MIRELA AIOANE
(pentru studenţi)
Il sostrato
Latino Ī Ĭ Ĕ Ā Ŏ Ō Ū
classico Ē Ă Ŭ
Italiano i e ε a ɔ o u
Il dittongamento
Nel toscano il dittongamento di /ε/ in /jε/ e di / ɔ/ in /wɔ/ è
determinato dalla struttura aperta della sillaba e non già dalla
vocale finale, come avviene invece nei dialetti italiani centro-
meridionali.
Tuttavia, in molte parole il dittongo manca per varie
cause: per es. il mancato dittongamento di bene, era, nove è
dovuto alla posizione proclitica in cui questi vocaboli si
vengono frequentamente a trovare, cioè al fatto che essi
appoggiano il loro accento sulla parola successiva (cfr.
espressioni come ben detto, era tardi, nove anni) e di
conseguenza la loro vocale tonica è tratatta come se fosse atona
e in quantto tale non si dittonga. In numerose forme verbali, il
dittongo è stato eliminato per analogia con le altre forme
accentate sulla sillaba successive: levo come levai, levare. In
alcune parole come gelo e gemo la i è stata assorbita dalla
affricate palatale precedente. Il dittongo tende poi a ridursi alla
vocale semplice dopo un suono palatale: FILIŎLUM >
figliuolo > figliolo, AREŎLA >aiuola> aiola; il dittongo si
riduce anche dopo “r” : PRĔCO > priego > prego, PRŎBO >
pruovo > provo. Infine, il dittongo manca in molte parole di
origine dotta (latinismi) : specie, secolo, popolo.
La monottongazione
L’anafonesi
La metafonesi
Ī Ĭ Ē Ā Ō Ŏ Ū
Ĕ Ă Ŭ
i e a o u
Passaggio di e pretonica a i
La sonorizzazione
Assimilazione e dissimilazione
L’assimilazione è il fenomeno per cui un suono diventa
simile a un altro che si trova vicino. L’assimilazione può essere
di due tipi: regressiva, quando il suono che viene prima
diventa simile a quello che lo segue; oppure progressiva se è il
suono che viene dopo a diventare simile a quello che lo
precede.
In genere, nel passaggio dal latino all’italiano si hanno
assimilazioni regressive:
ŎCTO > otto FĂCTU(M) > fatto
SĔPTE(M) > sette RŬPTU(M) > rotto
Nel settore vocalico si hanno vari casi di assimilazione
regressiva di vocale pretonica a tonica: danaro (variante di
denaro < lat. DENĀRIUM), tanaglia (variante di tenaglia < lat.
TENĀCULA).
Anche la metafonesi è un fenomeno di assimilazione
regressiva operata a distanza da parte della vocale dell’ultima
sillaba (-u , –i ) sulla vocale tonica: russu – “rosso”, misi –
“mesi”, vinti – “venti”.
L’assimilazione regressiva può avvenire non solo
all’interno di parola, ma anche all’interno di frase. Per esempio,
il latino ĂD CĂSA(M) è diventato in italiano a casa, che nella
pronuncia è realizzato con una velare sorda rafforzata, cioè
/ak’kasa/; quindi la –D- di AD è elliminata soltanto nella grafia,
ma in realtà si assimila alla consonante iniziale della parola
successiva determinandone il raddoppiamento: questo
fenomeno prende il nome di raddoppiamento fonosintattico.
Un caso di assimilazione progressiva, molto comune
nei dialetti italiani centro-meridionali, è quello dell’originario
nesso latino – ND – che passa a – nn- : QUĂNDO > quanno,
MŬNDU(M) > monno.
Fenomeno opposto all’assimilazione è la
dissimilazione, che si ha quando due suoni simili situati vicino
nella stessa parola si differenziano: per esempio, QUAERĒRE
> chiedere (in cui la prima r si trasforma in d per eviatre la
sequenza r- r); ARBŎRE(M) > albero (dissimilazione di r-r in
l-r); VENĒNU(M) > veleno (dissimilazione di n-n in l-n).
Nel settore vocalico, un caso interessante di
dissimilazione è rappresentato dal passaggio del dittongo atono
AU ad a se la vocale tonica successiva è una vocale velare:
AUGŬSTU(M) > agosto, AUSCULTĀRE > ascoltare.
Consonante + J
Nel passaggio dal latino all’italiano le consonanti
(tranne R e S), quando sono seguite da /j/, si rafforzano:
FĂCIO > faccio
SĒPIA(M) > sepia
RĂBIA(M) > rabbia
Le consonanti T, D, L e N, dopo essersi raddoppiate,
presentano un ulteriore sviluppo fonetico:
1) il nesso latino – TJ – diventa in italiano l’affricata
alveolare sorda inensa /tts/:
VĬTIU(M) > VITTJU(M) > vezzo
PŬTEU(M) > PUTTJU(M) > pozzo
In alcune parole di origine gallo–romanza il nesso –TJ-
si trasformò nella fricative prepalatale sonora /ʒ/:
RATIŌNE(M) > /ra’ʒone/, STATIŌNE(M) > /sta’ʒone/;
questo fonema che si è conservato ancora oggi nella pronuncia
fiorentina, è reso con la grafia gi: ragione, stagione. L’influsso
della grafia ha provocato il passaggio, nell’italiano standard,
alla pronuncia con l’affricata prepalatale sonora /dʒ/:
/ra’dʒone/, /sta’dʒone/ per adeguamento alla pronuncia della
grafia gi di parole come giorno.
Talvolta i due diversi esiti (/tts/ e /d ʒ/) coesistono nella
lingua italiana, dando luogo a degli allotropi, cioè a forme
diverse ma derivanti da una stessa parola latina: per es. dal lat.
PRĔTIU(M) si ha in italiano sia prezzo sia pregio;
2) il nesso latino – DJ – diventa in italiano l’affricata
alveolare sonora intense /ddz/:
RĂDIU(M) > RADDIU(M) > razzo
MĔDIU(M) > MEDDIU(M) > mezzo
-DJ- può anche trasformarsi nell’affricata prepalatale Sonora
intense /ddʒ/: RĂDIU(M) > raggio (allotropo di razzo),
HŎDIE > oggi, PŎDIU(M) > poggio;
3) il nesso latino –LJ- diventa in italiano la laterale
palatale intensa /λλ/:
FĬLIU(M) > FILLJU(M) > figlio
FŎLIA(M) > FOLLJA(M) > foglia
4) il nesso latino –NJ- diventa in italiano la nasale
La labiovelare
L’articolo
Il comparativo
Il verbo
I pronomi
Pronomi dimostrativi
HĬC ( femm. HAEC; neutro HŎC) “questo”: è il
dimostrativo riguardante l’oggetto vicino a colui chi parla;
ĬSTE (femm. ĬSTA, neutro ĬSTUD) “codesto”: è il
dimostrativo riguardante l’oggetto più vicino all’interlocutore;
ĬLLE (femm. ĬLLA; neutro ĬLLUD) “quello”: è il
dimostrativo che riguarda l’oggetto lontano.
Pronomi di rifferimento
Italiano
Prima fase Seconda
fase
nome semplice diminutivo del Nome semplice Riproduce la
nome derivato seconda fase
dall’originario
diminutivo
AURIS AURĬCULA AURICLA;
“orecchia” “piccola ORICLA orecchia
orecchia” “orecchia”
FRĀTER FRATĔLLU FRATELLU
“fratello” S “fratello” fratello
“fratellino”
GĔNU
“ginocchio” GENŬCUL GENUCULU ginocchio
US “ginocchio”
“piccolo
ginocchio”
Seconda fase
Prima fase Italiano
SALĬRE SALTĀRE
“saltare” “continuare a SALTARE saltare
saltare”
PINSĔRE PISTĀRE
“pestare” “continuare a PISTARE pestare
pestare”
UN CONFRONTO
Documenti pisani
IL DUECENTO
IL TRECENTO
DANTE, TEORICO DEL VOLGARE
1
le dottrine del San Tommaso d’Acquino
2
imperatore d’Oriente, 527-565, conquistò l’Africa e l’Italia
3
Paradiso, XVII, 24
Il plurilinguismo o il multilinguismo è una delle
categorie che sono state utilizzate per definire la lingua poetica
di Dante, in contrapposizione al filone lirico che ha il suo
massimo esponente in Petrarca. Il plurilinguismo significa una
scelta dettata dalla disponibilità ad accogliere elementi di
provenienza disparata: non soltanto latinismi, ma anche termini
forestieri, plebei, parole toscane e altre non toscane. Tale
varietà lessicale deriva da una varietà del tono, in quanto le
situazioni della Commedia vanno dal profondo dell’inferno alla
visione di Dio, dai dannati e dai diavoli all’empireo. Si passa
dal livello basso, con il linguaggio violentemente realistico e
dal turpiloquio4 al livello più alto, al sublime teologico. Ė vero
anche che le parole “forti” entrano a volte con “violenza
irruzione” anche nei contesti elevati, per esempio, le parole
“cloaca” e “puzza” nelle parole di San Pietro5.
Benché nella Commedia siano presenti latinismi,
provenzalismi e persino interi passi in latino 6 o in provenzale7,
il poema, nel suo complesso, si presenta come opera fiorentina,
la più vistosamente fiorentina tra quelle scritte da Dante.
4
i canti XXI e XXII dell’Inferno, i canti di Malebolge – l’otto cerchio =
văile rele, con il celebre finale del XXI canto: “il cul che fa trombette”
5
Paradiso, XXVII, 25-27
6
Cacciaguida, in Paradiso, XV, 28-30 si rivolge a Dante in latino
7
il discorso di Arnand Daniel in Purgatorio, XXVI, 139
Il termine serocchia è l’unico usato nei documenti
fiorentini del Duecento e del Trecento. Dante lo usa solo due
volte, per la rima, mentre impiega più largamente suora e
sorella. Sorella si è imposto nell’italiano letterario e certo,
l’uso dantesco ha favorito questa affermazione, resa preferibile
anche dall’analogia con fratello. Si può parlare di una
polimorfia della lingua di Dante nella Commedia, che riguarda
l’alternanza di forme dittongate es.: core/cuore, il primo molto
frequente; foco /fuoco, il secondo usato una volta sola; però usa
sempre buono e non bono; virtù e non vertù (pur presente
quattro volte); poi danari e giovanetto sono presenti tanto
quanto denari e giovinetto; le forme dei verbi, come le forme
del condizionale, il tipo siciliano in –ia e quello toscano in –ei:
vorria e vorrei compaiono ciascuno una volta; avria è più
presente di avrei, ma direi più di diria. Questo polimorfismo
non rimase senza conseguenze, ma produsse a sua volta una
tendenza alla polimorfia nella lingua italiana che si è diffusa
proprio a partire da questo modello.
Uno strumento di consultazione per chi si occupa di
Dante e della letteratura medievale è la pregiata Enciclopedia
dantesca diretta da Umberto Bosco, in 5 volumi, uscita a Roma,
Istituto dell’Enciclopedia Italiana dal 1970 a 1976 e poi nel
1978 si è aggiunto un altro volume, Appendice. Biografia,
lingua e stile, opere che si occupa della lingua volgare di Dante.
8
Frammenti di cose volgari
un ambizioso progetto culturale basato sulla promozione di
nuovi ceti sociali e sulla divulgazione del sapere mediante la
nuova lingua. Petrarca compie una scelta che sarà decisiva per
la tradizione lirica italiana. Accoglie una sola rima siciliana
(noi: altrui); consacra la rima grafica e nonfonica: (ò-ó; è-é);
elimina alcuni gallicismi come: fidanza, dilettanza ecc, ma ne
mantiene altri, quali: rimembranza, baldanza (entrambi già
nelle poesie dei siciliani, usati da Giacomo da Lentini e poi da
Dante). Si osserva la polivalenza di certi termini, i quali, come
l’aggettivo dolce entrano in un numero grande di combinazioni
diverse: dolce loco, dolce riso, dolce pianto, dolce rapina e
dolce è la mia morte. La lingua di Petrarca selezionata e ridotta
nelle scelte lessicali, accoglie un buon numero di varianti,
canonizzando un polimorfismo (già presente in Dante) in cui si
allineano la forma toscana, quella latineggiante, quella siciliana
o provenzale:“Deo/Dio; degno/digno; fuoco/foco;
mondo/mando; oro/auro”. Si può paragonare con la Commedia,
dove Deo compare una sola volta in posizione di rima, dove
non si trovano mai auro, mundo e digno e fuoco ricorre una
sola volta. Sul piano della sintassi, Petrarca fa largo uso di una
“dispositio” che muta l’ordine regolare delle parole: la
collocazione delle parole si sottrae alla banalità del quotidiano.
Inoltre ricorrono chiasmi9 antitesi, anafore, enjambaments,
allitterazioni, binomi di aggettivi (Solo e pensoso), spesso di
significato analogo (tardi e lenti). Sono caratteristiche
verificabili in parte nella tradizione più antica, che
diventeranno tipiche del linguaggio lirico italiano.
Petrarca, come era normale al suo tempo, scrive ancora
in maniera unita: sualuce, almio, delbel, laprima, belliocchi.
Venivano uniti al nome i possessivi, le preposizioni, gli articoli
e alcuni aggettivi. Manca l’apostrofo che fu introdotto solo
all’inizio del Cinquecento. Il sistema dei segni di interpunzione
si riduce a pochi elementi, con valore diverso da quello
moderno, tra cui punto, sbarra obliqua e punto esclamativo.
Sono presenti anche molti latinismi grafici, come le h
etimologiche in: huomo, humano, honore, ma ora, erba; le x
(extremi, excellentia, dextro accanto a destro); i nessi –tj-:
“gratia”, “letitia”, “pretioso”. Per l’affricata z Petrarca usa
abitualmente ç: sença (senza); ançi (anzi); sono presenti i segni
di abbreviazione: lãpa (lampa - significa una consonante
nasale); nõ – non; cõtra per contra o anche il comune taglio
nella gamba della p per indicare l’abbreviazione di per.
9
forme incrociate; figura retorica che consiste nella disposizione inversa,
incrociata di elementi concettualmente e sintatticamente paralleli – es:
Dante: “Ovidio è il terzo/ e l’ultimo Lucono”???
La prosa di Boccaccio
10 VII, 10
11 VIII, 2
caratterizzazione realistica. Nonostante il latino e il francese, la
sua prosa è fiorentina di livello medio-alto. Alcuni tratti
appaiono leggermente arcaicizzanti, come, l’uso costante del
numerale diece (dieci si era imposto nella seconda metà del
Trecento; Dante usa nella Commedia, diece); altre forme
vanno in direzione moderna come: tu ami, canti, al posto del
duecentesco: tu ame o come i passati remoti: perdé e uscì e non
perdeo e uscio (usati da Boccaccio nel Teseide). Boccaccio non
usa mai le forme popolari o innovativi quali arò” per avrò, arei
per avrei, missi per misi.
Nella grafia di Boccaccio come in quella di Petrarca si
notano latinismi, come x (exempli), il nesso –ct- (decto per
detto) usato a volte anche per indicare il raddoppiamento
(stecle per stelle, che usa altre volte, però), la forma advenuto
per avvenuto, le h etimologiche in herlia, habito, honore,
honesto, huomo (ma non nelle forme del verbo avere).
L’affricata dentale s è resa della ç (come in Petrarca) ma anche
dalla z e queste consonanti vengono sempre scritte scempie,
independentemente dal loro valore fonetico sordo e sonoro
scioccheça, magnificençe.
Anche in Boccaccio, come in Petrarca appaiono le
usuali abbreviazioni delle nasali e di “per”. Il sistema dei segni
di interpunzione è più ricco che nel Canzoniere di Petrarca; si
trovano virgola, punto e virgola, due punti, con valore di pausa
lunga, il punto, la sbarra obliqua, il punto interrogativo usato
anche per le interoggative indirette, segni di “a capo” e un
coma simile al punto esclamativo, con valore di punto e virgola.
L’influenza del toscano si esercitò con particolare efficacia sui
poeti delle altre regioni italiane. Nel tardo trecento, il
petrarchista padovano Francesco di Vannozzo usò il dialetto in
componimenti satirici e polemici; del resto il contesto della
satira e della polemica permetteva tradizionalmente un
linguaggio più realistico, meno selezionato (per esempio, il
senese Cecco Angiolieri). Comunque, anche imitando i toscani,
i poeti settentrionali si lasciavano sfuggire dei settentrionalismi.
In area nencta troviamo uno dei primi imitatori di Dante,
Giovanni Quirini.
I volgarizzamenti
12
databile circa al 1360
13
databile al 1339-1340
napoletano non l’hanno: nuostra, nuome, fratiello. Nel caso di
fratiello, la forma napoletana sarebbe stata frate, ma Boccaccio
ha inserito un dittongo nella forma toscana fratello).
IL QUATTROCENTO
14
il nome proviene da un cibo, il maccarone, un tipo di guocco???; si tratta
di un’origine vistosamente “corporea”, parodica rispetto alla natura “eterea”
della poesia
colta. L’origine di questo linguaggio conduce all’ambiente
dell’università padovana, laboratorio fervido per esperimenti di
questo tipo. Iniziatore riconosciuto del genere è Tifi Odasi, 15
ma il più illustre esponente è Teofilo Folengo (1491-1544).
Uno sviluppo del linguaggio macaronico si ebbe anche tra
Torino, Pavia e Asti.
Il polifilesco, chiamato anche pedantesco (e con
riferimento a realizzazioni cinquecentesche, “fidenziano”, dal
titolo dei Canti di Fidenzio del vicentino Camillo Scroffa).
Un’interessantissima ed eccezionale prova del linguaggio
prosastico pedantesco si ha nell’Hyperotomachia Poliphili,16
romanzo anonimo,17 pubblicato nel 1499 a Venezia in una
splendida edizione illustrata, di qualità tale da far ritenere
questo libro il più bello tra quelli prodotti dall’Umanesimo
italiano. Si tratta di un’opera scritta in un volgare che sopporta
un’estrema dose di latinizzazione possibile senza snaturarla.
Il polifilesco non è una scrittura comica e parodica ma,
presumibilmente seria. Il volgare che si combina con il latino
non è di tipo dialettale, bensì toscano, boccaccesco, con patina
settentrionale illustre. Il latino usato dall’autore si ispira a
15
Tifi = pseudonimo umanistico
16
guerra d’amore in sogno dell’amatore di Polia
17
l’autore è un Francesco Colonna, identificato ora in un domenicano
veneziano, ora in un romano, signore di Palestina
scrittori diversi, della latinità “aurea”, rifacendosi tra l’altro ad
Apuleio e Plinio. I latinismi lessicali usati sono a volte
stupefacenti (esempio: “achi crinali” - forcine per capelli).
Nell’Italia settentrionale, nella seconda metà del
Quattrocento, troviamo alcuni predicatori che si esprimono in
un linguaggio in cui il latino e il volgare si mescolano in modo
tale da ricordare il linguaggio macaronico. Questa mescolanza
tra latino e volgare non è una novità della predica
quattrocentesca, ma viene ereditata dalla tradizione medievale
(il latino ricorreva spesso nel corpo della predica stessa, come
citazione delle Scritture o dei Padri della Chiesa). La
compresenza di latino e di volgare accade anche in testi che
non sono artistici, ma rispondono a scopi pratici come: epistole,
diari, relazioni, libri di famiglia, ricettari. Per esempio, in una
lettera, erano in latino le formule iniziali e finali. Tra i tanti
esempi, citiamo l’epistola di Esterolo Visconti al duca
Francesco Sforza del 19 dicembre 1451. In essa, ci si rivolge
con il vocativo latino allo Sforza, chiamandolo Illustrissime
Princeps et excellentissime Domine. Domine mi singularissime;
è in latino pure l’indicazione della data e del luogo: Datum
Crene (Gallarate) die XVIIII decembris 1451; ed è infine in
latino la sottoscrizione del mittente che si firma Eiusdem
Domini Vestri Servitor Hesterolus Vicecomes. Tutto il resto
della missiva è in volgare.
In un testo di natura giuridica in volgare, saranno
sicuramente in latino molti termini tecnici o, se sarà in latino il
testo vero e proprio, saranno in volgare alcune frasi o i termini
diversi dal contesto, “citazioni” del parlato. L’abitudine di
mescolare in varie occasioni italiano e latino nello stesso
documento durerà ancora nel secolo seguente, in un contesto
molto più favorevole al volgare. Anche nelle lettere
quattrocentesche, oltre alle formule iniziali e finali, sono
frequenti inserimenti occasionali di frasi e parole latine. Molte
di esse sono semplicemente formule correnti, così che la loro
latinità passa inavvertita agli occhi dei lettori del tempo: cum
(con), maxime (massimamente), quondam (un tempo), non
solum (non solo), in super (in aggiunto), ultra (oltre), autem
(d’altra parte).
Il Certame coronario
La Raccolta aragonese
18
raccolta antologica della tradizione letteraria volgare che andava dai pre-
danteschi e dallo Stilnuovo fino a Lorenzo dei Medici
letterario colto. Significativo è l’esperimento della letteratura
rusticale a cui appartiene la Nencia da Barberino, poemetto di
Lorenzo. Esistono quattro redazioni di questo poemetto, di
diversa lunghezza; tra queste si ritiene probabile che sia di
Lorenzo quella della Biblioteca Laurenziana di Firenze, in venti
ottave. Vi si trovano le forme rustiche miggliaio per
“migliaio”, begglii per “begli”, assunti come elementi popolari.
Molto più complessa è stata l’esperienza poetica di Poliziano
che, con la sua raffinatissima cultura, fu in grado di
usare tre lingue: il greco, il latino e il toscano.
Interessanti sono le Stanze per la giostra di Giuliano
de’ Medici, composte tra il 1475-1478 e lasciate incompiute.
Benché i manoscritti presentino diverse oscillazioni (ad
esempio nell’alternanza dell’articolo il e el) non c’è dubbio che
nell’ insieme l’aspetto fono-morfologico aderiva quasi
completamente all’uso linguistico contemporaneo. Ancora
nell’ambiente mediceo si assiste alla prima trasportazione su di
un piano colto di un genere popolare che godeva di grande
fortuna, quale era il cantare cavalleresco.19 Il Morgante di
Luigi Pulci (1432-1484) era destinato ad un altro pubblico: fu
composto su richiesta di Lucrezia Tornabuoni, madre di
19
una forma poetica in ottave che veniva portata sulle piazze dai canterini
davanti a un pubblico medio-basso.
Lorenzo il Magnifico. Pulci scrisse al giovane Lorenzo una
lettera “in furbesco” (si tratta del primo caso di uso del gergo20
nell’italiano). Pulci compilò un Vocabolista, raccolta lessicale
ad uso privato, che può essere oggi considerata un antecedente
di un vocabolario italiano (vari vocaboli si ebbero soltanto nel
secolo successivo). In questa raccolta di oltre settecento
vocaboli sono riuniti latinismi tradotti con parole di uso
comune (latebra - luogo nascosto e segreto), voci di botanica,
di zoologia, anatomia, termini gergali (mecco - puttaniere).
La prosa toscana
20
il furbesco è il gergo della malavita e dei pitocchi che trovò una vivace
utilizzazione nella letteratura del secolo XVI
furono stampate ancora edizioni ottocentesche, le quali
venivano lette con passione e ascoltate dai più umili popolani.
La lettura di questa narrativa modesta21 collaborò a far
circolare modelli di prosa italiana tra un pubblico abituato al
dialetto; le storie raccontate sono sempre uguali a se stesse, con
minime variazioni. Si tratta di una prosa con poche pretese che
ricorda il colorito popolare della narrativa preboccacciana.
21
il grammatico Luca Serianni (1993: 477-pag. 241) ha giustamente
paragonato questo tipo di narrativa a certa letteratura di consumo
contemporanea, per esempio, “i romanzi rosa”
delle laudi, gli incolti dialettofoni potevano incontrare una
lingua più nobile e toscanizzata (Giudicio della fine del mondo).
La letteratura religiosa fu importante per la diffusione
dell’italiano tra il popolo. La sacra rappresentazione era un
genere coltivato anche in Toscana.
Anche la predicazione si rivolgeva al popolo e aveva
bisogno di usare il volgare che era in certi casi molto vicino al
dialetto o volgare illustre. Nel Quattrocento ci sono casi in cui
la lingua toscana esercita un prestigio al di là dei suoi naturali
confini geografici (tra i predicatori spicca la figura di San
Bernardino da Siena).
Savonarolo è un non-toscano, proveniente dall’Italia
settentrionale che visse a Firenze e vi esercitò la sua missione.
Fu quindi costretto ad una sorta di “toscanizzazione”. Il fatto
che i predicatori si muovevano da un luogo all’altro e facevano
esperienza di un pubblico sempre diverso, li spingeva a
raggiungere il possesso di un volgare che fosse in grado di
communicare al di là dei confini di una singola regione. Il
predicatore poteva adottare alcune parole proprie del posto in
cui si trovava, ma doveva essere in grado di depurare la propria
lingua naturale, toscana o non toscana degli elementi
vernacolari, incomprensibili a un pubblico diverso da quello
della sua regione di origine.
La cancelleria e la “koiné”
22
vi è una “scripta” alto-italiana, settentrionale, lombarda, veneta ecc e vi è
una “scripta” di corte, di cancelleria, dei mercanti ecc
23
termine tecnico con cui si indica una lingua superdialettale
private, scritture notarili o mercantili, cronache ecc). Si aspira
ad un livello sovraregionale - koiné. Una forte spinta in tale
direzione fu data dall’uso del volgare nelle cancellerie
principesche ad opera di funzionari e di notai. Nella prima
metà del Quattrocento si comincia a usare il volgare nelle
cancellerie di Venezia e Ferrara (e prima a Mantova e a
Urbino).
La tendenza alla reciprocità nella corrispondenza fra
stati è un fattore di “contagio” nella sostituzione di volgare al
latino “che non era totale”. L’uso delle cancellerie veniva a
essere influenzato dai gusti linguistici e letterari della corte
signorile di cui facevano parte cancellieri e segretari. I
cortegiani non erano necessariamente legati in maniera
definitiva ad una medesima corte, ma spesso si muovevano da
una all’altra. Molti scriventi che utilizzavano le koinai erano
lettori attenti degli autori toscani e potevano quindi più o meno
cosciamente trasportare nelle scritture di uso pratico forme
incontrate nei testi della letteratura (l’articolo el prevale, ad
esempio, su il nell’uso della cancelleria di Milano e di
Mantova). Nell’incertezza di un uso non ancora codificato da
grammatiche e vocabolari (che non esistevano), il latinismo era
un punto di appoggio sicuro e insostituibile. L’uso della koiné,
normale negli ambienti di corte e nell’uso cancelleresco, si
sviluppò anche nell’uso tecnico-scientifico, sia nel
Quattrocento che all’inizio del Cinquecento.
La lirica di Boiardo
24
la prima edizione risale al 1484-86 e la seconda fu pubblicata nel 1504
che ebbe una grande fortuna in Italia e in Europa e fu imitata anche nella
lingua
Fuor di Toscana, la prosa narrativa rivela la presenza di
idiotismi settentrionali (le Porretane del bolognese Sabadino
degli Arienti). Molti meridionalismi si rintracciano nelle
novelle di Masuccio Salernitano, il quale imita Boccaccio.
IL CINQUECENTO
25
il terzo figlio di Lorenzo il Magnifico
26
umanista e poeta in latino
27
fratello di Pietro Bembo
ma non il toscano vivente, bensì il toscano letterario
trecentesco dei grandi autori (Petrarca, Boccaccio e in parte
Dante). Questo è un punto fondamentale della tesi di Bembo:
egli non nega che i toscani siano avvantaggiati sugli altri
italiani nella conversazione; ma questo non è oggetto del
trattato che non si occupa del parlato comune, ma della nobile
lingua della letteratura. Si tratta così di un punto di vista
umanistico e si fonda sul primato della letteratura. Bembo
considera che i letterati fiorentini possano essere portati più di
altri ad accogliere parole popolari che macchiano la dignità
della scrittura. La lingua non si acquisisce dunque dal popolo,
secondo Bembo, ma dalla frequentazione di modelli scritti, i
grandi trecentisti. Bembo sapeva perfettamente che la scelta del
modello costituito dalle Tre Corone riportava indietro nel
tempo, con un salto nel passato tale da far dubitare che egli
volesse parlare a morti, più che a’ vivi. Per la nobilitazione del
volgare, Bembo rifiutava la popolarità. È il motivo per cui
Bembo non accetta integralmente il modello della Commedia
di Dante, di cui non apprezza le discese verso il basso. Il
modello del Canzoniere di Petrarca non presentava difetti, per
la sua assoluta selezione linguistico-lessicale. Qualche
problema, invece, poteva venire dalle parti del Decameron in
cui emergeva più vivace il parlato e Bembo precisava che il
modello linguistico non stava nei dialoghi delle novelle del
Decameron, ma nello stile vero e proprio dello scrittore (nel
corpo delle composizioni sue); dunque il Boccaccio dalla
sintassi fortemente latineggiante, dalle inversioni, dalle frasi
gerundive. Questo fu il modello imitato dallo stesso Bembo.
Dunque, il volgare si era diffuso in tutt’Italia come lingua della
letteratura, attraverso un’imitazione più o meno cosciente dei
grandi trecentisti. La sua teoria poteva essere gradita ad una
classe colta abituata al culto del passato.
2. La teoria cortigiana
28
verso la metà del Cinquecento furono disponibile diverse grammatiche
che illustravano con chiarezza la lingua teorizzata da Bembo, Lodovico
Dolce, Girolamo Ruscelli ecc
Gli scrittori di fronte alla grammatica di Bembo
LE ACCADEMIE.
Il ruolo delle accademie
L’Accademia fiorentina
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Discursuri lungi si plicticoase
dopo quella analoga (ma giudicata non ancora sufficiente),
messa in atto nel 1573 dai Deputati dell’Accademia fiorentina.
L’intervento di una censura moralistica fu, dunque,
(paradossalmente) l’occasione per la nascita e lo sviluppo di
un’attenzione filologica per il testo del Decameron. Nel 1590
l’Accademia deliberò di rivedere e correggere il testo della
Commedia di Dante. Nel 1595 uscì a Firenze La Divina
Commedia di Dante e così la lingua di Dante viene rivalutata,
guardata con interesse e comincia a non essere più guardata
con sospetto per il suo eccesso di realismo.
Il melodramma
IL SETTECENTO
Le riforme scolastiche
L’OTTOCENTO
La scuola
Le teorie di ASCOLI
Il linguaggio giornalistico
La prosa poetica
Il “vate” è d’Annunzio con Netturno e Il libro segreto
e la sua prosa si caratterizza dal periodare breve e brevissimo,
per la sintassi nominale, per la presenza di elementi fonici e
ritmici della frase.
La prosa lirica di Dino Campana non va più in là di
d’Annunzio. Un interessante riflesso del “parlato” si ha nella
prosa di Pirandello, non nei romanzi, ma nelle opere teatrali.
La riproduzione dell’oralità è verificabile anche nella presenza
di una serie di interiezioni frequentissimi: ah sì; ah sì sì; eh via;
ah no no; connetivi come è vero, si sa, figurarsi, o bella; e
anche in una serie di elementi che con rapide opposizioni, con
relativizzazioni improvvise: non ... più, ma .. sì. Lo stile di
Pirandello è l’esatto opposto di quello di d’Annunzio.
Pirandello sta molto attento a non uscire dai moduli della
lingua d’ogni giorno. In questo senso, la sua prosa è un
documento interessante per il linguista che ci può trovare una
sorta di “uso medio”. Pirandello rimase diffidente verso il
dialetto come strumento letterario, anche se non ha rinunciato a
dare nelle sue opere una “ lieve patina di colore locale”, per
esempio nella scelta dei nomi di persona, almeno nelle opere di
ambiente siciliano e, nello stesso tempo, optava per un italiano
neutro.
L’altro grande scrittore del primo Novecento, Italo
Svevo, è famoso per il rapporto non facile con la lingua italiana,
determinato dalla sua provenienza da un’area periferica come
Trieste. Lo accusarono di “scriver male” e questo lo fece
soffrire. La lingua di un libro come La coscienza di Zeno non
risponde ai canoni puristici; si osserva l’uso del verbo avere
con i verbi servili (secondo una tendenza propria della lingua
parlata anche di livello medio), incertezze nei tempi verbali e
poi la formalità grammaticale, con elementi arcaici: l’i
prostetica (in Isvizzera, per istrada, per ischerzo) e anche
l’avvicinamento dei pronomi personali: mi vi” (mi vi sarei
adattato, mi vi abbndonavo) come si incontra nella prosa di
Foscolo e di Leopardi; l’uso anomalo della preposizione di
(pronto di dividere). Il successo presso il pubblico dimostra
l’importanza di Svevo come scrittore (monologo interiore,
analisi della coscienza, flusso verbale autoironico richiedevano
una lingua imperfetta come strumento di una visione
particolare del mondo).
Uno dei punti di rifferimento per gli scrittori, dopo che
Verga aveva mostrato la via per una scrittura che si avvicinasse
al mondo popolare, è il dialetto. Nel Novecento, anche il
toscano può essere ormai considerato un dialetto. Federico
Tozzi introduce senesismi nei suoi romanzi (parole come
astiare - odiare, bicciars i- cozzare con le corna; piaggiata -
terreno in pendio; untare - ungere). Un uso diverso del dialetto
si ha negli scrittori “mistilingui” come Carlo Emilio Gadda,
nelle cui pagine si affollano i più vari elementi, tra cui i dialetti:
lombardo nell’Adalgisa e nella Cognizione del dolore,
fiorentino nelle Favole e in Eros e Priapo, romanesco e
molisano, con qualche battuta in veneto in Quer pasticciaccio
brutto de via Merulana, che ebbe un grande successo di
pubblico.
Oratoria e prosa d’azione
La radio e la televisione
I giornali
Il linguaggio dei giornali ha svolto un’importante
funzione. Il quotidiano è il mezzo fondamentale che fa il
legame fra l’uso colto e letterario della lingua italiana e la
lingua parlata. Il giornale è un indice della lingua media. Nel
giornale si trova una pluralità di sottocodici (politico,
burocratico, tecnico–scientifico, economico, finanziario) e di
registri (aulico, parlato, informale, brillante). L’originalità del
linguaggio sta nei titoli, che devono colpire il lettore e nello
stesso tempo fare economia di spazio. Domina la frase
nominale e l’economia verbale.
La pubblicità
Minoranze slave
Isole albanesi
Dialetti dell’Italia :
settentrionale: - gallo – italici (ligure, piemontese,
lombardo, emiliano);
- veneziano;
centrale : - toscano (senese, fiorentino, aretino,
lucchese);
- umbro;
- romano;
meridionale: - napoletano – calabrese (abruzzese, dial.
della capitanata, pugliese, napoletano, calabrese);
- siciliani (palermitano, catanese, dial.
dell’Enna, dial. di Bronte, siracusano, dialetto di Noto,
colonie di gallo-italici);
- sardi (settentrionali – gallurese, corso; centrale –
logudorese; meridionale – campidanese);
BIBLIOGRAFIA SELETTIVA
INDICE
pagina
Il latino e una lingua indoeuropea.............................................2
Il latino classico e il latino volgare...........................................3
Le lingue romanze.....................................................................5
Il sostrato....................................................................................8
Il vocalismo tonico del latino volgare......................................11
Il dittongamento.......................................................................13
La monottongazione................................................................14
L’anafonesi................................................................................16
La metafonesi...........................................................................17
Il vocalismo atono del latino volgare.......................................20
Il consonantismo del latino volgare..........................................23
La palatalizzazione....................................................................23
La sonorizzazione.....................................................................25
Assimilazione e dissimilazione.................................................26
Caduta delle consonanti finali...................................................34
Altri aspetti del consonantismo.................................................35
La morfologia del latino volgare...............................................37
Il genere.....................................................................................43
L’articolo..................................................................................45
Il comparativo...........................................................................49
Il verbo......................................................................................49
I pronomi..................................................................................51
Formazione del plurale..............................................................55
La sintassi del latino volgare.....................................................56
Il lssico del latino volgare.........................................................61
Le testimonianye del latino volgare.........................................72
Un confronto.............................................................................74
Il problema dei primi documenti...............................................75
L’atto di nascita dell’italiano...................................................81
Il filone notarile-giudiziario......................................................84
Il filone religioso.......................................................................87
I primi documenti letterari......................................................................89
Il Duecento................................................................................................92
Documenti centro-settentrionali...............................................................97
La poesia didattico-moraleggiante...........................................................98
I siculo-toscani, gli stilnovisti.................................................................99
Il Trecento. Dante, teorico del volgare....................................................100
Varietà liinguistica della Commedia.....................................................105
Il linguaggio lirico di Petrarca................................................................109
La prosa di Boccaccio............................................................................112
I volgarizzamenti.....................................................................................115
Il Quattrocento.........................................................................................117
Leon Battista Alberti...............................................................................123
Lorenzo Il Magnifico...............................................................................127
La prosa toscana.......................................................................................130
La letteratura religiosa.............................................................................131
La cancelleria e la koiné............................................................................133
Il Cinquecento...........................................................................................138
La Questione della Lingua. Pietro Bembo...............................................141
La teoria cortigiana...................................................................................145
La teoria “italiana” di Trissino................................................................147
La stabilizzazione della norma linguistica...............................................151
Gli scrittori di fronte alla agrammatica di Bembo....................................152
Le Accademie...........................................................................................154
Le traduzioni e la prosa tecnica.................................................................157
La chiesa e il volgare...............................................................................158
La predicazione.........................................................................................161
Il Seicento.................................................................................................163
Il Vocabolario dell’Accademia della Crusca............................................163
Il linguaggio della scienza........................................................................173
Il melodramma........................................................................................175
Ilbarocco....................................................................................................177
La predicazione nel Seicento...................................................................181
Il Settecento..............................................................................................184
L’influenza della lingua francese.............................................................188
Il dibattito linguistico settecentesco..........................................................189
Le riforme scolastiche...............................................................................193
Il linguaggio teatrale.................................................................................195
L’Arcadia....................................................................................................196
GianbattistaVico.........................................................................................199
L’Ottocento................................................................................................200
La proposta di Monti.................................................................................203
AlessandroManzoni..............................................................203
IdeeguidadiManzoni..............................................................209
Effetti linguistici dell’Unità.................................................211
Ascoli.....................................................................................216
Illinguaggiogiornalistico........................................................219
Ilmodello manzoniano............................................................220
Verga e la sintassi..................................................................222
Il Novecento...........................................................................224
La prosa poetica....................................................................227
L’oratoria e la prosa d’azione................................................229
La saggistica.........................................................................233
Politica linguistica dell’Italia fascista....................................233
La lessicografia del fascismo................................................236
Il dopoguerra..........................................................................237
Tendenze del linguaggio letterario........................................238
La radio e la TV.....................................................................241
I giornali.................................................................................242
La pubblicità..........................................................................243
L’italiano standard..................................................................244
Quadro linguistico dell’italia attuale.......................................244
Dove si parla l’ittaliano..........................................................245
Alloglotti.................................................................................246
Aree dialettali..........................................................................249
Dialetti dell’Italia……………………………………… 251
Bibliografia selettiva...............................................................253
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