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Il nostro futuro:
un progetto e
non un destino
Contenuti
Alcune domande 3
Il desiderio è mancanza 3
La scelta: un “progetto” e non un destino 4
L’errore: il principale veicolo di apprendimento 5
Il richiamo alla responsabilità 6
L’inquietudine si colora di valenze “inquietanti” 7
Rischio della con-fusione 8
Note sull’autore 9
Festa dell’Inquietudine – Inquietudine & Futuro 10
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Alcune domande
Perennemente chiusi nelle cuffie dell’ipod, immersi nelle
immagini sullo schermo del pc, impegnati a garantire la
costante presenza in uno o più dei network a cui
apparteniamo, quale spazio resta all’ascolto della nostra
inquietudine? Come cambia la nostra percezione di individui
unici in un tempo che, attraverso la socialità, tende ad
uniformare comportamenti e linguaggi?
Il desiderio è mancanza
Senza l’idea di individuo non esisterebbe il concetto di
desiderio, un’idea che prende corpo via-via che la società si
libera dal bisogno. Non ci sono desideri quando prevalgono i
bisogni, non avere soddisfatto i bisogni elementari non
comporta inquietudine, ma solo sofferenza, disagio.
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palese contraddizione rispetto alla regola del desiderio:
quella di non essere mai pago.
Il desiderio è mancanza. Ed è, per sua natura, sganciato da
un oggetto specifico e da un obiettivo preciso, se così fosse,
parleremmo di progetto, non di desiderio. Il desiderio sta tra
la mancanza e l’attesa, ma per questo è destinato a restare
inappagato, nel senso che nel momento in cui viene
appagato si annulla. L’esito del desiderio appagato è solo
una copia del desiderio che lo aveva innescato, in ogni caso
nessun desiderio appagato chiude e sazia l’atto del
desiderare.
Il desiderio indica un’apertura verso ciò che non
conosciamo, non abbiamo realizzato e talvolta nemmeno
sperimentato, per definizione implica inquietudine.
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Questa idea non è sempre stata presente nella storia: nei
tempii antichi prevaleva l’idea di destino, e non la
convinzione che gli uomini fossero liberi di
autodeterminarsi.
La scelta nella società attuale è in gran parte scelta di
consumo e propone un’altra questione: l’eccesso di scelta.
La quantità delle alternative e a disposizione si è così
ampliata che nessuno potrebbe affermare di essere in grado
di scegliere in modo razionale l’alternativa migliore.
L’eccesso di scelta rischia di condurci ad una minore
soddisfazione e ad una più accentuata inquietudine.
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La libertà di scelta consente di trasformare (almeno in
parte) un desiderio in progetto, ma ci espone al possibile
sentimento del rimpianto.
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Le relazioni sono l’esito di un compito che dobbiamo
eseguire con successo. Persino la felicità rientra nello stesso
scenario: l’infelicità è il segno di un fallimento di cui siamo
chiamati a giustificarci. Lo dimostra il fatto che
“giustifichiamo” con l’infelicità con il termine di
depressione, riconducendo l’infelicità ad una malattia che la
rende “accettabile”.
Fonte: what-buddha-said.net
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Nel momento in cui la nostra vita è permanentemente messa
in vetrina, desiderio, individuo, scelta assumono un
carattere intrinsecamente relazionale. Il desiderio si
trasforma in desiderio mimetico, che scaturisce per
identificazione con la presunta felicità degli altri. Amiamo
ciò che gli altri amano. Il principale desiderio è di essere
riconosciuti, di essere visibili.
La libertà di scegliere si scontra con una infinita abbondanza
che ci rende difficile attribuire una salienza alle alternative.
Internet è l’emblema di un’informazione infinita: un’infinita
superficie in cui tutte le risposte sono previste. Sono
risposte che restano, però, in attesa di domande.
Il nostro sguardo su di noi è filtrato dallo sguardo degli altri.
Siamo esposti alle vite degli altri. Il successo ostentato delle
vite degli altri – le foto delle vacanze, delle feste, i sorrisi
smaglianti ostentati, il gioco – alimentano la percezione di
inadeguatezza per tutto ciò che resta al di sotto delle
immagini diffuse.
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invece era un calesse: “vai via, lasciamo solo, se ci sei tu mi
distrai, non soffro bene”.
Ovviamente questo non vuol essere un elogio della
sofferenza, né dell’isolamento, piuttosto l’invito a non
smarrire il gusto per l’esercizio riflessivo che ci proietta
“oltre” ciò che siamo e abbiamo ottenuto, verso altre sfide,
o altre mete, che ci impedisce di identificarci
completamente in un ruolo, in una posizione o in un gruppo.
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