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Attorno all’anno Mille, in un’epoca in cui la sfera della cultura e della scrittura era riservata al clero,
Adalberone (vescovo di Laon) pubblicò un trattato dove realizzò una particolare categorizzazione delle
comunità umane. Una società sarebbe composta da 3 gruppi-funzioni:
Laboratores, coloro che lavorano e producono i beni necessari per mangiare e vivere.
Bellatores, specializzati nel maneggio delle armi, nel combattimento;
Oratores, coloro la cui attività sociale consiste nella preghiera (per sé stessi e per gli altri,
soprattutto per la salvezza) e nell’espletamento delle funzioni sacre;
Ognuno di questi gruppi svolge un ruolo fondamentale alla sopravvivenza della società. Questa concezione,
rivisitata e rivitalizzata da storici francesi del ‘900, è stata chiamata l’”immagine trifunzionale” della società
(3 funzioni e 3 gruppi). Altra implicita concezione presente nella mente del Vescovo è quella di una società
statica, i cui gruppi non abbiano rapporti significativi tra loro dal punto di vista della possibilità di un
individuo di passare da un gruppo all’altro. (Mobilità sociale inesistente e valori depositati e distribuiti
secondo criteri ascrittivi).
Nella nostra società odierna i criteri ascrittivi sono stati sostituiti con altri acquisitivi, comportando la
possibilità per gli individui di muoversi nella scala sociale e migliorare o peggiorare la propria posizione. La
classificazione di Adalberone resta comunque una base importante della teoria del potere. Lo stesso
Lasswel sosteneva che l’élite cerca di mantenersi, conservarsi… tramite le risorse economiche, quelle di
violenza e manipolando i simboli.
3 risorse:
Risorse di BENESSERE
Risorse di VIOLENZA
Risorse SIMBOLICHE
Ciascuna di queste risorse può essere usata per altri scopi diversi al potere: le risorse di benessere per il
consumo, quelle di violenza per la protezione e quelle simboliche per pregare o per guardare alla società.
Quando però queste risorse sono utilizzate per ottenere certi comportamenti dagli altri diventano risorse
del potere. La risorsa di benessere può diventare una promessa economica; la risorsa di violenza può
diventare minaccia. Si possono determinare allora 3 forme di potere, a prima vista nessuno caratterizzato
da tratti di politicità: potere ECONOMICO, potere COERCITIVO e potere SIMBOLICO.
Alcuni autori hanno ipotizzato la presenza di una quarta risorsa, quella della scienza/conoscenza: si
differenzierebbe dalle risorse simboliche perché basata su procedure controllate, che rendono i risultati
certi dal punto di vista della validità. Date però le difficoltà a tenere separato questo tipo di potere dagli
altri tre e data soprattutto l’incertezza relativamente al vantaggio che a B deriva dal conformarsi ad
un’azione richiesta dall’esercizio di un potere basato su questa risorsa (è pur sempre un vantaggio o
economico, o simbolico o fisico), questa quarta risorsa non viene generalmente considerata.
Tutte le suddette risorse sono sostanzialmente usate in senso remunerativo o costrittivo. Ogni risorsa è più
facilmente utilizzabile secondo una delle due modalità, ma l’altra non è comunque esclusa.
- Potere economico
Possono verificarsi due situazioni:
a. Alterare le proprie preferenze : B può eliminare la condizione di salienza così che, se le risorse
possedute da A non sono più così importanti, non ne avrà più bisogno e quindi non dovrà
sottomettersi al dominio di A.
b. Porre fine al monopolio di A: B può ricorrere ad un bene surrogato. Si tratta di una strategia
soddisfacente che non preclude totalmente l’acquisizione del bene in questione, e al tempo stesso
permette di non assoggettarsi al dominio di A.
c. Dotarsi di risorse di benessere: B, tramite la creatività, può inventare nuove risorse o adoperare in
modo nuovo risorse vecchie, al fine di poter acquisire il controllo di vantaggi salienti per A.
d. Dotarsi di risorse di violenza: B può estorcere ad A il bene che gli interessa. Perché si ricorra alla
violenza occorre però che B lo consideri plausibile al fine dei propri scopi, che non sia un semplice
modo distruttivo e di sfogo ma che piuttosto abbia anche una minima possibilità di successo.
(Anche nella teoria marxista era indicata la violenza organizzata e calibrata e non quella spontanea,
che non produce risultati).
SCAMBIO ECONOMICO: le risorse sono distribuite tra più, che quindi instaurano una relazione di potere di
scambio di beni e servizi economici. In generale, gran parte dei rapporti economici sono rapporti di
scambio: A ottiene il vantaggio della condotta conforme di B, e B ottiene la risorsa di benessere. Questo
carattere, tutta via, viene progressivamente meno man mano che aumenti la disuguaglianza tra le risorse:
se per B il bene promesso da A è estramemente fondamentale, mentre A considera di più scarso valore il
comportamento di B, quest’ultimo si troverà a dipendere da A.
Le risorse economiche possono essere usate anche in senso costrittivo se sono sospese o ritirate, quando
cioè chi ne beneficia si vede privato della possibilità di beneficiarne. Lo sciopero ne è un esempio: la
sospensione dell’attività produce un danno che consiste nella cessazione di un vantaggio, ovvero il
beneficio che il lavoratore produce per il datore di lavoro è sospeso. Generalmente, però, le risorse
economiche sono utilizzate in senso remunerativo.
- Potere coercitivo
(La violenza e la forza, seppur non siano sinonimi nel linguaggio comune, lo
sono in questa analisi descrittiva)
La violenza è sempre stata presente, con ruoli di volta in volta più o meno importanti, nella storia
dell’umanità. Nonostante ciò il suo studio non è stato mai particolarmente approfondito, se non in tempi
recenti, sebbene si studiassero fenomeni ad essa intrinsecamente collegati (come, appunto, il potere).
Questo accantonamento della violenza deriva dalla natura stessa del fenomeno: una natura distruttiva,
brutale, che porta a evitare, quando possibile, di fare della violenza l’oggetto del pensiero (diversamente
dal potere, che in ultima analisi è una relazione tra volontà e può quindi essere scinto dalla violenza). Si è
così venuto a creare nel tempo una sorta di tabù della violenza, che ha di conseguenza originato due
pregiudizi: il PREGIUDIZIO CONSERVATORE, per cui
a) L’esaltazione della violenza come strumento di liberazione dallo sfruttamento, dal dominio, e di
rigenerazione dell’uomo;
b) La convinzione dell’onnipresenza della violenza nei rapporti sociali e politici, giustificata proprio dal
ruolo che essa svolge.
Un’analisi critica e emotivamente distaccata della violenza permette invece di individuare una soluzione
alternativa e “centrale” ai due pregiudizi. È infatti inopportuno allargare troppo il significato del termine,
riconducendo allo stesso concetto rapporti diversi tra loro, ma è altresì inconsistente la pretesa per cui la
violenza non abbia nulla di più di un ruolo marginale nelle nostre società. Inoltre, se certamente la violenza
non è da esaltare, è altrettanto vero che condannarla indistintamente dal caso non può che dipendere dalla
“posizione privilegiata” dell’interlocutore, che si trova in una situazione tale per cui potrebbe ricorrere a
mezzi “civili” per ottenere quei risultati che alcuni, invece, non possono raggiungere se non con la violenza.
La relazione di violenza consiste nell’inflizione di un danno fisico, perciò l'oggetto dell'intervento violento è
il corpo, lo stato fisico di un individuo, direttamente (colpisce in modo immediato il corpo) o indirettamente
(colpisce l’ambiente fisico in cui la vittima si trova, oppure attraverso la distruzione, il danneggiamento o la
sottrazione di risorse materiali). Questo intervento deve avere certe caratteristiche per poter essere
classificato come violento:
La determinazione (volontà), più o meno retro pensata, frutto di un’intenzione manifesta o di uno
scatto d’ira, di compiere l’azione e di far male all'altro. Questa è un'importante discrimine tra
l'intervento sullo stato fisico che non è violenza (es. carezza) e quello che invece dobbiamo
collocare nella categoria dell'atto violento.
L'atto violento avviene contro la volontà (manifesta o presunta) di B. (es. il bacio può essere un atto
violento nel momento in cui, pur non avendo A l'intenzione di danneggiare fisicamente B, B trova
sgradito quell'atto).
C'è un solo modo per impedire una violenza in atto: impiegando una violenza superiore. Non c'è altro modo
di fermare la violenza se non attraverso una violenza maggiore.
È poi importante sottolineare le differenze che intercorrono tra la violenza e il potere: la violenza interviene
sull'organismo, sul corpo, mentre il potere non interviene sullo stato fisico ma cambia la volontà di tenere
una certa condotta in B. L'oggetto su cui operano è diverso: in un caso è il corpo, mentre nel caso del
potere l’intervento avviene solamente sulla volontà. Con la violenza non si riesce ad agire sopra gli
orientamenti soggettivi degli individui; non si può ottenere un credere né un non credere se non in modo
selettivo (eliminando il soggetto). Viceversa ciò si può ottenere con il potere, perché appunto il potere
interviene sulla volontà e non sullo stato fisico.
La violenza non attuata, ma minacciata, cioè la violenza che potremmo chiamare potenziale, è una risorsa
molto importante per conseguire la conformità altrui. La violenza mette in discussione l'integrità fisica
dell'essere umano, ovvero un bene che nella grande maggioranza dei casi gli esseri umani considerano
preziosissimo, anche come precondizione per il godimento di qualsiasi altro bene. Di conseguenza
minacciare l'integrità fisica altrui diventa uno strumento potente per modificarne il comportamento ; la
violenza diventa cioè una risorsa del potere quando è minacciata.
Per poter essere efficace, la minaccia deve avere un certo grado di penosità ed essere credibile, cioè deve
essere sostenuta da aspetti e mezzi che rendano agli occhi di B probabile, qualora non tenga l'azione
richiesta da A, che la sanzione violenta cadrà su di lui. La credibilità dipende dalla natura oggettiva della
risorsa di violenza e la percezione soggettiva che B ha di essa: una pistola giocattolo, per sua natura, non è
credibile. Se tuttavia B non la riconosce come tale, lo diventerà. Nel momento in cui la violenza passa
dall’essere minacciata all’essere attuata si realizza il fallimento del potere, la mancata realizzazione della
condotta richiesta. Il fallimento di oggi è tuttavia chiave del successo di domani: la violenza attuata rende
credibile, in futuro, la violenza minacciata, con più probabilità che B si conformi al comportamento
richiesto. Si ottengono infatti così le “dimostrazioni di forza”, che talvolta possono anche essere usate in
anticipo, prima dell’attuazione della minaccia, per renderla più seria.
Le risorse di violenza sono usate principalmente in senso costrittivo perché intrinsecamente distruttive
(caratteristica che le differenzia dalle altre): se impiegate contro terzi producono danno. Si applica uno
svantaggio a tutte le condotte diverse da quella voluta da A, ottenendo così un non fare (le altre condotte),
un’azione negativa (es. l’ONU minaccia un bombardamento se lo Stato non interrompe il conflitto
ottenendo, come non fare, il non-conflitto). Anch’esse possono tuttavia essere rovesciate e usate in senso
remunerativo quando chi impiega tale potere lo fa proteggendo l’integrità fisica di qualcun altro, che vedrà
quindi un beneficio (negativo, quello di non subire violenza) applicato alla sola condotta conforme. A
potrebbe minacciare B di interrompere la protezione a lui già offerta dalle risorse di violenza di A qualora B
non tenesse un certo comportamento. (es: Stato che protegge un altro dagli attacchi stranieri, ma che
minaccia di smettere di farlo se non si adegua a determinati protocolli). Se B si conforma, B ottiene la
protezione. Tuttavia, la possibilità di ottenere un'azione positiva tramite la violenza ha limiti molto ristretti:
se infatti quel che si chiede di fare è un'azione complessa, che richiede la collaborazione fattiva dell'altro, la
violenza non è efficace. La violenza è efficace come capacità di ottenere un'azione positiva altrui solo
quando quest'azione positiva è elementare e basica.
Anche nel caso del potere coercitivo, come nel potere economico, è possibile che si realizzi la condizione di
DOMINIO COERCITIVO (soggezione), se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
1. A detiene risorse di violenza salienti per B. Questa condizione si può considerare superflua, perché
le risorse di violenza tendono ad essere salienti sempre agli occhi di tutti.
2. A detiene il monopolio delle risorse di violenza nei confronti di B. Per B è preferibile che vi sia il
monopolio delle risorse di violenza in A, perché altrimenti sarebbe esposto a potenziali interventi
violenti da parte di altri attori.
3. B non dispone di risorse di violenza da utilizzare nei confronti di A. Se B infatti disponesse di risorse
di violenza a sua volta da utilizzare verso A potrebbe contrastare la posizione di A, arrivando al
combattimento e alla misurazione delle rispettive forze.
4. Condizione esterna: B non dispone della capacità di produrre continuativamente risorse
economiche da utilizzare nei confronti di A. Se ci limitassimo a dire che B necessita di non disporre
di risorse economiche, questa condizione non varrebbe: A potrebbe impossessarsene con la
violenza. Se invece B dispone della capacità produttiva continuativa delle suddette risorse
economiche, egli potrebbe allora instaurare con A una relazione di scambio di protezione, per cui B
fornisce ad A le risorse in cambio della sua protezione.
Strategie di emancipazione:
a) /
b) Dotarsi di surrogati: un surrogato alla violenza di A significherebbe comunque infliggersi violenza.
c) Dotarsi di risorse di violenza , che realizzino la situazione di intersoggezione. Queste aprirebbero a B
due alternative: quella del combattimento, ovvero il conflitto violento tra i due attori, o quella dello
scambio di sicurezza, in cui A non esercita violenza e coercizione su B perché teme la contro-
violenza e la contro-coercizione di B, e viceversa.
d) Creatività: B può produrre risorse di benessere che possano sostituire la relazione di dominio con
quella di scambio. In questo caso non solo A smetterà di esercitare/minacciare violenza su B, ma
realizzerà anche un’azione protettiva nei suoi confronti affinché quest’ultimo sia messo al sicuro da
possibili interventi violenti di altri detentori di risorse distruttive, che rischierebbero di
interrompere il rapporto di scambio.
Secondo alcuni autori, ciò che distingue il potere politico dagli altri è proprio il controllo legittimo dell’uso
della violenza.
- Potere ideologico
Cosa sono le risorse simboliche?
Che vantaggio producono?
Il potere ideologico/simbolico si estende aldilà della sfera religiosa, ma analizzarla consente di avere degli
spunti sui quali appoggiare la riflessione.
Nella religione cristiana c’è un valore, posto come supremo, che indica ciò che il credente vuole ottenere
riconoscendo una certa autorità e conformandosi a date direttive: la salvezza dell’anima. In nome di questo
obiettivo si è costruita una struttura che ha messo al centro un Profeta e che, costituita da un gruppo
qualificato (clero), si è assunta la funzione di intermediario tra il mondo e la divinità. Per secoli tale struttura
ha così potuto esercitare potere, modificare le condotte, guidare i comportamenti.
L’individuo obbedisce perché la fonte del potere impiega una serie di simboli il cui significato non sta nelle
loro proprietà materiali, ma nelle idee associate a tali proprietà (per cui, ad esempio, la bandiera non è solo
un pezzo di stoffa, ma è lo Stato stesso). I simboli, quindi, non semplicemente designano, ma nel momento
in cui designano avvalorano la cosa designata e su questa costruiscono un impegno (nel senso morale)
all’azione. Questi simboli sono chiamati “SIMBOLI DI IDENTIFICAZIONE”, perché attraverso di loro il
soggetto si identifica con un’entità collettiva (un gruppo, una comunità… es. il proletariato, gli altri credenti)
composta da tutti coloro che riconoscono l’entità simboleggiata. I simboli hanno quindi la capacità di creare
uno spirito unitario, solitamente escluso qualora i gruppi siano occasionali.
L’autorità dei simboli non ha un’origine precisa: l’autorità dei Vangeli proviene dall’autorità di Dio, ma
l’autorità di Dio proviene dall’autorità del Vangelo. Nonostante ciò, tali simboli sono in grado di creare una
gerarchia di valori da perseguire e di costruire l’identità sociale del singolo. Tali dottrine, infatti, danno un
significato all’essere, e di conseguenza al suo rapporto con gli altri e con la storia; definiscono il senso della
vicenda umana. Ciò non avviene invece nella scienza.
Simbolo idea associata al simbolo valorizzazione dell’idea impegno all’azione
opera sulla mente opera sull’agire
I suddetti simboli hanno non solo la capacità di orientare verso il mondo in termini cognitivi, ma operano
anche all’interno delle motivazioni dell’agire, cioè spingono all’azione. Si delineano così dei leader simbolici
e dei seguaci, che agiscono, facendosi guidare dai primi.
In passato l’identità etico-sociale era perlopiù costruita o nel quadro di dottrine religiose, o in quello di
ideologie di ceto (valide solo per gruppi ascrittivi, costruiti sulla nascita). In tempi moderni, invece, i gruppi
sono in grado di riunire collettività gigantesche.
Dominio simbolico
Strategie di emancipazione:
a) Eliminare la condizione di salienza significa abbandonare la vecchia identità per costruirne una
nuova tramite una conversione, che tuttavia è estremamente difficile.
b) Si può cercare dei surrogati, ma è difficile che i beni ideologici sostitutivi mantengano una
condizione di surrogati. È probabile che essi riconvertano in beni ideologici che hanno valore in se
stessi.
c) B potrebbe dotarsi di risorse simboliche solo realizzando un gruppo ereticale, perché all’interno del
gruppo originario solo i capi sono autorizzati a produrre le risorse.
d) Dono gratuito.
POTERE POLITICO
Il potere politico, pur avvalendosi di tutte e 3 le risorse – economiche, di violenza e simboliche – le elabora
in maniera particolare così da non inserirsi mai nell’uno o nell’altro potere.