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Chiunque cagiona per colpa (c.p.43) la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a
cinque anni .
Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di
quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da uno a cinque anni.
Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più
persone (84), si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse
aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni dodici.
Giurisprudenza
Errore professionale
Ai fini della punibilità dell'errore professionale è necessaria e sufficiente la violazione della diligenza
comune, rapportata al grado medio di cultura e capacità professionale, o la violazione di norme
tecniche generalmente accolte in una data disciplina. (Applicazione in tema di omicidio colposo,
addebitato ad esercente la professione medica per negligenza e imperizia da assistenza a parto).
Prestazioni specialistiche
Ai fini della valutazione della colpa professionale nel caso di prestazioni mediche di natura
specialistica, effettuate da chi sia in possesso del diploma di specializzazione, non può prescindersi
dal considerare le cognizioni generali e fondamentali proprie di un medico specialista, non essendo
sufficiente il riferimento alle cognizioni, minimo di cultura e di esperienza, che si pretendano da un
medico generico; infatti il corredo culturale e sperimentale, richiesti dallo Stato per il conseguimento
del titolo di specialista, rappresenta una più consistente garanzia per il paziente e legittima
un'aspettativa di maggior perizia. (Fattispecie relativa a ritenuta omissione colposa addebitata a
specialista ostetrico il quale, praticata una iniezione per accelerare il parto, non aveva provveduto ad
essere presente e ad adottare i più opportuni ed efficaci accorgimenti terapeutici e di intervento, nella
specie, immediata isterectomia, nei confronti di partoriente provata da pregresse e complesse
gravidanze, deceduta per lacerazione spontanea dell'utero).
Condotta imprudente
In tema di responsabilità per colpa professionale sanitaria, il nesso di causalità tra la condotta
imperita, negligente o impudente del sanitario, che non abbia disposto cautele ed accertamenti
suscettibili di determinare un sollecito intervento chirurgico su di un infortunato, e l'evento mortale
che ne è seguito sussiste sempre quando tale intervento, anche se non avrebbe salvato con certezza il
ferito, aveva buone probabilità di raggiungere tale scopo. Infatti al criterio della certezza degli effetti
si può sostituire quello della probabilità di tali effetti (e dell'idoneità della condotta a produrli)
quando è in gioco la vita umana; pertanto sono sufficienti anche solo poche probabilità di successo di
un immediato o sollecito intervento chirurgico, sussistendo, in difetto, il nesso di causalità qualora
un siffatto intervento non sia stato possibile a causa dell'incuria del sanitario che ha visitato il
paziente.
In tema di responsabilità per colpa professionale sanitaria, il nesso di causalità tra la condotta
imperita, negligente o impudente del sanitario, che non abbia disposto cautele ed accertamenti
suscettibili di determinare un sollecito intervento chirurgico su di un infortunato, e l'evento mortale
che ne è seguito sussiste sempre quando tale intervento, anche se non avrebbe salvato con certezza il
ferito, aveva buone probabilità di raggiungere tale scopo. Infatti al criterio della certezza degli effetti
si può sostituire quello della probabilità di tali effetti (e dell'idoneità della condotta a produrli)
quando è in gioco la vita umana; pertanto sono sufficienti anche solo poche probabilità di successo di
un immediato o sollecito intervento chirurgico, sussistendo, in difetto, il nesso di causalità qualora
un siffatto intervento non sia stato possibile a causa dell'incuria del sanitario che ha visitato il
paziente.
Delitto colposo
In tema di responsabilità per delitto colposo nell'esercizio della professione medica, l'errore
penalmente rilevante non può configurarsi se non nel quadro della colpa grave, così come richiamato
dall'art. 2236 cod. civ., per cui deve trattarsi di errore inescusabile, derivante o dalla mancata
applicazione delle cognizioni generali e fondamentali dell'arte medica o nel difetto di quel minimo di
abilità e perizia tecnica che non deve mai mancare in chi esercita la professione sanitaria. L'errore
del medico specialista va però considerato con maggiore severità, poiché non si richiede al sanitario
solo quel minimo di cognizioni e l'abilità sopra indicati, ma quella conoscenza e quella particolare
abilità e perizia proprie di chi ha acquisito un titolo specialistico. (Fattispecie relativa a ritenuto
omicidio colposo per emorragia "post partum" dovuta ad errato tamponamento endouterino e ad
omessa isterectomia da parte di medico specialista in ostetricia e ginecologia).
Ai fini della colpa professionale dell'esercente una professione sanitaria non si richiede una grande
perizia, ma quel minimo che ci si deve attendere dall'esercente la professione medica. Nel caso di
medico specialista, invece, in considerazione della acquisita specializzazione, si deve richiedere con
maggiore severità l'uso della massima prudenza e diligenza.
Elemento psicologico
Ai fini della configurabilità della colpa professionale del sanitario, la limitazione alle ipotesi di colpa
grave prevista dall'art. 2236 cod. civ., è applicabile soltanto in sede civile e limitatamente alla colpa
per imperizia, e non può, invece, spiegare alcun effetto che importi una restrizione della disciplina
dell'elemento psicologico del reato. La sussistenza o meno di tale elemento può (e deve) essere
liberamente valutata dal giudice, ma una volta che il giudice l'abbia ritenuto accertato, in particolare
sotto il profilo della colpa per i reati punibili a tale titolo, il maggiore o minore grado di essa può
avere rilievo solo ai fini e nell'ambito della disciplina penale e mai, quindi, con efficacia
discriminante.
Causa sopravvenuta
La causa sopravvenuta interrompe il nesso di causalità, ai sensi dell'art. 43 cod. pen., quando sia
sufficiente da sola a causare l'evento. Sussiste pertanto il rapporto di causalità tra la condotta del
sanitario ed il decesso del paziente qualora il primo abbia prescritto al secondo un farmaco (lisozima)
potenzialmente idoneo a provocare uno shock anafilattico senza far precedere ed accompagnare la
somministrazione da idonei accertamenti circa la tollerabilità di esso da parte del soggetto cui deve
essere inoculato e senza adottare le cautele necessarie per prevenire e contenere gli effetti della crisi
anafilattica. In tal caso la circostanza che a praticare l'iniezione sia stata una persona non qualificata
non interrompe il rapporto di causalità fra la condotta del medico e l'evento letale verificatosi in
quanto l'iniezione non sarebbe stata effettuata senza la prescrizione del sanitario, effettuata con
imperizia e negligenza, ed il decesso non si sarebbe verificato se fossero state prestate tempestive ed
idonee cure.
Ai fini della punibilità dell'esercente la professione sanitaria, quando la condotta sia censurata per
imprudenza o negligenza, è sufficiente l'omissione della diligenza comune, rapportata, cioè, al grado
medio di cultura e capacità professionale, ovvero la violazione delle norme tecniche generalmente
accolte e pertanto risponde a titolo di colpa il sanitario quando non valuti le possibili conseguenze di
ogni suo atto e non riduca al minimo i rischi di ogni terapia e dei possibili interventi. Sotto il profilo
della negligenza sussiste perciò la responsabilità del medico che prescrive farmaci (nella specie,
Lisozima) potenzialmente idonei a determinare l'insorgere di crisi anafilattiche, senza effettuare le
prove necessarie per prevenire l'insorgere di fenomeni allergici potenzialmente mortali, e in
particolare la prova epicutanea, limitandosi a domandare al paziente se preesistano nel suo
organismo condizioni idonee a determinare reazioni allergiche.
La limitazione della responsabilità dei professionisti alle ipotesi di dolo o di colpa grave, ai sensi
dell'art. 2236 cod. civ. concerne soltanto l'errore dovuto ad imperizia e non anche l'errore
determinato da negligenza, incuria, imprudenza dato che essa è configurabile quando la prestazione
abbia richiesto la soluzione di "problemi tecnici di speciale difficoltà". Pertanto, quando la
responsabilità del professionista trova la sua origine nella carenza di diligenza o di prudenza, la
valutazione deve essere effettuata con riguardo alla natura dell'attività svolta con la conseguenza che
è rilevante anche la colpa lieve in quanto la diligenza da impiegare è quella dell'accorto
professionista, che eserciti, cioè, la sua attività con scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione.
Pertanto nel caso dell'esercente la professione sanitaria, qualora la prestazione sia di ordinaria
difficoltà, egli è tenuto ad osservare le regole dell'arte medica, relative alla malattia e alle sue cure,
che ogni medico deve conoscere e rispettare. (Fattispecie in cui il sanitario aveva prescritto al
paziente un farmaco (Lisozima), potenzialmente idoneo a provocare uno shock anafilattico, senza far
precedere ed accompagnare la somministrazione da idonei accertamenti e cautele, configurandosi in
tal modo la sua colpa, sotto il profilo dell'imperizia, per la sopravvenuta indicata conseguenza con
esito letale per il paziente).
Nesso di casualità
La causa sopravvenuta interrompe il nesso di causalità, ai sensi dell'art. 43 cod. pen., quando sia
sufficiente da sola a causare l'evento. Sussiste pertanto il rapporto di causalità tra la condotta del
sanitario ed il decesso del paziente qualora il primo abbia prescritto al secondo un farmaco
(Lisozima) potenzialmente idoneo a provocare uno shock anafilattico senza far precedere ed
accompagnare la somministrazione da idonei accertamenti e cautele circa la tollerabilità di esso da
parte del soggetto cui deve essere inoculato e senza adottare le cautele necessarie per prevenire e
contenere gli effetti della crisi anafilattica. In tal caso la circostanza che a praticare l'iniezione sia
stata una persona non qualificata non interrompe il rapporto di causalità fra la condotta del medico e
l'evento letale verificatosi, in quanto l'iniezione non sarebbe stata effettuata senza la prescrizione del
sanitario, effettuata con imperizia e negligenza, ed il decesso non si sarebbe verificato se fossero
state prestate tempestive ed idonee cure.
Colpa grave
Medico anestesista
L'art. 4 del D.P.R. 14 marzo 1974 n. 225 demanda agli infermieri professionali specializzati in
anestesia, tra l'altro, anche le mansioni di preparazione e controllo delle apparecchiature e del
materiale necessario per l'anestesia generale e di sorveglianza della regolarità del funzionamento
degli apparecchi di respirazione automatica e tali disposizioni sono applicabili anche agli infermieri
professionali che, benché non specializzati in anestesia, sono destinati specificamente alle mansioni
di fatto degli specializzati in anestesia. Sussiste, pertanto, la responsabilità di costoro per colpa nel
caso di somministrazione nel corso d'intervento chirurgico di protossido di azoto anziché di ossigeno
a causa dell'inversione d'innesto di tubi portanti i detti gas, anche se l'inversione è stata
materialmente effettuata da altri.
Ostetrico
In tema e materia di colpa professionale sanitaria, nell'ipotesi di parto per via vaginale in donna già
sottoposta in precedenza ad interventi cesarei (nella specie, due), lo specialista ostetrico non ha
l'obbligo, al fine di accertare l'eventuale rottura dell'utero, di procedere alla revisione manuale della
cavità uterina, poiché, non esistendo in materia metodi obbligatori di diagnostica, egli è libero di
scegliere quello che la sua preparazione professionale e la sua capacità gli consigliano.
(Applicazione in tema di omicidio colposo).
Omicidio colposo
E' responsabile di omicidio colposo il medico ostetrico che, per suturare una piccola lacerazione al
collo dell'utero, dopo aver praticato anestesia locale iniettando una dose di anestetico, che abbia
provocato nella paziente reazioni tossiche, non provveda ad ogni necessario intervento rianimativo
(nella specie, intubazione), che possa ripristinare la ventilazione polmonare ed il livello adeguato
della funzione arteriosa, e richieda tardivamente l'intervento dello specialista.
In tema di colpa professionale medica, la responsabilità del medico non può configurarsi nel quadro
della colpa grave richiamata dall'art. 2236 cod. civ., la quale si riscontra nell'errore inescusabile che
trova origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla
professione o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell'uso dei mezzi manuali o
strumentali che il medico deve essere sicuro di saper adoperare correttamente o, infine, nella
mancanza di prudenza o diligenza che non devono mai difettare in chi esercita la professione
sanitaria; per cui, dovendo la colpa professionale del medico essere valutata dal giudice con
larghezza di vedute e comprensione, l'esclusione della colpa professionale trova un limite nella
condotta del professionista incompatibile con il minimo di cultura e di esperienza che deve
legittimamente pretendersi in colui che sia abilitato all'esercizio della professione medica.
Ginecologo
In tema di delitto colposo commesso da professionista nell'esercizio dell'attività medica (nella specie,
ginecologica) correttamente il giudice di merito ravvisa l'elemento della colpa nell'aver il
professionista medesimo - una volta assunto, nella sua qualità di primario, il controllo
dell'andamento di un parto - lasciato la sala parto, affidando la paziente ad un suo assistente e
determinando così, con la sua negligenza, la morte del neonato.
In tema di colpa professionale del medico, si risponde di omicidio non soltanto quando si cagiona la
morte di un soggetto che avvenga istantaneamente, ma anche quando si determini l'anticipazione
dell'evento letale.
In tema di responsabilità per colpa professionale sanitaria, nella ricerca del nesso di causalità tra la
condotta dell'imputato e l'evento, al criterio della certezza sugli effetti della condotta si può sostituire
quello della probabilità di tali effetti (e dell'idoneità della condotta a produrli); il rapporto causale,
quindi, sussiste anche quando l'opera del medico, se correttamente e tempestivamente intervenuta,
avrebbe avuto non già la certezza, bensì soltanto serie ed apprezzabili possibilità di successo, tali che
la vita del paziente sarebbe stata probabilmente salvata.
Intervento in equipe
Quando, come nel caso di interventi operatori, il lavoro si svolga "in equipe", ciascun componente è
tenuto ad eseguire col massimo scrupolo le funzioni proprie della specializzazione di appartenenza.
Il medico anestesista è tenuto ad adempiere una serie di mansioni che rientrano nel suo preciso
ambito di competenza, tra le quali la trasfusione di sangue al paziente. Pertanto, quando l'anestesista
si avvalga di un collaboratore in funzione di ausiliario, sicché sia costui che materialmente effettua la
sostituzione di un precedente flacone esauritosi con altro pieno di sangue nuovo da trasfondere,
sussiste per l'anestesista l'obbligo di assicurarsi, prima che l'operazione trasfusionale riprenda con
l'immissione di ulteriore liquido ematico, che il tipo di sangue sia esattamente quello che è destinato
al paziente. (Fattispecie in tema di omicidio colposo).
Condotta ed evento
In tema di responsabilità per colpa professionale del medico, nella ricerca del nesso di causalità tra la
condotta dell'imputato e l'evento, al criterio della certezza degli effetti della condotta, si può
sostituire quello della probabilità, anche limitata, di tali effetti e dell'idoneità della condotta a
produrli. Ne consegue che il rapporto di causalità sussiste anche quando l'opera del sanitario, se
correttamente e tempestivamente intervenuta, avrebbe avuto non già la certezza, bensì soltanto serie
ed apprezzabili possibilità di successo, tali che la vita del paziente sarebbe stata, con una certa
probabilità, salvata. (Fattispecie in tema di omicidio colposo per tardiva diagnosi di infezione
tetanica in donna sottoposta a taglio cesareo. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso contro la
sentenza di condanna che aveva ritenuto il nesso causale tra la condotta omissiva e l'evento,
sussistendo la probabilità del 30 per cento che un corretto e tempestivo intervento medico avrebbe
avuto un esito positivo).
Errore di diagnosi
Mancato ricovero
Nel caso in cui la scienza medica assegni qualche speranza di salvezza al ricovero in ospedale e
nessuna al non ricovero, il sanitario, che si ispiri al cosiddetto modello di agente dal quale la
comunità si aspetta preparazione e oculatezza, non può non sfruttare quella speranza, vale a dire la
residua probabilità di salvezza, e, qualora non lo faccia, versa in colpa.
Intervento rischioso
E' ravvisabile colpa nel comportamento del sanitario il quale non si astiene da un intervento che la
comune cultura nel settore ritiene oltremodo rischioso e giudica utile solo in caso di certezza di una
determinata diagnosi, che non era in condizione di avere.
Colpa professionale
In tema di responsabilità per colpa professionale del medico, se può essere consentito il ricorso ad un
giudizio di probabilità in ordine alla prognosi sugli effetti che avrebbe potuto avere, se tenuta, la
condotta dovuta, qualora debba accertarsi il rapporto di causalità fra due avvenimenti concretamente
verificatisi (nella specie, anestesia, praticata con un determinato farmaco - l'Ethrane - e successiva
insorgenza di una crisi di mioglobinuria) è necessario che l'esistenza del nesso causale venga
riscontrata con sufficiente grado di certezza, se non assoluta (data la molteplicità dei fattori
normalmente presenti), almeno con un grado tale da fondare su basi solide un'affermazione di
responsabilità, non essendo sufficiente a tal fine un giudizio di mera verosimiglianza.
Ricovero intempestivo
In tema di responsabilità per colpa professionale medica, sussiste rapporto di causalità anche quando
l'opera del sanitario, ove correttamente e tempestivamente intervenuta, avrebbe solo avuto seria ed
apprezzabile probabilità di successo, potendosi al criterio della certezza degli effetti della condotta
sostituire quello della probabilità, anche limitata, e dell'idoneità della stessa a produrli. (Fattispecie in
tema di omicidio colposo consegnata e mancato tempestivo ricovero di paziente visitato
superficialmente nel reparto di pronto soccorso).
Il chirurgo capo equipe, fatta salva l'autonomia professionale dei singoli operatori, ha il dovere di
portare a conoscenza di questi ultimi tutto ciò che è venuto a sapere sulle patologie del paziente e
che, se comunicato, potrebbe incidere sull'orientamento degli altri. (Fattispecie in tema di omicidio
colposo di cui è stato ritenuto responsabile, insieme con l'anestesista, il chirurgo per non essersi egli
premurato di informare l'anestesista stesso delle condizioni cardiologiche del paziente).
Per la funzione della struttura ospedaliera, è da escludere che ciascun reparto da cui questa è
composta costituisca un'entità a se stante, implicante una divisione tale da impedire quella reciproca
comunicazione di notizie attinenti ai malati i quali vengano trasferiti da un reparto a un altro,
indispensabile soprattutto nei casi di urgenza, ai fini di una visione completa del quadro patologico
da prendere in considerazione. (Nella fattispecie, relativa ad omicidio colposo in pregiudizio di
ricoverato in ospedale che era stato trasferito dal reparto di chirurgia a quello di medicina generale,
era stato dedotto che le notizie annotate nella cartella clinica della divisione di medicina generale in
ordine al verificarsi di fatti concernenti il paziente accaduti nell'altro reparto non erano state riferite
al redattore della cartella da un sanitario del reparto di chirurgia al momento del trasferimento del
malato, ma erano frutto di supposizioni del redattore stesso).
Chirurgo ginecologico
La colpa del medico, che è una delle cosiddette colpe speciali o professionali, proprie delle attività
giuridicamente autorizzate perché socialmente utili anche se rischiose per loro natura, ha come
caratteristica l'inosservanza di regole di condotta, le "legis artis", che hanno per fine la prevenzione
del rischio non consentito, vale a dire dell'aumento del rischio. La prevedibilità consiste nella
possibilità di prevedere l'evento che conseguirebbe al rischio non consentito e deve essere
commisurata al parametro del modello di agente, dell'"homo eiusdem professionis et condicionis",
arricchito dalle eventuali maggiori conoscenze dell'agente concreto. (Nella specie, è stato ritenuto
responsabile della morte della paziente un medico chirurgo-ginecologo di rilevante esperienza
professionale, il quale, in presenza di emorragia da lacerazione di utero conseguente a parto, anziché
procedere a laparatomia accertativa dell'entità e localizzazione della lesione, effettuava direttamente
uno stipato tamponamento utero-vaginale che aveva reso irreversibile l'emorragia, potenziandola).
Primario
Il primario (nella specie, facente funzioni) di una divisione di chirurgia di un ospedale ha compiti di
indirizzo, di direzione e di verifica dell'attività diagnostica e terapeutica. A lui, pertanto, spettano le
scelte operative congruenti all'evoluzione della condizione nosologica della persona ricoverata.
(Fattispecie relativa a morte di una paziente per un versamento pleurico mal diagnosticato).
In tema di colpa professionale, sussiste responsabilità del medico che colposamente ometta un
intervento chirurgico necessario, quando anche esso non sia tale da garantire in termini di certezza la
sopravvivenza del paziente, se vi sia una limitata, purché apprezzabile, probabilità di successo,
indipendentemente da una determinazione matematica percentuale di questa.
Qualora all'interno di un ospedale vengano eseguiti lavori dell'impianto di erogazione dei gas
medicali e di anestesia afferenti ad una sala operatoria, l'obbligo di verificare il corretto
funzionamento del detto impianto, al fine di garantire la ripresa dell'attività chirurgica senza pericolo
per i pazienti in dipendenza dei lavori realizzati, incombe, oltre che sul responsabile tecnico
amministrativo della struttura sanitaria e sui soggetti ai quali è demandata la materiale esecuzione dei
lavori detti, sul primario ospedaliero responsabile del reparto di anestesia che deve, prima di
consentire la ripresa dell'attività nella sala operatoria, accertare, direttamente o delegando un medico
o un paramedico, che l'erogazione avvenga regolarmente. (Fattispecie relativa a decesso di paziente,
cui era stato somministrato nella fase di risveglio postoperativo potassiolo di azoto anziché ossigeno,
causato dal fatto che, nel corso dei lavori eseguiti nei giorni precedenti sull'impianto di erogazione
dei gas medicali e di anestesia, erano stati invertiti i tubi di derivazione afferenti alla sala operatoria
con conseguente inversione dei gas erogati dalle bocchette.
In tema di disciplina della ripartizione dei ruoli tra i medici operanti in una struttura sanitaria
pubblica, l'art. 63 del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, mentre attribuisce, al quinto comma, al
primario il potere d'impartire disposizioni e direttive e di verificarne l'attuazione nel rispetto
dell'autonomia professionale ed operativa del personale dell'unità assegnatagli (lasciando, quindi,
spazio all'autonomia professionale delle altre posizioni funzionali, nell'ambito - e con i relativi diritti
e doveri - di ciascuna qualifica funzionale), prevede, invece, al sesto comma, il potere di avocazione
da parte del primario (che elimina ogni autonomia delle altre posizioni funzionali, riservando ad esse
semplici compiti di collaborazione). Ne deriva, come ritenuto nella specie, che l'assistente, quando
non è stata disposta l'avocazione, è responsabile dell'evento conseguente ad errate iniziative da lui
prese nel corso della terapia, ancorché l'iniziale diagnosi effettuata dal primario fosse erronea.
Il libero professionista che sia chiamato o si rechi ad operare in una qualunque struttura sanitaria, a
prescindere da ogni rapporto di inquadramento o di altro rapporto privatistico liberamente contratto,
diventa automaticamente parte integrante della stessa, per il fine e il tempo connessi alla specifica
attività prestata, e ha l'obbligo di conoscere e di osservare le disposizioni impartite dalla direzione
sanitaria della struttura medesima, specie se trattasi di quelle afferenti al settore nel quale egli opera.
(Nella fattispecie, un sanitario, riconosciuto responsabile del reato di omicidio colposo in pregiudizio
di una donna alla quale aveva prestato assistenza nel parto, aveva dedotto che, come convenzionato
esterno, non fosse vincolato al rispetto del regolamento interno alla clinica privata secondo cui, in
caso di allontanamento da questa prima di un certo tempo, era obbligatorio delegare ad altri la
vigilanza sulla paziente).
In tema di attività professionale medica, deve ritenersi colposa per imperizia della condotta mediante
la quale non vengono osservate le "leges artis" scritte o non scritte finalizzate alla prevenzione non
del rischio consentito dall'ordinamento, commesso alle scelte tra interventi terapeutici, ma di un
ulteriore rischio non consentito nell'esercizio dell'attività stessa. Per quanto riguarda la misura del
rischio consentito, in mancanza di predeterminazione legislativa delle regole cautelari o di
autorizzazioni amministrative subordinate al rispetto di precise norme precauzionali, la valutazione
del limite di tale rischio resta affidata al potere discrezionale del giudice il quale dovrà tenere conto
che la prevedibilità e la prevenibilità vanno determinate in concreto, avendo presente tutte le
circostanze in cui il soggetto si trova ad operare ed in base al parametro relativistico dell'agente
modello, dell'"homo eiusdem condicionis et professionis", considerando le specializzazioni ed il
livello di conoscenze raggiunto in queste.
Cassazione Penale Sez. IV, sent. n. 2139 del 06-03-1997
Il medico ospedaliero che termina il suo turno di lavoro ha lo specifico dovere di fare le consegne a
chi gli subentra in modo da evidenziare a costui la necessità di un'attenta osservazione e di un
controllo costante dell'evoluzione della malattia del paziente che sia soggetto a rischio di
complicanze. (Fattispecie in tema di omicidio colposo).
Sol che si rifletta sul bene tutelato dal medico, la salute problematico (spesso nella realtà processuale, tuttavia,
umana, che prima di essere bene giuridico è bene anche questi sono di difficile accertamento), stabilire
essenziale, si scorge quanto sia importante ed insostituibile quando si è in presenza del cosiddetto "nesso causale", e
la sua attività e, d'altro canto, quanto possano essere quando si è in presenza della "colpa professionale", non è
travolgenti gli eventuali errori dallo stesso commessi. cosa di poco conto.
Se si aggiunge, poi, che la scienza medica non è una Con riguardo al nesso causale, l'Art. 40 c.p., stabilisce che
scienza esatta, e che la stessa è in continua evoluzione, si esso ricorre quando l' "evento dannoso", cioè la lesione
riesce a comprendere quanto sia importante e delicato che personale o la morte, è conseguenza dell' "azione od
il Legislatore e la Giurisprudenza individuino regole certe, omissione", cioè il trattamento o il mancato trattamento del
il primo, ed i giusti criteri di interpretazione, la seconda. medico.
Nello specifico, la responsabilità medica generalmente si Purtroppo quasi sempre la lesione personale, e/o la morte,
sostanzia nella possibile commissione di due delitti: sono cagionate da una serie di cause, non da una sola (in
l'omicidio colposo (Art. 589 c.p.), oppure le lesioni realtà questo vale per quasi tutti gli eventi empirici), per
personali colpose (Art. 590 c.p.). cui il legislatore si è trovato costretto ad enucleare delle
regole piuttosto diffcili da interpretare ed applicare che
Affinchè venga commesso uno dei delitti in parola è sono racchiuse nell'Art. 41 c.p., intitolato "concorso di
necessario che concorrano tutti i seguenti elementi: una cause".
azione od omissione del medico, la lesione o la morte del
paziente, il nesso causale tra il primo ed il secondo, ed E' proprio con riguardo al "concorso di cause del
infine la colpa del medico. rapporto di causalità" che dottrina e giurisprudenza si
sono trovate costrette ad occuparsi e, ancora oggi, si
Mentre l'accertamento dei primi due elementi non è occupano; le teorie degli studiosi di diritto, da una parte, e
teoricamente le soluzioni delle Corti, dall'altra, sono state numerose e
non sempre facilmente condivisibili.
Tale iter è identico per ogni cittadino, ma in tale sede ci riferiamo evidentemente al
Medico.
Il Processo Penale
I reati possono essere perseguiti d’ufficio (es.: omicidio colposo) o a querela di parte
( persona offesa, o parenti in caso di minore età o di decesso) entro 90 giorni dal fatto o
comunque dalla sua conoscenza.
La querela può sempre essere ritirata da chi l’ha presentata con conseguente chiusura del
procedimento penale ( il ritiro della querela, peraltro, deve essere accettato dal
querelato).
I reati più gravi che possono essere contestati al Medico sono certamente:
Oltre a questi possono più frequentemente interessare il Medico altri reati, quali quelli
concernenti l'interruzione di gravidanza ( Legge 194/'78), o il falso in atto pubblico ( art.
476 c.p.) come può accadere, ad esempio, per manomissione della cartella clinica, o
infine l'omissione di referto all'Autorità Giudiziaria (art. 365 c.p.).
Il Pubblico Ministero (PM) compie ogni attività di indagine per l’accertamento dei fatti.
Durante la fase delle indagini preliminari il PM può inviare al Medico indagato una
“Informazione di garanzia e informazione sul diritto di difesa” (artt. 369 e 369 bis c.p.p.),
con la quale lo informa circa l’ipotesi di reato per la quale si sta indagando e la data ed il
luogo del fatto; gli fa presente inoltre la facoltà di nominare un difensore di fiducia (non
più di due difensori), provvedendo nel frattempo il PM stesso a nominare un difensore
d’ufficio, e gli indica i diritti e le facoltà che la legge riconosce all’indagato.
Si fa presente che gli artt. 391 bis e 391 decies c.p.p. consentono al medico indagato di
far svolgere una attività investigativa anche a scopo difensivo.
1 chiedere l’archiviazione del procedimento ( art. 408 cpp), quando gli elementi
raccolti nelle indagini non sono ritenuti sufficienti a sostenere l’azione penale.
Sulla richiesta di archiviazione decide il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) il
quale può:
- accogliere la richiesta del PM ed emettere decreto di archiviazione
- respingere la richiesta del PM dandogli un termine per effettuare
ulteriori indagini
- respingere la richiesta del PM ordinandogli di formulare l’imputazione
entro 10 gg.
2 esercitare l’azione penale, formulando una imputazione precisa con uno dei
seguenti atti:
- decreto di citazione diretta in giudizio (in genere per i reati meno
gravi): il PM intima all’imputato di presentarsi davanti al Giudice alla data
fissata per lo svolgimento del processo.
- richiesta di rinvio a giudizio (per i reati più gravi): il PM inoltra al
Giudice per l’Udienza Preliminare (GUP) la richiesta di rinvio a giudizio, per
cui prima del processo vero e proprio si svolge la cosiddetta Udienza
Preliminare.
A conclusione della Udienza Preliminare il GUP può emettere:
- la sentenza di non luogo a procedere, se ritiene l’imputato palesemente
innocente o gli elementi in possesso del PM non idonei a sostenere l’accusa.
- il decreto che dispone il giudizio, se ritiene gli elementi raccolti dal PM
idonei a sostenere l’accusa.
Il dibattimento (artt. 465 e segg. c.p.p.) a seconda dell’entità del reato contestato dal
PM, può svolgersi:
Sono previste diverse fasi nel corso del dibattimento, quali l’interrogatorio della parte
offesa, di eventuali testimoni, dei consulenti tecnici del Giudice e delle parti,
dell’imputato, secondo tempi e modalità previsti dal codice di procedura penale che
prevede il contraddittorio tra le parti e il diritto di queste di portare tutte le prove ritenute
utili.
A sua volta la stessa sentenza della Corte d’Appello può essere soggetta ad impugnazione
(ma solo per motivi di legittimità, non nel merito) mediante un ricorso alla Corte di
Cassazione.
Al termine dei tre gradi di giudizio, o nel caso in cui la sentenza di primo e di secondo
grado non venga impugnata, l’ ultima sentenza pronunciata diventa definitiva ( “passa in
giudicato”) e non può essere più modificata, per cui la pena viene eseguita.
Il Processo Civile
- senza alcun accordo per cui si instaura il procedimento civile, dietro
domanda al Giudice competente.
Si rammenta che la fase extragiudiziale può non avvenire se la parte decide di adire
direttamente l’Autorità giudiziaria.
- chi è il soggetto che chiede il risarcimento del danno (parte attrice)
- quale Tribunale deciderà la causa (di regola quello del luogo di residenza
del Medico o della sede della struttura sanitaria)
- quali sono i fatti contestati, le norme di legge violate e le ragioni del
danno
- prima udienza di comparizione (art. 180 c.p.c.), in cui non è necessaria
la presenza personale delle parti che vengono rappresentate dai rispettivi
legali
- prima udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.), in cui è necessaria la
presenza personale delle parti per consentire al Giudice di ricevere eventuali
chiarimenti sui fatti e tentare la conciliazione della causa
- deduzioni istruttorie (art. 184 c.p.c.), fase che può articolarsi in più
udienze, (in alcune delle quali è opportuna la presenza della parte), nelle
quali vengono acquisite le prove richieste dai legali (prove documentali,
prove orali come l’interrogatorio del Medico e di eventuali testimoni,
consulenza tecnica d’ufficio e di parte).
- Decisione, una volta acquisite agli atti tutte le prove delle parti e le
rispettive comparse conclusionali il Giudice decide se c’è stata responsabilità
professionale e qual è il danno eventualmente risarcibile.
La parte che ha perso la causa può impugnare la sentenza e proporre appello al Giudice
di secondo grado (Corte d’Appello), e successivamente alla Corte di Cassazione, terzo ed
ultimo grado previsto
Responsabilità del medico, morte del paziente, omicidio colposo, nesso causale
Cassazione penale , sez. IV, sentenza 11.03.2009 n° 10819
Responsabilità del medico – morte del paziente – omicidio colposo – nesso causale –
precisazioni [art. 40 c.p.]
Ai fini dell'accertamento della penale responsabilità del medico per colpa omissiva , nella
ricostruzione del nesso eziologico, non può assolutamente prescindersi dall'individuazione di tutti
gli elementi concernenti la causa dell'evento: solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e
scientifici il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, è poi possibile analizzare la
condotta (omissiva) colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale e
verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l'evento lesivo sarebbe stato evitato
"al di là di ogni ragionevole dubbio”. (1-7)
(1) In tema di responsabilità del medico e consenso, si veda Cassazione penale, SS.UU., sentenza
21.01.2009 n° 2437.
(2) In materia di responsabilità del medico e trattamento sanitario necessario, si veda Cassazione
penale, sez. IV, sentenza 30.09.2008 n° 37077.
(3) Sul complesso tema della responsabilità del medico, si rinvia al Focus La responsabilità del
medico: conferme e novità giurisprudenziali.
(4) Sulla responsabilità della struttura sanitaria, si veda Cassazione civile, SS.UU., n. 577/2008.
(5) Sul problema della trasfusione di sangue e Testimone di Geova, si veda Cassazione civile
23676/2008.
(6) In materia di consenso incompleto del paziente, si veda Cassazione penale 11335/2008.
(7) Tra le pubblicazioni più recenti, si veda MARSEGLIA, VIOLA, La responsabilità penale e
civile del medico, 2007.
/ morte del paziente / omicidio colposo / nesso causale / medico / responsabilità medica /
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SEZIONE IV PENALE
Il Tribunale di Aosta condannava F.A. alla pena di mesi otto di reclusione per il delitto di omicidio
colposo in danno di S.P., ritenendo provata la penale responsabilità dell'imputato in ordine
all'addebito di colpa professionale mossogli in relazione alla sua attività di medico convenzionato in
servizio di Guardia Medica. Ad avviso del giudicante, il comportamento del dottor F. era stato
caratterizzato da imperizia e negligenza, nonchè violazione della L.R. Valle d'Aosta 20 agosto
1993, n. 70 e del codice deontologico approvato dal Comitato Centrale del Consiglio Nazionale
dell'Ordine dei Medici il 3 ottobre 1998, art. 3, avendo erroneamente valutato i sintomi relativi alla
S. - copiosa emorragia dalla vagina ed episodi di perdita di coscienza - quali riferitigli
telefonicamente da C.R., presso la cui abitazione la S. si trovava, ed avendo omesso, in
conseguenza di detta errata valutazione, di intervenire immediatamente o comunque nel più breve
tempo possibile nonostante i sintomi riferiti dal C. fossero tali da imporre un pronto interevento che,
se posto in essere, avrebbe evitato la morte della S..
Secondo la dinamica della vicenda, quale ricostruita dai giudici di merito, la mattina del **** erano
intercorse varie conversazioni telefoniche tra il C., il servizio "118" ed il F.: il C., nel descrivere i
sintomi lamentati dalla S., aveva evidenziato che costei, sua ospite, rifiutava qualsiasi intervento
sanitario o ricovero in struttura ospedaliera, e sarebbe di lì a poco rimasta sola in casa dovendo egli
allontanarsi per recarsi al lavoro; la Corte d'Appello evidenziava che il dottor F., alla fine di detto
iter telefonico, aveva acquisito la piena consapevolezza della gravità della patologia da cui era
affetta la S., ben superiore a quella inizialmente codificata, si era reso conto che avrebbe dovuto
convincere la paziente a sottoporsi alle cure mediche ed aveva infine avuto la certezza che senza un
suo intervento sul posto, ed una sua specifica richiesta, i responsabili del "118" mai avrebbero
inviato un'ambulanza presso l'indirizzo dove si trovava la S., posto che costei, pur necessitando di
un intervento urgente, aveva fatto sapere che rifiutava le cure.
Muovendo da queste premesse fattuali, la Corte distrettuale motivava il suo convincimento, circa la
ritenuta colpevolezza del F., con argomentazioni che possono così riassumersi: a) il F. si adagiò
sull'impegno assunto dal C. il quale, facendo anche trasparire il proprio fastidio per la presenza
della S. in quelle condizioni di salute presso la sua abitazione, aveva assunto l'impegno di cercare di
convincere la donna a non rifiutare assistenza e terapie adeguate, aggiungendo che si sarebbe fatto
sentire una volta acquisito il consenso della donna; b) il F. rimase inerte, nonostante il silenzio del
C. si fosse protratto per ore, e pur nella consapevolezza della gravità delle condizioni della donna
che sapeva essere rimasta sola in casa; c) il C. aveva comunicato verso le 19,30 l'avvenuto decesso
della S. ed il perito di ufficio aveva collocato l'ora della morte della donna intorno alle 15-15,30 di
quello stesso giorno; d) secondo quanto riferito dal perito stesso, un tempestivo intervento, entro le
4 o 5 ore successive alla prima chiamata, con terapia infusionale, e successivamente anche
trasfusionale, avrebbe avuto ottime probabilità di esito favorevole "quoad vitam"; e) le esaustive e
convincenti considerazioni del perito di ufficio rendevano superflua la nuova perizia sollecitata
dall'appellante.
Ricorre per Cassazione l'imputato deducendo vizio motivazionale in ordine alla ritenuta
colpevolezza con censure che possono così sintetizzarsi: a) alcun addebito poteva essere mosso al F.
posto che questi aveva compreso la gravità delle condizioni della S., si era attivato presso la
struttura sanitaria competente, non poteva abbandonare il servizio di cui era responsabile e non era
stato informato della mancata telefonata del C.; b) la Corte di merito avrebbe del tutto
apoditticamente disatteso le indicazioni del consulente della difesa sulla gravità della malattia della
S. e sulla ineluttabilità dell'evento, non fornendo adeguata motivazione circa la ritenuta idoneità
della terapia ipotizzata dal perito di ufficio a scongiurare l'evento, limitandosi, in proposito, ad
affermazioni apodittiche prive di concreti riscontri; c) proprio gli scarni elementi disponibili in
ordine al nesso di causalità, avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale ad accedere alla richiesta
difensiva di una perizia.
Il fatto in relazione al quale il F. è stato condannato per il reato di omicidio colposo risulta avvenuto
il ****; al F. sono state riconosciute le attenuanti generiche: per completezza argomentativa, mette
conto sottolineare che il giudizio di prevalenza operato già dal giudice di primo grado "sulla
contestata aggravante" (per come si legge nelle premesse della sentenza oggetto del ricorso) appare
in verità del tutto superfluo, posto che non è dato ravvisare nell'imputazione, quale riportata dalla
Corte d'Appello in sentenza, alcuna aggravante, non potendo considerarsi tale nè la violazione della
L.R Valle d'Aosta nè la violazione del codice deontologico: le uniche violazioni di legge che
rilevano, ai fini della configurabilità dell'aggravante prevista dall'art. 589 c.p., sono quelle della
normativa antinfortunistica e delle norme sulla circolazione stradale. Trattandosi dunque di reato
punito con pena edittale massima di cinque anni, ed avuto riguardo alla diminuzione per le concesse
attenuanti generiche, il termine massimo di prescrizione è pari a sette anni e mezzo, con termine di
prescrizione, quindi, al 7 gennaio 2009. Tuttavia, dagli atti si rileva che nel corso del giudizio di
primo grado vi fu un rinvio dall'udienza dell'11 marzo 2005 a quella del 13 maggio 2005 per
impedimento dell'imputato dovuto a motivi di salute, con conseguente sospensione del corso della
prescrizione per tale periodo (cfr. Sez. Un., n. 1021 del 28/11/2001 - dep. 11/01/2002 - Rv. 220509,
imp. Cremonese): di tal che, alla data odierna, la prescrizione (peraltro imminente) non si è ancora
verificata.
Ciò posto, va rilevata la fondatezza, nei termini che di seguito saranno precisati, del motivo di
ricorso concernente la ritenuta sussistenza del nesso causale tra la condotta dell'imputato stesso e la
morte della S..
Come detto, risultano invece fondate le doglianze relative alla ritenuta sussistenza del nesso
causale.
Per un corretto inquadramento della problematica relativa all'accertamento del nesso di causalità,
appare indispensabile soffermarsi preliminarmente, sull'evoluzione della giurisprudenza di
legittimità in materia, con specifico riferimento alla condotta omissiva in materia di colpa
professionale medica.
In epoca meno recente è stato talora affermato che a far ritenere la sussistenza del rapporto causale,
"quando è in gioco la vita umana anche solo poche probabilità di successo.... sono sufficienti" (Sez.
4, n. 4320/83); in altra occasione si è specificato che, pur nel contesto di una "probabilità anche
limitata", deve trattarsi di "serie ed apprezzabili possibilità di successo" (considerandosi rilevante,
alla stregua di tale parametro, una possibilità di successo del 30%: Sez. 4, n. 371/92); altra volta,
ancora, non aveva mancato la Suprema Corte di affermare che "in tema di responsabilità per colpa
professionale del medico, se può essere consentito il ricorso ad un giudizio di probabilità in ordine
alla prognosi sugli effetti che avrebbe potuto avere, se tenuta, la condotta dovuta..., è necessario che
l'esistenza del nesso causale venga riscontrata con sufficiente grado di certezza, se non
assoluta...almeno con un grado tale da fondare su basi solide un'affermazione di responsabilità, non
essendo sufficiente a tal fine un giudizio di mera verosimiglianza" (Sez. 4, n. 10437/93). In tempi
meno remoti la prevalente giurisprudenza di questa Corte ha costantemente posto l'accento sulle
"serie e rilevanti (o apprezzabili) possibilità di successo", sull'"alto grado di possibilità", ed
espressioni simili (così, Sez. 4, n. 1126/2000: nella circostanza è stata apprezzata, a tali fini, una
percentuale del 75 % di probabilità di sopravvivenza della vittima, ove fossero intervenute una
diagnosi corretta e cure tempestive).
Alla fine dell'anno 2000 la Suprema Corte,in due occasioni (Sez. 4, 28 settembre 2000, Musto, e
Sez. 4, 29 novembre 2000, Baltrocchi), ha poi sostanzialmente rivisto "ex novo" la tematica in
questione procedendo ad ulteriori puntualizzazioni. In tali occasioni è stato invero rilevato che "il
problema del significato da attribuire alla espressione "con alto grado di probabilità"....non può
essere risolto se non attribuendo all'espressione il valore, il significato, appunto, che le attribuisce la
scienza e, prima ancora, la logica cui la scienza si ispira, e che non può non attribuirgli il diritto"; ed
è stato quindi affermato che "per la scienza" non v'è alcun dubbio che dire "alto grado di
probabilità", "altissima percentuale", "numero sufficientemente alto di casi", voglia dire che, in
tanto il giudice può affermare che una azione o omissione sono state causa di un evento, in quanto
possa effettuare il giudizio controfattuale avvalendosi di una legge o proposizione scientifica che
"enuncia una connessione tra eventi in una percentuale vicina a cento....", questa in sostanza
realizzando quella "probabilità vicina alla certezza".
Successivamente (Sez. 4, 23/1/2002, dep. 10/6/2002, Orlando) è stata sottolineata la distinzione tra
la probabilità statistica e la probabilità logica, ed è stato evidenziato come una percentuale statistica
pur alta possa non avere alcun valore eziologico effettivo quando risulti che, in realtà, un certo
evento è stato cagionato da una diversa condizione; e come, al contrario, una percentuale statistica
medio-bassa potrebbe invece risultare positivamente suffragata in concreto dalla verifica della
insussistenza di altre possibili cause esclusive dell'evento, di cui si sia potuto escludere
l'interferenza.
E' stato dunque richiesto l'intervento delle Sezioni Unite in presenza del radicale contrasto che nel
tempo si era determinato all'interno della giurisprudenza di legittimità tra due contrapposti indirizzi
interpretativi in ordine alla ricostruzione del nesso causale tra condotta omissiva ed evento, con
particolare riguardo alla materia della responsabilità professionale del medico-chirurgo:
secondo talune decisioni, che hanno dato vita all'orientamento delineatosi più recentemente, sarebbe
necessaria la prova che un diverso comportamento dell'agente avrebbe impedito l'evento con un
elevato grado di probabilità "prossimo alla certezza", e cioè in una percentuale di casi "quasi
prossima a cento"; secondo altre decisioni sarebbero invece sufficienti "serie ed apprezzabili
probabilità di successo" per l'impedimento dell'evento. Le Sezioni Unite si sono, quindi,pronunciate
con la sentenza n. 30328 del 10/07/2002 (imp. Franzese), con la quale sono stati individuati i criteri
da seguire perchè possa dirsi sussistente il nesso causale tra la condotta omissiva e l'evento, e sono
stati enunciati taluni principi che appare opportuno qui sinteticamente ricordare: 1) il nesso causale
può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una
generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica -universale o statistica - si accerti che,
ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento "hic et nunc",
questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente
posteriore o con minore intensità lesiva; 2) non è consentito dedurre automaticamente dal
coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi
accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poichè il giudice deve verificarne la validità nel caso
concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del
ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti
giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata
condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o
"probabilità logica"; 3) l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio
sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile,
sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori
interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi
prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio; 4) alla Corte di Cassazione, quale giudice di
legittimità, è assegnato il compito di controllare retrospettivamente la razionalità delle
argomentazioni giustificative - la c.d. giustificazione esterna - della decisione, inerenti ai dati
empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, alle inferenze formulate in base ad
essi ed ai criteri che sostengono le conclusioni: non la decisione, dunque, bensì il contesto
giustificativo di essa, come esplicitato dal giudice di merito nel ragionamento probatorio che fonda
il giudizio di conferma dell'ipotesi sullo specifico fatto da provare.
Può dunque affermarsi che le Sezioni Unite hanno ripudiato qualsiasi interpretazione che faccia
leva, ai fini della individuazione del nesso causale, quale elemento costitutivo del reato,
esclusivamente o prevalentemente su dati statistici ovvero su criteri valutativi a struttura
probabilistica, in tal modo mostrando di propendere, tra i due contrapposti indirizzi interpretativi
sopra ricordati, maggiormente verso quello delineatosi in tempi più recenti.
L'articolato percorso motivazionale seguito nella sentenza Franzese, induce tuttavia a ritenere che le
Sezioni Unite, nel sottolineare la necessità dell'individuazione del nesso di causalità (quale
"condicio sine qua non" di cui agli artt. 40 e 41 c.p.) in termini di certezza, abbiano inteso riferirsi
non alla certezza oggettiva (storica e scientifica), risultante da elementi probatori di per sè
altrettanto inconfutabili sul piano della oggettività, bensì alla "certezza processuale" che, in quanto
tale, non può essere individuata se non con l'utilizzo degli strumenti di cui il giudice dispone per le
sue valutazioni probatorie: "certezza" che deve essere pertanto raggiunta dal giudice valorizzando
tutte le circostanze del caso concreto sottoposto al suo esame, secondo un procedimento logico -
analogo a quello seguito allorquando si tratta di valutare la prova indiziaria, la cui disciplina è
dettata dall'art. 192 c.p.p., comma 2 - che consenta di poter ricollegare un evento ad una condotta
omissiva "al di là di ogni ragionevole dubbio" (vale a dire, con "alto o elevato grado di credibilità
razionale" o "probabilità logica"). Invero, non pare che possa diversamente intendersi il pensiero
che le Sezioni Unite hanno voluto esprimere allorquando hanno testualmente affermato che deve
risultare "giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è
stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o
"probabilità logica".
Ciò detto, non resta ora che verificare se, nel caso che ne occupa, l'"iter" argomentativo seguito dai
giudici di seconda istanza - posto a fondamento del convincimento della responsabilità del dottor F.
- sia in sintonia con i principi di cui sopra affermati dalle Sezioni Unite. La risposta è negativa.
Il primo punto fermo che le Sezioni Unite hanno inteso ribadire - che peraltro ha rappresentato
sempre, a prescindere dall'indirizzo interpretativo di volta in volta seguito, il necessario presupposto
fattuale di partenza, ai fini dell'accertamento della penale responsabilità del medico per colpa
omissiva - è che, nella ricostruzione del nesso eziologico, non può assolutamente prescindersi
dall'individuazione di tutti gli elementi concernenti la causa dell'evento: solo conoscendo in tutti i
suoi aspetti fattuali e scientifici il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, è poi
possibile analizzare la condotta (omissiva) colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio
controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l'evento lesivo
sarebbe stato evitato "al di là di ogni ragionevole dubbio". Orbene, al riguardo la motivazione
fornita dalla Corte d'Appello di Torino con la sentenza impugnata - all'esame retrospettivo
demandato a questa Corte circa la logicità e razionalità delle argomentazioni giustificative addotte
dai giudici di seconda istanza a fondamento della propria statuizione - si presenta frammentaria,
incoerente, nonchè illogica.
Innanzi tutto, non risulta ben definito e chiarito, in tutti i suoi aspetti, il quadro complessivo delle
patologie, anche gravi, da cui era affetta la S., cirrosi epatica e pancreatite, specie per quel che
riguarda la prevalenza dell'una rispetto all'altra dal punto di vista della gravità "quoad vitam", e la
riferibilità del fenomeno emorragico all'una o all'altra.
La Corte d'Appello, ha ritenuto, alla fine del suo percorso argomentativo, di poter affermare la
sussistenza del nesso di causalità fondando tale giudizio sulle formulazioni del perito di ufficio
quali: "il rischio di morte poteva essere ridotto con buona probabilità nel caso di soccorso prestato
tra l'immediatezza della prima chiamata e le quattro o cinque ore successive e cioè anche dopo
l'ultimo colloquio intercorso tra l'imputato ed il C." (pag. 10 della sentenza); "l'emorragia era lenta,
non a fiotti, ed avrebbe potuto essere pertanto tamponata con ottime probabilità di sopravvivenza,
ove l'intervento fosse stato tempestivo" (pag. 14 della sentenza).
Dunque, la Corte distrettuale - dopo aver ricordato anche le considerazioni del primo giudice il
quale, sulla scorta delle indicazioni fornite dal perito di ufficio dott. D., aveva ritenuto di poter
affermare che una terapia infusionale iniziata in tempi giusti "avrebbe sicuramente evitato la morte"
(cfr. pag. 8 della sentenza d'appello) - non solo ha del tutto omesso di sviluppare adeguatamente i
concetti scientifici che, sulla scorta dei dati fattuali disponibili, avrebbero potuto suffragare il
convincimento così espresso dal Tribunale, ma, pur a fronte delle deduzioni dell'appellante, ha
affermato (nella stessa pag. 8, nonchè a pag. 10 della sentenza) la sussistenza del nesso eziologico,
avvalendosi delle conclusioni dello stesso perito di ufficio dott. D. caratterizzate, però, dal
riferimento a quei parametri e criteri di probabilità ("buone probabilità", "ottime probabilità")
ritenuti invece inidonei dal più recente, ma ormai consolidato, indirizzo interpretativo di questa
Corte avallato dalle Sezioni Unite;
indirizzo che, anche in questa circostanza, si ritiene di dover ribadire con piena condivisione. Per
confutare l'assunto difensivo, secondo cui allorquando il dottor F. fu contattato le condizioni della
S. avevano raggiunto un livello di gravità tale "da non consentire che l'intervento praticabile
dall'imputato potesse impedirne o anche solo apprezzabilmente posporne la verificazione", la Corte
di merito si è, infatti, come sopra già ricordato, così conclusivamente espressa: "...il perito di ufficio
ha evidenziato che il rischio di morte poteva essere ridotto con buona probabilità nel caso di
soccorso prestato tra l'immediatezza della prima chiamata e le quattro o cinque ore successive e cioè
anche dopo l'ultimo colloquio intercorso tra l'imputato e il C." (pag. 10 della sentenza). Alla stregua
di tutte le suesposte considerazioni, l'impugnata sentenza deve essere annullata, con rinvio, per
nuovo esame, ad altra Sezione della Corte d'Appello di Torino che terrà conto dei principi di diritto
e dei rilievi motivazionali di cui sopra.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte
d'Appello di Torino.