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Stuart Hall (1932-2014): Il soggetto e la differenza

Con Hall, che supera le posizioni di Williams, ci spostiamo sulla contemporaneità, si rifà a un pensiero
diverso da Marx (a differenza di Williams cui posizione è legata a schemi del pensiero marxista) e lo applica
alla situazione dell’Inghilterra del secondo dopo guerra (situazione esemplare in un mutamento che poi
interesserà gli altri paesi). Si basa su una difficoltà di definire le classi sociali: determinate caratteristiche
connotative della Working Class sono andate perse in una stagione che coincide con il governo
conservatore della Thatcher che segna un punto di svolta che non viene analizzato con gli strumenti
normali per Williams (esiste una classe dominante con le proprie convinzioni, e poi una classe sottomessa o
subalterna alla dominante, alla prima vanno i privilegi mentre la seconda deve subire l’iniziativa della
dominante) questo cambia con la Thatcher, ci sono delle convergenze definite tra le due classi, la Working
Class ricerca i suoi valori tradizionali, l’idea di una famiglia tradizionale e del nazionalismo. Hall introduce il
suo schema di: Encoding and Decoding: sistema di analisi delle realtà sociali; in base a questo sistema
esistono delle ideologie e l’ideologia che nel pensiero dei marxisti viene ritenuta una forma erronea, qui
torna al centro dell’analisi e Hall ci fa capire che l’ideologia è anche racchiusa nell’istituzione. IDEOLOGIA=
intero sistema di pensiero, modo di guardare il mondo.

APPUNTI SULLA DECOSTRUZIONE DEL POPOLARE

Nel suo saggio “Notes on the decostruction of the popular”, Stuart Hall parla delle problematiche
legate al termine “popolare” associato alla parola “cultura”. Per prima cosa ci parla di quando sono
iniziati gli studi sulla cultura popolare, ovvero della periodizzazione: Hall sottolinea che il periodo
tra il 1880 e il 1920 è stato un periodo in cui la struttura della società stava cambiando radicalmente,
lo sviluppo dell’industria e dei media fecero sì che le idee potessero essere condivise dai ceti alti e
dai ceti minori, creando così un rinnovato interesse per la cultura popolare. Molte caratteristiche di
ciò che ora definiamo “cultura popolare di tradizione” sono emerse in quel periodo. In quel periodo
infatti abbiamo un profondo mutamento culturale dovuto a pratiche di “modernizzazione” con le
quali forme e pratiche culturali venivano marginalizzate, venivano fatte cadere in disuso e messe
volutamente in disparte in modo che altre potessero prendere il loro posto. Inoltre “il popolo” era
continuamente assoggettato a delle “riforme”, ovvero si riadattavano le tradizioni e le attività
esistenti. Tutto questo per mano del Capitalismo e dell’Imperialismo.
Successivamente Hall discute sul significato del termine “popolare” ed individua tre possibili
significati:
1) il significato più comune di “popolare” è ciò che masse intere di persone ascoltano,
comprano, consumano, leggono. Questa è la definizione “commerciale” di popolare. Hall è
solo parzialmente d’accordo con questa definizione perché se così fosse vorrebbe dire che le
masse sono vittime di una “narcosi culturale”, ovvero che accettano passivamente e
inconsciamente la cultura manipolata che gli viene propinata dai media;
2) la seconda definizione di popolare è quella descrittiva: popolare è tutto ciò che il popolo fa o
ha fatto, dunque la cultura, le tradizioni, le usanze e lo stile di vita proprio del “popolo”. Ma
anche qui Hall non è pienamente d’accordo in quanto definire popolare tutto ciò che il
popolo fa o ha fatto vorrebbe dire fare una lista infinita e soprattutto in continua espansione
e cambiamento da un periodo storico all’altro. Popolare significherebbe anche allevare
piccioni, collezionare francobolli o nani da giardino e tutto ciò che è usanza del “popolo”.
Dunque sarebbe una lista inutile. Secondo Hall dovremmo invece distinguere ciò che è del
popolo e ciò che non è del popolo, la cultura d’élite o dominante e la cultura della
“periferia”. È questa la distinzione che ci fa capire cosa è popolare e cosa è non-popolare.
Ad aiutarci in questa distinzione ci sono le istituzioni come la scuola, che ci aiuta a
distinguere qual è la cultura nobile, la storia da ricordare e quella da tralasciare;

3) la definizione descrittiva porta Hall a formularne una propria: “ciò che definisce la cultura
popolare sono le relazioni di continua tensione (scambi, influenze, antagonismi) con la
cultura dominante”. Hall ovvero afferma che ogni cultura popolare ha le radici in una certa
classe sociale, quindi in un certo senso un qualcosa diventa popolare quando viene spinto
sulle masse dalle classi dominanti. La cultura è oggetto di un continuo processo con cui certi
elementi vengono selezionati allo scopo di sostituire altri meno desiderati. La cultura è
in continua relazione con l’egemonia. Il simbolo o lo slogan del momento non sono popolari
grazie al loro significato in sé, perché verranno rimpiazzati da altri simboli e slogan l’anno
successivo. Sono popolari grazie alla classe sociale in cui si sviluppano e dalle quali
vengono promossi, che li rendono speciali.

I Cultural Studies e le loro eredità teoriche

In questo articolo tratto dal saggio “Cultural Studies”, Stuart Hall propone uno sguardo sul
passato per indagare sul presente e sul futuro dei Cultural Studies. A questo proposito Hall
afferma che i C.S. non hanno un’unica origine in quanto sono presenti nelle riflessioni di
diverse persone, hanno numerose storie, sono il frutto di diversi percorsi e molte persone. Inoltre,
i C.S. sono un progetto costantemente aperto e volto all’espansione e al cambiamento.

-Cultural Studies vs Marxismo: i Cultural Studies sono nati in un certo senso come critica al
marxismo, infatti lo stesso Hall arriva ad occuparsi dei C.S. attraverso la “NEW LEFT” (La
Nuova Sinistra Britannica) che considerava il Marxismo come una difficoltà e un pericolo.
Tuttavia i C.S. sono stati influenzati dalle questioni del marxismo quali il potere, il ruolo storico
del capitale, la questione della classe, e i rapporti tra sfruttamento e potere, e la questione di una
teoria generale che potesse concretamente connettere diversi campi sociali come politica e
teoria, teoria e pratica. Quindi in questo senso i C.S. e il Marxismo sono collegati fra di loro
anche se non c’è mai stato un momento di perfetta simbiosi tra di essi, sin dall’inizio i principali
temi oggetto di studio dei C.S. (cultura, ideologia, linguaggio) erano decisamente carenti nel
Marxismo. I Cultural Studies contestano la teoria marxista della struttura/sovrastruttura (in una società
Marx distingue una struttura ovvero il tipo di impianto economico di una società, gli strumenti
di cui una società dispone e una sovrastruttura ossia le produzioni culturali, la religione, la
filosofia che grazie a quegli strumenti si sviluppano in quella determinata società. Struttura e
sovrastruttura si legano intensamente l'una con l'altra in un rapporto di interdipendenza, nel
quale a dettare le regole è però sempre la struttura.) e anche la teoria dell’ideologia vista come
falsa coscienza (secondo Marx l’ideologia è una rappresentazione della realtà DISTORTA dalla
collocazione di classe e dagli interessi del soggetto che la produce, è dunque una “falsa
coscienza” in quanto rappresenta il mondo dal punto di vista delle classi dominanti con il
tentativo di rendere quel punto di vista un significato comune, celando il fatto che può essere
cambiato attraverso l’azione politica, e creando l’illusione ideologica che le idee siano
indipendenti dai rapporti sociali in cui si producono).
L’IDEA CHE IL MARXISMO E I CULTURAL STUDIES SIANO STATI SIN DA SUBITO
AFFINI E CHE QUESTO ABBIA COSTITUITO IL MOMENTO DI FONDAZIONE DEI C.S.
È TOTALMENTE SBAGLIATA.

-Cultural Studies e GRAMSCI: Antonio Gramsci diede un notevole contribuito ai C.S. in


termini teorici, come suggestioni sulla natura e sulla cultura stessa o sull’importanza della
storia. In particolare, fu importante per i C.S. il modo in cui Gramsci riuscì a distaccare alcune
classiche teorie marxiste ancora presenti nel campo dei C.S.
Inoltre l’intento del Centro di Hall era quello di portare avanti un “lavoro intellettuale” nel senso
gramsciano del termine: Gramsci aveva distinto il lavoro in manuale ed intellettuale. Infatti,
l’intento era quello di creare degli “intellettuali organici”. (nota)
L’intellettuale organico doveva essere all’avanguardia dal punto di vista teorico, ovvero
conoscere di più di un intellettuale tradizionale e trasmettere il suo sapere anche a coloro che
non appartenevano alla loro classe professionale. Ma questo obiettivo è stato interrotto dall’irruzione di
due tematiche: il femminismo e il razzismo. Il tema del femminismo ha fatto un’irruzione decisiva nel
campo dei C.S. : ha cambiato il loro oggetto di studio, ha allargato i significati di potere fino ad allora
associati solo alla sfera pubblica, le questioni di genere e sessualità erano centrali, rinnovarono l’interesse
per la psicoanalisi.
C’è poi la questione della razza nei cultural studies, che rappresentò una svolta decisiva.
Dunque i Cultural Studies devono imparare a convivere con queste tensioni esterne, con le altre
importanti questioni, altrimenti rinuncerebbero alla loro “mondanità” . Un’importante questione
di cui si sono occupati i C.S. è l’AIDS, una questione che ha messo realmente a nudo la
marginalità dei Cultural Studies come lavoro intellettuale e i loro limiti nel creare effetti reali
nel mondo. Per esempio, di fronte alla gente che muore per strada qual è la funzione e la
posizione dei C.S.? Tuttavia, nell’ambito della questione dell’AIDS i C.S possono avere una
funzione teorica, di riflessione critica: oltre alla gente che sappiamo che muore di AIDS, ce ne sono tante
altre nel mondo di cui nessuno parla o parlerà mai. In questo senso la questione AIDS mantiene vivi il lavoro
intellettuale e la riflessione critica.

(nota) (Gramsci distingue anche, fra gli intellettuali organici e quelli tradizionali: Tutti gli uomini sono
intellettuali in quanto operano nella realtà secondo modi d'intendere e di volere, secondo una
filosofia e un'etica spontanea, e contribuiscono a modificare visioni del mondo e modi di
pensare. L'"homo Faber" presuppone necessariamente l'"homo sapiens". Il linguaggio stesso
presuppone un'attività intellettuale basata su una determinata concezione della realtà. Nella
società umana dove tutti sono quindi intellettuali vi sono alcuni che assumono storicamente
questo ruolo assumendone coscientemente la funzione. Gli intellettuali si possono infatti
distinguere in tradizionali, che sono quelli che elaborano la propria attività intellettuale al di
fuori degli schemi stabiliti dall'egemonia culturale preponderante e rifacendosi ai valori della
tradizione, e organici, quelli collegati organicamente alla classe dominante offrendo a questa
«funzioni organizzative e connettive», tali da permetterle la guida ideologica e culturale. Sono
al servizio del principe e ne giustificano ed esaltano il potere a cui essi si sentono associati e di
cui godono i vantaggi.)

L’importanza di Gramsci per lo studio della razza

Gramsci fece un’analisi più raffinata del fenomeno del razzismo. Egli però non era un “teorico
puro”, il suo non è un lavoro accademico “scolastico”, egli non tratta del razzismo o delle etnicità
in maniera tradizionale né analizza il colonialismo o l’imperialismo da cui sono emerse la
maggior parte delle esperienze o relazioni tipicamente razziste. Tuttavia, la sua personale
esperienza e le sue preoccupazioni non erano così lontane da questi problemi. Egli, infatti, nacque
in Sardegna nel 1891, una regione che si trovava in una relazione “coloniale” con l’Italia.
Gramsci era perfettamente consapevole della netta linea di divisione che separava il Nord in via
di modernizzazione e industrializzazione, dal Sud contadino, sottosviluppato e dipendente.
Contribuì ampiamente al dibattito sulla cosiddetta “questione meridionale”, mantenendo un
interesse costante per i rapporti tra città e campagna, contadini e proletari. Propone come titolo
per il giornale ufficiale del partito comunista, di cui era uno dei fondatori, “L’UNITÀ”. Era
interessato al problema delle possibili e complesse alleanze e relazioni tra i diversi stati sociali
per la fondazione di uno Stato italiano moderno.
Alcuni concetti chiave del lavoro di Gramsci sono: il suo attacco rigoroso a qualsiasi residuo di
economicismo e di riduzionismo all’interno del marxismo classico. Parlando di
“economicismo” si intende un preciso orientamento teorico che tende a ritenere l’economia
come unica struttura determinante della società. Questo approccio tende a interpretare tutte le
altre dimensioni della società solamente come dipendenti da quella economica, privi di alcuna
forza autonoma di determinazione. Tutto ciò ci porta ad un principio RIDUZIONISTICO
secondo cui la sfera economica è determinante in modo IMMEDIATO. L’ “economicismo” in
questo senso semplifica la struttura delle formazioni sociali, eliminando la complessità delle loro
articolazioni. Gramsci ha contestato fin dal principio questo economicismo e questo
riduzionismo.
Ma, quindi, come ha elaborato una più adeguata analisi delle formazioni sociali? Althusser,
fortemente influenzato da Gramsci, fa una distinzione critica tra modo di produzione (che si
riferisce ai rapporti economici propri di una società, che non bastano da soli per farla funzionare)
e le formazioni sociali. Con questa espressione si intende che le società sono strutturate in
maniera complessa con diversi livelli di articolazione (economia, politica, ideologia)che si
combinano tra di essi in modo differente e che in nessun modo si rispecchiano reciprocamente.
Ogni combinazione produce delle differenti forze sociali e dunque differenti sviluppi sociali.
Dunque la differenza sostanziale tra modi di produzione e formazioni sociali sta nel complesso
strutturarsi dei diversi livelli di articolazione.
Successivamente Gramsci distingue i movimenti storici organici destinati a penetrare
profondamente nella società e ad avere una lunga durata, e i movimenti occasionali immediati ,
quasi accidentali. Dunque, una crisi se è organica può durare anche per decenni. È in costante
movimento e caratterizzata da polemiche e contestazioni etc. nel tentativo di risolvere la crisi.
La durata e la complessità delle crisi non possono essere previste, si sviluppano su lunghi periodi
storici tra momenti stabili e cambiamenti. Gramsci si occupa dell’analisi dei rapporti di forza che
costituiscono il terreno effettivo dello sviluppo e delle lotte politiche e sociali e dice che le classi sociali pur
condividendo alcune condizioni comuni di esistenza, sono anche attraversate da interessi contraddittori e
“l’unità” di classe non è mai presupposta a priori.

Distingue diversi momenti relativi alle classi sociali:

1. il momento economico-corporativo in cui le classi riconoscono al loro interno alcune cose in


comune ma non hanno coscienza di una più vasta solidarietà di classe.
2. Il momento corporativo di classe in cui si sviluppa una solidarietà fondata sull’interesse fra i
membri di una classe, ma soltanto nel campo economico.
3. Infine, si ha il momento dell’egemonia che determina un’unità morale ed intellettuale nonché
economica e politica, creando l’egemonia di un gruppo sociale fondamentale su altri gruppi sociali
subordinati. E solo in questi momenti di “unità nazionalpopolare” che diviene possibile la “volontà
collettiva” non solo di tipo economico bensì anche intellettuale e morale e politica. Solo raramente
viene raggiunto questo momento in una società, e solo raramente persiste

Nei suoi ultimi scritti Gramsci fa un’importante differenza tra la classe che domina e quella che
dirige. Il dominio e la coercizione possono mantenere l’influenza di una particolare classe sulla
società, ma con una portata limitata. Un gruppo DOMINANTE non è in grado di ottenere la
partecipazione attiva di diversi gruppi sociali. L’azione della dirigenza, invece, è guidata dalla
conquista del consenso, dal farsi carico di interessi altrui, dal tentativo di diventare popolare.
All’interno di questa prospettiva Gramsci elabora il nuovo concetto di Stato Moderno che
esercita una funzione morale ed educativa, è il mezzo attraverso cui il blocco sociale dominante
non solo mantiene la sua supremazia ma conquista anche il consenso di coloro che governa.
Dunque non considera l’egemonia un qualcosa di cui impadronirsi , da rovesciare o spazzar via.
Inoltre Gramsci non si interessa mai soltanto al nucleo filosofico di un’ideologia bensì affronta
sempre l’aspetto pratico, quotidiano e del “senso comune” di essa, in quanto forma il terreno su
cui gli uomini si muovono e lottano. L’efficacia dell’ideologia può sedimentarsi solo se le
correnti filosofiche riescono a penetrare, modificare e trasformare la coscienza pratica e
quotidiana o il pensiero popolare delle masse. È così che si costituisce ciò che egli chiama
senso comune. Il senso comune è molto importante perché è formato dalle concezioni su cui si
forma la coscienza pratica delle masse. Gramsci, dunque, sostiene che ognuno di noi è un
filosofo o intellettuale quando pensa, perché ogni pensiero o azione o linguaggio rispecchiano un
tipo di orientamento morale e una particolare concezione del mondo. Ogni classe sociale, poi,
avrà consapevolezza e comprensione delle proprie condizioni di vita. Questo tipo di
comprensione sociale viene chiamata da Gramsci “il buon senso” dei gruppi e dei soggetti. Tale
capacità, tuttavia, richiede sempre un lavoro di educazione politica affinché avvenga
“l’innalzamento del pensiero popolare” che favorisca la nascita di una volontà comune, l’unità
intellettuale ed etica essenziale per la creazione di un’egemonia. In Italia manca, secondo
Gramsci, una cultura genuinamente popolare e nazionale capace di creare una volontà popolare
collettiva. Egli riconosce invece al Cattolicesimo la capacità di diventare in Italia un’autentica
forza popolare.
I veicoli principali di questo processo sono la cultura, le istituzioni educative e religiose, il
catechismo e la famiglia. Gli agenti fondamentali sono gli intellettuali, la cui responsabilità
specifica consiste nel far circolare e sviluppare a cultura e le ideologie, ma anche nell’ allinearsi
O con le idee già esistenti (intellettuali tradizionali) O con le idee delle forze popolari emergenti,
per cercare di elaborare nuove correnti di idee (intellettuali organici”). Le questioni collegate all’ideologia
non sono mai individuali bensì collettive. Non c’è mai una
singola ideologia dominante, si articola sempre attraverso posizioni politiche e sociali differenti,
non corrisponde sempre alla struttura delle classi sociali a cui appartiene. Le idee non nascono
spontaneamente in ogni singolo cervello ma si sviluppano, si rafforzano e si modificano
all’interno delle istituzioni dello stato e della società. Di conseguenza le ideologie non si
trasformano attraverso la sostituzione di una concezione del mondo con un’altra già precostituita.
Mutano invece grazie al rinnovamento e alla critica di un’idea già esistente. È un processo di
articolazione e dis-articolazione delle idee.
Come può la prospettiva gramsciana trasformare alcune teorie sul razzismo e sui fenomeni ad
esso collegati? Secondo Gramsci non esiste il razzismo bensì i razzismi, in quanto il fenomeno
del razzismo non è sempre uguale, è collegato sempre alla realtà storica in cui si sviluppa,
nonostante mantenga le sue caratteristiche principali. Il razzismo, le pratiche e le strutture
razziste si manifestano spesso in alcuni ma non in tutti i settori di una società .

ENCODING E DECODING:
Dicevamo all’inizio che il modello di Hall (encoding-decoding) nasce dalla polemica con il modello
informazionale della comunicazione, l’idea cioè che ci sia un messaggio che parte da un emittente e
arriva, così com’è, al destinatario come un passaggio di informazione. Per Hall invece il processo
comunicativo è, in qualche modo, una sorta di circolo. Il punto di partenza è quello della
produzione, che, come abbiamo visto, attiva un’operazione di codificazione (encoding). Il punto di
arrivo di questo processo, dalla parte opposta, è il momento del consumo, in cui avviene il
decoding: il programma viene decodificato.

Encoding: avviene attraverso le competenze tecniche del giornalista, dell’operatore, del montatore,
le loro conoscenze, sia di carattere generale (in altri termini, la loro posizione ideologica) che
relativamente al pubblico con cui cercano di comunicare (a seconda de tipo di audience). Quello che
bisogna subito sottolineare, e che spiega perché il processo comunicativo non è unidirezionale ma
piuttosto circolare, è che i professionisti della comunicazione (giornalisti, operatori, produttori,
direttori di testata o di rete etc.), non vivono isolati in un mondo distinto dall’universo sociale, ma
condividono l’universo sociale proprio con quel pubblico (audience) con cui cercano di comunicare.
Essi traggono temi, modalità argomentative, eventi, immagini dell’audience etc. proprio da
quell’universo sociale e culturale che condividono con i destinatari della comunicazione. In un certo
senso si può dire che l’audience, il pubblico, è sia fonte che ricevente dei testi televisivi.
Detto in altri termini, al momento dell’encoding l’emittente non soltanto definisce un testo, racconta
o mette in scena una storia, ma fornisce anche la chiave interpretativa che il destinatario o
l’audience deve utilizzare per rendere effettiva la comunicazione.

Decoding: è il lato opposto del processo comunicazionale. È il momento in cui i ricettori della
comunicazione (il pubblico, l’audience) riceve, comprende e interpreta il messaggio. Quello che
Hall tiene fortemente a sottolineare è che il momento del decoding è un momento distinto da quello
dell’encoding. Avviene in altri spazi (fisici, sociali, culturali) e talvolta in altri tempi (a parte i casi
delle dirette). La differenza fondamentale con il primo modello troppo lineare è che questo
momento del decoding, in quanto autonomo, non è interamente determinato dal momento
precedente, dall’encoding. E questo cosa significa? Significa che l’audience (il lettore o spettatore)
si trova a dover operare un’operazione analoga a quella dell’encoding, un’operazione di
decodificazione, applicando il proprio patrimonio di conoscenze, competenze, pensieri, pregiudizi,
“mappe della realtà” al testo o discorso.

IL ROSPO NEL GIARDINO: L’IRRUZIONE DEL THATCHERISMO NELLA TEORIA

Un evento importante nel 1979 è la vittoria alle elezioni di Margaret Thatcher la prima donna ad essere
primo ministro che guiderà un governo conservatore e adotterà politiche liberiste (politica che crede nel
libero mercato, vuole una presenza dello stato minimale, crede anche che il mercato si sregoli). La Thatcher
modifica il volto dell’Inghilterra che vive una crisi interna di identità, chiude tutto ciò che non è produttivo,
ignora i sindacati così avvia l’Inghilterra ad essere il primo stato occidentale che punta sulla finanza e
rinuncia all’industria manufatturiera. Politiche di privatizzazione, fine delle attività minerarie.
1982: guerre delle Falkland, isole al largo del sud dell’Argentina con una popolazione ridotta, da sempre
abitate da marinai, cacciatori di balene. Le Falkland diventano un pretesto per una giunta militare di
orientamento fascista che guida l’Argentina per risaldare il senso d’identità nazionale. L’Argentina attacca
l’esercito inglese che controlla le isole. La Thatcher invece di accettare l’occupazione delle Falkland da
parte dell’Argentina, manda la flotta inglese e riesce ad ottenere notevole successo a livello di politica
inglese tenendo le isole sotto il controllo del Regno Unito e risanando il forte nazionalismo diffondendo
un’ondata di patriottismo tra il popolo inglese.

Hall afferma che ciò che caratterizza il thatcherismo è il suo uso immaginario in contrapposizione alla
politica. L’ immaginario non intende solo la presentazione, ma anche la rappresentazione ideologica.
Thatcherismo è un termine coniato da Hall per riflettere sulle forze ideologiche e culturali dominanti
associate al governo Thatcher. Hall, analizza l’elemento che porta il thatcherismo al successo, le condizioni
in cui quest’ultimo è emerso e ciò che la sinistra avrebbe potuto imparare da tali condizioni. Il thatcherismo
non è una conseguenza inevitabile, ma una risposta da parte della destra ai cambiamenti globali all’interno
del capitalismo e della cultura.

Il thatcherismo conquista il partito conservatore e costituisce la forza politica radicalmente diversa dalle
precedenti, combinando elementi innovatori e della tradizione.

1. Il suo primo intento era quello di contestare e disarticolare il consenso corporativo


socialdemocratico che aveva governato fino a quel momento.
2. Il secondo: rovesciamento delle tendenze dominanti. La missione del thatcherismo si è fondata:
sulla ricostruzione di un blocco ideologico alternativo centrato sulla fede nel libero mercato,
individualismo possessivo e dottrina economica neoliberista. Voleva ricostruire da capo la vita
sociale britannica, rovesciando i rapporti di forza della classe operaia, e un ritorno
ai vecchi valori (englishness, patriarcato, famiglia e nazione).
Thatcherism= sostantivo che nasce dal nome di Margaret Thatcher, primo ministro inglese dal 1979 al 1992.
È diventato un modo di essere e di guardare la vita che va oltre la semplice connotazione
politica. È stata una novità anche per il modo in cui la Thatcher diventa la “iron lady”. I tories, partito alla
quale apparteneva, erano abbastanza prevedibili nelle scelte che facevano: la Thatcher riuscì a convincere
con le sue tesi gran parte della Working Class mettendo in atto dei valori che l’esperienza dell’Inghilterra
conosce nel secondo dopo guerra. Nasce un modo di pensare che è sostanzialmente una contraddizione
rispetto al concetto di cultura popolare, cioè a fronte di una Working Class Culture statica e per nulla ricca
di iniziativa, si cerca di incoraggiare l’iniziativa individuale, la competizione. Torna il libero mercato che
privilegia l’individuo che deve avere il diritto di arricchirsi. La Thatcher darà quindi la spinta ad un modo di
sentire che sarà il messaggio rivolto alle generazioni che punteranno ad uno Stato che rivaluta la famiglia, la
nazione etc.

Seguendo Hall parliamo di una Working Class che non si rinnova e non riesce a far valere i propri valori; Hall
non prende posizione, ci racconta una storia obbiettiva, non da addosso alla Thatcher. Con valori si intende:
le scelte di un governo che aiuti la Working Class che devono essere condivise, ci dev’essere assistenza
sanitaria gratuita ecc.; i valori secondo Thatcher sono diversi: massimo individualismo (ciascuno per sé
stesso contro gli altri), poco stato (risorse sanitarie ecc. il cittadino dev’essere in grado di permettersi tali
risorse e non deve aver bisogno della gratuità di questi servizi), modello di un imprenditore (impegno
nell’arricchirsi). Viene a mancare la dimensione della comunità che fino ad allora si rapportava con lo
stato. Nel momento in cui la Thatcher vince le elezioni, l’Inghilterra cambia volto, si ha un tentativo
dell’industria di adeguarsi ai protocolli più competitivi dell’UE; si ha inoltre un boom edilizio improvviso. Nel
caso della Thatcher si tratta di un appellativo ad una nuova forma di economia che deve penetrare anche
nel privato, c’è quindi un dinamismo a livello economico. C’è anche un bilancio che fa Hall: si tratta di
ricostruire la vita sociale britannica attraverso un ritorno ai vecchi valori, filosofie della
tradizione, l’Englishness, il patriarcato, la famiglia e la nazione, ma allo stesso tempo si cerca un
mercato libero e uno Stato forte. Hall fa una giusta osservazione, il mercato libero è una forza trainante
dal punto di vista economico però ha le sue ricadute a livello di cultura sociale, quindi, è difficile che un
mercato così dinamico possa riproporre un modello di famiglia come quello tradizionale. Un altro aspetto
che viene semplificato nell’ideologia della Thatcher è il fallimento sul fronte della disoccupazione. Non ha
risolto la disoccupazione ma (come dice Hall) era più interessata a tenere viva l’attenzione di chi la vota
(è la visibilità che conta più di quello che si è fatto o non fatto). Molti elettori del labor sono passati nelle file
del partito della Thatcher; la Gran Bretagna ha dovuto affrontare un decennio di recessione. Forza politica
populista “dalla parte del popolo”, mobilitazione dal basso e direzione disciplinata dall’alto. L’economia non
è stata rivitalizzata, non c’è stato un ritorno ai valori familiari tradizionali. Il potere della Thatcher si gestisce
su due piani: livello alto di specialisti che operano all’interno di istituti (studiare l’economia, le politiche
monetarie); livello basso, popolare, la Thatcher sarà l’idolo della stampa popolare dei tabloid. Vi fu un
mutamento della comunicazione con un nuovo linguaggio della politica meno complesso e con l’uso di
frequenti slogan o idee facilmente sintetizzabili. Nel cambiamento di comunicazione si arriva ad
un’ideologia che secondo Hall non si riproduce ma si rinnova (chi è al governo deve risultare allettante per
l’elettore). Anche l’ideologia deve cambiare e adattarsi per creare nuove forme di soggettività.

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