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Gianni Ferracuti

Profilo storico
della
Letteratura spagnola
MEDITERRÁNEA
Scritture di frontiera tra identità e modernità

Quaderni della Cattedra di Letteratura Spagnola


Facoltà di Lettere
Università di Trieste
a cura di Gianni Ferracuti.
Tutti i diritti riservati © 2007
Il romanticismo

Quadro storico

La rivolta di Aranjuez del 1808, una sollevazione popolare ben sfruttata da


alcuni gruppi aristocratici, provoca la caduta di Godoy e l'abdicazione di Carlos
IV in favore di Fernando VII. Napoleone si inserisce nella situazione e assegna il
trono a suo fratello, contando sull'appoggio della parte francofila della classe
dirigente spagnola, che aspira a una monarchia costituzionale (verrà promulgata
la Costituzione di Bayona). In questa situazione si assiste all'intervento nel campo
della politica delle masse popolari: si tratta di una novità importante, che nel
tempo porterà a radicali cambiamenti nelle forme della politica e della
partecipazione, anche se al momento le masse sembrano in grado di pesare, ma
non di controllare gli eventi. Il Paese, ad ogni modo, risulta diviso in due parti,
una occupata dai francesi, e l'altra riorganizzata da sostenitori della monarchia
legittima, e tra queste scoppia la cosiddetta guerra d'indipendenza.
Lo schieramento detto patriottico ha una forte base popolare, per ragioni
ideologiche e religiose, essendo il popolo ostile ai francesi, portatori degli ideali
laici della rivoluzione del 1789, che le masse capiscono poco; inoltre può contare
sull'appoggio di eminenti intellettuali e politici che, pur non essendo
tradizionalisti, credono, come Jovellanos, che la costituzione della Spagna non
debba nascere a tavolino, ma debba fondarsi sull'esperienza storica del Paese e
sul recupero di antiche istituzioni civili che limitino il potere monarchico. Invece
i sostenitori di Bonaparte, prevalentemente borghesi, detti afrancesados,
difendono la costituzione di Bayona. Di fatto la situazione è caotica. La parte,
diciamo così, reazionaria, ha come sua arma principale una straordinaria
guerriglia popolare, spontaneista e, per certi versi, persino democratica; la parte,
diciamo così, progressista, fa solenni gesti di principio, come proclamare la
libertà di stampa e abolire l'inquisizione, senza che nel paese reale cambi
alcunché. Complice anche l'intervento inglese, Fernando vince la guerra e torna
sul trono, restaurando l'assolutismo, con l'appoggio dell'esercito, che fa il primo
pronunciamiento della storia spagnola moderna.
Il periodo che segue è nero e torbido: da un lato una politica del pugno di
ferro, portata avanti dal governo; dall'altro, stante anche il permanere di una crisi
economica di vaste proporzioni, uno stato di guerriglia continua fuori dalle città,
alimentata da contrabbandieri e contadini affamati. L'inquisizione viene di nuovo
legalizzata e, per giunta, si dà vita a una polizia segreta. I gruppi liberali rimasti,
quasi tutti in segreto, non sanno organizzare cospirazioni efficaci. Nel 1820 il
pronunciamiento di un ufficiale liberale, Rafael del Riego, appoggiato da vari
gruppi di insorti, obbliga Fernando a ristabilire la costituzione promulgata nel
1812 dal Bonaparte, dando inizio al cosiddetto triennio liberale. Che poi di
liberale aveva poco, a giudicare dal numero delle forche, che spingono le masse
popolari verso le braccia della reazione. La sconfitta e il ritorno al potere di
Fernando VII avviano ciò che è stato chiamato la década ominosa (1823-1833).
Nel frattempo, a seguito dei nuovi equilibri mondiali sanciti dalla dottrina
il romanticismo 385

Monroe del 1823, la Spagna perde il suo impero d'oltremare, diventando una
piccola e marginale potenza europea.
A seguito di una politica non certo popolare, Fernando perde anche l'appoggio
di una parte dei settori realisti, e questo si rivela della massima importanza nello
scoppio della questione dinastica legata alla sua successione. In base alle leggi
vigenti, l'erede al trono di Fernando è suo fratello Carlos María Isidro. Ma nel
1829 la regina María Amalia muore, e Fernando si sposa in seconde nozze con
María Cristina di Borbone, da cui ha due figlie, Isabel e Luisa Fernanda. La
successione era regolata dalla legge salica promulgata nel 1713, che escludeva le
donne. Questa legge era stata revocata dalla costituzione del 1812, e rimessa in
vigore successivamente: in realtà era diventata il tema di uno scontro politico,
stante anche il fatto che Fernando si era riavvicinato alla Francia, mentre Carlos
manteneva una posizione antirivoluzionaria. Alla fine l'abolizione della legge
salica avviene seguendo una procedura illegittima: alla morte di Fernando, viene
proclamata come erede al trono Isabel, con la reggenza della madre María
Cristina, e i sostenitori di Carlos, i carlisti, contestano la legittimità della
successione e passano all'opposizione armata, dichiarando la prima delle guerre
carliste (1833-1840).
Questo conflitto, che in pratica attraversa tutto il secolo, ha radici molto
complesse. Da un lato vi è un evidente contrapposizione ideologica: c'è uno
schieramento grosso modo liberale e filofrancese contro uno schieramento
tradizionalista. Ma dall'altro lato c'è la complessità del tradizionalismo rurale
spagnolo, che include tra i suoi principali valori la difesa del sistema tradizionale
di autonomie, una politica anticentralista e un'acuta attenzione al problema
sociale, soprattutto riguardo alle campagne: con i carlisti erano schierati i piccoli
proprietari terrieri, i mezzadri, i braccianti, gli operai urbani e il clero rurale (l'alto
clero era a favore del governo), la bassa nobiltà, soprattutto nei Paesi Baschi.
La guerra provoca una serie di sconvolgimenti politici nel governo e nel 1840
la reggente María Cristina va in esilio. Segue un triennio di reggenza di
Baldomero Espartero, durante il quale avvengono novità importanti, come la
nascita di un movimento repubblicano, la formazione di associazioni operaie di
mutuo soccorso e l'insurrezione repubblicana di Barcellona, città che viene
bombardata. Espartero viene sostituito dal generale Ramón María de Narváez,
con cui inizia il cosiddetto decennio moderato. Isabel viene proclamata, con
anticipo, regina (Isabel II) e si riprende il tentativo di centralizzare lo stato
spagnolo. Si forma un nuovo blocco sociale tra nobiltà, borghesia e Chiesa. Non
cessano tuttavia i disordini interni e le lotte, ormai di chiaro segno ideologico, tra
progressisti e conservatori. Nel 1868 la Spagna è in preda alla rivoluzione.
La rivoluzione del 1868 mette fine al regno di Isabel, proclama il suffragio
universale e promulga una costituzione che garantisce molti diritti individuali,
aprendo la strada alla diffusione di partiti socialisti e anarchici. Sul trono viene
chiamato Amedeo di Savoia, mentre riprendono le ostilità dei carlisti. Amedeo
rinuncia al trono, e si ha un'effimera fase repubblicana, cancellata da un
intervento dell'esercito, un vero e proprio golpe che restaura la monarchia
(Alfonso XII) e cerca di recuperare un minimo di legalità. Il governo, guidato da
Antonio Cánovas del Castillo, tenterà di realizzare un liberalismo minimo,
386 il romanticismo

compatibile con lo stato del paese, confermando le libertà di espressione, di


associazione e di stampa. Però le questioni fondamentali restano irrisolte. Nel
1897 Cánovas viene assassinato e l'anno successivo un lungo contenzioso con
Cuba, che aspirava alla sua autonomia, viene risolto dall'intervento della marina
statunitense e l'ignominiosa sconfitta della flotta spagnola: è ciò che passerà alla
storia come il desastre, la perdita degli ultimi possedimenti spagnoli oltremare.

Il romanticismo

Il termine romantic, nell'Inghilterra del Seicento, indica gli elementi fantastici


della letteratura cavalleresca e ha un senso dispregiativo: "romantico" equivale a
irreale, assurdo. Nel Settecento il significato del termine si amplia, soprattutto
quando viene introdotto in Francia, dove diventa sinonimo di pittoresco:
l'accezione diventa positiva, in riferimento a paesaggi selvaggi e incontaminati,
allo stato d'animo che essi suscitano, e più in generale all'emozione di fronte al
mistero, al passato lontano e idealizzato, al sentimento. Agli inizi dell'Ottocento
in Germania si diffonde l'uso dell'aggettivo Romantisch e del sostantivo astratto
Romantik, che corrisponde a romanticisme, romantisme, romanticismo. Questo
nuovo termine si riferisce a una sensibilità complessa e multiforme, che ha come
primo elemento di definizione il fatto puro e semplice di distinguersi dalla
sensibilità classica. Per Novalis romantica è la trasformazione, mediante la nuova
poesia, di un oggetto comune, normale, finito, in un oggetto di alto significato,
misterioso e infinito.
Il romanticismo ha un'elaborazione teorica in Germania, ma poi, estendendosi
a tutta l'Europa, viene reinterpretato in ciascun paese, sia attraverso l'aggiunta di
elementi nuovi al quadro teorico, sia attraverso l'accentuazione di alcuni temi a
scapito di altri. Perciò il romanticismo è molto complesso, abbraccia la
letteratura, le arti figurative, il pensiero politico, la filosofia, presentando
differenze, oltre che affinità, da un paese all'altro: definirlo come una rivolta
contro il razionalismo sarebbe molto semplicistico. In Germania, le prime
generazioni romantiche ritengono necessario, per la nascita della cultura
moderna, conciliare Kant e Goethe: il pensiero del primo, rigorosamente basato
sulla scienza teorica e sul procedimento razionale, e la poesia del secondo, legata
alle cose concrete e singole, e all'espressione diretta dei propri sentimenti.
Indubbiamente è Goethe che incarna meglio lo spirito romantico, perlomeno nella
sua definizione più comune, ma sarebbe un errore non ricordare che il
romanticismo, se per alcune tematiche si differenzia nettamente dalle epoche
precedenti, per altre si pone in continuità.
Goethe (1749-1842) cerca l'unificazione tra il soggettivo e l'oggettivo,
ritenendo che si possa penetrare all'interno dei fenomeni, cogliendoli
intuitivamente nella loro stessa generazione. La natura, nelle sue trasformazioni, è
la testimonianza della presenza di forze spirituali: in una prospettiva panteista,
Goethe intuisce un'identità di fondo tra Dio e la natura (cosa che peraltro non
esclude la trascendenza), e crede in una fondamentale bontà del creato. Per lui
l'esistenza è Dio, e l'uomo deve trovare il suo posto nell'armonia della natura,
il romanticismo 387

deve cercare se stesso non attraverso astratte leggi morali, ma attraverso una
propria intima vocazione, un proprio genio. La contemplazione estetica di Goethe
sembra porsi agli antipodi della conoscenza razionale di Kant.
Ben presto questo antagonismo tra il pensiero di Kant e quello di Goethe
appare come una frattura tra vita e ragione, che richiede di essere superata.
Friedrich Schiller (1759-1805) interpreta questo antagonismo tra vita e ragione
come uno dei tanti, presenti in germe nella natura, che debbono trovare la
soluzione in una concezione armonica. All'estetica spetta il compito di
rintracciare questa armonia.
Bisogna dire che questo tentativo di conciliare l'anima kantiana con quella
goethiana non va a buon fine, anche perché in filosofia irrompe la personalità
potente di Fichte, che mette in secondo piano la ragione kantiana. Il massimo
teorico del romanticismo tedesco, Friedrich Schlegel (1772-1829), è entusiasta di
Fichte, non ha sensibilità per il classicismo e si orienta verso una nuova
sensibilità. Romantica è per lui un'arte totale, specchio dei tempi e della società,
che nasca però dalla suprema libertà dell'artista e dalla necessità di esprimere
l'assoluto.
Schlegel prende molte idee dalla filosofia fichtiana: la libertà del soggetto, il
ruolo dell'immaginazione e del genio nell'ispirazione, una certa sacralità dell'arte.
Fondamentale è la nozione di ironia, la costante parodia di se stessi, il gusto per il
paradosso e l'umorismo che caratterizzano la scrittura romantica. A partire dalle
intuizioni di Schlegel, il romanticismo tedesco prende corpo grazie ad alcune
opere dal fascino indiscusso, che ne diffondono i principali elementi stilistici e
tematici.
Novalis (Friedrich Leopold von Hardenberg, 1772-801), che segue a Jena le
lezioni di Fichte e Schiller e frequenta Schlegel a Lipsia, introduce con accenti
molto intensi la tematica della morte negli Inni alla notte (Hymnen an die Nacht,
1797, pubbl. 1800): vi celebra, in prosa ritmica, Sophie von Kühn, la sua
fidanzata morta quindicenne di tisi, e la cui figura viene ora idealizzata. Nei Canti
spirituali (Geistliche Lieder, 1799) Novalis esalta la religiosità popolare,
devozionale, sentimentale che caratterizza molti romantici, poco interessati alle
astrazioni della speculazione teologica.
Questo sentimento religioso e l'ammirazione per il passato, concorrono a far
nascere in molti romantici una vera e propria passione per il medioevo (peraltro
conosciuto più in chiave estetica che in chiave storica): nel saggio Cristianità o
Europa (Die Christenheit oder Europa, 1799) Novalis teorizza quella particolare
forma di tradizionalismo romantico che, nel bene come nel male, giunge fino ai
giorni nostri. Esso da un lato richiama l'attenzione sulla tradizione europea e
inizia la doverosa rivalutazione dell'epoca medievale, liquidata in modo troppo
banale come età dei secoli bui; dall'altro, però, fornisce una visione del medioevo
idealizzata, basata più sui romanzi cavallereschi che sulle cronache storiche, e in
una certa misura costruisce un'immagine della tradizione che ha pochi legami con
la realtà.
Riguardo alla concezione della natura Novalis esalta l'unità tra il visibile e
l'invisibile e richiama suggestivamente il mito di Narciso nel romanzo incompiuto
I discepoli di Sais (Die Lehringe zu Sais, 1798): alla dea Sais, personificazione
388 il romanticismo

della natura, viene tolto il velo, e al discepolo si presenta la sua stessa immagine.
È un'idea perfettamente complementare al mito di Dioniso fanciullo che, quando
si guarda allo specchio, vede riflesso l'intero universo.
Questa concezione unitaria e mistica, che richiama molto la magia
rinascimentale, intesa come filosofia della natura, conduce Novalis a teorizzare
un idealismo magico in cui, per il Soggetto Assoluto, i pensieri diventano cose, e
le cose pensieri, sulla scorta dell'amore inteso come forza creatrice. Per Novalis la
distinzione tra soggetto e oggetto, la frattura tra io e mondo, non rappresenta la
condizione reale dell'uomo o la struttura stessa della realtà, ma è la conseguenza
di una perdita. Questo tema torna in altri autori e lo si può considerare un aspetto
della più generale contrapposizione tra natura e cultura, descritta dal
romanticismo. Se ne trova la formulazione in un romanzo di Christian Friedrich
Hölderlin (1770-1843), Iperione, o l'eremita in Grecia (Yperion oder der Eremit
in Griechhenland, 1797-99). Hölderlin studia Kant, Spinoza, Rousseau, quindi
segue le lezioni di Fichte, anche se non ha accesso all'insegnamento: vive buona
parte della sua vita facendo il precettore, finché la schizofrenia non distrugge
completamente la sua attività creatrice verso il 1806.
Iperione è un greco moderno che racconta la sua vita e, soprattutto, comunica
la sua nostalgia per la Grecia antica, che assurge a modello ideale e quasi
perfetto: si tratta di un mondo perduto e irrecuperabile sul piano storico, ma
conquistabile nell'ideale e sul piano spirituale. Questo recupero ideale della
perfezione greca è concretamente il culto della bellezza e la cura della natura
sulla terra: la natura è bella, divina, poetica, è ideale. Sulla scorta del pensiero
greco presocratico (Eraclito ed Empedocle in particolare), Hölderlin concepisce
la natura come totalità organica e unitaria, in cui si conciliano le opposizioni.
Diotima, protagonista femminile del romanzo, dice che noi apparteniamo alla
natura, non ci è possibile uscirne: nella natura c'è il vivere e il morire, e il legame
mistico d'amore che lega eternamente tutti gli esseri. Diotima era il nome della
donna che aveva insegnato a Socrate la dottrina dell'eros nel Convito platonico,
ed era il nome che Hölderlin aveva assegnato alla sua musa ispiratrice, Suzette
Gontard.
La formulazione più sistematica della funzione dell'arte nel romanticismo è
probabilmente dovuta a Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (1775-1854), nel suo
Sistema dell'idealismo trascendentale (1800) e nella Filosofia dell'arte (1802-
1803). L'arte è un prodotto del genio, cioè della facoltà che consente di cogliere
gli aspetti profondi e spirituali del reale, oltre (o dentro) le apparenze sensibili, e
riflette sia l'attività cosciente sia quella incosciente. Va ricordato che in ambito
idealista l'attività inconscia, cioè spontanea e naturale, è l'estrinsecazione di una
natura intesa come prodotto o manifestazione dell'Assoluto; dunque non fa
riferimento ad una sfera sub-personale, ma è una manifestazione della
trascendenza: l'inconscio è natura, ma la natura è a sua volta spirito. Nell'opera
d'arte vengono conciliate attività conscia e inconscia, e questa conciliazione è la
bellezza: l'espressione finita dell'infinito. L'arte esprime l'assoluto nel mondo
sensibile, mostrandone la bellezza.
In Inghilterra il romanticismo si manifesta con forme apparentemente
contraddittorie: singolarmente aggressivo e quasi rivoluzionario sul piano
il romanticismo 389

politico, è invece aperto al sogno e al fantastico sul piano estetico, ma sulle


posizioni politiche dei romantici bisognerebbe fare un discorso a parte. Basti
pensare a Coleridge, che compie un percorso politico che va da atteggiamenti
ribelli e anarcoidi a un rigido conservatorismo.
Samuel Taylor Coleridge (1772-1834) è uno dei padri del romanticismo
inglese, la cui nascita ufficiale viene convenzionalmente fatta coincidere con la
pubblicazione delle Lyrical Ballads (1798) di Wordsworth e dello stesso
Coleridge, che include nella raccolta la sua opera più famosa, La ballata del
vecchio marinaio (The Rime of the Ancient Mariner, 1798). Si tratta di un
componimento scritto sotto l'effetto dell'oppio, che Coleridge aveva cominciato
ad assumere nel 1800, a seguito di una malattia (l'oppio era usato anche come
anestetico). In seguito aveva continuato ad assumerlo espressamente per
sperimentare "paradisi artificiali" e ne aveva poi utilizzato le visioni come
materiale poetico.
In Francia, anche a causa del trionfo politico di Napoleone, il romanticismo si
manifesta con caratteri fortemente anti-illuministi e conservatori, con François-
René de Chateaubriand (1768-1848), mentre gli eredi dei valori liberali e
illuministi si definivano "classicisti". Tuttavia né Chateaubriand era un "bieco
reazionario" incapace di innovare alcunché, né il classicismo avrebbe avuto vita
lunga: dopo il 1830 molti autori romantici assumono posizioni progressiste e
liberali, come Alfred de Vigny (1797-1863), Alphonse de Lamartine (1790-
1869), Victor Hugo (1802-1885), o Gérard de Nerval (1808-1855). Tratti
romantici hanno anche Stendhal e Balzac, e soprattutto, nel singolare
romanticismo francese, atipico come tutti i romanticismi, si avvia il processo che
farà germogliare una sensibilità ancora più nuova e "decadente".
Venendo ora a un breve elenco di caratteri comuni ai vari romanticismi,
occorre ripetere che sarebbe molto riduttivo parlare di una netta contrapposizione
tra romanticismo e illuminismo, o limitare il tutto a una riscoperta del sentimento
contro la ragione: è fuori di dubbio che elementi come l'individualismo sono
presenti nel romanticismo perché sono recuperati dalla fase precedente; tuttavia è
anche vero che, come si diceva parlandone a suo luogo, l'illuminismo, non
riuscendo a sanare la frattura ideologica dell'Europa seicentesca, lascia un conto
aperto che il romanticismo gli chiede di pagare.
L'individualismo, per esempio, è un grande proclama dell'illuminismo, ma è
poco concreto: l'individuo illuminista è essenzialmente ragione, res cogitans, e,
almeno in via di principio, dovrebbe aderire a un comportamento razionale.
Ebbene, si dà il caso che il comportamento razionale sia quello meno individuale
di tutti, proprio perché la ragione è oggettiva e impersonale. Come scriveva
Ortega y Gasset nel Tema de nuestro tiempo:

Dato che la verità è una, assoluta e invariabile, non può essere


attribuita alle nostre persone individuali, corruttibili e mutevoli. Si dovrà
supporre, al di là delle differenze esistenti tra gli uomini, una sorta di
soggetto astratto, comune all'europeo e al cinese, al contemporaneo di
Pericle e al cavaliere di Luigi XIV. Descartes chiamò questo nostro fondo
comune, esente da variazioni e peculiarità individuali, la "ragione", e Kant
"l'ente razionale".
390 il romanticismo

Questo era il concetto di individuo: una nozione teorica che ci consentirebbe


di conoscere la verità, però, «in cambio, non vive, irreale spettro che scorre
immutabile attraverso il tempo, estraneo alle vicissitudini che sono sintomi di
vitalità». E continua ancora Ortega:

L'entusiasmo di Descartes per le costruzioni della ragione lo condusse


a compiere un'inversione completa della prospettiva naturale dell'uomo. Il
mondo immediato ed evidente che i nostri occhi contemplano, le nostre
mani palpano, a cui le nostre orecchie prestano attenzione, si compone di
qualità: colori, resistenze, suoni, ecc. Questo è il mondo in cui l'uomo era
sempre vissuto e vivrà sempre. Ma la ragione non è capace di usare le
qualità. Un colore non può essere pensato, non può essere definito. Deve
essere visto, e se vogliamo parlarne dobbiamo attenerci ad esso. In altri
termini, il colore è irrazionale. Invece il numero, anche quello chiamato
"irrazionale" dai matematici, coincide con la ragione. Col solo attenersi a
se stessa, questa può creare l'universo delle quantità mediante concetti
dalle acute e chiare costruzioni. Con eroica audacia, Descartes decide che
il mondo vero è quello quantitativo, quello geometrico; l'altro, il mondo
qualitativo e immediato, che ci circonda pieno di grazia e di suggestione,
viene squalificato e lo si considera illusorio. Certamente, dev'essere
un'illusione solidamente fondata nella nostra natura, e non basta
riconoscerla per evitarla. Il mondo dei colori e dei suoni continua a
sembrarci tanto reale come prima di scoprire il suo tranello.

È chiaro che, di fronte a questo tipo di individualismo (che è sempre un


progresso rispetto alle peggiori società di diritto diseguale dell'Antico Regime), il
romanticismo non si accontenti e chieda due cose: anzitutto un individuo vivente,
e dunque libero e padrone di sé; in secondo luogo, un individuo completo, e
dunque anche passionale, sentimentale, storico...
Discorsi analoghi possono essere fatti per la democrazia. L'illuminismo fu
democratico ma, passando dalla teoria alla prassi quotidiana, risulta che fu
democratico a metà, o quantomeno che la democrazia, anziché interessare l'intero
corpo sociale, si fermava al terzo stato e non includeva il quarto. Ciò significa
una cosa semplice e, a pensarci bene, ovvia: che l'illuminismo non aveva il
concetto di popolo. I romantici si incaricarono di pensarlo, dal momento che
comunque, lo vogliano o no gli illuministi, i popoli esistono nella storia. Poi altro
discorso è che il romanticismo l'abbia pensato in vari modi, non tutti felici, e che
sia andato a recuperare i popoli nel medioevo, prima della frattura seicentesca.
Anche la storicità mancava all'illuminismo che, rivolto al futuro in chiave
progressista, non riconosceva al passato un vero e proprio ruolo nella vita sociale.
Se dunque il romanticismo si oppone all'illuminismo (e certamente questa
opposizione non è tutto, ma c'è), in primo luogo lo fa per chiedere concretezza a
tutto ciò che del discorso illuminista era rimasto a livello di teoria e di
chiacchiere.
Si è detto spesso che il romanticismo reazionario e nostalgico nasce
prevalentemente dalla paura suscitata dalla rivoluzione francese e dal sangue che
vi scorre. Personalmente non sono convinto da questa tesi: significherebbe dire
il romanticismo 391

che, di fronte agli eccessi rivoluzionari, il reazionario sarebbe uno che chiede
ordine e sicurezza; e questo, a sua volta, equivale a dire che, per un reazionario
insicuro e spaventato, tanto vale una dittatura bonapartista quanto un re cristiano
e santo del medioevo, il che è assurdo. Il reazionario romantico non vuole
qualcuno che fermi la rivoluzione, chiunque egli sia, ma vuole instaurare una
società opposta a quella dei rivoluzionari. Il problema è che questa società, a cui
si ispira, non esiste storicamente e non è mai esistita: è un'idealizzazione,
un'invenzione, e anche una costruzione ideologica controriformista. Ma chiarito
questo, mi pare evidente che, nel suo recupero idealizzato di un'altra epoca, il
romanticismo continui a chiedere all'illuminismo di pagare i suoi conti: perché in
fondo i rivoluzionari hanno distrutto un regime antico, che aveva anche dei valori
di riferimento, per sostituirlo con cosa? Con una società a democrazia teorica,
dove conta soltanto il borghese o l'affarista? Ma nessuna società tradizionale
(tranne forse la Spagna antisemita, che "tradizionale" non era) ha mai impedito ai
suoi membri di arricchire con gli affari, solo che non si riteneva che questo fosse
il senso collettivo della vita e lo scopo della società. Che poi si indicassero scopi
e valori rimasti sulla carta (è un'utopia pensare che, ad esempio, la giustizia
feudale fosse giusta), è vero, ed è la ragione storica che porta alla nascita
dell'illuminismo; ma per i romantici era inaccettabile che l'illuminismo stesso
fosse la soluzione del problema. Da qui il recupero, in una parte dei romantici, di
un ideale di vita incarnato nell'immagine di un passato idealizzato; però questo
recupero si inseriva in un quadro di libertà. Una volta affermata la libertà della
persona concreta, contro l'individualismo razionalista, tale libertà si esplica
attraverso le scelte libere di questa persona, una delle quali è il rifiuto del presente
e l'esaltazione del passato. Altre scelte andranno nella direzione di un liberalismo
compiuto e di una democratizzazione effettiva della vita sociale.
Sul piano estetico tutto questo porta all'esigenza, che si era già affacciata
durante il barocco, di superare formule fisse e consacrate, a vantaggio di estetiche
personali, che mescolano i generi, creano formule nuove e sperimentano nuove
possibilità artistiche. Non si arriva alla libertà assoluta dell'artista contemporaneo
perché questa ricerca di novità è comunque legata a una sensibilità abbastanza
ben delineata: il romantico cerca la libertà di poter esprimere come meglio crede
il suo modo di sentire la vita, la natura, i grandi temi della società, ma l'apertura
di orizzonti che si ottiene è la grande premessa dell'arte e della letteratura
contemporanee.

Mariano José de Larra

Venendo ora alla letteratura spagnola, bisogna purtroppo confessare che, al


confronto con altri paesi europei, il romanticismo sembra esservi piuttosto
marginale.
Nella narrativa il romanticismo si manifesta soprattutto nelle forme del
romanzo storico, che si ispira al medioevo, alla tradizione costumbrista,
all'orientalismo. La figura di maggiore spicco è quella di Mariano José de Larra,
392 il romanticismo

nato nel 1809 e morto suicida nel 1837. Larra aveva vissuto in Francia, dove suo
padre, di fede liberale, si era trasferito per evitare persecuzioni, e conosceva bene
la cultura francese. Nel 1821 rientra in Spagna con la famiglia, completando gli
studi. Nel 1828 pubblica una rivista satirica di cui escono cinque numeri: El
duende satirico del día, con articoli dedicati ad avvenimenti di attualità, dove si
nota il suo talento per le descrizioni di quadri di costume. Ha un matrimonio
fallimentare, che gli ispira l'ironico El casarse pronto y mal, e pubblica molti
articoli su riviste, ottenendo un successo notevole.
Larra coltiva molti generi letterari: il romanzo storico (El doncel de don
Enrique el Doliente), il teatro (Macías), il giornalismo politico, letterario e
costumbrista. Negli articoli di costume preferisce lo schizzo rapido che descrive
scene quotidiane, di cui coglie soprattutto gli elementi negativi. Questi articoli,
che lo hanno fatto considerare il miglior giornalista della sua epoca, esprimono un
giudizio pessimista sulla società spagnola, che appare grossolana, pigra, corrotta,
al confronto soprattutto con la società francese.

Nella prosa costumbrista spiccano anche RAMÓN DE MESONERO ROMANOS


(1803-1882), con le sue Escenas matritenses (1832-1842), e Serafín Estébañez
Calderón (1799-1867), autore delle Escenas andaluzas (1847). In generale i testi
costumbristi sono piacevoli da leggere, anche se è solo negli scritti di Larra che
raggiungono una qualità letteraria rilevante. Testimoniano certamente un gusto
per il pittoresco e l'intenzione di denunciare difetti abbastanza comuni presso "la
gente" spagnola, ma è piuttosto dubbio che potessero scatenare una rigenerazione
della società, mancando un supporto politico, o quantomeno una seria volontà
politica di realizzare delle riforme. Il costumbrismo è la forma estrema di un
modo di osservare e rappresentare la società spagnola nato con il Lazarillo de
Tormes, e forse ancora prima. Certo, non contiene più gli elementi di denuncia
che avevano caratterizzato la picaresca, e di una lunga tradizione narrativa sono
rimasti soltanto i bozzetti folclorici: ritratti di tipi e situazioni che si presumono
colte al volo per la via. Si tratta di un genere che risponde bene alle esigenze del
lettore di periodici o quotidiani, che sono nell'Ottocento il principale strumento
con cui si organizza il consumo letterario, ma è difficile vedervi un'effettiva
testimonianza delle condizioni di vita.

José Zorrilla

Il teatro romantico è caratterizzato da notevoli libertà formali. Unisce la prosa


e il verso, mescola elementi tragici e comici, rompe le tre unità di tempo, luogo e
azione, che il classicismo aveva rimesso in auge. È un teatro dinamico, che cerca
di produrre effetti e forti reazioni nello spettatore, e si ispira molto ai temi della
storia nazionale. A parte lo stile, il teatro romantico ha molti aspetti in comune
con quello barocco, soprattutto per gli elementi su cui basa la sua spettacolarità.
La più importante figura tra gli autori del teatro romantico spagnolo, José
Zorrilla, nasce a Valladolid nel 1837. Spirito inquieto, partecipa alla cerimonia
il romanticismo 393

funebre per Larra, dove, di fronte a un pubblico numeroso e commosso, legge una
poesia di omaggio che gli procura notorietà presso i giovani più aperti al
rinnovamento, che assistevano al funerale e avevano in Larra una sorta di
riferimento culturale e morale. Zorrilla vive in modo disordinato e bohémien, con
poco interesse per la tranquillità borghese, ma al tempo stesso unisce questa sua
dimensione di ribellione personale a un sentimento profondamente cattolico.
Muore nel 1893.
Rappresentante illustre del romanticismo conservatore, è autore di poesie: le
sue Leyendas sono poesie narrative molto musicali, mentre accenti più lirici si
trovano nelle sue Orientales. I suoi temi, tanto per le poesie quanto per il teatro,
sono tratti dalla tradizione spagnola, e gli ispirano scene molto vive, con
descrizioni essenziali, ma molto efficaci. In teatro riprende la figura di don
Giovanni, con Don Juan Tenorio (1844), opera brillante e basata su un'analisi
psicologica del personaggio, che manca nell'originale attribuito a Tirso. In questa
versione don Juan si salva dall'inferno, graziato dall'amore. Altre opere teatrali di
Zorrilla sono El zapatero y el rey e Traidor, inconfeso y mártir.
Nel Don Juan Tenorio, Juan e Luis, che si erano sfidati a sedurre il maggior
numero possibile di donne, si ritrovano dopo un anno per verificare chi sia il
vincitore di questa singolare scommessa: naturalmente ha vinto don Juan, e Luis
lo sfida a tentare l'impossibile: la conquista di una novizia; Juan rilancia e dice
che conquisterà anche la fidanzata di un amico che sta per sposarsi: si tratta dello
stesso Luis che, pur restando scandalizzato dalla sfida di Juan, implicitamente
l'accetta, anziché tirar fuori la spada, come avrebbe fatto un nobile di altri tempi:

[Don Luis] Per dio, siete un uomo strano.


Quanti giorni dedicate
a ogni donna che amate
[Don Juan] Dividete i giorni dell'anno
tra quelle che trovate lì:
uno per innamorarle,
uno per goderne,
uno per abbandonarle,
due per sostituirle,
e un'ora per dimenticarle.
Ma a dire il vero,
non penso di chiedere di più
perché, siccome state per sposarvi,
domani penso di portarvi via
donna Ana de Pantoja.

Juan e Luis sono arrestati da due ronde: ciascuno dei due, di nascosto, aveva
fatto denunciare l'altro per impedirgli di vincere la scommessa, o per ostacolare la
vittoria. Liberato grazie alla garanzia di un idalgo, Luis teme le azioni di don Juan
e decide per prudenza di passare la notte nella casa di donna Ana, che dovrebbe
sposare l'indomani. Però, vilmente, don Juan lo fa catturare dai suoi uomini, che
lo legano, togliendolo di torno. Intanto Juan pensa a vincere la prima parte della
scommessa, cioè sedurre una novizia (Inés), cosa che realizza con l'aiuto di una
"beata", Brígida:
394 il romanticismo

Povero airone ingabbiato,


nata dentro la gabbia,
cosa ne sa lei se c'è altra vita
o altra aria in cui volare?
Se non ha mai visto le sue piume
allo splendore del sole
cosa ne sa dei colori
di cui si può insuperbire?
La poverina non conta
diciassette primavere
e, ancora vergine alle prime
impressioni dell'amore,
non ha mai concepito la gioia
fuori della sua povera casa
trattata dall'infanzia
con cauto rigore.
E tanti anni monotoni
di solitudine in convento
avevano ristretto il suo pensiero
a un punto così basso,
a uno spazio così ridotto
e a un circolo così meschino,
che il claustro era il suo destino
e l'altare era il suo fine.

Contemporaneamente Juan si assicura, pagandola profumatamente, che la


serva di Ana lo faccia entrare in casa di nascosto, e completa il suo programma:

Con l'oro non ci sono errori,


Ciutti, sai già le mie intenzioni:
alle nove in convento,
alle dieci in questa strada.

Inés, lavorata da Brígida, si innamora di Juan, praticamente per sentito dire. In


realtà cede perché Juan l'inganna, comunicandole in una lettera la falsa notizia
che il loro matrimonio è stato combinato dai genitori:

Luce da cui lo stesso sole la prende,


bellissima colomba
privata della libertà,
se vi degnate di passare i vostri begli occhi
su queste lettere,
non distoglieteli con fastidio
senza concludere, terminate.

Il don Juan di Zorrilla, a differenza del burlador di Tirso (o chi per lui) ha la
stoffa del corteggiatore e sa affascinare con la parola, anche se, al momento
dell'incontro, si comporta cialtronescamente: Inés sviene, e Juan la porta via di
il romanticismo 395

peso. Il padre di Inés, don Gonzalo, arriva troppo tardi per proteggere la figlia e
fa in tempo solo a vedere Juan che sta fuggendo.
Come si può notare, più che la donna, Juan cerca il rischio, l'impresa
pericolosa, la sfida ritenuta impossibile: non tanto la seduzione, che semmai è
un'arma per riuscire nell'impresa, quanto la cattura di una preda, costi quel che
costi, per il gioco di catturarla: "Un diavolo in carne mortale", lo definisce Ciutti.
Anche questo è un carattere che manca al protagonista dell'opera di Tirso, che si
presenta piuttosto come un cialtrone, capace solo di sostituirsi a un amante, nel
caso delle sue conquiste nobili, e di promettersi come sposo, nel caso delle donne
del popolo. Del don Juan di Zorrilla si può dire che sia un immorale, non che sia
un vigliacco. Questo dà all'opera un maggiore spessore, perché il protagonista ha
un carattere forte, che ben si presta al dramma.
Nonostante ciò, la successiva conquista di Ana risulta essere un imbroglio,
perché Juan si sostituisce a Luis. Don Luis, naturalmente, vuole vendicarsi,
benché egli stesso non sia privo di colpe, dato che ha scommesso sulla sua
promessa sposa; i due si incontrano e stanno per duellare, quando arriva anche
don Gonzalo, accompagnato da gente armata. Juan convince Luis a rinviare il
duello e si presenta da Gonzalo. Qui si ha un colpo di scena che, pur non
sembrando credibile all'inizio, risulterà essere il nucleo più drammatico del testo.
Infatti, mentre lo spettatore si aspetta un don Juan cinico e sprezzante, Zorrilla
presenta un personaggio che ha subito un repentino cambiamento: addirittura si
inginocchia davanti a Gonzalo, chiedendo di essere ascoltato. Gonzalo,
comprensibilmente, pensa che si tratti di una recita dettata dalla paura degli
uomini armati che ha con sé, e lo accusa di vigliaccheria, ma Juan dichiara di
essersi pentito e di essere realmente innamorato di Inés. Non essendo creduto, e
trovandosi deriso e a rischio della vita, il suo carattere orgoglioso ha il
sopravvento: colpisce Gonzalo con un colpo di pistola e Luis con la spada,
uccidendoli entrambi, quindi fugge.
Passano gli anni e Juan, non riconosciuto, torna nella sua casa, trasformata in
panteon, dove uno scultore, seguendo la volontà di suo padre, Diego Tenorio, ha
collocato le statue delle sue vittime, Gonzalo, Luis e Inés, morta di dolore per
l'abbandono di Juan:

[Escultor] Ho voluto mettere anche


la statua dell'assassino
tra le sue vittime, ma
non ho avuto a portata di mano
il suo ritratto... Un Lucifero
dicono che fosse il cavaliere
don Juan Tenorio.
[Don Juan] Molto cattivo.
Ma se potesse parlare,
avrebbe qualcosa da pagargli
la statua di don Gonzalo.

In effetti don Juan è pentito veramente, e gli anni passati servono a dare
credibilità a questo suo sentimento manifestatosi in una situazione così poco
396 il romanticismo

credibile. Anzi, ha maturato un tale ribrezzo per ciò che ha commesso, da pensare
che il Cielo rifiuti il suo pentimento.
Questo risvolto dà al personaggio uno spessore psicologico che manca
nell'originale attribuito a Tirso: nella versione di Zorrilla il tema trattato non è
quello del comportamento morale della classe nobiliare, né il carattere fatuo di un
giovanotto che conta su un lungo tempo per pentirsi delle sue malefatte, ma è la
vicenda di un autentico nichilista, abituato a compiere imprese negative ma
coraggiose, che si ritrova vittima di una circostanza creata dalle sue stesse sfide
alla morale. Disposto a cambiar vita nel momento meno favorevole, uccide per
salvarsi un amico e il padre della donna di cui, contro ogni sua stessa aspettativa,
si è innamorato, e prende coscienza della totale mancanza di valore della sua vita,
dell'impossibilità che un Dio possa accettare il suo pentimento, essendo
irreparabile il male causato. In questo contesto, che è un vero conflitto tra il
carattere titanico di Juan e la morale cristiana del perdono, svolge un ruolo
diverso il tema del fantasma, della statua che prende vita per dialogare col
protagonista; appare infatti l'ombra di Inés:

[Don Juan] (in ginocchio)


Donna Inés! Ombra amata,
anima del mio cuore,
non togliermi la ragione
se devi prendermi la vita!
Se sei un'immagine finta,
figlia solo della mia pazzia,
non accrescere la mia sventura
facendo beffe della mia pazza pena

Inés risponde di aver offerto a Dio la sua anima in cambio di quella di Juan, e
di avere come risposta:

Aspetta don Juan


nel tuo stesso sepolcro.
E poiché vuoi essere così fedele
a un amore di Satana,
con don Juan ti salverai
o ti perderai con lui

Dunque risulta essenziale il pentimento di Juan e la sua richiesta di perdono.


Juan in effetti è pentito del male fatto, ma non si sente perdonabile, dispera della
salvezza (in questo il suo carattere permane coerente con i precedenti tratti
nichilisti e titanici), e non crede alla visione: pensa che si tratti di un inganno dei
sensi, un delirio partorito dalla sua follia:

È stata ombra e delirio


L'ho creata io nella mia mente;
l'immaginazione le ha dato
la forma con cui si è mostrata.
il romanticismo 397

Le statue del panteon si muovono verso di lui e, diversamente dalla versione


di Tirso, Juan non mostra disprezzo, ma una ferma, benché altera, accettazione
del suo destino e del castigo che si prefigura:

No, non mi suscitano timore


le vostre sembianze sprezzanti;
mai, né morti né vivi,
umilierete il mio valore.
Io sono il vostro uccisore
come al mondo è ben noto;
se nel vostro palazzo mortuario
mi allestite una crudele vendetta,
fate in fretta: qui vi aspetta
ancora una volta don Juan Tenorio.

Anche in questa versione della storia si svolge la cena con la statua del morto,
che ora viene incaricato di una missione provvidenziale: portare Juan a un vero
pentimento, cioè non solo al rifiuto delle sue imprese, ma anche a chiedere
perdono a Dio, confessando i suoi peccati. Il tempo è finito, dice don Gonzalo: gli
mostra il fuoco e la cenere, segni della perdizione eterna che solo il suo
pentimento può evitare.

Dunque c'è un'altra vita


e un altro mondo oltre a questo?
Dunque è vero, ahimè!,
ciò che non ho mai creduto?
Fatale verità che mi gela
il sangue nel cuore!
Verità che solo la mia perdizione
mi rivela.

Così dice Juan, che lamenta di aver potuto conoscere il potere di Dio quando
ormai non c'è più tempo: è impossibile che un istante di pentimento cancelli
trent'anni di delitti. Ma nel momento estremo, quando già rintocca la campana
che annuncia la sua morte, don Juan trova il suo pentimento, e appare donna Inés
che lo prende per mano.

Il Duca di Rivas

Ángel Saavedra Ramírez de Baquedano, universalmente noto come Duca di


Rivas (1791-1865), condannato a morte per ragioni politiche, si salva fuggendo in
Inghilterra; al suo rientro in Spagna adotta posizioni moderate, diventando
ministro e ambasciatore.
È autore di un'opera famosa: Don Álvaro o la fuerza del sino, scritta nel 1831
e rappresentata nel 1835. La storia, ridotta all'osso, sembra una sequenza
inverosimile di esagerazioni: Álvaro uccide involontariamente il padre di Leonor,
398 il romanticismo

che voleva rapire, e successivamente un suo figlio, che gli dava la caccia, ancora
una volta senza premeditazione. Dopo la fuga, entra in un convento, dove però
viene scoperto da un altro fratello di Leonor, Alfonso, che lo sfida a duello.
Naturalmente, Alfonso viene ferito: accorre Leonor che, ignara di tutto, viveva
nelle vicinanze. Alfonso, allora, sospetta che la sorella abbia una relazione
segreta con Álvaro e, prima che sia possibile ogni spiegazione, la uccide. Ad
Álvaro, disperato, non resta che il suicidio. Ora, se abbandoniamo la semplice
trama e passiamo all'effettiva teatralità dell'opera, questo schema lamentoso,
lungi dall'essere mortalmente noioso, si anima in un'azione molto dinamica, con
tratti intensi e suggestivi, che ne fanno uno dei drammi migliori dell'epoca. Non a
caso l'opera suscita reazioni aspre nel pubblico per il suo carattere innovatore, e
viene rappresentata poche volte all'epoca.
Rivas è autore anche di poesie ispirate ai temi tradizionali della Spagna. El
moro expósito, che riprende il tema epico degli infanti di Lara, viene considerato
come il poema romantico per eccellenza. Successivamente, nel 1841, pubblica
una raccolta di Romances históricos, che si ispirano ai romances tradizionali e
sono il miglior esempio dell'interesse romantico per questo genere.
In Don Álvaro, o la fuerza del sino Don Álvaro è un ricco ed elegante
pretendente alla mano di doña Leonor, ma il padre, il marchese di Calatrava, non
vuole acconsentire al matrimonio, apparentemente perché il giovane non è nobile.
In effetti la gente vede in Álvaro un certo mistero: lo si vede camminare senza
che si sappia dove va, e senza dare confidenza a nessuno. Il Marchese vorrebbe
maritare la figlia con uno dei due pretendenti, Carlos e Alfonso, ma Leonor non
sembra entusiasta. In effetti ha deciso di fuggire proprio con Álvaro, non potendo
sposarlo alla luce del sole. Ma al momento della fuga si odono rumori: è il
Marchese che ha scoperto la tresca e irrompe nella stanza dei due amanti. Nella
lite che ne segue, Álvaro viene pesantemente insultato, ma dopo momenti di
tensione decide di non reagire, e di assumersi tutte le colpe: getta in terra la
pistola con cui aveva minacciato il Marchese, ma disgraziatamente da questa
parte il colpo che ferisce mortalmente il padre di Leonor.
Questa beffa del destino avvia una catena di sangue che sembra essere una
maledizione. In seguito all'accaduto, Leonor e Álvaro fuggono, ricercati dagli
altri due figli del Marchese, che vogliono vendicarne la morte. Però nella fuga
sono costretti a separarsi e si perdono di vista. Leonor, rimasta sola, decide di
rinchiudersi in convento, vivendo sola e come eremita, per espiare la sua colpa
nella morte del padre. Lo fa nel più totale incognito, quasi a voler segnare con
una morte virtuale e una rinuncia a se stessa, la sua chiusura nei confronti del suo
mondo e del suo passato. Solo il padre guardiano conoscerà la sua vera identità.
Intanto Álvaro, che non è riuscito a ritrovare Leonor, si è arruolato nell'esercito,
è sconvolto dall'accaduto e vuole espiare la sua parte di colpa, andando in cerca
della morte nelle situazioni più pericolose.
Passato del tempo, il caso vuole che egli intervenga in difesa di don Carlos
(che non conosce), aggredito da una congrega di bari che aveva smascherato nel
gioco. Lo salva, e si presenta con il suo falso nome, don Fadrique, con cui è
famoso come soldato. Poco dopo Álvaro viene ferito in battaglia, e viene salvato
proprio da don Carlos. Álvaro avrebbe preferito morire; quando il medico, per
il romanticismo 399

animarlo, dice che potrebbe essere nominato cavaliere di Calatrava, Álvaro entra
in agitazione, sentendo questo nome, lo stesso del marchese che aveva ucciso
involontariamente. Sentendosi morire, prega don Carlos, che è lì presente, di
fargli un favore: bruciare alcune carte di sua proprietà, quando sarà morto, ma
leggendo queste carte, Carlos capisce di avere di fronte Álvaro, l'uccisore di suo
padre.
Álvaro sopravvive; Carlos si adopera perché la sua convalescenza sia
proficua e possa recuperare bene. Solo allora si rivela e lo sfida. Costretto ad
accettare il duello, Álvaro lo uccide Carlos; viene arrestato, perché ha infranto
una legge che vieta agli ufficiali i combattimenti, e su di lui incombe una
condanna a morte. Però la città di Velletri, in cui si trova acquartierato l'esercito
spagnolo, è invasa improvvisamente dal nemico: Álvaro, anziché fuggire,
partecipa alla difesa, ancora cercando la morte, ma non la trova, ed anzi ottiene la
grazia. Tornato in Spagna, decide di abbandonare la vita mondana ed entra in un
convento francescano. Qui lo trova l'altro figlio del marchese, Alfonso, quattro
anni dopo.
Álvaro resiste a varie provocazioni, ma poi, schiaffeggiato, accetta la sfida di
Alfonso, che nel duello viene ferito a morte. Consapevole del suo stato, chiede la
confessione, e Álvaro corre a chiamare un santo eremita che si trova nelle
vicinanze. L'eremita è appunto Leonor, che si era rifugiata in incognito, senza
mai rivelarsi a nessuno: i due si riconoscono:

[Doña Leonor] Fuggite, temerario; temete l'ira del cielo.


[Don Álvaro] (Retrocedendo terrorizzato lungo la montagna, in basso)
Una donna!... Cielo!... Che accento!... È uno spettro!... Immagine
adorata... Leonor, Leonor!
[Don Alfonso] (Quasi volendo alzarsi) Leonor! Che sento? Mia
sorella!...
[Doña Leonor] (Correndo dietro don Álvaro) Dio mio! È don
Álvaro?... Conosco la sua voce... È lui... Don Álvaro!
[Don Alfonso] Oh furia!... È lei... Era qui con il suo seduttore!...
Ipocriti!... Leonor!
[Doña Leonor] Cielo!... Un'altra voce nota!... Ma che vedo?... (Si
precipita là dove vede don Alfonso)
[Don Alfonso] Vedi l'ultimo della tua infelice famiglia!
[Doña Leonor] (Precipitandosi nelle braccia di suo fratello) Fratello
mio!... Alfonso!
[Don Alfonso] (Fa uno sforzo, estrae un pugnale e ferisce a morte
Leonor) Prendi, causa di tanti disastri, ricevi il premio del tuo disonore!...
Muoio vendicato. (Muore)

José de Espronceda

José de Espronceda y Delgado è il maggior poeta della prima metà


dell'Ottocento. Nato nel 1808, deve fuggire all'estero per le sue idee politiche
400 il romanticismo

rivoluzionarie e la partecipazione a varie cospirazioni. Può rientrare in Spagna


grazie a un'amnistia, ma muore ad appena trentaquattro anni, nel 1842.
La sua poesia riflette il suo forte temperamento vitale, è varia, a tratti effettista
e retorica, ma anche di grande vigore e ricca immaginazione. Oltre a
composizioni brevi, tra cui la Canción del pirata, scrisse un poema narrativo, El
estudiante de Salamanca (1840). Incompiuto è, inoltre, un altro poema di
Espronceda, El diablo mundo, in cui sono trattati temi filosofici: una sua sezione,
il Canto a Teresa, racconta la storia dell'amore tra Espronceda stesso e Teresa
Mancha, conosciuta nell'esilio: la donna non volle seguirlo nel rientro in Spagna e
lo abbandonò. El diablo mundo consta di sei canti, più vari frammenti, costruiti
su una sequenza deliberata di digressioni.
Con la leggenda tragica della sua vita e le sue forti passioni, Espronceda è il
poeta romantico per eccellenza della letteratura spagnola, e alcune sue poesie
sono rimaste giustamente famose: l'Himno al sol, che è una vera metafora
politica, El canto del cosaco, El mendigo, El reo de muerte...
El estudiante de Salamanca si apre con una tipica inversione romantica: nella
notte, vivi e morti si scambiano i ruoli, e i defunti escono dalle loro tombe. Non
manca il riferimento alle streghe o al castello gotico.

Era más de media noche,


antiguas historias cuentan,
cuando en sueño y en silencio
lóbrego envuelta la tierra,
los vivos muertos parecen,
los muertos la tumba dejan.
Era la hora en que acaso
temerosas voces suenan
informes, en que se escuchan
tácitas pisadas huecas,
y pavorosas fantasmas
entre las densas tinieblas
vagan, y aúllan los perros
amedrentados al verlas:
En que tal vez la campana
de alguna arruinada iglesia
da misteriosos sonidos
de maldición y anatema,
que los sábados convoca
a las brujas a su fiesta.
El cielo estaba sombrío,
no vislumbraba una estrella,
silbaba lúgubre el viento,
y allá en el aire, cual negras
fantasmas, se dibujaban
las torres de las iglesias,
y del gótico castillo
las altísimas almenas,
donde canta o reza acaso
temeroso el centinela.
il romanticismo 401

Todo en fin a media noche


reposaba, y tumba era
de sus dormidos vivientes
la antigua ciudad que riega
el Tormes, fecundo río,
nombrado de los poetas,
la famosa Salamanca,
insigne en armas y letras,
patria de ilustres varones,
noble archivo de las ciencias.
Súbito rumor de espadas
cruje y un ¡ay! se escuchó;
un ay moribundo, un ay
que penetra el corazón,
que hasta los tuétanos hiela
y da al que lo oyó temblor.
Un ¡ay! de alguno que al mundo
43
pronuncia el último adiós.

Una figura coperta dal mantello si aggira in questa notte di visioni e fantasmi:
non ci viene detto il nome, ma si scoprirà poi che è Diego, fratello di Elvira.
Elvira è la ragazza che Félix, personaggio perverso dal carattere libertino e
sprezzante, vicino in qualche tratto al don Juan Tenorio, ha sedotto e poi
abbandonato.

Il vago fantasma che forse appare,


e forse si avvicina col rapido piede,
e forse scompare a volte nell'ombra,
come anima in pena dell'uomo che è stato,
al più temerario cuore di acciaio
avrebbe ispirato timore, avrebbe suscitato paura;
al più maldicente e feroce bandito
il timore avrebbe portato la preghiera alle labbra.
Ma all'uomo coperto, di cui ancora sangue stilla
la spada, il fantasma non infuse terrore,
e, l'arma impugnata con forza nella mano,
audace avanzò lentamente a incontrarlo.

43
Era passata mezzanotte, / raccontano antiche storie, / quando, avvolta la terra nel
sonno e nel silenzio tenebroso, / i vivi sembrano morti, / i morti lasciano la tomba. / Era
l'ora in cui forse / risuonano voci spaventose / informi, in cui si sentono / taciti passi vuoti
/ e paurosi fantasmi / tra le dense tenebre / vagano, e ululano i cani / impauriti alla loro
vista: / in cui forse la campana / di qualche chiesa in rovina / fa misteriosi suoni / di
maledizione e anatema, / che di sabato convoca / le streghe alla loro festa. / Il cielo era
scuro, / non brillava alcuna stella, / lugubre il vento sibilava, / e nell'aria, come neri /
fantasmi, si disegnavano / le torri delle chiese, / e del gotico castello / gli altissimi merli, /
dove canta o forse prega / impaurita la sentinella. / Infine, tutto a mezzanotte riposava / ed
era tomba dei suoi addormentati viventi / l'antica città bagnata / dal Tormes, fiume
fecondo, / citato dai poeti, / la famosa Salamanca.
402 il romanticismo

Nella seconda parte viene descritta Elvira, in realtà il suo bianco fantasma,
che si muove nella notte - una notte ora serena e dominata da dolcezza e
malinconia. C'è un contrasto tra la notte in cui si muove Diego, torbida e
inquietante, e quella in cui si muove Elvira, serena e tranquillizzante, ma si vedrà,
proseguendo nella storia, che la serenità di questa notte è un inganno, forse una
trappola, o il modo in cui la natura, complice, agevola il compito del fantasma di
vendicarsi dell'abbandono:

Bianco è il suo vestito, ondeggia


sciolto il capello sulla spalla.
Foglia dopo foglia i fiori
che ha nella mano strappa.
Il suo passo è incerto e tardo,
i suoi sguardi sono inquieti
un magico sogno sembra
che lusinga ingannevole l'anima.
Ora, guardala, osserva il cielo,
ora sospira e si ferma:
forse una lacrima
spunta dai suoi occhi
e la guancia la inaridisce;
è un'onda del mare che in fiera burrasca
il vento delle passioni
ha sollevato nella sua anima

Elvira, una volta abbandonata, era morta di dolore (in realtà si ha


l'impressione di un suicidio), lasciando un'ultima lettera al suo seduttore, che non
ha smesso di amare.
La terza parte dell'opera inizia con una sequenza di scene teatrali, in cui
intervengono Félix de Montemar, Diego de Pastrana e sei giocatori. Diego
interrompe Félix che sta giocando ai dadi, annuncia la morte della sorella e sfida
Félix a duello per vendicarla: la risposta sprezzante del seduttore è una nota in più
per la descrizione del suo carattere depravato e irriverente:
Don Félix uccide Diego nel duello, ed è questo il momento in cui gli appare la
donna vestita di bianco. Félix intuisce la possibilità di un'avventura nuova e segue
la visione, pressandola con le sue richieste. Ritiene che si tratti di una donna in
carne e ossa, e vorrebbe approfittare di lei, date le circostanze favorevoli: è notte,
e nessuno è in strada. Diventa arrogante:

Per me non c'è domani né ieri.


Se domani muoio, sia in mala ora
o alla buonora, come si dice, cosa m'importa?
Possa io godere il presente, godere io ora,
e il diavolo mi si porti, se vuole, quando morirò.
- Infine, sia fatta la tua volontà, Dio mio! - ,
esclamò la figura fatidica.

Continuando a seguire l'immagine della donna, Félix vede un corteo funebre,


con due morti: uno è Diego, l'altro è lui stesso; continua però a subire il fascino
il romanticismo 403

dell'avventura galante, e segue il fantasma: trova la bianca dama seduta ai piedi di


un monumento funebre innalzato al centro di una stanza. Fattosi coraggio, chiede
alla figura, "diavolo, donna o visione", chi sia, chi li ha portati in quella stanza,
Dio o il diavolo. E la visione mostra il suo vero volto: il fantasma è in realtà lo
scheletro di Elvira, e le fattezze di donna erano illusorie: si celebra allora un
orrido matrimonio tra il seduttore e la sua vittima, che lo trascina all'inferno in un
bizzarro e mortale abbraccio:

È il suo sposo, l'eco rimbombò,


La sposa infine ha trovato il suo consorte!
Gli spettri gridarono con giubilo:
è lo sposo del suo eterno amore!
Ed ella gridò: mio sposo! Ed era
(disinganno fatale, triste verità)
un sordido, orribile teschio
la bella dama dal passo gagliardo...

Gustavo Adolfo Bécquer

Bécquer è lo pseudonimo di Gustavo Adolfo Domínguez Bastida, nato a


Siviglia nel 1836. Precocemente orfano di entrambi i genitori, si trasferisce a
Madrid nel 1854, dove inizia la sua attività letteraria; non ha grande successo, e
trova un impiego statale come censore di romanzi. Muore giovane, nel 1870,
dopo una lunga malattia. L'anno successivo i suoi amici pubblicano il manoscritto
delle Rimas, a cui Bécquer aveva lavorato per molto tempo: il manoscritto
originale era andato distrutto e l'autore le aveva ricostruite a memoria. Questa
piccola opera ha un'importanza straordinaria. Di fatto, con Bécquer siamo fuori
dai limiti cronologici rigorosi del romanticismo, del quale però il poeta raccoglie
l'eredità, dandole una forma nuova, sobria e lirica, che sarà ammirata da tutti i più
importanti poeti spagnoli posteriori:

- Yo soy ardiente, yo soy morena


yo soy el símbolo de la pasión,
de ansia de goces mi alma está llena.
¿A mí me buscas?
- No es a ti: no.
- Mi frente es pálida, mis trenzas de oro,
puedo brindarte dichas sin fin.
Yo de ternura guardo un tesoro
¿A mí me llamas?
- No: no es a ti.
- Yo soy un sueño, un imposible,
vano fantasma de niebla y luz;
soy incorpórea, soy intangible:
no puedo amarte.
404 il romanticismo

44
- ¡Oh ven; ven tú!

Bécquer toglie la retorica dall'espressione romantica e, nel centrare la sua


attenzione sul sentimento, si rende conto della difficoltà di tradurlo in parole. Da
qui la ricerca di una essenzialità che, eliminando ogni elemento superfluo, sia il
veicolo che permette di esprimere l'ineffabile:

Non dite che, esaurito il suo tesoro,


priva di argomenti è ammutolita la lira;
potranno non esserci i poeti,
ma sempre ci sarà poesia.
Finché le onde della luce al bacio
palpiteranno accese,
finché il sole le lacerate nubi
vestirà di fuoco e oro,
finché l'aria porterà nel suo grembo
profumi e armonia,
finché ci sarà nel mondo la primavera,
ci sarà la poesia.
Finché la scienza umana non scoprirà
le fonti della vita
e nel mare o nel cielo ci sarà un abisso
che resista al calcolo,
finché l'umanità che sempre avanza
non saprà verso dove cammina,
finché ci sarà un mistero per l'uomo,
ci sarà la poesia.
Finché si sentirà che l'anima ride
senza che ridano le labbra,
finché si piangerà senza che il pianto accorra
ad annebbiare la pupilla;
finché il cuore e la testa
continueranno a darsi battaglia,
finché ci saranno speranze e ricordi,
ci sarà la poesia.
Finché esisteranno occhi che riflettono
altri occhi che li guardano,
finché il labbro risponderà sospirando
al labbro che sospira,
finché due anime potranno sentirsi
confuse in un bacio,
finché esisterà una bella donna,
ci sarà la poesia.

44
- Io sono ardente e sono mora, / io sono il simbolo della passione, / di ansia di
godimenti è piena la mia anima. / È me che cerchi? / Non te, no. // - La mia fronte è
pallida, le mie trecce d'oro, / posso offrirti gioie senza fine. / Io di tenerezza custodisco un
tesoro. / È me che cerchi? / Non te, no. // - Io sono un sogno, un impossibile, / vano
fantasma di nebbia e di luce; / sono incorporea, sono intangibile: / non posso amarti. / -
Oh, vieni, vieni tu.
il romanticismo 405

È una poesia malinconica, che smorza i toni, cerca la sincerità, la brevità e il


libero fluire dell'ispirazione.

Io conosco un inno gigante e strano


che annuncia nella notte dell'anima un'aurora,
e queste pagine sono di questo inno
cadenze che l'aria dilata nelle ombre.
Io vorrei scrivere dell'uomo
domando il ribelle, meschino idioma,
con parole che fossero al tempo stesso
sospiri e risa, colori e note.
Ma è una lotta vana; non c'è cifra
capace di racchiuderlo, e a mala pena, bella,
tenendo tra le mie mani le tue,
potrei all'orecchio cantartelo da solo.

Bécquer ha sentito il fascino delle leggende popolari, cui ha dedicato una


raccolta di Leyendas in prosa, scritte con un linguaggio molto poetico e capace di
evocare bene gli ambienti fantastici in cui si svolgono. Vi sono alcune delle più
belle pagine della prosa spagnola contemporanea, così come è di grande bellezza
anche la raccolta di lettere, Desde mi celda.
L'interesse di Bécquer per le leggende popolari è certamente un ingrediente
romantico del suo mondo letterario; ma anche in questo caso la sua sensibilità
appare più moderna. Nel folclore il mondo dei vivi e quello dei morti comunicano
abitualmente, senza grosse fratture, e se Bécquer ne trae racconti di apparizioni e
fantasmi, non lo fa con lo scopo di esagerare nella descrizione dell'orrido o di
mettere in primo piano l'evento soprannaturale. Espronceda, ad esempio,
nell'Estudiante de Salamanca crea una bella storia mettendo in primo piano
proprio l'elemento del mistero, l'evento impossibile, gli aspetti più orridi: un
personaggio titanico, egli stesso fuori dal comune, vive un'avventura straordinaria
e trova in essa la sua perdizione; invece Bécquer sceglie la via opposta, più
fedele, in fondo, allo spirito del racconto popolare, di considerare l'evento
soprannaturale come comune: l'apparizione è normale, è un ingrediente della
realtà come tanti altri, e non suscita stupore, non produce, grazie a una grande
abilità stilistica, una lettura dalle tinte forti. Ad esempio, in El monte de las
ánimas - Leyenda soriana, dice Alonso:

Senti? Le campane rintoccano, è suonata l'orazione a San Juan del


Duero, le anime del monte cominceranno ad alzare i loro giallastri crani
dalle erbacce che coprono le loro fosse... Le anime! la cui sola vista può
gelare di terrore il sangue del più coraggioso, far diventare bianchi i suoi
capelli, o portarlo via nel turbine della loro fantastica corsa come una
foglia che il vento trascina senza sapere dove.

Questa notizia non suscita alcuna paura in Beatriz che lo sta ascoltando:

Mentre il giovane parlava, un sorriso impercettibile si disegnò nelle


labbra di Beatriz, che, quando ebbe concluso, esclamò con un tono
406 il romanticismo

indifferente e mentre attizzava il fuoco del camino, dove si rompeva e


crepitava la legna, lanciando scintille di mille colori:
- Oh, questo assolutamente no. Che pazzia! Andare ora sul monte per
una simile sciocchezza! Una notte così scura, notte di Defunti, e con il
cammino pieno di lupi!

È un esempio della convivenza abituale, nella cultura popolare, del naturale e


del soprannaturale: nel raccogliere questo modo di vedere la realtà, con uno stile
che sembra limitarsi a prenderne atto, con la stessa naturalezza con cui si descrive
un evento banale, Bécquer dà un'originale interpretazione della scrittura realista,
anticipando nei fatti alcune questioni molto acute che gli scrittori realisti spagnoli
solleveranno in polemica con le posizioni rigide del naturalismo francese.

Rosalía de Castro

Alla poesia di Bécquer è stata accostata spesso quella di Rosalía de Castro,


poetessa nata a Santiago de Compostela nel 1837 e morta nel 1885. Rosalía scrive
in galego e in castigliano una poesia di raffinata purezza lirica, dove riversa una
sensibilità caratteristica della sua terra: il senso del paesaggio, la nostalgia, un
certo pessimismo, la perdita delle cose, la morte. Cantares gallegos, Follas novas
e En las orillas del Sar sono le sue raccolte di versi. Il suo linguaggio è frutto di
una costante ricerca della semplicità espressiva, unita alla musicalità e al ritmo.
Prendendo ad esempio Orillas del Sar, una delle sue poesie più famose e
riuscite, si può notare facilmente il ruolo attivo che la natura ha nei versi della
poetessa; è però una natura più vicina all'interpretazione romantica che alla
visione realista, è sempre aperta al mistero, come se presentasse ad ogni angolo
delle porte o delle brecce che invitano ad entrare in un'altra dimensione: c'è un
fogliame perenne, dice ad esempio Rosalía, che lascia udire "rumori strani".
Questa interpretazione della natura ha certamente una dimensione romantica,
come si è appena detto, ma di un romanticismo la cui presenza deriva sia dal
carattere di Rosalía, sia dall'ambiente culturale in cui la poetessa vive. Siamo
negli anni del cosiddetto rexurdimento galego, cioè della rinascita della cultura
galega dopo un lungo periodo di latenza seguito allo sviluppo della poesia
medievale. Questa rinascita avviene anche nella forma di una reinterpretazione
dell'anima e della tradizione galega, attestata sia nella letteratura sia nelle
tradizioni e nella cultura popolare e, in tale reinterpretazione, diventano centrali i
temi del sogno, del lirismo, della vita della natura, della normalità
dell'intercambio tra il mondo degli uomini e quello di altre entità: defunti, spiriti,
misteriosi segnali o avvisi, premonizioni...

Attraverso il fogliame perenne


che lascia udire rumori strani,
e un mare di ondeggiante verdura
amorosa dimora degli uccelli,
dalle mie finestre vedo
il romanticismo 407

il tempio che ho amato tanto.

La natura è viva, è in costante movimento, e il suo moto viene collegato alle


emozioni dell'anima umana: nella sensibilità romantica di Rosalía il mondo
esteriore diventa l'espressione del mondo interiore del poeta: l'ondulante verdura
del bosco si agita incessantemente come i pensieri:

Il tempio che ho tanto amato...,


e non so dire se lo amo ancora,
perché nell'aspro viavai in cui senza tregua
si agitano i miei pensieri,
non so dire se l'arido rancore
vive unito all'amore nel mio cuore

Altro tema importante in Rosalía è il ricordo. La poetica del ricordo è


anch'essa legata all'estetica e alla sensibilità del romanticismo, che la collega alla
nostalgia, al rimpianto, all'evocazione di un passato idealizzato, all'idea,
insomma, che prima del presente triste c'è un paradiso perduto, grande o piccolo,
che si può rimpiangere ma non recuperare. Questa tendenza è presente anche
nella rinascita galega, anche se si collega a molti altri temi, come la
rivendicazione dell'autonomia politica della regione, che ne mitigano gli eccessi
nostalgici. In Rosalía la trasfigurazione lirica del presente, alla luce del ricordo, e
la tendenza a una certa evasione sognante, sono controbilanciate da un notevole
senso della realtà, anche se non estraneo a un certo pessimismo:

Scendiamo, dunque, che il cammino


antico ci verrà incontro,
anche se triste, scabroso e deserto,
e cambiato come noi,
pieno ancora di bianchi fantasmi
che in un altro tempo abbiamo adorato.
Il realismo

Romanticismo e realismo

Alla grande stagione del romanticismo segue, nella cultura europea, una fase
dominata dall'esigenza di un maggiore realismo. Questa evoluzione si verifica sia
per ragioni interne allo sviluppo dell'arte e della letteratura, sia per l'influenza di
importanti fattori sociali. Riguardo alle ragioni interne, si può indicare il fatto che
il romanticismo aveva esplorato alcune dimensioni della realtà, con preferenza
per l'intimità della persona o per i temi fantastici, trascurandone altre, che pure
hanno la loro importanza e possono essere trattate artisticamente: ad esempio,
tutta la dimensione sociale della vita, che viene posta al centro dell'attenzione dal
naturalismo e dal verismo. Riguardo ai fattori sociali, si può evidenziarne due che
hanno diretta attinenza con la creatività.
In primo luogo, lo sviluppo delle prime forme di industria culturale: la
maggiore diffusione delle pubblicazioni periodiche e l'aumento delle tirature
comportano l'esigenza di un'accresciuta quantità di testi da pubblicare. Una delle
forme di questa industria si può vedere nel cosiddetto romanzo d'appendice, una
letteratura popolare che tende a modellarsi sui gusti del pubblico, piuttosto che su
una scrittura raffinata, destinata a lettori colti. Questo tipo di scrittura, che in ogni
caso non va svalutata pregiudizialmente, anche se frequentemente è di scarsa
qualità, tende ad insistere su temi sentimentali, lacrimosi, e sulla creazione di
trame ricche di continui colpi di scena, che fanno presa sul lettore, inducendolo
all'acquisto del testo, soprattutto se viene pubblicato a puntate. Si verifica così
un'inflazione di elementi, peraltro già presenti nel primo romanticismo, anche se
trattati a un livello qualitativo superiore: l'eccessivo sentimentalismo, l'indulgenza
verso toni moraleggianti e storie edificanti, anche se improbabili, favorisce, per
reazione, la diffusione di un'esigenza di realismo.
In secondo luogo, l'evoluzione della società europea procede rapidamente
all'introduzione di forme di vita sempre più legate ai valori borghesi, sempre più
fondate sulla tecnica e sulla razionalizzazione della produzione e dei rapporti
sociali. Il pensiero scientifico, sulla cui verità all'epoca non si hanno dubbi,
acquista una posizione preminente nel dibattito culturale e le scienze esatte
forniscono un modello di sapere la cui influenza si estende anche all'arte. Un
mondo progressivamente dominato dalla mentalità positivista, non può che
reagire con fastidio all'universo fantastico e sentimentale del romanticismo,
soprattutto quando tale universo si commercializza, per così dire, e si diffonde,
molto più di quanto non avessero fatto le opere di qualità, con scritture ripetitive.
Di fronte a questa svolta realista dell'arte europea occorre però evitare giudizi
troppo netti e classificazioni troppo rigide: si potrebbe essere indotti a pensare
che romanticismo e realismo siano due realtà, o due scelte stilistiche, opposte e
incompatibili, ma questo sarebbe un errore dalle conseguenze molto gravi.
Bisogna dunque precisare due punti fondamentali per la comprensione dell'arte
contemporanea: il primo è che romanticismo e realismo non sono affatto
il realismo 409

incompatibili; il secondo è che la critica al romanticismo e la nuova esigenza di


realismo avviano una riflessione anche su questa nozione di realismo che, per
certi aspetti, continua ancora oggi. Vediamo dunque il primo punto:
romanticismo e realismo.
Per classificare le opere letterarie e ricostruire le correnti e le poetiche, si
guarda allo stile con cui sono scritte e al loro contenuto. Atmosfere notturne,
ambientazioni cimiteriali, presenza di antiche rovine, sono contenuti di evidente
sapore romantico... però nessuna legge proibisce a un romantico di descrivere in
modo realista il suo cimitero. Appartiene al fantastico l'idea, nell'Estudiante de
Salamanca, che uno scheletro se ne vada in giro di notte, con le parvenze di una
bella e attraente fanciulla (anche se, più che romantico, il tema sarebbe barocco),
ma la presenza di quest'anima in pena non è incompatibile con una descrizione
realista delle strade cittadine. La questione dunque sta nel vedere quale ruolo
viene svolto, nel romanticismo, dalla descrizione realista. In testi classici, come il
Chisciotte o La Celestina, il realismo era una chiave di scrittura generale, usata
sia nella descrizione dell'ambientazione sia nella concezione degli eventi:
relativamente al modo in cui era concepita la realtà nel Cinquecento, l'autore
racconta una storia in cui non accadono cose comunemente ritenute impossibili. Il
romanticismo, e prima di lui il barocco, rompe questa convenzione e mette al
centro la libera creatività dell'autore, che usa l'immaginazione o la descrizione
realista a seconda di ciò che gli serve per i suoi scopi. Se deve scrivere un
romanzo storico, non è detto che gli serva il ricorso al fantastico, al mito o al
soprannaturale.
Come primo risultato di questa operazione, barocca e poi romantica, si ha una
certa ambiguità nei termini realismo e idealismo. In precedenza questi termini
sembravano abbastanza chiari: il realismo (ad esempio nella commedia del
Cinquecento) descrive la realtà quotidiana, spesso in modo umoristico, mentre la
letteratura idealizzante descrive delle storie esemplari, come nel caso della
tragedia, o mondi di pura immaginazione, come nel caso di un romanzo
cavalleresco, in cui la presentazione degli ambienti segue in genere schemi
convenzionali. Questa chiarezza è destinata a scomparire nel corso del tempo. Nel
romanticismo, la descrizione realista diventa un ingrediente, e non una chiave di
scrittura o una convenzione che impone all'autore una certa coerenza con il
mondo reale in cui viviamo, fuori dalla letteratura. Dunque, il fatto che cominci a
diffondersi nell'Ottocento il romanzo realista non è, di per sé, indizio di
contrapposizione al romanticismo. Il romanzo realista, che si rivolge a un
pubblico borghese e urbano, poggia anche sulle esperienze romantiche del
romanzo storico e continua a muoversi in una linea che si può definire
anticlassica.
Chiarito questo, il passo avanti più immediato è affermare che esistono molti
tipi di realismo, i quali si differenziano per stile e per contenuti, al punto tale che
non sempre sono compatibili, cioè non sempre appartengono alla stessa corrente
letteraria o artistica. Infatti il realismo è, in definitiva, il tentativo di dar corso a
un'arte o una scrittura in cui le descrizioni vengono riconosciute dal
lettore/osservatore come familiari e reali, cioè, formalmente, come "descrizioni di
realtà". Ovviamente noi sappiamo che la cosa reale e la sua descrizione sono
410 il realismo

entità diverse e che l'immagine di una cosa non è la cosa stessa: la descrizione
realista non è la realtà stessa, ma crea l'illusione che quanto si dice, si dipinge o
si scrive sia reale. Va aggiunto che, proprio per questo motivo, le forme del
realismo dipendono dal modo in cui un'epoca o una civiltà concepiscono la realtà:
quando Rojas mette in scena, nella Celestina, l'invocazione al diavolo, non rompe
il realismo complessivo dell'opera, perché nell'idea generale della realtà che si
aveva alla fine del Cinquecento, era compresa la presenza del diavolo e la
possibilità di entrare in contatto con lui. In altri termini, esiste un rapporto diretto
tra la descrizione realista e la realtà consensuale, ovvero ciò che noi riteniamo
comunemente essere vero. La realtà consensuale, a sua volta, è un'immagine della
realtà, un'interpretazione (benché comune a un numero enorme di persone), e non
è la realtà stessa, la realtà in sé e per sé, la realtà indipendente dalle nostre
interpretazioni.
Insomma, ciò che consideriamo realtà è sempre interpretazione della realtà:
da qui la possibilità di varie tipologie di descrizione. Il Poema de mio Cid, come
si è già notato, appartiene a un realismo che potremmo definire "prospettico": il
mondo letterario costruito dall'autore riflette il suo pensiero e le sue valutazioni; è
realista, ma tratta solo una parte della realtà: la vicenda del Cid osservata e
interpretata a partire dal presupposto che Rodrigo de Vivar abbia ragione e gli
Infanti di Carrión abbiano torto. Nessuno storico serio può pensare che gli
antagonisti del Cid e il partito leonese, nella storia vera, non abbiano ragioni da
portare avanti in un ipotetico processo, ma nel mondo letterario le loro ragioni
non sono prese in considerazione; c'è il personaggio positivo e gli avversari
negativi, il bene e il male, separati e nettamente distinti. Invece nella Celestina la
costruzione del realismo (dell'illusione di realtà) è più complessa: ogni
personaggio ha la sua parte di ragione e la sua parte di torto, o errori, e nella
vicenda trovano spazio i punti di vista di ciascuno: da qui il conflitto, che in
fondo è la struttura portante dell'opera.
Questa capacità del realismo di creare un'illusione di realtà viene sfruttata a
piene mani dagli autori barocchi e poi si ritrova nel romanticismo, che per il
barocco, soprattutto quello spagnolo, ha grandissima ammirazione. Naturalmente,
questo non obbliga un autore romantico ad essere sempre realista, ma vuol dire
semplicemente che il realismo fa parte dei ferri del mestiere a cui il romantico
ricorre quando ne ha bisogno. Così, per prendere ad esempio due autori
apparentemente lontani da un'estetica realista, vediamo che Coleridge abbandona
la descrizione della realtà quando si ispira al sogno o alle visioni, ma De Quincey
usa il realismo (s'intenda: una forma di scrittura realista, cosa che non significa
affatto una scrittura vera, una confessione sincera) quando descrive la sua stessa
storia personale nelle Confessioni di un mangiatore d'oppio.
Riassumendo, una contrapposizione tra romanticismo e realismo, in termini
generali, non è proponibile, così come non lo sarà una contrapposizione tra
realismo e decadentismo. Tuttavia sappiamo che verso la metà del XIX secolo si
sviluppa una letteratura diversa da quella romantica, con lo scopo di reagire
proprio ad alcuni caratteri del romanticismo, che forse erano stati amplificati da
scritture di scarso valore, destinate a un pubblico non qualificato. Questa reazione
si sviluppa soprattutto in Francia e prende il nome di naturalismo. Il naturalismo
il realismo 411

è una particolare forma di realismo, un realismo che si configura secondo una


certa interpretazione della scrittura, alla quale vengono assegnati compiti nuovi.
Nella sua forma matura il naturalismo sviluppa l'idea che la scrittura realista
(o le altre forme d'arte realista) potrebbe non essere soltanto la creazione di una
illusione di realtà. Influenzato dal positivismo e dallo sviluppo del pensiero
scientifico, il naturalismo pensa che l'arte possa essere una descrizione scientifica
vuoi della psicologia umana, vuoi della società. Descrizione scientifica è diverso
da illusione di realtà: anche se la scienza stessa è un'interpretazione della realtà
radicale (ma questo non era condiviso dai positivisti), è chiaro che nel
naturalismo lo scrittore rivendica la capacità di raggiungere una verità, che l'arte e
la letteratura non avevano mai raggiunto prima. Naturalmente questo progetto
letterario, tanto realista (o tanto poco) quanto le precedenti forme del realismo,
dipende da una filosofia e da una serie di presupposti, che fondano una nuova
formula estetica, ma, quali che fossero le idee di Zola e dei naturalisti francesi,
una volta creato un modo di descrivere, esso entra a far parte del repertorio a
disposizione di ogni scrittore, anche di coloro che non condividono tali idee.
Il naturalismo francese mette l'accento sulla dipendenza della persona
concreta dalle condizioni sociali e ambientali in cui vive, sulla motivazione
psicologica del comportamento, sulla realtà sociale piuttosto che sulla natura, su
condizioni di vita e su valori estranei a quelli della borghesia; si occupa delle
classi emarginate, del proletariato, e cerca un'arte che sia essenzialmente una
documentazione nitida e chiara come una fotografia. Basta aver letto alcuni
romanzi naturalisti per immaginare quale potesse essere lo sviluppo successivo:
l'idea di una letteratura posta, in definitiva, al servizio della scienza sociale è
certamente valida e legittima, però non è esclusiva. Tutti i tipi di scrittura sono
disponibili contemporaneamente, e tutti i progetti estetici sono pensabili e
realizzabili: che uno scriva per documentare fotograficamente le condizioni di
vita delle periferie urbane non è cosa che impedisce a un altro di scrivere con altri
scopi o di cercare nuove forme di bellezza letteraria. Da qui la facile previsione
che la stagione naturalista sarà seguita da una ripresa di tematiche spirituali e
idealizzanti, di tendenze estetizzanti, insomma di un'esplorazione artistico-
letteraria di quella parte di realtà che il naturalismo aveva accantonato, proprio
per poter sviluppare i temi che gli erano cari. Ma qui si ha uno dei punti più
problematici della cultura contemporanea: ciò che abitualmente si chiama
decadentismo, cioè la critica al realismo (inteso come naturalismo francese, e
altre estetiche analoghe), è un rifiuto del realismo o è la ricerca di un realismo
nuovo?
Il naturalismo è una forma di realismo che, in definitiva, si restringe e si
specializza: la realtà può essere descritta realisticamente in mille modi, posso
descrivere realisticamente una montagna o una tempesta: il naturalismo preferisce
descrivere l'uomo nella sua condizione psicologica e nella sua collocazione
sociale. Restano molte altre cose di cui è possibile parlare: il che significa che,
quando si è coerenti fino in fondo con i presupposti del naturalismo, se ne
scoprono i limiti, definiti proprio da questa restrizione. E quando si arriva a un
limite, la cosa più saggia in letteratura è superarlo; ma un conto è superare un
limite, un altro conto è semplicemente reagire per contrapposizione. Nel primo
412 il realismo

caso si ha un ampliamento di orizzonti e un'integrazione delle prospettive


precedenti alle nuove; nel secondo caso, una mera contrapposizione polemica
sterile.
La questione del rapporto tra decadentismo e realismo sarà trattata meglio
parlando della letteratura contemporanea; al momento il nostro oggetto è la
letteratura realista spagnola dell'Ottocento e mi limito ad alcune questioni che
servono a introdurla e a capire l'originalità con cui si presenta nella scena
europea.
Se si vuole un'immagine chiara di come e perché il naturalismo viene
superato, e si aprono strade nuove, basta un quadro: lo straordinario Bar alle
Folies Bergère che Eduard Manet dipinge nel 1881, il suo ultimo capolavoro,
presentato al Salon del 1882. Lasciando da parte ogni considerazione tecnica e
fermandosi solo al soggetto del quadro, non si può negare che esso sia
impressionante. È come trovarsi di fronte all'avvenente cameriera che sta dietro il
bancone del bar in attesa della nostra ordinazione. Tutto nel quadro è
perfettamente realista: le bottiglie di liquori, i fiori e la frutta in primo piano, il
vestito della ragazza, il grande specchio alle sue spalle che riflette una folla di
avventori e, naturalmente, la schiena della cameriera stessa protesa verso il
cliente, il cui volto appare sull'angolo in alto a destra. Ebbene, la cameriera è
ritratta due volte: l'immagine di schiena è agile, naturale, s'intravede un
movimento di capelli, le spalle sembrano più scese per prestare attenzione al
cliente e raccogliere l'ordinazione; è un atteggiamento molto dinamico, dà l'idea
che da un momento all'altro la ragazza si muoverà per eseguire l'ordine; invece
l'immagine di fronte, che campeggia nella parte centrale del quadro, occupandola
dall'alto in basso interamente, è l'esatto contrario: la posa è rigida, le spalle sono
più alte, il busto non sembra piegato, la testa è leggermente inclinata verso la
destra dell'osservatore, l'occhio è straordinariamente lucido, ma... guarda altrove.
Non è un occhio perso, smarrito, vuoto, ma un occhio lucido, che semplicemente
guarda altrove, un altrove che forse non è un punto fisico: è lo sguardo di chi ci
sta di fronte ma, per un momento, si è assorto, si è estraniato, perché pensa ad
altro. E l'espressione, tutto sommato, triste della ragazza fa capire che pensa a
qualcosa che non è immediatamente presente, non è il bar, non è la sua
condizione sociale. È invece un'insoddisfazione, una volontà di essere altrove, in
tutta la vita che può vivere fuori dal bar: forse la sua parte più autentica e
migliore. Ma la cosa più straordinaria è l'avventore che, nel piccolo spazio che il
quadro gli riserva, ha un'espressione sorprendente: non si sta interessando alla
consumazione, ma sta guardando la ragazza negli occhi, intensamente; si suppone
che lei gli sorrida con professionale cortesia, ma lui, con sguardo penetrante, va
oltre le apparenze e coglie un'ansia, un'insoddisfazione... insomma coglie
esattamente ciò che viene descritto in primo piano, nel ritratto della ragazza vista
frontalmente.
Che significa questo, nel 1880 circa, parlando del naturalismo e del suo
superamento? Che un impressionista, un uomo dalla grande sensibilità per il
realismo, come Manet, è stato a tal punto realista da aver capito una cosa: che il
realismo è descrizione di apparenze, e che se descriviamo nel modo più acuto e
sottile, troviamo che in queste apparenze traspare qualcosa che, in teoria, non
il realismo 413

dovrebbe avere forma: sentimenti, stati d'animo, non solo come espressione di
stati psichici, ma come riflesso di valori e di una profondità che non è
semplicemente contrapposta alla realtà (come se un sentimento fosse irreale), ma
è ciò che di reale si trova appena oltre la superficie. Diceva Ortega che la
profondità di una cosa, proprio perché è reale, si deve mostrare nella superficie,
ma deve farlo senza perdere il suo carattere di profondità: ecco che l'esame
attento della superficie può arrivare a un punto in cui è possibile andare oltre le
apparenze e cogliere il profondo. Orbene, procedere dalla superficie alla
profondità per il naturalismo era possibile solo nei termini scientifici (della
scienza psicologica o di quella sociale): non era attrezzato per affrontare realtà
irrazionali senza la pretesa di razionalizzarle. Gli impressionisti, che partono dalla
premessa del realismo, hanno cercato un'arte della realtà totale, non solo di
frammenti di realtà: il sociale, lo storico, persino l'ideale, non sono che frammenti
di realtà.
Se la ricostruzione che ho fornito risulta convincente, allora credo si debba
accettare anche il suo corollario: che il naturalismo non è, in definitiva, un
movimento contrapposto al romanticismo, ma è lo sviluppo di alcune possibilità
artistiche che lo stesso romanticismo aveva dischiuso. Il romanticismo ha aperto
molte strade, ma non le ha percorse tutte, perché ha aperto (o riaperto) la
possibilità che l'artista stesso definisse la sua arte e quindi creasse un'estetica
nuova. Ha fatto questo in un arco di tempo piuttosto lungo, perché ha dovuto farsi
accettare dal pubblico, dai committenti, dagli editori, dalla censura, ma alla fine
lo ha fatto: ha messo ogni artista o gruppi di artisti in grado di definire su un loro
manifesto ciò che pensano e i criteri a cui si ispirano nella creazione. Questa
libertà, che è uno degli elementi essenziali del romanticismo, è come il
contenitore in cui si è mosso il naturalismo: ha aperto una prospettiva, l'ha
sviluppata fino alle estreme conseguenze, fino ad andare oltre le sue stesse
premesse e, in questo oltre, ritrovare - ma con la possibilità di una lettura nuova e
approfondita - ciò che credeva di aver lasciato dietro le spalle. Naturalmente,
sono da aggiungere alle cose antiche anche le novità che le trasformazioni sociali
portano con sé: quando Manet espone il suo quadro, mancano meno di vent'anni
al nuovo secolo. Pochi anni dopo, iniziando la sua straordinaria avventura
intellettuale, José Ortega y Gasset avrebbe combattuto il positivismo non usando
come parola d'ordine l'antipositivismo, ma rivendicando la necessità di un
positivismo assoluto contro un positivismo parziale: un realismo che, come si
diceva, non si fermi alla superficie, ma trovi l'accesso alle dimensioni profonde,
altrettanto reali. È facile notare che, per un artista, queste dimensioni trovano
migliore espressione nel mito e nei simboli, piuttosto che nel linguaggio
discorsivo o razionale, sicché un'espressione surrealista, tecnicamente molto
diversa da un'espressione naturalista, può rivelarsi nondimeno altrettanto realista,
se riesce a cogliere adeguatamente una realtà psicologica.
È chiaro che questo discorso non può portare a dilatare il significato del
termine romanticismo, fino ad affermare che tutto è romantico: significherebbe
l'impossibilità di capire differenze essenziali. Però è certo che il romanticismo si
trova all'inizio di un processo, lungo, complesso, a volte contraddittorio, che
arriva fino ai giorni nostri e, di fatto, rimane senza nome. Si può chiedere, allora,
414 il realismo

perché non iniziare il processo dal barocco, visto che buona parte dei temi
romantici era presente già nel Seicento. C'è una ragione oggettiva. Come si
ricorderà, abbiamo caratterizzato l'età barocca come una "seconda modernità",
volendo con ciò significare che la modernità rinascimentale subiva profonde
trasformazioni: principalmente, la spaccatura in due prospettive contrapposte
(entrambe moderne) come la controriforma e il pensiero scientista o razionalista.
Orbene, questa frattura, che accompagna il Seicento e il Settecento, comincia a
sanarsi a partire dal romanticismo. Ecco perché inizia nell'Ottocento un processo
nel quale ancora oggi siamo coinvolti: inizia la costruzione dell'età
contemporanea, cioè dell'età in cui, finalmente, tutto ciò che esiste è a
disposizione contemporaneamente, da un antica poesia cinese a una raccolta di
versi futuristi, da un'opera medievale alla rete di computer, da rovine romane in
Turchia a una festa di aborigeni australiani.

Fernán Caballero

All'inizio del romanzo realista in Spagna sta la figura di Cecilia Böll de Faber
(1796-1877), che scrive con lo pseudonimo di Fernán Caballero. L'opera di
questa scrittrice è singolare, perché il suo stile è realista, ma le sue idee sono
lontane dalla sensibilità del naturalismo francese: Fernán Caballero è molto
cattolica, molto reazionaria e, in definitiva, molto romantica; rappresenta dunque
un primo esempio del dibattito sul realismo, a cui si alludeva nelle pagine
precedenti. A differenza degli autori francesi, Fernán Caballero poteva contare su
una lunga tradizione picaresca e costumbrista, di cui inserisce le situazioni, le
"scene", in una struttura romanzesca che fa da cornice. Il suo proposito, molto
"naturalista", era dare un'idea esatta e vera della Spagna e della società spagnola,
basandosi sull'osservazione diretta, anche se non manca nelle sue pagine una
certa idealizzazione. La formazione cattolica poi la porta a dare rilievo a
un'intenzione moralizzatrice e a un certo sentimentalismo: questa è una nota
abbastanza comune al realismo spagnolo dell’Ottocento. Come scrive Leopoldo
Alas, conosciuto con lo pseudonimo di Clarín, nel Prólogo a La cuestión
palpitante de Emilia Pardo Bazán

La cosa peggiore non è che il naturalismo non sia come se lo


rappresentano i suoi nemici, ma che somigli ben poco all'idea che ne
hanno molti tra i suoi sostenitori, pieni di una fede imprudente come tutte
le fedi cieche.

In sostanza, Clarín sostiene che il naturalismo è un modo di scrivere, una


tecnica di descrizione della realtà, che non ha alcun obbligo di coniugarsi con
idee materialiste, positiviste o scientiste, che invece sono un'interpretazione della
realtà stessa. Fernán Caballero, la cui opera più nota è La gaviota del 1849, si
colloca all'inizio di questa discussione critica, la cui importanza sarà messa in
luce tra breve. Gaviota è il soprannome della protagonista del romanzo,
Marisalada, figlia di un pescatore che, dopo il matrimonio con un medico tedesco,
il realismo 415

inizia una carriera di cantante. Raggiunge il successo a Madrid, ma poi si


innamora di un torero e in conseguenza della relazione è abbandonata dal marito.
La storia finisce male: il torero muore in una corrida e la donna, persa la voce,
torna nel suo paese, dove si sposa con il barbiere, accettando un'esistenza
frustrata. L'opera, come si diceva, è scritta con un chiaro intento realista, in modo
spesso asciutto e oggettivo, anche se Fernán Caballero è ancora molto vicina alla
sensibilità romantica
In Fernán Caballero si ha una scrittura realista, nella quale non sono descritti
episodi o eventi che non appartengono alla comune esperienza del mondo
quotidiano in cui viviamo, e in cui l'autore è presente come voce attiva, che
interpreta mentre racconta. Va avvertito che questo è un modo, legittimo come
tanti altri, di intendere il realismo, e non diminuisce affatto il valore letterario
della scrittrice. Si tratta solo di distinguere tra poetiche e di confrontarne i
fondamenti teorici. A mio avviso, un naturalista tratterebbe il tema in un altro
modo. Certo è che il momento interpretativo esiste anche nel naturalismo, solo
che Zola non sarebbe disposto ad ammetterlo.
Una seconda opera famosa di Fernán Caballero è La familia Alvareda (1856),
storia violenta di gelosia e sangue, mitigata però da un essenziale ottimismo
cristiano.

Pedro Antonio de Alarcón

Anche Pedro Antonio de Alarcón (1833-1891) è un autore realista ancora


legato a tematiche e atmosfere romantiche. Nella sua attività di scrittore si dedica
in una prima fase ai racconti, raccolti in tre serie: Historietas nacionales (1881),
Cuentos amatorios (1881), Narraciones inverosímiles (1882). Si tratta di storie
piacevoli, generalmente apprezzate dalla critica soprattutto per il carattere vivace
dello stile, le capacità di osservazione e descrizione, e la fantasia; con una vena di
polemica anticlericale e antimonarchica: Alarcón aveva fortemente attaccato
Isabel II nella sua attività giornalistica e, nel 1854, aveva partecipato a una
ribellione a Granada.
L'opera più famosa di Alarcón, però, era stata pubblicata pochi anni prima, ed
è un romanzo breve di grande successo: El sombrero de tres picos (1874), basato
sullo schema popolare (in particolare su un romance) del vecchio che vorrebbe
maritarsi con la giovane e bella Frasquita. Il vecchio, corregidor, cioè
governatore della provincia, fa imprigionare il marito di Frasquita, il mugnaio
Lucas. Quindi si reca al mulino per approfittare della sua assenza, ma cade in un
fosso e si bagna i vestiti. Mentre attende che asciughino, Frasquita riesce a
scappare. Intanto Lucas, anche lui fuggito, torna a casa e trova i vestiti del
corregidor, ed equivoca la situazione: pensa che questi sia con sua moglie e si
sente tradito. Per vendicarsi, li indossa con lo scopo di sostituirsi a lui e sedurre la
corregidora - cosa che, in un vecchio schema popolare ripreso anche dal
romancero, funzionava perfettamente (Alarcón addolcisce, per così dire, alcuni
aspetti libertini della storia originale). Il progetto del mugnaio, comunque, non va
416 il realismo

a buon fine: la corregidora, effettivamente, scambia Lucas per il suo marito, e


proprio per questo non lo fa entrare, credendo che sia reduce da qualche
avventura amorosa. Il mattino seguente, il corregidor torna in paese coi vestiti del
mugnaio, e rischia l'arresto ad opera dei gendarmi che cercano il vero mugnaio,
fuggito di prigione. Alla fine ogni equivoco si chiarisce e ciascuno torna nel suo
ruolo.
Il realismo di Alarcón è lontano dalle tecniche naturaliste ed è più legato alla
tradizione narrativa spagnola, introducendo spesso la caricatura o la
deformazione burlesca, peraltro con ottimi risultati.
Arruolatosi come soldato nella guerra tra Spagna e Marocco, Alarcón trae da
questa esperienza il Diario de un testigo de la guerra de África (1859-60). Altre
opere di Alarcón sono: El escándalo (1875, storia della conversione di un
moderno uomo di mondo, Fabián Conde, a un cattolicesimo patriarcale e
conservatore), El niño de la bola (1880, romanzo di condanna del razionalismo
moderno), La pródiga (1882, difesa dell'istituto matrimoniale e condanna, al
tempo stesso, dell'amore passionale e della cultura libera). Le opere posteriori al
Sombrero de tres picos risentono di un notevole cambio di tono e di
atteggiamento da parte di Alarcón: una crisi spirituale lo porta a svalutare la sua
produzione precedente, considerata frivola, e l'adesione a un cattolicesimo
conservatore lo conduce a mettere in primo piano la preoccupazione morale.
Questo nuovo clima spirituale si riflette anche sulla sua scrittura che, a parere
unanime, diventa prolissa e a tratti vuota, anche se nel complesso la narrativa di
Alarcón si mantiene sempre su un buon livello.
Dopo La pródiga Alarcón abbandona la sua attività letteraria, in segno di
protesta per ciò che chiama una "congiura del silenzio" contro la sua opera; in
realtà, sembrerebbe oggi che, piuttosto che di congiura del silenzio, bisognerebbe
parlare di un'accoglienza fortemente discussa del romanzo e soprattutto dell'opera
precedente, El escándalo, che provocò un dibattito molto acceso, ma legato più ai
contenuti ideologici che al valore letterario: questo, anzi, venne riconosciuto
anche da alcuni avversari di Alarcón.

José María de Pereda

José María de Pereda (1833-1906), nasce da una famiglia della bassa nobiltà
in provincia di Santander, e trascorre quasi tutta la sua vita nella sua regione, che
descrive nelle sue Escenas montañesas, raccolta di quadri costumbristi pubblicata
nel 1864 in cinque volumi. La montagna è il suo grande tema letterario, ma anche
il suo limite, benché Pereda ne fornisca descrizioni eccellenti e molto realiste.
Cattolico tradizionalista di salde convinzioni, Pereda si cimenta anche nel
romanzo a tesi: El buey suelto (1877) è una critica del celibato; De tal palo tal
astilla (1879) critica l'incredulità in materia di religione; però le migliori prove
come romanziere le fornisce quando si ancora saldamente alla sua regione,
mostrando di avere eccellenti doti nella descrizione paesaggistica. In particolare,
le sue opere più importanti sono Sutileza, del 1884, apprezzata per la descrizione
il realismo 417

dell'ambiente marinaro, della tempesta e della lotta dei pescatori contro il mare, e
Peñas arriba, del 1883, storia di un giovane di Madrid che, tornato in campagna,
dove era nato, passa dall'odio per il mondo contadino e montanaro
all'ammirazione, fino alla decisione di fermarsi e abbandonare la vita cittadina.
La trama è semplice, quasi un pretesto per eccellenti descrizioni della vita
patriarcale, dei suoi usi e della montagna.
Nella difesa della regione, della sua cultura locale, Pereda vede in realtà la
difesa della tradizione castiza spagnola, cioè degli elementi autentici, autoctoni,
che identifica - in modo un po' unilaterale - con la vita patriarcale della
campagna, la critica della corruzione delle città, l'avversione alla borghesia e al
liberalismo, e la difesa della tradizione cattolica.

Juan Valera

Juan Valera (1824-1905), nasce in provincia di Cordova da una famiglia


nobile. Diplomatico di carriera, svolge i suoi incarichi a Napoli, Lisbona, Rio de
Janeiro, Dresda e Pietroburgo. Deputato alle Cortes, abbandona i suoi incarichi
all'avvento della repubblica (1873), tornando alla vita politica nel periodo
successivo della Restaurazione. Uomo di grande raffinatezza e vasta cultura
umanistica, per il suo temperamento e il carattere ironico, era alieno da ogni
forma di estremismo, e dunque distante dal romanticismo come dal romanzo a
tesi. Nella sua scrittura mette una buona dose di estetismo: vuole che sia artistica,
non che serva a qualche scopo sociale o ideologico, e in questo si trova
perfettamente allineato con le tendenze più nuove della letteratura europea.
Coerentemente con la sua idea della scrittura, ama l'analisi psicologica dei
personaggi e il tema dell'amore. Qui sta la sua forza di scrittore e al tempo stesso
il suo limite: mancano personaggi vigorosi nelle sue opere, e l'analisi psicologica
conduce a una certa freddezza.
Si occupa anche di teoria del romanzo, in Apuntes sobre el nuevo arte de
escribir novelas (1877): vi critica il naturalismo, perché non accetta che lo
scrittore descriva la realtà sulla scorta di appunti presi stando attento a che nessun
particolare sfugga: Valera preferisce piuttosto la via opposta, di prestare
attenzione alla selezione dei particolari, in modo che essi, opportunamente
disposti, costruiscano l'immagine o l'evocazione della realtà nella mente del
lettore; non crede inoltre nella neutralità dello scrittore, che, a suo parere,
interpreta sempre attivamente ciò che vede; e non ama le scene più crude che
caratterizzano il naturalismo. Per Varela non c'è ragione di trasformare il
romanzo in un saggio di sociologia, e dunque rivendica il diritto di scrivere in
altri modi. Nelle sue Cartas americanas mostra di apprezzare la poesia di Rubén
Darío e il modernismo ispanoamericano. Senza cadere in un esasperato estetismo,
Valera pensa che lo scrittore debba essere al servizio soltanto della scrittura. La
sua inclusione nel realismo ottocentesco non gli rende pienamente giustizia, e
coglie solo un aspetto della sua scrittura: forse con un certo anticipo rispetto ai
suoi coetanei, Valera coglie le novità che si stanno diffondendo in Europa e
418 il realismo

recepisce, con una sua rielaborazione personale, temi dibattuti in ambito post-
naturalista o simbolista, anche se non carica la sua scrittura di simboli o
atmosfere decadenti.
Valera inizia a scrivere romanzi quando è già sulla cinquantina, dopo aver
pubblicato articoli, racconti, poesie e saggi; la sua prima opera, Pepita Jiménez
(1874), ha una buona accoglienza da parte della critica, ed è considerata anche
oggi la sua opera migliore. Seguono altri romanzi: Las ilusiones del doctor
Faustino (1875), descrizione del fallimento di un intellettuale travolto dalle
trasformazioni della società; El Comendador Mendoza (1877), Juanita la larga
(1896), a carattere costumbrista; Genio y figura (1897), che descrive la scalata
sociale di una prostituta; Morsamor (1899), che introduce elementi magici,
rompendo il carattere realista delle precedenti opere.
Pepita Jiménez è un romanzo scritto con uno stile conciso, in un periodo in
cui si scriveva spesso in maniera lenta e prolissa. È ambientato in Andalusia e
racconta l'innamoramento di un giovane seminarista, Luis de Vargas, per una
vedova, Pepita, che a suo tempo era stata corteggiata dal padre del giovane, e che
finisce per sposarlo. Il romanzo è scritto in parte in forma epistolare e, data la
trama, è facile immaginare che Varela curi particolarmente l'analisi psicologica
dei personaggi e del conflitto tra l'amore terreno e la vocazione sacerdotale,
nonché l'analisi della differenza tra la realtà oggettiva e la sua percezione
soggettiva. Inizialmente il romanzo viene apprezzato negli ambienti liberali per
l'ironia nei confronti del mondo ecclesiastico, tuttavia non era questo il suo tema
dominante, e oggi viene apprezzato soprattutto per le sue qualità artistiche.

Benito Pérez Galdós

Benito Pérez Galdós (1843-1920) è la figura più importante del realismo


spagnolo dell'Ottocento. Nasce nelle isole Canarie, per poi trasferirsi a Madrid,
dove studia e risiede stabilmente. Tra i suoi numerosi viaggi ha importanza per la
sua letteratura il soggiorno a Parigi, dove entra in contatto con gli ambienti del
naturalismo, potendo apprezzare in particolare i romanzi di Balzac, anche se va
precisato che la sua opera, vasta e diluita in un ampio arco di tempo, non si
esaurisce tutta nel naturalismo. Nel Prólogo a La Regenta di Clarín, scrive:

Il cosiddetto Naturalismo era familiare a noi spagnoli nel regno del


Romanzo, perché i maestri di questa arte lo avevano praticato con tutta la
libertà del mondo, e da loro avevano avuto l'insegnamento i romanzieri
inglesi e francesi. I nostri contemporanei certamente non lo avevano
dimenticato quando videro passare la frontiera la bandiera naturalista,
che rappresentava il rimpatrio di una vecchia idea; negli stessi giorni di
questo rimpatrio tanto strombazzato, la pittura fedele della vita era
praticata in Spagna da Pereda e altri, e lo era stata prima dagli scrittori
costumbristi. Ma è giocoforza ammettere che il Naturalismo che tornava
qua, come in una corrente circolare simile al gulf stream, aveva più calore
e meno delicatezza e grazia. Il nostro, la corrente iniziale, incarnava la
il realismo 419

realtà nel corpo e nel volto di un umorismo che era forse la forma più
geniale della nostra razza. Tornando a casa, l'onda veniva radicalmente
sfigurata: passando dalle parti di Albione, le avevano portato via la
furberia spagnola, che fu abilmente trasformata in humour inglese dalle
mani abili di Fielding, Dickens e Thackeray, e privato di quella sua
caratteristica elementare, il naturalismo cambiò la sua fisionomia nelle
mani francesi: ciò che aveva perso in grazia e leggiadria, lo guadagnò in
forza analitica e in estensione, applicandosi a stati psicologici che non
entrano facilmente nella forma picaresca. Abbiamo ricevuto dunque, con
perdite e profitti (e non spaventiamoci della similitudine commerciale) la
mercanzia che avevamo esportato, e quasi non riconoscevamo il nostro
sangue e il respiro dell'anima spagnola che quell'essere letterario
conservava dopo le alterazioni causate dai suoi viaggi. Insomma: la
Francia, con il suo incontrastabile potere, ci imponeva una riforma della
nostra stessa opera, senza sapere che era nostra; noi l'abbiamo accettata
restaurando il Naturalismo e restituendogli ciò che gli avevano tolto,
l'umorismo, usandolo nelle forme narrativa e descrittiva conformemente
alla tradizione cervantina.

Come si vede, Galdós inserisce il naturalismo francese in una tradizione di


scrittura romantica, che avrebbe origine nella letteratura spagnola (il riferimento
alla picaresca è esplicito); nello stesso tempo riconosce che il realismo spagnolo
non esaurisce tutte le possibilità del realismo, e anzi non può che trarre beneficio
dal contatto fecondo con la letteratura inglese o francese. Il brano citato mostra
anche che Galdós si sente, per così dire, alla pari con i suoi colleghi al di là dei
Pirenei, e questo è importante, perché esprime un sentimento che era diffuso tra i
realisti spagnoli dell'Ottocento: si tratta della fine di un isolamento, dovuto in
parte alla polemica del mondo politico e religioso spagnolo contro la cultura
europea (illuminista, poi positivista o, in una parola, moderna), e in parte a un
disinteresse della cultura europea verso quella spagnola contemporanea.
Nel Settecento in Spagna, pur tra innumerevoli difficoltà, non era mancata
una rielaborazione originale dei temi dell'illuminismo, ma le idee di un Feijoo
non avevano oltrepassato i Pirenei; invece, nel periodo romantico, una vera
rielaborazione originale spagnola era mancata, o era intervenuta tardivamente,
con Bécquer. In questo periodo gli elementi della cultura spagnola che si
diffondono in Europa sono soprattutto quelli più tradizionali: personaggi come il
Cid o don Juan, il grande teatro barocco, Cervantes, o temi zingareschi e
picareschi. Insomma, generalizzando, ma restando sostanzialmente fedeli al vero,
si può dire che la cultura europea aveva molto interesse per la Spagna, ma non
per la sua contemporaneità: il dibattito con gli intellettuali spagnoli era pressoché
inesistente. Invece con il realismo troviamo le prime generazioni di scrittori che si
sentono inseriti in una corrente letteraria europea, e mostrano un atteggiamento di
partecipazione alla vita culturale: il naturalismo non viene passivamente recepito,
come era stato per il romanticismo, ma viene discusso e reinterpretato. È vero
che, in buona misura, questo lo si deve alla carica ideologica che il naturalismo
portava con sé, e dunque a idee che uno scrittore cattolico della Spagna
dell'Ottocento non poteva accettare; ma a nessuno sfugge che questo conflitto
ideologico non sfocia più in una chiusura e in una interruzione dei rapporti, ma
420 il realismo

porta a una discussione in cui, per la prima volta dopo secoli, la stessa cultura
europea deve tener conto delle obiezioni che le vengono mosse: Zola conosceva i
realisti spagnoli ed era colpito dal modo in cui interpretavano il naturalismo,
rendendolo compatibile con valori religiosi, tradizionali e spesso persino
reazionari.
D'altra parte si è già visto che Valera, come persona, vive in una dimensione
culturale internazionale e, come spagnolo, si sente dentro il mondo europeo. La
stessa cosa avviene a Galdós, che è nel suo tempo una figura molto moderna di
scrittore puro, informato e aggiornato sull'evoluzione artistica e culturale del
continente: la principale caratteristica della sua vita è una costante dedizione al
mestiere di scrivere, che gli procura successi e delusioni.
Galdós progetta e realizza una lunga serie di romanzi storici, che ha il titolo
generale di Episodios nacionales: si tratta di 46 volumi divisi in cinque serie,
scritte dal 1873 al 1912, un lungo racconto dell'Ottocento spagnolo, dagli inizi del
secolo alla Restaurazione. La prima serie è ambientata nella guerra
d'indipendenza; la seconda, arriva fino alla morte di Fernando VII; la terza è
dedicata alla guerra carlista; la quarta al periodo che va dalla rivoluzione del 1848
alla deposizione di Isabel II; la quinta prosegue fino alla Restaurazione.
Per il tema contemporaneo, gli Episodios nacionales si differenziano dal
romanzo storico romantico, che cercava le sue ambientazioni nel passato
medievale o in luoghi esotici. Inoltre, effettivamente Galdós tiene conto della
verità storica, anche se le vicende che racconta sono di fantasia. Il risultato è
un'immagine verosimile della Spagna ottocentesca e, al tempo stesso, una
scrittura molto vivace. Peraltro, dato il tempo intercorso tra il primo e l'ultimo
romanzo, vi sono cambiamenti nello stile e nella stessa costruzione del testo.
Inizialmente Galdós è più vicino al romanzo a tesi, esprimendo idee liberali e
anticlericali e descrivendo personaggi impegnati a favore del progresso, in
contrapposizione a personaggi fanatici e oscurantisti: ad esempio Doña Perfecta
(1876), Gloria, Marianela (1878). Più che la religione, Galdós attacca la sua
istituzionalizzazione, la sua trasformazione in un sistema di dogmi indiscussi e di
potere opprimente, sostenuto con una massiccia dose di ipocrisia. Doña Perfecta
racconta la lotta di Pepe Rey, ingegnere progressista e aperto all'Europa, contro
l'oscurantismo di Perfecta e il suo potere di proprietaria terriera appoggiata dalla
Chiesa: la contrapposizione è netta e radicale, senza mezze misure, e sarebbe
anche ingenua, se prendessimo i romanzi come trattati di sociologia.
Successivamente, dalla terza serie in poi, Galdós adotta una posizione più
neutrale, descrivendo la società con tecniche vicine a quelle del naturalismo: è il
caso di Fortunata y Jacinta (1886-87), una delle sue opere migliori. In questa
serie i personaggi sono più numerosi e vari e la costruzione dei romanzi ricorda la
"Commedia umana" di Balzac. I personaggi sono prevalentemente borghesi. I
primi episodi della serie sono quelli più vicini al naturalismo: La desheredada
(1881) e Lo prohibido (1885); però Galdós è abile anche nello sperimentare
tecniche nuove. Ad esempio, in un romanzo allegro e scritto in prima persona, El
amigo manso (1882), introduce il dialogo tra il personaggio letterario e l'autore
del romanzo stesso. La borghesia è descritta con più ombre che luci: raggiunte, in
qualche modo, posizioni di potere, per Galdós ha smarrito gli ideali progressisti
il realismo 421

che aveva professato nella sua fase rivoluzionaria, cercando solo il profitto e
curando la propria immagine pubblica, ma non la formazione personale: la
vicenda storica della borghesia e, per l'epoca, il suo fallimento politico avevano
contribuito, secondo Galdós, alla crisi della Spagna, allo sconcerto generale, alla
mancanza di prospettive. Da qui l'interesse dello scrittore per il dramma e la
condizione di uomini comuni, uomini della strada, spesso vittime di meccanismi
che non possono controllare. Fortunata y Jacinta, romanzo costruito sul più
classico dei triangoli amorosi, mostra la mancanza di affidabilità della borghesia
proprio a causa della sua inconsistenza morale.
Si tratta di un romanzo molto lungo, e certamente la trama, ridotta all'osso,
non rende giustizia alla sua complessità. Juanito Santa Cruz, figlio di una
famiglia di ricchi commercianti, ama la popolana Fortunata, ma si sposa con una
ragazza del suo ceto sociale, Jacinta. Continua, però, a frequentare Fortunata, e
anche dopo che costei si è sposata i due amanti continuano a incontrarsi. Dopo la
loro separazione definitiva, Fortunata, che ha avuto un figlio da Juanito, lo affida
poco prima di morire alla famiglia Cruz, dove Jacinta non ha avuto figli. Questa
vicenda è lo schema su cui è costruito uno dei migliori romanzi dell'Ottocento, la
cui importanza supera i limiti della letteratura nazionale spagnola.
In seguito, dopo il 1890, Galdós dà un ruolo di maggiore peso alla dimensione
affettiva, sentimentale e spirituale dei personaggi, dando spazio a un
cristianesimo, sebbene non dogmatico, non basato su considerazioni teologiche,
ma vissuto praticandone le virtù della carità e della comprensione: ne è un
esempio illustre Misericordia, del 1897, da cui è tratto il brano seguente, dove, in
modo piacevolmente sottile, sono messe a confronto diverse maniere di vivere la
religione, privatamente o in forma sociale.

Emilia Pardo Bazán

Momento forse culminante nel dibattito teorico sul naturalismo, la contessa


Emilia Pardo Bazán (1851-1921) teorizza, in uno scritto intitolato La cuestión
palpitante, una letteratura naturalista nello stile, ma con idee decisamente
contrarie a quelle del naturalismo: è infatti cattolica e tradizionalista. Ecco la sua
analisi:

Tocchiamo con mano il vizio capitale dell'estetica naturalista.


Assoggettare il pensiero e la passione alle stesse leggi che determinano la
caduta di una pietra; considerare esclusivamente le influenze fisico-
chimiche, prescindendo persino dalla spontaneità individuale, è ciò che si
propone il naturalismo e ciò che Zola chiama in un altro passo della sua
opera "mostrare e mettere in rilievo la bestia umana". Per logica
conseguenza, il naturalismo si obbliga a respirare solo dal lato della
materia, a spiegare il dramma della vita umana attraverso l'istinto cieco e
la concupiscenza sfrenata. Lo scrittore che sostenga rigorosamente il
metodo proclamato da Zola si vede costretto a verificare una sorta di
selezione tra i motivi che possono determinare la volontà umana,
422 il realismo

scegliendo sempre quelli esterni e tangibili e trascurando quelli morali,


intimi e delicati: il che, oltre a mutilare la realtà, è artificioso e a volte
sfiora l'affettazione, quando ad esempio l'eroina di Una pagina d'amore
manifesta i gradi del suo innamoramento attraverso la temperatura
raggiunta dalla pianta dei suoi piedi.
Tuttavia, come dubitare che se la psicologia, come ogni scienza, ha le
sue leggi ineluttabili e il suo processo causale e logico, non possiede
anche l'esattezza dimostrabile che troviamo nella fisica? In fisica l'effetto
corrisponde rigorosamente alla causa: possedendo il dato precedente
abbiamo il posteriore, mentre nei domini dello spirito non esiste equazione
tra l'intensità della causa e dell'effetto, e l'osservatore scientifico deve
confessare, come lo confessa Delboeuf (testimone notevole, autore de La
psicologia considerata come scienza naturale) "che lo psichico è
irriducibile al fisico".

Come si può notare, le obiezioni di Emilia Pardo Bazán, come di altri autori e
autrici che intervengono nel dibattito, non consistono nel condannare
apoditticamente le idee di Zola, accusandolo di essere un bieco materialista, o
cose del genere; richiamano invece il naturalismo francese a una coerenza
interna, cioè a non contraddire la premessa dell'osservazione diretta della realtà
con un'interpretazione ideologica dei dati osservati. Prosegue la scrittrice:

In questa materia è accaduta a Zola una cosa che in genere capita agli
scienziati dilettanti: ha preso le ipotesi per leggi, e sulla fragile base di
due o tre fatti isolati ha eretto un edificio enorme. Forse ha immaginato
che fino a Claude Bernard nessuno aveva formulato le mirabili regole del
metodo sperimentale, così feconde di risultati per le scienze della natura.
È già da tempo che il nostro secolo applica queste regole, madri dei suoi
progressi. Ad esse Zola vuole assoggettare l'arte, e l'arte si oppone, come
si opporrebbe l'alato destriero Pegaso a tirare una carretta; e Dio sa che
questo paragone non è nelle mie intenzioni irrispettoso verso gli uomini di
scienza; voglio solo dire che il loro oggetto e le loro strade sono diversi da
quelle dell'artista.
E qui conviene notare il secondo errore dell'estetica naturalista,
errore curioso, che a mio parare si deve attribuire ugualmente alla scienza
mal digerita di Zola. (...)
L'artista di razza (e non voglio negare che Zola lo sia, ma solo
osservare che i suoi pruriti scientifici lo inducono in errore in questo caso)
nota in sé qualcosa che si solleva davanti all'idea utilitaria che
rappresenta il secondo errore estetico della scuola naturalista. Questo
errore lo ha combattuto più di chiunque altro lo stesso Zola, in un libro
intitolato I miei odi (precedente Il romanzo sperimentale), rifiutando
l'opera postuma di Prouhon, Del principio dell'arte e della sua funzione
sociale. È da vedersi Zola indignato perché Proudhon cerca di convertire
gli artisti in una sorta di confraternita di operai consacrati al
perfezionamento dell'umanità, e da leggersi come protesta in nome
dell'indipendenza sublime dell'arte, dicendo con grazia che lo scopo dello
scrittore socialista è mangiarsi le rose nell'insalata. Non c'è artista che si
adatti a confondere così i domini dell'arte e della scienza: se l'arte
moderna esige riflessione, maturità e cultura, l'arte di tutte le età richiede
principalmente la personalità artistica, ciò che Zola, con una espressione
il realismo 423

eccessivamente vaga, chiama il temperamento. Chi manca di questo


ingrediente misterioso, non calpesti le soglie del tempio della bellezza,
perché ne verrà espulso.
L'arte può e deve appoggiarsi sulle scienze ausiliarie: uno scultore
deve conoscere molto bene l'anatomia, per aspirare a fare qualcosa di più
di modelli anatomici. Quel sentimento ineffabile che in noi produce la
bellezza, qualunque cosa sia e in qualunque cosa consista, è patrimonio
esclusivo dell'arte. Il naturalismo sbaglia riguardo a questo fine utilitario
e secondario verso cui cerca di indirizzare le forze artistiche del nostro
secolo, e questo errore, e il senso determinista e fatalista del suo
programma, sono i limiti che esso stesso si impone, sono i legami che una
formula più ampia deve spezzare.

Nell'opera di Emilia Pardo Bazán si ritrovano il costumbrismo, il


paesaggismo, ma anche un accentuato regionalismo (Pardo Bazán era nata in
Galizia) che ricorda Pereda. La sua opera principale è Los pazos de Ulloa (1886),
romanzo ambientato in Galizia: la Contessa vi rovescia i pregiudizi abituali nel
confronto tra città e campagna, perché è in quest'ultima che coglie gli effetti di un
processo di impoverimento, involgarimento e abbrutimento.
Si potrebbe dire che Pardo Bazán descrive la decadenza di coloro che
avrebbero dovuto difendere la tradizione, più che fare un'apologia diretta della
tradizione stessa. Los pazos de Ulloa ha un seguito in La madre naturaleza
(1887), in cui due personaggi del romanzo precedente, Perucho e Manuela,
ignorando di avere un legame di parentela, si innamorano, dando luogo a uno
scandalo che la società imputerà loro, malgrado la loro innocenza: Manuela dovrà
rinchiudersi in un convento e Perucho sarà allontanato.

Clarín (Leopoldo Alas)

Leopoldo Alas (1852-1901), il già ricordato Clarín, è l'autore di uno dei


migliori romanzi dell'Ottocento, La regenta (1884), grandioso affresco della vita
di provincia, scritto con ironia, senso dell'umorismo, e adesione moderata ai
canoni del naturalismo. Oltre a questa sua opera maestra, Alas pubblica un
secondo romanzo, Su único hijo, che non viene apprezzato come una grande
opera, ma al quale forse nuoce il paragone con La regenta. Hanno invece il
favore del pubblico e della critica i suoi tre romanzi brevi (Doña Berta; Cuervo;
Supercherría) e i racconti, pubblicati in cinque volumi, dai quali vengono
abitualmente tratte pagine da includere nelle antologie (di particolare importanza
le raccolte Pipá, 1886, El señor y los demás son cuentos, 1893, e Cuentos
morales, 1896). Da ricordare anche la sua intensa attività come critico letterario,
in cui mostra uno stile brillante e una buona capacità di valutazione: si tratta di
scritti brevi, raccolti in vari volumi, in cui dominano i toni della satira e
dell'umorismo caustico, soprattutto negli scritti più giovanili (Solos de Clarín,
1881).
424 il realismo

La regenta è ambientato in una città fittizia, il cui nome è tutto un


programma: Vetusta. Vi si riconosce Oviedo, luogo natale di Clarín, che vi
trascorre quasi tutta la vita. La protagonista è Ana Ozores, moglie di Victorio
Quintanar, più anziano di lei. Ana è combattuta tra il senso del dovere, che le
impone la fedeltà al marito, e una passione mistico-romantica, che la porta a
cercare la presenza di don Firmín. Un terzo uomo, Álvaro Mesía, riuscirà a
ottenere il suo amore, fin quando la tresca non sarà scoperta. Quintanar, allora,
sfida a duello Mesía, ma muore nello scontro e su Ana si abbatterà la condanna
morale da parte della buona società cittadina.
Sulla base di questa storia di adulterio, Clarín costruisce un affresco della vita
del tempo avvalendosi delle tecniche di descrizione della società, ma anche di una
raffinata analisi psicologica e giovandosi della lezione di Galdós e della sua
critica alla Spagna del XIX secolo. Obiettivo della critica è soprattutto la
borghesia che si è insediata in posizioni di potere ed ha messo un freno alle sue
stesse idee rivoluzionarie: il positivismo e il razionalismo sono semplicemente di
facciata, così come è di facciata la sua adesione alla religione istituzionale; al
tempo stesso, tutto ciò che trae origine dalla vitalità e dalla passione viene
represso e non riconosciuto. Clarín si sofferma sulla crisi dei valori religiosi, che
hanno subito una sorta di sclerosi e si sono, per così dire, immobilizzati in forme
apparenti e comportamenti rituali, sull'indifferenza e il fastidio verso il mondo
politico, sulla rozzezza dei rapporti umani, su un'ignoranza diffusa e non
riconosciuta come tale, sulla routine quotidiana che rimuove ogni aspirazione alla
novità, e spinge la protagonista a dire che vivere a Vetusta equivale a un "suicidio
per asfissia".
La vita di questa piccola cittadina provinciale diventa lo specchio dell'intero
Paese, una rappresentazione della sua società e della crisi generale della classe
borghese. Non si deve però pensare che La regenta sia un romanzo a tesi, tutto
basato su una denuncia politica e limitato a descrivere la vita secondo la
prospettiva della sociologia. Al contrario, si può dire che il romanzo è fatto di
personaggi che si muovono in un contesto sociale: i temi della politica e quelli
della vita personale, con la sfera sentimentale e la soggettività, appaiono molto
ben intrecciati.
Nella Regenta svolge un ruolo molto importante il ricorso all'ironia o alla
descrizione indiretta, dove la rappresentazione di un ambiente evoca anche la
psicologia e il carattere di chi vive in esso. Ne è un esempio il brano forse più
famoso del romanzo:

L'eroica città schiacciava un pisolino. Il vento del Sud, caldo e pigro,


spingeva le nubi biancastre che si laceravano correndo verso il Nord.
Nelle vie non c'era altro rumore che il fruscio stridente dei mulinelli di
polvere, stracci, paglia e carte che andavano da un rigagnolo all'altro, da
un marciapiede all'altro, da un angolo all'altro, svolazzando e
inseguendosi come farfalle che si cercano e si fuggono e che l'aria avvolge
nelle sue pieghe invisibili. Come una turba di monelli, quei frammenti di
immondizia, quegli avanzi di ogni genere si univano in un mucchio, si
fermavano come addormentati per un momento, e saltavano di nuovo
spaventati, disperdendosi, parte arrampicandosi sulle pareti fino ai vetri
il realismo 425

tremanti dei lampioni, parte fino alle insegne di carta male incollata agli
angoli, e c'era qualche piuma che arrivava a un terzo piano, e polvere che
si incrostava per giorni o per anni sui cristalli di un armadio a vetri,
aggrappata a un pezzo di piombo.
Vetusta, la nobilissima città, in un tempo lontano corte, digeriva il
lesso e la zuppa, e riposava sentendo nel dormiveglia il monotono e
familiare rumore della campana delle ore canoniche, che rimbombava in
alto dalla snella torre della Santa Basilica. La torre della cattedrale,
poema romantico di pietra, inno delicato, dalle dolci linee di bellezza muta
e perenne, era opera del sedicesimo secolo, benché iniziata prima, in stile
gotico, però, bisogna dirlo, moderato da un istinto di prudenza e armonia
che modificava le volgari esagerazioni di questa architettura. La vista non
si stancava contemplando ore ed ore quell'indice di pietra che indicava il
cielo; non era una di quelle torri la cui punta si spezza per la sottigliezza,
più magre che snelle, manierate, come signorine volgari che stringono
troppo il corpetto; era massiccia, senza perdere nulla della sua spirituale
grandezza, e persino il secondo ballatoio, elegante balaustrata, saliva
come un forte castello, lanciandosi poi da lì in forma di piramide
dall'angolo grazioso, inimitabile nelle sue misure e proporzioni. Come un
fascio di muscoli e nervi la pietra, avvitandosi sulla pietra, si arrampicava
verso l'alto, facendo nell'aria equilibrismi da acrobata; e come un
prodigio di giochi di prestigio, una grande sfera di bronzo dorato si
sosteneva su una punta di calcare, come calamitata, e un'altra più piccola
al di sopra, e sopra ancora una croce di ferro che terminava in
parafulmine.
Quando nelle grandi solennità il capitolo faceva illuminare la torre
con lampioni di carta e vasi colorati, aveva un bell'aspetto, risaltando
sulle tenebre, la sua romantica mole, ma con questi addobbi perdeva
l'eleganza del suo profilo e assumeva i contorni di una bottiglia di
champagne. Era meglio contemplarla nella chiara notte di luna, quando
risaltava su un cielo puro, circondata da stelle che sembravano la sua
aureola, raddoppiandosi in pieghe di luce e ombra, fantasma gigante che
vegliava per la città piccola e nerognola, addormentata ai suoi piedi.
Età contemporanea

Nascita dell'arte nuova

Il superamento del romanticismo era avvenuto sotto la spinta di un'esigenza di


realismo: il naturalismo francese era stato la manifestazione più evidente di una
nuova sensibilità, estranea al clima romantico. Però il suo realismo così marcato e
specializzato, al punto da pensare al testo letterario come a una descrizione in
termini scientifici della realtà sociale e psicologica dei personaggi, suscita un
dibattito molto articolato sia sull'effettivo valore di questo realismo (si ricordino
le obiezioni mosse a Zola da parte degli autori spagnoli), sia sull'opportunità che
anche altri aspetti della realtà, più sfuggenti, misteriosi e ideali, potessero
interessare la creazione estetica. In altri termini, c'era altra materia d'arte fuori dai
temi cari al naturalismo? E, in caso di risposta affermativa, era possibile
occuparsene senza tornare alle forme dell'arte e della letteratura romantiche? A
seguito di queste domande vengono elaborate nuove idee estetiche e compaiono
opere non riconducibili alla letteratura precedente: prende, cioè, avvio una nuova
epoca che per ora chiamiamo arte nuova o nuova letteratura.
La prima caratteristica di questa nuova fase è che essa propone un profondo
cambiamento nel modo di intendere il realismo, sconvolgendo nozioni che
sembravano consolidate da secoli. Apparentemente è abbastanza agevole
distinguere un'opera realista da una di fantasia: una leggenda di fantasmi è frutto
dell'immaginazione, e con questa parola intendiamo la creazione di un mondo
poetico e di una vicenda che non esistono nella realtà quotidiana in cui si svolge
la nostra vita. Però, in questa realtà quotidiana, ci sono molti elementi che, pur
essendo indiscutibilmente reali, non sono facilmente descrivibili, non presentano
una materialità che si possa ritrarre, e debbono essere piuttosto allusi, evocati.
Esiste una zona della realtà che non appare all'osservazione semplicemente
aprendo gli occhi, ma richiede uno sforzo di ricerca, una volontà di conoscenza,
di interpretazione dei dati; per esprimere artisticamente tale zona (sentimenti,
sogno, aspirazioni, valori...) occorre elaborare tecniche nuove: si ricordi ciò che si
è anticipato citando l'esempio del quadro di Manet, il Bar alle Folies Bergères.
Dalla critica al naturalismo non emerge il bisogno di un'arte che si sottragga
alla realtà, ma la constatazione che la realtà è molto più vasta dell'ambito trattato
dal naturalismo, e di conseguenza l'arte si deve assumere il compito di estendere
il suo campo di azione, facendosi carico anche della rappresentazione di ciò che è
profondo e misterioso. In proposito può risultare illuminante una citazione di José
Ortega y Gasset, tratta dalle Meditaciones del Quijote (1914):

Alcuni uomini rifiutano di riconoscere la profondità di qualcosa,


perché esigono dal profondo che si manifesti come ciò che è superficiale.
Non accettando che vi siano varie specie di chiarezza, prestano attenzione
esclusivamente alla peculiare chiarezza delle superfici. Non avvertono che
al profondo è essenziale occultarsi dietro la superficie e presentarsi solo
età contemporanea 427

attraverso di lei, pulsando sotto di lei. Misconoscere che ogni cosa ha la


sua condizione e non quella che noi le richiediamo è, a mio giudizio, il
vero peccato capitale, che io chiamo il peccato cordiale, perché ha origine
in una mancanza di amore.

Le realtà profonde, le realtà che, non comprendendole, chiamiamo misteriose,


non sono meno reali di una relazione sociale o di un oggetto materiale: sono
diverse, e dunque richiedono di essere trattate artisticamente in modo diverso.
Pertanto sarà realista quell'arte che non escluderà nessun tipo di realtà e nessuna
tecnica di rappresentazione. Il sociale, lo storico, persino l'ideale, non sono che
frammenti di realtà, nessuno dei quali può essere escluso a priori; tuttavia, le
tecniche con cui descrivere uno di questi frammenti potrebbero non andare bene
per descriverne un altro. A partire da questa osservazione si comprende che la
nuova ricerca artistica può essere svolta in molti modi e partendo da molti punti
di vista: da qui nascono infatti le tante avanguardie e i tanti manifesti artistici e
letterari che caratterizzano l'arte contemporanea.
Da un certo punto di vista queste avanguardie si succedono nel tempo: ad
esempio il futurismo nasce con il primo Manifesto di Marinetti pubblicato nel
1909, mentre il dadaismo nasce nel 1916 - di conseguenza si può dire
legittimamente che il dadaismo è posteriore al futurismo. Tuttavia i tempi sono
così rapidi che la successione cronologica tra le varie avanguardie è forse meno
importante della loro presenza contemporanea nella scena culturale: alla fine
degli anni Venti, un decadente come D'Annunzio, un futurista come Marinetti, un
surrealista come Breton (e l'elenco potrebbe continuare) sono presenti e operano
contemporaneamente, influenzandosi a vicenda. Una situazione di questo genere
e di queste dimensioni è inedita, e importante al punto da far pensare che
l'espressione arte contemporanea debba essere usata non solo per alludere al fatto
casuale che si tratta di un'arte prodotta quasi contemporaneamente alla nostra
esistenza in vita, bensì per indicare un'arte in cui la contemporaneità è un
elemento costitutivo essenziale e differenziante. L'arte nuova è un'arte della
contemporaneità, ed è quindi un'arte complessa: un processo a più voci, che si
svolge nell'arco di almeno un secolo. Volendo fissarne un inizio, in modo
abbastanza convenzionale, bisogna partire dai nomi di Charles Baudelaire e
Gustave Flaubert.
Charles Baudelaire non è solo il grandissimo poeta con cui, per unanime
convenzione, si fa iniziare la poesia moderna, ma è anche un eccellente critico,
estremamente lucido nei suoi giudizi e nelle sue analisi estetiche. Come Flaubert,
Baudelaire prende le mosse da un’esigenza di superamento del romanticismo, e
basa su due elementi principali la sua concezione nuova dell’arte: 1) in primo
luogo, la purificazione della poesia, cioè l’eliminazione dalla poesia di tutto ciò
che non ha valore poetico (questa era un'aspirazione coltivata per secoli dai poeti,
in particolare già nell'epoca barocca - si pensi ad esempio a Góngora); 2) in
secondo luogo, il ruolo attivo e lucido dell’immaginazione con cui si concepisce
il progetto artistico. Scrive Baudelaire in Le gouvernement de l’imagination:

Tutto l'universo visibile non è altro che un magazzino d'immagini e


segni a cui l'immaginazione darà un posto e un valore relativo; è una
428 età contemporanea

specie di cibo che l'immaginazione deve digerire e trasformare. Tutte le


facoltà dell'anima umana debbono essere subordinate all'immaginazione.

Immaginazione qui non significa copia del reale, ritratto dal vero, ma indica
la capacità di concepire l'opera d'arte: la capacità di cogliere la bellezza che poi il
lettore o l'osservatore troveranno nei versi, nel romanzo o nel quadro. Usando
un'espressione che torna nella riflessione sull'estetica contemporanea, si può dire
che immaginazione è la facoltà di concepire un oggetto estetico. Non è
necessario, dunque, che questo termine faccia riferimento a una storia di fantasia:
nel senso in cui la intende Baudelaire, è immaginazione sia la vicenda di Astolfo
che vola sulla luna alla ricerca el senno di Orlando, a cavallo dell'ippogrifo, sia i
giochi di luce e fumo in un quadro che raffigura l'arrivo di una locomotiva a
vapore nella stazione - in entrambi i casi percepiamo una bellezza che è stata
prima immaginata da chi ha scritto la storia o dipinto il quadro.
Parlando di pittura, dice Baudelaire che un buon quadro deve essere prodotto
“come un mondo”, nel senso che la creazione complessiva è il risultato di tante
unità compositive che dànno un aspetto di realtà all’idea, al progetto realizzato
dall’opera. Da questo ruolo dell’immaginazione, Baudelaire indica, sia pure in
termini molto ampi, un duplice atteggiamento possibile: un atteggiamento
realista, parola che definisce ambigua e dal significato mai determinato con
precisione, che potrebbe essere sintetizzato così: “Io voglio rappresentare le cose
come sono, o meglio come sarebbero supponendo che io non esista”; e un
atteggiamento immaginativo, che potrebbe essere sintetizzato così: “Voglio
illuminare le cose con il mio spirito e proiettarne il riflesso sugli altri spiriti”.
Baudelaire nota acutamente che il primo atteggiamento, più che realista,
andrebbe chiamato positivista: la descrizione delle cose come sarebbero se io non
esistessi, ovvero la trattazione di un tema non influenzata dai miei pregiudizi e
dalla mia personale sensibilità. Questo atteggiamento potrebbe essere chiamato
oggi fenomenologico, nel senso che mette nell’opera d’arte ciò che appartiene al
fenomeno e si impegna ad escludere, almeno in via programmatica, ciò che
appartiene all’osservatore del fenomeno, e di esso si deve dire in modo netto e
deciso una cosa principale: non si tratta di riprodurre artisticamente la realtà, ma
di produrre artisticamente qualcosa che sembri reale. Non esiste nessuna realtà in
nessuna opera d’arte, a parte quella che deriva dalla materia di cui è fatta: la tela
del quadro, la carta del libro. Nelle immagini del quadro, nel racconto del
romanzo, non c'è la realtà, ma immagini e parole che, osservate e lette, suscitano
l’illusione che sembra vero.
Leggendo la descrizione di Charles Bovary, nelle prime pagine del romanzo
di Flaubert, possiamo convenire che si tratta di un adeguato ritratto del ragazzo di
campagna. Ma la persona concreta e vivente di un ragazzo di campagna, con la
sua storia e il suo contorno sociale, è integrata da un infinito numero di elementi
che non possono essere tutti inseriti in un’opera d’arte. L’artista, dunque, opera
una selezione, li riduce ad un piccolo numero, e con essi crea il ritratto: se avesse
selezionato altri elementi, avrebbe dato luogo a un ritratto diverso. A posteriori,
avendo davanti il ritratto eseguito e la nostra personale esperienza, conveniamo
che nella pagina di Flaubert si può riconoscere un tipico ragazzo di campagna in
età contemporanea 429

una certa situazione. Il criterio che è stato seguito nella selezione degli elementi
che entrano nel ritratto è l’immaginazione che quegli elementi, disposti in un
certo ordine, avrebbero dato come risultato il ritratto del ragazzo di campagna,
cioè avrebbero dato corpo, realizzazione a un progetto estetico elaborato
dall’artista. Dunque la descrizione realista del tema, non influenzata da giudizi e
pregiudizi dell’artista, non è incompatibile con l’immaginazione, e anzi la
richiede.
Anche l’altro atteggiamento, quello in cui si vuole illuminare le cose con il
proprio spirito e proiettarne i riflessi negli altri spiriti, richiede immaginazione: la
differenza sta nel fatto che lo scopo ora non è quello di dare al lettore, ovvero
osservatore, un’immagine in cui riconosca una realtà nota, ma di dargli
un’immagine che non ha mai visto, che è stata vista dall’artista, e che, una volta
osservata, conduce a dire: questa rappresentazione mi mostra qualcosa di nuovo
della realtà. Ciò significa che possiamo avere l’immaginazione nella
rappresentazione realista e il realismo nella rappresentazione immaginativa.
Proprio parlando di Madame Bovary, Baudelaire difende l’opera da alcune
critiche con queste parole:

Molti critici avevano detto: quest'opera, veramente bella per la


minuzia e la vivacità delle descrizioni, non contiene un solo personaggio
che rappresenti la morale o in cui parli la coscienza dell'autore. Dov'è il
personaggio proverbiale e leggendario incaricato di spiegare la fabula e
di dirigere l'attenzione del lettore? In altri termini, dov'è la requisitoria?
Assurdità! Eterna e incorreggibile confusione delle funzioni e dei generi!
Una vera opera d'arte non ha bisogno di requisitoria. La logica dell'opera
è sufficiente a tutte le sollecitazioni della morale, e spetta al lettore tirare
le conclusioni dalla conclusione.

Vi è qui netta l’affermazione che un’opera d’arte segue unicamente la sua


logica, e non una logica esterna, sia pure la più nobile. L’opera non ha lo scopo di
difendere (o attaccare) la morale, la religione, un’ideologia, o i valori: tutto
questo è perfettamente legittimo, ma non è lo scopo dell’arte: l’arte deve seguire
la sua logica intrinseca, che si basa non sulle idee e la cultura dell’autore, ma sui
personaggi e le situazioni narrate. L’autore concepisce un mondo poetico,
strutturato e articolato in modo coerente nelle sue parti, dando ai personaggi la
voce che debbono avere per poter sembrare veri, o mostrando nelle cose gli
aspetti che hanno in quanto riflessi ottenuti proiettandovi il proprio personale
sentire: in entrambi i casi il risultato artistico non dipende dalle simpatie o
antipatie dell’autore, ma da una necessità interna alla creazione.
Applicato alla poesia, questo principio significa l’eliminazione di tutto ciò che
non ha valore poetico, cioè la scoperta della poesia pura: l’immaginazione
costruisce in modo coerente un universo poetico che, per essere capito e
apprezzato, non ha bisogno della persona dell’autore: si presenta in modo
trasparente come coerente rielaborazione di dati sensibili, e non richiede alcun
presupposto. Applicato alla prosa, questo principio equivale all’impersonalità
cercata da Flaubert, e intesa come assenza, nella narrazione, dei commenti
personali dello scrittore, dell’esposizione del suo punto di vista, del suo ruolo di
430 età contemporanea

esegeta e interprete della vicenda. Si tratta piuttosto di una narrazione pura dei
fatti e della loro concatenazione, coerente con i personaggi e con ciò che nel
racconto svolge il ruolo di realtà. È del tutto evidente che in Flaubert
l’impersonalità non implica una rappresentazione, per così dire, fotografica della
realtà: si tratta semplicemente di eliminare sistematicamente l’intrusione
dell’autore nell’opera, rinunciando al suo ruolo di personaggio surrettiziamente
inserito per parlare di se stesso – cosa che può avvenire sia descrivendo la vita di
provincia contemporanea, sia trattando storie avvenute in epoche lontane, sia,
addirittura, descrivendo situazioni visionarie, come nel caso dell’altra grande
opera di Flaubert, La tentazione di Sant’Antonio.
Come si può vedere, questa concezione nuova dell’arte (non in assoluto
nuova, ma certamente lontana dal pensiero estetico che aveva dominato nei due
secoli precedenti), può avere molti esiti, può generare molti progetti artistici,
anche diversi e lontani tra loro, sempre accomunati, però, da questa sostanziale
autonomia del mondo artistico e del processo creativo. Qualunque sia il tema
dell’opera (e ovviamente la materia di cui è fatta: quadro, suoni, parole…),
l’opera è così come è per via di ragioni che essa stessa contiene al suo interno e
che si trovano solo nell’opera stessa. Ne consegue che qualunque opera d’arte ha
un elemento di arbitrarietà, in quanto si giustifica da sé, e nient’altro la
giustifica, se non la sua presenza – e al tempo stesso, nessuna opera d’arte riceve
valore dalla sua morale, da un’ideologia o da qualunque considerazione extra-
artistica. Se un’opera d’arte vale, vale per sé: cioè, non abbiamo soltanto il fatto
ovvio che all’opera è richiesto di essere bella, ma abbiamo anche il fatto,
estremamente innovativo, che ogni opera, virtualmente, è chiamata a inventare
un’idea nuova di bellezza. In altri termini, da qualunque situazione o tema, anche
il più squallido e ripugnante, può scaturire l’arte, se l’immaginazione artistica
riesce a trovare in quel tema un progetto estetico valido, e se l’artista è in grado di
condurlo in porto, di realizzarlo, secondo la coerenza che tale tema richiede, e
anzi impone.
La conseguenza immediata è che l’arte e la letteratura cominciano ad
occuparsi di temi che non venivano mai trattati nelle produzioni accademiche e
più formali, trovando nuove forme di bellezza in ciò che abitualmente era
considerato privo di valori estetici, o addirittura escluso dalla sfera dell'arte. Ad
esempio, nella poesia di Baudelaire, la descrizione della vita metropolitana, anche
negli aspetti più perversi, o il tema del disadattamento e della noia; più in
generale, prendere come tema estetico la tecnica (le locomotive dipinte dagli
impressionisti, ad esempio), o inserire nella sensibilità artistica europea le forme
d’arte di altre civiltà, dalle stampe giapponesi per gli impressionisti, alle sculture
africane per i cubisti.
Questa problematica, in cui ancora una volta Baudelaire si rivela una delle
menti più acute del suo tempo, non coinvolge solo la condizione dell’artista
quando deve scegliere un tema per la sua opera, coinvolge il rapporto complesso
tra modernità e tradizione. Parlando della pittura accademica del suo tempo,
Baudelaire notava sconsolato: “Se gettiamo uno sguardo sulle nostre esposizioni
di quadri moderni, ci colpisce la tendenza generale degli artisti ad abbigliare ogni
soggetto con i costumi antichi. Quasi tutti si servono di mode e mobili del
età contemporanea 431

rinascimento”. Non si tratta del fatto che, essendo stati scelti soggetti greci o
romani, li si abbiglia come era loro costume, ma del fatto che non si vuole ritrarre
soggetti moderni in abito moderno, come se l’abito moderno non avesse
dimensione estetica e non potesse competere con l’antico:

La modernità è il transitorio, il fugace, il contingente, la metà


dell'arte, la cui altra metà è l'eterno e l'immutabile. C'è stata una
modernità per ogni pittore antico; la maggior parte dei bei ritratti che ci
restano dai tempi passati sono vestiti coi costumi della loro epoca. Sono
perfettamente armoniosi perché il costume, la pettinatura e il gesto, lo
sguardo e il sorriso (ogni epoca ha il suo portamento, il suo sguardo e il
suo sorriso) formano un insieme di una completa vitalità. Questo elemento
transitorio, fugace, le cui metamorfosi sono così frequenti, voi non avete il
diritto di disprezzarlo o trascurarlo. Sopprimendolo, cadete
necessariamente nel vuoto di una bellezza astratta e indefinibile, come
quella dell'unica donna prima del primo peccato. Se al costume dell'epoca,
che si impone necessariamente, ne sostituite un altro, fate un controsenso
che non può avere altra scusante che nel caso di una mascherata voluta
dalla moda.

La modernità è il transitorio, ovvero è moderno ciò che non è tradizionale, ciò


che è nuovo. Questo può significare due cose: da un punto di vista mentalmente
chiuso, si può dire che il nuovo è contro la tradizione e va rifiutato; da un punto
di vista più aperto, e più sano, credo, si può dire che il nuovo non è ancora
diventato tradizionale (come invece è accaduto già a tutti quegli elementi che
integrano una tradizione). Seguendo questa seconda linea, Baudelaire continua,
sintetizzando forse l’aspetto più importante della nuova arte: “In una parola,
perché ogni modernità sia degna di diventare antichità, occorre che la bellezza
misteriosa che la vita umana vi mette involontariamente ne sia stata estratta”.
Bisogna accettare la sfida della modernità, dell’inedito, e tirarne fuori quella
bellezza che non ci appare in primo piano (come nel caso delle locomotive a
vapore, che saranno sembrate mostruose a più di un tradizionalista),
semplicemente perché non abbiamo affinato lo sguardo, rendendolo capace di
capire la sua novità. Questo produce dei cambiamenti dell'arte e, se riteniamo che
l'arte precedente sia perfetta, classica, saremo portati a dire che l'arte nuova è
decadente e imperfetta. Scrive ancora Baudelaire in Nuove note su Poe:

L'espressione "letteratura decadente" implica l'esistenza di una


gradazione di letterature, dalla neonata alla puerile all'adolescente, ecc.;
presuppone, voglio dire, un processo fatale e provvidenziale, quasi una
legge ineluttabile. In tal caso, che senso ha rimproverarci di adempiere
una legge misteriosa? Il poco ch'è possibile cavare da quella espressione
accademica è che dovremmo vergognarci di obbedire con piacere a quella
legge, e che siamo colpevoli di godere del nostro destino. Il sole che poche
ore fa schiacciava tutte le cose sotto la sua luce dritta e bianca, si accinge
a inondare l'orizzonte occidentale dei più vari colori. Nei moti della sua
agonia certi spiriti poetici troveranno delizie nuove, scopriranno
abbaglianti colonnati, cascate di metallo fuso, paradisi di fuoco, uno
splendore triste, la voluttà del rimpianto, tutte le magie del sogno, tutti i
432 età contemporanea

ricordi dell'oppio. E il tramonto gli apparirà, in effetti, come la


meravigliosa allegoria di un'anima colma di vita, che cala dietro
l'orizzonte con una stupenda provvista di pensieri e di sogni. Ma v'è una
cosa alla quale i cattedratici non hanno pensato, e cioè che nel gioco della
vita può presentarsi taluna complicazione e combinazione che la loro
saggezza scolastica non si sognava di prevedere e che mette in scacco la
loro lingua impotente, come nel caso - di cui potranno darsi molteplici
varianti in futuro - in cui una nazione prende lo slancio da una decadenza
e inizia dove le altre finiscono. Lasciate che nelle immense colonie del
secolo presente si formino nuove letterature, ed ecco che vedrete
infallibilmente prodursi accidenti spirituali d'una natura tale da
sconvolgere lo spirito della scuola.

Per una coincidenza della storia, tanto Madame Bovary quanto Les fleurs du
mal vengono pubblicati (e processati per oscenità) nel 1857. Un anno dopo, in un
altro Paese, a Londra, William Morris ultimava La regina Ginevra, un’opera
destinata a scardinare ancora di più le vecchie nozioni di realismo e idealismo
nell’arte. Come Flaubert e Baudelaire, Morris aveva una sostanziale antipatia per
la civiltà borghese, per la massificazione che si stava realizzando in Europa
invece della qualificazione di un numero sempre più vasto di persone; ma a
differenza di Flaubert, Morris concretizzava la sua critica in senso progressista,
con l’adesione al socialismo e con una militanza anticapitalista. Pur avendo un
indubbio amore per il mondo medievale, soprattutto per le sue leggende e la sua
rappresentazione ideale, Morris si pone il problema del rapporto dell’artista col
mondo delle macchine e trova una soluzione non nel rifiuto della macchina come
tale, ma in un suo uso nuovo: come artista lavora nelle arti applicate, o forse
sarebbe il caso di dire che le crea, che crea quella moderna forma di designer che
nasce con l’art nouveau.
Nel ritratto della regina Ginevra si può vedere la metafora del tentativo di
Morris di collegarsi a una tradizione ideale, senza voler perdere i contatti con il
mondo reale: se Ginevra è un personaggio mitico e, nel quadro, si muove in un
ambiente che non è quello contemporaneo, nondimeno tutto, in questo ambiente,
è dipinto con un realismo minuzioso e straordinario che avrebbe suscitato una
buona dose di invidia in ogni pittore verista. L’estetica dei preraffaelliti produce
spesso quadri in cui un realismo raffinato e preciso è applicato alla raffigurazione
di personaggi del mito: si ispira a un medioevo esoterico, alla poesia di Blake a
un evidente simbolismo, restando tuttavia concretamente consapevole delle
inquietudini del mondo vittoriano e della necessità di profondi cambiamenti.
Pensare che nell’arte nuova esista un’antitesi o una frattura tra realismo e
simbolismo, sarebbe pensare il nuovo con le categorie del vecchio e condannarsi
all’incomprensione. In effetti, se si vuole capire l’arte nuova bisogna, a mio
avviso, pensare simbolismo e realismo non come ambiti contrapposti e nemmeno
come prospettive complementari, ma come due poli che non possono esistere
l’uno senza l’altro, analogamente all’intreccio dinamico tra lo yin e lo yang del
taoismo o ai poli della corrente elettrica.
età contemporanea 433

Realismo e simbolismo

In letteratura si dà come inizio convenzionale del simbolismo L’après midi


d’un faune, di Mallarmé, pubblicato nel 1876. Ciò che caratterizza la tribù
simbolista non è semplicemente l’avversione al realismo, ma la proposta di una
concezione più vasta della realtà. Già prima di Mallarmé la poesia simbolista
aveva fatto la sua comparsa con Verlaine, attento soprattutto alla musicalità del
verso, e con Rimbaud. Rimbaud aveva teorizzato la distruzione del modo abituale
di percepire il mondo attraverso una sorta di sregolatezza sistematica, o di
sgretolamento di tutti i sensi. È però evidente che, se questo sgretolamento è
finalizzato a una nuova percezione del reale, la prospettiva è appunto quella di un
ampliamento: ci sono molte zone della realtà, forse le più importanti, dove la
percezione abituale non riesce a giungere; dunque, attenersi a questa percezione
abituale non significa semplicemente essere realisti ma, nell’ipotesi che altre
dimensioni esistano, esserlo in maniera debole e ridotta. Da qui la necessità di
penetrare nel mistero e la teorizzazione della figura del poeta come veggente, da
parte di Rimbaud. Certamente l’idea del poeta veggente potrebbe essere un tratto
romantico, ma, dopo Baudelaire, viene sviluppato in direzioni diverse da quelle
del poeta vate del primo ottocento: veggente significa che getta lo sguardo in una
zona di mistero che, per quanto ignota, non è per questo meno reale. Certo è che
esprimere questo ignoto, letterariamente o figurativamente, non è semplice,
perché, non potendo essere raffigurato in forma diretta, con una forma sensibile,
che esso non ha, bisogna ricorrere alla metafora e al simbolo; ma il simbolo e la
metafora sono appunto questo: l’unione di due significati, uno tratto dal mondo
sensibile e l’altro appartenente all’ambito del mistero, di cui il primo è un ponte
per arrivare al secondo. In nessun caso si assume che questo sia un modo per
distruggere, dissolvere o evitare la realtà: il contrasto è tra due modi di concepire
e percepire il reale e tra le forme estetiche richieste da ciascun modo in una
raffigurazione coerente.
L'impressionismo vuole essere pittura "pura", cioè una pittura in cui si passa
dall'oggetto alla rappresentazione senza alcuna deformazione dovuta a
interpretazioni previe e convenzioni stilistiche, pittura come traduzione della
sensazione visuale immediata, indipendentemente da ogni convenzione di
struttura, spazio, forma degli oggetti, disposizione. L'unico elemento che guida
nella realizzazione del quadro è la sensazione, la quale è sempre immediata e
istantanea: è questo paesaggio, in questa luce, con questi colori irripetibili. La
pittura è un'istantanea che cattura un fenomeno in un momento e in condizioni di
tempo, punto di vista e luce, dati. Questo è un punto di estrema importanza: l'arte
nuova è sempre una raffigurazione non convenzionale. Ad esempio, con una sorta
di pregiudizio pensiamo che l'erba sia verde: la realtà dell'osservazione ci dice
che non è vero. L'erba ha una gamma di colori diversi, a seconda della luce e del
tempo, pertanto è possibile che, per rappresentare fedelmente un certo momento,
l'artista dipinga un quadro con l'erba blu.
Questa subordinazione alla realtà che appare qui e ora, libera l'artista dalla
sottomissione a ogni regola accademica, anche per quanto riguarda la scelta del
soggetto. In effetti, la sottomissione alla realtà si attua anche nel senso che
434 età contemporanea

qualunque oggetto reale può essere il tema dell'opera pittorica: non ha alcuna
importanza se sia una cosa nobile o quotidiana; solo conta la sincerità con cui
l'artista descrive ciò che vede. Questa sincerità che non rispetta alcuna regola
estranea al puro vedere, è anche dipingere senza interessarsi dei gusti del
pubblico, senza adeguare la propria pittura al modo in cui il potenziale acquirente
del quadro immagina e interpreta la realtà. È un altro elemento importante
dell'arte nuova: se l'obiettivo è la creazione di un oggetto estetico valido in sé, per
la bellezza che lo caratterizza, allora questa arte può risultare difficile e
impopolare - anzi, in molte occasioni l'impopolarità dell'opera e l'atteggiamento
elitario dell'autore vengono cercati programmaticamente o proclamati in modo
provocatorio. Sia però chiaro che, in linea generale, l'arte contemporanea si
allontana dai gusti del pubblico e appare difficile non per una volontà di stupire e
rimarcare la distanza culturale dell'artista dal pubblico, ma come risultato
coerente delle nuove idee estetiche: continuando nell'esempio precedente, se il
pubblico si sorprende vedendo in un quadro l'erba blu, e non la capisce, ciò non si
deve alla volontà dell'artista di stupire con una bizzarria, ma ai presupposti teorici
che lo hanno portato a dipingere l'erba con quel dato colore che appariva in un
dato momento, senza tener conto delle convenzioni e delle abitudini
dell'osservatore.
Questa adesione alla realtà e alla sincerità come criterio dell'arte è parte di
una più generale avversione per le astrazioni e le falsificazioni, rivolta anche a
molti aspetti della vita sociale: gli impressionisti denunciano l'atteggiamento
ipocrita del borghese e criticano il suo modo di vivere e la sua organizzazione
sociale. Questo atteggiamento di diffusa avversione alla borghesia si traduce in
varie posizioni politiche: dagli impressionisti che, come Pissarro, salutarono con
entusiasmo la comune di Parigi, agli atteggiamenti aristocratici di Degas, dal
disinteresse di Renoir, per il quale la politica era un mondo di chiacchiere, alla
conversione al cattolicesimo di Cézanne.
Un elemento su cui poggia l'intera estetica impressionista è il carattere
mutevole della realtà. In effetti siamo in un'epoca che comincia a rendersi conto
che la realtà non è statica, ma intrinsecamente dinamica e in essenziale
movimento. La luce è lo strumento per cogliere il movimento, o per fissarne
un'istantanea, e per rendere la corposità degli oggetti.
Questa posizione realista dell'impressionismo è stata a volte confusa con il
positivismo, il quale rappresenta invece una limitazione degli orizzonti, un
restringimento e, in fondo, un'incoerenza. Infatti, vuole osservare la realtà avendo
escluso tutto ciò che non sia materiale o che abbia una dimensione simbolica,
affettiva, psicologica. Questa restrizione, in sé, non fa parte del pensiero
impressionista, che invece implica un allargamento di orizzonti, una revisione di
pregiudizi storici, in piena coerenza con gli sviluppi della filosofia europea.
Contemporaneaneamente al primo quadro impressionista (Claude Monet,
Impression. Soleil levant - Parigi, Musée Marmottan, 1872), Nietzsche pubblica
La nascita della tragedia e, l'anno successivo, Considerazioni inattuali. Il 1873 è
anche l'anno di pubblicazione di Una stagione all'inferno, di Rimbaud. È vero
che si tratta di opere e autori che non sono facilmente collegabili in una
definizione unica, tuttavia è anche vero che, in contemporanea o quasi, si
età contemporanea 435

verificano innovazioni, rotture, discontinuità che, come minimo, costituiscono


una rete di riferimenti, una pluralità di punti di partenza di un mondo nuovo. È
evidente che Nietzsche, Rimbaud, Monet, ma anche Eleonora Duse, che debutta
nel 1873, l'invenzione dei jeans (brevettati nel 1874), la teoria degli insiemi di
Cantor (1874) appartengono a un mondo, mentre a un mondo diverso, e destinato
a essere superato, appartengono il Paggio Fernando della Partita a scacchi di
Giacosa (1871), il Sombrero de tres picos di Alarcón (1874) e i romanzi
strappalacrime di Verga.

Impressionismo e superamento del naturalismo

L'impressionismo nasce all'interno della generale reazione al sentimentalismo


romantico e certamente coincide in molti punti con il naturalismo francese. Ma il
naturalismo e, sul piano scientifico, il positivismo erano una concezione più
ristretta della realtà, e l'impressionismo, pur partendo da una posizione realista,
contiene i germi del suo superamento. Per esempio, Zola scrive che gli
impressionisti

si propongono di uscire dallo studio, in cui i pittori si sono rintanati da


tanti secoli, di andare a dipingere all'aperto... All'aperto non vi è più
un'unica luce, si hanno quindi molteplici effetti... Questo studio della luce
nella sue mille scomposizioni è ciò che viene chiamato più o meno
propriamente l'impressionismo, perché da allora un quadro diventa
l'impressione del momento provata davanti alla natura.

Questa impressione, si noti bene, non viene riconosciuta come tale da un


pubblico non abituato a una simile rappresentazione della realtà. Dice Zola:

E come resta stupefatto il pubblico quando lo si pone di fronte a certe


tele dipinte all'aperto, in ore particolari; rimane a bocca aperta davanti
all'erba blu, ai campi viola, agli alberi rossi, alle acque che fanno scorrere
tutte le iridescenze del prisma. Tuttavia l'artista è stato coscienzioso; forse,
per reazione, ha esagerato le nuove tonalità scoperte dal suo occhio; ma
l'osservazione in fondo è di un'assoluta verità, la natura non ha mai avuto
la notazione semplificata e puramente convenzionale che le tradizioni
scolastiche le attribuiscono.

Come si vede bene da questa osservazione di Zola, il referente polemico


dell'impressionismo non è tanto il romanticismo, o una visione idealizzante, non
realista, della natura: lo spettatore colpito, inizialmente in modo sfavorevole,
dall'impressionismo è piuttosto un borghese realista, che non riconosce la realtà
nel quadro e trova arbitraria l'erba blu. È un realista, ma ingenuo e vittima del
pregiudizio: dunque il realismo impressionista è la distruzione del realismo
convenzionale, cioè di un'immagine pregiudiziale della realtà. Senza il
naturalismo, forse, era impossibile arrivare a questo tipo di fedeltà alle apparenze,
ma, una volta conquistata questa fedeltà grazie al naturalismo, si mettono in moto
436 età contemporanea

i germi del suo superamento, perché si stabilisce che la realtà genera, per così
dire, molte immagini, molte apparenze, ciascuna delle quali è il risultato di
un'osservazione prospettica. La realtà è mutevole e il quadro impressionista, con
tutto il suo realismo, è l'istantanea del suo aspetto: è - si badi bene - la
rappresentazione di un'apparenza, ma non è la realtà. Più ancora:
l'impressionismo è la dimostrazione che la realtà non era stata mai studiata con
sufficiente attenzione dagli artisti, e che, quindi, potrebbe essere molto diversa da
come la immaginiamo. Questo apre una prospettiva in cui il naturalismo risulta
insufficiente. D'altra parte, che l'impressionismo fosse una "descrizione" e che un
realismo meramente descrittivo di apparenze dovesse essere superato, è cosa che
sapevano gli stessi impressionisti. L'avevano imparato dalla fotografia.
La fotografia comincia a diffondersi verso il 1840, in contemporanea con
l'interesse per una riproduzione fedele della natura, ma proprio l'uso di uno
strumento oggettivo di riproduzione, come l'obiettivo fotografico, mostra quanto
sia variabile l'apparenza fenomenica e come sia ingenuo pensare che la
descrizione esaurisca la realtà. Al tempo stesso la fotografia, riuscendo a fermare
i movimenti, congelandoli nell'istantanea, mostra anche pose che nessun artista
aveva mai rappresentato, ponendo in fondo un problema: che l'istantanea è solo in
un certo senso una descrizione reale della realtà, proprio perché le manca il
movimento. Parlando con rigore, l'istantanea è l'astrazione di un istante, di una
posizione (ad esempio nel caso della foto di un cavallo in corsa) dal flusso
continuo del movimento reale, ma non contiene questo movimento e non sempre
lo esprime. Invece la pittura o la scultura possono esprimere il movimento,
comunicarne l'idea, magari alterando le posizioni naturali degli arti del cavallo.
Questo sposta l'attenzione dalla descrizione fedele dell'oggetto, alla
costruzione dell'oggetto artistico - si badi bene: una costruzione che ha per scopo
la sua rappresentazione realista. La domanda che ci si potrebbe porre, infatti, è la
seguente: come mai, prima degli impressionisti, nessuno aveva visto l'erba blu?
(visto artisticamente, s'intende). E la risposta è sorprendente: per descrivere la
realtà non basta la passiva osservazione, come se il semplice aprire gli occhi
permettesse all'artista di cogliere tutto il contenuto dell'apparenza. Occorre invece
un vedere attivo, un cercare - cosa che equivale a dire che occorre costruire un
punto di osservazione.
C'è un vedere passivo e un vedere attivo, penetrante, che è proprio dell'artista.
ma questo non basta. Dice Rodin, confermando quanto si dichiarava più sopra
circa il realismo e la fotografia:

Mentre il mio San Giovanni è rappresentato con i piedi fissi a terra, è


probabile che un'istantanea fatta a un modello riproducente lo stesso
movimento, mostrerebbe il piede all'indietro già sollevato e avvicinantesi
all'altro. Ovvero, al contrario, il piede che avanza non sarebbe ancora a
terra se la gamba all'indietro occupasse nella fotografia la stessa
posizione che ha nella statua. Ora è proprio per questa ragione che il
modello fotografato presenterebbe l'aspetto bizzarro di un uomo
improvvisamente colpito dalla paralisi e pietrificato nella sua posa.

Da qui la conclusione:
età contemporanea 437

L'artista è veritiero e la fotografia mente, perché nella realtà il tempo


non si arresta; e se l'artista riesce a riprodurre un gesto che si sviluppa in
istanti successivi, la sua opera è certo molto meno convenzionale
dell'immagine scientifica, dove il tempo è bruscamente cristallizzato. (Mio
corsivo)

Dunque non si tratta solo di vedere attivamente la realtà, ma anche di


modificarne l'apparenza, per poterla riprodurre in modo realista! Questo è lo
sviluppo a cui conduce inevitabilmente l'impressionismo, e che un naturalista
coerente può accettare a malincuore. Attraverso l'intervento sull'apparenza della
realtà e la creazione di un'immagine artistica che la altera, risulta possibile
rappresentare qualcosa dell'universo intimo, profondo, non apparente
immediatamente nella superficie. Scrive ad esempio Ortega a proposito della
statua del Pensatore di Rodin che, se la osserviamo, l'oggetto della nostra
attenzione non è certo il blocco di marmo, ma neppure lo è la mera forma
esteriore, fisica, che il marmo ha assunto a seguito dell'opera dello scultore.
Infatti la forma della statua fa riferimento a qualcosa che raffigura, rappresenta,
esprime. In questo caso esprime un evento intimo come il pensare o meditare.
Questa statua è un oggetto nuovo, prodotto, e raffigura un evento, ovvero ci mette
in relazione con l'evento che raffigura; la sua allusione al meditare è tale che lo
“troviamo subitamente davanti a noi con una presenza talmente piena che
potremmo descriverla solo con queste parole: assoluta presenza. (...) Nel
Pensatore abbiamo l'atto stesso del pensare, mentre viene effettuato. Presenziamo
a ciò che altrimenti non può mai esserci presente”. Ortega aggiunge una
precisazione molto netta e di importanza estrema: questo fatto che stiamo
analizzando non significa che l'arte raggiunga il segreto delle cose, ma solo che
essa suscita in noi l'impressione che l'intimità delle cose sia diventata patente. Ci
sembra di essere davanti alle cose stesse nella loro intimità. In questo c'è il limite
dell'arte come tipo di conoscenza: si tratta di una rappresentazione verosimile.
Abbiamo allora due forme di conoscenza. La prima è quella consueta nella
tradizione filosofica: non potendo penetrare dentro gli oggetti con un atto
cognitivo, abbiamo la separazione tra la cosa conosciuta e il soggetto che
conosce. La seconda è questa dell'arte che crea un oggetto trasparente,
servendosi della metafora: l'arte è una conoscenza metaforica che parte da un
oggetto reale e lo altera ottenendo come risultato un'immagine che ci sembra
rappresentare l'essenza stessa delle cose.
Da questo punto di vista si può dire che l'impressionismo getta le premesse di
un realismo completo, contro il realismo parziale dei naturalisti e dei positivisti,
proprio distruggendo ogni idea preconcetta della realtà e attenendosi a un vedere
puro. Lo si può chiarire ricordando ancora una considerazione di Ortega: nella
realtà non c'è solo la superficie; tuttavia, dice Ortega, se la profondità deve essere
conosciuta, dovrà apparire nella superficie. In altri termini, ciò che è profondo (in
tutti i sensi) e non immediato dovrà in qualche modo rendersi accessibile a partire
dall'immediatezza.
Questo ampliamento verso un realismo della profondità non è solo un esito
imprevisto dell'impressionismo, perché lo si ritrova in una produzione artistica
438 età contemporanea

che gli impressionisti hanno amato particolarmente e a cui si sono ispirati: le


incisioni giapponesi. Le incisioni giapponesi cominciano a circolare a Parigi
all'inizio degli anni Sessanta: lo stesso Baudelaire, nel 1861, dice di averne
ricevuto un pacco e di averle distribuite tra gli amici. Gli impressionisti vi
trovano molte cose che stavano già cercando: il superamento delle forme
tradizionali a vantaggio di un linguaggio figurativo moderno, urbano. Si tratta
dello stile detto ukiyo-e, cioè pittura del mondo galleggiante. Mondo galleggiante
è un'espressione che indica uno stile di vita consistente nel saper cogliere l'attimo
con tutti i suoi contenuti, dall'incanto degli elementi naturali al piacere del vino e
delle donne, lasciandosi trasportare dal flusso della vita. Da qui un'arte che si
occupa di situazioni urbane: teatro, gite, strade, gente comune, paesaggi e
quotidianità. Questa arte è realista, ma non è fotografica: le linee sono sintetiche,
i colori sono uniformi (senza sfumato o chiaroscuro) i gesti e le pose sono
inconsueti, le prospettive sono insolite e le regole della prospettiva non vengono
rispettate, proprio per rendere meglio la realtà di una determinata posizione o di
un gesto. È come se l'impressionismo avesse liberato il realismo dall'obbligo di
sottostare a una qualsiasi filosofia o teoria previa: così l'artista post-
impressionista si rivolge a una realtà in cui, finalmente, può trovare o cercare di
tutto, sentendosi al tempo stesso libero di costruire la rappresentazione di ciò che
ha trovato.

Avanguardismo

Si diceva dell'impressionismo e della sua rappresentazione non convenzionale


della realtà: per effetto della luce, lo stesso soggetto appare diverso in momenti
diversi, e dunque ciò che viene raffigurato è un'impressione avuta qui ed ora. Per
far ciò occorre che la realtà sia osservata senza preconcetti, e siccome il reale è
complesso e include anche una dimensione di profondità, l'impressionismo
conduce a una forma nuova di realismo che supera i limiti del naturalismo e apre
la strada alla rappresentazione simbolica. Dice Rodin:

Senza dubbio un uomo mediocre, copiando la Natura, non riuscirà mai


a trarne un'opera d'arte; ma ciò dipende dal fatto che egli guarda senza
vedere, e anche se ogni dettaglio è notato attentamente, il risultato sarà
piatto e senza carattere (...). L'artista, al contrario, vede: cioè il suo occhio
in accordo col suo cuore legge in profondità nella Natura.

Gli fa eco Paul Gauguin: "Metto in questo ritratto ciò che l'animo ha permesso
agli occhi di vedere e soprattutto, penso, ciò che gli occhi soli non avrebbero mai
visto". Baudelaire, in Correspondances, vero e proprio manifesto della sua
concezione estetica, aveva scritto:

La Natura è un tempio in cui pilastri viventi


lasciano uscire a volte parole confuse;
l'uomo vi passa attraverso foreste di simboli
età contemporanea 439

che l'osservano con sguardi familiari.


Come da lunghi echi confusi in lontananza
in una tenebrosa e profonda unità,
vasta come la notte e come la chiarezza,
i profumi, i colori e i suoni si rispondono.
Ci sono profumi freschi come carne di bimbo,
dolci come oboi, verdi come praterie,
- e altri corrotti, ricchi e trionfanti,
che hanno l'espansione delle cose infinite,
come l'ambra, il muschio, il benzoino e l'incenso,
che cantano i rapimenti dello spirito e dei sensi.

Sostanzialmente il punto di svolta dall'impressionismo al simbolismo sta nella


constatazione che non basta semplicemente osservare la natura, ma che bisogna
vederla in un'ottica particolare: la visione artistica, che rivela la sua dimensione di
profondità. Questa dimensione, si badi bene, è nella natura, quindi è reale, ma
non è immediatamente visibile a chiunque. L'arte simbolista, quindi, coglie la
dimensione profonda della realtà e le dà un corpo visibile fatto di forme e parole.
Come dice Kandinsky, "La forma è l'espressione esterna del contenuto interno".
Jean Moreas, nel 1886, dice nel Manifesto del simbolismo: "La poesia simbolista
cerca di rivestire l'idea di una forma sensibile che, ciononostante, non deve essere
fine a se stessa, anzi, essendo protesa a servire l'idea, ne costituisce il
complemento". Si ritiene che la realtà stessa sia costituita da "apparenze sensibili
destinate ad esprimere affinità esoteriche con le idee primordiali".
Scopo del simbolismo è dunque un'arte, una poesia, che pur essendo fatta di
forme visibili e parole comprensibili, sia una sintesi di visibile e invisibile. Ne
deriva l'impossibilità di usare espressioni consuete e linguaggi abituali, che sono
stati modellati e usati solo per la realtà visibile, per gli usi più pratici e comuni.
Da qui l'invito, nel Manifesto del simbolismo, a cercare vocaboli incontaminati e
una scrittura non uniforme. Parallelamente, nelle arti grafiche, vengono ricercate
forme strane e inusate, che possano evocare la sensazione del mistero. Joris-Karl
Huismans, che aveva esordito come scrittore naturalista, descrive l'arte simbolista
attraverso i quadri selezionati da Des Esseintes, il protagonista di À rebours
(Parigi 1884): ad esempio i disegni di Odilon Redon, che "erano al di fuori di
tutto: per la maggior parte andavano oltre i limiti della pittura, introducevano un
fantastico molto particolare, un fantastico di malattia e delirio". Redon aveva, tra
l'altro, omaggiato Flaubert con una serie di disegni ispirati alle Tentazioni di
sant'Antonio. Nei suoi appunti scrive nel 1909: "L'arte non prende a prestito
niente dalla filosofia, non ha altra fonte che l'anima in mezzo al mondo che la
circonda. La sua essenza è sconosciuta come quella della vita, e il suo fine è l'arte
stessa". E ancora: "Un quadro non insegna niente; attira, sorprende, esalta;
conduce in modo insensibile e mediante l'amore a vivere con il bello; eleva e
risolleva lo spirito, ecco tutto".
Ci sono due elementi importanti in questa estetica simbolista. Il primo è che la
ricerca di un linguaggio inusuale e inconsueto la rende difficile per il non
specialista, ovvero in generale per chi vive solo nel linguaggio consueto, abituato
alle rappresentazioni convenzionali della realtà e a un sistema di immagini e
440 età contemporanea

significati ricevuto dalla tradizione. Questo carattere sarà una costante nell'arte
contemporanea e, almeno fino alla pop art, l'artista tenderà a staccarsi dai gusti
del pubblico, a volte a disprezzarli, a volte a sacrificare il successo per seguire la
fedeltà al suo progetto artistico, sempre, comunque, mantenendo un certo
atteggiamento elitario. Il secondo carattere importante, nel complesso di stili che
chiamiamo simbolismo, è che l'artista non sta idealizzando il reale, cioè non parte
da un oggetto naturale per poi usarlo come ponte per esprimere il profondo e il
misterioso; al contrario, parte da una visione del profondo e costruisce su di essa
un oggetto artistico capace di esprimerla, cioè di comunicarla anche a coloro che
non sono attualmente in grado di vederla. Questo sembra l'occasione per produrre
una varietà di stili e di atteggiamenti, alla cui base c'è, in fondo, un fenomeno
unico: l'arte consiste nella costruzione dell'oggetto artistico. Così scrive Maurice
Denis in Du symbolisme au classicisme: "Ricordarsi che un quadro, prima di
essere un cavallo di battaglia, una donna nuda o un qualsiasi aneddoto, è
essenzialmente una superficie piana ricoperta di colori accostati con un certo
ordine". Per Guillaume Apollinaire

La verosimiglianza non ha più la minima importanza, perché l'artista


sacrifica tutto alle verità, alle necessità di una superiore natura che egli
suppone esistente senza arrivare a scoprirla. Il soggetto non conta più
nulla o conta a malapena qualcosa.

Costruzione dell'oggetto artistico significa quindi, in termini molto semplici:


a) che il contenuto di un'opera d'arte qualunque, ivi comprese le arti della
scrittura, è presentato come bello;
b) che la sua bellezza gli appartiene di suo;
c) che la sua bellezza, che gli appartiene di suo, è stata scoperta dall'artista che
produce l'oggetto a seguito di una visione estetica diversa dal normale modo di
osservare la realtà proprio a chi non sia artista;
d) che questa visione estetica ha dei presupposti che potrebbero essere del
tutto estranei alla cultura del lettore medio o del normale visitatore di un museo:
l'artista infatti non è tenuto a seguire l'estetica vigente, né a conformarsi alla
concezione comune della bellezza; anzi, produce lui nuove concezioni estetiche,
nuove concezioni della bellezza;
e) pertanto supporta la sua opera, se lo desidera, con un manifesto, un articolo,
un proclama in cui siano elencati i punti principali dell'estetica sottesa alla
produzione di un certo oggetto artistico. Questo manifesto può esprimere le sue
idee o le idee di un gruppo di persone che la pensano come lui. Il Manifesto del
simbolismo, prima citato, è un articolo di giornale nel quale una persona cerca di
spiegare ai lettori, che lo ignorano, quali siano i punti principali della nuova arte,
del nuovo stile, chiamati simbolismo; si spera che, attraverso il manifesto, ciò che
prima era difficile da capire per il lettore o osservatore, cominci a diventare
comprensibile.
In altre parole, un'arte che si pone come raffigurazione non convenzionale e
difficile, può (e nella prima fase della sua storia forse ha avuto necessità di)
prolungarsi in una spiegazione, in un manifesto programmatico. Naturalmente,
nella situazione generale che si è sommariamente descritta, basta fare un
età contemporanea 441

manifesto, cioè definire una prospettiva estetica, che immediatamente si apre la


possibilità di altri manifesti, che definiscano prospettive estetiche diverse.

Riassumendo: a partire dalla metà dell'Ottocento inizia un processo mirante a


un'arte nuova, post-romantica, che non si accontenta di un realismo
convenzionale, ma postula una visione più profonda della realtà, aperta alle sue
dimensioni spirituali e simboliche; viene proclamata la totale autonomia della
visione artistica, che ha per scopo la produzione di oggetti artistici e la continua
scoperta di forme di bellezza inedite, ciascuna delle quali si esprime attraverso
uno stile che non segue altra regola che questa: essere adeguato all'idea di
bellezza, di oggetto bello, concepita dall'artista. È del tutto naturale che questa
arte nuova si esprima attraverso una pluralità di estetiche, di gruppi, di
avanguardie, di manifesti che demoliscono l'idea tradizionale di un canone
estetico universalmente valido. Decadentismo o simbolismo sono nomi parziali di
questo processo, che raggiunge la sua maturità verso la fine dell'Ottocento: nabis,
1891; fauves, 1904-05; cubismo, 1907; espressionismo, 1904-05, Blaue Reiter,
1911-1912; futurismo, 1909; vorticismo, 1914; dadaismo, surrealismo...

a) Il futurismo

Per quanto sia caratteristica dell'epoca la collaborazione e la reciproca


influenza tra tutte le arti (pittura, letteratura, musica, scultura, architettura,
fotografia e, poco dopo, cinema), in letteratura l'arte nuova sembra evolvere in
modo abbastanza lineare fino a quel momento di nuova e radicale rottura
rappresentato dal futurismo. L'influenza del futurismo, poi, si estende a tutte le
arti, e persino alla vita sociale e all'attività politica. Il primo Manifesto futurista
viene pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti il 20 febbraio 1909 sul "Figaro"
di Parigi; dell'anno successivo è il Manifesto tecnico della letteratura futurista,
sempre di Marinetti. Seguono, nel 1910, i manifesti della pittura e dei musicisti
futuristi, poi della scultura (1912), del teatro e della scenografia (1915).
Se, in generale, l'intero processo dell'arte nuova si basa sul presupposto di una
critica ai valori della vita borghese, non senza evidenti tracce di rimpianto
nostalgico del passato tradizionale e pre-borghese, il futurismo proclama la sfida
finale contro la borghesia, nel nome del futuro, della tecnica e di un esasperato
vitalismo. "Bisognerà scuotere le porte della vita per provarne i cardini e i
chiavistelli!", scrive Marinetti nel primo Manifesto, presentando subito lo
strumento con cui dare lo scossone all'esistenza: l'automobile, la macchina per
eccellenza: "Io mi stesi sulla mia macchina come un cadavere nella bara, ma
subito risuscitai sotto il volante, lama di ghigliottina che minacciava il mio
stomaco". Marinetti presenta insieme il messaggio e lo stile della nuova
letteratura, con le sue metafore taglienti e penetranti nella mente del lettore come
frustate:

La furente scopa della pazzia ci strappò a noi stessi e ci cacciò


attraverso le vie, scoscese e profonde come letti di torrenti. Qua e là una
lampada malata, dietro i vetri d'una finestra, c'insegnava a disprezzare la
fallace matematica dei nostri occhi perituri.
442 età contemporanea

È il rifiuto di ogni antica retorica, l'addomesticamento della morte, che sembra


non riuscire a tenere il passo con la velocità dell'automobile - una velocità che
sembra rendere possibile ciò che mai prima era avvenuto: la fuga da ogni
accademia: "Usciamo dalla saggezza come da un orribile guscio (...) Diamoci in
pasto all'Ignoto, non già per disperazione, ma soltanto per colmare i profondi
pozzi dell'Assurdo!".
Poi la macchina finisce dentro un fosso, ma il mostro riemerge ancora vivo, e
"noi, contusi e fasciate le braccia, ma impavidi, dettammo le nostre prime volontà
a tutti gli uomini vivi della terra". Ed eccolo il primo punto del Manifesto
futurista: "Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla
temerità". Poi: "Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali
della nostra poesia"; "La letteratura esaltò fino a oggi l'immobilità pensosa,
l'estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia
febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno"; "Un automobile
ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di
Samotracia"; ma anche (sostanzialmente con maggiore continuità con i
movimenti dell'arte nuova): "La poesia deve essere concepita come un violento
assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all'uomo"; "Noi
siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle
spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell'impossibile?".
Due mesi dopo, nel manifesto intitolato Uccidiamo il chiaro di luna!,
Marinetti denuncia che "il mondo è fradicio di saggezza", e decide di lasciarsi alle
spalle la città di "Paralisi"; ma il Manifesto dei pittori futuristi avrebbe potuto
essere sottoscritto da Baudelaire quando dice:

È vitale soltanto quell'arte che trova i propri elementi nell'ambiente


che la circonda. Come i nostri antenati trassero materia d'arte
dall'atmosfera religiosa che incombeva sulle anime loro, così noi
dobbiamo ispirarci ai tangibili miracoli della vita contemporanea, alla
ferrea rete di velocità che avvolge la Terra, ai transatlantici, alle
Dreadnought, ai voli meravigliosi che solcano i cieli, alle audacie
tenebrose dei navigatori subacquei, alla lotta spasmodica per la conquista
dell'ignoto. E possiamo noi rimanere insensibili alla frenetica attività delle
grandi capitali, alla psicologia nuovissima del nottambulismo, alle figure
febbrili del viveur, della cocotte, dell'apache, o dell'alcolizzato?

Insomma, "magnificare la vita odierna". Un altro punto in cui il futurismo si


pone in sintonia con l'arte nuova, sia pure con la sua peculiare enfasi e lo stile
iperbolico, è il disprezzo del pubblico: l'orrore del successo immediato, che
sarebbe la riprova di un legame tra la propria arte e il vecchio mondo, fa esaltare
la "voluttà di essere fischiati", perché gli autori debbono preoccuparsi solo della
loro originalità creatrice.
Il vitalismo dei futuristi fa pensare in modo quasi automatico all'influenza di
Nietzsche, della quale si può dire che è certo presente, e anche in una dose non
piccola. Però Marinetti rifiuta questa filiazione e nel manifesto Contro i
professori scrive: "Nella nostra lotta contro la passione professorale del passato,
età contemporanea 443

noi rinneghiamo violentemente l'ideale e la dottrina di Nietzsche". Il superuomo,


per Marinetti, presuppone un ritorno al paganesimo e alla mitologia, e il suo
creatore "resterà, malgrado tutti i suoi slanci verso l'avvenire, uno dei più accaniti
difensori della grandezza e della bellezza antiche. È un passatista che cammina
sulle cime dei mondi tessalici, coi piedi disgraziatamente impacciati da lunghi
testi greci".
In effetti c'è un punto molto importante che divide la sensibilità futurista da
quella di Nietzsche ed è l'accettazione piena dell'epoca contemporanea, che il
filosofo non avrebbe mai accettato:

Noi opponiamo a questo Superuomo greco, nato nella polvere delle


biblioteche, l'Uomo moltiplicato per opera propria, nemico del libro,
amico dell'esperienza personale, allievo della Macchina, coltivatore
accanito della propria volontà, lucido nel lampo della sua ispirazione,
munito di fiuto felino di fulminei calcoli, d'istinto selvaggio, d'intuizione, di
astuzia e di temerità. I figli della generazione attuale, che vivono fra il
cosmopolitismo, la marea sindacalista e il volo degli aviatori sono come
abbozzi dell'uomo moltiplicato che noi prepariamo.

Cosa sia l'uomo moltiplicato è spiegato ne L'uomo moltiplicato e il Regno


della Macchina: la macchina è bella, l'uomo interagisce col motore fino a
identificarsi con lui, con il suo ritmo, con la sua "disciplina metallica",
purificandosi da ogni traccia di sentimentalismo. Il futurismo è il primo
movimento a porre il problema della civiltà delle macchine e del ruolo che l'uomo
è chiamato svolgervi. La macchina, quasi in una prima versione della tematica
cyborg, è un ampliamento degli strumenti a disposizione dell'uomo, è la
possibilità di realizzare ciò che da sempre era solo un sogno, come il volare, e per
questo è ciò che rende superflui i sogni romantici e le mitologie; ma al tempo
stesso la macchina richiede abnegazione, impone ritmi, impone stili, determina la
forma della civiltà. Per questo il futurismo non può accontentarsi dell'estetica
della macchina, e deve proiettarsi, come movimento artistico e rivoluzionario, in
una politica coerente.
La cosa non era totalmente estranea agli esponenti dell'arte nuova (basti
pensare a D'Annunzio), anche se la politica futurista è piuttosto caotica: un misto
di nazionalismo anarchico, antiborghese e antipatriottardo, molto volontarista,
che verrà letteralmente saccheggiato dal fascismo. Inoltre il movimento di
Marinetti ebbe sempre una sorta di imprinting nell'ottimismo dei primi decenni
del Novecento, quando i rapidi progressi tecnologici facevano pensare che il
mondo potesse essere non solo cambiato, ma addirittura rimodellato su misura
dell'uomo nuovo. Quando Marinetti scriveva, nel 1909, "guerra - sola igiene del
mondo", la grande guerra era lontana, forse non era immaginabile, e di certo non
si poteva prevedere cosa sarebbe stata, per la prima volta, una guerra di macchine
e di materiali, dove l'eroismo individuale e la volontà combattente, tanto esaltata
da Marinetti, sarebbero passati in secondo piano di fronte alle "tempeste
d'acciaio" efficacemente descritte da Ernst Jünger, impantanato in trincea durante
la battaglia della Somme sul fronte franco-tedesco. I futuristi salutarono lo
scoppio della prima guerra mondiale come un'occasione per mettere la parola fine
444 età contemporanea

sul vecchio mondo borghese, sulle monarchie e sulle istituzioni della città di
Paralisi, e andarono a combattere, spesso senza più tornare.

b) Il dadaismo

Un altro clima spirituale e altri atteggiamenti sono alla base dell'avanguardia


immediatamente successiva: il dadaismo, nato a Zurigo nel 1916, in piena guerra.
Se il futurismo era stato radicale nel volere ed esaltare il futuro, la nuova civiltà,
la macchina, dada sarà altrettanto radicale nel non esaltare niente. "Dada non
significa niente", scrive Tristan Tzara, fondatore del movimento nel Manifeste
dada 1918. Più ancora: dada è un gioco. L'immagine del gioco, cioè un'attività
completamente libera dall'utilitarismo, rappresenta il compimento dell'autonomia
dell'arte, che veniva ormai proclamata da secoli. Infine, anche nel futurismo l'arte
ha uno scopo, che sia distruggere l'accademia, annunciare la rivoluzione o andare
in teatro a schiaffeggiare gli spettatori, l'opera d'arte e il gesto artistico servono a
qualcosa. Invece dada non serve a niente. Dice Tzara:

L'opera d'arte non deve essere la bellezza in se stessa, giacché questa


è morta; né allegra né triste, né chiara né oscura, rallegrare o maltrattare
le individualità servendo loro i dolci delle aureole sante o i sudori di una
corsa arcuata attraverso le atmosfere. Un'opera d'arte non è mai bella per
decreto, oggettivamente, per tutti. La critica è dunque inutile, non esiste se
non soggettivamente, per ognuno, e senza il minimo carattere di
generalità. (...) Io parlo sempre di me poiché non voglio convincere, non
ho il diritto di trascinare altri nel mio fiume, non obbligo nessuno a
seguirmi, e tutti fanno la loro arte a loro modo.

Dada considera l'arte come espressione dell'individualità, senza altra regola


che il gusto dell'artista, il quale è libero di usare qualunque tecnica, qualunque
materiale, qualunque oggetto, anche oggetti preesistenti che vengono trasformati
in oggetti artistici. Dada non aveva alcun programma e non dava credito a
nessuna tradizione o istituzione o accademia: è solo libera creatività fine a se
stessa.

c) Il surrealismo

Come è facile intuire, dada ha vita breve. Non si può sostenere, come
avveniva in passato, che il dadaismo sia una sorta di movimento propedeutico al
surrealismo, dato che l'autonomia e l'originalità non possono esserne messe in
dubbio, però è anche vero che l'esperienza dadaista è molto importante per André
Breton, fondatore del surrealismo. Breton entra in contatto con Tzara già nel '19 e
lo invita a Parigi nel '20: inizia allora il periodo parigino del dadaismo (1920-23),
dopo quello di Zurigo, e nel '24 Breton pubblica il Manifesto del surrealismo. Il
Manifesto è un'esaltazione della libertà e anche un attacco al nazionalismo e al
realismo borghese, alle descrizioni piatte e banali che riempiono i romanzi in
voga (si ricorda la frase di Paul Valéry che si sarebbe rifiutato di scrivere: La
marchesa uscì alle cinque, ma ci si chiede se Valéry abbia mantenuto il suo
età contemporanea 445

impegno). Inoltre è un'apertura alle potenti forze dell'immaginazione, il cui


utilizzo artistico viene reso possibile dalla scoperta della psicanalisi freudiana:

In nome della civiltà, sotto pretesto di progresso, si è arrivati a


bandire dallo spirito tutto ciò che, a torto o a ragione, può essere tacciato
di superstizione, di chimera; a proscrivere qualsiasi modo di ricerca della
verità che non sia conforme all'uso. Si direbbe che si debba a un caso
fortunato se di recente è stata riportata alla luce una parte del mondo
intellettuale, a mio parere di gran lunga la più importante, di cui si
ostentava di non tenere più conto. Bisogna renderne grazie alle scoperte di
Freud.

La psicanalisi consente di esplorare realtà diverse da quelle "sommarie", e


"l'immaginazione è forse sul punto di riconquistare i propri diritti". Elemento
centrale diventa dunque il sogno, di cui Freud sembra aver fornito alcune chiavi
di lettura. Si legge nel Manifesto: "Credo alla futura soluzione di quei due stati, in
apparenza così contraddittori, che sono il sogno e la realtà, in una specie di realtà
assoluta, di superrealtà, se così si può dire. È alla sua conquista che sto andando".
Breton afferma che la dimensione del meraviglioso non è uguale in tutte le
epoche, anzi ogni epoca ne scorge solo una parte, che nasce sempre da una
"irrimediabile inquietudine umana"; ora il superrealismo aspira a una espressione
pura di questa dimensione, cogliendo frasi, pensieri, immagini sorte
improvvisamente e senza ragione apparente, e comunicandole. Citando Pierre
Reverdy, Breton definisce l'immagine una creazione pura dello spirito che nasce
dall'accostamento di due realtà più o meno distanti: non si tratta, cioè, di una
metafora costruita lucidamente e consapevolmente. E definisce il superrealismo

automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia


verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento
reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in assenza di qualsiasi controllo
esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o
morale.

E ancora:

Il superrealismo si fonda sull'idea di un grado di realtà superiore


connesso a certe forme di associazione finora trascurate, sull'onnipotenza
del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare
definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi
nella risoluzione dei principali problemi della vita.

Una delle tecniche surrealiste è, coerentemente, la scrittura automatica, senza


soggetto, veloce quanto basta per non essere sottoposta al controllo mentale, in un
flusso ininterrotto e senza punteggiatura. Ma c'è anche ironia, provocazione,
capovolgimento dei valori, rintracciare la follia nel ben organizzato mondo
sociale borghese e, nello stesso tempo, saggezza e genialità nell'irrazionale,
nell'assurdo, nella pazzia, compresenza di notte e giorno, come in un famoso
quadro di Magritte.
Il modernismo

La generazione del 98

Generazione del 98 è il nome dato a un gruppo di scrittori, tra cui Miguel de


Unamuno, Ramón del Valle-Inclán, Antonio Machado, José Martínez Ruiz
(Azorín), Pío Baroja, Ramiro de Maeztu, e altri. Questo nome fa riferimento al
1898, anno in cui la Spagna perde le ultime colonie oltremare, Cuba e Puerto
Rico: si tratta di un avvenimento poco più che simbolico, nel senso che è solo
l'ultimo atto di una lunga decadenza dell'impero spagnolo, però forse proprio
questa valenza simbolica lo carica di significato. Il desastre, come viene
enfaticamente chiamato, si inserisce in una discussione, che era già in corso,
riguardo alla Spagna, al suo presente e alle sue scelte future, rendendo pressante
la necessità di un chiarimento di idee e di programmi.
Che gli scrittori citati costituissero un gruppo, appunto la "generazione del
98", fu proprio uno di loro, Azorín, a sostenerlo analizzando retrospettivamente la
situazione culturale spagnola alla svolta del Novecento. Azorín caratterizzava la
generazione sottolineando un comune spirito di protesta e di ribellione, l'amore
per i paesi antichi e il paesaggio, il gusto per i poeti primitivi, l'intervento nelle
questioni sociali, e sosteneva l'esistenza di una coesione di fatto tra i suoi
principali protagonisti. Però, se da un lato la denominazione "generazione del 98"
ha avuto una grande fortuna nella critica letteraria, e non c'è manuale che non ne
faccia uso, dall'altro l'idea che sia esistita davvero tale generazione è stata sempre
discussa. Baroja, per esempio, ne ha negato l'esistenza, perché non vedeva punti
di vista comuni o comune ispirazione tra i suoi presunti componenti, dichiarando
tra l'altro: "C'era qualcosa in comune nella Generazione del 98? Io credo nulla.
L'unico ideale era che tutti aspiravamo a far qualcosa che andasse bene,
all'interno delle nostre possibilità. Questo ideale non solo non è politico, ma è
quasi antipolitico, ed è proprio di tutti i tempi e di tutti i paesi, soprattutto dei
giovani".
Unamuno, parlando del tema della Spagna e dei suoi problemi, ebbe a
sostenere che i giovani della sua generazione si sentivano privi di una vera patria:
per questo andarono alla ricerca di una Spagna nuova dopo aver rifiutato la
tradizione (e, commenta acutamente, questo rifiuto è molto tradizionale). Ma quel
che risulta, guardando in prospettiva storica, è che un progetto comune, un'idea
comune di Spagna non venne trovata. Gli scrittori del 98 misero sinceramente in
discussione le loro idee e i loro pregiudizi, si misero in gioco, e quasi tutti, nella
maturità, avevano una visione del mondo molto diversa, se non opposta a quella
di partenza. Maeztu, Azorín, Unamuno, socialisti agli inizi della loro attività, si
ricollegano in vario modo alla cultura tradizionale, mentre Valle-Inclán, che era
partito da una posizione di tradizionalismo estetizzante ed era passato attraverso
una fase di tradizionalismo militante, si ritrova su posizioni di sinistra. Anche
riguardo allo stile, al modo di concepire la scrittura, la generazione del 98 non
il modernismo 447

ebbe mai, nemmeno implicitamente, un progetto univoco, un manifesto, né


riconobbe maestri comuni.
Ciò che si può dire, mediando tra le varie posizioni, è che gli autori citati sono
pienamente inseriti nella cultura europea del tempo e condividono la stessa
circostanza spagnola, ma non si configurano come gruppo letterario, come
avanguardia. Se la nozione di generazione del 98 può avere la sua importanza
nella storia delle idee, nella storia letteraria risulta più fonte di confusione che di
chiarezza. A mio modo di vedere, è molto più agevole studiare i singoli
componenti della generazione del 98 in relazione al decadentismo europeo,
tenendo tuttavia presente che, nella loro personalità letteraria e artistica, ha un suo
spazio, importante ma delimitato, la preoccupazione per la Spagna, con ciò che
essa comporta: la scelta di alcuni temi da trattare, l'intervento pubblico su
questioni sociali e politiche, la rivendicazione di un ruolo di guida
dell'intellettuale, molto diverso dalle idee romantiche del poeta vate, che
sopravvivono anche nel decadentismo, soprattutto là dove l'influenza del
simbolismo è maggiore. In effetti si è discusso molto sui rapporti tra 98 e
modernismo (diciamo, a una prima approssimazione, che modernismo è il modo
in cui il decadentismo europeo viene reinterpretato in Spagna), discussione che
viene meno laddove la nozione di generazione del 98 viene svuotata di
significato. Il decadentismo è in primo luogo una nuova concezione dell'arte e
della scrittura; poi questa nuova concezione dell'arte ingloba temi sociali e
politici. Invece la tematica legata al 98 - indipendentemente dall'esistenza o meno
di una generazione o di un gruppo ben configurato - è prima di tutto sociale e
politica, poi coinvolge l'arte nel momento in cui lo scrittore o l'intellettuale
intervengono pubblicamente o usano la questione politica come materia di arte.
Nel caso del modernismo è rintracciabile un progetto estetico; nel caso del '98,
no.
In senso stretto, si dovrebbe parlare di tematica del 98 relativamente ai saggi
che affrontano specificamente il tema della Spagna e della sua rigenerazione,
come ad esempio: Hacia otra España, di Ramiro de Maeztu Whitney (1875-
1936), pubblicato proprio nel 1898; dello stesso Maeztu Defensa de la hispanidad
(1934); Idearium español di Ángel Ganivet (1865-1898), pubblicato nel 1897; En
torno al casticismo, di Miguel de Unamuno e, più avanti negli anni, Manuel
García Morente, Idea de la Hispanidad. Va anche detto che questa tematica
politica, o di identità nazionale, non è creata dalla generazione del 98: i giovani
scrittori che vengono ascritti, volenti i nolenti, a questo gruppo, si occupano
dell'identità spagnola e della crisi succeduta al desastre perché questo è il tema
del momento: se ne parla nei giornali, se ne discute nei circoli e nelle aule
universitarie - si tratta del tema di cui discutono gli intellettuali della generazione
precedente, e i nuovi autori si inseriscono nel dibattito in corso. Poi, dopo alcuni
anni, lo abbandonano per seguire le loro strade. Inoltre, quando i giovani autori
entrano in questo dibattito, lo fanno con una visione nuova, provocatoria, ribelle,
legata ai temi e ai modi del decadentismo europeo.
448 il modernismo

Atteggiamento "modernista" o bohemien

In Spagna gli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento sono dominati da un


forte desiderio di conoscere e far conoscere la cultura europea, e da un bisogno di
partecipare, a vario titolo, al processo di trasformazione culturale in atto. Non
solo i letterati sono in prima fila in quest'opera di rinnovamento, ma anche
musicisti (Manuel de Falla), pittori (Utrillo), architetti (Antoni Gaudí), e molte
opere importanti della nuova cultura europea vengono tradotte: Notizie da nessun
luogo, di Morris, lo Zarathustra di Nietzsche (1906), opere di Ibsen, Sorel,
Renan... Come è immaginabile, questo sforzo di rinnovamento si trova a dover
affrontare la resistenza di un mondo intellettuale ancorato a vecchi schemi
mentali, al quale si risponde con un'aperta ribellione, una rottura generazionale,
una provocazione costante. Scrive Manuel Machado, criticando l'opposizione di
letterati famosi alle nuove tendenze della scrittura novecentesca, che quegli
scrittori "chiamavano se stessi maestri e sapienti perché erano vecchi e non
volevano sapere nulla", e aggiungeva, riguardo ai critici: "È noto che in Spagna si
cammina all'indietro, consacrando ciò che la gente applaude e condannando ciò
che rifiuta, vale a dire: scrivendo sempre prima di informarsi". Lo stesso Manuel
Machado sottolinea che la definizione modernismo era nata soprattutto a seguito
dello stupore per le ultime novità, con un valore dispregiativo; poi, come avviene
per altre denominazioni delle avanguardie contemporanee (ad es. il fauvismo) era
stato assunto come nome di una corrente letteraria.
Secondo una classificazione piuttosto formalista, e forse eccessivamente
schematizzante, il modernismo sarebbe un movimento letterario databile tra il
1885 e il 1915, che si diffonde in Spagna, ed è strettamente legato alla personalità
del poeta nicaraguense Rubén Darío. Tuttavia, anche ammettendo una definizione
così netta, tale corrente sarebbe inevitabilmente l'esempio di un atteggiamento più
generale ed epocale: quest'ultima era la tesi di molti protagonisti dell'epoca, come
il poeta Juan Ramón Jiménez o il critico Federico de Onís.
Come ricordano Manuel Machado e molti altri testimoni dell'epoca, verso la
fine dell'Ottocento la conoscenza della cultura contemporanea era in Spagna poco
diffusa. Se vi erano scrittori che, soprattutto attraverso i loro viaggi
(principalmente a Parigi) e le loro relazioni personali erano informati sugli
sviluppi culturali europei, vi era anche una diffusa ignoranza sia nelle istituzioni
culturali sia nel mondo dell'informazione. Perciò le prime manifestazioni della
cultura "modernista" destarono sorpresa e scalpore. Vi furono molte polemiche
contro gli atteggiamenti esteriori dei modernisti, ai quali si prestò attenzione,
trascurando invece l'essenziale, cioè il valore culturale del cambiamento in atto.
Secondo Manuel Machado, il modernismo (termine che non gli piace, ma che
accetta in mancanza di alternative) fu essenzialmente "una rivoluzione letteraria
di carattere formale. Ma relativa non solo alla forma esteriore, ma anche a quella
interiore dell'arte". Questa rivoluzione formale tendeva a mettere in primo piano
l'espressione del fondo più personale e intimo del mondo interiore dell'artista:
attraverso il suo gusto raffinato, si esprime e si comunica agli altri la percezione
della bellezza.
il modernismo 449

Anche per il modernismo è stata sottolineata una caratteristica abbastanza


generalizzata della cultura decadente: pur essendo un movimento portato ad
esaltare al massimo i valori estetici, il modernismo non si contrappone al realismo
o naturalismo, ma allo spirito utilitario dell'epoca borghese e al materialismo che
riduce tutto ad una dimensione di egoismo e di praticità. Il precedente illustre è
nella svolta di Baudelaire e del simbolismo francese. Presupposto della poesia
simbolista è l'esistenza di una realtà oltre la sfera della percezione comune, alla
quale si può arrivare attraverso l'arte, il senso della bellezza, della forma,
l'evocazione per "corrispondenze" ed echi interiori. Naturalmente, il positivismo,
il razionalismo, una certa sociologia ingenuamente economicista, un realismo
limitato alla descrizione delle apparenze, negavano l'esistenza di questa
dimensione - che in realtà è soprattutto una dimensione interiore o accessibile
attraverso la personale interiorità. Da qui la conseguente opposizione del
composito universo decadente alla limitata cultura borghese, economicista,
positivista, utilitarista o, con una sola parola, volgare. Ora, la cultura borghese
della prima metà dell'Ottocento era la cultura moderna per antonomasia; ciò
significa che la nuova arte, da Baudelaire in poi, ha un fondo antimoderno nel suo
stesso dna (questa è una delle ragioni per cui il nome "modernismo" non piace a
molti autori: è un nome che, facendo riferimento a una ricerca del nuovo, finisce
in realtà con il collegare al vecchio mondo borghese; in effetti sarebbe opportuno
usare in modo sistematico le espressioni "arte nuova", "arte contemporanea").
Questo posizione antiborghese del poeta nuovo, dell'artista contemporaneo, si
traduce in uno stile di vita provocatorio, mediante l'adozione di atteggiamenti
bizzarri (si pensi alla lunga barba di Valle-Inclán), o la scelta di vita bohemienne.
Come ha scritto Manuel Aznar Soler:

L'atteggiamento di ribellione e protesta del bohemien va contro la


mediocrità e la volgarità della società borghese, contro la quale è possibile
solo un'alienazione volontaria mediante l'assenzio, la droga, il bordello o il
narcotico dell'arte. Contro l'uniformità sociale, la protesta individuale
dell'artista bohemien si esprime come fonte di liberazione della sua lucidità
disperata. Rimbaud e Verlaine esemplificano questa volontaria condizione
di artisti "maledetti", di scrittori "decadenti", situati ai margini estremi
della società. Il provocatorio atteggiamento antiborghese dell'artista
bohemien si basa sul suo odio verso la burocratizzazione della vita,
l'uniformità sociale e la mercificazione dell'arte. L'artista bohemien non
vuole vendere, né accetta di farsi comprare la sua immaginazione creatrice.
(...) La vera boemia è vissuta come esperienza di libertà nel seno di una
società volontariamente marginale, dove il tempo non è oro, ma ozio
artistico, alcol, ricerca di paradisi artificiali, di allucinazioni magiche, di
bellezza e "falso azzurro notturno". Questo atteggiamento
provocatoriamente antiborghese conduce lo scrittore bohemien a una posa
da anarchico letterario, a una condizione di "maledetto" che si relaziona
con gli emarginati dalla società (omosessuali, prostitute, delinquenti), a
provare il piacere di demolire idee e valori stabiliti attraverso boutades,
con l'obiettivo esplicito di épater le bourgeois.
450 il modernismo

Con tali premesse, è ovvio che il modernismo, più che una scuola, sia una
comunità di atteggiamenti (provocazione, ricerca della bellezza, ricerca stilistica,
ecc.) su cui ciascuno innesta la propria personale creatività, la propria originalità.
Già nel 1902 Eduardo López Chavarri, scriveva:

Il Modernismo, come movimento artistico, è un'evoluzione e, in un


certo senso, un rinascimento. Non è esattamente una reazione contro il
naturalismo, ma contro lo spirito utilitario dell'epoca, contro la brutale
indifferenza della volgarità. Uscire da un mondo in cui il culto del ventre
assorbe ogni cosa, cercare l'emozione artistica che vivifica i nostri spiriti
affaticati nella violenta lotta per la vita, restituire al sentimento ciò che gli
viene rubato dalla marmaglia egoista che domina dovunque... questo
rappresenta lo spirito del modernismo.

E un critico contemporaneo, Ricardo Gullón, scrive:

Il Modernismo è caratterizzato dai mutamenti nel modo di pensare


(non tanto nel modo di sentire, che nell'essenziale rimane fedele agli
archetipi emozionali romantici), a seguito delle trasformazioni avvenute
nella società occidentale del XIX sec., dal Volga al Capo Horn.
L'industrializzazione, il positivismo filosofico, la crescente politicizzazione
della vita, l'anarchismo ideologico e pratico, l'incipiente marxismo, il
militarismo, la lotta di classe, la scienza sperimentale, l'auge del
capitalismo e la borghesia, neo-idealismi e utopie, tutto mescolato; la
fusione di tutto questo provoca nella gente, e soprattutto negli artisti, una
reazione complessa e a volte devastante.

La reazione antiborghese, dice Gullón, assume varie forme: da quella della


fuga (escapismo) dalla realtà sociale, alla nostalgia, al fascino di ciò che è lontano
nel tempo e nello spazio (esotismo). Come scrive Ortega:

L'arte è dunque un'attività di liberazione. Da cosa ci libera? Dalla


volgarità. Io non so cosa penserai tu, lettore, ma per me la volgarità è la
realtà di tutti i giorni, ciò che i minuti portano nelle loro giare uno dopo
l'altro; il cumulo di fatti significativi o insignificanti, che sono l'ordito
delle nostre vite e che sciolti, sparpagliati, senz'altro collegamento che la
loro successione, non hanno senso. Ma a sostenere, come il tronco un ri-
goglioso fogliame, queste realtà di tutti i giorni, esistono le realtà perenni,
cioè le ansie, i problemi, le passioni cardinali del vivere dell'universo. A
queste arriva l'arte, s'immerge e quasi annega in loro l'artista vero e,
usandole come centri energetici, riesce a condensare la volgarità e a dare
un senso alla vita [...] Se non sei immerso nelle grandi correnti del
sottosuolo che collegano e animano tutti gli esseri, se non ti preoccupano
le grandi angosce dell'umanità, a dispetto dei tuoi lindi versi a mani che
sono bianche, a giardini che muoiono per amore di una rosa, a una minuta
tristezza che ti gironzola come un topo sul petto, non sei un poeta, sei un
filisteo del chiaro di luna”.

Tuttavia su questa nozione dell'épater le bourgeois, scandalizzare il borghese,


occorre ragionare un po'. In effetti, quando Baudelaire, Rimbaud, Verlaine
il modernismo 451

adottano gravi atteggiamenti provocatori nei confronti del mondo in cui vivono,
esistono alcuni presupposti che è bene esplicitare. In primo luogo c'è il
presupposto di una grande tradizione culturale (quella francese e, più in generale,
quella europea): a vario titolo e in varia misura si accusa la borghesia di averne
causato la crisi, la scomparsa, o semplicemente l'accantonamento, a tutto
vantaggio di una vita utilitaristica, volgare e priva di valori superiori. In secondo
luogo c'è il presupposto ovvio che esista una borghesia, che essa si scandalizzi,
che il gesto provocatorio sia un utile scossone per portare l'attenzione su qualcosa
che manca nella vita borghese. Proprio il confronto, anche duro, con una
mentalità borghese esistente permette a Baudelaire e ad altri di difendere a
oltranza la tradizione (sia pure in un'interpretazione molto estetizzante) e
contemporaneamente di pensare al nuovo: il borghese domina di fatto la scena
sociale, dunque, se vi sarà ancora cultura e civiltà, sarà solo perché nella
modernità viene scoperta una nuova forma di bellezza, e perché il borghese viene
educato all'arte. Su questo punto, le posizioni di Baudelaire e quelle di Morris
sono praticamente equivalenti, ed entrambi propongono un cocktail ideologico e
culturale costruito con gli stessi ingredienti, quasi nelle stesse dosi. In altri
termini, l'esistenza di fatto della borghesia e un certo buon senso intellettuale
permettono di integrare un atteggiamento antiborghese nostalgico, cioè basato
sull'evocazione del mondo pre-borghese, con un atteggiamento chiaramente
orientato verso una forma di post-modernità: la borghesia è la modernità per
antonomasia, perciò se si va oltre i valori borghesi, si è post-borghesi, post-
moderni, contemporanei.
Ora poniamoci una questione elementare ma dirompente: quando la
provocazione bohemienne si sposta dalla Francia alla Spagna, chi è che si
scandalizza? C'è in Spagna un bourgeois da épater? Qualcuno ci sarà senz'altro,
ma a me sembra che a scandalizzarsi siano soprattutto i tradizionalisti. La Spagna
è un paese in cui ancora è il tomismo ottocentesco la filosofia dominante, in cui
ancora la censura è forte, in cui ancora la chiesa cattolica è l'asse portante
dell'organizzazione sociale. In altri termini: non c'è (o non è applicabile come
schema interpretativo) in Spagna una grande tradizione distrutta dall'utilitarismo
borghese, perché non c'è un dominio della borghesia; non c'è dunque una
modernità borghese che ha minato la tradizione. Al tempo stesso tale tradizione,
che arriva fino agli uomini del XIX sec., è talmente malmessa ed entrata in crisi
da celebrare, nel 1898, la fine di un lungo impero, con un'indecorosa perdita dei
suoi ultimi possedimenti oltremare. Pertanto il rinnovamento in Spagna non
passava attraverso la messa in discussione della borghesia, ma attraverso la messa
in discussione della tradizione patria. Dice giustamente Unamuno:

Noi non riconoscevamo padri né madri spirituali, neanche morti. Non


era risuscitare la Spagna ciò che volevamo; era farne una nuova.
Avevamo rotto spiritualmente con la tradizione nazionale, anche se questa,
lo volessimo o no, consapevolmente o meno, rimestava la nostra
addolorata interiorità, e forse era proprio lei che, conducendoci a
rinnegare il passato - e questo rinnegamento è molto tradizionale - ci
spingeva alla conquista di una patria. Ci trovavamo senza di essa orfani
spirituali. Ansie insaziabili ci divoravano il profondo dell'anima. Nessuno
452 il modernismo

di noi sapeva bene in realtà ciò che cercava. Eppure sì, lo sapevamo bene,
molto bene. Ciascuno di noi cercava di salvarsi come uomo, come
personalità; cercava di affermare in se stesso l'uomo. In quel naufragio
della civiltà, cioè dell'umanità della Spagna, ciascuno di noi cercava di
salvarsi come Uomo. Però: uomini e senza una patria? Per questo
partimmo a conquistarne una. (La hermandad futura)

Due cose interessano particolarmente in questo brano. La prima è salvare la


propria personalità dalla minaccia di un mondo uniformante e spersonalizzante.
La seconda è: fare una Spagna nuova, non restaurare la vecchia. È un programma
analogo a quello di un Baudelaire, con la differenza che il nemico non è la
borghesia, ma la tradizione, una tradizione decaduta e sclerotizzata. Da qui
l'importanza del desastre del 98, come evento simbolico, e da qui anche l'ovvia
conclusione: la tematica novantottesca è l'elemento specificamente ispanico del
fenomeno europeo chiamato decadentismo o arte nuova. 98 e modernismo,
insieme, sono la forma ispanica del decadentismo.

Rubén Darío

Un'altra caratteristica importante nello sviluppo dell'arte nuova in Spagna è


l'influenza di un poeta nicaraguense, Rubén Darío, acclamato come maestro delle
prime avanguardie moderniste spagnole.
Rubén Darío è lo pseudonimo di Félix Rubén García Sarmiento (1867-1916),
caposcuola di una corrente letteraria latino-americana che si era formata
ispirandosi non a modelli castigliani, ma alla lezione dei parnassiani e dei
simbolisti francesi, elaborando uno stile molto raffinato, ricercato nella forma e
nella scelta delle parole, attento alla musicalità e alla metrica. Una delle più
perfette incarnazioni degli ideali estetici di questa corrente è Azul, raccolta di
poesie e prose liriche pubblicata da Darío nel 1888: vi si nota una aggettivazione
molto ricercata, una diffusa atmosfera di sensualismo, una poesia molto
descrittiva, il richiamo a temi classici, al mito, al mondo orientale. Come dice un
poeta, protagonista di un racconto di Azul:

- Signore, da tempo io canto il verbo dell'avvenire. Ho teso le mie ali


all'uragano; sono nato nel tempo dell'aurora; cerco la razza scelta che
deve attendere con l'inno nella bocca e la lira nella mano l'ascesa del gran
sole. Ho abbandonato l'ispirazione della città malsana, l'alcova piena di
profumi, la musa di carne che riempie l'anima di meschinerie. (...) Ho
accarezzato la natura e cercato il calore dell'ideale, il verso che si trova
nell'astro nel fondo del cielo e quello che sta nella perla nel profondo
dell'oceano. (...) Signore: l'arte non porta pantaloni né parla al modo
borghese, né mette i puntini su tutte le i!

Altra grande opera di Darío, in cui lo spirito modernista trova una sua perfetta
incarnazione, è Prosas profanas, del 1896: vi è ancora più esplicito il richiamo
alla tradizione simbolista francese, ma anche alla poesia barocca e ad alcuni poeti
il modernismo 453

romantici molto vicini al gusto dei modernisti, come Bécquer. Successivamente,


con Cantos de vida y de esperanza, del 1905, Darío si apre a una poesia di
intonazione civile e a volte aggiunge una nota malinconica. Scrive
nell'introduzione:

Il mio rispetto per l'aristocrazia del pensiero, per la nobiltà dell'Arte, è


sempre lo stesso. Il mio antico disprezzo per la mediocrità, per la
bastardia intellettuale, per la piattezza estetica è a mala pena scemato
oggi in una ragionata indifferenza.

Ma aggiunge:

Io non sono un poeta per le folle. Ma so che indefettibilmente debbo


andare verso di esse:

E descrive il suo cammino nella prima, famosa composizione della raccolta:

Yo soy aquel que ayer no más decía


el verso azul y la canción profana,
en cuya noche un ruiseñor había
que era alondra de luz por la mañana.
El dueño fui de mi jardín de sueño,
lleno de rosas y de cisnes vagos;
el dueño de las tórtolas, el dueño
de góndolas y liras en los lagos;
y muy siglo diez y ocho y muy antiguo
y muy moderno; audaz, cosmopolita;
con Hugo fuerte y con Verlaine ambiguo,
y una sed de ilusiones infinita.
Yo supe de dolor desde mi infancia;
mi juventud..., ¿fue juventud la mía?
Sus rosas aún me dejan la fragancia...,
una fragancia de melancolía...
Potro sin freno se lanzó mi instinto,
mi juventud montó potro sin freno;
iba embriagada y con puñal al cinto;
si no cayó, fue porque Dios es bueno.
En mi jardín se vio una estatua bella,
se juzgó mármol y era carne viva;
una alma joven habitaba en ella,
sentimental, sensible, sensitiva. (...)45

45
Io sono colui che appena ieri diceva / il verso azzurro e la canzone profana, / nella
cui notte c'era un usignolo / che era allodola di luce per il domani./ Sono stato padrone
del mio giardino di sogno, / pieno di rose e di cigni vaghi, / il padrone delle tortore, il
padrone / delle gondole e delle lire nei laghi / e molto diciottesimo secolo e molto antico /
e molto moderno, audace cosmopolita, / con Hugo forte e con Verlaine ambiguo, / e una
sete di illusioni infinita./ Io seppi del dolore dall'infanzia; / la mia giovinezza... fu
giovinezza la mia?/ Le sue rose ancora mi lasciano la fragranza.../ una fragranza di
melancolia.../ Puledro senza freno si lanciò il mio istinto, /la mia giovinezza montò un
454 il modernismo

Le opere successive di Darío sono: El canto errante, 1907; El viaje a


Nicaragua, 1909; Poema del otoño, 1910; Los raros (1893, raccolta di articoli su
poeti modernisti), e La vida de Rubén Darío escrita por el mismo, 1914.
Darío arriva in Spagna nel 1892, preceduto dalla fama dei suoi libri, in
particolare di Azul (1888). Vi torna nel 1898, a Barcellona, trasferendosi due anni
dopo a Parigi. Conduce una vita bohemienne, con gravi problemi dovuti all'alcol
e alla costante penuria di denaro. Per Darío la poesia esisterà sempre, finché
esiste il problema della vita e della morte: l'arte è un dono superiore che permette
di penetrare nel mistero, in ciò che non è ancora conosciuto dai più, nel sogno e
nella meditazione. "Non ci sono scuole, dice Darío, ci sono poeti", e compito del
poeta è trovare la bellezza in qualunque luogo, in qualunque forma. Questa
tematica era già stata trattata in Spagna da alcuni poeti sensibili alla nuova poesia,
come Manuel Reina e Salvador Rueda, ma è solo la presenza di Darío che
permette la diffusione del movimento tra i giovani scrittori.
Secondo un fenomeno consueto in tutte le avanguardie di fine Ottocento e del
Novecento, il modernismo rappresenta, per quasi tutti coloro che aderiscono alla
sua estetica, una fase destinata a essere superata nel quadro della rapida
evoluzione dell'arte nuova in Europa.
Il modernismo ebbe in Spagna un importante organo nella rivista "Helios", di
cui si pubblicarono 14 volumi tra aprile 1903 e maggio 1904. La rivista era
un'iniziativa di giovani scrittori e si proponeva di dare spazio a giovani scrittori
che, per la loro età, difficilmente potevano essere accettati nelle riviste più
importanti. Tra i fondatori erano Juan Ramón Jiménez e Pérez de Ayala. Pur
essendo votata esclusivamente alla Bellezza (con lettera maiuscola) "Helios"
pubblicò articoli a tema sociale, politico e filosofico.
La prima antologia di poesia modernista fu La corte de los Poetas, a cura di
Emilio Carrere. Obbedisce al proposito di far conoscere la nuova poesia nata
contro la stupidaggine diffusa, ad opera di artisti impegnati nella crociata
dell'Ideale, contro la cultura borghese.

Manuel Machado

Manuel Machado Ruiz (1874-1947), fratello maggiore del più noto Antonio, è
un attivo poeta modernista, estetica alla quale resta sostanzialmente fedele in tutta
la sua produzione. Collabora con il fratello in alcune opere teatrali di
ambientazione andalusa, di cui la più nota è La Lola se va a los Puertos, che ha
avuto anche delle trasposizioni cinematografiche. Altri titoli in collaborazione: La
duquesa de Benamejí, La prima Fernanda, Juan de Mañara, Las adelfas, El
hombre que murió en la guerra, Desdichas de la fortuna o Julianillo Valcárcel.
Con lo scoppio della guerra civile, i due fratelli seguono due strade politiche
opposte, pur conservando buoni rapporti personali. Manuel resta a vivere a

cavallo senza freno; /correva ubriaca e con un pugnale alla cintola; / e se non cadde fu
perché Dio è buono. / Nel mio giardino fu vista una statua bella, /fu ritenuta marmo ed
era carne viva; un'anima giovane vi abitava, / sentimentale, sensibile, sensitiva.
il modernismo 455

Madrid fino alla sua morte nel 1947. La sua adesione politica al franchismo,
peraltro non acritica, gli aliena le simpatie dei giovani poeti negli ultimi anni
della dittatura o dopo la sua caduta, tuttavia questa confusione tra giudizio
politico e giudizio estetico appare del tutto insensata. Manuel è un poeta di
estrema finezza, ben radicato nella tradizione lirica andalusa, nel flamenco e nel
cante jondo, a cui attingerà anche García Lorca, di cui fu anche un attento
studioso.
La sua prima opera di chiara fattura modernista è Alma, del 1901 o 1902: vi si
vede una delle caratteristiche principali della poesia di Manuel: la coesistenza di
versi di chiara derivazione dalla tradizione simbolista e versi che recuperano il
patrimonio lirico tradizionale dell'Andalusia. Il sapere popolare racchiude tutto il
sapere, dice il poeta in Cante hondo:

È il sapere popolare
che racchiude l'intero sapere,
che è saper soffrire, amare,
morire e disprezzare.

Una nota malinconica è presente nella raccolta successiva Caprichos, del


1905, mentre alla descrizione di una corrida è dedicato La fiesta nacional (Rojo y
negro), del 1906.
Assai singolare e piacevole è El mal poema (1909), dove i versi sono costruiti
volutamente con frasi fatte e banalità, e dove si descrive la vita notturna e
trasgressiva. Nel 1912 Manuel Machado pubblica una delle sue migliori opere,
Cante hondo: cantares, canciones y coplas compuestas al estilo popular de
Andalucía:

Tengo un querer y una pena.


La pena quiere que viva;
el querer quiere que muera46.

Tra le raccolte successive, Canciones y dedicatorias (1915), Sevilla y otros


poemas (1918), Ars moriendi (1921).

Alejandro Sawa

Alejandro Sawa Martínez (1862-1909), poeta e romanziere andaluso legato


alla boemia e alla vita marginale di Madrid. Si trasferisce a Parigi nel 1890,
conoscendo esponenti del movimento parnassiano e del simbolismo. Tornato in
Spagna nel 1896, si dedica al giornalismo; tuttavia i suoi ultimi anni sono segnati
dalla tragedia: divenuto cieco muore nel 1909 in povertà. Sawa è vissuto come un
ribelle, ferocemente anticlericale, emarginato, quasi come in una incarnazione
vivente del disprezzo per la vita borghese, divenendo nella Madrid di inizio
secolo una sorta di mito. Attualmente la sua opera, che era stata dimenticata nella

46
Ho una volontà e una pena. / La pena vuole che viva, / la volontà vuole che muoia.
456 il modernismo

normalizzazione imposta dal regime franchista, è oggetto di rinnovata attenzione


da parte della critica.
La sua più importante opera è Iluminaciones en la sombra (1910), di estetica
modernista. Un'influenza dell'estetica più vicina al naturalismo si trova invece nei
suoi romanzi La mujer de todo el mundo, del 1885; Crimen legal, del 1886;
Declaración de un vencido del 1887; Moche, del 1889; Criadero de curas, del
1890; etc...). Il suo stile è influenzato da Hugo e Verlaine, di cui fu amico, così
come fu amico di Valle-Inclán, che su di lui modella il personaggio di Max
Estrella, protagonista di Luces de Bohemia, Rubén Darío e Manuel Machado, che
gli dedica una splendida poesia.

Salvador Rueda

Salvador Rueda Santos (1857-1933), di Malaga, autore di romanzi e racconti


di ambientazione andalusa come La cópula, romanzo erotico, El patio andaluz
(1886), El cielo alegre (1887)... Poeta modernista, pubblica Cantos de la
vendimia (1891), En tropel (1892), La bacanal (Desfile antiguo) (1893), Fuente
de salud (1906), Himno a la carne (1890), che provoca un certo scandalo. Le sue
raccolte più mature sono Piedras preciosas (1900), Fuentes de salud (1906),
Trompetas de órgano (1903) y Lenguas de fuego (1908). Nel 1957 esce la
raccolta postuma Claves y símbolos.
Prima della venuta di Darío in Spagna si ispirava già a un'estetica di tipo
parnassiano, che denominava colorismo. Accettando la lezione poetica di Darío,
introduce numerose novità metriche e l'uso di alcuni versi inconsueti,
influenzando largamente l'avanguardia modernista spagnola.

José Moreno Villa

José Moreno Villa (Málaga, 1887-1955), poeta e pittore di Malaga, fondatore


della rivista Gibralfaro. Come pittore fu un attivo avanguardista e fu tra i primi a
introdurre in Spagna il surrealismo. La sua prima raccolta, Garba (1913), mostra
un legame con il mondo andaluso e i suoi colori, così come El pasajero (1914),
opera modernista pubblicata con un prologo di Ortega. La sua opera poetica
risente dell'influenza del modernismo e della generazione del 27 (Colección, del
1924 e Jacinta la pelirroja, del 1929), ma al tempo stesso segue l’avanguardia:
legate alla musica jazz e al surrealismo sono le serie di Carambas (1931).
Politicamente schierato a sostegno della Repubblica, va in esilio in Messico, dove
scrive Cornucopia mexicana. Dopo l'esilio, la sua poesia si tinge di nostalgia e
compare il tema della solitudine, con un recupero dell'estetica modernista in La
noche del verbo (1942). Tra le sue opere in prosa, Vida en claro (1944), che è la
sua autobiografia.
il modernismo 457

Modernismo catalano

Il modernismo svolge un ruolo importante in Catalogna, non solo nella


letteratura, ma anche nell'architettura, in presenza di una borghesia aperta al
mondo europeo e mediterraneo e di un progetto di modernizzazione della città.
Tra il 1880 e il 1930, in contemporanea con le nuove tendenze delle capitali
europee, l'architettura catalana rifiuta i vecchi schemi dell'architettura industriale
e cerca di coniugare la funzionalità con l'estetica: cambiano le forme degli edifici
e si arricchisce la decorazione esterna delle pareti. In Catalogna opera un
centinaio di architetti nell'ambito del modernismo e tra questi il più famoso è
certamente Antoni Gaudí i Cornet (1852-1926). Oltre alla Sagrada Familia,
Gaudí ha realizzato alcune case straordinarie, tutt'ora visibili a Barcellona, come
Casa Milà (La Pedrera), Casa Batlló, Palacio Güell, Park Güell, Colegio
Teresiano.
Questo fermento innovatore si manifesta anche nel mondo letterario. Gregorio
Martínez Sierra (1881-1947), scrittore e drammaturgo, oltre che impresario
teatrale, di ispirazione modernista è un animatore molto chiacchierato della vita
culturale di Barcellona (si sospettava che Gregorio Martínez Sierra fosse
omosessuale e sua moglie, María Lejárraga, lesbica): fonda diverse riviste
letterarie, è lui stesso editore, e introduce le opere di Maurice Maeterlink e
dell'avanguardia teatrale europea. Sostenitore di un teatro d'arte totale, chiama a
collaborare drammaturghi, compositori, tra cui Manuel de Falla, scenografi e,
naturalmente, un eccellente staff di attori e attrici. Fa rappresentare, oltre alle sue
opere, testi di teatro classico, ma anche testi di autori giovani, come Federico
García Lorca con El maleficio de la mariposa. Alcune sue produzioni teatrali
vengono poi adattate per il cinema negli Anni Trenta. Come editore, importante,
ed eccellente dal punto di vista tipografico, è Un teatro de arte en España, che
contiene articoli di Eduardo Marquina, Rafael Cansinos Asséns, Tomás Borrás e
Manuel Abril.
Tra le sue opere migliori, legate all'estetica modernista: El poema del trabajo
(1898) e Diálogos fantásticos (1899), raccolte di prose poetiche, Flores de
escarcha (1900), La casa de primavera (1907). In coppia, i Martínez Sierra
scrivono i romanzi Pascua florida (1900), Sol de la tarde (1904), La humilde
verdad (1905) e Tú eres la paz (1906). Più vicine alla saggistica le opere Hamlet
y el cuerpo de Sarah Bernhardt (1905), La tristeza del Quijote (1905), Teatro de
ensueño (1905), Motivos (1905), La feria de Neuilly (1907) e Granada (Guía
emocional) (1911), libro di viaggi che testimonia l'eccentricità sessuale della
coppia.
Come uomo di teatro Gregorio Martínez Sierra è ritenuto più importante come
regista che come autore. La sua concezione dello spettacolo è estremamente
moderna e innovativa, soprattutto nelle scenografie. Come autore gli si riconosce
una certa finezza psicologica nella costruzione dei personaggi e soprattutto la
capacità di far vivere personaggi femminili. Tra i suoi testi teatrali: il monologo
Sólo para mujeres (1913), Canción de cuna (1911), di cui è stata realizzata una
versione cinematografica, La sombra del padre (1909), Primavera en otoño
458 il modernismo

(1911), Mamá (1913) e El reino de Dios (1916), in cui dà un'interpretazione in


chiave politica e rivoluzionaria alla carità cristiana.
María Lejárraga ha pubblicato Gregorio y yo, Medio siglo de colaboración
(1953)

Miguel de Unamuno
Personalità vigorosa, grande scrittore e filosofo, Miguel de Unamuno nasce a
Bilbao nel 1864. Si dedica alla carriera universitaria, e insegna dal 1891 Lingua e
letteratura greca all'Università di Salamanca. Nel 1901 diventa Rettore
dell'Università, ma da questa carica viene destituito nel 1914 per attività
antimonarchiche. Ottenuto nuovamente l'incarico, viene ancora destituito nel
1924 per la sua opposizione alla dittatura del generale Primo de Rivera. Esiliato
in Francia, ottiene la carica di Rettore per la terza volta al ritorno in patria, nel
1930. Muore nel 1936, poco dopo il colpo di stato del generale Franco, e
un'ulteriore destituzione per i suoi dissensi con il fronte nazionalista.
A parte queste vicende politiche, la vita di Unamuno non è legata alla boemia
artistica, tuttavia il suo atteggiamento è stato quello di una costante ribellione
intellettuale contro ogni forma di conformismo o di adesione passiva a qualunque
dogma sociale. In molte occasioni, per non dire quasi sempre, Unamuno mette in
primo piano il suo io e sostiene la necessità di affermazioni arbitrarie, fino a farne
un vero e proprio metodo intellettuale. Scrive ad esempio:

Il mio programma consiste nell'affermare non già la legittimità, ma la


necessità dell'affermazione gratuita, senza prove, senza ciò che chiamiamo
prove. Quando affermo qualcosa, affermo anche me stesso; io, come pure
tu, lettore, come tutti gli altri uomini, tutti noi siamo gratuiti, puramente
gratuiti (Programa).

Questa gratuità, specifica nello stesso articolo, si lega al fatto che la persona
umana non è un ente logico: "Né tu, né io possiamo provarci logicamente, e
poveri noi se lo potessimo! Non saremmo allora uomini, ma formule". Rifiutare
gli schemi razionali e partire dalla propria realtà significa allora comunicare una
parte della propria esperienza, della propria sostanza umana, e sottoporla a una
libera discussione: "Io non voglio lasciarmi incasellare, perché io, Miguel de
Unamuno, come qualunque altro uomo che aspiri alla pienezza della coscienza,
sono una specie unica" (Mi religión). E in En torno al casticismo precisa il
carattere metodico della sua arbitrarietà:

Se le riflessioni che vado ad annotare riescono a suggerirne altre


nuove a qualche mio lettore, anche a uno solo, e a svegliare anche una
sola umile idea addormentata nella sua mente, sia pure una soltanto, il
mio lavoro avrà una ricompensa superiore a quella di aver intensificato la
mia vita intellettuale.
il modernismo 459

Unamuno è consapevole di operare in una circostanza culturale dominata


dall'abulia, dalla pigrizia intellettuale e dal conformismo. In queste condizioni
non esistono idee vere o false, ma solo idee che vengono ripetute
meccanicamente, senza sentirle vive e operanti, senza coinvolgimento alcuno.
Allora il problema non è convincere gli atei a diventare credenti, né convincere i
credenti a diventare atei, ma scuotere le coscienze, mettere in discussione le idee
recepite passivamente e costringere a pensare con la propria testa. Da qui la
provocazione intellettuale, il paradosso, la discussione che semina dubbi.
Dopo una fase di ateismo giovanile, una crisi religiosa lo conduce a un
pensiero cristiano, ma profondamente influenzato dall'esistenzialismo di
Kierkegaard e centrato sul conflitto tra la prospettiva della morte e l'ansia,
insopprimibile in ogni persona, della sopravvivenza.
Nella sua opera il tema della persona s'intreccia con quello, a volte quasi
ossessivo, della morte e del destino della vita umana, affrontato con un
radicalismo forse ineguagliato. Se ne occupa, oltre a tanti interventi occasionali,
in un consistente trattato di filosofia, Del sentimiento trágico de la vida, del 1913,
e in un saggio breve, ma molto denso, del 1924, La agonía del cristianismo. Vi
torna, dando una interpretazione risolutiva delle sue personali contraddizioni, in
un breve romanzo del 1933, San Manuel Bueno, mártir, considerato una delle sue
opere migliori dal punto di vista letterario.
Per Unamuno, la vita umana non può essere racchiusa in una formula logica
e, nella sua concretezza, è molto più della ragione: questa ne è solo un
ingrediente, insieme ad altri, come l'affettività, il sentire fisico e psichico, le
aspirazioni e i sentimenti. L'attenzione è dunque rivolta alla vita concreta: non
alle interpretazioni più o meno plausibili e astratte, ma a quell'uomo in carne e
ossa che il razionalismo, l'idealismo, lo stesso positivismo avevano trascurato. La
pagina più conosciuta del Sentimiento trágico de la vida è forse il più appropriato
manifesto programmatico di Unamuno:

Homo sum, nihil humani a me alienum puto, disse il comico latino. Io


direi piuttosto: nullum hominem a me alienum puto; sono uomo, nessun
altro uomo ritengo estraneo. Perché l'aggettivo humanus mi è sospetto
tanto quanto il sostantivo astratto humanitas, l'umanità. Né l'umano, né
l'umanità, né l'aggettivo semplice, né l'aggettivo sostantivato, ma piuttosto
il sostantivo concreto, l'uomo. [...] Esiste un'altra cosa che chiamiamo
ugualmente uomo, ed è il soggetto di non poche divagazioni più o meno
scientifiche [...] Un uomo che non è di qua né di là, né di questa epoca né
dell'altra; che non ha sesso né patria, insomma un'idea. Vale a dire un
non-uomo. Il nostro è l'altro uomo, quello in carne ed ossa; io, tu, lettore
mio, quell'altro più in là, quanti camminiamo sulla terra. E quest'uomo
concreto in carne e ossa è il soggetto e il supremo oggetto al tempo stesso
di ogni filosofia.

Ora, per la persona concretamente vivente la morte è la minaccia massima di


negazione ed estinzione totale. Non è una questione intellettuale, ma un problema
vitale che coinvolge chiunque lo studi: l'idea della morte turba. Chiede allora
Unamuno: perché la teoria non dovrebbe prendere in considerazione il dato
460 il modernismo

radicale di questo coinvolgimento? Dove sta scritto che esso sia ininfluente? Più
ancora: quale metodo rigoroso autorizza a prescinderne? Quando la persona
concreta è alle prese col tema della morte trova come dato il suo desiderio di non
morire, la sua volontà di persistere, la sua angoscia davanti alla prospettiva del
nulla. Naturalmente, questo dato non chiarisce affatto cosa sia la morte in sé,
come evento, però dice molto su chi sia l'uomo, sulla natura stessa di colui che
appunto muore. L'uomo è, secondo le frasi di Spinoza che Unamuno amava
citare, lo sforzo di perdurare nel proprio essere, uno sforzo che implica tempo
infinito. In concreto, Unamuno fa riferimento al dogma cristiano della
resurrezione della carne e al concetto fondamentale della patristica greca della
theosis: Dio si è fatto uomo perché l'uomo diventasse Dio.
Nel trattato del 1913 le due prospettive dell'immortalità cristiana e della morte
totale sono messe a confronto e si rivelano inconciliabili e irriducibili. Si
scontrano, senza che l'una sconfigga definitivamente l'altra, perché entrambe
trovano il loro fondamento nella persona concreta. La conoscenza razionale e
quella religiosa sono scoperte dall'uomo attivando le facoltà che gli servono
concretamente per vivere: la ragione e il sentimento, la logica e l'amore. La
ragione non può negare valore al sentimento (anzitutto al sentimento della propria
sostanzialità immortale) perché amputerebbe la vita stessa: la logica, non è la vita
e non la cattura. Ma il sentimento non può prescindere dalla ragione, specie
quando chiede l'immortalità per il nostro corpo materiale, fisico e soggetto alle
leggi della fisica. Perciò queste due grandi facoltà umane generano due ambiti di
conoscenza separati e relativi, incapaci di integrarsi. I ragionamenti sono soltanto
ragionamenti e, benché siano validi sul piano logico, non hanno senso dentro la
sfera sentimentale, che pure ci consente di vivere. Dal canto suo, per definizione,
il sentimento non ha alcuna influenza sul ragionare.
Dunque c'è un conflitto radicato nell'uomo stesso. È vero che Unamuno
rovescia l'ordine gerarchico stabilito dal razionalismo, che assegnava alla ragione
un primato sul sentimento, ma è anche vero che il conflitto rimane: le due sfere
della personalità umana continuano a contraddirsi tanto quanto prima, solo che
ora mettiamo in primo piano il sentimento, attraverso un atto concreto della
volontà. Permane, sia pure con un'inversione di gerarchia, una scissione profonda
nel seno dell'uomo in carne e ossa.
Sostanzialmente, La agonía del cristianismo conferma questo quadro, anche
se dà uno spessore maggiore al sentimento inteso come facoltà che produce la sua
conoscenza e dà fondamento alla cultura religiosa umana. Il cammino
sentimentale è la via alla scoperta di quel Dio che, di sua iniziativa, si offre
costantemente all'uomo, un Dio che nel sentire umano trova la strada per
condurre l'uomo stesso, gradualmente, alla conquista della Rivelazione: l'uomo
acquista consapevolezza di sé come essere destinato alla vita eterna proprio
quando si rende conto con angoscia della morte. Questa angoscia è la spinta a
cercare Dio che, dal canto suo, si fa trovare lungo questa via, cioè si fa sentire, e
si mostra. Il Dio che in questo modo viene trovato non è un concetto intellettuale,
ma una persona vivente; però da un lato la logica non riesce a catturarlo proprio
perché è Vita, dall'altro neppure l'esperienza religiosa dell'incontro col Dio vivo
appare in grado di debellare i dubbi quando la ragione si desta a dimostrare che
il modernismo 461

l'uomo non può perdurare oltre la morte. Anche nella prospettiva dell'Agonía del
cristianismo il conflitto resta, ed anzi entro certi limiti si aggrava, dal momento
che per Unamuno il conflitto stesso è la premessa per un'esperienza religiosa
autentica.
Accanto al tema esistenziale e religioso, Unamuno affronta anche il tema della
Spagna, della sua crisi, del suo destino. Nella sua opera principale dedicata a
questo tema, la Vida de don Quijote y Sancho, propone un recupero dell'anima
spagnola più mistica, più visionaria, contro la cultura borghese moderna che
identifica con l'Europa. Spagna ed Europa, contrapposte, sono la fede contro la
ragione, il sentimento contro il meccanicismo spersonalizzante, la generosità
della nobile impresa contro l'utilitarismo, la vita mistica di Santa Teresa contro
una religiosità ridotta a mera pratica automatica, in una parola: la nobile pazzia di
don Chisciotte contro i gentiluomini della ragione. Identificando Europa,
modernità e borghesia, Unamuno crea lo spazio per una rinnovata missione della
Spagna, che ha nella sua tradizione innumerevoli testimonianze di dedizione a
valori più elevati di quelli borghesi, e che, nella sua storia, ha saputo far fronte a
grandi compiti spirituali, missionari, e ha saputo impegnarsi in battaglie gloriose
e costose contro una concezione volgare della vita. Naturalmente, la Spagna può
rivendicare questo ruolo solo se risulta in grado di ridestarsi e recuperare quelle
qualità umane che sono indispensabili per portarlo a compimento. Perché una
cosa è chiara a Unamuno: che queste qualità, nella società del suo tempo, non ci
sono. Lo spagnolo, inteso come il Conquistatore (di imperi o di mondi interiori)
non esiste più; non è presente in una élite, in un'avanguardia o un movimento
politico: lo si trova solo in un'immagine mitica, nel mito di don Chisciotte. Tema
della Spagna e tema religioso-esistenziale si intrecciano costantemente nell'opera
letteraria di Unamuno. Al riguardo bisognerebbe prestare molta attenzione, in una
lettura sistematica dell'autore, alle differenti sfumature e ai differenti punti di
vista da cui questi temi sono messi a fuoco: è facile, ma sbagliato, pensare,
quando Unamuno affronta per l'ennesima volta i suoi temi preferiti, che si tratti
sempre dello stesso discorso.
La prosa letteraria di Unamuno è, d'altronde, di grande qualità. Il suo primo
romanzo, Paz en la guerra (1897) racconta la propria esperienza dell'assedio di
Bilbao, quando era adolescente, durante la seconda guerra carlista. Nel suo titolo
contraddittorio e così caratteristico dei gusti del nostro scrittore, viene interpretato
come una grande descrizione della vita quotidiana, popolare, che per Unamuno
rappresentava l'intrahistoria, la vera essenza della tradizione: al di sotto dei
grandi eventi, che sono come la superficie spumeggiante del mare, sta la vita
quotidiana di milioni di persone, anonime certo, ma che ogni giorno vivono,
lavorano, trasformano lentamente le realtà e, soprattutto, hanno una fede e un
senso della vita nato dall'esperienza, più che dal chiacchiericcio intellettuale.
Amor y pedagogía (1902) è il ritratto satirico di un individuo, don Vito
Carrascal, la cui vita è un'adesione totale e acritica allo stupidario positivista, fino
al punto di scegliersi una moglie in base a considerazioni sociologiche (benché, al
momento di dichiararsi, con una specie di relazione scientifica, è attratto da
un'altra donna e si sposerà con costei). Avrà un figlio, che tenta di educare con
un'applicazione metodica dei principi della pedagogia, fino a portarlo al suicidio.
462 il modernismo

Niebla (1914) è un romanzo giustamente famoso ed è tra le opere migliori di


Unamuno. Vi si trova una scena, del tutto indipendente da analoghe e coeve
invenzioni di Pirandello, in cui il protagonista del romanzo, Augusto Pérez, va a
trovare l'autore del romanzo stesso, Unamuno, protestando circa la conclusione
che questi vuol dare alla vicenda, e rifiutando la sua morte. Il tipico tema
dell'ansia di immortalità è inserito qui in una stupenda, e cervantina, finzione
letteraria, che configura l'intera opera come una metafora della condizione
umana. In un'introduzione aggiunta posteriormente, scrive Unamuno:

Tutto questo mio mondo di Pedro Antonio e Josefa Ignacia, di don


Avito Carrascal e Marina, di Augusto Pérez, Eugenia Domingo e Rosarito,
di Alejandro Gómez, "nada menos que todo un hombre”, e Julia, di
Joaquín Monegro, Abel Sánchez e Helena, della zia Tula, sua sorella e suo
cognato e i suoi nipoti, di san Manuel Bueno e Ángela Carballino ––
un'angela––, e di don Sandalio, e di Emeterio Alfonso e Celedonio Ibáñez,
e di Ricardo e Liduvina, tutto questo mondo mi è più reale di quello di
Cánovas e Sagasta, di Alfonso XIII, di Primo de Rivera, di Galdós,
Pereda, Menéndez Pelayo e tutti coloro che ho conosciuto o conosco da
vivi, con alcuni dei quali ho avuto e ho rapporti. In quel mondo mi
realizzerò, ammesso che mi realizzi, più che in quest'altro.
E sotto questi due mondi, sostenendoli, sta un altro mondo, un mondo
sostanziale ed eterno, nel quale sogno me stesso e coloro che sono stati
(molti lo sono ancora) carne del mio spirito e spirito della mia carne,
mondo della coscienza senza spazio né tempo in cui vive, come onda nel
mare, la coscienza del mio corpo.

È un'allusione al famoso incontro tra Unamuno e il personaggio protagonista


di Niebla, Augusto Pérez: questi, gli dice lo scrittore, non può suicidarsi perché
non è né vivo né morto: semplicemente, non esiste.

Esisti solo come ente di finzione; povero Augusto, non sei altro che un
prodotto della mia fantasia e di quelle dei miei lettori che leggeranno il
racconto delle tue finte disgrazie scritto da me; tu sei solo un personaggio
del romanzo.

La reazione di Augusto è sorprendente e, per Unamuno, allarmante: non sarà


che c'è un equivoco, non sarà che il vero ente di finzione è proprio Unamuno? E
nel sorprendente dialogo che segue, Augusto argomenterà in modo molto logico
la sua paradossale tesi, in una delle più straordinarie (e profonde) pagine della
narrativa contemporanea.
Del 1917 è Abel Sánchez, analisi psicologica di un'amicizia che, lentamente,
evolve fino all'odio, tra Abel e Joaquín. Parlandone nel prologo de La tía Tula
(1921), Unamuno scrive che in Abel Sánchez ha tentato di scendere nelle zone più
oscure del cuore "dove la maggior parte dei mortali non ama penetrare", nelle
catacombe in cui si occulta l'eredità di Caino.
E, in riferimento a La tía Tula, centrato sul personaggio femminile di
Gertrudis, aggiunge reclama la necessità di abbandonare la patria e la fraternità,
il modernismo 463

legate all'eredita maschile di Caino e alla guerra fratricida, a vantaggio di


"matrias y sororidad".
Sempre nella narrativa di Unamuno, sono da ricordare le Tres novelas
ejemplares, del 1920, giustamente apprezzate dalla critica per la loro bellezza, e il
romanzo breve San Manuel Bueno, mártir, del 1933. Accanto alla produzione
narrativa, Unamuno coltiva il teatro, con opere come Fedra, El otro, Sombras de
sueño: sono testi più adatti alla lettura che alla rappresentazione scenica, perché
non hanno una vera e propria articolazione drammatica della vicenda. Di grande
importanza, invece, è la sua produzione poetica, molto originale, anche se legata
al gusto modernista e al simbolismo. Di particolare importanza El Cristo de
Velázquez, del 1920, e il cancionero (Diarío poético), pubblicato postumo.
San Manuel Bueno, mártir (1931) è un racconto breve ma intensissimo,
costruito attorno a tre personaggi: la credente Angela, suo fratello Lázaro e il
santo sacerdote don Manuel, che non crede nella resurrezione dei morti. Don
Manuel, disperato per la mancanza di senso di una vita destinata a cessare del
tutto, s'immerge nell'amore per i suoi parrocchiani, nel servizio al prossimo e al
paese, con lo scopo di evitare alla gente semplice il peso di una verità che uccide,
l'angoscia per la morte, che non consente di vivere alcun momento dell'esistenza
terrena; fa della sua vita una dedizione totale per amore e la sua santità attiva è
per Angela la fonte vivente della certezza e della pienezza della fede: Angela
crede senza ombra di dubbio nel dogma, convinta dall'operato di don Manuel.
Lázaro invece è un miscredente, un libero-pensatore, che don Manuel
converte non ai dogmi ma al suo amore disperato: gli confessa che non crede, che
di conseguenza non può veramente vivere, e che trova un senso solo in una
dedizione totale che aiuti gli altri a vivere. Lázaro si converte a questo progetto,
fin quasi ad ereditare la santità di don Manuel. Pertanto, sia Angela sia Lázaro
sono un prodotto, un frutto di don Manuel. Sullo sfondo la gente, la collettività
del paese che sembra rappresentare quell'intra-storia, quell'anima della storia che
Unamuno teorizza fin dai suoi primi saggi.
Dopo aver narrato la storia (è Angela a scrivere in prima persona), Unamuno
prende la parola e indica la verità: una verità che però non è un concetto. Il
pensiero astratto, sembra insistere Unamuno, uccide l'anima, intacca persino le
certezze di Angela che, quando vuol cercare un concetto vero, non lo trova. C'è
un altro tipo di verità, o meglio c'è una condizione, uno stato dell'uomo, in cui
qualcosa (Dio, la vita stessa nella sua pienezza e nella sua eternità) sono
un'esperienza diretta e risolutiva; è uno stato che si perde quando si risvegliano la
ragione e il senso del tempo. La ragione, sia con il suo materialismo, sia con il
suo tentativo di sostenere teologicamente o filosoficamente la fede, è qualcosa
che interviene in un secondo momento.
In effetti la grande contrapposizione su cui si fonda il racconto di Unamuno
non è quella tra morte e immortalità, ma tra una condizione in cui l'uomo si sente
immerso nel tempo che lo divora e un'altra condizione in cui si annuncia, si
raffigura, si fa assaporare una permanenza che ignora il tempo. Lo scorrere del
tempo è un elemento costantemente rilevato nel racconto, ed ha sempre il
contrappunto di una presenza intemporale: la montagna e il lago che s'incontrano
là dove è stato costruito il paese.
464 il modernismo

Fin dall'inizio del racconto Angela scrive: “Ho trascorso in collegio cinque
anni, che ora mi sfuggono, come in un sogno del mattino, nella lontananza del
ricordo”. E subito aggiunge, dicendo che dopo quegli anni era tornata in paese,
che era tornata da “don Manuel, con il lago e con la montagna”. E più avanti:
“Quegli anni passarono come un sogno”. E aggiunge, citando brevi periodi di
assenza dal paese: “Avevo sete della vista dell'acqua del lago e fame della vista
delle rocce della montagna; soprattutto sentivo la mancanza del mio don
Manuel”.
In un'altra occasione è don Manuel a presentare la contrapposizione tra il
transitorio e l'intemporale, parlando di una pastorella che vede cantare:

Guarda, sembra come se il tempo sia finito, come se questa ragazza


stia qui da sempre, così come sta e cantando come sta, e come se dovesse
continuare a star così sempre, come stava quando ebbe inizio la mia
coscienza, come starà quando avrà fine. Questa ragazza fa parte della
Natura, con le rocce, le nubi, gli alberi, l'acqua, e non della Storia.

“E correva il tempo”, scrive Angela. E dice, dopo la morte di don Manuel, nel
paragrafo conclusivo della sua narrazione:

Bisogna vivere! E lui mi insegnò a vivere, lui ci insegnò a vivere, a


sentire la vita, a sentire il senso della vita, a immergerci nell'anima della
montagna, nell'anima del lago, nell'anima della gente del paese, a
perderci in esse per restare in esse. Mi insegnò lui, con la sua vita, a
perdermi nella vita della gente del mio paese, e io non sentivo passare le
ore, e i giorni e gli anni più di quanto non sentissi passare le acque del
lago. Mi sembrava come se la mia vita dovesse essere sempre uguale. Non
mi sentivo invecchiare.

Don Manuel, il lago, la montagna, una vita vissuta senza pensare al tempo;
una vita che però passa, e quando ci volgiamo indietro ci appare come un sogno.
E invece non lo era; anzi, quel sogno era più reale delle preoccupazioni che ci
assalgono quando ci svegliamo alla temporalità, al senso del tempo. Il sogno era
reale quando, immersi con pienezza nella vita, non appariva in essa lo spettro del
tempo che corrode e consuma.
La montagna è dunque l'immagine dell'eterno. Lázaro, che sente nostalgia
della pace vera dopo la morte di don Manuel, dice: “È un altro il lago che mi
chiama; è un'altra la montagna. Non posso viverne senza”. E la montagna torna
come immagine a rappresentare la comunità di don Manuel e dei suoi
parrocchiani che prega: “Una voce semplice e unita, tutte fuse in una, formando
come una montagna la cui vetta, perduta a volte tra le nubi, era don Manuel”. Ma
una montagna che fosse solo immagine potrebbe rappresentare una soluzione al
problema della morte? Finora abbiamo caratterizzato questa immagine in
negativo, dicendo ciò che essa non ha: non ha attinenza col tempo; permane per
indicare una durata non temporale, che però potrebbe anche essere vista come
fissità e assenza di vita. Come potrebbe rappresentare una condizione appetibile
per l'uomo?
il modernismo 465

Però la vita senza il senso del tempo non è obbligatoriamente una condizione
ebete. Forse lo stesso don Manuel aiuta a capire che la mancanza della percezione
del tempo ha un risvolto ben sostanzioso. Dice infatti:

Io sto qui per far vivere le anime dei miei parrocchiani, per farli felici,
per far sì che si sognino immortali, non per ammazzarli. Quello che è
necessario qui è che vivano in modo sano, che vivano con unanimità di
sentimento, e con la verità, con la mia verità, non vivrebbero. Che vivano.

Dunque la grande finzione di don Manuel non è una manipolazione per


somministrare una sorta di oppio dei popoli, ma l'esatto contrario: serve a creare
una franchigia, uno spazio di vita nel quale vengono compiuti atti significanti e
realizzanti. Togliendo agli uomini la preoccupazione della morte - con la sua
dedizione totale, si badi, non con le chiacchiere - don Manuel consente la
pienezza della loro vita e l'immersione in un modo di essere per loro significativo
e realizzante. Non temporale significa allora vita piena, vita intensa, vita dove
non ci si accorge del tempo che passa perché si è pienamente soddisfatti e si è nel
possesso effettivo del significato di quanto si fa: il problema del senso della vita
non c'è, perché l'attività compiuta ha un senso.
La condizione è dunque molto lontana da forme di ingenua inconsapevolezza
dei problemi esistenziali. Don Manuel mette i suoi parrocchiani nella situazione
altamente positiva di vivere un'esistenza ricca di significato e, nel farlo, trova lui
stesso la sua propria realizzazione. Dice Angela che don Manuel aveva insegnato
con le sue opere ad immergersi nell'anima della montagna, del lago, della gente
del paese, a perdersi in queste anime, per restarvi. Dentro l'immagine della
montagna come permanenza non temporale c'è una positiva anima, che è il
possesso vissuto del senso della propria esistenza. Come risultato, come
conseguenza al margine, si ha la mancanza di senso del tempo: non si sentono
passare le ore e i giorni e non ci si sente invecchiare. Non si tratta del dato
principale, ma della conseguenza del fatto che il tempo è impiegato al massimo:
con metafore entrate nell'uso comune parliamo di vita piena, di immersione,
proprio ad indicare un attimo di esistenza o una durata in cui non manca nulla. E
se nulla manca, sarà estremamente importante precisare con assoluto rigore
fenomenologico che cosa c'è e che cosa, soprattutto, non c'è. Intanto non c'è la
percezione del tempo che passa e consuma: Angela non si sente invecchiare. Non
è solo un'immagine letteraria: fuori dal romanzo, ciascuno di noi, immerso in un
momento di pienezza vitale, non ha nel suo vissuto questo senso della
consumazione. E dunque non si può legittimamente parlare di una fuga dal
tempo, perché a mancare è proprio questo elemento da cui si dovrebbe fuggire. In
positivo, la mancanza del senso del tempo è pienezza e significato; in una parola,
permanenza. Si dirà che si tratta di un'illusione, ma così è di fatto.
Tuttavia il tempo, benché inavvertito, passa. Qual è allora il suo ruolo?
Evidentemente c'è un momento in cui si rompe il candore della vita piena, e
questa stessa pienezza viene messa in dubbio.
Senza don Manuel, senza suo fratello, Angela si sente invecchiare. Allora
cominciano i dubbi e cominciano le interpretazioni teoriche costruite per tacitarli.
il labirinto razionale, espresso nella singolare idea che Dio abbia fatto credere a
466 il modernismo

don Manuel e a Lázaro che non credevano; è il mistero della provvidenza che
salva ciò che ora appare inspiegabile. Ma si noti un fatto di estrema importanza: il
guazzabuglio teorico è una risposta allo stato di dubbio indotto proprio
dall'avvertire che il tempo passa, anzi è passato. Rimasta sola, Angela si scopre
vecchia e la sua certezza s'incrina. Tutto ciò che prima era senso pienamente
vissuto, ora è solo ricordo; a quel significato ormai manca la carne e possiamo
permetterci il lusso di dubitarne: non lo viviamo più, nonostante la realtà sia
ancora lì, a portata di mano, a testimoniare se stessa. Nevica sui miei ricordi, dice
Angela:

Scrivendo questo ora, qui, nella mia vecchia casa materna, ai miei
cinquant'anni e passa, mentre s'imbiancano insieme la mia testa e i miei
ricordi. [...] Io non so che è verità e che è menzogna, né cosa ho visto e
cosa ho solo sognato - o meglio cosa ho sognato e cosa ho solo visto - né
cosa ho saputo né cosa ho creduto.

Naturalmente, il tempo passa ora così come passava prima; però ora si è perso
il significato: qualcosa manca e l'essere umano si scopre incompleto, non
permanente, e chiede alla ragione di recuperare una condizione di certezza. Ma
quella condizione precedente, ora perduta, non era di certezza razionale; era uno
stato di esperienza piena e realizzante dell'intera persona. Pertanto, nella nuova
condizione di dubbio la ragione può rispondere quel che vuole, ma non può
recuperare l'esperienza stessa. Può giustificare o distruggere le speranze e le
aspirazioni, i sentimenti... ma tanto la giustificazione quanto la loro distruzione
dipendono dall'aver perso qualcosa che non era aspirazione, né speranza, né mero
sentimento: era molto di più, era pienezza di vita. Insomma le posizioni in
conflitto - quella sostenuta dalla ragione e quella fondata sul sentimento - sono
entrambe prodotte da una perdita reale: è venuta meno l'esperienza realizzante
dell'amore che si comunica e che, in se stesso, rende piena e permanente la vita.
Unamuno è andato oltre il livello fissato nelle sue opere precedenti, ha
radicalizzato il problema scoprendo la dimensione di un amore che ha senso in se
stesso e comunica senso a tutti, checché possano pensare o non pensare. E questa
esperienza dell'amore, lungi dall'annullare il tempo, lo trascende rendendolo
significante, cioè fa sì che abbia senso spenderlo in un certo modo.
L'amore spinge a operare e si comunica attraverso le opere, nel dono di sé.
Non è egoista né quiescente e travalica le interpretazioni teoriche che lo stesso
amante può darne. È esso stesso comunione. Per questo la gente del paese, non
intellettualizzata, lo sente, lo corrisponde, e non si interessa alle sue motivazioni
razionali: “La gente non s'intende di parole - dice Angela a suo fratello-; la gente
non ha inteso altro che le vostre opere”. E naturalmente, nel contesto dell'opera di
Unamuno, questo amore è l'esperienza vissuta di quel Dio che è amore, anche se
noi, cercandolo con un volto che abbiamo costruito attraverso chissà quali
percorsi, non lo riconosciamo in un'esperienza così intima e personale al tempo
stesso. Eppure, se san Paolo scrive che siamo, viviamo e ci muoviamo in lui, Dio
deve essere talmente immediato a noi da starci sostenendo qui ed ora e sempre.
Ma, direbbe Unamuno, che noi non lo si riconosca è cosa poco importante,
addirittura ininfluente di fronte al fatto che comunque Dio ci sta sostenendo e
il modernismo 467

reggendo per mano. Il problema non è zittire la ragione con una fede
intellettualizzata, né distruggere la fede con una ragione assolutizzata. Piuttosto, e
non sembri blasfemia, è curarsi dell'una e dell'altra, per immergerci in quella
realtà tangibile, concreta, trasfigurante e, in definitiva, deificante, che è l'amore.
Riprendendo la parola in prima persona, al termine del racconto di Angela,
Unamuno dice la sua parola conclusiva sul problema della morte e
dell'immortalità:

So bene che in ciò che si narra in questo racconto non succede niente;
ma spero che sia perché in esso tutto rimane, come rimangono i laghi e le
montagne e le sante anime semplici fissate al di là della fede e della
disperazione, che in loro, sui laghi e le montagne, fuori dalla storia, sul
divino romanzo [=il vangelo] hanno trovato riparo.

L'esperienza dell'amore, che trasfigura rendendoci montagne e laghi al di là


della fede e della disperazione, è qualcosa che si sa di vivere o non si sa. Se non
si sa, non potranno svelarla la ragione o la fede applicata a un sistema teorico. La
teoria non ci comunicherà mai l'amore; solo l'amore si comunica, nel senso che ci
contamina risvegliando quell'amore stesso che palpita in ogni uomo, come il
suono della campana del villaggio fa risuonare la campana della chiesa sommersa
nel lago. Per arrivare all'amore è necessario che il dubbio ci conduca non verso
l'intellettualizzazione della vita, ma verso la distruzione delle barriere che non
lasciano possibilità di espansione alla realtà.

Pío Baroja

Pío Baroja nasce nel Paese Basco, a San Sebastián, nel 1872. Frequenta studi
regolari di medicina, giungendo alla laurea, ma esercita la professione di medico
per breve tempo, preferendo dedicarsi in pieno alla sua vocazione letteraria.
Scrittore famoso e di successo, entra nella Real Academia nel 1935. Va in esilio
allo scoppio della guerra civile spagnola, rientrando poi a Madrid nel 1940, dove
ha qualche problema con la censura: non gli viene concesso di pubblicare il
romanzo Miserias de la guerra, né la sua continuazione, A la desbandada,
quest'ultima pubblicata nel 2007. Muore nel 1956 ed è sepolto nel cimitero civile
come ateo, con grande scandalo della Spagna ufficiale, che esercitò forti pressioni
sul nipote Julio Caro Baroja affinché le volontà dello scrittore non fossero
rispettate. La sua bara viene portata a spalla, tra gli altri, da Ernest Hemingway e
Camilo José Cela.
Baroja conosce e frequenta i principali intellettuali e scrittori della sua epoca.
In gioventù, insieme ad Azorín e Maeztu aveva costituito il cosiddetto gruppo "de
los tres", che aveva pubblicato nel 1901 un Manifiesto per un nuovo stato sociale
in Spagna. I tre scrittori, reduci da un'esperienza non entusiasmante nel
socialismo militante, proponevano l'applicazione delle nuove scienze sociali per
risolvere le misere condizioni di vita della maggior parte della popolazione
spagnola: svelare la miseria dei contadini, la diffusione della fame, la
468 il modernismo

prostituzione e l'alcolismo, proporre l'istruzione obbligatoria... Questa campagna


fu sostanzialmente un fallimento, visto che non riscosse alcun consenso.
Comunque, Baroja rimane per tutta la sua vita uno spirito anticonformista e
anarcoide: influenzato dalle idee di Schopenhauer, unisce un pessimismo nei
confronti del genere umano a una sincera solidarietà verso i deboli e gli
emarginati, vittime della crudeltà umana, che denuncia senza attenuanti nelle sue
opere. Ironico e polemico, ha detto in un'occasione:

Quando mi domandano quali sono le mie idee religiose, dico che sono
agnostico - mi piace essere un po' pedante con i filistei-: ora aggiungerò
che sono anche dogmatofago. Il mio primo movimento in presenza di un
dogma, sia religioso, politico o morale, è trovare il modo di masticarlo e
digerirlo. Il pericolo di questo disordinato appetito di dogmi è sprecare
troppi succhi gastrici e ammalarsi di dispepsia per il resto della vita.

Scettico sul piano religioso, Baroja estende il suo atteggiamento


antidogmatico a ogni campo della vita: non crede in alcuna verità politica e
sociale, sa che la stessa verità scientifica è messa in discussione dal pensiero
contemporaneo, e dunque non pensa che possano esistere dogmi morali. Ha
sfiducia nel genere umano inteso nel suo insieme, nella sua capacità di
organizzare sistemi di vita soddisfacenti, ma crede nei valori personali: la
sincerità e la solidarietà, l'azione, per quanto incapace di realizzare il paradiso
sulla terra. Da qui l'astio verso l'imbecillità umana, la sfiducia in ogni sistema
politico, l'individualismo anticonformista della sua vita e di quella dei suoi
personaggi:

Io sono stato sempre un liberale radicale, individualista e anarchico.


Per prima cosa nemico della Chiesa; poi dello Stato; e fin tanto che questi
due grandi poteri sono in lotta tra loro, partigiano dello Stato contro la
Chiesa; quando poi lo Stato sarà prevalso, nemico dello Stato.

Come scrittore, Baroja rinnova la tecnica del romanzo. Scrive mettendo in


secondo piano la trama e interessandosi piuttosto ai particolari, "come chi segue
un cammino distratto, guardando questo albero, quel ruscello, e senza pensare
troppo dove va", come scrive nelle sue Memorias. Osservazione e immaginazione
sono le sue doti migliori, e non crede che il romanzo debba essere scritto per
dimostrare una qualche tesi. Il suo stile rifiuta la retorica (a volte si è detto che
scrive male), cercando una prosa rapida, nervosa, molto vivace, chiara e legata
alla lingua reale delle conversazioni.
Autore molto prolifico, ha scritto più di sessanta romanzi, tra i quali
Aventuras, inventos y mistificaciones de Silvestre Paradox (1901), Camino de
perfección (1902), Paradox rey (1906), che costituiscono una trilogia detta della
vita fantastica; La busca (1904), appartenente a una trilogia detta della lotta per la
vita, El árbol de la ciencia (1911), César o nada (1910), El mundo es ansí (1912),
Las inquietudes de Shanti Andia (1911), Los amores tardíos (1927). Dal 1913 al
1935 compone una serie di 22 romanzi intitolata Memorias de un hombre de
acción, il cui protagonista è un uomo del XIX secolo, Eugenio de Aviraneda, suo
il modernismo 469

antenato. Ha scritto anche saggi, libri di viaggi, biografie, una raccolta di poesie,
Canciones del suburbio, e sette volumi di Memorias.
Baroja dà un contributo fondamentale alla narrativa degli inizi del secolo, nei
primi dieci anni del quale si assiste a una eccezionale concentrazione di romanzi
di alto livello. Nel 1900 pubblica La casa de Aizgorri. Aventuras, inventos y
mixtificaciones de Silvestre Paradox (1901) ha per protagonista uno stravagante
inventore legato al mondo bohemien, che finirà avventurosamente per diventare
re e preparare riforme di stampo anarchico. Nel testo è presente anche la critica
del colonialismo europeo e l'antipatia di Baroja per la tradizione francese.
Camino de perfección (1902), presenta la storia della crisi del protagonista,
Fernando Ossorio, che attraverso vari viaggi conosce una Spagna torbida e
moralmente disfatta; da qui il suo atteggiamento nichilista, da cui trova una via
d'uscita solo attraverso la riscoperta della natura e di una vita spontanea, opposta
lle menzogne politiche e religiose.
A questo periodo risalgono anche la trilogia della La lucha por la vida: La
Busca (1904) Mala Hierba (1904) e Aurora Roja (1905), e la trilogia de El
pasado: La feria de los discretos (1905), Los últimos románticos (1906), e Las
tragedias grotescas (1907).
El árbol de la ciencia è uno dei suoi romanzi più perfetti e il carattere del
protagonista, Andrés Hurtado, rispecchia in buona misura il carattere dell'autore e
le sue delusioni. Andrés cerca di colmare il senso di solitudine della sua infanzia
vuota con gli studi di medicina, scoprendo la crisi dell'università spagnola, e del
suo sapere; scopre poi il dolore e la malattia dei ricoverati negli ospedali, e la sua
rabbia si dibatte tra una voglia di rivoluzione radicale e un senso di inutilità e di
depressione. Altre sventure personali lo portano a una condizione di angoscia che
esplode dopo la morte di sua moglie Lulú e di suo figlio, portandolo al suicidio.
Il romanzo è straordinario: la caratterizzazione degli ambienti, dei personaggi,
del paesaggio, della Madrid fine secolo ne fanno una delle opere migliori del
periodo. Quasi tutti i temi più abituali in Baroja vi sono concentrati: i conflitti
esistenziali, il tema della lotta per la vita, la mancanza di senso della stessa, il
vuoto delle pratiche religiose, il fallimento del sapere scientifico, la crudeltà, la
rinuncia a vivere sono racchiusi in una storia esemplare (in negativo), nella
descrizione di un mondo che non sembra lasciare alcuna via d'uscita.
Nei romanzi posteriori di Baroja ha molta importanza l’azione: l’accavallarsi
veloce delle situazioni, l’intrigo, l’avventura. L’uomo d’azione, d’altronde, è per
lo scrittore altamente stimabile perché, anche in un mondo che resta privo di
senso, prova a dare alla vita una direzione e a imporle il significato in cui egli
crede.

Antonio Machado

Antonio Machado Ruiz nasce a Siviglia nel 1875. Dopo il trasferimento a


Madrid della famiglia, vive alcuni anni a Parigi, dove conosce Rubén Darío.
Tornato a Madrid, si muove nell'ambito della poesia modernista, rivelandosi con
470 il modernismo

la pubblicazione di Soledades, nel 1903. Un suo matrimonio con la giovanissima


Leonor Izquierdo dura pochi anni, per la morte della ragazza nel 1912: il poeta
abbandona Soria, dove viveva, e si trasferisce in Andalusia. Allo scoppio della
guerra civile, essendo un fermo sostenitore della repubblica, parte per l'esilio con
sua madre: sono entrambi ammalati, e muoiono a distanza di due giorni l'uno
dall'altra, durante il viaggio, nel 1939:

Le mie idee politiche si sono limitate sempre ad accettare come


legittimo il governo che rappresenta la libera volontà del popolo. Per
questo sono sempre stato dalla parte della Repubblica spagnola, al cui
avvento ho contribuito nella modesta misura delle mie forze, e sempre
dentro gli argini che ritenevo legittimi.

Le testimonianze concordano nel descrivere Machado come una gran brava


persona, sensibile e meditabonda, di carattere schivo e riservato. Di educazione
liberale e riformista, radicalizza le sue idee al contatto con le disuguaglianze
sociali in Andalusia, simpatizzando con i movimenti operai e arrivando a veri
proclami rivoluzionari. Scrive di sé in Retrato (Campos de Castilla)

Mi infancia son recuerdos de un patio de Sevilla


y un huerto claro donde madura el limonero;
mi juventud, veinte años en tierra de Castilla;
mi historia, algunos casos que recordar no quiero.
Ni un seductor Mañara ni un Bradomín he sido47,

e aggiunge di avere qualche goccia di sangue giacobino, anche se i suoi versi


sgorgano da una sorgente serena: Machado si definisce un uomo buono, che ama
la Bellezza e l'estetica moderna:

corté las viejas rosas del huerto de Ronsard;


mas no amo los afeites de la actual cosmética48.

La sua poesia è il tentativo di catturare attraverso la parola l'essenza delle


cose, i segni del tempo, e di descrivere il reale nel modo più autentico possibile.
Inizialmente si muove nell'ambito del modernismo, con le Soledades (1903), e
poi con Soledades, galerías y otros poemas (1907), con una poesia intimista e a
volte vicina al linguaggio di Bécquer. I suoi temi sono sentimenti universali come
il tempo, la morte, Dio, il destino, la condizione umana, l'infanzia, il paesaggio e
l'amore. Ciò che però caratterizza la poesia di Machado è il tentativo di creare
mediante il verso una partecipazione emotiva. Compaiono in questa raccolta la
pena, il dolore e la solitudine, e alcuni dei suoi simboli più ricorrenti: la sera, il

47
La mia infanzia sono i ricordi di un patio di Siviglia, / e un giardino chiaro dove matura
il limone; / la mia gioventù, vent'anni in terra di Castiglia; / la mia storia, alcuni casi che
non voglio ricordare./ Né un seduttore Mañara [licenzioso cavaliere sivigliano del
Seicento], né un Bradomín sono stato.
48 Ho tagliato le vecchie rose del giardino di Ronsard, /ma non amo i trucchi della

cosmetica odierna.
il modernismo 471

viaggio, il labirinto, il sogno come unica possibilità di accedere a realtà positive o


di rivivere un passato che possa illuminare il presente.
Successivamente, con la scoperta della Castiglia, la sua poesia si modifica.
Campos de Castilla, del 1912, poco prima della morte di Leonor, mette in primo
piano il paesaggio, un paesaggio duro e crudele, dove l'anima castigliana si
riflette e si modella nello stesso tempo, la preoccupazione per le condizioni della
Spagna, la fiducia progressista in un'altra Spagna, e i temi del destino umano,
della solitudine e della morte. L'ansia per la rigenerazione della Spagna e la pena
personale del poeta per la morte della moglie sono i due grandi sentimenti che
animano Campos de Castilla e la rendono una delle più alte opere poetiche del
Novecento. La descrizione della terra spagnola diventa esemplare e va a costituire
una sorta di paradigma del senso della terra e del paesaggio attribuito,
generalizzando un po', a tutto il gruppo della generazione del 98. Si tratta di una
terra arida, dove la vita è dura e dominata dalla povertà. L'uomo che vi abita, dice
in Por tierras de España, "è figlio di una stirpe di rudi camminatori", pastori le
cui greggi sono macchiate dalla polvere e dorate dal sole; è un uomo che spesso è
cattivo, "capace di vizi insani e crimini bestiali", che nasconde un'anima schiava
dei sette vizi capitali. Si tratta insomma di una descrizione tutt'altro che idillica e
romantica, che non va in cerca di luoghi ideali e ameni, ma accetta la cruda realtà
della lotta per la vita in una terra inospitale
Campos de Castilla rappresenta un vertice della poesia di Machado, e lo
stesso poeta farà fatica a eguagliarne il livello.

Caminante, son tus huellas


el camino, y nada más;
caminante, no hay camino:
se hace camino al andar.
Al andar se hace camino,
y al volver la vista atrás
se ve la senda que nunca
se ha de volver a pisar.
Caminante, no hay camino,
sino estelas en la mar49.

In effetti bisogna aspettare il 1924 per una nuova raccolta, Nuevas canciones,
in cui si affacciano inediti interessi filosofici. Il clima letterario è cambiato e,
anche se i giovani poeti dell'avanguardia provano per Machado un profondo
rispetto, il poeta non si sente a suo agio con le nuove estetiche.
Continua a comporre, aggiungendo le sue nuove opere alle varie edizioni di
Poesías completas. Tra queste c'è un Cancionero apócrifo di Abel Martín, poeta
filosofo inventato da Machado. Tra le sue opere in prosa va segnalato il Juan de
Mairena, raccolta di scritti vari ed eterogenei pubblicati a partire dal 1934, e in
gran parte dedicati a temi filosofici.

49 Viandante, le tue orme / sono il cammino, e nient'altro; / viandante, non c'è cammino: /

il ammino si fa andando. / Andando si fa il cammino, / e volgendo indietro la vista / si


vede il sentiero che mai / si tornerà a calpestare. / Viandante, non c'è cammino, / ma stelle
nel mare.
472 il modernismo

In linea generale, Machado, una volta superata la fase modernista, va alla


ricerca di una poesia che nasca da un’emozione umana sincera e profonda: questa
emozione, scaturita al contatto con la realtà, ha carattere fugace e compito del
poeta è appunto trascriverla, definirla, renderla comunicabile ed eternizzare il
momento.

Ramón del Valle-Inclán

Ramón María del Valle-Inclán nasce in provincia di Pontevedra, in Galizia,


nel 1866. Abbandona gli studi di Diritto per recarsi in Messico (1892-93); al suo
ritorno a Madrid vive da bohemien incarnando pienamente gli ideali
dell'avanguardia letteraria di fine secolo. Vera e propria icona del decadentismo
spagnolo, perde il braccio sinistro a seguito della ferita riportata in un duello.
Incaricato di insegnare Estetica, trova il lavoro noioso e lo lascia, occupandosi
solo della sua produzione letteraria, nonostante la precarietà delle sue condizioni
economiche. Nominato direttore dell'Accademia Spagnola di Roma, viene a
vivere in Italia, ma è costretto a tornare in patria da una malattia incurabile, e
muore poco dopo a Santiago di Compostela nel gennaio 1936.
Valle non è solo il prototipo dello stile avanguardista, ma è un'avanguardia
vivente egli stesso, con la sua vita vissuta come opera d'arte (Gómez de la Serna
diceva che Valle era la migliore maschera che passeggiava per le strade di
Madrid), e con la sua scrittura, sempre di altissimo livello, sempre innovativa fino
agli ultimi anni della sua vita.
In perfetta sintonia con lo spirito simbolista, Valle-Inclán resta sempre fedele
a una posizione marcatamente antiborghese. In una prima fase della sua
riflessione, questo atteggiamento lo porta a un rimpianto estetico per il passato e
soprattutto per la vita sociale della Galizia, arcaizzante e rurale. Questa nostalgia
per il mondo tradizionale lo conduce poi su posizioni militanti con la difesa del
tradizionalismo carlista, negli anni Dieci del Novecento. Con il passare del
tempo, però, la sua sensibilità evolve verso forme di avversione alla borghesia più
radicali e con un progressivo avvicinamento a posizioni rivoluzionarie. Si oppone
violentemente alla dittatura di Primo de Rivera, adotta atteggiamenti anarchici e
negli anni Trenta entra nel Partito Comunista.
Questa evoluzione ideologica ha un parallelo nell'evoluzione della sua opera,
anche se è storicamente falso dividere quest'ultima in due tappe, nettamente
contrapposte. Il suo esordio letterario si inscrive nel decadentismo più raffinato:
Femeninas (Seis historias amorosas), del 1895, ha chiare influenze degli autori
francesi e di D'Annunzio. Di questo esordio, cui non arrise successo
commerciale, Valle ebbe a scrivere nelle sue Memorie: "Un artista debe imponer
las normas que tenga. Y si no tiene público, crearlo. De mi primer libro, sólo
pude vender cinco ejemplares…Esto occurría en 1902".
Nelle successive raccolte di racconti, Epitalamios, Jardín umbrío, Corte de
amor, Flor de santidad (pubblicate tra il 1897 e il 1904), nella tematica decadente
compaiono anche i riferimenti alla cultura galega, alle sue tradizioni e al senso
il modernismo 473

della vita di questa regione rurale e marinara. Certamente si tratta di temi letterari,
ma è anche vero che il mondo sociale da essi evocato non è costruito
immaginativamente e nostalgicamente dallo scrittore, ma è un mondo
effettivamente esistente, concreto e presente: da un certo punto di vista, la Galizia
rappresenta una cultura tradizionale effettivamente esistente e contrapposta alla
modernità borghese dominante. In vario modo, la Galizia patriarcale, popolare,
con le sue leggende, con la sua anima sognante e (secondo l'interpretazione
diffusa) celtica, rappresenta un complemento reale degli estetismi simbolisti.
In questi anni iniziali del secolo, comunque, il vertice della produzione
letteraria di Valle è rappresentato dalle quattro Sonatas: Sonata de otoño (1902),
Sonata de estío (1903), Sonata de primavera (1904) e Sonata de invierno (1905).
Esse costituiscono, nel loro insieme, le memorie di un immaginario Marchese di
Bradomín, raffinato ed elegante decadente, esteticamente amorale.
Bradomín è definito da Valle come un don Giovanni feo, sentimental y
católico, brutto, sentimentale e cattolico. La sua relazione, e le differenze, con il
don Juan della tradizione letteraria spagnola sono evidenti. Bradomín rappresenta
una vita in cui il bello è il fondamento dell'esistenza. Nell'epoca in cui
l'aristocrazia non ha più un ruolo politico (o se lo ha vuol dire che si è
imborghesita nell'animo), Bradomín trova la sua giustificazione (la sua personale,
non quella di una classe) nel gesto bello, cioè non utilitario, elegante e non
pragmatico, dispendioso e non produttivo di utili. Segue la bellezza, che in sé non
ha alcuna caratterizzazione morale: è bello anche il peccaminoso, in epoca
decadente. Ciò lo differenzia da don Juan Tenorio che non ha senso morale. Il
cattolico Bradomín ha il senso del peccato, ma non si spaventa di fronte alla sua
bellezza, mentre don Juan, che il senso del peccato non ce l'ha, si mostra
quantomeno superficiale: un esteta incompleto, che imbroglia come un volgare
cialtrone, e non si oppone alla morale - si limita a pensare che ha tempo
sufficiente per pentirsi delle sue malefatte. Al don Juan Tenorio di Tirso de
Molina (altro discorso va fatto per la versione di Molière o di Mozart) manca
esattamente la dimensione estetica. Invece è proprio in essa che si colloca la sfida
di Bradomín al senso borghese della vita, al suo moralismo (più che morale): la
sua proclamazione del gusto fine a se stesso, in un'epoca che non ha più gusto,
diventa provocatoria. Il tutto, infine, è collocato nel passato: Bradomín scrive le
sue memorie, quindi descrive un'epoca rimpianta nostalgicamente, e non un
presente possibile.
Le Sonatas sono tra le migliori opere della letteratura spagnola
contemporanea: capolavoro di raffinatezza e di stile, rappresentano la più perfetta
creazione di un mondo decadente e aristocratico all’interno della produzione
modernista.
L'ambiente galego torna nel ciclo successivo delle Comedias bárbaras: Águila
de blasón (1907), Romance de lobos (1908) e, più tardi, Cara de plata (1922).
Sono testi che descrivono un clima diverso, realista, con personaggi strani,
violenti, tarati, che si muovono in un clima di miseria attorno a don Juan de
Montenegro, nobile dai tratti tirannici, che rappresenta una figura eroica in un
mondo in piena decomposizione. Il linguaggio, giovandosi anche della forma
teatrale, diventa più forte e si adegua a personaggi e situazioni. Si tratta di testi
474 il modernismo

molto originali, tanto che si è discusso sulla loro effettiva rappresentabilità, che
sembrano chiudere un ciclo: è come se si prendesse atto dell'impossibilità di
assumere la tradizione galega come alternativa alla modernità borghese, per il
fatto, incontestabile, che questa tradizione è ormai in fase di disgregazione e sta
vivendo i suoi ultimi giorni; è un mondo residuale, dove il passato implode e il
futuro manca. Non era così pochi decenni prima, ai tempi della guerra carlista,
descritta da Valle in una trilogia di romanzi comprendente Los cruzados de la
causa, El resplandor de la hoguera, Gerifaltes de antaño (1908-09). Valle
evidenzia il contrasto tra l'eroismo romantico dei guerriglieri carlisti e la brutalità
della guerra.
Negli anni che precedono il 1920, Valle pubblica altre opere, tra cui farse e
drammi come La cabeza del dragón, Cuento de abril, Voces de gesta, La
marquesa Rosalinda, El embrujado, e i suoi tre libri di poesie: Aromas de
leyenda, del 1907, pienamente inserito nell'estetica modernista, La pipa de kif, del
1919, una delle poche ammissioni nella letteratura spagnola dell'uso di
stupefacenti e del ricorso a paradisi artificiali; e El pasajero, del 1920.
Il teatro spagnolo, negli anni in cui Valle produce la sua opera drammatica,
era ancora legato alle forme della commedia borghese. Il modernismo, se si
eccettua Barcellona, aveva prodotto solo un teatro poetico, che cercava i suoi
temi nelle leggende o nella storia remota (Francisco Villaespesa), o aveva visto i
tentativi di rinnovamento di autori come Unamuno o Azorín, interessanti ma non
risolutivi. Jacinto Benavente Martínez (1866-1954), Premio Nobel nel 1922,
abbraccia ogni genere teatrale, con una vastissima galleria di personaggi di ogni
ceto sociale e descrizioni di tipo realista e costumbrista. Tra le sue opere
principali: La noche del sábado (1903), El dragón del fuego (1903) e Los
intereses creados (1907), forse il suo testo più originale. Autori di grande
successo di pubblico sono all'epoca Serafín Álvarez Quintero (1871-1938), e il
fratello Joaquín (1873-1944), con un teatro comico di tipo borghese,
tranquillizzante e privo di conflitti drammatici.
In questo contesto teatrale irrompe, si può dire, l'innovazione di Valle-Inclán.
Il 1920 è un anno di capitale importanza, per il rinnovamento completo dello stile
e della tematica di don Ramón. Pubblica in questo anno quattro opere teatrali:
Farsa italiana de la enamorada del rey, Farsa y licencia de la reina castiza,
Divinas palabras, e Luces de bohemia. Con la prima scopriamo un Valle-Inclán
che mette alla berlina i suoi personaggi con una caricatura pungente, che li
trasforma in maschere grottesche. Questo tono procede nella seconda, che è uno
spietato ritratto della corte isabellina. Diversa nel tono, ma altrettanto spietata
nella descrizione di un mondo sordido è la terza, certamente una delle opere più
riuscite di Valle-Inclán. Divinas palabras, ancora un testo ambientato in Galizia,
è la storia di un nano esibito nei paesi come spettacolo dai suoi parenti, scritta con
una stupefacente coesistenza di estetica modernista e ricorso al grottesco.
Ciò che unisce le tre commedie citate è un tipo di deformazione sistematica e
cosciente che Valle-Inclán teorizza nella quarta, Luces de bohemia, dandole il
nome di esperpento. Questo termine indica nel linguaggio normale una persona o
una cosa stravagante e assurda; in Valle-Inclán diventa una sistematica
il modernismo 475

mescolanza di tragico e burlesco, un superamento del dolore e del riso, una


trasformazione dei personaggi in marionette grottesche.
La tecnica dell'esperpento viene usata negli anni successivi, con Los cuernos
de don Friolera, del 1921, Las galas del difunto, 1926, La hija del capitán, 1927,
che costituiscono la trilogia intitolata Martes de carnaval: la realtà viene
letteralmente aggredita, deformata, derisa senza pietà, senza che si salvi nulla,
nemmeno istituzioni o miti consacrati; si tratta di una distruzione grottesca,
esasperata e disperata, e non di una semplice giullarata comica. Infine Valle-
Inclán estende la tecnica dell'esperpento al romanzo, con Tirano Banderas (1926)
e tre romanzi di violenta satira politica raccolti sotto il titolo El ruedo ibérico: La
corte de los milagros (1927), Viva mi dueño (1928), Baza de espadas (1932),
romanzi in cui protagonista non è un singolo personaggio, ma interi gruppi
sociali.
In Luces de bohemia Max Estrella, è un poeta cieco, assediato dalla miseria,
emarginato, circondato da personaggi mediocri, che vive la sua ultima notte
girando nelle strade di Madrid, nel clima teso di proteste operaie e repressione
delle forze dell'ordine: trattenuto in carcere per alcune ore, vi incontra un
militante socialista catalano, destinato ad essere eliminato con la cosiddetta ley de
fuga. Ed è Max, in un momento di visionaria lucidità, a pronunciare le frasi che
meglio definiscono la tecnica e il senso dell'esperpento: "La tragedia nostra non è
una tragedia"; "Gli eroi classici riflessi negli specchi concavi producono
l'esperpento. Il senso tragico della vita spagnola si può dare solo con un'estetica
sistematicamente deformata"; "La Spagna è una deformazione grottesca della
civiltà europea"; "La deformazione cessa di esser tale quando è soggetta a una
matematica perfetta. La mia estetica attuale è trasformare con matematica da
specchio concavo le norme classiche". Tuttavia, il senso graffiante
dell'esperpento, che potenzia il grottesco barocco con una forte dose di
espressionismo, si avverte se usiamo la parola esperpento nel suo significato
autentico: buffonata. Nella scena più drammatica (ma anche più grottesca, e da
leggersi come un esempio di umorismo tragico) Max Estrella annuncia la sua
scoperta, o la sua illuminazione: la storia di Spagna è una buffonata:

[Max] Starà albeggiando?


[Don Latino] È così.
[Max] E che freddo!
[Don Latino] Andiamo a fare due passi.
[Max] Aiutami, non mi posso alzare. Sono intirizzito!
[Don Latino] Vedi aver impegnato il mantello!
[Max] Prestami il tuo cappotto, Latino.
[Don Latino] Ma, sei fantastico!
[Max] Aiutami a mettermi in piedi.
[Don Latino] Alzati, vecchio rudere!
[Max] Non mi reggo!
[Don Latino] Che mascalzone sei!
[Max] Idiota!
[Don Latino] La verità è che hai un’espressione un po’ strana!
[Max] Don Latino de Hispalis, grottesco personaggio, ti immortalerò in
un romanzo!
476 il modernismo

[Don Latino] Una tragedia, Max.


[Max] La tragedia nostra non è tragedia.
[Don Latino] Dunque qualcosa sarà!
[Max] È una buffonata (esperpento).
[Don Latino] Non torcere la bocca, Max.
[Max] Mi sto gelando!
[Don Latino] Alzati. Andiamo, camminiamo.
[Max] Non posso.
[Don Latino] Smetti con questa farsa. Andiamo, camminiamo. (...)
[Max] Gli ultraisti sono dei comici. L’esperpentismo lo ha inventato Goya.
Gli eroi classici sono andati a passeggiare nel vicolo del Gato.
[Don Latino] Sei completamente ubriaco!
[Max] Gli eroi classici riflessi negli specchi concavi danno l’esperpento. Il
senso tragico della vita spagnola si può dare solo con una estetica
sistematicamente deformata.
[Don Latino] No! Ti stai ammalando!
[Max] La Spagna è una deformazione grottesca della civiltà europea.
[Don Latino] Potessi! Io mi inibisco.
[Max] Le immagini più belle in uno specchio concavo sono assurde.
[Don Latino] Concordo. Però a me diverte guardarmi negli specchi del
vicolo del Gato.
[Max] E anche me. La deformazione smette di essere tale quando è
soggetta a una matematica perfetta. La mia estetica attuale è
trasformare, con la matematica dello specchio concavo, le norme
classiche.
[Don Latino] E dov’è lo specchio?
[Max] Nel fondo del bicchiere.
[Don Latino] Sei geniale! Tanto di cappello!
[Max] Latino, deformiamo le espressioni nello stesso specchio che ci
deforma le facce e tutta la vita miserabile di Spagna.

Prendendo lo spunto dal destino tragico di Alejandro Sawa, l'ultima notte di


Max Estrella è una vera discesa all'inferno - solo che manca la risalita. Vi si
muovono più di cinquanta personaggi, con un movimento che sembra far pensare
a una concezione "cinematografica", quasi tutti caricatureschi: borghesi,
poliziotti, pedanti, caratterizzati attraverso un uso magistrale del linguaggio, che è
lo strumento principale della distorsione grottesca (ad esempio, la carica della
polizia a cavallo definita "trotto epico"). L'umorismo diventa nero e non rispetta
nessuno, nemmeno la morte. In un mondo che tiene alla sua buona immagine, alla
buona reputazione, la descrizione realista non può fermarsi alla superficie, perché
descriverebbe falsità; deve invece deformare le apparenze, mostrarle sotto una
luce nuova, inedita, penetrante, tale da rivelarne il vero volto, e questo può farlo
solo il grottesco. Avere un volto che non mostra la propria realtà è, in sé, tragico;
ma se questa tragedia non poggia su alcuna consistenza, su alcuna passionalità
forte, ed è anzi frutto di meschinità, ipocrisia, grettezza e meschinità d'animo,
allora la tragedia stessa si risolve in farsa, e solo il grottesco la può descrivere. La
deformazione in senso grottesco, vicina per molti aspetti alla pittura
espressionista, diventa allora la massima forma di realismo, perché supera le
apparenze e dice la verità che tutti nascondono.
il modernismo 477

Luces de bohemia poté essere rappresentata in Spagna solo nel 1969, dopo
che era diventato un successo mondiale il suo allestimento a Parigi nel 1963. Si
scoprì allora la potenza del teatro di Valle-Inclán, che aveva anticipato di decenni
molte concezioni attuali dello spettacolo teatrale.

Azorín

José Martínez Ruiz (1873-1967) prende lo pseudonimo Azorín dal


protagonista dei suoi primi romanzi. Esordisce come giornalista con articoli
molto polemici e posizioni ideologiche anarchiche, che rapidamente abbandona a
favore di un cattolicesimo moderatamente di centro-destra: nel 1910 fa il suo
ingresso nel partito conservatore. Nei suoi primi romanzi, Diario de un enfermo
(1901) e La voluntad (1902), la crisi di fine secolo e le caratteristiche peculiari
della crisi spagnola si riflettono nella figura del protagonista, costantemente in
bilico tra azione e passività, tra desiderio di vita e scelta di morte. Del 1903 sono
Antonio Azorín, considerato spesso come la seconda parte del romanzo
precedente, e Las confesiones de un pequeño filósofo, che chiuderebbe la trilogia.
Dopo questo romanzo il personaggio scompare e l'autore ne eredita il nome.
Nelle sue opere successive lo scrittore inizia a descrivere, con una prosa di
straordinaria bellezza, il paesaggio castigliano, i suoi villaggi, nella ricerca di
un'anima spagnola fatta di valori semplici e di vita austera: sono del 1905 Los
pueblos e La ruta de don Quijote; Castilla appare nel 1912, e nel 1917 El paisaje
de España visto por los españoles. In questi romanzi, scritti con un soggettivismo
che contrasta nettamente con il realismo ottocentesco, Azorín introduce una
nuova sensibilità per il paesaggio che, insieme a quella di Machado di Campos de
Castilla, viene considerata come una caratteristica della generazione del 98: si
tratta di descrizioni dotate di una grande forza emotiva e di lirismo, realizzate con
uno stile chiaro, sobrio, senza alcuna retorica o pompa. Azorín dà poca
importanza alla trama, costruendo i suoi romanzi su descrizioni minuziose, sulla
scelta di alcune situazioni prese come istantanee della vita di un personaggio,
sulla riduzione al minimo dell'azione, lasciando a volte che sia il lettore ad
esplicitare ciò che è accaduto tra una situazione e l'altra. Azorín ha come suo
obiettivo esprimere la realtà più fondamentale delle cose, e persegue questo
obiettivo attraverso la descrizione del dettaglio, della quotidianità. Il suo stile è
impressionista e cerca di comunicare sensazioni concrete, con una lingua
semplice e precisa, frasi brevi, che si succedono l’una dopo l’altra, senza intrecci
complessi di subordinate. Ciò implica un profondo rinnovamento nel modo di
scrivere e intendere il romanzo, tant'è che non è mancato chi, ingenuamente, ha
negato il carattere di novelas ai testi di Azorín.
Nel 1922 torna al romanzo con Don Juan, con una reinterpretazione (tra le
tante dell'epoca) del personaggio barocco, e nel 1925 con Doña Inés. Interessante
è anche la sua produzione teatrale, con opere come Old Spain (1926), Brandy,
mucho brandy (1927), Lo invisible (1928), El clamor (1928). Si tratta di testi
innovativi e spesso sperimentali, a cui non arrise successo di pubblico per la loro
478 il modernismo

distanza dal tipo di teatro borghese imperante all'epoca. Azorín era tuttavia molto
legato all'attività teatrale: è interessato alla relazione tra teatro e cinema, alla
drammatizzazione di conflitti inconsci, a un'azione rapida, tenue e contraddittoria,
adeguata ai ritmi della vita contemporanea e, in conclusione, a un teatro di respiro
europeo, che la società spagnola del tempo, nella sua arretratezza, non era
preparata ad apprezzare, così come avviene per le opere di Unamuno e Valle-
Inclán.

Felipe Trigo

Felipe Trigo (1864-1916) è autore di romanzi e racconti a prevalente tema


erotico, cui arride un notevole successo di pubblico. Trigo, di orientamento
politico socialista, vi critica la mentalità borghese, la sua ipocrisia e l'abbondanza
di pregiudizi moralistici che condizionano la vita spagnola. Alcuni tra i suoi
romanzi più famosi vengono pubblicati nella prima decade del Novecento: Las
ingenuas (1901), La sed de amar (1903), Alma en los labios (1905), La Altísima
(1907), La bruta (1908), Sor Demonio (1909), En la carrera (1909), Cuentos
ingenuos (1909), Las posadas del amor (1909), Además del frac (1910), Así paga
el diablo (1911)... Vicino alla tematica novantottesca è il romanzo El médico
rural (1912), denuncia le condizioni di miseria in cui versano le campagne: si
trattava di una situazione ben nota a Trigo che era medico e aveva esercitato nei
paesi rurali. La denuncia è rafforzata in Jarrapellejos, romanzo che ha avuto
anche una versione cinematografica.
Trigo vece con chiarezza l’intimo collegamento tra miseria sessuale,
ingnoranza e miseria sociale, coglie inoltre il ruolo dominante, nella mentalità e
nei costumi, della classe borghese, piuttosto che dell’antica aristocrazia spagnola:
a suo giudizio, l’emancipazione sessuale della donna spagnola deve
necessariamente passare attraverso un’emancipazione sociale. La sua opera,
dunque, ha un carattere di denuncia e, nello stesso tempo, cerca il dialogo con la
massa, l’apertura al maggior numero possibile di lettori, con uno stile semplice e
privo di ogni ricercatezza elitaria. Purtroppo lo scrittore muore giovane, suicida
nel 1916, per ragioni ignote. Durante l’epoca di Franco la sua opera viene
sostanzialmente messa da parte, e solo in anni recenti è iniziato il recupero dei
suoi romanzi, con una rinnovata attenzione critica.
Novecentismo e avanguardia

Dall'inizio del secolo alla guerra civile

Il forte sviluppo industriale e la crescita delle masse operaie determinano un


crescente confronto ideologico tra i partiti di ispirazione liberale e quelli di
ispirazione socialista. La prima guerra mondiale, però, cambia notevolmente la
situazione europea: le distruzioni e le crisi provocate dalla guerra, il passaggio
della supremazia politica agli Stati Uniti, la rivoluzione russa del '17, aprono
certamente una nuova fase nella storia mondiale. Negli Anni Venti la crescita
degli investimenti necessari per la ricostruzione genera un clima di euforia gli
happy twenties, che non ha alcuna influenza sui conflitti sociali, che anzi si
radicalizzano. Nella III internazionale del 1920 si ha la scissione tra socialisti e
comunisti, i quali ultimi troveranno di lì a poco una guida nell'unione Sovietica di
Stalin; in Italia Mussolini prende il potere nel 1922, e le strutture della
democrazia liberale si indeboliscono quasi dappertutto; la grande crisi della borsa
di New York del '29 produce una grave recessione e milioni di disoccupati: il
sistema capitalista è in una profonda crisi. I conflitti sociali esplodono. Da un lato
le forze della sinistra tradizionale vanno all'attacco del sistema (il Fronte Popolare
vince le elezioni in Francia nel '36); dall'altro il mondo borghese subisce un
attacco da destra, da forze nazionaliste (Hitler prende il potere in Germania nel
1933). Vero è anche che una parte della borghesia europea vede nei partiti
nazionalisti un male minore rispetto al comunismo, o utilizza i movimenti di
estrema destra come argine contro comunisti e socialisti. Questi conflitti, accanto
alle questioni lasciate irrisolte dalla prima guerra mondiale, sfociano nella
seconda guerra mondiale, che produce cinquanta milioni di morti.
La Spagna resta neutrale nella prima guerra mondiale, ma non riesce a trarre
benefici durevoli da questa situazione; anzi si assiste a una crescita dell'instabilità
sociale e, dopo la guerra, a una generale crisi economica, che suscita malcontento
e agitazioni nelle classi deboli della società. Come se non bastasse, una
spedizione militare spagnola in Marocco si rivela disastrosa (1921). Per cercare di
uscire dalla crisi generale, la monarchia si affida al generale Primo de Rivera, che
governa dal 1923 al 1930. La sua dittatura (in realtà piuttosto blanda, se
paragonata al fascismo e al nazismo) non consegue importanti risultati,
soprattutto sul piano interno, dove si limita a garantire un certo ordine pubblico,
senza alcuna capacità di progettazione politica, e si conclude con le dimissioni.
Nel 1931 l'opposizione di ispirazione repubblicana ottiene un vero trionfo
elettorale, e il re rinuncia al trono. Il 14 aprile del 1931 viene proclamata la
repubblica, che gode del sostegno delle classi medie e delle masse operaie, unite
contro l'oligarchia della vecchia Spagna.
La repubblica non ha vita facile. Si impegna in un profondo programma di
riforma della Spagna, ma è ostacolata dalla difficoltà di mettere d'accordo la
borghesia e le masse popolari che non accettano di essere escluse dalla
costruzione del nuovo assetto istituzionale. Tuttavia la fase repubblicana, che era
480 novecentismo e avanguardia

iniziata in modo legale con una vittoria elettorale, viene fatta cessare illegalmente
con il colpo di stato del 18 luglio del '36, che scatena la guerra civile durata fino
al '39. La vittoria delle forze reazionarie apre l'era di Franco (1939-1975), la cui
pesante dittatura vedrà qualche timida apertura solo negli anni Cinquanta. Negli
Anni Sessanta, anche per gestire una crescente opposizione sia interna che
internazionale, il regime avvia una politica di sviluppo industriale che comporta,
di fatto e per la prima volta, l'europeizzazione della Spagna. Alla morte di Franco
la società spagnola è molto più integrata con l'Europa di quanto non lo fossero le
strutture del regime, e realizza in pochi anni una stupefacente e rapidissima
transizione pacifica dalla dittatura alla democrazia.
Questa integrazione politica e sociale con l'Europa aveva avuto un precedente
(e forse una delle sue cause) nell'integrazione culturale che si realizza (o, per
meglio dire, si perfeziona) nei primi decenni del Novecento, subito dopo il
periodo modernista. Da un certo punto di vista il modernismo rappresenta l'inizio
di un processo che, pur avendo varie fasi e venendo identificato con varie
etichette, resta sostanzialmente unitario. La critica ha individuato tre nuclei di
questo processo, indicandoli con i nomi di Novecentismo, Vanguardia e
Generazione del 27: si tratta certamente di fenomeni che compaiono in
successione, ma, dato il ristretto numero di anni in cui operano, in larga misura si
sovrappongono e si influenzano a vicenda, risultando quasi come prospettive
complementari. Bisogna anche tenere presente che nel periodo che va dal 1898 al
1936 sono ancora attivi, e rappresentano importanti punti di riferimento, autori
della generazione precedente come Unamuno, Machado o Valle-Inclán. Pertanto,
nel definire schematicamente le caratteristiche di ogni prospettiva, bisogna tenere
presente che ciascuna di esse interagisce con le altre e non occupa mai totalmente
il primo piano della scena letteraria, artistica e filosofica spagnola. Per esempio, il
maggior esponente del novecentismo, Ortega y Gasset, è in costante dialogo,
anche polemico, con Unamuno ed è, al tempo stesso, il miglior teorizzatore
dell'estetica delle avanguardie.

Il novecentismo

Nei manuali il novecentismo viene indicato spesso come generazione del '14,
seguendo ancora una volta un'indicazione di Azorín, che ne vedeva le
caratteristiche in una maggiore preoccupazione per il metodo, il rigore scientifico
e il sapere accademico. Questo aspetto è indubbiamente presente, ma non si può
definire esclusivo. Di novecentismo si parlava già nel 1906: in Catalogna
Eugenio D'Ors designava come noucentisme le tendenze artistiche che si
allontanavano da quelle ottocentesche, e intorno a questa data il giovane Ortega
esprimeva la sua esigenza di un sapere più rigoroso di quello abituale negli
intellettuali della generazione precedente. In uno scritto del 1908, Algunas notas,
dice:
novecentismo e avanguardia 481

Esigere un sistema, come faccio io, non ha niente a che vedere con lo
scolasticismo della Sorbona [...] In ogni istante è necessario che la verità
del mondo sia un sistema o, in altri termini, che il mondo sia un cosmos o
universo. Sistema è unificazione dei problemi.

Ancora nel 1908, in ¿Hombres o ideas? scrive:

Un abito mentale che non sono riuscito a dominare mi spinge a vedere


tutti i temi sistematicamente. Credo che tra le tre o quattro cose
inalterabilmente sicure possedute dagli uomini ci sia l'affermazione
hegeliana che la verità può esistere solo sotto forma di sistema.

Inoltre, negli anni Dieci Ortega teorizza uno dei punti chiave del
novecentismo: il superamento della modernità. Ortega non arriva mai a una
posizione antimoderna, nel senso reazionario o del tradizionalismo ideologico;
tuttavia non risparmia critiche alla modernità. Semplicemente, la ritiene esaurita e
pensa a un'epoca nuova che ne corregga gli errori, conservandone gli aspetti
positivi. Un breve articolo di Ortega, che è quasi un manifesto o una divisa
intellettuale, s'intitola Nada moderno y muy siglo XX: "niente affatto moderno e
molto XX secolo". In questo articolo, il superamento della modernità, e
soprattutto della sua fase culminante, l'Ottocento, è visto come conditio sine qua
non per la sopravvivenza della cultura: “Non si può dubitare che il nostro futuro
si radichi nel superare la condotta di questo secolo [XIX]”. La modernità, pur con
tutti i suoi meriti storici, è ormai diventata una superstizione: "Ci si rifletta un
poco: come tollererà un secolo che ha chiamato se stesso moderno il tentativo di
sostituire le sue idee con altre, e di conseguenza di dichiararle antiquate, non
moderne? Io spero che un giorno sembrerà un'insolenza questa audacia di
un'epoca che ha chiamato se stessa moderna".
Modernità significa qui la cultura e la società borghese dell'Ottocento, rispetto
alla quale si vuole di andare oltre. Questa posizione di Ortega si collega a due
altre proposte: la prima è la necessità di integrare la Spagna nella cultura europea,
contemporanea, i cui valori sono diversi da quelli del positiismo ottocentesco e
dal razionalismo: la seconda è la già vista necessità di sistema e rigore culturale.
Si può notare, su questo tema, la distanza tra Ortega e Unamuno. Per Unamuno,
almeno in una fase del suo pensiero e in presenza di molte contraddizioni, spesso
volutamente formulate, Europa è sinonimo di modernità, e dunque di tutti i valori
antitradizionali che considera estranei alla tradizione spagnola; per Ortega,
invece, la modernità si avvia alla fine, le sue idee sono state in larga misura
superate e si sente, quantomeno, l'esigenza di cambiare pagina: Ortega vede nella
cultura europea un orizzonte che potremmo chiamare post-moderno, e che non è
ideologicamente e pregiudizialmente ostile alla cultura tradizionale spagnola.
Ortega afferma che l'Europa, prima di essere progresso, organizzazione tecnica,
efficientismo e commercio, è soprattutto scienza, cioè rigore e disciplina
intellettuali, un modo di affrontare i problemi. Per Unamuno, invece, l'Europa si
identificava con alcune soluzioni date ai problemi; da qui l'evidente differenza di
prospettive: uno potrebbe essere spagnolo, fedele alla sua cultura, alle sue
risposte, e tuttavia esserlo in modo rigoroso, rinunciando all'improvvisazione
482 novecentismo e avanguardia

velleitaria e alla mancanza di sistematicità (che Ortega considera un vizio tipico


degli spagnoli); in tal caso, sarebbe spagnolo, ma in un contesto culturale,
metodologico, europeo; userebbe il metodo e la scienza per cercare le risposte
alle domande nate nella sua cultura. Va precisato, comunque, che in questi anni
Ortega non crede che solo un approccio scientifico possa consentire il
raggiungimento della verità (è anzi ben attento a prendere le distanze dallo
scientismo, che considera un'ideologia superata dell'Ottocento). Con questa
interpretazione, che coglie le novità del pensiero filosofico tedesco e francese di
quegli anni, Ortega imposta in termini di reciprocità il rapporto tra Spagna e resto
d'Europa: né europeizzarsi (come si diceva allora), né estirpare l'elemento
europeo della propria storia; più semplicemente, prendere e dare qualcosa,
prendere lezioni di metodo e dare lezioni di realismo.
Per Eugenio D'Ors novecentismo significa selezione, arte minoritaria, e pura.
Anche per Ortega, che ha in vista soprattutto le avanguardie, l'arte contemporanea
divide il pubblico tra coloro che la capiscono e coloro che non la capiscono. È
un'arte pura, che non bada a ciò che è umano, nel senso che questa espressione
aveva nell'arte dell'Ottocento, è anzi deshumanización, allontanamento dalla
realtà e dalle emozioni, pura creazione di metafore e gioco.
Il ruolo di studiosi professionisti è molto importante nel novecentismo, che a
volte dà l'impressione (falsa) di essere un movimento di professori, contrapposto
alla generazione del 98 che pare (erroneamente) un movimento di geniali
dilettanti. La realtà è che la generazione di Ortega cerca di dotarsi di una
formazione di alto livello e inizia una revisione dell'immagine tradizionale della
Spagna o dei giudizi che in ogni campo erano stati codificati nell'Ottocento.
Alcuni di questi intellettuali hanno un'importanza estrema anche nella
letteratura. Ad esempio Américo Castro (1885-1972), autore di studi
fondamentali come El pensamiento de Cervantes (1925), La realidad histórica de
España (México, 1954), Semblanzas y estudios españoles (1956), Hacia
Cervantes (1958), Origen, ser y existir de los españoles (Madrid, 1959), De la
edad conflictiva (Madrid, 1961), Aspectos del vivir hispánico (1949), La realidad
histórica de España (1954). Alle sue ricerche si deve la riscoperta dell'importanza
del conflitto etnico e religioso nella Spagna del rinascimento e del barocco. Con
la sua ricostruzione storica e filosofica dell'anima spagnola polemizza un altro
grande studioso, Claudio Sánchez-Albornoz (1893-1984), autore di España, un
enigma histórico, 1957; El Islam de España y el Occidente, 1974.
Scienziato e scrittore, il medico Gregorio Marañón (1887-1960), è autore di
Vocación y ética (1935), Vida e historia (1941), Ensayos liberales (1946),
Españoles fuera de España (1947), El alma de España (1951). Famosa è una sua
interpretazione del personaggio di don Giovanni in Don Juan (1940), in cui vede
il comportamento di don Juan come frutto di un'immaturità sessuale che lo rende
assolutamente disadatto a rappresentare un modello di virilità.
Grande filologo, al quale si deve una completa reinterpretazione della
letteratura medievale e un rinnovamento della filologia, è Ramón Menéndez Pidal
(1869-1968), autore di opere quali Cantar del Mío Cid: texto, gramática y
vocabulario (1908-1912), Manual de Gramática histórica española (1904),
Poesía juglaresca y juglares (1924), La epopeya castellana a través de la
novecentismo e avanguardia 483

literatura española (1910), La España del Cid (1929), Reliquias de la poesía


épica española (1952); Romancero hispánico (1953), Orígenes del español
(1926), La idea imperial de Carlos V (1938). Menéndez Pidal, nei suoi studi
sull'epica e il romancero, descrive minutamente i meccanismi della trasmissione
orale e fornisce gli strumenti critici, ancor oggi validi, per la comprensione della
vita di una cultura tradizionale.
Sul fronte catalano, la figura di maggior spicco del novecentismo è il già
ricordato Eugeni d'Ors i Rovira (1881-1954), saggista e filosofo che firmava
anche con lo pseudonimo Xenius, autore di uno straordinario Glosari, composto
da scritti molto brevi, ma contenenti profonde analisi sulla sua contemporaneità;
tra le altre opere: La filosofía del hombre que trabaja y que juega (1914), De la
amistad al diálogo (1914); Aprendizaje y heroísmo (1915); Tres horas en el
Museo del Prado (1922), La vida de Goya (1928), Paul Cézanne (1930), Pablo
Picasso (1930), Du Baroque (1935). Postumo viene pubblicato il romanzo La
verdadera historia de Lidia de Cadaqués.
Salvador de Madariaga y Rojo (1886-1978), ministro della Pubblica
Istruzione durante la Seconda Repubblica, è autore di saggi storici e di critica
letteraria, tra cui España: Ensayo de historia contemporánea (1929), e anche di
romanzi e raccolte di poesie.
Manuel de Falla y Matheu (1876-1946), uno dei più importanti musicisti
spagnoli, ispira le sue composizioni alla musica popolare andalusa: fu maestro di
García Lorca, che introdusse allo studio del flamenco e del cante jondo. Tra le
sue opere più famose: El amor brujo e El sombrero de tres picos, le Siete
canciones populares españolas, la Fantasía bética, El retablo de maese Pedro, e
Concierto para clave y cinco instrumentos. Nel ’39 Falla va in esilio in
Argentina, rifiutando una pensione offertagli dal regime franchista, e vive grazie
all’aiuto di amici mecenati in America Latina fino alla morte.
María de Maeztu Withney (1881-1948), insigne pedagoga, sorella di Ramiro
de Maeztu e discepola di Unamuno e Ortega. Insegnante di scuola pubblica,
introduce le lezioni all’aria aperta, le colonie estive e seguendo i principi di
un’educazione laica. Viaggia in Europa e America, sostenendo le sue tesi
pedagogiche e femministe, e introduce in Spagna un femminismo di tipo
anglosassone. Fonda anche istituti che consentano di favorire la diffusione della
cultura universitaria presso le donne e pubblica la rivista La mujer moderna, dove
espone i principi della sua visione del mondo. Nel 1937, dopo che suo fratello
Ramiro, militante di estrema destra, era stato fucilato, María si reca a Buenos
Aires, dove ottiene la cattedra di Historia de la Educación.
Altri intellettuali legati direttamente o indirettamente al novecentismo sono:
Julián Marías Aguilera (1914-2005), discepolo e poi continuatore di Ortega,
cattolico liberale, è incarcerato durante il regime di Franco e censurato al punto
che gli viene impedita la laurea fino al 1949. Nel 1948 fonda con Ortega
l’Instituto de Humanidades de Madrid. Svolge un’intensa attività di docenza
all’estero, non essendo accettato in patria. Tra le sue opere più importanti:
Introducción a la filosofía (1947). Ortega y tres antípodas. Un ejemplo de intriga
intelectual (1950), Idea de la Metafísica (1954), La Escuela de Madrid (1959),
Ortega. I. Circunstancia y vocación (1960), Antropología metafísica. La
484 novecentismo e avanguardia

estructura empírica de la vida humana (1970), Ortega. II. Las trayectorias


(1983), Una vida presente. Memorias (1988-1989).
Xavier Zubiri, (1898-1983), filosofo spagnolo legato a Ortega, ma creatore di
un sistema di pensiero originale, durante la guerra civile studia a Parigi fisica e
filologia. Dopo la guerra accetta la cattedra universitaria, ma poco dopo lascia
l’insegnamento pubblico, non condividendo i modelli didattici dell’università, e si
dedica a tenere corsi privati. Le sue opere sono straordinariamente innovative e lo
collocano tra i più importanti filosofi europei del XX sec. In particolare:
Naturaleza, Historia, Dios (1944), Sobre la esencia (1962), Cinco lecciones de
filosofía (1963), Inteligencia sentiente (1980-1983). I testi dei suoi corsi sono
pubblicati dopo la sua morte: El hombre y Dios (1984), Sobre el hombre (1986),
Estructura dinámica de la realidad (1989), El problema filosófico de la historia
de las religiones (1993), Los problemas fundamentales de la metafísica
occidental (1994), Espacio. Tiempo. Materia (1996), El hombre y la verdad
(1999), Sobre la realidad (2001).
María Zambrano (1904-1991) filosofa e scrittrice, discepola di Ortega e di
Zubiri, in esilio durante la guerra civile, la sua riscoperta in Spagna è piuttosto
tardiva: solo pochi anni prima della morte riceverà i riconoscimenti che la sua
opera merita. Tra i suoi testi, visionari e costantemente in bilico tra poesia e
filosofia, Claros del bosque (1977), Filosofía y poesía (1939), Hacia un saber
sobre el alma (1950), El hombre y lo divino (1953), Delirio y destino (1989).
José Luis Aranguren (José Luis López-Aranguren Jiménez 1909-1996)
filosofo legato alla scuola orteghiana, durante il regime di Franco restò in Spagna
e divenne protagonista di numerose attività di dissenso e proteste politiche che gli
causarono l’espulsione dall’università e lo costrinsero a insegnare all’estero per
diversi anni. Particolarmente interessato ai problemi dell’etica e della giustizia
sociale, ha scritto tra l’altro: Catolicismo y protestantismo como formas de
existencia (1952), Propuestas morales (1983), El buen talante (1985).
Pedro Laín Entralgo, (1908-2001), medico e critico letterario, profondamente
influenzato da Ortega y Gasset e Xavier Zubiri. Di formazione cattolica, appoggia
il campo nazionalista, pur senza estremismo ideologico. Insieme a Dionisio
Ridruejo fonda la rivista Escorial, legata alla Falange Española, il movimento
fascista fondato da José Antonio Primo de Rivera, figlio del dittatore. La rivista
aveva come scopo tentare il recupero di quel che era possibile della cultura
spagnola precedente la guerra civile, per mettere fine alla piattezza seguita alla
vittoria nazionalista. Nel 1949 pubblica España como problema, opera legata al
dibattito eterno sulla natura dell'ispanità, in polemica con España sin problema de
Rafael Calvo Serer, testo caratterizzato da una notevole semplificazione
ideologica. Tra le sue opere, La espera y la esperanza e Descargo de conciencia,
in cui, ormai anziano, prende le distanze dalle sue posizioni collaterali al
franchismo.
Al pittore José Gutiérrez Solana (1885-1945) si debbono alcune interessanti
opere, tra cui Madrid: escenas y costumbres (1913 e 1918), La España negra
(1920), Madrid callejero (1923) e Dos pueblos de Castilla (1925), e il romanzo
Florencio Cornejo (1926).
novecentismo e avanguardia 485

All’ambiente novecentista possono essere ricollegati alcuni tra i più


importanti romanzieri spagnoli del XX sec.

Francisco Ayala

Francisco Ayala García-Duarte (1906), di origine andalusa, è uno dei


principali scrittori spagnoli del Novecento. Legato all'ambiente orteghiano e al
novecentismo, scrive Tragicomedia de un hombre sin espíritu (1925) e Historia
de un amanecer (1926), seguendo un'estetica realista. Alla fine degli Anni Venti
pubblica due testi legati all'avanguardia: El boxeador y un ángel (1929) e
Cazador en el alba (1930), adottando uno stile metaforico, un'espressione vivace
e mostrando un marcato interesse per il mondo moderno. Esiliato dopo la guerra
civile per la sua adesione alla Repubblica, pubblica nel 1949 Los usurpadores,
che contiene sette racconti centrati sulla brama del potere, tra cui il famoso El
hechizado. La guerra civile fa da sfondo ai racconti pubblicati in La cabeza del
cordero, sempre del 1949, in cui Ayala si concentra soprattutto sull'analisi
psicologica dei personaggi. Nel 1958 pubblica Muertes de perro (1958), denuncia
della dittatura e delle sue miserie morali; successivamente si avvicina a temi
esistenziali, senza mai cessare di attaccare l'uso immorale del potere: in
particolare le raccolte di racconti Historia de macacos (1955), El as de bastos
(1963), De raptos, violaciones y otros excesos (1966). È autore anche di
eccellenti saggi critici, tra cui La invención del Quijote (1950), Realidad y
ensueño (1963), El Lazarillo: reexaminado. Nuevo examen de algunos aspectos
(1971), El escritor y el cine (1975), Contra el poder y otros ensayos (1992).

Gabriel Miró

Gabriel Miró (1879-1930) romanziere raffinato e prestigioso, pubblica nel


1910 Las cerezas del cementerio (1910), romanzo di atmosfera decadente, tra
voluttuosità, erotismo, amore e morte. Amante dell’opera scritta bene, Miró crea
un romanzo dalla trama semplice (una storia d’amore tra Félix Valdivia e la sua
madrina Beatriz), tutta centrata sulla costruzione di atmosfere raffinate. Questa
scrittura culmina in Figuras de la pasión del Señor (1916-17), ricostruzione
libera della passione di Gesù, con eleganti descrizioni paesaggistiche
Del 1915 è El abuelo del rey, storia ambientata in un piccolo paese, Oleza, in
cui traspone Orihuela, paese nel quale aveva studiato nella scuola dei gesuiti. Il
tema principale è il rapporto tra progresso e tradizione, tra individuo e pressione
dell'ambiente sociale: viene denunciato un ambiente oppresivo, l’intolleranza
religiosa, il peso del carlismo, cui oppone la difesa della libertà e della
spontaneità naturale. Il Libro de Sigüenza, del 1917, apre la serie di testi a
carattere autobiografico in cui il personaggio di Sigüenza rappresenta l'autore
stesso. Seguono El humo dormido (1919), e Años y leguas (1928), ancora con
Sigüenza come protagonista. Nuestro padre San Daniel e El obispo leproso
(1926) sono altri romanzi ambientati a Oleza, un microcosmo i cui abitanti
486 novecentismo e avanguardia

vivono il forte conflitto tra le loro tendenze naturali e il sistema sociale repressivo
e l'oscurantismo religioso che li domina.
Dal punto di vista formale, Miró ha uno stile molto poetico: la sua prosa
ricorre al frammentarismo, alla scomposizione della narrazione in scene non
ordinate cronologicamente, ma legate al filo della riflessione o della
rimembranza. È lontano dall’intellettualismo e dall’arte disumanizzato
dell’avanguardia, e la sua scrittura sembra orientata alla creazione di una prosa
poetica, anche se Miró non ha mai scritto versi. La sua posizione nel quadro della
letteratura del Novecento ha pochi paralleli: Miró è un autore originale, non
classificabile in scuole o tendenze letterarie. Si è detto che nessuno meglio di lui
ha saputo esprimere con esattezza le sensazioni, i colori, i profumi delle cose.

Ramón Pérez de Ayala

Ramón Pérez de Ayala y Fernández del Portal (1881-1962) fu in gioventù un


perfetto rappresentante dell’avanguardia spagnola: elegante, liberale,
antiborghese e dandy con monocolo, a stretto contatto con gli ambienti
modernisti della capitale. Il suo primo romanzo, Trece dioses. Fragmentos de las
memorias de Florencio Flórez, si muove sulla scia delle Sonatas di Valle-Inclán.
Nel 1903 è tra i fondatori di Helios, Revista del Modernismo.
Durante la prima guerra mondiale è corrispondente di guerra, e la sua
esperienza è la base del romanzo Hermann encadenado (1917). Aderisce alla
Repubblica, ma non approva l’estremismo del Frente Popular e allo scoppio della
guerra si arruola nell’esercito nazionalista.
Scrive poesie raccolte nei volumi: La paz del sendero (1904), di ispirazione
modernista; El sendero innumerable (1915) e El sendero andante (1920). Come
romanziere le sue opere giovanili seguono l’estetica realista e manifestano una
visione pessimista della vita, appena stemperata dall’ironia: Tinieblas en las
cumbres (1907), è una storia libertina che provocò un notevole scandalo all’epoca
della sua pubblicazione; La pata de la raposa (1911), che ne è la continuazione;
A. M. D. G. (abbreviazione del motto dei gesuiti Ad majorem Dei gloriam, 1910),
fortemente antigesuita e considerata scandalosa per le accuse di pedofilia ai
religiosi: non verrà ripubblicata prima del 1983; Troteras y danzaderas (1913),
descrizione della vita bohemienne di Madrid. Alla denuncia della brutalità della
vita contadina è dedicata la raccolta di romanzi brevi Bajo el signo de Artemisa
(1916).
Con il romanzo successivo, Belarmino y Apolonio (1921), il realismo viene
sostituito da una scrittura simbolista e caricaturale, che si ritrova anche nelle
opere posteriori: Luna de miel, luna de hiel (1923), Los trabajos de Urbano y
Simona (1923, continuazione della precedente), Tigre Juan (1926).
Caratteristica della narrativa di Ayala è la presenza di elementi intellettuali.
Accanto ad essi, si nota un costante ricorso all’umorismo, che sembra nascere da
un vero e proprio atteggiamento di fronte alla vita.
novecentismo e avanguardia 487

José Bergamín

José Bergamín (1895-1983), nato a Malaga da padre comunista e madre


fervente cattolica, raccoglie questa duplice eredità culturale ("con los comunistas
hasta la muerte... pero ni un paso más"). Scrittore originale, amante del
paradosso, dei tori, del barocco, appoggia Unamuno contro il generale Miguel
Primo de Rivera; fondatore della storica rivista letteraria Cruz y Raya, è tra i
primi a pubblicare opere degli scrittori della generazione del 27. Si schiera con la
Repubblica e alla fine della guerra va in esilio in America Latina, dove continua
la sua intensa attività editando le opere di Antonio Machado, Rafael Alberti,
Lorca, Cernuda e altri autori contemporanei: è lui a pubblicare Poeta en Nueva
York, il cui manoscritto gli era stato affidato da Lorca stesso, poco prima di
morire. Tornato in Spagna nel 1958, deve di nuovo allontanarsi a causa delle
persecuzioni subite da regime. Rientrerà nel 1970, ma conservando un
radicalismo ideologico che lo conduce a criticare i limiti della transizione alla
democrazia.
Nella sua produzione letteraria si trovano opere che riflettono i suoi interessi
variegati: Ilustración y defensa del toreo (1974), Presencia de espíritu (1936),
Detrás de la cruz: terrorismo y persecución religiosa en España (1941), La
decadencia del analfabetismo; La importancia del demonio (1961), e, tra le
raccolte poetiche, Rimas y sonetos rezagados (1962) e Duendecitos y coplas
(1963), La claridad desierta (1973) Esperando la mano de nieve (1982). Si tratta
di una poesia scritta in età matura, che tratta in modo profondo i temi più cari a
Bergamín, gli stessi della sua vasta opera saggistica. Discepolo e collaboratore di
Ortega, Zubiri e María Zambrano, Bergamín è uno degli intellettuali che
maggiormente si sono impegnati nell’opera di modernizzare la cultura spagnola,
il che lo rende una delle figure chiave della sua epoca.

Benjamín Jarnés Millán

Benjamín Jarnés Millán (1888-1949) saggista, critico letterario e romanziere,


autore di El profesor inútil (1926), romanzo tipicamente legato all’avanguardia,
nel quale un professore apprende molte utili lezioni di sapere pratico dalle donne
con cui ha avuto relazioni. Tra le sue opere, El convidado de papel (1928) narra
con uno sfondo autobiografico gli studi in seminario di Julio Aznar, personaggio
che si ritrova in altre opere e che rappresenta l’alter ego letterario dello scrittore:
Jarnés lo assume come suo pseudonimo per firmare l’ultimo romanzo,
Constelación de Friné, del 1944. Locura y muerte de nadie (1929) affronta il
tema del senso della realtà e dell’esistenza individuale; Su línea de fuego, è un
romanzo sulla guerra civile scritto nel 1938, ma pubblicato nel 1980; Lo rojo y lo
azul (1932), narra la vita di un emarginato arruolato nell’esercito, ancora
ricorrendo a un fondo autobiografico. La sua estetica si avvicina all'arte nuova
teorizzata da Ortega: la trama dei suoi romanzi è in filo molto tenue, quasi
un'occasione per proporre metafore, giochi d'ingegno, ironia e sottigliezza: si
488 novecentismo e avanguardia

ricorda abitualmente che in Teoría del zumbel, del 1930, impiega otto pagine per
descrivere un incidente automobilistico.
Jarnés fa uso di una grande libertà compositiva, mescola versi e prosa e tratta
una grande varietà di temi, generalmente legati alle sue preoccupazioni. La sua
formazione è umanista e difende la modernità, soprattutto nei suoi valori ideali di
libertà e accettazione dell'altro. Anche nella sua filosofia di vita è profondamente
influenzato dal pensiero di Ortega e collabora assiduamente con la Revista de
Occidente.

Concha Espina

Concha María de la Concepción Jesusa Basilisa Espina (1869-1955) è una


scrittrice novecentista di grande talento e robusta formazione intellettuale,
animatrice di un salotto letterario molto raffinato. Autrice di poesie, romanzi,
racconti e testi teatrali quali Trozos de vida: cuentos originales de Concha Espina
de Serna (1907), La Niña de Luzmela (1909), di cui esiste la trasposizione
cinematografica, Despertar para morir (1910), Agua de nieve (1911), La esfinge
Maragata (1914), La Rosa de los Vientos (1915), Al Amor de las Estrellas
(Mujeres del Quijote) (1916), Ruecas de marfil (1917), Naves en el mar (1918),
El Metal de los Muertos (1920), Dulce Nombre (1921), Cumbres al Sol (1922)...
Di formazione cattolica, Concha Espina aderisce alla Repubblica e si fa
portatrice dei suoi valori progressisti, soprattutto in difesa dell’emancipazione
femminile e della laicità dello stato.

Corpus Barga, pseudonimo di Andrés García de Barga y Gómez de la Serna


(1887-1975), poeta e narratore, spesso ricordato per essere andato in esilio
insieme ad Antonio Machado, che accompagna fino a Collioure, località della
morte del poeta. Ha avuto intense relazioni con Valle-Inclán e Pío Baroja, e ha
collaborato alle principali rivista dell’epoca, tra cui la Revista de Occidente di
Ortega. Esiliato in Perù, dirige a Lima una prestigiosa scuola di giornalismo. Tra
le sue opere: Los pasos contados, quattro volumi di memorie; Los galgos
verdugos (1973), Pasión y muerte. Apocalipsis (1930), La baraja de los desatinos
(1968).

Rafael Cansinos Assens (1882-1964), poeta e romanziere, discendente per


parte di padre da una famiglia conversa e costantemente in cerca delle sue radici
sefardite. La sua prima opera si compone di salmi: El Candelabro de los siete
brazos, del 1914. Animatore dell’avanguardia spagnola, è tra i fondatori
dell’ultraísmo: conosce Vicente Huidobro, e Jorge Luis Borges lo considerava
suo maestro. La sua attività come critico letterario non è meno importante, con
opere come Poetas y prosistas del novecientos (1919), e La nueva literatura
(1917-1927). Originale nella sua produzione saggistica, in cui affronta spesso lo
studio della cultura sefardita: El divino fracaso (1918), España y los judíos
españoles (1920), Salomé en la literatura (1920), Ética y estética de los sexos
novecentismo e avanguardia 489

(1921), Los valores eróticos en las religiones: El amor en el Cantar de los


Cantares (1930) e La Copla Andaluza (1936). È autore dei romanzi: La
encantadora (1916), El eterno milagro (1918), La madona del carrusel (1920),
En la tierra florida (1920), La huelga de los poetas (1921), Las luminarias de
Hanukah (1924).
Durante la guerra civile si schiera a sostegno della Repubblica, e nel
dopoguerra viene epurato dal regime franchista con l’accusa di essere ebreo!
Emarginato dalla vita pubblica, si dedica a un’intensa attività di traduttore (da cui
nascono le versioni integrali del Corano e delle Mille e una notte) e scrive il
romanzo La novela de un literato (1982-1995). La fondazione che gestisce i suoi
inediti ha pubblicato in seguito il romanzo Bohemia. Attualmente Cansinos
Assens viene considerato una delle personalità più ricche e interessanti del primo
Novecento, e la sua figura è stata recuperata dalla critica.

Ramón José Sender Garcés (1901-1982), scrittore, militante anarchico,


incarcerato nel 1927 per la sua opposizione al regime del generale Primo de
Rivera. I suoi primi romanzi sono influenzati dalla sua visione politica e
difendono idee rivoluzionarie: Imán (1930), Orden público (1932), Siete
domingos rojos (1932) e Mister Witt en el cantón (1935). Sorpreso dallo scoppio
della guerra civile in una zona controllata dai golpisti, attraversa il fronte ed entra
nell’esercito repubblicano; la moglie, che aveva cercato di mettere in salvo, viene
catturata, torturata e uccisa. Prende le distanze dai conflitti interni al fronte
repubblicano, ma i comunisti diffidano di lui per la sua fede anarchica. Dopo la
guerra va in esilio in Messico, poi negli Stati uniti. Qui conosce la scrittrice
Carmen Laforet con cui ha un’intensa corrispondenza, molto illuminante sul suo
carattere generoso e difficile.
Al tema della guerra civile dedica opere quali: Contraataque (1938), El rey y
la reina (1947), Los cinco libros de Ariadna (1957), Réquiem por un campesino
español (considerato spesso il suo miglior romanzo, pubblicato in Messico nel
1953 col titolo Mosén Millán), e gli ultimi tre romanzi della serie intitolata
Crónica del alba (1943), composta da nove titoli.
Tra le altre sue opere: El verdugo afable (1952), En la vida de Ignacio Morell,
Premio Planeta nel 1969, La tesis de Nancy (1969), Nancy, doctora en gitanería
(1974) y Nancy y el Bato loco (1974).

Arturo Barea (1897-1957), è autore della trilogia La forja de un rebelde


(1941-1946), pubblicata inizialmente a Londra e poi in edizione spagnola a
Buenos Aires, il cui terzo volume è interamente dedicato ad analizzare la guerra
civile.

Rosa Chacel (1898-1994) Scrittrice legata al gruppo orteghiano e alla Revista


de Occidente, in esilio dopo la guerra civile. Tra i suoi romanzi: Estación ida y
vuelta (1930, legata all’estetica vanguardista e alle teorie di Ortega), Teresa
(1941), Memorias de Leticia Valle (1945, poi trasposta in versione
cinematografica), La Sinrazón (1960), Barrio de Maravillas(1976), Novelas antes
de tiempo (1981), Acrópolis (1984), Ciencias naturales (1988). Oltre a varie
490 novecentismo e avanguardia

raccolte di racconti, tra cui Icada, Nevda, Diada (1971), pubblica le raccolte
poetiche A la orilla de un pozo (1936), Versos prohibidos (1978) e Poesía (1931-
1991) (1992).

Wenceslao Fernández Flórez (1885-1964), scrittore galego di orientamento


conservatore, autore di un romanzo fortemente politico, Una isla en el mar rojo
(1938) e successivamente di testi a carattere umoristico, ironico, spesso surreale,
in varie occasioni ripresi dal cinema (El hombre que se quiso matar, 1942 e 1970;
Huella de luz 1943; Camarote de lujo, 1959). Tra gli altri romanzi: El secreto de
Barba Azul (1923), Las siete columnas (1926), Relato inmoral (1928), El
malvado Carabel (1931).

Eugenio Noel (Eugenio Muñoz Díaz, 1885-1936), prende il suo pseudonimo


dopo una relazione con la cantante María Noel, e firma il suo primo romanzo,
Alma de santa (1909), poi incluso in El rey se divierte (1913). Scrive romanzi
brevi, raccolti in piccole collezioni come El alegretto de la sinfonía VII (1917).
Ex seminarista, ha posizioni progressiste e mostra nei suoi testi un marcato
anticlericalismo, idee repubblicane e la denuncia del caciquismo: per peggiorare
la sua immagine, prende una netta posizione contro le corride in Las capeas
(1915). Il suo terzo volume di romanzi brevi è Los frailes de San Benito tuvieron
una vez hambre (1925). Una scrittura di più ampio respiro si ha con Las siete
Cucas (1927), romanzo appesantito da digressioni generalmente non apprezzate.
Postumo, nel 1962, viene pubblicato un suo Diario íntimo.

Ancora occorre ricordare, tra gli intellettuali del novecentismo: Manuel Azaña
Díaz (1880-1940), scrittore e uomo politico, ultimo presidente della Repubblica
Spagnola, autore, tra l’altro, di La velada en Benicarló, che tratta della guerra
civile e degli Anni Trenta in Spagna.

La poesia novecentista:
Juan Ramón Jiménez

Juan Ramón Jiménez (1881-1958), premio Nobel 1956, è generalmente


considerato come il più importante poeta attivo nell’ambiente novecentista, anche
se si deve tener presente che la sua lezione influenza moltissimo l’avanguardia:
quasi tutti i poeti avanguardisti inizieranno con versi influenzati dalla poetica di
Juan Ramón. Questi, d’altronde, si riallaccia a Rubén Darío e dalla tradizione
simbolista francese, a conferma che dalla rivoluzione estetica di Baudelaire al
cosiddetto ritorno all’ordine degli Anni Trenta si svolge un processo
sostanzialmente unitario. Juan Ramón Jiménez pubblica nel 1900 le sue prime
raccolte: Ninfeas e Almas de violeta. Nonostante soffra di depressione, partecipa
alla vita letteraria e compie vari viaggi: negli Stati Uniti si sposa nel 1916 con
Zenobia Camprubí. Tornato in Spagna, allo scoppio della guerra civile è costretto
ad andare in esilio, stabilendosi a Puerto Rico fino alla sua morte.
novecentismo e avanguardia 491

La prima fase della sua attività poetica ha una marcata influenza modernista e
vi predominano il sentimentalismo, la proiezione degli stati d’animo nel
paesaggio (un paesaggio romantico, che riflette l’anima del poeta, e non un
paesaggio reale, conosciuto camminando, come quello di Machado), la musicalità
e i temi del ricordo, del sogno, della malinconia, la ricerca della perfezione
formale. Tra le raccolte di questa fase spiccano: Rimas (1902), che inaugura una
scrittura votata alla massima semplicità e all’espressione della sua malinconia,
Arias tristes (1903), Jardines lejanos (1904). In queste raccolte al tema della pena
e della malinconia si aggiunge la sofferenza per un amore perennemente
insoddisfatto; la descrizione della realtà cede spazio al sogno e alle visioni che si
mescolano con essa. Carattere più modernista e barocco hanno altre raccolte
dell’epoca: Elegías (1907), La Soledad Sonora (1911), Pastorales (1911),
Laberinto (1913). Appartiene a quest’epoca la sua opera più famosa, Platero y yo
(1914), scritta in una prosa poetica considerata tra le sue migliori pagine.
In coincidenza con il viaggio in America, nuovi temi si introducono nella
poesia di Juan Ramón Jiménez, che si allontana progressivamente dal
modernismo. Emergono ora in primo piano ambienti più reali, senza sogni o
evocazioni, e il linguaggio si fa più asciutto ed essenziale. A partire da Estío
(1916) e Diario de un poeta recién casado (1916) si assiste a una vera
purificazione da tutti gli elementi caratteristici del modernismo. Tra le opere
pubblicate in questa seconda fase: Primera antología poética (1917), Eternidades
(1918), Poesía (1917-23), Belleza (1917-23). Con questa nuova dimensione
assunta dalla sua poesia Juan Ramón sperimenta un uso del linguaggio che verrà
poco dopo ripreso dai poeti della generazione del 27. La sua estetica viene
esposta esplicitamente in Piedra y cielo (1919) in cui teorizza la poesia come
oggetto artistico creato dal poeta che, come un dio, è autore di un universo nuovo.
La fase successiva comprende tutta la sua produzione poetica nell’esilio, a
partire dal 1936: Animal de fondo (1949), Tercera antología poética (1957), En el
otro costado (1936-42) y Dios deseado y deseante (1948-49).
Al di là delle differenti fasi della sua poesia, Juan Ramón crede fermamente
nella bellezza e nella creazione poetica come cammino per raggiungerla. Da qui
una poesia che non si adatta alle circostanze e non tiene conto del momento
storico in cui vive il poeta, ma che anzi chiede a costui di abbandonare il suo
tempo e penetrare nel mistero:

Estoy viviendo. Mi sangre


Está quemando belleza.
Viviendo. Mi doble sangre
Está evaporando amor.
Estoy viviendo. Mi sangre
Está fundiendo conciencia.
492 novecentismo e avanguardia

L'avanguardia in Spagna

Come si diceva più sopra, se modernismo, novecentismo e generazione del 27


sono momenti distinti di cui la critica cerca di dare una definizione univoca,
ancorché schematica, nella realtà gli artisti che integravano tali movimenti vissero
contemporaneamente e si influenzarono a vicenda. Così, quando Ortega inizia
appena a teorizzare il novecento come superamento della modernità, Picasso ha
già dipinto le Demoiselles d’Avignon (1907), quadro d’esordio del cubismo (che
ha in Spagna un importante esponente in Juan Gris). Importanti tertulias letterarie
si svolgono al Café de Pombo (Ramón Gómez de la Serna) o al Café Colonial
(Rafael Cansinos-Assens). Lo stesso Gómez de la Serna dirige, tra il 1908 e il
1912, la rivista Prometeo, dove, in un Proclama futurista a los españoles, invoca
insurrezioni, iconoclastia, e un terremoto che rivolti la terra e la renda di nuovo
giovane. Nel 1909 pubblica El concepto de la nueva literatura, e il fermento
avanguardista si moltiplica a partire dal 1918, quando soggiorna in Spagna il
cileno Vicente Huidobro, portavoce di avanguardie parigine e caposcuola del
creazionismo. È molto forte l’influenza futurista, soprattutto nel movimento che
si definirà ultraísta, e che del futurismo rappresenta sostanzialmente una variante.
In un manifesto ultraista del 1919 (tra i firmatari spicca Guillermo de Torre), si
legge:

La nostra letteratura deve rinnovarsi, deve conseguire il suo ultra


come oggi pretendono di conseguirlo il nostro pensiero scientifico e
politico. Il nostro motto sarà 'ultra', e nel nostro credo avranno spazio
tutte le tendenze, senza distinzione, purché esprimano un anelito nuovo.
Più tardi queste tendenze raggiungeranno il loro nucleo e si definiranno.
Al momento crediamo sufficiente lanciare questo grido di rinnovamento.

Ancora, in un manifesto del ’21, che ha tra i firmatari Jorge Luis Borges:

Esistono due estetiche: l'estetica passiva degli specchi e l'estetica


attiva dei prismi. Guidata dalla prima, l'arte si trasforma in una copia
dell'oggettività dell'ambiente o della storia psichica dell'individuo.
Guidata dalla seconda, l'arte si redime, fa del mondo il suo strumento e
costruisce la sua visione personale, al di là delle carceri spaziali e
temporali. Questa è l'estetica di Ultra. La sua volontà è creare, imporre
aspetti insospettati dell'universo. Chiede a ogni poeta una visione nuda
delle cose (...) come se davanti ai suoi occhi stesse sorgendo il mondo in
modo aurorale.

Per conquistare questa visione aurorale è necessario abbattere tutto il passato.


L'ultraismo difende la creazione per la creazione e annovera tra i suoi precursori
Nietzsche e El Greco. Lo strumento principale della creazione poetica è
l'immagine, che Guillermo de Torre definisce "totalmente divorziata dalla realtà
oggettiva" e libera dal dover trascrivere o imitare tale realtà. La poesia non deve
più narrare, riprodurre, descrivere o allegorizzare i temi della vita: deve creare
immagini che, come pallottole di fucile, colpiscano la mente e la facciano aprire
alla conoscenza e alla bellezza.
novecentismo e avanguardia 493

Nel 1925 la Revista de Occidente pubblica la traduzione del manifesto


surrealista; quasi contemporaneamente escono Literaturas europeas de
vanguardia, di Guillermo de Torre e Deshumanización del arte, di Ortega. Non
va dimenticata l’attività dell’avanguardia nelle arti figurative e nel cinema - che si
incontrano ben presto: Buñuel e Dalí collaborano nel 1928 per Un chien andalou
e nel 1930 per L'age d'or (girati in Francia).

Ramón Gómez de la Serna

Ramón per antonomasia (1888-1963) è una vera incarnazione dello spirito


avanguardista dell’epoca. Pubblica Entrando en fuego (1905) e Morbideces
(1908), fonda la rivista avanguardista Prometeo, (1908-1912), dove traduce il
Manifesto futurista di Marinetti (1909), realizza alcune delle più straordinarie
operazioni d’immagine e di provocazione dell’avanguardia, come dare una
conferenza appeso a un trapezio da circo. Dal 1910 inizia la scrittura delle sue
Greguerías (1914), brevi frasi, immagini paradossali, che definisce come
metafora più umorismo:

"Si te conoces demasiado a ti mismo, dejarás de saludarte"; "El


capitalista es un señor que al hablar con vosotros se queda con vuestras
cerillas"; "A veces un beso no es más que chewing gum compartido";
"Amor es despertar a una mujer y que no se indigne"; "Con el monóculo, el
ojo se vuelve reloj"; "Aquella mujer me miró como a un taxi desocupado";
"El olivo siempre tiene cara de haber dormido mal".

Questo gioco letterario, più serio di quanto si possa immaginare, è la continua


scoperta di relazioni nuove (normalmente arbitrarie) tra le cose e riflette il
programma avanguardista della creazione di nuovi oggetti poetici attraverso
immagini slegate da ogni altra funzione. Ne scrive non meno di 15.000 fino al
1961, traendone una popolarità enorme.
Ciò non toglie valore alla sua produzione di romanziere, che inizia con El
Doctor Inverosímil (di cui esiste una versione del 1914 e una del 1921), e procede
con El Rastro (1914 y 1931), quadri di un mercato di Madrid. Gli aneddoti legati
alla sua tertulia sono raccolti in Pombo (1918) e La sagrada cripta de Pombo
(1924). Un romanzo ben strutturato è La viuda blanca y negra (1921), in cui
compaiono alcuni suoi temi caratteristici, come la vedova, appunto, ma anche la
morte e l’erotismo. Seguono El Gran Hotel (1922), El incongruente (1922), con
una assurda sequenza di fatti, El chalet de las rosas (1923), che sfiora il romanzo
poliziesco, El secreto del acueducto (1923), Cinelandia (1923), El novelista
(1923), La quinta de Palmyra (1923, sul tema dell'omosessualità femminile), El
torero Caracho (1926), Seis falsas novelas (1927), La mujer de ámbar (1928), El
caballero del hongo gris (1928). Alle avanguardie della sua epoca dedica Ismos
(1931). Infine pubblica una bella autobiografia dal singolare
titolo Automoribundia (1948).
494 novecentismo e avanguardia

Juan Larrea (1895-1980) scrittore avanguardista legato a Diego, a Huidobro,


al dadaismo e al surrealismo, va in esilio dopo la sconfitta delle forze
repubblicane. Pubblica nel 1935 Oscuro dominio, cui segue un lungo silenzio
interrotto da saggi come Rendición de espíritu (1943), El surrealismo entre el
viejo y nuevo mundo (1944), o Razón de ser (1956). Una raccolta di poesie scritte
tra il 1926 e il 1932 viene pubblicata tardivamente col titolo Versión celeste
(1969). Del 1980 è il saggio Cara y cruz de la República.
La poesia e l’opera di Larrea sono intrise di un forte vitalismo e un senso
acuto della passionalità. La sua adesione al surrealismo è totale negli anni
dell’avanguardia; successivamente, tuttavia, i suoi orizzonti si ampliano e nel
saggio Del surrealismo a Machupicchu (1967) adotta una posizione critica nei
confronti della cultura europea, difendendo invece un senso mistico e visionario
della vita, legato alle tradizioni profonde della cultura latinoamericana. Come
molti altri scrittori spagnoli, Larrea è stato sostanzialmente dimenticato durante
l'epoca di Franco e solo recentemente è stato riscoperto dalla critica ufficiale
come uno dei protagonisti dell'avanguardia.

Antonio Espina (1894-1972), esponente dell’avanguardia, imprigionato dai


golpisti durante la guerra civile e successivamente in esilio fino al 1955, è autore
del romanzo Pájaro Pinto (1926), che unisce l’estetica avanguardista alla critica
del carattere frivolo e meccanizzato della cultura europea del tempo. Sulla stessa
falsariga è il suo secondo romanzo, Luna de copas, del 1929. È autore anche di
due libri di poesie, Umbrales (1918), Signario (1923), in stile ultraista e con il
ricorso alla deformazione grottesca della realtà. Queste due raccolte e scritti in
prosa di quest’epoca sono stati inclusi in El alma Garibay nel 1964. Nella
saggistica si segnalano Lo cómico contemporáneo, del 1928, e El genio cómico y
otros ensayos, 1955. Espina è stato infine un importante critico cinematografico.

Juan José Domenchina (1898-1959), poeta precoce, esordisce con un’opera


simbolista e juanramoniana, Del poeta eterno (1917); nel 1918 pubblica Las
interrogaciones del silencio. Successivamente si avvicina al surrealismo con La
corporeidad de lo abstracto (1929) e Margen (1933) e con i testi in prosa La
túnica de Neso (1930) e Dédalo (1932). Sostenitore della Repubblica, va in esilio
alla fine della guerra, e da questa condizione nascono i libri Destierro (1942),
Pasión de la sombra (1944), Tres elegías jubilares (1946), Exul umbra (1948),
Perpetuo arraigo (1949, contiene una selezione delle poesie scritte nel decennio
precedente). La sua costante ricerca di un senso dell’esistenza si apre, nelle
ultime opere, a una visione religiosa della vita: Nueve sonetos y tres romances
(1950), Poemas y fragmentos inéditos (1964), El extrañado y otros poemas
(1969).

Mauricio Bacarisse (1895-1931), esordisce con un’opera modernista, El


esfuerzo, del 1917; successivamente si lega al gruppo ultraista di Guillermo de
Torre e all’estetica della poesia pura. Le sue poesie complete vengono pubblicate
nel 1989 (Poesía completa). All’avanguardia sono legate anche le opere in prosa
novecentismo e avanguardia 495

Las tinieblas floridas (1927) e Los amores de Agliberto y Celedonia, nel quale
difende modelli femminili autonomi e vitalisti.

Max Aub (1903-1972), coltivatore di ogni genere letterario pubblica prima


delle guerra testi a carattere sperimentale e avanguardista (Geografía, 1929,
Fábula verde, 1933, Luis Álvarez Pedreña, 1934). Attivo sostenitore della
Repubblica, viene internato in un campo di concentramento francese e poi
deportato in Algeria; nel 1942 riesce a emigrare in Messico. Tra il 1948 e il 1951
pubblica una rivista di cui è l’unico autore e redattore: Sala de espera.
In esilio scrive alcuni romanzi in stile tradizionale: Las buenas intenciones
(1954), La calle de Valverde (1951, realistica descrizione della Madrid dell’epoca
di Primo de Rivera), e la serie El laberinto mágico, dedicata alla guerra civile (ne
fanno parte Campo cerrado, 1943, Campo de sangre, 1945, Campo abierto,
1951, Campo del moro, 1963, Campo francés, 1965, Campo de los almendros,
1968). Nel 1964 torna al romanzo sperimentale con Juego de cartas. Da una
breve visita in Spagna nel 1969 nasce La gallina ciega (1971), diario e
annotazioni di viaggio. Alla sua opera narrativa appartengono anche alcune
sorprendenti biografie immaginarie, tra cui quella di Josep Torres Campalns
(1958), inesistente pittore amico di Picasso, di cui Aub ricostruisce la vita con
una documentazione precisa, minuziosa e abbondante, benché completamente
inventata.
Aub è anche un prolifico autore di racconti, genere di cui può essere
considerato un innovatore, in particolare con Yo vivo (193) e Historias de mala
muerte del 1965. Numerose e interessanti sono le sue opere teatrali, in parte
riunite in Obras en un acto (1960). La sua produzione posteriore alla guerra
annovera Los trasterrados, quattro testi dedicati all’esilio, Teatro de la España de
Franco, San Juan, sulla persecuzione degli ebrei, Morir por cerrar los ojos,
sull’occupazione nazista della Francia, Las vueltas, sul ritorno a casa degli
esiliati.

Guillermo de Torre (1900-1971), firma il Manifiesto ultraista del 1919 e


scrive un Manifiesto vertical ultraista nel 1920; le concezioni estetiche definite
nei manifesti vengono poi applicate nella raccolta Hélices (1921), con
calligrammi tipicamente futuristi e con l’introduzione, per la prima volta in
Spagna, di poesie scritte nello stile degli haiku giapponesi. Collabora con le
riviste ultraiste Grecia (1919-1920), Cervantes (1919-1920), Ultra (1921-1922),
Tableros (1922), Horizontes e Cosmópolis. Nel 1925 pubblica Literaturas
europeas de vanguardia, libro di culto per un’intera generazione di artisti e
scrittori, successivamente ampliato fino a diventare una pietra miliare per lo
studio delle avanguardie contemporanee, nei tre volumi della Historia de las
literaturas europeas de vanguardia. Entra in polemica con Vicente Huidobro, che
accusa di aver copiato le idee creazioniste dallo scrittore uruguayano Julio
Herrera Reissig.
La sua attività di critico e teorico prosegue instancabile, anche dopo la guerra,
fuori dalla Spagna. Vive a lungo in Argentina, dove sposa Norah Borges, sorella
di Jorge Luis, e dove svolge un’intensa attività come docente ed editore culturale.
496 novecentismo e avanguardia

Muore a Buenos Aires, quasi completamente cieco. Tra le sue ultime opere:
Minorías y masas en la cultura y el arte contemporáneo (1963), Al pie de las
letras (1967), La metamorfosis de Proteo (1967).

Vicente Huidobro (1893-1948) rampollo di una ricca famiglia di Santiago del


Cile, esordisce con un’opera modernista, Ecos del alma en Santiago (1911), per
poi dirigere la rivista Musa Joven, in cui pubblica Canciones en la Noche e
Triángulo armónico. È la prima di una lunga serie di riviste, cui seguono i tre
numeri di Azul e le raccolte poetiche La Gruta del Silencio y Canciones en La
Noche. Nel 1916 firma per la prima volta col suo nome Las Pagodas Ocultas
(1916). Nello stesso anno è a Parigi, dove pubblica Adán (1916). Qui conosce i
maggiori esponenti dell’avanguardia, tra cui Apollinaire, Tzara, Cocteau, Breton,
Aragón, Jacob, Picasso, Gris, Picabia, Miró, Ernst, Eluard... Pubblica Horizon
Carré (1917). Nel ’18 è a Madrid, dove frequenta Rafael Cansinos Assens,
Guillermo de Torre, Ramón Gómez de la Serna, e partecipa alla nascita del
movimento ultraista. Nel 1920 scoppia la polemica sulla nascita del
creazionismo, quando Pierre Reverdy se ne attribuisce il merito, accusando
Huidobro di anticipare la pubblicazione di El Espejo de Agua (1916), in cui sono
pubblicati i primi versi creazionisti. L’avanguardia spagnola è solidale con
Huidobro, che nel ’21 pubblica il primo numero della rivista Creación, a Madrid.
Due anni dopo sarà Guillermo de Torre ad accusarlo di aver copiato il
creazionismo da Julio Herrera y Reissig.
Tornato in Cile, subisce un’aggressione per aver denunciato attività illegali di
uomini politici, e fonda alcune pubblicazioni di orientamento progressista, che gli
procurano lo scoppio di una bomba davanti alla porta di casa. Ciononostante
continua nella sua attività politica, aderisce al Partito Comunista, e torna in
Spagna prima della guerra civile. Allo scoppio della seconda guerra mondiale è
corrispondente di guerra a Parigi, ed entra a Berlino con le truppe alleate. Tra le
sue numerose opere e riviste, la più ambiziosa, a cui lavora per diversi anni, è
Altazor o el viaje en paracaídas, pubblicata nel 1931 e perfettamente aderente ai
dettami della poetica creazionista.
Il creazionismo usa il linguaggio per creare immagini slegate dalla realtà
oggettuale e consistenti in pura poesia, come si può vedere in questo breve
esempio tratto dalla poesia Ciudades:

(...) Soldados vestidos de nubes azules


El cielo envejece entre las manos
Y la canción en la trinchera
Los trenes se alejan por sobre cuerdas paralelas
Lloran en todas las estaciones
El primer muerto ha sido un poeta
Se vio escapar un pájaro de su herida
El aeroplano blanco de nieve
Gruñe entre las palomas del atardecer
Un día
se había perdido en el humo de los cigarros (...)
novecentismo e avanguardia 497

La generazione del 27

L’omaggio a Góngora, celebrato all'Università di Siviglia in occasione del


terzo centenario della morte del poeta, è l'evento che dà il nome alla generazione
del 27, i cui esponenti principali sono Rafael Alberti, Federico García Lorca,
Jorge Guillén, Dámaso Alonso, Gerardo Diego, Pedro Salinas, Vicente
Aleixandre, Luis Cernuda, Manuel Altolaguirre e Emilio Prados. Anche nel caso
della generazione del 27, come per quelle del 98 e del 14, si è discusso sia
sull'opportunità di usare il termine generazione, sia su quali ne fossero i
componenti effettivi. Noi abbiamo lasciato cadere l'idea di una generazione del
14, che ci sembra del tutto inesistente, e abbiamo limitato l'espressione
generazione del 98 al campo della storia delle idee, considerandola un concetto
privo di significato storico-letterario. Nel caso del 27 la situazione è diversa: sia
che si accetti come denominazione convenzionale "generazione del 27", sia che si
parli, come avviene spesso, di "gruppo poetico del 27", sta di fatto che ci
troviamo dinanzi a una vera e propria avanguardia letteraria, con un programma e
un progetto di scrittura. Più ancora, si tratta della prima avanguardia letteraria che
nasce in Spagna per una elaborazione originale di temi e idee estetiche, dopo una
serie di iniziative e di gruppi che avevano cercato di elaborare, in modo più o
meno originale, tendenze importate dall'Europa. Peraltro si tratta di un gruppo di
poeti che sono vincolati da una amicizia personale, che hanno luoghi comuni di
incontro (la Residencia de estudiantes a Madrid, o il Centro de Estudios
Históricos, dove erano in contatto con alcuni maestri del novecentismo, come
Américo Castro e Ramón Menéndez Pidal). La celebrazione del centenario di
Góngora, che a noi oggi può sembrare un atto piuttosto intellettuale e molto
erudito, era invece un'operazione di avanguardia molto polemica nei confronti
della cultura accademica, che aveva completamente screditato il poeta barocco
andaluso.
Le tendenze stilistiche dei vari poeti del 27 sono piuttosto eterogenee, e
tuttavia vi sono delle caratteristiche comuni facilmente evidenziabili. C'è la
tendenza all'equilibrio e alla sintesi tra poli contrapposti: ad esempio tra l'aspetto
intellettuale della costruzione del testo poetico e l'aspetto sentimentale
dell'espressione delle emozioni. Non si tratta di una poesia scritta di getto e
centrata sulla spontaneità, ma di una poesia che cerca una tecnica per esprimere le
proprie emozioni. D'altronde il momento tecnico è importante in quasi tutte le
avanguardie e non c'è gruppo o movimento che non affronti il problema teorico
della definizione di un'estetica o una poetica. Inoltre, per il gruppo del 27 la
poesia è un'esperienza che viene descritta con una terminologia quasi mistica (è
un'avventura verso l'assoluto, dice Pedro Salinas), ma al tempo stesso è anche
opera di sforzo e di un lungo lavoro sull'espressione, perché acquisti perfezione.
Autenticità e bellezza si fondono, così come si alternano espressioni difficili e
chiarezza, elementi colti e popolari. La generazione del 27 si ispira all'estetica
delle avanguardie, ma non disprezza la tradizione.
Qui però occorre fare una precisazione: la tradizione, come viene intesa dal
gruppo del 27, non è la passiva ricezione di un patrimonio culturale selezionato
da altri (non si tratta di una forma di tradizionalismo), ma è lo sforzo di
498 novecentismo e avanguardia

recuperare e reinterpretare un patrimonio culturale e artistico che in buona parte


si era perduto. Góngora, come si diceva, non era apprezzato dal mondo
accademico. Legandosi, per ragioni di continuità, al ricco universo simbolista, il
27 ammira Unamuno, i fratelli Machado, Rubén Darío, e anche gli autori che da
questi erano stati riscoperti: Bécquer, i poeti del rinascimento, la poesia popolare,
i testi medievali, il romancero, che venivano riproposti con nuove interpretazioni
da Menéndez Pidal e da Castro. Ciò che dunque si può dire è che la sintesi di
avanguardia e tradizione, caratteristica della poetica del 27, è un'operazione attiva
e complessa, non una mera somma, ed è possibile grazie a un'originale
interpretazione sia del variegato mondo delle avanguardie, sia del patrimonio
tradizionale. Ecco perché in entrambe le direzioni, riscoperta dei classici e
interesse per l'avanguardia, il 27 è riuscito ad essere innovativo e originale.
Lo strumento più importante di questa nuova poesia è la metafora, in parte
collegata all'elaborazione teorica di Ortega sull'arte disumanizzata: solo in parte,
perché il 27 non si spinge troppo avanti nella disumanizzazione e anzi cerca,
come si è detto, una tecnica per l'espressione dell'umano. In effetti, si parla di un
processo di riumanizzazione operato dalla generazione del 27 nel corso degli
anni, anche per l'influenza di due fattori molto eterogenei: da un lato la diffusione
del surrealismo, dall'altro la degenerazione sempre più grave della situazione
sociale in Spagna, che rende difficile continuare a credere in una poesia pura. Nel
1935, ad esempio, Neruda fonda a Madrid la rivista Caballo verde para la poesía,
in cui pubblica il Manifiesto por una poesía sin pureza.
La guerra civile del '36 provoca la dispersione del gruppo. Restano in Spagna
Alonso, Aleixandre, Diego, mentre gli altri si disperdono nell'esilio, camminando,
anche letterariamente, su strade diverse.

García Lorca

Federico García Lorca nasce a Fuentevaqueros, in provincia di Granada, nel


1898. Studia Legge a Granada, laureandosi nel 1923, ma dal '19 risiede
soprattutto a Madrid. Studia anche musica, con il compositore Manuel de Falla,
che lo annovera tra i suoi migliori allievi. A Madrid frequenta la Residencia de
Estudiantes, dove conosce Dalí, Buñuel, Guillén, Alberti, Alonso, Aleixandre,
Salinas e Diego. Con Manuel de Falla organizza un concorso, o fiesta, dedicato al
cante jondo, genere di canto flamenco, e nel '27 espone i suoi disegni. Nel 1929-
30 è in America, prima a New York poi a Cuba. Tornato in Spagna, riceve nel '32
dal Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica (proclamata nel '31)
l'incarico di organizzare un gruppo teatrale che porti i classici nei piccoli paesi e
contribuisca al rinnovamento culturale del Paese. Nasce così l'esperienza della
Barraca. Legato al campo progressista, benché poco esposto nella militanza
politica in senso stretto, allo scoppio della guerra Lorca si rifugia a Siviglia in
casa dei fratelli Rosales, amici di vecchia data, falangisti, da dove, all'insaputa di
questi, viene prelevato da una fazione oltranzista tradizionalista e fucilato nel
1936.
novecentismo e avanguardia 499

Dopo l'esordio con un libro di prose poetiche, Impresiones y paisajes del


1918, pubblica la sua prima raccolta di poesie, Libro de poemas (1921), con versi
molto giovanili e immaturi, cui fa seguito Canciones (1927), e l'anno dopo
Romancero gitano, un autentico capolavoro letterario in cui gli zingari diventano
protagonisti di una sorta di poema mitologico. All'universo gitano andaluso e alle
tradizioni del loro canto flamenco si ispira il Poema del cante jondo (1931), in cui
Lorca cerca di recuperare la voce dolente di una cultura antica, misteriosa, ma che
il poeta considera parte integrante del crogiolo spagnolo di razze e tradizioni. Tra
le successive raccolte, Llanto por ignacio Sánchez Mejías (1935), in occasione
della morte di un famoso toreador, Primeras canciones, (1936, ma contenente
testi del 1922), Diván del Tamarit (1936). Escono postume le raccolte Poeta en
Nueva York, 1940, Sonetos del amor obscuro, pubblicati in versione integrale
solo nel 1983.
Accanto a questa produzione poetica si colloca la scrittura teatrale lorchiana,
che ha un'importanza storico-letteraria pari, se non superiore, a quella dei versi:
El maleficio de la mariposa, 1919, Mariana Pineda, 1925, La zapatera
prodigiosa, 1930, Retablillo de don Cristóbal, 1931, Bodas de sangre, 1933,
Yerma, 1934, Doña Rosita la soltera, 1935, La casa de Bernarda Alba, 1936.
Escono postumi i drammi El público, e Comedia sin título, 1978.
La ricchezza e l'apparente facilità con cui Lorca inventa deliziose metafore
barocche non deve far dimenticare la tecnica e la maestria sottese al suo lavoro.
Ad esempio nel Poema del cante jondo costruisce sistematicamente la fusione di
tecnica e sentimento cui si alludeva più sopra. In Paisaje,

El campo
de olivos
se abre y se cierra
como un abanico.

L’immagine del lampo nella notte, che per un istante illumina l’oliveto, è resa
attraverso il gesto nervoso di un ventaglio che si apre, lascia intravedere il suo
disegno, e poi viene chiuso di scatto. Segue un’atmosfera notturna e piovosa, che
a ben vedere fa ricorso ad elementi naturali, come la pioggia, il cielo scuro, gli
uccelli, e tuttavia incarna un sentimento, una pena che non appartiene al
paesaggio, ma agli uomini:

Los olivos
están cargados
de gritos.
Una bandada
de pájaros cautivos,
que mueven sus larguísimas
colas en lo sombrío.

In questo contesto si inserisce il suono della chitarra nella siguiriya, un genere


del canto religioso gitano, che appare immediatamente come pianto:
500 novecentismo e avanguardia

Empieza el llanto
de la guitarra.
Se rompen las copas
de la madrugada.
Empieza el llanto
de la guitarra.
Es inútil callarla.
Es imposible
callarla.
(...)
¡Oh, guitarra!
Corazón malherido
por cinco espadas.

Il suono della chitarra, strumento fondamentale del flamenco, è esso stesso


pianto che non può tacere: lo stesso strumento è una vittima, ha il cuore ferito da
cinque spade (allusione alle dita che arpeggiano davanti all'apertura della cassa
armonica). Poi viene El grito, il lamento con cui il cantaor inizia il canto, che
Lorca rende quasi con una rappresentazione grafica, come una linea curva, un
arcobaleno nero nella notte azzurra, che rimbalza da un monte all’altro:

La elipse de un grito,
va de monte
a monte.
Desde los olivos,
será un arco iris negro
sobre la noche azul.
¡Ay! (...)

E quindi il silenzio. La siguiriya accompagna una processione: viene descritta


la statua portata a braccia, la Madonna con i simboli tipici della devozione
popolare, il pugnale e il cuore d’argento: è una muchacha morena, seguita da un
serpente di nebbia (allusione al corteo della processione illuminato nella notte dai
ceri accesi), è una statua portata a braccia, incatenata al ritmo delle oscillazioni,
dei portatori coperti di nero:

Entre mariposas negras,


va una muchacha morena
junto a una blanca serpiente
de niebla.
Tierra de luz,
cielo de tierra.
Va encadenada al temblor
de un ritmo que nunca llega,
tiene el corazón de plata
y un puñal en la diestra.
¿A dónde vas, siguiriya,
con un ritmo sin cabeza?
¿Qué luna recogerá
tu dolor de cal y adelfa?
novecentismo e avanguardia 501

Tierra de 1uz,
cielo de tierra.

Lorca evoca il cante jondo e il tema gitano senza fare del folclorismo e senza
perdersi nel pittoresco. Al contrario, vede in questa antica forma d'arte la
presenza di una cultura vecchia e misteriosa che rivendica i suoi diritti. In una
conferenza dedicata appunto al Cante jondo, primitivo canto andaluz, scrive:

Il cante jondo si avvicina al cinguettio dell'uccello, al canto del gallo


ed alle musiche naturali del bosco e della fonte. È, perciò, un rarissimo
esemplare di canto primitivo, il più vecchio di tutta Europa, che porta
nelle sue note la nuda e vibrante (brivido) emozione delle primitive razze
orientali. (...) La siguiriya gitana incomincia con un grido terribile, un
grido che divide il paesaggio in due emisferi ideali. È il grido delle
generazioni morte, l'acuta elegia dei secoli scomparsi, è la patetica
evocazione dell'amore sotto altre lune e altri venti. Dopo, la frase
melodica incomincia ad aprire il mistero dei toni e a tirar fuori la pietra
preziosa del singhiozzo, lacrima sonora sopra il fiume della voce. Però
nessun andaluso può resistere all'emozione del brivido quando ascolta
questo grido, né alcun canto regionale gli si può paragonare per quanto
riguarda la grandezza poetica, e poche volte, a contarsi sulle dita di una
mano, arriva lo spirito umano a riuscire a plasmare opere con tanta
naturalezza.

Lorca ha protestato contro chi lo considerava una sorta di poeta del folclore,
dichiarando che per lui il tema gitano era un tema letterario e niente di più.
Naturalmente si può aggiungere: niente di meno. Un tema letterario significa
ricostruire in forma moderna una vera e propria mitologia centrata sulla figura di
un emarginato molto particolare: non un bohemien o un disadattato individuale,
ma un intero popolo, una cultura completa, coi suoi pregi e i suoi difetti, una
tradizione, insomma, che merita pieno diritto di cittadinanza dentro l'idea di
Spagna.
Con Poeta en Nueva York Lorca traduce letterariamente l'impressione violenta
ricevuta dalla vita americana, dal suo ritmo disumano, dal capitalismo nichilista,
dalla violenza delle differenze sociali, ed esprime tutto questo attraverso una
poesia surrealista, come se nessun altro linguaggio fosse adeguato a una realtà
che in sé gli sembra surreale, e ancora una volta simpatizza con le culture
emarginate, con le tradizioni culturali che conservano la dignità della persona,
come quella dei neri americani o il mondo più solare dell'america latina.
Altrettanto importante, come si diceva, sono le opere teatrali, nelle quali
Lorca dimostra una straordinaria maturità di scrittore e una grande capacità di
innovazione. Il poeta considera il teatro uno strumento fondamentale per la
crescita di un paese, “una tribuna libera che può mettere in evidenza morali
vecchie o equivocate e spiegare con esempi vivi le norme eterne del cuore e del
sentimento umano”: si può vedere in questo programma non solo l’aspirazione a
un teatro di qualità, libero dai condizionamenti della censura e dalla volgarità
commerciale, ma anche la ragione delle opere più importanti di Lorca stesso.
502 novecentismo e avanguardia

Inizialmente scrive opere moderniste, El maleficio de la mariposa (1920) e


Mariana Pineda (1927), e alcune farse: Tragicomedia de don Cristóbal,
Retablillo de don Cristóbal, e La zapatera prodigiosa. Nel 1933 scrive Bodas de
sangre, poi Yerma, nel 1934, Doña Rosita la soltera, nel 1935, La casa de
Bernarda Alba, nel 1936. In questi testi, che rappresentano il meglio della sua
produzione teatrale, le protagoniste sono appunto vittime di morali ormai
sclerotizzate, di sensi dell’onore privi di significato e rimasti nell’uso e nelle
mentalità per una sorta di inerzia causata dall’ignoranza, da una cattiva
educazione, da una crisi irreversibile del sistema tradizionale e patriarcale, che
tuttavia ha forza sufficiente a schiacciare la singola persona che voglia sottrarsi
ad esso.
Le grandi eroine del teatro lorchiano non riescono a realizzare la propria
vocazione, vuoi perché vanno a cozzare contro la mentalità diffusa e un contesto
sociale arcaico, conservato per forza d'inerzia, ma ormai privo di significato, vuoi
perché è proprio tale contesto a richiedere alla donna un ruolo (ad esempio la
maternità) senza il quale essa non esisterebbe come persona, non verrebbe
accettata dalla comunità. In Bodas de sangre, Yerma, o La casa de Bernarda Alba
Lorca descrive il fallimento di una tradizione e di un sistema patriarcale
primitivo, che tuttavia godeva del sostegno ideologico della chiesa e delle forze
più conservatrici della politica spagnola.

Jorge Guillén

Jorge Guillén (1893-1984), poeta e cattedratico, dopo la guerra va in esilio


negli Stati Uniti, trasferendosi poi in Italia una volta andato in pensione. Torna in
Spagna nel 1977. Inizia a pubblicare poesie relativamente tardi, con Cántico, la
cui prima edizione compare nella Revista de Occidente nel 1923 e consta di 75
poesie. L’opera viene ripubblicata e ampliata in varie occasioni, fino alla stesura
finale del 1950, che contiene 334 poesie raggruppate in cinque parti. Vi è
racchiusa la produzione di Guillén dedicata alla poesia pura.
Temi fondamentali di quest’opera sono la gioia di vivere, l’armonia cosmica,
la pienezza dell’esistenza e la piena comunicazione con la donna amata e la
natura circostante. Si tratta di cantare un mondo che “è fatto bene” e dove ogni
cosa non solo ha i suoi limiti, ma ha bisogno di averli per poter esistere; il poeta
stupisce per questa perfezione che suscita l’emozione lirica e la gioia di esistere:

Ser, nada más. Y basta.


Es la absoluta dicha.

Temi molto diversi si trovano invece nel suo libro successivo, Clamor, scritto
dopo l’esperienza della guerra civile. Qui il poeta abbandona l’universo
immaginario e prende contatto con le contraddizioni della storia e della vita reale:
la guerra, la morte, la sofferenza, che ostacolano il desiderio di vivere.
novecentismo e avanguardia 503

Nel 1967 pubblica Homenaje, che contiene omaggi letterari. Seguono Y otros
poemas (1973) e Final (1982). Guillén cerca una poesia essenziale, eliminando
tutto ciò che è aneddotico, narrativo, prosaico, ed elabora un linguaggio
personale, volto a comprendere attraverso l’arte l’unità del reale: del mondo
visibile dell’esperienza e del mondo invisibile della metafisica.

Luis Cernuda

Luis Cernuda (1902-1963), sivigliano, considerato generalmente un


disadattato per la sua omosessualità, nonostante non faccia nulla per nasconderla
ed anzi la assuma come sua condizione: la introduce infatti nelle sue poesie già
nei primi libri e, rispetto alla mentalità del tempo, bastava questo a creargli
l’etichetta di ribelle ed emarginato. Nel ’36 pubblica la raccolta delle poesie edite
fino ad allora, La realidad y el deseo, un’espressione sincera del suo mondo
interiore, ma stilisticamente molto raffinata e non semplice. Si schiera a sostegno
della Repubblica e va in esilio prima in Inghilterra, poi negli Stati Uniti, infine in
Messico, dove muore.
Le prime poesie giovanili lo mostrano come un perfetto dandy, poeta
contemplativo e molto elegante, ma ben presto aderisce al surrealismo con Un
río, un amor e Los placeres prohibidos, risalenti agli anni tra il 1929 e il 1931. Il
tema dominante è la ribellione e la difesa della sua personalità contro la cultura
oppressiva vigente. Torna poi a un’atmosfera neoromantica con Donde habite el
olvido (1934) e Invocaciones, dello stesso anno.
Dopo la guerra civile, la sua poesia matura raggiunge livelli altissimi con Las
nubes (1940 e 1943) e Como quien espera el alba (1947). Scrive anche un’opera
in prosa, Ocnos, legata al tema del paradiso terrestre perduto.
Nella sua ultima fase, in Messico, la sua poesia evolve verso una scrittura
asciutta e disadorna, in cui assume il primo piano il concetto: Poemas para un
cuerpo (1957) e Desolación de la Quimera (1962).
Cernuda è autore anche di importanti saggi di critica letteraria e di un’opera
teatrale: La familia interrumpida.
La poetica di Cernuda cerca l’equilibrio tra il rispetto delle forme tradizionali
e l’innovazione originale. Nel patrimonio tradizionale assegna grande importanza
al romanticismo, particolarmente a Bécquer: il poeta è un solitario che vede ed
esprime ciò che agli altri sfugge. Questo lo rende un eletto ma ciò non
necessariamente diventare un uomo felice, anzi la sua differenza, grazie alla quale
il poeta penetra con lo sguardo nel mistero e nella bellezza, fa di lui un
emarginato dalla società e lo rende maledetto, lo costringe a vivere costantemente
in un conflitto tra la realtà sociale, con i suoi pregiudizi dominanti, e il modo in
cui il poeta aspira a vivere. Solo in parte collegabile alla condizione omosessuale,
il conflitto tra realtà e desiderio rappresenta il tema di fondo della poesia di
Cernuda: oltre alla sua condizione esistenziale, il poeta ha una profonda
formazione culturale legata al simbolismo, alla rivendicazione della libertà
personale contro l’ordine borghese, al carattere quasi mistico della poesia, che
504 novecentismo e avanguardia

apre un cammino di conoscenza, ma non lo apre a tutti. Il conflitto con il mondo


borghese conduce Cernuda a cercare alternative nel ricordo dell’infanzia o nel
mito del paradiso perduto, come luogo ideale in cui si racchiude la bellezza.
Altri temi cari al poeta sono l’amore, sia nella sua versione dolorosa sia in
quella felice, lo scorrere del tempo, la natura, considerata come un paradiso
vergine, opposto al mondo sociale borghese, segnato dal caos.

Pedro Salinas

Pedro Salinas Serrano (1891-1951), poeta e docente universitario, traduttore


di Proust in spagnolo, è considerato da molti il miglior poeta del gruppo del ’27.
Raffinato e originale poeta d’amore, ha dedicato tre meravigliose raccolte a
Katherine Whitmore: La voz a ti debida, Razón de amor e Largo lamento. Si
trattava di una relazione movimentata: Salinas era sposato quando conobbe
Katherine, studentessa e poi docente di letteratura, e sua moglie ne rimase scossa
al punto di tentare il suicidio. Katharine cercò di porre fine alla relazione, che
continuò, complice anche l’esilio americano di Salinas, fino al 1949, e che è
testimoniata anche da un epistolario di circa trecento lettere scritte dal poeta.
Salinas considera la poesia come un tentativo più o meno riuscito di
avvicinarsi all’assoluto. Nella costruzione dei suoi versi ricerca l’autenticità, la
bellezza e l’ingegnosità. Salinas è forse il poeta del 27 che meglio riesce a
compaginare il sentimento con la dimensione intellettuale, giungendo ad esiti
sorprendenti ed estremamente innovatori. Le sue raccolte iniziali, come Presagios
(1923), Seguro azar (1929) e Fábula y signo (1931), sono legate a Juan Ramón
Jiménez, alla poesia pura e alle esperienze dell’avanguardia, che influenza anche
la sua opera in prosa Vísperas del gozo (1926). Vi si nota tuttavia la progressiva
accentuazione di una componente intellettuale e un’originale ricerca delle
immagini, prese a volte dal cinema, che descrivono la realtà da punti di vista
inusuali e sorprendenti. Più mature le tre raccolte di poesia amorosa citate: La voz
a ti debida (1933) racconta la storia della passione amorosa dall’inizio al suo
esaurimento; Razón de amor (1936) e Largo lamento (1939) ricordano l’amore
passato e analizzano ciò che ne resta. Altre raccolte di poesia sono Todo más
claro y otros poemas (1949), Volverse sombra y otros poemas (1957).
Successivamente Salinas torna alla narrativa con il romanzo La bomba
increíble (1950), e El desnudo impecable y otras narraciones (1951). Come
docente universitario ha realizzato importanti studi di critica letteraria, divenuti
classici, come Literatura española. Siglo XX (1940), Jorge Manrique o tradición
y originalidad (1947), La poesía de Rubén Darío (1948).

Rafael Alberti

Rafael Alberti Merello (1902-1999) è un poeta andaluso, profondamente


legato alla sua terra, da cui trae l’ispirazione per le sue prime raccolte, Marinero
novecentismo e avanguardia 505

en tierra, La amante (1926) e El alba del alhelí (1927). In queste opere riesce a
sintetizzare l’estetica dell’avanguardia, soprattutto per quanto riguarda la
costruzione dell’immagine, con lo spirito più autentico della poesia popolare e dei
canzonieri del medioevo e del rinascimento. La raccolta successiva, Cal y canto
(risalente al 1926-1927) si muove nella scia della poesia gongorina e mostra
l’evoluzione verso una poesia dai toni meno luminosi e solari. Questa tendenza
prende il sopravvento in Sobre los ángeles (risalente al 1927-1928), che adotta
un’estetica surrealista come strumento per esprimere una profonda crisi personale
del poeta. Le immagini si fanno più dense e il classicismo delle opere precedenti
cede il posto a un mondo onirico e cupo. Questa atmosfera si ritrova anche nella
raccolta successiva, Sermones y moradas, risalente al 1929-1930, e infine si
stempera nell’umorismo sarcastico e surreale di Yo era un tonto y lo que he visto
me ha hecho dos tontos (1929).
Successivamente la poesia di Alberti adotta toni più politici, a partire da Con
los zapatos puestos tengo que morir (1930). Questa tendenza si rafforza con
l’avvento della Repubblica, l’anno successivo, e con il progressivo deteriorarsi
della situazione: Consignas (1933), Un fantasma recorre Europa (1933), 13
bandas y 48 estrellas (1936), Nuestra diaria palabra (1936) e De un momento a
otro (1937), testi che costituiscono un ciclo raccolto da Alberti sotto il titolo
generale di El poeta en la calle (1938). In questo ciclo Alberti si mette
completamente al servizio della causa repubblicana e partecipa alla guerra in
prima persona.
Recatosi in esilio dopo la fine della guerra, continua a scrivere poesie di tema
politico e civile - Entre el clavel y la espada (1941) - ma si apre anche ad altri
temi, recuperando lo stile neopopolare delle origini, la nostalgia, l’amore:
Retornos de lo vivo lejano (1952), Oda marítima (1953), Abierto a todas horas
(1964), Roma, peligro para caminantes (1968), Canciones para Altair (1988).
Alberti ha scritto anche vari testi teatrali: El hombre deshabitado (1930),
Fermín Galán (1931), De un momento a otro (1938-39), El trébol florido (1940),
El adefesio (1944), La Gallarda (1944-45) e Noche de guerra en el Museo del
Prado (1956).

Vicente Aleixandre

Vicente Pío Marcelino Cirilo Aleixandre y Merlo (1898-1984) poeta premio


Nobel per la letteratura nel 1977, inizia a pubblicare poesie nella Revista de
Occidente, nel 1926. Di salute malferma, dopo la guerra civile resta in Spagna,
pur avendo idee di sinistra. I suoi primi versi, raccolti in Ámbito, 1928, sono
legati all’estetica della poesia pura e risentono della lezione di Juan Ramón
Jiménez. Segue una fase influenzata dal surrealismo, nella quale Aleixandre
preferisce scrivere prose poetiche e versi liberi: Pasión de la Tierra, Espadas
como labios (1932), La destrucción o el amor, Sombra del Paraíso. Tema
dominante è l’amore, inteso come forza capace di sovvertire le regole e la
razionalizzazione borghese della vita sociale.
506 novecentismo e avanguardia

L’esperienza della guerra si riflette nei suoi versi: compaiono temi sociali e la
compassione per la sofferenza umana, espressa in uno stile più accessibile:
Historia del corazón e En un vasto dominio. Solo col tempo, rimarginate le ferite
morali, la sua poesia torna all’irrazionalismo giovanile, esaltato di contro alla
vecchiaia incipiente: Poemas de la consumación, Sonido de la guerra e Diálogos
del conocimiento.

Dámaso Alonso

Dámaso Alonso y Fernández de las Redondas (1898-1990), eccellente


filologo, oltre che poeta del gruppo del 27, ha studiato a fondo Góngora e ha
realizzato un’edizione modello delle sue Soledades, pubblicata proprio nel 1927.
Come poeta inizia con versi di poesia pura, ispirati a Juan Ramón: Poemas puros,
poemillas de la ciudad (1921). Dopo la guerra civile resta in Spagna, in una sorta
di esilio interiore, e pubblica Hijos de la ira (1944), pessimistica visione
dell’esistenza umana, espressa con un linguaggio spesso violento, adeguato alla
dimensione grottesca del mondo, che Alonso vuole denunciare. In questa desolata
visione della vita contemporanea Alonso inserisce una sua personale dimensione
religiosa, che alimenta le raccolte successive, Hombre y Dios (1955) e Oscura
noticia (1959), titolo tratto da San Juan de la Cruz, e Duda y amor sobre el Ser
Supremo (1985). Con queste opere Alonso inaugura all'interno della Spagna una
nuova stagione poetica. Dopo la guerra, infatti, si era diffuso un neoclassicismo
che si ricollegava alla poesia dell'incolpevole Garcilaso de la Vega, e che
esprimeva valori solidali con il regime vigente. Con Hijos de la ira una voce
diversa rompe il monologo conformista ed esprime uno sradicamento, una
disidentificazione dall'imposta normalità e una ricerca di senso, al di là dei
rassicuranti messaggi ideologici, con un linguaggio poetico autentico e
appassionato, che diventa un modello per le prime generazioni di poeti del
dopoguerra.

Ernesto Giménez Caballero

Ernesto Giménez Caballero (1899-1988), scrittore e militante politico di


estrema destra, figura di grande importanza nell’ambito dell’avanguardia, fonda
una delle maggiori riviste letterarie del tempo, La gaceta literaria, da dove
introduce in Spagna alcuni temi del fascismo italiano, visto come un movimento
di difesa della civiltà occidentale. Il fascismo è interpretato come una terza
possibilità, contro il capitalismo e il materialismo marxista, in chiave
rivoluzionaria, secondo una lettura che affascina negli Anni Trenta molti scrittori
europei di primo piano. Nel tempo l’istanza fascista rivoluzionaria cede il passo a
una sorta di nazionalismo cattolico, che fa da sostrato ideologico ad opere come
novecentismo e avanguardia 507

Genio de España (1932) o La nueva catolicidad (1933). Aderisce coerentemente


al regime franchista, dal quale però si allontana dopo la guerra, isolandosi.

Gerardo Diego

Gerardo Diego Cendoya (1896-1987) avanguardista del gruppo ultraista e poi


della generazione del 27, direttore di due importanti riviste del gruppo: Lola e
Carmen, cura l’antologia che per la prima volta fa conoscere il gruppo al grande
pubblico: Antología poética en honor a Góngora, e Poesía española
contemporánea 1915-31. Di orientamento nazionalista, resta in Spagna dopo la
guerra civile.
Diego alterna senza problemi componimenti in stile tradizionale e poesie
d’avanguardia, mantenendo in parallelo queste due linee di ispirazione. Nelle
prime raccolte, Iniciales (1918), El romancero de la novia (1918) e Soria (1923),
si sente l'influenza di Juan Ramón Jiménez, mentre all’avanguardia appartengono
Manual de espumas (1924) e Fábula de Equis y Zeda (1932). Alla poesia
tradizionale appartengono i versi di Alondra de verdad (1941).

León Felipe

Felipe Camino Galicia de la Rosa (1884-1968), di famiglia benestante, inizia


una vita antiborghese e precaria che lo porta lontano dalla Spagna. Rientra allo
scoppio della guerra civile e si arruola nell’esercito repubblicano, esiliandosi alla
fine del conflitto. In Messico dirige la rivista Cuadernos americanos, importante
voce degli scrittori spagnoli in esilio.
La poesia di León Felipe è un’espressione forte della protesta contro la
violenza e il dramma dell’uomo moderno. Versos y oraciones de caminante
(1920) introduce nella poetica modernista un linguaggio apparentemente dimesso
e colloquiale, volutamente diretto a portare nel verso i ritmi della lingua parlata,
con risultati sorprendentemente felici. Nella seconda parte di Versos y oraciones
de caminante, pubblicata nel 1930 a New York, il poeta si erge a coscienza critica
del mondo, denunciando il consumismo, l’ingiustizia sociale, l’angoscia
esistenziale. La critica del modello di vita statunitense viene riproposta nel libro
successivo, Drop a star, del 1933.
L’esperienza della guerra spagnola rafforza la sua tendenza a dare un valore
civile e di denuncia alla voce del poeta, con le raccolte La insignia (1937), El
payaso de las bofetadas y el pescador de caña (1938), El hacha e Español del
éxodo y del llanto (1939), opera giustamente famosa in cui la parola del poeta
assume accenti profetici e diventa canto liberatorio dalla miseria e
dall’oppressione. Questa dimensione religiosa diventa centrale nell'ultima parte
della sua vita, in Llamadme publicano (1950) e in El ciervo y otro poemas
(1958).
508 novecentismo e avanguardia

Miguel Hernández

Miguel Hernández Gilabert (1910-1942), poeta e drammaturgo, esordisce con


Perito en lunas (1933), in stile molto barocco. Collabora assiduamente con la
Revista de Occidente ed ha una relazione con la pittrice Maruja Mallo,
avanguardista e tra le prime a introdurre il surrealismo in Spagna. La sua poesia
comunque è poco influenzata dal surrealismo e si apre a temi sociali e di impegno
politico. Allo scoppio della guerra civile si arruola nell’esercito repubblicano, e
raccoglie le opere che scrive in questi anni in El hombre acecha (1937), libro di
disperazione, dove il dramma personale e il dramma epocale della Spagna si
fondono. Al primo figlio, che nasce nel 1938 ma muore pochi mesi dopo, dedica
Hijo de la luz y de la sombra e varie poesie raccolte nel Cancionero y romancero
de ausencias. Cancionero y romancero de ausencias è ancora una volta la voce
del dolore per la guerra perduta, per la morte del primogenito, per l’isolamento e
la separazione dalla sua famiglia, ma con un linguaggio che diventa
estremamente essenziale.
Terminata la guerra, mentre El hombre acecha è ancora in bozze, una
commissione di censura presieduta Joaquín de Entrambasaguas ne ordina la
distruzione completa, dalla quale si salvano due esemplari: grazie ad essi è stata
possibile la pubblicazione dell’opera negli Anni Ottanta. Hernández, ricercato
dalle forze franchiste, cerca riparo in Portogallo, ma qui la polizia del dittatore
Salazar lo arresta consegnandolo poi alle milizie. Viene liberato
sorprendentemente, e si reca nel suo paese, dove, altrettanto rapidamente, viene di
nuovo arrestato, processato e condannato a morte: morirà tuttavia di tubercolosi a
31 anni di età, prima che la sentenza sia eseguita.

José María Hinojosa Lasarte (1904-1936), poeta andaluso inizialmente


influenzato da Juan Ramón, poi attratto dall’avanguardia, entra in contatto con il
gruppo del ’27 attivo nella Residencia de estudiantes, e con alcuni intellettuali del
novecentismo. L’influenza dell’ultraismo e del creazionismo è presente in La
rosa de los vientos (1927), mentre segue un’estetica surrealista La flor de
Californía (1928) e La sangre en libertad, (1931). Dopo quest'opera abbandona
la letteratura, dedicandosi a un’intensa attività politica di segno conservatore.
Arrestato dalle autorità repubblicane, la prigione in cui è rinchiuso viene assaltata
da miliziani anarchici che fucilano per rappresaglia una cinquantina di prigionieri,
tra cui il poeta, suo fratello e suo padre.

Manuel Altolaguirre (1905-1959), poeta e regista cinematografico, è


considerato la voce più intimista della generazione del 27. Tra le sue opere: Las
islas invitadas (1926, poesia pura e influenza gongorina), Poemas del agua
(1927), Soledades juntas (1931), La lenta libertad (1936), Nube temporal (1939),
Fin de un amor (1949) y Poemas en América (1955).
novecentismo e avanguardia 509

Enrique Jardiel Poncela (1901-1952), autore di successo sia in teatro (Tres


comedias con un solo ensayo) sia nei romanzi, scrive Amor se escribe sin hache
(1929), Espérame en Siberia, vida mía (1929), ¿Pero hubo alguna vez once mil
vírgenes? (1930) o La tournée de Dios (1932). Contattato dalla Fox, si trasferisce
negli Stati Uniti per curare la versione cinematografica di opere spagnole. Nel
1934 debutta in teatro Angelina o el honor de un brigadier, poi intitolata
Angelina o un drama en 1880, che viene anche trasposta in versione
cinematografica. Seguono: Un adulterio decente, Las cinco advertencias de
Satanás e Morirse es un error. Negli Anni Quaranta ha un enorme successo nel
teatro spagnolo con Eloísa está debajo de un almendro, considerata tra le sue
migliori opere e realizzata anche in versione cinematografica, El amor sólo dura
2000 metros, Los ladrones somos gente honrada, Es peligroso asomarse al
exterior, Los habitantes de la casa deshabitada, Las siete vidas del gato.
Caratteristica del teatro di Jardiel Poncela è l’umorismo, basato sia su
situazioni paradossali sia su battute intellettuali, sull’ironia e sul grottesco.

Miguel Mihura Santos (1905-1977) autore di teatro, scrive nel 1932 Tres
sombreros de copa, considerata oggi un capolavoro del teatro comico spagnolo.
Interessato ai temi della libertà e dell’anticonformismo - ¡Sublime decisión!
(1955), Mi adorado don Juan (1956) y La bella Dorotea (1963) - Mihura è autore
di testi che ancora oggi vengono rappresentati, come El caso de la señora
estupenda (1953), A media luz los tres, Ni pobre ni rico, sino todo lo contrario
(1943), A media luz los tres (1953), Melocotón en almíbar (1958), Maribel y la
extraña familia (1959), La bella Dorotea (1963), Ninette y un señor de Murcia
(1964) e La decente (1968).
Dal dopoguerra all’attualità

La poesia del dopoguerra spagnolo, a parte le opere pubblicate dagli scrittori


precedenti, che continuano ovviamente a scrivere e ad evolvere, risente del clima
letterariamente smorto, caratteristico del regime franchista. Ne è un esempio il
garcilasismo, corrente poetica che prende Garcilaso come modello di una poesia
classicista e molto votata all'esaltazione dei valori reazionari del regime. La
svolta si ha con Hijos de la ira (1944), di Dámaso Alonso: rivendicazione di una
poesia informale e libera, che alla retorica clericale e militare esprime il dubbio,
la ricerca conflittuale di Dio, il senso del dolore. Contemporaneamente
sopravvive una produzione modernista o surrealista.
Negli Anni Cinquanta si diffonde una poesia di ispirazione sociale,
marcatamente realista e politicamente impegnata a trasformare il mondo. Ne sono
alfieri Gabriel Celaya, Carlos Bousoño, José Hierro e Ángel González.
Successivamente, nel 1970, Castellet pubblica l'antologia Nueve novísimos
poetas españoles, con la quale viene fatto conoscere un gruppo di autori il cui
discorso innovatore caratterizza gli Anni Settanta, con un'apertura alla
contemporanea letteratura europea, statunitense e ispano-americana.
Anche nella narrativa si ha una produzione appiattita sull'estetica del regime,
poi seguita dalla diffusione del romanzo sociale e di un realismo, rinnovato al
contatto con le esperienze del romanzo americano e del cinema e della letteratura
neorealista italiana. In questa tendenza si possono includere alcune grandi opere
del secolo: La familia de Pascual Duarte di Cela (1942), Javier Mariño (1943) di
Torrente Ballester, Nada (1945) di Carmen Laforet, o i primi romanzi di Miguel
Delibes.
Una svolta si ha nel 1962 con Tiempo de silencio di Luis Martín Santos che,
lasciando sullo sfondo il tema sociale e le formule del romanzo a tesi, riporta
l'accento sulla tecnica della scrittura. Negli Anni Sessanta, l'influenza delle
contestazioni giovanili, del nouveau roman, e la diffusione del romanzo ispano-
americano, insieme ad un allargamento delle maglie della censura spagnola,
favoriscono un notevole rinnovamento della narrativa e l'inizio di una fase
sperimentale, di cui si possono indicare come esempio Don Juan, di Torrente
Ballester; El roedor de Fortimbrás, di Gonzalo Suárez; Señas de identidad, di
Juan Goytisolo, Volverás a Región, di Juan Benet; El mercurio, di José María
Guelbenzu, Tentativas (1946), di Gabriel Celaya, Alfanhui (1951), de Rafael
Sánchez Ferlosio. Negli anni più vicini alla morte di Franco, questa tendenza
sembra rafforzarsi con opere come Una meditación (1970) e Un viaje de invierno
(1972) di Juan Benet, Reivindicación del Conde don Julián (1970) di Juan
Goytisolo, La saga/fuga de J. B. (1972) di Torrente Ballester, El gran momento
de Mary Tribune (1972) di Juan García Hortelano o Si te dicen que caí (1973), di
Juan Marsé.
dopoguerra e attualità 511

Poesia della posguerra:


Dionisio Ridruejo

Dionisio Ridruejo (1912-1975), poeta e uomo politico spagnolo di estrema


destra, è stato fondatore con Pedro Laín Entralgo della rivista falangista Escorial.
Volontario sul fronte russo accanto alle truppe tedesche, durante la seconda
guerra mondiale, al rientro in Spagna entra in profondo dissenso con il regime di
Franco, che vede trasformato in un conservatore clericale e un traditore degli
ideali rivoluzionari della Falange Spagnola, di ispirazione fascista. Abbandona
ogni incarico nel 1942 e deve subire il confino. Gode poi di una relativa libertà,
ma nel 1956 è incarcerato per aver partecipato a manifestazioni di opposizione
insieme a militanti di sinistra; viene di nuovo incarcerato l’anno successivo per
aver fondato il movimento politico Acción Democrática, e successivamente è
costretto all’esilio per le sue attività di oppositore di ispirazione
socialdemocratica. Tra le sue raccolte: Elegías (1943-1945), En once años,
Poesías completas de juventud (1935-1945), Hasta la fecha (Poesías Completas).

Emilio Prados

Emilio Prados (1899-1962), poeta andaluso, frequenta la Residencia de


Estudiantes e conosce il gruppo del 27, di cui sarà spesso editore con la sua casa
editrice Sur. Mosso da sincere preoccupazioni sociali, si avvicina alla sinistra ed è
costretto all’esilio nel 1939.
Nelle sue prime composizioni attinge a una duplice fonte di ispirazione, quella
avanguardista e surrealista e quella tradizionale arabo-andalusa, caratteristica di
molti altri poeti di Malaga e dell’Andalusia. In questa fase, tra il 1925 e il 1928,
pubblica Tiempo, Veinte poemas en verso (1925), Seis estampas para un
rompecabezas (1925), Canciones del farero (1926), Vuelta (1927), El misterio
del agua. Successivamente la sua poesia si centra su tematiche sociali, adottando
un linguaggio surrealista: Andando, andando por el mundo, La tierra que no
alienta, Seis estancias, Llanto en la sangre, El llanto subterráneo (1936), Tres
cantos, Homenaje al poeta Federico García Lorca contra su muerte, Romancero
general de la guerra de España, Cancionero menor para los combatientes,
Destino fiel.
La sua poesia dell’esilio è triste, nostalgica, legata ai temi della solitudine e a
contenuti filosofici: Mínima muerte, Jardín cerrado, Memoria del olvido,
Penumbras, Río natural, Circuncisión del sueño, Signos del ser.

Gabriel Celaya

Rafael Gabriel Juan Múgica Celaya Leceta (1911-1991) autore legato


all’esistenzialismo, pubblica l’opera in prosa Tentativas (1946); negli anni
successivi si dedica soprattutto alla poesia sociale: Lo demás es silencio (1952) e
Cantos Íberos (1955), considerato come la vera bibbia della poesia sociale.
512 dopoguerra e attualitò

La sua poetica, che influenza molti scrittori di ispirazione sociale, consiste nel
trattare le occupazioni e i problemi quotidiani ed è opposta all'idea avanguardista
dell'arte disumanizzata: "Nada de lo humano debe quedar fuera de nuestra obra".
In questa ottica viene rifiutata la poesia pura, perché si considera la creazione
poetica come uno strumento, non come un fine, che contribuisce a trasformare il
mondo. Carattere sperimentale hanno le poesie di Campos semánticos (1971).

José Hierro

José Hierro del Real (1922-2002), poeta, incarcerato per cinque anni dopo la
guerra civile, con l’accusa di far parte di un’organizzazione di assistenza a
prigionieri politici, esce da questa esperienza con un senso di profondo
scoramento e sradicamento, evidente nei due libri che pubblica quasi
simultaneamente appena fuori di prigione: Tierra sin nosotros (1947) e Alegría
(1947). Successivamente mette in versi una storia d’amore dall’esito infelice, Con
las piedras, con el viento (1950), quindi si orienta verso una poesia antirealista
con Quinta del 42 (1953), Cuanto sé de mí (1957), e soprattutto Libro de las
alucinaciones (1964) in cui trionfa l’irrazionalismo insieme alla distruzione di
ogni relazione cronologica o spaziale tra gli oggetti. Tra le sue ultime opere,
Agenda (1991), Emblemas neurorradiológicos (1995) e Cuaderno de Nueva
York.

Ángel Crespo Pérez de Madrid, (1926-1995) molto attivo negli anni


Cinquanta e Sessanta, poi ritiratori a Puerto Rico. Pubblica nel 1971 una raccolta
di tutta la sua poesia precedente, En medio del camino, e successivamente i nuovi
libri El bosque transparente (1981), El ave en su aire (1985), Ocupación del
fuego (1991). Il suo stile è complesso e difficilmente inquadrabile in una
tendenza, anche se nel fondo di questa varietà ci sono sempre tecniche di
simbolizzazione della realtà.
Si occupa di mitologia e simbologia esoterica, seguendo una passione nata
durante le letture fatte quando era nascosto, ai tempi della guerra civile, e ha
grande interesse per le lingue minoritarie e la cultura italiana. Militante
comunista, in dissenso con il suo partito, del quale non condivide la stupida idea
di imporre sempre un'estetica realista, Crespo concepisce la poesia come un modo
di conoscere e ricercare, di penetrare nel sacro attraverso il ricorso a simboli
antichi, a miti, a significati esoterici, all'indagine sulla psiche.

Ángel González (1925) esordisce con un libro, Áspero mundo (1956),


apprezzato dalla critica; conferma le sue qualità di poeta nella sua seconda opera,
Sin esperanza, con convencimiento (1961), e con il terzo libro, Grado elemental
nel 1962, ottiene il Premio Antonio Machado, primo di una lunga serie di
riconoscimenti prestigiosi. Tra le altre opere: Palabra sobre palabra (1965),
Prosemas o menos (1984), Deixis en fantasma (1992), 101 + 19 = 120 poemas
(1999), Otoños y otras luces (2001).
dopoguerra e attualità 513

Blas de Otero (1916-1979) è uno dei più importanti autori di poesia sociale
negli Anni Cinquanta. Di formazione cattolica, la sua vita cambia a seguito di una
grave crisi esistenziale e depressiva, nella quale compone le prime opere che lo
rendono famoso: Ángel fieramente humano, Redoble de conciencia e Ancia,
anche se gli creano qualche ostilità negli ambienti cattolici. Dalla crisi esce con
una posizione esistenzialista, alla ricerca di un dialogo con Dio, che in realtà
finisce col rafforzare la sua solitudine. Contemporaneamente si apre a temi sociali
e aspira a sentirsi parte di una comunità, un “noi”. Insofferente per le condizioni
della Spagna, si trasferisce in Francia dove aderisce al Partito Comunista. Poeta
ormai famoso e considerato tra i maggiori del suo tempo, torna in Spagna e vive
di lavori umili, spostandosi da un paese all’altro della Castiglia. Da questa
esperienza nascono Pido la paz y la palabra (già iniziato a Parigi) e En
castellano, che la censura gli impedisce di pubblicare. Fuori dalla Spagna, sempre
per gli ostacoli della censura, pubblica Esto no es un libro (1963) e Que trata de
España (1964).

Carlos Bousoño Prieto (1923), studioso della letteratura simbolista e


visionaria (Teoría de la expresión poética, 1952, La poesía de Vicente
Aleixandre, 1950, El irracionalismo poético: El Símbolo, 1977 e Superrealismo
poético y simbolización 1978), pubblica la sua prima raccolta di poesie nel 1945
(Subida al Amor), caratterizzata dal tono esistenzialista tipico del dopoguerra
spagnolo. Nella seconda opera, Primavera de la muerte (1946), conferma la
visione esistenzialista, aggiungendo una certa nota mistica. Entrambi i testi sono
ripubblicati in un volume unico dal titolo Hacia otra luz (1950). Con Invasión de
la realidad, del 1962, inizia un recupero della realtà e la riscoperta di valori
positivi, legati a una religiosità non confessionale e a un vitalismo panteista che
pure ammette la speranza in una salvezza metafisica per l’uomo. Tra le sue opere
posteriori si segnalano: Oda en la ceniza (1967), Las monedas contra la losa
(1973), Metáfora del desafuero (1988) e El ojo de la aguja (1993).

Juan Eduardo Cirlot Laporta (1916-1973) musicista, studioso di simbologia e


di mitologia, pubblica nel 1954 El ojo en la mitología. Su simbolismo e un
famoso Diccionario de símbolos tradicionales. È autore di molte raccolte di
poesia di lettura non facile, a causa dell’ermetismo e della voluta oscurità del
linguaggio, tra cui: Canto de la Vida muerta (1946), Donde las lilas crecen
(1946), Cuarto canto de la vida muerta y otros fragmentos (1961), Regina
tenebrarum (1966), Bronwyn (1967), Cosmogonía (1969), Orfeo (1970), 44
sonetos de amor (1971), Variaciones fonovisuales (1996). Del 1969 è un libro di
aforismi, Del no mundo (1969). Escono postumi El mundo del objeto a la luz del
surrealismo (1953) e 88 sueños, trascrizione dei suoi sogni.
È autore anche di altri importanti saggi, come: Diccionario de los ismos
(1949), Ferias y atracciones (1950), El arte de Gaudí (1950), La pintura
abstracta (1951), El estilo del siglo XX (1952), Introducción al surrealismo
(1953), El espíritu abstracto desde la prehistoria a la Edad Media (1965).
514 dopoguerra e attualitò

Los Novísimos

Nel 1970 il critico José María Castellet pubblica un'antologia dei poeti più
innovativi degli anni precedenti, col titolo Nueve novísimos poetas españoles.
Con questa antologia nasce un gruppo poetico che annovera Manuel Vázquez
Montalbán, Antonio Martínez Sarrión, José María Álvarez, Félix de Azúa, Pere
Gimferrer, Vicente Molina Foix, Guillermo Carnero, Ana María Moix e
Leopoldo María Panero. La scrittura del gruppo mostra una completa libertà
formale, il ricorso a tecniche come il collage o la scrittura automatica,
l'introduzione di elementi esotici o artificiosi, l'attenzione ai mezzi di
comunicazione di massa e alla cultura pop: musica, cinema, fumetti, influenza di
Andy Warhol.
La formazione culturale dei novísimos si basa soprattutto su opere ed autori
stranieri come Ezra Pound, Eliot, Cafavis, i surrealisti francesi; il loro carattere
cosmopolita li porta a disinteressarsi di buona parte della tradizione letteraria
spagnola, con le eccezioni di Aleixandre, Cernuda e pochi altri, tra cui i poeti
maledetti come Octavio Paz, Oliverio Girondo, José Lezama Lima.

Leopoldo María Panero (1948), poeta maledetto, anarcoide e paranoico, fa


dell’avanguardia l’occasione di una provocazione continua e radicale, che non
esclude l’uso di sostanze stupefacenti, e che ha un carattere autodistruttivo. Tra le
sue raccolte: Por el camino de Swan (1968), Así se fundó Carnaby Street (1970),
Narciso en el acorde último de las flautas (1979), Last river together (1980), El
que no ve (1980), Dióscuros (1982), El último hombre (1983), Poemas del
manicomio de Mondragón (1987, frutto di una esperienza di internamento nel
manicomio), Orfebre (1994), El tarot del inconsciente anónimo (1997), Guarida
de un animal que no existe (1998).

Guillermo Carnero (1947), legato al gruppo poetico dei novísimos, affronta


temi come la crisi del razionalismo, il conflitto tra il poeta, il linguaggio e la
realtà. Tra le sue opere: Dibujo de la muerte (1967), Libro de horas (1967), Modo
y canciones del amor ficticio (1969), Barcelona, mon amour (1970) Ensayo de
una teoría de la visión (1979), Verano inglés (1999).

Il romanzo:
Camilo José Cela

Camilo José Cela Trulock, (1916-2002) è considerato uno dei maggiori


narratori del XX secolo e un grande rinnovatore del linguaggio e della tecnica.
Nella sua opera ricorre alla polifonia, al monologo interiore, all'uso di tecniche
surrealiste, iper-realiste, espressioniste. Nel 1942 pubblica La familia de Pascual
Duarte, romanzo di grande successo nel quale la vita del protagonista si rivela un
assurdo susseguirsi di disgrazie e crimini. Ancora legato all'esistenzialismo è il
dopoguerra e attualità 515

romanzo dell'anno successivo, Pabellón de reposo, dove si susseguono


monologhi di ammalati di tubercolosi. Ripropone una versione aggiornata della
picaresca in Nuevas andanzas y desventuras de Lazarillo de Tormes, del 1944,
mentre Viaje a la Alcarria, del 1948, torna a descrivere la vita del mondo rurale,
tuttavia senza i toni esagerati del Pascual Duarte.
Una svolta nella narrativa di Cela si ha negli Anni Cinquanta, a partire da La
colmena (1951), da molti considerata il suo capolavoro. L'opera viene pubblicata
a Buenos Aires perché la censura l'aveva proibita in Spagna a causa dei suoi passi
erotici. Il romanzo si muove nella linea del realismo sociale, senza gli eccessi di
tremendismo delle opere precedenti.
L'opera successiva, Mrs. Caldwell habla con su hijo (1953), descrive il
dialogo di una donna pazza con il cadavere del figlio, e introduce nel suo
realismo molte tematiche dell'analisi psicologica. In seguito, sempre in cerca di
nuove esperienze e di nuove forme di scrittura, pubblica San Camilo 1936, un
romanzo sperimentale dove, attraverso un surreale monologo interiore, racconta
in forma grottesca il primo giorno della guerra civile.
Tra le sue ultime opere: Mazurca para dos muertos (1983), Cristo versus
Arizona (1994), Madera de boj. Tra le opere non narrative, va segnalato un
eruditissimo Diccionario secreto (1968), dove Cela mette in mostra la sua
insuperabile conoscenza della letteratura erotica di ogni tempo.

Gonzalo Torrente Ballester

Gonzalo Torrente Ballester (1910-1999), conoscitore esperto dell'intero


santuario decadente europeo, romanziere e critico letterario di grande raffinatezza
in costante lotta contro la censura nonostante la sua appartenenza al movimento
fascista della Falange Española, è uno dei maggiori e più originali romanzieri del
Novecento per la sua scrittura ironica e la capacità di fondere e confondere il
reale e il meraviglioso, avvalendosi del recupero dell'estetica tradizionale della
Galizia, per la costante attenzione alle nuove correnti letterarie e il gusto di
sperimentare e innovare, che non lo ha abbandonato neanche a tarda età. Tra le
sue opere spiccano la trilogia Los gozos y las sombras (El señor llega, 1957,
Donde da la vuelta el aire, 1960, e La Pascua triste, 1962), Don Juan (1963), Off
Side (1968), La saga/fuga de J.B. (1972), Fragmentos de Apocalipsis (1977), La
isla de los jacintos cortados (1980), Dafne y ensueños (1982), Filomeno, a mi
pesar (1988), Crónica del rey pasmado (1989), La novela de Pepe Ansúrez
(1994), La boda de Chon Recalde (1995), Los años indecisos (1997), Doménica
(1999). Autore di vari testi teatrali, tra i quali El casamiento engañoso (1939),
República Barataria (1942), El retorno de Ulises (1946), e di saggi diventati
classici, come: Panorama de la literatura española contemporánea (1956), El
Quijote como juego (1975)...
516 dopoguerra e attualitò

Miguel Delibes

Miguel Delibes, (1920), dopo un inizio in chiave esistenzialista (La sombra


del ciprés es alargada, 1948, La hoja roja, 1959), scrive Cinco horas con Mario
(1966), un monologo in cui una vedova di scarsa apertura mentale e di tendenza
reazionaria, Carmen, rimprovera il marito morto, Mario, durante la veglia
funebre, facendo risaltare per contrario le qualità appunto del marito, insegnante e
di sinistra. Di particolare interesse la trilogia Diario de un cazador (1955), Diario
de un emigrante (1968) e Diario de un jubilado (1996), e un romanzo del 1969
dedicato alla primavera di Praga: Parábola del náufrago.
Torna al realismo sociale con Los santos inocentes (1982), di cui viene
realizzata una trasposizione cinematografica, e continua a mietere successi di
pubblico e di critica con romanzi come: Cartas de amor de un sexagenario
voluptuoso (1983), 377A, madera de héroe (1987), Señora de rojo sobre fondo
gris (1991), El hereje (1998), e con i racconti di Siestas con viento sur (1957) o
Viejas historias de Castilla la Vieja.

Juan Marsé

Juan Faneca Roca (Juan Marsé, dal cognome dei genitori adottivi dopo la
morte di parto della madre naturale, 1933), romanziere catalano, pubblica nel
1962 Esta cara de la luna, opera che ha ripudiato ed espunto dalle sue opere
complete. Nel 1970 appare il romanzo che lo rende famoso, La oscura historia de
la prima Montse, cui fanno seguito altre grandi opere: El amante bilingüe, El
embrujo de Shangai, Últimas tardes con Teresa, Si te dicen que caí, La
muchacha de las bragas de oro..., in varie occasioni adattate per il cinema. Le
opere di Marsé sono legate a Barcellona, o meglio al suo quartiere natale del
Guinardó e trattano fatti del dopoguerra o della dittatura.

Elena Soriano

Elena Soriano (1917-1996) subisce l’emarginazione dalla dittatura che le


impedisce la partecipazione a concorsi universitari. Nel 1951 pubblica il romanzo
Caza menor, sulla guerra civile, poi adattato come sceneggiato televisivo.
Successivamente dà alle stampe una trilogia dal titolo Mujer y Hombre (1955: La
playa de los locos, Espejismos e Medea 55), dedicata alla condizione della donna,
analizzata da vari punti di vista. La censura proibisce La playa de los locos che
viene ripubblicata solo negli Anni Ottanta. Nel 1969 fonda, dirige e paga
personalmente la rivista El Urogallo, forse la miglior rivista letteraria dell’epoca.
Nel 1985 pubblica Testimonio materno, opera che suscita grande scalpore e
commozione, trattando del problema delle droghe, dopo la morte di suo figlio.
Del 1990 è la raccolta di racconti La vida pequeña. Numerosi sono i suoi articoli
e saggi, in parte raccolti col titolo Literatura y vida. Tra gli altri saggi: El
donjuanismo femenino, 2000.
dopoguerra e attualità 517

Julio Llamazares (1955), è autore del fortunato romanzo Luna de lobos


(1985), romanzo su un gruppo di partigiani rimasti alla macchia dopo la fine della
guerra, distrutti dalle forze nazionaliste dopo una lunga resistenza.

Juan Goytisolo Gay (1931), catalano, militante antifranchista, in esilio


volontario in Marocco e a Parigi, ha pubblicato numerosi romanzi, come Juegos
de manos (1954), Duelo en el Paraíso (1955), la trilogia El mañana efímero,
Paisajes después de la batalla (1985), De la Ceca a la Meca. Aproximaciones al
mundo islámico (1997), El universo imaginario (1997). Señas de identidad
(1966) è tra le sue opere più famose, e fa parte di una serie di opere di rifiuto
dell’identità spagnola quale è stata costruita attorno ai miti del cattolicesimo di
stato e dell’esclusione razzista: Reivindicación del conde don Julián, 1970, Juan
sin tierra, 1975. Goytisolo si è stabilito in Marocco, interessandosi in modo
sempre più approfondito della cultura islamica, alla quale ha dedicato eccellenti
reportages. Scrittore anticonformista e provocatorio, ha posto fine alla sua
militanza comunista e dichiarato pubblicamente la sua omosessualità.

Rafael Sánchez Ferlosio (1927) debutta come romanziere con Industrias y


andanzas de Alfanhuí (1952), racconto fantastico, picaresco, con tratti di realismo
magico, e consacra la sua fama con il successivo romanzo El Jarama, che ottiene
vari riconoscimenti da parte della critica. Tra i romanzi posteriori: El testimonio
de Yarfoz (1986), Vendrán más años malos y nos harán más ciegos (1994).
Importante anche la sua produzione saggistica, con Las semanas del jardín
(1974), Non Olet, El alma y la vergüenza (2000) e La hija de la guerra y la
madre de la patria (2002).

Álvaro Cunqueiro Mora (1911-1981) scrittore versatile, specializzato in


migliaia di saperi totalmente inutili, inizia la sua attività come poeta
avanguardista in lingua galega (Mar ao norde, 1932, Poemas do si e do non,
1933, Cantiga nova que se chama Riveira, 1933). Successivamente si dedica alla
narrativa, pubblicando romanzi di grande interesse e originalità (in galego e in
castigliano), come Merlín e familia e outras historias (Merlín y familia y otras
historias, As crónicas do sochantre (Las crónicas del sochantre) e Se o vello
Simbad volvese ás illas (Si el viejo Simbad volviera a las islas).
Tra le opere successive: Un hombre que se parecía a Orestes, e un testo
teatrale, O incerto señor don Hamlet, príncipe de Dinamarca (1958).

Álvaro Pombo García de los Ríos (1939), poeta e romanziere molto originale,
autore delle raccolte di poesia Protocolos (1973) e Variaciones (1977). Dello
stesso anno la raccolta di racconti Relatos sobre la falta de substancia, con un
gruppo di storie a tema omosessuale. In El parecido (1979) affronta il tema del
doppio, dell’ambiguità, di un’omosessualità latente e sognata. Nel 1983 pubblica
El héroe de las mansardas de Mansard, primo di una serie di opere apprezzate e
premiate, singolare romanzo di formazione al contrario, cioè orientato alla
malizia e alla vita galante. La sua opera più apprezzata è El metro de platino
iridiado (1990), in cui difende la necessità dell'etica e del bene.
518 dopoguerra e attualitò

Carmen Laforet Díaz (1921-2004) è autrice del fortunato romanzo Nada,


pubblicato nel 1944, in cui descrive il crollo fisico e morale della borghesia
franchista di Barcellona nei primi anni del dopoguerra spagnolo.
Nel 1952 pubblica La Isla y los Demonios, poi La mujer nueva (1955), sulla
sua conversione al cattolicesimo, e la trilogia Tres Pasos fuera del Tiempo. Alla
sua permanenza negli Stati Uniti è dedicato il libro Mi primer viaje a USA
(1981); l'epistolario con Ramón J. Sender, conosciuto in America, è pubblicato in
Puedo contar contigo (2003). Ha scritto anche racconti, pubblicati in varie
raccolte, tra cui La Llamada (1954) e La Niña y Otros Relatos (1983).

Juan Benet (1927-1993) autore di un romanzo all'epoca incompreso per la sua


originalità, Volverás a región (1968) ma che di fatto lo consacra come uno dei
grandi scrittori della Spagna contemporanea. Tra le altre opere, Una meditación,
del 1967, La inspiración y el estilo, un saggio in cui espone la sua poetica basata
soprattutto sulla cura dello stile, poi Una tumba, Un viaje de invierno, La otra
casa de Mazón e Sub rosa. Al 1980 risale una delle sue opere più apprezzate,
Saúl ante Samuel, e nello stesso anno El aire de un crimen, cui segue
Herrumbrosas lanzas, En la penumbra, El caballero de Sajonia.

Luis Martín-Santos Ribera (1924-1964), autore di Tiempo de silencio, si


forma come psichiatra alla scuola di Juan José López Ibor e Carlos Castilla del
Pino, ma frequanta abitualmente scrittori come Rafael Sánchez Ferlosio, Ignacio
Aldecoa, Alfonso Sastre e Juan Benet. Si occupa anche di politica, militando nel
Partido Socialista Obrero Español, cosa che gli procura vari arresti. Muore in un
incidente automobilistico.
Autore di saggi di carattere medico e politico, come Dilthey, Jaspers y la
comprensión del enfermo mental (1955), e Libertad, temporalidad y transferencia
en el psicoanálisis existencial (1964), esordisce nella letteratura con una raccolta
di poesie, Grana gris (1945); nel 1962 appare Tiempo de silencio, privo di una
ventina di pagine censurate, che verranno reintegrate in un'edizione posteriore;
l’opera ha un effetto dirompente nella narrativa del momento per il suo carattere
innovativo: è annoverato tra i migliori romanzi spagnoli del Novecento, e
considerato la bandiera di una vera e propria rivoluzione stilistica. Il suo secondo
romanzo, Tiempo de destrucción, rimane incompiuto. Postuma esce una raccolta
di racconti, Apólogos.

Mercè Rodoreda i Gurguí (1908-1983) è una delle scrittrici catalane più


tradotte nel mondo, autrice di quattro romanzi, che in seguito rinnega,
considerando come valido solo Aloma, del 1937, riscritto completamente nel
1969. Militante del bando repubblicano, si esilia in Francia, dovendo poi fuggire
da Parigi all'avvento dei nazisti.
La sua opera più apprezzata è, La plaça del diamant (La plaza del diamante),
del 1962, ritenuto il romanzo più importante della letteratura catalana del
dopoguerra. In esilio scrive anche El carrer de les camèlies (La calle de las
dopoguerra e attualità 519

camelias 1966) e la raccolta di racconti La meva Cristina i altres contes (Mi


Cristina y otros cuentos 1967).
Rientrata in Spagna nel 1972, pubblica Mirall trencat (Espejo roto, 1974) e i
racconti Viatges i flors (Viajes y flores, 1980), nello stesso anno in cui vede la
luce il suo ultimo romanzo Quanta, quanta guerra....

Teatro

Il rinnovamento nel teatro spagnolo passa attraverso l'opera di Alfonso Sastre


Salvador (1926), scrittore e regista, fortemente attivo negli anni Cinquanta.
Firmatario del Manifiesto del Teatro de Agitación Social, nel 1950, sostiene la
missione sociale del teatro, ottenendo la costante proibizione della censura a
mettere in scena le sue commedie. Il suo primo grande successo è Escuadra hacia
la muerte, proibito alla terza rappresentazione. Nel '54 attacca la dittatura con La
Mordaza, e scrive il dramma rivoluzionario Tierra roja, che non può essere
rappresentato. Seguono La sangre de Dios, Ana Kleiber (1955), Guillermo Tell
tiene los ojos tristes (1955), Muerte en el barrio, En la red. Negli anni Sessanta si
batte per un teatro di qualità di ispirazione realista, teorizzato in Anatomía del
realismo (1965). Tra il 1965 e il 1972 scrive un ciclo di sette opere chiamato
Teatro penúltimo: M.S.V. (o La sangre y la ceniza), El Banquete, La taberna
fantástica, Crónicas romanas, Ejercicios de terror, El camarada oscuro, Ahola
es de leíl. In queste opere cerca di articolare le norme classiche della tragedia con
il teatro epico di Brecht e l'esperpento di Valle-Inclán.
Nel 1978 presenta una reinterpretazione della Celestina di Rojas con la
Tragicomedia fantástica de la gitana Celestina, e successivamente una
rielaborazione del Don Chisciotte nel Viaje infinito de Sancho Panza (1984).

Antonio Buero Vallejo (1916-2000) autore teatrale, inizialmente legato al


simbolismo e in seguito esponente del teatro sociale. Alla prima fase
appartengono En la ardiente oscuridad, La tejedora de sueños, Irene, o el tesoro.
Nelle opere a carattere sociale Buero cerca di moderare i toni nel tentativo di
superare la censura: Historia de una escalera, del 1949, ottiene importanti
riconoscimenti ed ha un grande impatto nel pubblico e nella critica, così come El
tragaluz.
In una fase successiva la critica della società spagnola del tempo viene svolta
attraverso l'evocazione di situazioni storiche esemplari, come in Un soñador para
un pueblo, El concierto de San Ovidio, El sueño de la razón.

Carlos Arniches (1866-1943) commediografo dedito alla descrizione di


ambienti popolari, caratteristici del teatro comico-farsesco o género chico. I suoi
sainetes sono raccolti in Del Madrid castizo. Compone testi comici denominati
tragedia grotesca, in cui mette alla berlina i difetti principali della borghesia del
tempo il maschilismo, l'insensibilità per le questioni socialista: Es mi hombre, La
520 dopoguerra e attualitò

señorita de Trevélez, Don Quintín el Amargao, Casa editorial, El santo de la


Isidra, Los aparecidos, El amigo Melquiades, Los caciques, El pobre Valbuena.

Fernando Arrabal (1932), autore teatrale e romanziere ribelle e


anticonformista, trasferitosi in Francia nel 1955, ha scritto tra l'altro i drammi: El
triciclo (1953), Guernica (1959), La Bicicleta del condenado (1959), El Jardín de
las delicias (1967), El laberinto (1967), Bestialidad erótica (1968), El Cielo y la
Mierda (1972), El cementerio de automóviles (1959). Come regista ha girato i
lungometraggi Viva la muerte, Iré como un caballo loco, El árbol de Guernica...

Francisco Morales Nieva, 1924, autore teatrale di ispirazione valle-inclaniana


e fantasioso scrittore di romanzi come El viaje a Pantaélica, Oceánida, La llama
vestida de negro: novela de misterios y sobrecogimiento, Granada de las mil
noches e La mutación del primo mentiroso.

La transizione e l'attualità

Transición Española è la fase di passaggio dalla dittatura di Franco a un


regime democratico parlamentare, e va dalla morte del dittatore nel 1975
all'ottobre del 1982, con la vittoria elettorale del Partido Socialista Obrero
Español.
Alla morte di Franco diventa capo dello stato il re Juan Carlos de Borbón, che
spinge per l'introduzione della democrazia e affronta le tensioni scatenate da
gruppi nostalgici di estrema destra, appoggiati da settori dell'esercito. Per la
democratizzazione della Spagna si riteneva indispensabile che l'opposizione
frenasse le sue frange estreme per evitare di scatenare una reazione militare che
avrebbe impedito l'evoluzione nel senso di uno stato di diritto e di un regime
parlamentare. Il progetto non era facile da realizzare, perché prevedeva il
mantenimento costante di una legalità formale: Juan Carlos prende il potere
rispettando la legge fondamentale dello stato e nominando un primo ministro
secondo tutti i dettami costituzionali del regime franchista, il che implica non solo
una certa continuità, ma anche la lentezza del processo di democratizzazione e
una logorante guerra di nervi. A seguito di alcuni scioperi generali con massiccia
partecipazione popolare e azioni provocatorie della polizia, che terminano nel
sangue, come l'uccisione a Vitoria di cinque manifestanti e il ferimento di una
sessantina per colpi di arma da fuoco (1976), si rafforza l'unità dell'opposizione
democratica, anche se la violenza fascista non si ferma. Nel maggio del 1976,
l'annuale Via Crucis organizzata dal ramo democratico del carlismo a Montejurra
viene assaltata da provocatori sotto lo sguardo immobile della polizia, e un
militante carlista viene ucciso a colpi di pistola; poco dopo, un secondo gruppo
armato attacca i pellegrini durante l'ascensione al monte, provocando un nuovo
morto e vari feriti d'arma da fuoco. Gli assassini si dileguano tranquillamente
nella più totale inerzia della polizia, e pur essendo noti, non vengono mai
arrestati, avendo beneficiato dell'amnistia del 1977.
dopoguerra e attualità 521

La violenza di destra e la paura del precipitare della situazione spingono il re a


un cambio di governo. Rispettando formalmente la legislazione vigente, diventa
primo ministro Adolfo Suárez González, con il compito di smantellare legalmente
le strutture dello stato franchista attraverso una Ley para la Reforma Política che
doveva essere approvata dalle Cortes e poi da un referendum. Il progetto riesce
con l'appoggio di una vasta maggioranza e vengono legalizzati i partiti politici e i
sindacati e si promulga la legge elettorale. Il punto debole di questa complessa
operazione, appoggiata dal leader del PSOE Felipe González, resta tuttavia la
resistenza delle forze conservatrici alla legalizzazione del partito comunista. Nel
gennaio 1977 un attentato della destra provoca la cosiddetta matanza de Atocha,
in cui cinque avvocati comunisti vengono assassinati e quattro feriti gravemente:
ne segue una massiccia manifestazione pubblica della sinistra, che ottiene alfine
la legalizzazione del PCE.
Il 15 giugno 1977 si tengono le elezioni generali, dopo le quali inizia il
processo di autorizzazione delle autonomie e si comincia a lavorare a una nuova
costituzione, approvata poi nel luglio del 1978.
Nel 1981, a seguito di dissidi interni, Suárez abbandona il suo partito e si
dimette da primo ministro, venendo sostituito da Calvo Sotelo, che scioglie il
parlamento e convoca nuove elezioni per l'ottobre 1982. Nel febbraio 1981 era
stato sventato un tentativo di colpo di stato da parte del tenente colonnello della
Guardia Civil Antonio Tejero. Le elezioni dell'82 danno la maggioranza assoluta
al PSOE, che sceglie una politica di tipo moderato e di progressivo
avvicinamento alla socialdemocrazia: questa politica ha un notevole sostegno
popolare e il PSOE conquista ancora la maggioranza assoluta nelle elezioni del
1986 e 1989.

Tra gli scrittori più importanti di questo periodo si possono citare: Antonio
Martínez Sarrión, 1939. Figura nell'antologia di José María Castellet Nueve
novísimos poetas españoles. Personaggio ribelle, ammiratore della letteratura beat
e della cultura ad essa collegata, ne introduce lo stile in Spagna, senza discostarsi
da un sostrato surrealista che è la sua caratteristica più originale. Tra le sue opere:
Teatro de operaciones, 1967, Pautas para conjurados, 1970, Una tromba mortal
para los balleneros, El centro inaccesible. Poesía 1967-1980, Horizonte desde la
rada, Sequías, De acedía, Ejercicio sobre Rilke, Cantil, Poeta en diwan, ...
Carmen Conde Abellán (1907-1996) prima donna ammessa nella Real
Academia Española, nel 1979, poetessa autrice di raccolte come: Brocal, Júbilos,
con introduzione di Gabriela Mistral e illustrazioni di Norah Borges, Pasión del
verbo, Ansia de la Gracia, Signo de amor, Mujer sin Edén, La noche oscura del
cuerpo, Soy la madre, Canciones de nana y desvelo.
Félix de Azúa 1944, presente nell'antologia dei novísimos, autore di una
poesia fredda ed ermetica, legata ai temi del vuoto e del nulla. Tra le sue raccolte:
Cepo para nutria (1968), El velo en el rostro de Agamenón (1966-1969), Edgar
en Stéphane (1971), Lengua de cal (1972), Pasar y siete canciones (1977), Farra
(Madrid, Hiperión, 1983).
Tra i suoi romanzi: Las lecciones de Jena (1972), Las lecciones suspendidas
(1978), Mansura (1984), Historia de un idiota contada por él mismo (1986),
522 dopoguerra e attualitò

Diario de un hombre humillado (1987), Cambio de bandera (1991), Demasiadas


preguntas (1994), Momentos decisivos (2000).
Tra suoi saggi, Baudelaire (y el artista de la vida moderna) (1999), La
invención de Caín (1999), Esplendor y nada (2006).
Ana Rossetti (1930) è autrice di varie raccolte di poesia (Los devaneos de
Erato, 1980, Indicios vehementes, Devocionario, Yesterday), e testi in prosa
(Prendas íntimas, 1989, Alevosías, 1991), con toni trasgressivi e di spirito
decisamente postmoderno, impregnati di sensualità ed erotismo.

Manuel Vázquez Montalbán

Manuel Vázquez Montalbán (1939-2003), tra i più noti scrittori spagnoli


contemporanei, inizia la sua attività come poeta, documentato nell'antologia dei
novísimos: la sua opera in versi viene raccolta nel 1986 in Memoria y deseo.
Militante politico socialista e attivista antifranchista, ha trasposto nella sua
narrativa le esperienze politiche della sua generazione e la delusione per i risultati
della transizione. Lo ha fatto in romanzi come Galíndez (1990), e nella famosa
serie di polizieschi con protagonista Pepe Carvalho.
Il primo romanzo della serie è Yo maté a Kenedy, del 1972, seguito poi da
Tatuaje nel 1975, La soledad del manager nel 1977, Los Mares del Sur del 1979,
Asesinato en el Comité Central 1981, Los pájaros de Bangkok 1983, La rosa de
Alejandría 1984, El balneario 1986, El delantero centro fue asesinado al
atardecer 1989, El laberinto griego 1991, Sabotaje olímpico 1993, El hermano
pequeño 1994, El Premio 1996, Quinteto de Buenos Aires 1997, El hombre de mi
vida 2000, Milenio Carvalho 2004.
Tra i suoi saggi: Crónica sentimental de España, 1971, Diccionario del
Franquismo, 1977. Panfleto desde el planeta de los simios, 1995

Eduardo Mendoza

Eduardo Mendoza 1943, pubblica nel 1975 il suo primo romanzo, con cui si
inaugura la nuova corrente di narrativa poliziesca centrata sull'analisi sociale: La
verdad sobre el caso Savolta, opera che segna una svolta nella narrativa
contemporanea, e che porta per la prima volta sulla scrittura la descrizione della
Spagna alla fine della lunga dittatura (Franco sarebbe morto poco dopo la
pubblicazione del romanzo)
Pubblica poi, nel 1982, El laberinto de las aceitunas, secondo romanzo
poliziesco, caratterizzato da elementi parodici, e infine La aventura del tocador
de señoras, nel 2001. Fuori dal romanzo giallo, una delle sue opere più
apprezzate è La ciudad de los prodigios (1986), che descrive la trasformazione di
Barcellona tra le due esposizioni universali del 1888 e del 1929. Tra le altre sue
opere: Sin noticias de Gurb (1990) e El último trayecto de Horacio Dos (2001).
Tra i suoi saggi: Baroja, la contradicción, e Barcelona modernista.
dopoguerra e attualità 523

La narrativa poliziesca gode in Spagna di un momento felice, e in particolare


sono gli scrittori (e le scrittrici) catalani a contribuire al successo del genere.
Bisogna dire che con Mendoza e Montalbán gli schemi classici del romanzo
giallo sono stati stravolti e l’indagine poliziesca rappresenta ora un modo per
analizzare la società e i problemi del mondo odierno superando i limiti del
neorealismo e fuori da ogni schematismo ideologico.
Nel vasto panorama della narrativa gialla occorre ricordare: Andreu Martín
Farrero (1949), scrittore e regista catalano, autore tra l’altro di Prótesis, portata
sullo schermo col titolo Fanny Pelopaja (1983). I suoi romanzi più recenti sono
di genere erotico: Espera, ponte así (2001), Bellísimas personas (2000). Corpus
delicti (2002), si compone di storie di crimini tratte dalla realtà; Juez y parte
(2002) racconta la stessa storia da quattro punti di vista diversi.
Francisco González Ledesma (1927), catalano, considerato tra i migliori
giallisti spagnoli, autore di Sombras viejas, proibito dalla censura franchista, così
come Los napoleones. Pubblica regolarmente nella transizione: Las calles de
nuestros padres e Expediente Barcelona (che inaugura la serie di romanzi con
protagonista il commissario Ricardo Méndez), Crónica sentimental en rojo.
Juan Madrid (1947), scrittore andaluso di fama internazionale e regista, è
considerato uno dei massimi e sponenti della nueva novela negra. È autore, tra
l’altro, di Días Contados e Tánger (che hanno avuto una trasposizione
cinematografica, la seconda con la regia dello stesso Madrid). Brigada Central è
una serie di tredici romanzi polizieschi. Altri titoli: Gente bastante extraña
(2001), Grupo de noche (2003), e i racconti Hotel Paraíso (1987), Crónicas del
Madrid oscuro (1994)
Lorenzo Silva (1966) è il creatore di una famosa coppia di inestigatori della
Guardia Civil, il Sargento Bevilacqua e la sua superiore Chamorro. Il suo
romanzo La flaqueza del bolchevique, 1997, è stato adattato per il cinema.

Fuori dalla narrativa poliziesca, vanno ricordati i nomi di:


Arturo Pérez-Reverte (1951), dopo un'attività come corrispondente di guerra,
amante dell'azione, si dedica alla letteratura con romanzi di successo, adattati per
il cinema: La tabla de Flandes, El maestro de esgrima e El Club Dumas, e una
serie di romanzi dedicati a El capitán Alatriste.
Carmen Martín Gaite (1925-2000) scrittrice contemporanea di grande
successo, è autrice, tra l’altro, dei romanzi Entre visillos, 1957, Ritmo lento, 1963,
Retahílas, 1974, Fragmentos de interior, 1976, El cuarto de atrás, 1978, forse la
sua opera più famosa, La Reina de las Nieves, 1994, Lo raro es vivir, 1996. Ha
scritto anche racconti, alcune opere di teatro e una raccolta di poesie.
Francisco Umbral (1932-2007) , scrittore fecondo, dotato di uno stile molto
personale, rapido, impressionista, esteticamente molto valido, è stato considerato
uno dei rinnovatori della prosa spagnola contemporanea. Nella sua abbondante
produzione narrativa emergono: Tamouré (1965), Balada de gamberros (1965),
Travesía de Madrid (1966), Las vírgenes (1969), Si hubiéramos sabido que el
amor era eso (1969), El Giocondo (1970), sugli ambienti omosessuali di Madrid,
Las europeas (1970), Memorias de un niño de derechas (1972), Los males
sagrados (1973), Mortal y rosa (1975), Las ninfas (1975), Los amores diurnos
524 dopoguerra e attualitò

(1979), Los helechos arborescentes (1980), La bestia rosa (1981), Los ángeles
custodios (1981), Las ánimas del purgatorio (1982), Trilogía de Madrid (1984),
Pío XII, la escolta mora y un general sin un ojo (1985), Nada en el domingo
(1988), El día en que violé a Alma Mahler (1988), Leyenda del César Visionario
(premio de la Crítica, 1992), La forja de un ladrón (1997), Historias de amor y
Viagra (1998), Madrid, tribu urbana (2000) o Los alucinados (2001).
Ignacio Aldecoa (1925-1969), esordisce come poeta con Todavía la vida,
1947, e Libro de las algas, 1949. Nel 1954 pubblica il suo primo romanzo, El
fulgor y la sangre. Sono molto apprezzati i suoi racconti, raccolti Espera de
tercera clase, Vísperas del silencio, El corazón y otros frutos amargos. Tra gli
altri romanzi: El fulgor y la sangre, Gran Sol, Con el viento solano.
Javier Marías (1951) inizia a pubblicare molto giovane i suoi romanzi: Los
dominios del lobo è del 1970, cui fa seguito nel 1972 Travesía del horizonte. Tra
le altre opere: El monarca del tiempo, del 1978, El siglo, del 1983, El hombre
sentimental (1986), Todas las almas (1988), Corazón tan blanco (1992), Mañana
en la batalla piensa en mí (1994: questi ultimi due titoli sono tratti da versi di
Shakespeare), Negra espalda del tiempo (1998), dove si racconta la storia del
finto regno di Redonda, di cui Marías è attualmente re; Tu rostro mañana (2002).
Marías è stato oggetto di una singolare critica: lo si è accusato di scrivere con
uno stile che si allontana dalla tradizione narrativa spagnola: visti i risultati, è
bene che lo faccia e continui a farlo.
Lucía Etxebarria Asteinza (1966), personaggio controverso e trasgressivo,
esordisce con una biografia di Courtney Love e Kurt Cobain, il cantante suicida
dei Nirvana: La historia de Kurt y Courtney: aguanta esto (1996, poi nel 2004 col
titolo Courtney y yo). Seguono due romanzi di successo: Amor, curiosidad,
prozac y dudas (1997) e Beatriz y los cuerpos celestes (1998). Il loro contenuto è
in parte autobiografico, in parte una descrizione della sua generazione, con toni
marcatamente femministi. L’anno dopo pubblica Nosotras que no somos como
las demás. Scrive inoltre varie sceneggiature e una interessante raccolta di saggi
di ispirazione femminista, La Eva futura. La letra futura (2000).
Altri romanzi sono: De todo lo visible y lo invisible (2001), Un milagro en
equilibrio e Actos de amor y placer (2004), Ya no sufro por amor (2005). Risale
al 2003 una raccolta di racconti, Una historia de amor como otra cualquiera, e al
2001 una raccolta di poesie, Estación de infierno (2001), che le vale l’accusa di
plagio del poeta Antonio Colinas.
Javier Cercas (1962), scrittore catalano, esordisce con El móvil (1987) e
pubblica poi i romanzi El inquilino (1989), El vientre de la ballena (1997) e
l’eccellente Soldados de Salamina (2001), di cui viene realizzata anche una
versione cinematografica. Si tratta di un romanzo tra i migliori dedicati alla
guerra civile, che ben si inserisce nel tentativo attuale di rivendicare la differenza
morale tra vinti e vincitori e il diritto di non dimenticare la tragedia e le sue
cause.
Il suo ultimo romanzo, La velocidad de la luz (2005), è dedicato alla guerra
del Vietnam, con accenti piuttosto pessimisti sulla capacità umana di sconfiggere
il male con il bene.
dopoguerra e attualità 525

Alicia Giménez Bartlett (1951) scrittrice catalana, esordisce con Exit (1984),
per poi diventare famosa con la serie di romanzi polizieschi di eccellente fattura,
che hanno per protagonisti Petra Delicado e Fermín Garzón, tra cui Ritos de
muerte (1996), Día de perros (1997), Mensajeros de la oscuridad (1999),
Muertos de papel (2000), Serpientes en el paraíso (2002), Un barco cargado de
arroz (2004), Nido vacio (2007). Tra le sue opere a carattere non poliziesco,
Secreta Penélope (2003). Ironica, saggiamente laica, progressista, femminista,
Alicia Giménez-Bartlett è una delle migliori penne della narrativa spagnola
contemporanea.
José Antonio Gabriel y Galán (1940-1993), poeta e romanziere, è stato un
grande animatore della movida di Madrid negli anni successivi alla morte di
Franco. Tra le sue opere: Descartes mentía, 1977, Un país como este no es el
mío, 1978, Razón del sueño, Punto de referencia, 1981, La memoria cautiva,
1981, Muchos años después, 1992.
Eduardo Haro Ibars (1948-1988), poeta spagnolo, grande amico di Leopoldo
María Panero e come lui trasgressivo e irrazionalista, muore quarantenne di aids
contratto a seguito dell’uso di eroina. Tra le sue opere: Gay rock (1974),
Pérdidas blancas (1978), Empalador (1980), Sex Ficción (1981) e En rojo
(1985), che tratta della sua esperienza di tossicodipendente. Il tema delle droghe
torna anche nel suo utlimo scritto: ¿De qué van las drogas?
José Benito Fernández ha pubblicato in Los Pasos del Caído, una biografia di
Haro Ibars e in El contorno del abismo la biografia Leopoldo María Panero.
Antonio Muñoz Molina (1956) esordisce con Beatus ille, 1986, e poi prosegue
la sua carriera con i fortunati romanzi El invierno en Lisboa (1987) e nel 1991 El
jinete polaco, Beltenebros (1989, su intrighi politici nella Madrid del
dopoguerra), Los misterios de Madrid (1992 ) Sefarad (2001). Tra i suoi saggi:
Córdoba de los Omeyas, La verdad de la ficción, La realidad de la ficción.
Ildefonso Falcones (1959), avvocato catalano, apparentemente estraneo al
mondo letterario, ha pubblicato dopo quattro anni di lavoro uno straordinario
romanzo storico che risulta tra le opere più vendute e tradotte della narrativa
spagnola contemporanea: La catedral del mar.
Indice

Quadro storico ........................................................................................5

L’Hispania visigota. Al-Ándalus. La reconquista. La società


disuguale. L'impero asburgico.

Al-Ándalus..............................................................................................17

L’invasione araba secondo la storiografia tradizionale. Chi erano gli


arabi? Critica della ricostruzione storiografica tradizionale. Il
contesto religioso. Al-Ándalus. Cordova. La scienza ispano-araba.
Letteratura ispano-araba. Sefarad. La convivenza. Cristianizzazione.

La poesia tradizionale .............................................................................41

Le jarchas. La poesia galego-portoghese. Il villancico.

La poesia epica: il Poema de mio Cid.....................................................50

Il Poema de mio Cid. L'interpretazione del poema: il


neotradizionalismo. L'autore e la datazione. Il significato del poema.

Il mester de clerecía................................................................................ 64

I giullari e i chierici. Gonzalo de Berceo. Altri testi del mester de


clerecía. L'Arcipreste de Hita. La poesia giullaresca del XIII secolo.

Le origini della prosa e Juan Manuel......................................................73

Alfonso X. Testi didattico-morali. Juan Manuel. Il Conde Lucanor.

Cortesia e misoginia nel Quattrocento....................................................79

La poesia dei canzonieri. Jorge Manrique. Il marchese di Santillana.


Juan de Mena. Il romancero. L'infante Arnaldos. Romance de
Melisenda. Romance del enamorado y la muerte. Romance de
Moraima. La satira e la misoginia. Cárcel de amor. Diálogo entre el
Amor y un Viejo.

Il rinascimento ........................................................................................97
528

Il rinascimento italiano. Il razzismo in Spagna. Antonio de Nebrija e


la grammatica della lingua castigliana. L'editto di espulsione degli
ebrei. Bartolomé de las Casas.

La Celestina di Fernando de Rojas .........................................................109

Un autore unico per La Celestina. Le interpretazioni. Che significa


"commedia". Chi è Celestina. La satira dell'amante cortese. Il
dramma.

L'erasmismo............................................................................................130

Erasmo. Alfonso de Valdés. Juan de Valdés. Luis Vives. Il Viaje de


Turquía.

Origini del teatro.....................................................................................136

Il teatro medievale. Opera buffa.Juan del Encina. La figura del


pastore. Il battesimo del teatro. La figura del pastore nelle altre
egloghe di Encina. L'Auto del repelón. Le grandi egloghe. L'Égloga
de Plácida y Vitoriano. La commedia del rinascimento. Lucas
Fernández. Gil Vicente. Bartolomé de Torres Naharro. Lope de
Rueda. I corrales. Juan de la Cueva. Juan de Timoneda.

La Lozana andaluza................................................................................167

L'erotico e l'osceno. L'autore. Il realismo di Delicado. Delicado e


Rojas. Il tema della sessualità.

Lazarillo de Tormes................................................................................179

Il picaro. L'antieroe. L'onore. Il Lazarillo de Tormes. I temi


celestineschi e picareschi. Cristóbal de Castillejo. La Celestina nel
teatro e nella prosa: La Comedia Thebayda. Feliciano de Silva.

Garcilaso de la Vega...............................................................................194

Il petrarchismo. Garcilaso de la Vega. Fernando de Herrera.

Letteratura mistica e religiosa.................................................................201

Santa Teresa d'Avila. San Juan de la Cruz. Luis de León.

La letteratura idealista.............................................................................209

Il romanzo cavalleresco. Il romanzo pastorale. Il romanzo moresco.


529

Cervantes ................................................................................................216

La poesia. La Galatea. Le Novelas ejemplares. I Trabajos de Persiles


y Sigismunda. L'esemplarità delle novelle esemplari. Il teatro. Il Don
Chisciotte. La struttura del Don Chisciotte. a) i tre autori. b) la
pazzia. c) la realtà oscillante. d) l'ideale e l'utopia. Marcela, ovvero
l'ideale. Il labirinto della storia. La seconda parte del Don Chisciotte.
Il problema della verità. L'ingegno e la prudenza. La falsificazione.

Il barocco ................................................................................................249

Quadro storico. La scoperta del barocco. La questione politica. La


controriforma. La rivoluzione scientifica. La maschera.

Lope de Vega Carpio ..............................................................................269

Il teatro barocco. Lope de Vega Carpio. Opere teatrali. Poesia.


Prosa. La commedia nuova di Lope. Fuenteovejuna. El caballero de
Olmedo. Peribáñez y el Comendador de Ocaña. El remedio en la
desdicha.

Pedro Calderón de la Barca ....................................................................298

La vida es sueño. El alcalde de Zalamea.

Tirso de Molina ......................................................................................312

El burlador de Sevilla.

Altri autori teatrali ..................................................................................320

Guillén de Castro. Mira de Amescua. Juan Ruiz de Alarcón.


Francisco de Rojas Zorrilla. Agustín Moreto. Juan Pérez de
Mantalbán. Luis Quiñones de Benavente: Los muertos vivos. Felipe
Godínez. Álvaro Cubillo de Aragón.

La prosa barocca.....................................................................................332

Francisco de Quevedo. La poesia. La prosa: i Sueños. El Buscón.


Mateo Alemán. Luis Vélez de Guevara. Vicente Espinel. Alonso
Jerónimo de Salas Barbadillo. Francisco López de Úbeda. Alonso de
Castillo Solórzano. María de Zayas y Sotomayor. Baltasar Gracián.
Vida y hechos de Estebanillo González
530

La poesia barocca ...................................................................................362

Góngora. Altri poeti barocchi.

Letteratura spagnola del Settecento ........................................................369

La Spagna e la cultura illuminista. Scrittori spagnoli del Settecento:


Benito Jerónimo Feijoo y Montenegro. Diego de Torres y Villarroel.
José Francisco de la Isla. José Cadalso y Vázquez. Gaspar Melchor
de Jovellanos Leandro Fernández de Moratín. La poesia del
Settecento

Il romanticismo.......................................................................................384

Quadro storico. Il romanticismo. Mariano José de Larra. José


Zorrilla. Il duca di Rivas. José de Espronceda. Gustavo Adolfo
Bécquer. Rosalía de Castro.

Il realismo ...............................................................................................408

Romanticismo e realismo. Fernán Caballero. Pedro Antonio de


Alarcón. José María de Pereda. Juan Valera. Benito Pérez Galdós.
Emilia Pardo Bazán. Clarín (Leopoldo Alas).

Età contemporanea..................................................................................426

Nascita dell'arte nuova. Realismo e simbolismo. Impressionismo e


superamento del naturalismo. Avanguardismo.

Il modernismo.........................................................................................446

La generazione del 98. Atteggiamento "modernista" o bohemien.


Rubén Darío. Manuel Machado. Alejandro Sawa. Salvador Rueda.
José Moreno Villa. Modernismo catalano. Miguel de Unamuno. Pío
Baroja. Antonio Machado. Valle-Inclán. Azorín. Felipe Trigo.

Novecentismo e avanguardia ..................................................................479

Dall'inizio del secolo alla guerra civile. Il novecentismo. Francisco


Ayala. Gabriel Miró. Ramón Pérez de Ayala. José Bergamín.
Benjamín Jarnés Millán. Concha Espina . Juan Ramón Jiménez.
L'avanguardia in Spagna. Ramón Gómez de la Serna . La generazione
del 27. García Lorca. Jorge Guillén. Luis Cernuda. Pedro Salinas.
Rafael Alberti. Vicente Aleixandre. Dámaso Alonso. Ernesto Giménez
Caballero. Gerardo Diego. León Felipe. Miguel Hernández.
531

Dal dopoguerra all’attualità ....................................................................510

Dionisio Ridruejo. Emilio Prados. Gabriel Celaya. José Hierro. Los


Novísimos. Camilo José Cela. Gonzalo Torrente Ballester. Miguel
Delibes. Juan Marsé. Elena Soriano. La transizione e l'attualità.
Manuel Vázquez Montalbán. Eduardo Mendoza.

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