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Diritto tributario 16-11-20

Abbiamo analizzato nella scorsa lezione tre concetti: l’evasione fiscale, il risparmio d’imposta e
l’abuso del diritto, ci siamo anche soffermati sull’elusione fiscale concludendo che questa
mostrasse somiglianze con il risparmio d’imposta. 
Fino a qualche decennio fa le figure conosciute erano due: l’evasione fiscale e l’elusione fiscale.
Per evasione fiscale si intendeva e si intende ancora tutt'oggi: il comportamento di chi
volutamente si sottrae al pagamento del tributo violando una apposita norma; il soggetto pone in
essere il presupposto del tributo ma si sottrae al pagamento del tributo. Siamo dinanzi ad un
comportamento illecito.
L'espressione evasione veniva anche intesa con riferimento ad una violazione meramente formale:
esempio→ soggetto pagava il tributo però non provvedeva all’adempimento degli obblighi formali:
registrazione, fatturazione e quindi si asteneva dall’adempimento degli obblighi formali pur
ponendo in essere l’obbligo sostanziale e cioè il pagamento. Anche questa omissione di
ottemperanza agli obblighi meramente formali comportava l’attribuzione di sanzioni previste per
l’evasione fiscale.
Accanto all’evasione fiscale si configurava l’elusione fiscale per elusione si intendeva il
comportamento di quel soggetto che per sfuggire al pagamento, non poneva in essere il
presupposto del tributo. L’obbligo tributario è legato strettamente al fatto significativo di capacità
contributiva, indicato dalla legge come presupposto.
Successivamente la disciplina si è evoluta e l’elusione cominciò ad assumere una connotazione
negativa. Ci si accorse che effettivamente il soggetto non violava le norme ma è altrettanto vero
che quest’ultimo poneva in essere una serie di atteggiamenti volti a sfuggire al pagamento del
tributo pur non ponendo in essere il presupposto al quale la legge ricollega l’obbligo del
pagamento del tributo. Sono state introdotte delle norme che identificavano alcuni degli
atteggiamenti a cui facevamo pocanzi riferimento: scissioni di società, fusioni di società,
conferimenti di aziende, come particolari operazioni poste in essere dal contribuente non per
esigenze civilistiche ma soltanto al fine di sottrarsi al prelievo fiscale. In definitiva si ritenne che, il
contribuente il quale poneva in essere queste operazioni, andava controllato in maniera tale da
verificare se avesse un reale interesse economico apprezzabile oppure se avesse posto in essere
quell’operazione al solo fine di sottrarsi al prelievo al quale sarebbe andato incontro se avesse
posto in essere operazioni diverse. Questo durò per moltissimi anni dando luogo ad un vasto
contenzioso: si trattava di una fattispecie non chiara, non netta. La linea di confine tra
comportamento lecito e comportamento illecito era abbastanza fluida.
La situazione cambiò dal 2015: il legislatore introduce una norma antielusiva di carattere
generale: l’art 10 bis dello statuto dei diritti del contribuente rubricato “abuso del diritto o
elusione”.
Il termine elusione, che inizialmente aveva un connotato assolutamente lecito, poi ancora
negativo, finisce per essere accostato al concetto di abuso del diritto.
Ad oggi possiamo identificare tre figure:
1. L’evasione fiscale: il soggetto pone in essere comportamenti illeciti, viola la norma fiscale.
2. Il risparmio d’ imposta: il soggetto è posto dinanzi ad una scelta, a seconda di quale
opzione sceglierà andrà in contro ad un prelievo maggiore o minore. È del tutto lecito.
1° Esempio: i redditi dei professionisti sottostanno ad un regime specifico ; nel nostro
esempio dobbiamo prendere in considerazione quei professionisti i quali onorari (di un
intero anno solare) non siano superiori a 65.000 euro.
La regola generale prevede che tutti i redditi del singolo soggetto (libera professione,
lavoro subordinato, terreni, fabbricati) debbano essere sommati in modo tale da creare il
cd “reddito complessivo” sul quale poi si applicherà l’irpef.
Il legislatore però prevede un’eccezione per i liberi professionisti i cui onorari non siano
superiori a 65.000 annui, questi hanno la possibilità di pagare l’imposta senza sommare il
reddito di lavoro autonomo agli altri redditi ma applicando un particolare meccanismo di
tassazione commisurato agli onorari che percepisce.
Il contribuente è posto nelle condizioni di scegliere tra la tassazione ordinaria oppure la
tassazione speciale. Ove scegliesse questa seconda tipologia, andrebbe incontro ad un
prelievo minore. Non si tratta di evasione ma di libera scelta del contribuente.
2°esempio: il proprietario di un fabbricato affitta questo a scopo abitativo da cui scaturirà
un reddito riconducibile al canone di locazione.
Due regole: generalesomma dei redditi= reddito complessivo su cui calcolare l’irpef;
Speciale possibilità di pagare la cd cedolare secca e non l’irpef. La cedolare secca è
un’imposta del 19% o 21% sul canone di locazione. Anche in questo caso il soggetto è
libero di scegliere se optare per la normativa generale o per quella speciale. Anche in
questo caso la normativa speciale comporta un prelievo fiscale minore.
3. Abuso del diritto o elusione: è una figura intermedia di incerta collocazione. Questa figura
da luogo spesso a “liti fiscali” proprio perché l’istituto non è descritto puntualmente dalla
norma. Si tratta di operazioni prive di “sostanza economica “e cioè operazioni prive di
valide ragioni economiche ma che comportano essenzialmente vantaggi fiscali.
Esempio: soggetto pone in essere un contratto solo per ridurre il prelievo fiscale (vantaggio
fiscale) senza che l’operazione risponda a valide ragioni economiche.
Si ritiene allora che, nel caso in cui l’operazione fosse priva di ragioni economiche e si
dovesse dimostrare che è stata posta in essere solo ed esclusivamente per realizzare
vantaggi fiscali, saremmo di fronte alla figura dell’abuso del diritto. A questo
comportamento il legislatore reagisce con la previsione di sanzioni esclusivamente
amministrative e non anche penali come avviene per l’evasione.
Il legislatore nel tentativo di descrivere l’abuso del diritto utilizza espressioni come:
“Operazioni inidonee a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali” e anche
“non conformità degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato” poi ancora “non vi è
abuso del diritto se si tratta di operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non
marginali.” Se ci sono valide ragioni extrafiscali (non legate al vantaggio tributario) allora
non c’è abuso del diritto.
Il legislatore nell’incertezza dice:” va rispettata la libertà di scelta tra regimi opzionali
previsti dalla legge.” Esempio: cedolare secca o regola generale: è una libera scelta, non
potrà mai costituire abuso del diritto perché è lo stesso legislatore che ne consente la
libera scelta.
La procedura di accertamento dell’abuso del diritto è coperta da particolari regole: prima di
poter emettere l’avviso di accertamento tramite il quale si accusa il contribuente di abuso
del diritto, deve essere inviata una richiesta di chiarimenti perché il contribuente possa,
entro il termine di 60 giorni, spiegare la finalità dell’operazione (es. dimostrare la
giustificazione economica dell’operazione).
La conseguenza dell’abuso del diritto è la riqualifica dell’operazione da parte del fisco.
Esempio: il fisco riqualifica in compravendita quella serie di atti/operazioni poste in essere
dal soggetto volte ad eludere le norme sulla compravendita; una volta riqualificata
l’operazione in compravendita, il fisco potrà applicare le imposte predefinite della
compravendita.

Sanzioni
La sanzione in origine era la conseguenza giuridica di un determinato comportamento. La
sanzione di per sé, come concetto originario, non ha una connotazione negativa.
In diritto tributario, fino a qualche anno fa, non esistevano conseguenze positive di fronte a
determinati comportamenti del contribuente; oggi abbiamo l’esempio degli ISA: indici sintetici di
affidabilità e cioè coefficienti di affidabilità. Se il soggetto raggiunge una votazione alta nel redigere
i dati che consentono di attribuire gli ISA, il soggetto riceve una sanzione positiva: non può essere
sottoposto ad accertamento sintetico, non può essere sottoposto ad un accertamento basato su
presunzioni semplici. Il legislatore fiscale attraverso gli ISA ha fornito una prima indicazione circa la
possibilità che, anche in materia fiscale, vi possano essere conseguenze giuridiche positive del
comportamento del soggetto.
Si tratta comunque di un caso isolato perché la stragrande maggioranza delle sanzioni previste in
materia fiscale sono conseguenze negative.
Qualora volessimo provare a dare una definizione al concetto di sanzione, non potremmo far altro
che definirla come: la conseguenza che l’ordinamento ricollega alla violazione della norma fiscale.
Cosa è violazione? La violazione è l’inosservanza volontaria di una norma fiscale che prevede un
obbligo.
Per “Norma” si intende una norma fonte di diritto tributario, solo una inosservanza di una norma
fonte del diritto tributario configura violazione. Esempio: la non osservazione di una circolare
dell’agenzia dell’entrate non costituirà violazione perché le circolari dell’agenzia delle entrate non
sono fonti del diritto tributario. Ma qualsiasi inosservanza delle fonti del diritto tributario
costituisce violazione? No, deve trattarsi di una fonte del diritto tributario che prevede un obbligo.
Esempio: costituirà violazione l’inosservanza norma fiscale che dice: tizio deve pagare questa
imposta entro questo termine tizio deve emettere la fattura.
Per quanto riguarda le norme fiscali che non prevedono obblighi ma facoltà, l’inosservanza di
queste non configura violazione.
La definizione che abbiamo dato richiede un altro requisito: la volontarietà.
Deve trattarsi di un’inosservanza volontaria di una norma che prevede un obbligo. Di contro sé io
non osservo una norma per una causa di forza maggiore, non sto commettendo una violazione e
di conseguenza non mi si può applicare nessuna sanzione.
Esempi di inosservanza involontaria:
1)causa di forza maggiore fisica: giorno 30 novembre scade il termine per la presentazione della
dichiarazione dei redditi, il giorno prima si verifica un incendio nei locali della società in cui sono
contenute le scritture contabili; il soggetto sarà impossibilitato nel presentare la dichiarazione dei
redditi, di conseguenza lascerà decorrere invano il termine per la presentazione. La sua
inosservanza del termine per presentare la dichiarazione dei redditi non è volontaria ma dovuta ad
una causa di forza maggiore. Il soggetto, pur avendo effettivamente violato la norma, non sarà
destinatario di una sanzione perché si tratta di un’inosservanza involontaria.
Altro esempio è causa di forza maggiore giuridica: un’impresa fallisce, in presenza di fallimento
viene nominato un curatore fallimentare. Questo curatore fallimentare dovrebbe, entro il 16 del
mese successivo, provvedere (per esempio) al pagamento delle ritenute fiscali a carico dei
lavoratori dipendenti; non può perché esiste un’altra norma fallimentare (forza maggiore
giuridica) che impone al curatore di non provvedere ai pagamenti finché quest’ultimo non abbia
un quadro generale e chiaro di tutti i debiti dell’impresa fallita e dopodiché dovrà ordinare i debiti
in base ai criteri imposti dal diritto fallimentare: ci sono creditori privilegiati, creditori meramente
chirografari.
In concreto il curatore non avrà osservato la norma che gli imponeva di provvedere al pagamento
delle ritenute fiscali ma questo non configurerà violazione perché è intervenuta una causa di forza
maggiore giuridica: la norma fallimentare che gli imponeva un controllo sulla reale situazione
debitoria dell’impresa prima che il curatore stesso potesse provvedere al pagamento delle
ritenute fiscali.

Quali sono le funzioni della sanzione in materia fiscale?


Punitiva l’ordinamento è stato ferito dal comportamento del soggetto che ha violato le norme e
reagisce facendo scattare la sanzione nei suoi confronti. La funzione punitiva è la tipica funzione di
ogni sanzione.
Deterrente è volta ad evitare che il soggetto violi la norma, serve a scoraggiare la violazione ed è
per questo che opera in maniera preventiva. (Funzione tipica delle sanzioni di diritto penale.)
Incrementare le entrate dello stato in materia fiscale, oltre alle funzioni “classiche” sopracitate,
le sanzioni hanno anche un’altra funzione e cioè quella di incrementare le entrate dello stato. Le
sanzioni fiscali sono per lo più pecuniarie e quindi il soggetto inadempiente dovrà provvedere in
primis a versare l’importo dell’imposta non pagata e in più la quota prevista dalla sanzione
pecuniaria. Le sanzioni pecuniarie in materia fiscale possono raggiungere quote elevatissime
(anche 40 volte l’imposta (dovevo pagare 100, pagherò 4000)).
Questo non dovrebbe essere lo scopo principale delle sanzioni, le entrate dello stato dovrebbero
essere incrementate dal pagamento delle imposte. Questa è una conseguenza indiretta
dell’evasione fiscale, se tutti pagassero le imposte non ci sarebbero sanzioni pecuniarie così
elevate.
In diritto tributario c’è chi sostiene che, per avere degli effetti maggiori si dovrebbero
incrementare le sanzioni positive; perché se si dicesse al contribuente: “se tu osservi tutte le
norme e, a seguito di una verifica, il fisco riscontra una scrupolosa osservazione di tutte le leggi
fiscali, tu contribuente potrai essere destinatario di un premio fiscale (esempio riduzione del 5%
sulle imposte dell’anno successivo/ inserimento in un elenco di “soggetti/imprese corretti/e” che
può giovare alla tua immagine o dell’impresa).
Le sanzioni positive hanno un impatto maggiore sull’evasore rispetto alle sanzioni negative.
Se io contribuente so che se pago tutte le imposte ricevo un premio, sono incentivato a pagarle; lo
stesso ragionamento non può essere fatto all’inverso: se io contribuente so che se non pago le
imposte potrei ricevere una sanzione, non sono incentivato a pagarle e questo è dovuto anche al
fatto che il fisco in Italia controlla appena il 3% delle dichiarazioni e quindi il soggetto è portato ad
evadere nella convinzione che non potrà mai rientrare in quella percentuale così bassa.
Ovviamente parliamo di controllo sostanziale e non formale. Dato che il controllo formale investe
la totalità dei contribuenti.
La normativa fiscale italiana conosce tre tipologie di sanzioni:
sanzioni civili per sanzioni civili si intendono gli interessi.
Esempio: soggetto che non ha provveduto in maniera tempestiva al pagamento del tributo entro il
16 di Dicembre, dal 17 Dicembre in poi a questo soggetto potranno essere richiesti anche gli
interessi. Il prof non condivide questa impostazione teorica secondo cui gli interessi debbano
essere classificati come sanzioni. Gli interessi, in materia fiscale, sono interessi compensativi: lo
stato pretende gli interessi dal contribuente inadempiente per poter compensare il danno
(economico) che ha subito dalla non tempestiva ricezione dei tributi.
In conclusione parlare di sanzioni civili non è corretto mentre parlare di interesse compensativo sì,
perché tutte le volte che un soggetto X ritarda nel pagamento di un tributo, la normativa fiscale
prevede l’applicazione degli interessi.
Va rilevato che oggi l’interesse legale (per chiunque ritardi i pagamenti sul piano
contrattuale/privato) fissato dal codice civile è dello 0.005% (bassissimo).
Gli interessi praticati dal fisco sono: 4% 5% (100 volte l’interesse legale).

(Piccolo excursus: quando parliamo/scriviamo di sanzioni dobbiamo utilizzare sempre il verbo


irrogare. (EsempioL’amministrazione irroga le sanzioni.) quando parliamo/scriviamo di
violazioni dobbiamo utilizzare il verbo constatare oppure contestare. Esempio il fisco
contesta/constata le violazioni.) non bisogna confondere irrogare con contestare, mai usare il
vergo irrogare con riferimento alle violazioni, risulterebbe assolutamente inadeguato.)
Le sanzioni amministrativevengono irrogate dalla stessa amministrazione finanziaria, dal
soggetto attivo del tributo: dall’agenzia delle entrate, dall’agenzia delle dogane, dalle regioni, dai
comuni. Devono la loro classificazione in amministrative proprio perché irrogate
dall’amministrazione finanziaria nelle sue varie configurazioni.
Le sanzioni amministrative sono di due tipi:
-sanzioni pecuniarieche costituiscono il 99% delle sanzioni amministrative;
-sanzioni restrittive della sfera giuridica del soggetto: sospensione dall’albo professionale,
chiusura temporanea del negozio, divieto temporaneo di partecipazione ad appalti pubblici.
Altra distinzione all’interno delle sanzioni amministrative:
sanzioni propriesanzione strettamente collegata alla violazione.
sanzioni improprie si dice impropria quando consiste in un aggravamento della procedura di
accertamento. Facciamo riferimento al cd accertamento induttivo il quale si applica nei confronti
di quei soggetti che non presentano la dichiarazione dei redditi e non tengono regolarmente i
registri. L’accertamento induttivo è un fatto negativo per il contribuente perché pone
l’amministrazione finanziaria nelle condizioni di accertare il reddito con maggiore libertà di quanto
non faccia con gli altri contribuenti perché può utilizzare anche presunzioni non gravi né precise né
concordanti. Contrariamente di quanto accade con l’accertamento deduttivo in cui le presunzioni
possono essere utilizzate solo se gravi, precise e concordanti.
Capiamo bene che se ampliamo i poteri dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento,
ovviamente procuriamo un danno al contribuente perché comprimiamo le possibilità di difesa del
contribuente.
Il prof aggiunge: “a mio parere questa distinzione non è corretta” perché si tratta pur sempre di
una modalità di accertamento sia esso deduttivo o induttivo, analitico o sintetico che per sua
natura, mira a determinare la base imponibile dell’imposta da versare.

Le sanzioni penalisono irrogate dal giudice ordinario penale; la normativa fiscale conosce tutte
le forme di sanzioni penali: reclusione, arresto (restrittive della sfera giuridica del soggetto) multa,
ammenda.
Va detto che per i tributi più importanti e cioè quelli che danno un maggiore gettito, (irpef, ires,
iva) la legislazione fiscale conosce le sanzioni più gravi: la reclusione.

V’è stato un periodo in cui il legislatore collegava, alle violazioni fiscali, conseguenze sul piano
civilistico disponendo la nullità degli atti. Esempio: in questo periodo se tizio voleva vendere un
appartamento, doveva dichiarare al notaio che su quell’appartamento aveva pagato le imposte sui
redditi, in caso contrario (non faceva la dichiarazione) l’atto era nullo con conseguenze evidenti sul
piano civilistico anche a carico del compratore. Questa norma è stata poi eliminata perché ritenuta
estremamente pesante e intralciante dei rapporti civilistici tra i soggetti.
Fatta questa premessa possiamo dire che: un’imposta si dice diretta nel momento in cui esplica i
suoi effetti all’interno del diritto tributario;
un’imposta si dice indiretta quando esplica i suoi effetti in altri rami del diritto come avveniva nel
caso sovraesposto.

Un’ultima distinzione la possiamo fare tra sanzioni principali e sanzioni accessorie:


la sanzione si dice principale quando è diretta conseguenza della violazione.
La sanzione si dice accessoria quando per legge è conseguenza della irrogazione della sanzione
principale.
La differenza che, pare non esserci a prima vista, in realtà c’è; le tipiche sanzioni accessorie sono
quelle restrittive della sfera giuridica del soggetto: sospensione dall’albo professionale, chiusura
del negozio. Esempio: Se il soggetto evade l’iva non va incontro immediatamente alla restrizione
della sfera giuridica: il soggetto va incontro innanzitutto alla sanzione principale e poi come
conseguenza dell’irrogazione della sanzione principale, scatta anche la sanzione accessoria e cioè
quella restrittiva della sfera giuridica.
Presupposto per l’irrogazione della sanzione accessoria è l’avvenuta irrogazione della sanzione
principale, ove questa non avviene, al soggetto non potrà essere irrogata la sanzione accessoria.

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