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TESTO SUI DRUIDI

Gli aspetti della società gallica che Cesare pone in luce in questo testo sono legati soprattutto all’organizzazione
sociale e politica, con particolare attenzione alle pratiche e alle credenze religiose. Un posto di singolare rilievo
spetta in questa società alla casta dei druidi, che non trova equivalente nella realtà romana; essi infatti non erano
solo sacerdoti, ma detenevano ampie conoscenze amministrative e giudiziarie. Dotati di ampi privilegi sul piano
sociale ed economico, erano anche responsabili dell’educazione dei giovani che desideravano entrare a far parte
della categoria: il loro insegnamento comprendeva astrologia e astronomia, cosmologia, scienze naturali, teologia,
filosofia e addirittura epica. Tutti questi contenuti erano tramandati in versi per facilitarne la memorizzazione. Le loro
credenze hanno molte affinità con la dottrina di matrice pitagorica della metempsicosi, ossia la trasmigrazione delle
anime dopo la morte da un corpo all’altro. Il loro sapere non poteva essere affidato alla scrittura affinché rimanesse
segreta e non venisse divulgata a tutti. C’erano anche druidi cantori, che celebravano le gesta eroiche del loro popolo
e accompagnavano con il canto i guerrieri in battaglia; essi costituivano la memoria storica della comunità:
preservavano e tramandavano le antiche leggende, ma anche le vicende storiche e i valori morali. La loro funzione
può essere paragonata a quella dei rapsodi nella cultura greca arcaica. A fronte di tale raffinatezza culturale Cesare
non mancherà di sottolineare anche i costumi più raccapriccianti e primitivi della società gallica, come la diffusa
pratica dei sacrifici umani, che meglio di qualunque altra cosa poteva connotare i Galli come barbari incivili agli occhi
del lettore romano.

LA BATTAGLIA DI ALESIA

 Preparativi

52 a.C.: Cesare fa costruire intorno ad Alesia due serie di fortificazioni: la prima rivolta verso la città, la seconda, a
poca distanza, orientata all'esterno. Qui le capacità “ingegneristiche" dei Romani offrono uno degli esempi migliori:
palizzate, torri, valli e fossati, trappole di tutti i tipi cingono la duplice linea di difesa. Cesare stesso, coadiuvato dai
suoi abili luogotenenti, sposta di continuo le truppe concentrandole là dove giungono gli attacchi e le sortite. Per
giorni i combattimenti si susseguono alternando sortite da ambo le parti. Dopo giorni le sortite si intensificano fino a
giungere alla battaglia.

 Battaglia

Mentre gli uomini di Vercingetorige muovono contro i bastioni romani, Cesare concentra la fanteria nella zona
d’attacco e li respinge. Intanto la cavalleria ausiliaria sconfigge quella di Commio. Cesare muove di continuo le sue
coorti, opponendo in questo modo forze sempre maggiori a quelle nemiche, a costo di sguarnire le zone risparmiate
dagli attacchi. Dopo svariati scontri Vercassivellauno tenta un attacco con 55.000 uomini. Cade però nella trappola di
Cesare che lo prende sul fianco, mentre la cavalleria lo prende alle spalle. Così i Galli, scontro dopo scontro,
giungono alla resa.

 La triste fine di Vercingetorige

La fine di Alesia segnò la fine della resistenza e del sogno di libertà della Gallia unita. I soldati di Alesia furono fatti
prigionieri e in parte assegnati in schiavitù ai legionari di Cesare come bottino di guerra, ad eccezione di ventimila
armati facenti parte delle tribù degli Edui e degli Arverni, che furono liberati per salvaguardare l'alleanza dei due più
importanti popoli gallici con Roma. Vercingetorige fu rinchiuso nel Carcere Mamertino e nei sei anni successivi
rimase nell'attesa di essere esibito nella sfilata trionfale di Cesare, per poi essere strangolato una volta terminata la
processione, come era tradizione per i comandanti nemici catturati.

 La grandezza di Cesare come stratega militare

Per Cesare la vittoria di Alesia costituì il più importante successo militare, tanto che ancora oggi è considerato uno
degli esempi di strategia militare più importanti dell'intera storia dell'umanità, così come avvenne nel 48 a.C. a
Durazzo a cui seguì la fondamentale vittoria di Farsàlo nella guerra civile contro Pompeo. La conquista della Gallia fu
un evento epocale per la storia dell'Occidente. Roma, che sino ad allora era stata un impero mediterraneo, divenne
da questo momento la dominatrice dell'Europa transalpina.

 Un confronto tra Arte della guerra occidentale ed Arte della guerra orientale

L'arte della guerra è un trattato di strategia militare attribuito, a seguito di una tradizione orale lunga almeno due
secoli, al generale Sunzi, vissuto in Cina probabilmente fra il VI e il V secolo a.C. Si tratta
probabilmente del più antico testo di arte militare esistente (VI secolo a.C. circa). È composto da tredici capitoli,
ognuno dedicato ad un aspetto della guerra. Ebbe una grande influenza anche nella strategia militare europea. È un
compendio i cui consigli si possono applicare a molti aspetti della vita, oltre che alla strategia militare: ad esempio,
all'economia e alla conduzione degli affari.

 L’influenza di Cesare sull’arte della guerra

Sembra poi che molti grandi personaggi del passato, tra i quali Napoleone Bonaparte, Mao Zedong, Douglas
MacArthur, Benito Mussolini siano stati influenzati o abbiano tratto espressamente ispirazione dalla lettura dei
Commentarii di Cesare.

TRADUZIONE DEL TESTO: Conosciuto il suo arrivo dal colore del vestito, che era solito indossare come segno
distintivo nei combattimenti, e viste le squadre dei cavalieri e delle coorti, che (Cesare) aveva ordinato che lo
seguissero, dal momento che dalle alture si scorgevano queste posizioni sul pendio e nella valle, i nemici attaccano
battaglia.

Alzato il grido di battaglia da entrambi i lati, si eleva nuovamente un grido dalla palizzata e da tutte le fortificazioni.
Abbandonate le aste, i nostri combattono (affrontano l’impresa) con le spade.

La cavalleria è vista improvvisamente alle spalle; altre coorti si avvicinano. I nemici si danno alla fuga; i cavalieri si
recano incontro ai fuggitivi (a coloro che fuggono). Avviene una grande strage.

Sedullo comandante e capo dei Lemovici è ucciso; l’arveno Vercassivellano è catturato vivo in fuga (mentre fugge);
74 insegne militari vengono portate a Cesare; pochi in così gran numero si rifugiano nell’accampamento.

(I Galli), dopo aver visto la strage (osservata) e la fuga dei loro dalla cittadella fortificata, disperata la salvezza
(ablativo assoluto; temendo di non potersi salvare), ritirano le truppe dalle fortificazioni.

Udita questa cosa, si verifica (accade) immediatamente la fuga dei Galli dall’accampamento. Perciò (Il che, e -
correlativa) se i soldati non fossero stati stanchi per le frequenti azioni di soccorso e per la fatica di tutto il giorno,
avrebbero potuto annientarsi tutte le truppe dei nemici.

La cavalleria, mandata (che era stata mandata) a mezzanotte, raggiunge la retroguardia; un gran numero di nemici
viene catturato ed ucciso; i restanti in fuga si ritirano nelle loro città.

LA BATTAGLIA DI FARSALO

Il 9 agosto del 48 a.C. si svolge in Grecia, precisamente in Tessaglia, la battaglia di Farsalo, l’ultimo scontro tra Cesare
e Pompeo. La schiacciante vittoria di Caio Giulio Cesare segna la definitiva sconfitta di Pompeo e la fine della guerra
civile.
In una vasta pianura circondata da molte colline e situata in Tessaglia, presso Farsalo, i due eserciti vengono schierati
per la resa dei conti. La battaglia di Farsalo rappresenta un evento spartiacque per la storia romana: in essa, infatti,
non si decide solo il destino dei due comandanti supremi, ma anche quello della “Res publica romana”.

Schieramento e svolgimento
Cesare parte da una situazione di svantaggio: ha un esercito numericamente inferiore rispetto a quello di Pompeo
(ottanta coorti contro centodieci, per un totale di 22 mila uomini contro 35-40 mila) e si trova in un territorio a lui
poco noto e assai ostile.
Tra le fila avversarie regna, invece, la fiducia dopo l’energico discorso di Pompeo che sminuisce il valore e la forza
dell’esercito di Cesare. Quest’ultimo ha però un vantaggio che si rivelerà decisivo per le sorti della battaglia. Il
comandante della cavalleria di Pompeo è, infatti, Tito Labieno, che precedentemente ha combattuto con lui in Gallia
prima di passare al nemico. Labieno è abituato ad applicare una tattica che consiste nell’attaccare sul lato debole
dell’avversario per poi convergere verso il centro contro il grosso dell’esercito nemico.
Consapevole di ciò, Cesare stacca dal lato destro del suo esercito sei coorti di soldati e le posiziona come riserva; in
tal modo, separando le coorti dall’ala, oltre ad avere un’unità mobile pronta ad accorrere nel momento del bisogno,
egli mostra un finto lato debole, prevedendo che la cavalleria pompeiana gli andrà subito contro.
Durante la battaglia di Farsalo tutto va secondo le previsioni Cesare: Labieno muove subito la sua cavalleria
all’attacco del lato destro, mentre il grosso della fanteria di Cesare, guidato da Marco Antonio, attacca il centro dello
schieramento nemico, rimasto, per ordine di Pompeo, fermo ad aspettare la carica dell’avversario (tale disposizione
viene considerata successivamente da Cesare come un fatale errore tattico di Pompeo).
Quando la cavalleria di Labieno entra in contatto con l’ala destra dell’esercito di Cesare, questi lancia la riserva e
stringe i cavalieri avversari in una tenaglia: a quel punto l’unica possibilità di salvezza per Labieno e i suoi è la ritirata.
Marco Antonio, nel frattempo, manda all’attacco i propri fanti e il grosso dell’esercito di Pompeo, vedendo in ritirata
i cavalieri, cede terreno agli avversari. Con la ritirata di Labieno e il progressivo indietreggiamento del grosso del
proprio esercito, Pompeo considera perduta la battaglia e fugge insieme a tutto lo stato maggiore. In questo modo
salva la sua vita e quella dei suoi ufficiali, ma perde sul campo di battaglia circa
15.000 soldati.
Le truppe di Cesare, vittoriose sul campo, non danno tregua ai pompeiani. Il comandante conduce i suoi all’assalto
dell’accampamento avversario, difeso oramai soltanto da alcune coorti e qualche truppa ausiliaria. All’alba del
giorno seguente, i pochi pompeiani che ancora combattono si arrendono e chiedono pietà al comandante vincitore.
Cesare, con poche parole, scaccia ogni timore e li tratta con sorprendente clemenza, ordinando ai suoi che non sia
fatto agli avversari alcun male. Dietro tale decisione non c’è soltanto un atto di clemenza verso il nemico sconfitto,
ma è possibile intravedere un chiaro ed efficace strumento di propaganda politica.
Subito dopo la battaglia di Farsalo Pompeo si rifugia in Egitto nella speranza di trovare un posto sicuro alla corte di
Tolomeo XIV; va invece incontro ad un tragico destino.
Il faraone, infatti, temendo possibili ritorsioni da parte di Cesare, lo fa decapitare prima ancora che il generale
romano riesca a mettere piede sulla riva.

IL PASSAGGIO DEL RUBICONE


Rassicurato circa la disponibilità dei soldati, Cesare rompe gli indugi e varca il Rubicone; lo raggiungono i tribuni della
plebe, Marco Antonio e Cassio Longino, oltre che Lucio Cesare, il quale porta un messaggio personale da parte di
Pompeo: facendo riferimento ai rapporti di parentela e di amicizia che in passato l’avevano legato a Cesare, egli
afferma in sostanza di essere stato costretto, dal comportamento di Cesare, a passare sopra ai propri desideri
personali per difendere lo Stato. Nel momento in cui passa il Rubicone, Cesare pronuncia la celebre frase: ALEA
IACTA EST(“Il dado è tratto”).

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