LA RIFORMA
Il Protestantesimo prese spunto dal fervore che destarono le 95 tesi di MARTIN LUTERO, Teologo e
Accademico Tedesco, che affisse il 31 ottobre del 1517 alla porta del Duomo di Wittemberg nel nord-est della
Germania.
Lutero non riconosce il primato papale e l’autorità della chiesa, ribellandosi all’abuso delle indulgenze e
all’avidità del Clero.
La rottura con la chiesa di Roma portò, nel 1519, all’ideazione di un nuovo ordinamento del servizio liturgico
che si basava sulla partecipazione diretta al culto di tutta la comunità dei fedeli.
Lutero rese accessibili i testi religiosi e liturgici, nel 1522 tradusse la Bibbia dal latino al tedesco.
Lutero conosceva la musica teorica e pratica, suonava il liuto ed il flauto, era profondamente convinto che la
musica avesse la possibilità di toccare gli umani affetti e di elevare le menti, e che quindi fosse di primaria
importanza per l’educazione e per la fede.
Lutero attribuì un ruolo molto importante allo studio della musica nelle scuole riformate tedesche, tanto che
iniziarono ad essere stampati dei veri e propri opuscoli pratici destinati all’insegnamento elementare del canto e
della musica.
Poi, con l’aiuto di alcuni musicisti, tra cui JOHANN WALTER, si dedicò alla creazione di un repertorio di
Canti religiosi, la maggior parte rielaborazioni di melodie Gregoriane o profane preesistenti ma con testi
riscritti, anche dallo stesso Lutero, in tedesco; questi canti erano detti CORALI.
Una delle più ampie raccolte di corali viene compilata da J. Walter nel 1525 con la supervisione di M. Lutero ed
era destinata proprio al canto dei giovani oltre che al servizio di tutti, e grazie anche all’innovazione nell’ambito
della stampa vennero pubblicate molte raccolte di questi canti.
La loro caratteristica era che dovevano essere molto semplici per consentire una diretta partecipazione al culto
da parte dei fedeli, le linee melodiche venivano condotte con semplicità estrema, lo stile è in genere
OMOFONICO ( stessa nota ) e OMORITMICO ( stesso ritmo ), le frasi di questi corali sono molto regolari e
rimarcate, si procede per intervalli semplici con salti ristretti soprattutto di terze o per grado congiunto.
All’inizio della riforma le varie strofe dei corali venivano intonate solo dai fedeli e ma più tardi l’esecuzione
iniziò ad essere affidata a cori di professionisti.
Una delle pratiche più comuni era quella di alternare le varie strofe tra i diversi gruppi di esecutori, ad esempio,
un coro di professionisti e un coro dei fedeli, con l’organo ma anche con dei solisti.
LA CONTRORIFORMA
Le idee diffuse dalla Riforma di Martin Lutero avevano messo in serio pericolo l’unità e l’autorità della chiesa
di Roma; queste idee avevano reso consapevoli gli ambienti ecclesiastici del bisogno di trovare un senso di
interiorità e di rigore che era andato perduto.
La chiesa romana convocò così, tra il 1545 e il 1563, il famoso CONCILIO DI TRENTO;
fu scelta la città di Trento per la sua collocazione geografica, come se fosse il confine tra il nord e il sud
nell’Europa, tra Protestanti e Cattolici, oltre al fatto che si trattava della prima città di lingua italiana che si
incontrava scendendo dal Brennero e l’ultima risalendo da Roma.
Durante il Concilio di Trento vennero prese una serie di decisioni riguardanti anche l’ambito musicale della
liturgia; venne imposto il principio della separazione tra Sacro e Profano.
Con il Concilio ha fine il liberalismo della chiesa in ambito artistico, già nel 1543 era stata istituita la censura
sulla stampa e si vietò di collocare nelle chiese opere d’arte raffiguranti nudità o scene considerate indecorose;
si dovevano eliminare le incursioni di elementi mondani nel servizio liturgico, come per esempio di temi e di
modelli di parodia profani sia vocali che strumentali.
Il testo, la parola doveva essere posta al centro della liturgia e quindi era fondamentale la sua comprensione, la
parola non doveva essere oscurata da artefizzi contrappuntistici e all’uso contemporaneo di più testi.
Le 3 caratteristiche principali del Concilio di Trento in merito alla Produzione musicale riguardano:
- La Purificazione dell’elemento Gregoriano, che deve essere riportato alla purezza originaria;
- L’Abolizione di elementi Profani;
- La Comprensibilità del Testo.
Le decisioni emanate, però, in ambito musicale trovarono scarsa applicazione pratica sul piano stilistico, poiché
molti compositori continuarono a utilizzare linguaggi contrappuntistici elaborati e impiegavano spesso melodie
e modelli profani.
Moltissime messe continuano infatti a basarsi su modelli profani e semplicemente ne tacciono il nome, con un
“sine nomine”, d’altra parte vi era chi avvertiva la necessità di conformare veramente la polifonia sacra alle
esigenze di interezza e di spiritualità liturgica.
Il crescente impiego di temi Gregoriano purificati nelle composizioni polifoniche della seconda metà del ‘500
spinge i compositori a configurare delle melodie diatoniche e ad usare con estrema parsimonia dissonanze
inusitate, ma di fatto non ha dato luogo ad una nascita di uno stile ben definito; fu poi a Roma e a Milano dove
si cercò di adeguarsi alle direttive del Concilio.
LA SCUOLA MILANESE
A Milano, su invito del Cardinale Carlo Borromeo, il M° di Cappella Vincenzo Ruffo (1510 1587) dovette
creare delle opere di musica sacra caratterizzate dalla massima semplicità dell’impianto contrappuntistico.
- Abbiamo ascoltato di Vincenzo Ruffo il “Kirie Eleison” tratto dalla “Missa quarti toni”
[ Ricordiamo che la Messa è composta da Ordinarium= kirie- gloria- credo- sanctus e agnus dei, per tutte le
celebrazioni dell’anno, e dal Proprium= introito-salmi- graduale- communio- offertorio- ecc che variano a
seconda del periodo dell’anno].
LA SCUOLA ROMANA
A Roma operava GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA (1525-1594 ) che occupò una posizione
centrale nella storia della polifonia sacra del secondo ‘500, compose infatti più di 100 messe e più di 500
mottetti oltre a altre musiche di uso liturgico.
Palestrina è importante per l’influsso che la sua musica esercitò in quanto compimento dei nuovi ideali
religiosi e spirituali post conciliari sulla cerchia dei musicisti attivi a Roma in quella epoca.
La sua produzione è conosciuta per la levigatezza della trama polifonica, per il grande equilibrio dei mezzi
formali utilizzati, tanto da diventare il modello esemplare della scrittura contrappuntistica ciò che veniva
chiamato “lo stile alla Palestrina”, punto di riferimento obbligato nell’insegnamento della composizione.
Palestrina nacque a Palestrina vicino a Roma nel 1525, dove inizia la propria attività musicale come cantore in
S. M. Maggiore a Roma, la sua carriera artistica si svolse sotto il papato di ben 12 Papi, godette in particolare il
favore di Papa Giulio III, pontefice dal 1550 al ‘55 , che già conosceva in quanto era precedentemente stato
Vescovo proprio a Palestrina, e gli affiderà l’incarico di M° della Cappella Giulia in S. Pietro a Roma.
In San Pietro a Roma vi erano 4 importanti Cappelle:
- la Cappella Giulia, Cappella ufficiale della Basilica di S. Pietro che prende il nome da papa
Giulio II, non III, che gli assegna i fondi per mantenere i cantori provenienti dal luogo;
- la Cappella Sistina, Cappella molto importante, prende il nome da Papa Sisto IV, sia l’edificio
che il gruppo di cantori operanti alla sistina prendo il nome da Sisto IV, quest’ultimi provenienti
da tutta Europa, alla Sistina non avevano i “Pueri Cantores” bambini, le donne non erano a
messe, ma si servivano di adulti evirati per mantenere la voce acuta;
- la Cappella della Basilica di S. Giovanni Laterano e
- la Cappella Liberiana della Basilica di S. M. Maggiore.
Palestrina passò per tutte e 4 le Cappelle, Papa Giulio III gli affidò la Cappella Giulio II, poi gli affidata
incarichi nella Cappella di S. Giovanni Laterano dal 1555 poi a S. M. Maggiore nel 1561 e di nuovo a S. Pietro
dal 1571 fino alla sua morte.
La carriera di Palestrina si svolge quasi esclusivamente a Roma, di conseguenza il corpus musicale
Palestriniano fu scritto prevalentemente a Roma ad uso principalmente Liturgico.
Buona parte della sua produzione viene fatta risalire all’ultimo incarico a S. Pietro, nel 1571;
l’organico vocale era più vasto di altre chiese, vi erano 24 cantori e non si adottava l’uso di strumenti tranne per
l’organo, la locuzione a Cappella è applicata alle musiche coltivate in quest’epoca dalla scuola romana per
denotare una maniera di esecuzione esclusivamente vocale.
Il linguaggio polifonico di Palestrina, si basava sulla purezza vocale e sull’uso controllato del contrappunto, che
deve essere levigato; un certo numero delle sue “messe parodia”, cioè messe basate su modelli di
composizioni polifoniche preesistenti, rielaborate, basate su mottetti di autori francesi della prima metà del
secolo, si nota che i dettami del Concilio di Trento non vengono rispettati.
L’arte contrappuntistica di Palestrina mira alla comprensione delle parole e a una sonorità ordinata in modo da
evitare l’enunciazione simultanea di testi diversi, nelle linee melodiche è evidente l’influsso del canto
gregoriano, Palestrina cerca di applicare le prescrizioni del Consiglio.
Dal punto di vista del lavoro compositivo troviamo una equilibrata e calcolata condotta melodica delle
singole parti, per esempio quando abbiamo un movimento per salti difficilmente sarà seguito da un altro
salto intervallare ma sarà controbilanciato da un moto per gradi congiunti e viceversa, e nella direzione
opposta, per dare equilibrio alla composizione.
Rispetto alla produzione precedente deve essere rigorosa ed equilibrata se non che parsimoniosa anche
l’esecuzione delle dissonanze che a volte risultano dalla combinazione verticale delle parti vocali, sotto questo
aspetto le sperimentazioni dei madrigalisti non interessano nemmeno lontanamente a Palestrina, le dissonanze
devono essere preparate e poi risolte e il valore delle note dissonanti non deve mai superare quello delle note
consonanti di cui fanno riferimento, se presenti si trovano infatti sui tempi deboli di una misura magari come
note di passaggio, dal punto di vista dell’andamento ritmico del brano dipende dall’accentuazione elastica della
voci che si attengono all’accento verbale delle parole, in tutti questi brani, sia mottetti che messe, rimane una
dimensione autonoma della condotta delle voci che caratterizza la scrittura contrappuntistica di Palestrina.
Si può notare la dimensione autonoma della condotta delle voci nel brano “Agnus Dei” che fa quindi parte di
un Ordinarium di una messa “Missa eterna christi munera”.
Sono molto variegati e differenti i procedimenti compositivi che Palestrina adotta nella rielaborazione di
modelli preesistenti, delle sue 104 Messe 51 si basano su composizione Polifoniche le cosi dette
messe parodie, 34 si basano su temi Gregoriani e 11 su melodie profane nonostante il divieto del concilio,
normalmente il materiale preesistente viene citato da Palestrina senza modificazioni e poi viene trasformato
spostandosi sempre di più dal modello originale, questo parlando delle Messe;
Nei Mottetti fa raramente uso di melodie preesistenti e sono per lo più costruiti su temi propri, diciamo che le
risorse della scrittura contrappuntistica sono poste al servizio della chiarezza e aderenza espressiva del testo.
Alle richieste del Concilio di Trento di tornare alla semplicità del Gregoriano, in opposizione alla complessità
polifonica già nel 1538 il Vescovo di Modena proibì l’esecuzione di musiche
polifoniche nella sua cattedrale e la controriforma seguì questo tipo di atteggiamento tanto che
nacque una leggenda riguardante la “Missa Papae Marcellis” di Palestrina, che diceva:
-si narrava che il Concilio di Trento avesse l’intenzione di abolire del tutto la polifonia, venuta a conoscenza di
ciò Giovanni Pierluigi Da Palestrina compose in tutta fretta una messa la Missa Papae Marcelli dedicata a
Papa Marcello II, facendola ascoltare ai padri conciliari, la messa fu giudicata cosi bella ed in essa il sacro
testo trattato in maniera cosi rispettosa che Papa e Vescovi non se la sentirono di proibirne la diffusione;
tuttavia si tratta di una leggenda perché fu composta dopo il concilio di Trento, nel 1562 ed è scritta in modo
che si percepiscono agevolmente le parole, Palestrina dimostrò che tramite la polifonia si può rappresentare in
maniera chiara e”semplice” il messaggio di un testo.
Dal punto di vista musicale le caratteristiche della musica di Palestrina sono che la sua costruzione è
molto equilibrata con la finalità di rendere il testo comprensibile.
Tra i compositori della cerchia romana che colsero il rigore tecnico del contrappunto di Palestrina, vanno
ricordati i suoi discepoli tra cui Giovanni Maria Nannino, Francesco Soriano e Felice Amerio, ma il
compositore che è stato anch’esso allievo di Palestrina e che diventò celebre è stato lo spagnolo TOMAS LUIS
DE VICTORIA, che da giovane si è formò a Roma sotto la guida di Palestrina, tornò poi, nel 1587, in Spagna.
Victoria, ci ha lasciato un repertorio molto meno ampio, solo 20 Messe contro le oltre 100 di Palestrina, lui
riteneva che la musica non fosse un’invenzione dell’uomo ma che piuttosto rappresentasse un’eredità dello
spirito divino e che il compositore era solo un tramite.
Le opere di Victoria vennero tutte stampate e ebbero un’ampia diffusione in tutta Europa, in queste
composizioni è evidente l’intento dell’autore di subordinare la raffinatezza contrappuntistica alla resa del senso
spirituale del testo, tanto che il flusso polifonico viene interrotto da momenti in stile omofonico con ripetizioni
di note, per mettere in evidenza vocaboli o frasi del testo, quindi la musica finalizzata ad enfatizzare le parole
del testo ma non esita a far ricorso, in maniera frequente, a salti melodici abbastanza ampi ed a utilizzare alcuni
cromatismi sempre per servire il contenuto emotivo del testo; stesso senso di equilibrio e chiarezza di Palestrina
ma con una maggiore espressività, molto diverso comunque dai compositori franco-fiamminghi.
LA SCUOLA VENEZIANA
I maestri che operavano a Venezia ponevano al centro del loro interesse l’ideazione di uno stile musicale
discontinuo e composito, fondato soprattutto dal contrasto di colori timbrici e sonori sia vocali che strumentali,
si sfrutta il raggruppamento sonoro di cori differenti con una tecnica chiamata POLICORALE o dei “CORI
SPEZZATI” che è presente in area Veneta fin dagli inizi del ‘500, tant’è che questa pratica faceva da tempo
parte intrinseca della tradizione musicale veneziana in particolare della Basilica di S. Marco.
L’utilizzo di questa tecnica fu probabilmente sollecitato dalla struttura e architettura interna della Basilica di S.
Marco dove sono presenti due cantorie apsidali, una opposta all’altra, che accolgono due cori, in più la
magnificenza sonora di queste musiche policorali servivano come decoro per le numerose feste di stato
politiche-religiose della Venezia di all’ora città ricca e assai fiorente, vale la pena ricordarsi che la liturgia della
Basilica di S. Marco era rimasta indipendente anche durante l’epoca della controriforma dalla chiesa di Roma.
Il principio del contrasto sonoro veniva sfruttato anche in precedenza nella musica di ascendenza
franco-fiamminga ma in maniera non così sistematica come in quella della musica della scuola Veneziana, nella
tradizione franco-fiamminga si possono trovare episodi di contrappunto imitativo contrapposti ad alcuni passi
in stile omofonico, oppure momenti in cui viene mantenuta una compagine vocale ridotta, due-tre cantanti per
esempio, su un brano in cui in realtà sono previste quattro-cinque voci, mentre nelle composizioni veneziane
sono i registri e i timbri diversi delle voci e degli strumenti a istituire l’elemento essenziale che determina questi
contrasti, quindi abbiamo un’attenzione ed un gusto del colore abbastanza inedito per l’epoca.
Nell’edificio della Basilica la posizione stessa dell’organico musicale è pensato per mettere in evidenza le
qualità limpide e penetranti delle voci dei soprani e dei contralti contro i colori più scuri e cupi delle voci basse,
dei tenori e dei bassi, e cosa nuova rispetto alla scuola romana era prevista la partecipazione di gruppi di
strumenti che potevano alternarsi o mescolarsi ai cori e ai solisti ma che raramente venivano espressamente
indicati nella partiture prima della pubblicazione delle “Sacre Sinfonie” di Giovanni Gabrieli nel 1597 in cui
per la prima volta vengono specificati gli esatti strumenti da utilizzare.
Gli strumenti con un registro acuto come il violino o l’organo nell’acuto, sostenevano le voci alte mentre i
tromboni o i cornetti gravi medioevali ( strumenti in legno ) sostenevano le voci gravi del coro e rispetto alla
scrittura romana abbiamo una maggiore semplicità dell’andamento delle voci che serve a mettere in rilievo il
ritmo delle note, mai prima d’ora il ritmo prodotto dalle voci e l’intensificazione del volume sonoro avevano
reso in modo cosi grandioso il messaggio del testo.