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PASCAL [ho usato Rossi-Viano, 496-97]

Nella cultura filosofica del Seicento Pascal è una voce dissonante che muove da una critica
dell’individualismo ipertrofico e del razionalismo: si devono smascherare le dissimulazioni e le
finzioni con le quali si presenta ai suoi simili l’uomo, dominato dalla passione dell’amore di sé [§
253], e si deve anche tralasciare l’indagine scientifica della realtà naturale. Pascal abbandona sia
l’antropocentrismo di matrice rinascimentale sia l’ideale razionalistico di una completa conoscenza
scientifica della realtà: l’universo infinito mostra all’uomo la sua costitutiva finitezza e l’incapacità
della sua mente di giungere ad un sapere universale.
La grande scoperta è l’intrinseca duplicità della condizione umana [testo § 223]: la “grandezza”
dell’uomo sta nel possesso di quel pensiero che gli permette di conoscere la propria “miseria” di
essere sospeso tra i mali di un mondo disordinato e falso e l’ordine e la giustizia che possono venire
solo dal vero bene, la verità di Dio. Per mostrare questa duplicità Pascal usa un procedimento
dialettico che rimette sempre in discussione ogni certezza raggiunta, ma perché antinomica è la
natura della realtà stessa: “se l’uomo si esalta, lo deprimo; se si abbassa, lo esalto; e sempre lo
contraddico, finché non comprenda che è un mostro incomprensibile”[?]. Si devono poi di
smascherare quei mezzi che impediscono all’uomo di pervenire ad una reale coscienza della propria
condizione: le “facoltà ingannatrici” (come i sensi, l’immaginazione, l’abitudine), l’incostanza e la
vanità, le leggi positive e i costumi morali (mutevoli e arbitrari), le “distrazioni” (occupazioni, che
riempono falsamente la vita, con le quali l’uomo cerca di combattere la noia, quali l’arte, la
conversazione o la ricerca della gloria).
E’ necessario dedicarsi allo studio dell’uomo, perché la conoscenza di se stessi, necessaria per
“regolare la propria vita”[§ 173] ci conduce alla radice del problema del senso della vita: la
coscienza di sé passa attraverso la scoperta della vera interiorità nell’abisso del cuore e del suo
inestricabile legame con il problema religioso di Dio.
La compresenza antinomica di ragione e cuore è l’essenza dell’uomo. Il cuore, ovvero la vita
affettiva e sentimentale, consente un accesso privilegiato e immediato a due ordini di conoscenze:
alla fede e quindi al vero ordine divino nell’amore cristiano, ma anche all’intuizione dei “principi
primi” del sapere e della morale. E’ grazie al cuore che l’uomo sente le verità che gli si impongono
al di là di qualsiasi dubbio scettico e solo a partire da questa base la ragione può apportare la sua
conoscenza discorsiva nella forma della dimostrazione [testo § 144]. Pascal non accetta come
positive tutte le passioni dell’anima, ma solo quelle che fanno riferimento al cuore. Si tratta invece
di demolire sia l’amor di sé, esaltato da Cartesio, sia la sua radice in quella concupiscenza che
Hobbes e Spinoza hanno individuato come nucleo ineliminabile della naturalità umana [§§ 256,
258]. Tantomeno è necessario abbandonare la ragione, d’altronde è proprio nel pensiero che sta “la
grandezza dell’uomo”: si deve farne un “uso ben regolato”. Ciò significa che il primo passo consiste
nello smontare la superbia razionalistica sia degli stoici sia del soggetto moderno, che si crede un
individuo autonomo e autosufficiente: “il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c’è
un’infinità di cose che la sorpassano”[§ 139]. Il dualismo ragione-cuore è illustrato anche attraverso
la distinzione tra “spirito di geometria” e “spirito di finezza”: il primo indica l’attività intellettuale
capace di derivare ragionamenti logici da principi determinati, il secondo indica il giudizio del
sentimento che, con prontezza e “d’un solo sguardo”, coglie la totalità delle cose, i motivi di una
scelta e le sue conseguenze. Lo spirito di finezza è una modalità conoscitiva di carattere emotivo in
grado di cogliere la complessità dei sentimenti e dei comportamenti umani concreti meglio della
ragione. Se lo spirito di geometria pecca per difetto di acutezza e concretezza e lo spirito di finezza
manca di precisione e analiticità, è solo dall’equilibrio dei due atteggiamenti spirituali che può
venire all’uomo la vera conoscenza

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