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Le Ragioni dell'Italia: una sola economia

L’attuale benessere del nostro paese ha la sua origine, quanto meno quella più recente, nel
cosiddetto miracolo economico che caratterizzò l’economia italiana e si concentrò tra il 1958 e il
1963 (anche se l’espansione economica era già iniziata nel 1951-52 e si prolungò poi, nonostante la
recessione del 1964-5, fino agli inizi degli anni Settanta).Tale miracolo fu reso possibile da un lato
dallo sviluppo capitalistico mondiale di quel periodo e dall’altro dalle particolari condizioni
dell’economia e della società italiana, prima fra tutte la presenza di un’estesa manodopera a basso
costo che consentì alle imprese italiane di essere fortemente competitive sui mercati internazionali.
Tale manodopera era costituita soprattutto da lavoratori del Mezzogiorno che lasciarono le loro
campagne per emigrare, con un esodo di eccezionali dimensioni (si calcola che tra il 1955 e il 1971
circa 9.000.000 di italiani, non solo ma prevalentemente del Sud, furono coinvolti in queste
migrazioni) verso le aree industriali del Nord. Fu una traumatica esperienza di sradicamento
aggravata dall’assenza di una politica organica di accoglienza dei nuovi arrivati.
In qualche modo si replicò il copione recitato nei decenni della prima industrializzazione
avvenuta a cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi quindici anni del Novecento. Le politiche
protezionistiche del tempo favorirono l’industria protetta settentrionale e danneggiarono i settori più
dinamici dell’agricoltura meridionale (le cosiddette colture specializzate).
In entrambi i casi il Sud venne sacrificato allo sviluppo del Nord industriale.
Ma da quando è esplosa la questione settentrionale e la Lega Nord si è imposta come
protagonista della vita politica italiana, questa ragione storica del benessere del Nord è stata messa
in secondo piano (e forse addirittura ignorata dalle giovani generazioni).
E si è diffuso invece un teorema sul Mezzogiorno (come lo chiama Gianfranco Viesti,
docente di Economia applicata all’Università di Bari e autore di pregevoli studi sulla questione
Nord-Sud): nonostante le ingenti risorse che nel dopoguerra sono state investite al Sud, il divario tra
le due aree del Paese non si è ridotto ed anzi si è ampliato; il motivo sta nel fatto che quelle risorse
vengono usate a fini clientelari e assistenzialistici dalle classi dirigenti meridionali. Spreco e
corruzione si direbbero fare un tutt’uno con il Sud, l’unica soluzione è “affamare la bestia”.
Viesti ritiene che tale teorema si fondi su di una indebita generalizzazione di casi
indubbiamente negativi (gli sprechi della regione Sicilia sono un must della pubblicistica
antimeridionalista del nostro Paese). I suoi studi si concentrano invece nel dimostrare, dati alla
mano, che: il divario Nord-Sud continua a rimanere stazionario (non diversamente da quanto accade
in Germania tra regioni ricche e regioni povere), l’intensità della spesa per lo sviluppo economico al
Sud è inferiore alla media nazionale, la spesa in conto capitale (pro capite) è inferiore, la spesa
straordinaria (i famosi Fas) a mala pena compensa la minore spesa ordinaria (e pochi sanno che,
della spesa per infrastrutture ferroviarie, tutta finanziata con fondi “straordinari”, solo il 15% viene
impiegata nel Mezzogiorno). Anche la spesa corrente è al Sud inferiore, così come la spesa sanitaria
pro capite; complessivamente accade lo stesso all’intera spesa previdenziale e assistenziale.
Negativo resta il giudizio sull’efficacia della spesa, che è mediamente inferiore nel
Mezzogiorno, bassa è la qualità media delle pubbliche amministrazioni locali. Gli elementi negativi
non mancano certo ma ciò che è insufficiente per valorizzare le risorse disponibili sono le
condizioni del contesto in cui i cittadini vivono e le imprese operano. Sono le politiche pubbliche
che possono incidere su quel contesto e sull’utilizzo quindi delle risorse: alcune politiche atterranno
ai livelli locali e regionali, ma altre attengono a decisioni nazionali.
Ciampi ancora nel 1998 ribadiva che la questione meridionale era centrale per la politica del
Paese (cosa a cui sembrano credere solo più la Banca d’Italia e la Conferenza Episcopale) nella
consapevolezza che il Mezzogiorno condivide gli stessi problemi dell’Italia, solo in forme spesso
più estreme. Non saper cogliere i problemi del Sud significa essere incapaci di comprendere le
difficoltà dell’intero Paese.
La logica che presiede al teorema sul Sud non è forse la stessa che si vorrebbe estendere a
tutto il Paese: meno tasse, meno Stato, meno servizi pubblici nazionali?
Viesti conclude un suo saggio con queste parole: “Piaccia o meno le scuole sgarruppate di
Scampia sono in Italia. Delle due l’una. O si cancella progressivamente l’Italia o si ricomincia a
pensare al futuro dei camorristi come un problema di tutti”.
La guerra del Nord contro il Sud deve essere sostituita dalla guerra del Mezzogiorno
“buono” contro quello “cattivo”, con il concorso di tutto il Paese.

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