (Aej , ei ) (11)
j=1
4
H biunivocamente in un suo sottoinsieme proprio A(H) = ({z})⊥ . Questo è possibile
solo perchè H è infinito-dimensionale. A si può rappresentare come una matrice infinita
Aij , i, j = 1, 2.... le cui sole entrate non nulle sono Ai+1,i = 1, i = 1, 2....
Osservazione sul dominio: l’esempio 4 descrive una caratteristica generale della teoria
degli operatori negli spazi di Hilbert: gli operatori di maggior interesse non sono continui
e non sono nemmeno definiti sull’intero H. Gli operatori continui possono sempre estesi
all’intero H. Se un operatore continuo A è definito in un dominio D(A) può sempre
essere esteso a D(A) per continuità. Vale infatti
5
Teorema 4: Un operatore lineare A in uno spazio normato completo X che sia definito
e continuo in un sottoinsieme denso U può essere esteso ad un operatore continuo definito
sull’intero X.
Dim: Vale kAxk ≤ kAkkxk in U . Poichè U è denso in X, ogni x ∈ X sarà limite di una
successione di elementi xn in U . Poichè xn converge, sarà di Cauchy, quindi kxn −xm k <
per n, m sufficientemente grandi. Da kAxn − Axm k = kA(xn − xm )k ≤ kAkkxn − xm k <
kAk segue che la successione Axn è di Cauchy, e quindi, per la completezza di X, converge
ad un elemento che chiamiamo Ax. Prendendo il limite dell’equazione kAxn k ≤ kAkkxn k
otteniamo kAxk ≤ kAkkxk. La mappa x → Ax definisce quindi un’estensione di A
all’intero spazio X. L’estensione è ancora un operatore continuo con la stessa norma di
A definito in U .2
A si può poi estendere ad H in molti modi possibili. Il più semplice è richiedere, ad
⊥
esempio, che si annulli in D(A) . In questo modo si ottiene un’estensione continua di A
all’intero H. Nel seguito supporremo pertanto che ogni operatore continuo sia definito
sull’intero H.
Come abbiamo visto, gli operatori non continui sono invece definiti solo su un sottoin-
sieme di H e, in generale, non sono estendibili all’intero H. In questo caso è importante
specificare il dominio di definizione. Poichè le proprietà degli operatori possono variare
a seconda dell’insieme di definizione, nel seguito, la parola operatore implicitamente in-
dicherà la coppia (A, D(A)). È ragionevole richiedere almeno che il dominio D(A) sia
un sottoinsieme denso di H. La mancanza di continuità viene solitamente rimpiazzata
da una condizione più debole ma sufficiente per molte applicazioni, la chiusura. Un
operatore si dice chiuso se le due condizioni xn → x e Axn → y implicano y = Ax
1
. Richiederemo sempre agli operatori non continui di essere densamente definiti (cioè
D(A) = H) e chiusi.
6
Nel caso di operatori continui l’equazione (15) vale per tutti gli x, y ∈ H. Nel caso di
operatori non continui, l’aggiunto è definito nel dominio indicato, che potrebbe essere
diverso da quello di A.
L’esistenza dell’aggiunto è garantita dal teorema di Riesz. Per y ∈ D(A∗ ) fissato, la
mappa Ly : D(A) → C : x → (Ax, y) è un funzionale lineare continuo definito in
D(A). Poichè D(A) è denso in H, il teorema 4 garantisce che Ly si può estendere ad
un funzionale continuo su H. Per il teorema di Riesz, esiste allora z ∈ H tale per cui
Ly (x) = (Ax, y) = (x, z) per ogni x. z dipenderà da y: chiamiamolo z = A∗ y. La mappa
A∗ che associa ad ogni y uno z è un operatore lineare che soddisfa l’equazione (15).
In particolare, visto che A∗ è continuo, anche A∗∗ esiste ed è continuo; l’equazione (15)
ci dice che (A∗∗ x, y) = (x, A∗ y) = (Ax, y) per ogni x, y e quindi A∗∗ = A. La disug-
uaglianza (18) applicata a A∗∗ ci dice che kAk = kA∗∗ k ≤ kA∗ k, da cui kA∗ k = kAk.
2
Si può dimostrare [1] che il teorema precedente vale per operatori illimitati nella seguente
forma: se A è chiuso e densamente definito, A∗ è anch‘esso chiuso e densamente definito
e soddisfa A∗∗ = A.
7
Osservazione importante: nella definizione di autoaggiuntezza, l’affermazione A = A∗
va intesa come: (A, D(A)) = (A∗ , D(A∗ )). può succedere che, dato A definito su D(A), A∗
esista e coincida con A in D(A) ma sia definito in un dominio più ampio D(A∗ ) ⊃ D(A).
In questo caso l’operatore è solo formalmente autoaggiunto. Possiamo quindi definire
due forme di autoaggiuntezza:
A è simmetrico se vale
Come vedremo, gli operatori autoaggiunti hanno proprietà che gli operatori simmetrici
non possiedono. Per operatori continui, che non hanno problemi di dominio, autoaggiun-
tezza e simmetria coincidono.
8
annullare i termini al bordo. Se una considerazione più attenta mostra che in realtà A∗ è
definito su un dominio più ampio, si può tentare di estendere il dominio di A sperando che
quello di A∗ si restringa. Per approssimazioni successive si può arrivare ad un operatore
autoaggiunto: D(A) ⊂ D(A1 ) ⊂ ... ⊂ D(Aaut ) ⊂ ... ⊂ D(A∗1 ) ⊂ D(A∗ ), dove Aaut ≡
A∗aut , dominio incluso. Esistono molti domini diversi in cui A risulta simmetrico, mentre
ne esiste uno solo in cui A è autoaggiunto.
Consideriamo, ad esempio, l’operatore −i∂x in L2 (R). Ogni funzione in L2 (R) si annulla
all’infinito e i termini al bordo nell’equazione (20) si annullano automaticamente. Occorre
però scegliere ancora il dominio dell’operatore imponendo opportuni requisiti di regolarità
alle funzioni. La scelta più semplice di un dominio denso in L2 (R) composto da funzioni
molto regolari è S(R). L’operatore −i∂x non è però autoaggiunto S(R). Esistono infatti
funzioni g ∈ / S(R) che soddisfano la condizione (−i∂f, g) = (f, −i∂g) per ogni f ∈ S(R).
Si può dimostrare che −i∂x in L2 (R) è simmetrico nel dominio S(R) e autoaggiunto nel
dominio {fAC , f 00 ∈ L2 (R)} 2 .
Consideriamo ora l’operatore −i∂x definito sull’intervallo limitato [0, 1]. Definiamo cinque
operatori diversi, che differiscono solo per la scelta del dominio :
9
e A3 : abbiamo una catena di operatori, con domini che soddisfano D(A1 ) ⊂ D(A2 ) ⊂
D(A3 ) e che coincidono a coppie nell’intersezione dei loro domini. Gli operatori A1 e A2
sono simmetrici poichè i termini di bordo nell’equazione (20) si annullano per funzioni
f, g ∈ D(Ai ), i = 1, 2. A3 non è invece simmetrico. Notiamo tuttavia che A1 non è
autoaggiunto. Infatti i termini di bordo nell’equazione (20) si annullano anche nel caso
in cui f si annulla agli estremi e g è arbitraria; per ogni coppia di funzioni f ∈ D(A1 )
e g ∈ D(A3 ) vale l’equazione (A1 f, g) = (f, A3 g). Ne concludiamo che A∗1 = A3 . In
maniera analoga ci si può convincere che A2 = A∗2 . A1 è quindi un operatore simmetrico
ma non autoaggiunto, mentre A2 è autoaggiunto.
10
base ortonormale di autovettori. In questa base la matrice è diagonale. In uno spazio
di Hilbert è necessario estendere il concetto di autovalore introducendo autovalori gen-
eralizzati e lo spettro di un operatore. La teoria spettrale garantisce che un operatore
autoaggiunto ha spettro reale e può essere diagonalizzato.
Ricordiamo che λ ∈ C e x ∈ H non nullo si definiscono autovalore e autovettore
dell’operatore A in H se vale
Ax = λx (23)
Il nucleo Ker(A − λI) dell’operatore A − λI è quindi non nullo e si definisce autospazio
associato all’autovalore λ. L’operatore A − λI non è ovviamente invertibile.
È utile generalizzare il concetto di autovalore estendendolo a tutti i numeri λ ∈ C per
cui A − λI non è invertibile nel senso della seguente definizione:
Def: Si definisce spettro σ(A) dell’operatore A in uno spazio di hilbert H l’insieme dei
λ ∈ C per cui (A − λI)−1 ∈/ B(H). Lo spettro si divide naturalmente in tre sottoinsiemi
disgiunti:
Spettro discreto: l’insieme dei λ ∈ C per cui A − λI non è iniettivo, e quindi non è
invertibile come mappa lineare
Spettro continuo: l’insieme dei λ ∈ C per cui A − λI è invertibile come mappa lineare,
è densamente definito ma (A − λI)−1 : Im(A − λI) → H non è un operatore continuo
Spettro residuo: l’insieme dei λ ∈ C per cui A − λI è invertibile come mappa lineare
ma non è densamente definito
Teorema 5: Per ogni λ ∈ C appartenente allo spettro continuo, esiste una successione
di vettori xn tali per cui kAxn − λxn k → 0.
Dim: (A − λI)−1 non è continuo, quindi esiste una sucessione yn tale per cui k(A −
λI)−1 yn k ≥ nkyn k. Definendo wn = (A − λI)−1 yn si ha che kAwn − λwn k ≤ kwn k/n.
Infine se xn = wn /kwn k si ha che kAxn − λxn k ≤ 1/n → 0. 2
11
L’equazione agli autovalori può quindi essere approssimata a piacere quando λ appartiene
allo spettro continuo. Ovviamente la successione xn non può convergere in H. In caso
contrario, se xn → x ∈ H, il teorema 5 garantisce che Axn → λx, e quindi, sotto la
sola condizione che A sia chiuso, Ax = λx e λ sarebbe un autovalore. Tipicamente,
esiste uno spazio topologico H ⊂ Y di funzioni o distribuzioni a cui può essere estesa la
definizione dell’operatore A in cui la successione xn ∈ H converge a un vettore x ∈ Y
e vale l’equazione Ax = λx come equazione per vettori e operatori in Y . Per questa
ragione λ appartenente allo spettro continuo si chiama anche autovalore generalizzato e
la distribuzione x autofunzione generalizzata. Lo spettro residuo è il meno interessante.
Gli operatore interessanti hanno spettro residuo vuoto.
k(A − λI)xk2 = k(A − λ1 I)x − iλ2 xk2 = k(A − λ1 I)xk2 + |λ2 |2 kxk2 (24)
12
e gli autovettori corrispondenti ad autovalori diversi sono mutuamente ortogonali. Lo
spettro è un sottoinsieme del cerchio unitario e lo spettro residuo è vuoto.
13
approssimino questa equazione con un errore arbitrariamente piccolo per ogni λ reale:
kAxn − λxn k ≤ . Infatti non è difficile definire delle funzioni xn ∈ C 1 (R), nulle al
di fuori dell’intervallo (−n − 1, n + 1) e coincidenti con eiλx nell’intervallo (−n, n) che
soddisfino alla proprietà limn→∞ kAxn − λxn k = 0 per λ reale. Si può dimostrare infatti
[1] che lo spettro dell’operatore è puramente continuo e coincidente con l’asse reale. Le
funzioni uλ = eiλx con λ ∈ R vengono chiamate autovettori generalizzati. In effetti le
funzioni xn che soddisfano la proprietà dell’autovalore approssimato in questo esempio
convergono a uλ = eiλx quando n tende all’infinito. Le funzioni uλ non appartengono allo
spazio di Hilbert L2 (R) ma possono essere interpretate come elementi di uno spazio più
ampio di distribuzioni Y . Nello spazio Y l’equazione −i∂x uλ = λuλ è soddisfatta.
Un operatore autoaggiunto generico possiede sia spettro discreto che spettro continuo.
Il teorema spettrale viene formulato come segue. È possibile associare ad ogni auto-
valore generalizzato λ una distribuzione uλ chiamata autovettore generalizzato. uλ
è definito come limite nello spazio delle distribuzioni dei vettori xn ∈ H che appaiono
nella definizione di autovalore generalizzato. La successione xn non converge ad alcun
elemento di H, ma converge nel senso delle distribuzioni a uλ che non appartiene ad H.
Per una definizione corretta dell’integrale nella precedente formula rimandiamo a [1].
Esempio 3. Continuazione: ogni funzione in L2 (R) si può sviluppare nel set di au-
tovettori generalizzati uλ nel senso dell’equazione (26):
Z
f (x) = a(λ)eiλx dλ, (28)
14
Il teorema spettrale, in questo caso, non è altro che l’affermazione che ogni funzione
in L2 (R) possiede una trasformata di Fourier. L’operatore, in questo caso, ha spettro
puramente continuo, coincidente con l’asse reale.
Esiste una classe di operatori che ha spettro puramente discreto. Per questi il teorema
spettrale vale nella forma:
Gli operatori con spettro puramente discreto generalizzano la teoria spettrale valida per
spazi finito dimensionali in una forma particolarmente semplice. Ogni elemento f dello
spazio di Hilbert si può sviluppare nella base degli autovettori di A, {ui },
X
f= ai ui (30)
i
La base degli autovettori, in analogia con quanto succede nel caso finito-dimensionale,
è la base in cui l’operatore è diagonale (Aui = λi ui ). Questa proprietà si esprime
formalmente con l’equazione X
Af = λi ai ui (31)
i
che risulta essere vera anche se A non è continuo. Usando l’isomorfismo H ∼ l 2 , f → {ai }
determinato dalla scelta della base {ui }, l’operatore A può essere rappresentato come una
matrice (infinito-dimensionale) diagonale, con entrate uguali agli autovalori.
15
Per concludere, è opportuno notare che il teorema 6 e il teorema spettrale valgono
per operatori autoaggiunti e non è detto che valgano per operatori che sono soltanto sim-
metrici. Operatori simmetrici hanno spettro discreto e continuo reale, ma genericamente
lo spettro residuo non è vuoto e complesso ed infine il teorema spettrale non è valido.
È facile verificare che se k(x, y) = k(y, x), K è autoaggiunto. K in realtà è più che
continuo, è un operatore compatto, cioè manda insiemi limitati in insiemi la cui chiusura è
compatta [1]. Lo spettro degli operatori compatti è puramente discreto e particolarmente
semplice.
Esempio 1: sia data l’equazione differenziale lineare del secondo ordine dipendente da
un parametro λ
y 00 + λy = 0 (34)
16
Il teorema di esistenza e unicità garantisce che, date le condizioni iniziali (problema di
Chauchy)
y(x0 ) = y0
y 0 (x0 ) = y1 (35)
la soluzione esiste, è unica e dipende continuamente dai dati iniziali. Chiediamoci ora
se la stessa equazione ha soluzioni nell’intervallo [x0 , x1 ] che soddisfano il problema al
contorno
y(x0 ) = 0
y(x1 ) = 0 (36)
Un equazione del II ordine ha sempre due soluzioni linearmente indipendenti yi (x; λ), i =
1, 2 e la generica soluzione si può esprimere come loro combinazione lineare
c1 y1 (x0 ; λ) + c2 y2 (x0 ; λ) = 0
c1 y1 (x1 ; λ) + c2 y2 (x1 ; λ) = 0 (38)
ha una soluzione. Solo per alcuni valori particolari di λ, quelli per cui la matrice dei
coefficienti yi (xj ; λ) ha determinante nullo, esisterà una soluzione non banale al problema
al contorno. Questi valori sono chiamati autovalori. Possiamo riformulare il problema
in questi termini: risolvere l’equazione agli autovalori Ly = λy per l’operatore L =
−∂ 2 /∂x2 nel dominio D(L) = {fAC , f 00 ∈ L2 [x0 , x1 ]|f (x0 ) = f (x1 ) = 0}. L è il quadrato
dell’operatore A1 = −i∂x ; è simmetrico e, coi metodi della sezione 1.4, si può verificare che
è anche autoaggiunto 4 . Il problema è cosı̀ ridotto alla ricerca di autovalori e autovettori
di un operatore autoaggiunto in uno spazio di Hilbert.
4
Notiamo che −i∂x , con le condizioni f (x0 ) = f (x1 ) = 0, non è autoaggiunto mentre il suo quadrato
−∂x2 lo è. Le condizioni al contorno da imporre agli operatori possono variare col numero di derivate,
poichè questo influisce sui termini provenienti dall’integrazione per parti. Intuitivamente, il numero di
condizioni da imporre ad un operatore differenziale con derivate ordinarie è pari all’ordine dell’operatore
stesso: f (x0 ) = f (x1 ) = 0 contiene due condizioni su f ed è ragionevole da imporre per un operatore
del secondo ordine ed è invece troppo restrittivo per un operatore del prim’ordine. Per evitare errori, è
bene verificare l’autoaggiuntezza esaminando i termini al bordo caso per caso.
17
Esaminiamo il caso generale di un‘equazione differenziale lineare del II ordine:
con
L̂y = a2 (x)y 00 + a1 (x)y 0 + a0 (x), a2 (x) > 0. (40)
È facile verificare che (ridefinendo L e λ) si può sempre ricondurre il problema al seguente:
d d
Ly = λωy, L=− p(x) + q(x). (41)
dx dx
con R
R a0 R e (a1 /a2 )dx
p(x) = e (a1 /a2 )dx , q(x) = − e (a1 /a2 )dx , ω(x) = (42)
a2 a2
Notiamo che p(x) > 0 e ω(x) > 0.
Si definisce problema di Sturm-Liouville (SL) il problema agli autovalori:
Ly = λωy , a≤x≤b
α1 y(a) + α2 y 0 (a) = 0
β1 y(b) + β2 y 0 (b) = 0 (43)
con αi , βi reali e con almeno uno degli αi e uno dei βi diversi da zero. Nell’equazione (43)
abbiamo scelto condizioni al contorno indipendenti per i due estremi. È possibile scegliere
altre condizioni al contorno, ad esempio si possono scegliere condizioni di periodicità:
oppure due condizioni più complicate che coinvolgano ciascuna f (a), f (b), f 0 (a), f 0 (b).
Come discusso a breve, ogni set di condizioni con la proprietà di rendere autoaggiunto
l’operatore L definisce un buon problema di SL.
Vogliamo formalizzare il problema in un opportuno spazio di Hilbert. Dalla teoria gen-
erale delle equazioni differenziali, sappiamo che le soluzioni del problema (43) definito in
un intervallo limitato [a, b] e con funzioni p, q, ω sufficientemente regolari sono anch’esse
funzioni regolari, in particolare sono L2 [a, b].
Osservazione: della presenza della funzione ω in (43) si può facilmente tener conto con-
Rb
siderando la misura ω(x)dx in [a, b]. Consideriamo cioè L2ω [a, b] = {f | a |f (x)|2 ω(x)dx <
Rb
∞} con prodotto scalare (f, g)ω = a f (x)g(x)ω(x)dx. Il problema (43) per l’operatore
Lω = L/ω diventa un problema agli autovalori Lω y = λy in L2ω . Notiamo che nel
Rb
prodotto scalare (Lω f, g)ω = a (Lf )g tutti i fattori di ω si cancellano. Senza perdita di
18
generalità si può anche porre ω = 1: la teoria generale si ottiene sostituendo ovunque
L → Lω , (f, g) → (f, g)ω .
Ly = λy
D(L) = {fAC , f ∈ L [a, b]ω |α1 y(a) + α2 y 0 (a) = β1 y(b) + β2 y 0 (b) = 0}
00 2
(45)
I termini di bordo che vengono dall’integrazione per parti si annullano a causa delle
condizioni al contorno scelte (43) o (44). Ad esempio, per (43) e β2 6= 0, all’estremo
b otteniamo: p(f 0 g − f g 0 )(b) = p(b)(−β1 /β2 )(f g − f g)(b) = 0. Lo stesso risultato vale
per β2 = 0 e per l’estremo a. L’operatore L e’ quindi simmetrico; coi metodi della
sezione 1.4 si può dimostrare che è anche autoaggiunto. Lo stesso vale per le condizioni
(44). Condizioni al contorno più generali dovranno essere scelte in modo che i termini al
bordo dell’integrazione per parti si cancellino e che l’operatore sia autoaggiunto oltre che
simmetrico. Nel caso in cui l’intervallo [a, b] sia illimitato, i termini al bordo valutati nel
punto all’infinito si annullano automaticamente piochè ogni funzione L2 [a, b] si annulla
all’infinito. Perciò se a o b o entrambi sono infiniti, in questi punti non occorre imporre
alcuna condizione. Si richiede tuttavia di trovare una soluzione L2 [a, b]: la condizione
implicita che deve essere imposta all’infinito alle soluzioni dell’equazione differenziale è
di essere a quadrato sommabile. Questa è la condizione naturale da imporre se si vuole
formulare il problema in uno spazio di Hilbert. È anche la condizione naturale da imporre
in un problema di Meccanica Quantistica.
19
E
E2 V=0 V=x 2 /2
x
E1
20
in ogni buon testo di MQ, quantisticamente esisteranno dei livelli energetici discreti En
da cercarsi dove il moto classico é limitato in una regione finita, σd (H) = {En } ⊂
[E1 , E2 ] e uno spettro continuo di energie corrispondente ai valori classici dell’energia
per cui il moto è illimitato, σc (H) = [E2 , ∞]. Notiamo che gli autovalori dell’operatore
H corrispondono solo ai livelli energetici discreti. L’intero insieme dei possibili valori
dell’osservabile energia è associato all’intero spettro dell’operatore H. Gli autovalori
generalizzati uE per E ∈ σc (H) sono tipicamente delle funzioni non in L2 (R) che hanno la
forma di onde piane per grande x positivo. Nella figura sono indicati due casi limite. Per
V (x) = 0 lo spettro è puramente continuo σc (H) = [0, ∞] con autofunzioni generalizzate
che sono onde piane uE = eipx , E = p2 /2. Il caso V (x) = x2 /2, corrispondente ad un
oscillatore armonico, ha spettro puramente discreto En = (n + 1/2) con autofunzioni che
2
sono i polinomi di Hermite un = Hn (x)e−x /2 .
y 00 + λy = 0, 0≤x≤π
y(0) = y(π) = 0 (49)
√
Il problema
√ è regolare con p = 1, q = 0 e ω = 1. La soluzione generale
√ è y = A sin λx +
B cos λx. Le condizioni al contorno impongono B = 0 e sin λπ = 0 da cui λ =
n2 , n = 1, 2, .... Otteniamo l’insieme di autovalori e autovettori: {λn = n2 , yn = sin nx}.
Osserviamo che gli autovalori sono reali, gli autovettori mutuamente ortogonali e che gli
autovettori, opportunamente normalizzati, formano un s.o.n.c.: i seni sono la base di
Fourier (dispari) per il semi-periodo [0, π].
y 00 + λy = 0, 0≤x≤π
y(0) = y(π)
y 0 (0) = y 0 (π) (50)
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Il problema è anch‘esso regolare. Le condizioni al contorno questa volta selezionano il
sistema di autovettori {e2inx } con autovalori λ = 4n2 , n ∈ Z. Anche in questo esem-
pio gli autovalori sono reali, gli autovettori mutuamente ortogonali e che gli autovettori,
opportunamente normalizzati, formano un s.o.n.c.: la base di Fourier sul periodo [0, π].
Notiamo che, in questo esempio, ogni autovalore ha molteplicità due (e±2inx sono en-
trambi associati all’autovalore 4n2 ). Autovettori corrispondenti ad autovalori diversi
sono ortogonali. All’interno di ogni autospazio (di dimensione due) sono stati scelti due
autovettori ortogonali in modo che l’insieme di tutti gli autovettori formi un s.o.n.c..
I problemi di SL più interessanti sono però singolari. Un problema può essere sin-
golare, ad esempio, se p o ω si annullano (o divergono) in a o in b, oppure, ancora più
semplicemente, se l’intervallo [a, b] non è limitato. Le soluzioni delle equazioni differen-
ziali potrebbero essere discontinue e illimitate agli estremi dell’intervallo. Usualmente,
all’estremo singolare si impongono condizioni quali la limitatezza oppure l’integrabilità
L2 (quest’ultima è la condizione che si impone ad esempio nei problemi provenienti dalla
Meccanica Quantistica).
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Esempio 4: polinomi di Laguerre. Consideriamo
d −x dy
e + e−x λy = 0, 0<x<∞ (53)
dx dx
si dice ellittico se la matrice simmetrica corrispondente ai termini con due derivate aij (x)
è definita positiva (o definita negativa). L’equazione di Laplace, l’equazione di Poisson,
l’equazione di Schoedinger stazionaria sono esempi di equazioni ellittiche. Gli operatori
ellittici sono in assoluto i più semplici, a cominciare dalle proprietà dello spettro,
Esempio 1: armoniche sferiche. Sono le autofunzioni del Laplaciano ristretto alla sfera
S 2 . Si ottengono in tutta una classe di equazioni della fisica matematica con simmetria
sferica. Dalla separazione delle variabili u(r, θ, φ) = U (r)Y (θ, φ) nell’equazione di Laplace
otteniamo due equazioni per Y = P (cos θ)Φ(φ):
m2
d 2 dP
(1 − x ) + (λ − )P = 0, −1 ≤ x ≤ 1
dx dx 1 − x2
Φ00 + λ̃Φ = 0 (55)
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Per la prima equazione abbiamo p = 1 − x2 , q = m2 /(1 − x2 ), ω = 1. Il problema è
singolare perchè p(±1) = 0 e q(±1) = ∞. Gli autovalori sono λl = l(l + 1), |m| ≤ l, l =
0, 1, 2... con autovettori Plm (x), polinomi di Legendre generalizzati. Le armoniche sferiche
Ylm (θ, φ) = Plm (cos θ)eimφ formano, dopo normalizzazione, un s.o.n.c. in L2 [S 2 , dΩ(2) ],
dove dΩ(2) = sin θdθdφ è la misura sulla sfera unitaria S 2 .
Teorema 12 - lemma di Weyl: ogni funzione o distribuzione u(x) che risolva l’equazione
ellittica Lu = f è C ∞ nei punti in cui i coefficienti aij (x), bi (x), c(x) e il termine noto
f (x) sono C ∞ .
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tende a zero per n → ∞ per qualunque p, poiché vn , vn+p ∈ Cn . Questo implica che
{vn } ∈ Cn è di Chauchy e quindi converge. Il limite f ∗ sarà contenuto in V poiché V è
chiuso. Da kvn − f k ≤ d + 1/n segue che kf − f ∗ k ≤ d. Poiché d è l’estremo inferiore dei
possibili valori kf − vk, ne segue che kf − f ∗ k = d. f ∗ è unico: supponiamo infatti che
esistano due vettori che soddisfino d = kf − f1 k = kf − f2 k. Usando una minorazione
analoga a quella della formula (57) otteniamo
kf − f ∗ k2 ≤ kf − vk2 = kf − f ∗ − αwk2 =
kf − f ∗ k2 + kα|2 kwk2 − α(w, f − f ∗ ) − α∗ (w, f − f ∗ )∗
S ⊥ = {f ∈ H|(f, s) = 0, s ∈ S} (59)
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Teorema C: Dato un sottospazio chiuso V di H, ogni f ∈ H si scrive in maniera unica
come f = x + y con x ∈ V, y ∈ V ⊥ . In simboli
H =V ⊕V⊥ (60)
References
[1] Dispense per Metodi Matematici della Fisica, http://castore.mib.infn.it/.̃zaffaron/
[2] Reed e Simon, Methods of Modern Mathematical Physics, Academic Press, Quattro
Volumi.
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