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Abbiamo analizzato nella scorsa lezione tre concetti: l’evasione fiscale, il risparmio d’imposta e
l’abuso del diritto, ci siamo anche soffermati sull’elusione fiscale concludendo che questa
mostrasse somiglianze con il risparmio d’imposta.
Fino a qualche decennio fa le figure conosciute erano due: l’evasione fiscale e l’elusione fiscale.
Per evasione fiscale si intendeva e si intende ancora tutt'oggi: il comportamento di chi
volutamente si sottrae al pagamento del tributo violando una apposita norma; il soggetto pone in
essere il presupposto del tributo ma si sottrae al pagamento del tributo. Siamo dinanzi ad un
comportamento illecito.
L'espressione evasione veniva anche intesa con riferimento ad una violazione meramente formale:
esempio→ soggetto pagava il tributo però non provvedeva all’adempimento degli obblighi formali:
registrazione, fatturazione e quindi si asteneva dall’adempimento degli obblighi formali pur
ponendo in essere l’obbligo sostanziale e cioè il pagamento. Anche questa omissione di
ottemperanza agli obblighi meramente formali comportava l’attribuzione di sanzioni previste per
l’evasione fiscale.
Accanto all’evasione fiscale si configurava l’elusione fiscale per elusione si intendeva il
comportamento di quel soggetto che per sfuggire al pagamento, non poneva in essere il
presupposto del tributo. L’obbligo tributario è legato strettamente al fatto significativo di capacità
contributiva, indicato dalla legge come presupposto.
Successivamente la disciplina si è evoluta e l’elusione cominciò ad assumere una connotazione
negativa. Ci si accorse che effettivamente il soggetto non violava le norme ma è altrettanto vero
che quest’ultimo poneva in essere una serie di atteggiamenti volti a sfuggire al pagamento del
tributo pur non ponendo in essere il presupposto al quale la legge ricollega l’obbligo del
pagamento del tributo. Sono state introdotte delle norme che identificavano alcuni degli
atteggiamenti a cui facevamo pocanzi riferimento: scissioni di società, fusioni di società,
conferimenti di aziende, come particolari operazioni poste in essere dal contribuente non per
esigenze civilistiche ma soltanto al fine di sottrarsi al prelievo fiscale. In definitiva si ritenne che, il
contribuente il quale poneva in essere queste operazioni, andava controllato in maniera tale da
verificare se avesse un reale interesse economico apprezzabile oppure se avesse posto in essere
quell’operazione al solo fine di sottrarsi al prelievo al quale sarebbe andato incontro se avesse
posto in essere operazioni diverse. Questo durò per moltissimi anni dando luogo ad un vasto
contenzioso: si trattava di una fattispecie non chiara, non netta. La linea di confine tra
comportamento lecito e comportamento illecito era abbastanza fluida.
La situazione cambiò dal 2015: il legislatore introduce una norma antielusiva di carattere
generale: l’art 10 bis dello statuto dei diritti del contribuente rubricato “abuso del diritto o
elusione”.
Il termine elusione, che inizialmente aveva un connotato assolutamente lecito, poi ancora
negativo, finisce per essere accostato al concetto di abuso del diritto.
Ad oggi possiamo identificare tre figure:
1. L’evasione fiscale: il soggetto pone in essere comportamenti illeciti, viola la norma fiscale.
2. Il risparmio d’ imposta: il soggetto è posto dinanzi ad una scelta, a seconda di quale
opzione sceglierà andrà in contro ad un prelievo maggiore o minore. È del tutto lecito.
1° Esempio: i redditi dei professionisti sottostanno ad un regime specifico ; nel nostro
esempio dobbiamo prendere in considerazione quei professionisti i quali onorari (di un
intero anno solare) non siano superiori a 65.000 euro.
La regola generale prevede che tutti i redditi del singolo soggetto (libera professione,
lavoro subordinato, terreni, fabbricati) debbano essere sommati in modo tale da creare il
cd “reddito complessivo” sul quale poi si applicherà l’irpef.
Il legislatore però prevede un’eccezione per i liberi professionisti i cui onorari non siano
superiori a 65.000 annui, questi hanno la possibilità di pagare l’imposta senza sommare il
reddito di lavoro autonomo agli altri redditi ma applicando un particolare meccanismo di
tassazione commisurato agli onorari che percepisce.
Il contribuente è posto nelle condizioni di scegliere tra la tassazione ordinaria oppure la
tassazione speciale. Ove scegliesse questa seconda tipologia, andrebbe incontro ad un
prelievo minore. Non si tratta di evasione ma di libera scelta del contribuente.
2°esempio: il proprietario di un fabbricato affitta questo a scopo abitativo da cui scaturirà
un reddito riconducibile al canone di locazione.
Due regole: generalesomma dei redditi= reddito complessivo su cui calcolare l’irpef;
Speciale possibilità di pagare la cd cedolare secca e non l’irpef. La cedolare secca è
un’imposta del 19% o 21% sul canone di locazione. Anche in questo caso il soggetto è
libero di scegliere se optare per la normativa generale o per quella speciale. Anche in
questo caso la normativa speciale comporta un prelievo fiscale minore.
3. Abuso del diritto o elusione: è una figura intermedia di incerta collocazione. Questa figura
da luogo spesso a “liti fiscali” proprio perché l’istituto non è descritto puntualmente dalla
norma. Si tratta di operazioni prive di “sostanza economica “e cioè operazioni prive di
valide ragioni economiche ma che comportano essenzialmente vantaggi fiscali.
Esempio: soggetto pone in essere un contratto solo per ridurre il prelievo fiscale (vantaggio
fiscale) senza che l’operazione risponda a valide ragioni economiche.
Si ritiene allora che, nel caso in cui l’operazione fosse priva di ragioni economiche e si
dovesse dimostrare che è stata posta in essere solo ed esclusivamente per realizzare
vantaggi fiscali, saremmo di fronte alla figura dell’abuso del diritto. A questo
comportamento il legislatore reagisce con la previsione di sanzioni esclusivamente
amministrative e non anche penali come avviene per l’evasione.
Il legislatore nel tentativo di descrivere l’abuso del diritto utilizza espressioni come:
“Operazioni inidonee a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali” e anche
“non conformità degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato” poi ancora “non vi è
abuso del diritto se si tratta di operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non
marginali.” Se ci sono valide ragioni extrafiscali (non legate al vantaggio tributario) allora
non c’è abuso del diritto.
Il legislatore nell’incertezza dice:” va rispettata la libertà di scelta tra regimi opzionali
previsti dalla legge.” Esempio: cedolare secca o regola generale: è una libera scelta, non
potrà mai costituire abuso del diritto perché è lo stesso legislatore che ne consente la
libera scelta.
La procedura di accertamento dell’abuso del diritto è coperta da particolari regole: prima di
poter emettere l’avviso di accertamento tramite il quale si accusa il contribuente di abuso
del diritto, deve essere inviata una richiesta di chiarimenti perché il contribuente possa,
entro il termine di 60 giorni, spiegare la finalità dell’operazione (es. dimostrare la
giustificazione economica dell’operazione).
La conseguenza dell’abuso del diritto è la riqualifica dell’operazione da parte del fisco.
Esempio: il fisco riqualifica in compravendita quella serie di atti/operazioni poste in essere
dal soggetto volte ad eludere le norme sulla compravendita; una volta riqualificata
l’operazione in compravendita, il fisco potrà applicare le imposte predefinite della
compravendita.
Sanzioni
La sanzione in origine era la conseguenza giuridica di un determinato comportamento. La
sanzione di per sé, come concetto originario, non ha una connotazione negativa.
In diritto tributario, fino a qualche anno fa, non esistevano conseguenze positive di fronte a
determinati comportamenti del contribuente; oggi abbiamo l’esempio degli ISA: indici sintetici di
affidabilità e cioè coefficienti di affidabilità. Se il soggetto raggiunge una votazione alta nel redigere
i dati che consentono di attribuire gli ISA, il soggetto riceve una sanzione positiva: non può essere
sottoposto ad accertamento sintetico, non può essere sottoposto ad un accertamento basato su
presunzioni semplici. Il legislatore fiscale attraverso gli ISA ha fornito una prima indicazione circa la
possibilità che, anche in materia fiscale, vi possano essere conseguenze giuridiche positive del
comportamento del soggetto.
Si tratta comunque di un caso isolato perché la stragrande maggioranza delle sanzioni previste in
materia fiscale sono conseguenze negative.
Qualora volessimo provare a dare una definizione al concetto di sanzione, non potremmo far altro
che definirla come: la conseguenza che l’ordinamento ricollega alla violazione della norma fiscale.
Cosa è violazione? La violazione è l’inosservanza volontaria di una norma fiscale che prevede un
obbligo.
Per “Norma” si intende una norma fonte di diritto tributario, solo una inosservanza di una norma
fonte del diritto tributario configura violazione. Esempio: la non osservazione di una circolare
dell’agenzia dell’entrate non costituirà violazione perché le circolari dell’agenzia delle entrate non
sono fonti del diritto tributario. Ma qualsiasi inosservanza delle fonti del diritto tributario
costituisce violazione? No, deve trattarsi di una fonte del diritto tributario che prevede un obbligo.
Esempio: costituirà violazione l’inosservanza norma fiscale che dice: tizio deve pagare questa
imposta entro questo termine tizio deve emettere la fattura.
Per quanto riguarda le norme fiscali che non prevedono obblighi ma facoltà, l’inosservanza di
queste non configura violazione.
La definizione che abbiamo dato richiede un altro requisito: la volontarietà.
Deve trattarsi di un’inosservanza volontaria di una norma che prevede un obbligo. Di contro sé io
non osservo una norma per una causa di forza maggiore, non sto commettendo una violazione e
di conseguenza non mi si può applicare nessuna sanzione.
Esempi di inosservanza involontaria:
1)causa di forza maggiore fisica: giorno 30 novembre scade il termine per la presentazione della
dichiarazione dei redditi, il giorno prima si verifica un incendio nei locali della società in cui sono
contenute le scritture contabili; il soggetto sarà impossibilitato nel presentare la dichiarazione dei
redditi, di conseguenza lascerà decorrere invano il termine per la presentazione. La sua
inosservanza del termine per presentare la dichiarazione dei redditi non è volontaria ma dovuta ad
una causa di forza maggiore. Il soggetto, pur avendo effettivamente violato la norma, non sarà
destinatario di una sanzione perché si tratta di un’inosservanza involontaria.
Altro esempio è causa di forza maggiore giuridica: un’impresa fallisce, in presenza di fallimento
viene nominato un curatore fallimentare. Questo curatore fallimentare dovrebbe, entro il 16 del
mese successivo, provvedere (per esempio) al pagamento delle ritenute fiscali a carico dei
lavoratori dipendenti; non può perché esiste un’altra norma fallimentare (forza maggiore
giuridica) che impone al curatore di non provvedere ai pagamenti finché quest’ultimo non abbia
un quadro generale e chiaro di tutti i debiti dell’impresa fallita e dopodiché dovrà ordinare i debiti
in base ai criteri imposti dal diritto fallimentare: ci sono creditori privilegiati, creditori meramente
chirografari.
In concreto il curatore non avrà osservato la norma che gli imponeva di provvedere al pagamento
delle ritenute fiscali ma questo non configurerà violazione perché è intervenuta una causa di forza
maggiore giuridica: la norma fallimentare che gli imponeva un controllo sulla reale situazione
debitoria dell’impresa prima che il curatore stesso potesse provvedere al pagamento delle
ritenute fiscali.
Le sanzioni penalisono irrogate dal giudice ordinario penale; la normativa fiscale conosce tutte
le forme di sanzioni penali: reclusione, arresto (restrittive della sfera giuridica del soggetto) multa,
ammenda.
Va detto che per i tributi più importanti e cioè quelli che danno un maggiore gettito, (irpef, ires,
iva) la legislazione fiscale conosce le sanzioni più gravi: la reclusione.
V’è stato un periodo in cui il legislatore collegava, alle violazioni fiscali, conseguenze sul piano
civilistico disponendo la nullità degli atti. Esempio: in questo periodo se tizio voleva vendere un
appartamento, doveva dichiarare al notaio che su quell’appartamento aveva pagato le imposte sui
redditi, in caso contrario (non faceva la dichiarazione) l’atto era nullo con conseguenze evidenti sul
piano civilistico anche a carico del compratore. Questa norma è stata poi eliminata perché ritenuta
estremamente pesante e intralciante dei rapporti civilistici tra i soggetti.
Fatta questa premessa possiamo dire che: un’imposta si dice diretta nel momento in cui esplica i
suoi effetti all’interno del diritto tributario;
un’imposta si dice indiretta quando esplica i suoi effetti in altri rami del diritto come avveniva nel
caso sovraesposto.