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ta
Nel secolo e mezzo che seguì la battaglia di Lepanto, la marina venezia-
va
na si trasformò da una flotta incentrata sulle unità a remi in una basata so-
prattutto su quelle a vela. Mentre il baricentro si spostava progressivamente
er
dal remo alla vela, le due anime che componevano la marina della Repub-
ria .
blica vennero chiamate a operare congiuntamente nella varie campagne na-
ra .r.l
ris
vali che videro impegnata la Serenissima. La cooperazione si rilevò diffici-
le e fornì risultati spesso deludenti, salvo durante il primo decennio della
tte S
to alle più tradizionali unità a remi risale almeno alla seconda metà del Quat-
trocento1. Dopo i notevoli successi registrati dagli ottomani nella prima guer-
Fr
∗
Abbreviazioni: ASV=Archivio di Stato di Venezia; BMC=Biblioteca del Museo Cor-
rer; BNM=Biblioteca Nazionale Marciana; CSP=Calendar of State Papers; DBI=Dizionario
Biografico degli Italiani.
1
Cfr. G. Candiani, I vascelli della Serenissima, Venezia, 2009, pp. 5-8. Molti dei temi
considerati in queste pagine sono affrontati nel citato volume, cui si rimanda per eventuali
integrazioni e approfondimenti.
116
Vele, remi e cannoni
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manifestati dalle navi spinsero non solo i veneziani e gli ottomani, ma anche
va
le altre potenze mediterranee, a raffreddare l’interesse verso le unità a vela e
a puntare di nuovo su quelle a remi, che erano in grado d’impiegare con mag-
er
gior profitto le artiglierie pesanti. Le galee godettero così per buona parte del
ria .
XVI secolo di una seconda giovinezza, tanto da trovare spazio anche nei mari
ra .r.l
ris
dell’Europa settentrionale6.
Anche il successivo conflitto tra la Serenissima e l’Impero Ottomano
tte S
2
Cfr. J. Glete, Warfare at Sea. Maritime Conflicts and the Transformation of Europe,
London-New York, 2000, p. 138.
rie An
3
Cfr. M. Sanudo, I Diari, II, Bologna, 1969, col.ne 568-570, 1244, 1290-1292; F.C. La-
ne, Le operazioni navali e l’organizzazione della flotta, 1499-1502, in Idem, Le navi di Ve-
nezia, Torino, 1983, pp. 260-262; J.F. Guilmartin Jr., Gunpowder and Galleys. Changing
op o
York, 1974, pp. 86-88; Glete, Warfare at Sea, cit., pp. 93-95.
4
Il tiro delle artiglierie ottomane affondò una nave veneziana più piccola, forse il primo
caso del genere accertato. Sanudo, Diari, II, cit., col. 1258; Lane, Le operazioni navali, cit.,
pp. 261, 264; K. De Vries, The Effectiveness of Fifteenth-Century Shipboard Artillery, in
Fr
117
Guido Candiani
posizione non più offensiva, come allo Zonchio, ma difensiva, allo scopo di
rompere la coesione della flotta ottomana che avanzava. La battaglia tutta-
via non andò secondo le previsioni e nella confusa ritirata che seguì lo
scontro principale, galeone e barza, rimasti indietro, dovettero destreggiarsi
da soli contro numerose galee ottomane. Se la loro difesa fu un indubbio
successo tattico, altre due navi veneziane e due spagnole furono meno for-
tunate e vennero affondate con pesanti perdite umane8. L’esperienza del
1538 confermò quella del 1499: le navi da guerra a vela erano ancora trop-
po lente e troppo poco agili per una efficace collaborazione con le galee,
mentre la capacità di agire autonomamente restava assai circoscritta in un
mare dai venti mutevoli come il Mediterraneo. Quando nel 1545 il Senato
della Repubblica9 stabilì di mantenere in Arsenale una riserva di cento ga-
lee sottili e quattro galee grosse10, ad essa non venne aggiunta alcuna nave.
ta
La poca fiducia nell’azione delle navi trovò conferma nel corso della
va
quarta guerra veneto-turca, quella di Cipro (1570-73). Durante questo con-
flitto inoltre, le navi dovettero fronteggiare anche una nuova rivale, la gale-
er
azza, il tentativo più riuscito, tra i molti fatti dalle marine europee durante il
ria .
XVI secolo, di unire i vantaggi della vela a quelli del remo senza sacrificare
ra .r.l
ris
troppo il numero delle bocche da fuoco. Nella mobilitazione navale del
1570 dodici galeazze affiancarono le centoventicinque galee allestite dalla
tte S
8
P. Paruta, Istorie Veneziane, in Degl’istorici delle cose veneziane, IV, Venezia 1718, 1,
p. 64; Guilmartin, Gunpowder and Galleys, cit., pp. 42-56.
Fr
9
In questa fase della storia veneziana, le decisioni più importanti erano prese dal Senato
e da un organismo ancora più ristretto, il Consiglio dei Dieci. Dopo una riforma avvenuta
nel 1583, la direzione politica spettò al solo Senato.
10
ASV, Milizia da Mar, busta 240, 5.8.1545.
11
Il prescelto, Pietro Tron, fu fatto rientrare appositamente dall’esilio. A. Morosini, Del-
le Istorie veneziane, in Degli istorici delle cose veneziane, VI, Venezia 1718, p. 265. Tutte
le cariche superiori della flotta veneziana, dal comandante di galea (ma non di nave) in su,
erano esclusivo appannaggio del patriziato che dirigeva la Repubblica.
12
Come sottolinea Phillip Williams in questo stesso volume, la principale componente
delle forze navali spagnole del Mediterraneo era in realtà fornita dai domini italiani della
monarchia e dai suoi alleati della Penisola, in particolare la Repubblica di Genova.
118
Vele, remi e cannoni
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da una bonaccia di fronte al nemico e chiese di raggiungere Cipro con le
va
sole galee; se però si insisteva nel mandarlo con le navi, voleva almeno che
queste fossero accompagnate e protette dalle nuove galeazze16. Il Capitano
er
Generale da Mar Girolamo Zane, spalleggiato da una Consulta dei principa-
ria .
li comandanti dell’armata della Lega, era invece contrario all’impiego delle
ra .r.l
ris
galeazze, ritenute evidentemente ancora meno agili delle navi, e giudicava
più che sufficiente una squadra composta solo da queste ultime17. La diver-
tte S
sità dei pareri impedì di prendere una decisione prima che l’intera flotta si
le li
mancanza di una dottrina condivisa sul miglior impiego dei vari tipi di uni-
tà che componevano l’armata. Quando finalmente gli aiuti furono inviati,
op o
nel gennaio del 1571, la squadra utilizzata fu un misto di navi e galee (quat-
Pr anc
tro navi con la scorta di dodici galee), senza la presenza di alcuna galeazza.
Nonostante la stagione, le galee non solo scortarono con successo le navi,
che scaricarono i rifornimenti a Famagosta, ma ebbero anche modo di atti-
Fr
rare in un’imboscata sette galee turche, tre delle quali vennero affondate a
13
Moltissime altre navi avevano solo la funzione di trasporti. Paruta, Istorie, 2, cit., p.
115; Morosini, Delle Istorie, cit., p. 325.
14
Paruta, Istorie, 2, cit., p. 80.
15
ASV, PTM, filza 729, disp. S. Venier 22.9.1570.
16
ASV, PTM, filza 729, disp. S. Venier 24.9.1570
17
ASV, PTM, filza 729, lett.re G. Zane a S. Venier 29 e 30.9.1570.
18
ASV, Senato Secreta Deliberazioni, registro 77, 21.10.1570, cc. 37r-37v.
119
Guido Candiani
ta
fensiva per spezzare l’avanzante formazione ottomana, poterono esibire
va
tutta la loro potenza di fuoco, sorprendendo gli avversari22. Il successo fu
comunque fortemente agevolato dall’incauta condotta del Kapudan Pascià
er
Müezzinzâde, il quale, poco esperto di questioni marittime, decise di at-
ria .
ra .r.l
19
20
ris
Paruta, Istorie, 2, cit., p. 169.
Va notato che in uno scritto del 1539, l’ammiraglio genovese Antonio Doria aveva
tte S
escluso che galee e navi potessero mai navigare insieme. BNM, mss. it., cl. VII, 417 (7495),
Discorso del Sig. Antonio Doria sopra le cose turchesche per via di mare, c. 352; W. Bor-
le li
ghesi, Doria, Antonio, in Dizionario Biografico dei Liguri, VI, Genova, 2007, pp. 454-466,
tà ge
p. 457.
21
Paruta, Istorie, 2, cit., p. 180. Non è chiaro che tipo di unità fossero le maone del 1570.
rie An
C. Imber, The Ottoman Empire, 1300-1650: the Structure of Power, Basingstoke-New York,
2002, p. 290, sottolinea come subito dopo Lepanto gli ottomani imitarono le galeazze venezia-
ne che tanti danni avevano provocato alla loro flotta e che per la campagna del 1572 costruiro-
no quattro-cinque unità simili alle galeazze; nel Seicento, le maone erano senza dubbio un tipo
op o
che durante le prime due campagne della guerra di Cipro le maone fossero solo delle galee più
grandi, magari le prime in campo ottomano ad adottare il remo alla sensile, cioè con un unico
remo per banco azionato da più rematori. Auguste Jal, Archéologie Navale, I, Paris, 1840, p.
467, riferendosi alla maona come a una galeazza, indica cinque-sei rematori per banco. Con il
Fr
termine maona si designava anche un’unità da trasporto della stessa forma della galeazza, ma
senza remi e con vele quadre. Cfr. C.H. Imber, The Navy of Süleyman the Magnificent, in «Ar-
chivum Ottomanicum», 6 (1980), pp. 211-282, in particolare p. 280.
22
Sul ruolo delle galeazze a Lepanto e sul loro armamento, cfr. M. Morin La battaglia
di Lepanto: alcuni aspetti della tecnologia veneziana, in Meditando sull’evento di Lepanto,
odierne interpretazioni e memorie, a cura di M. Sbalchiero, Venezia, 2004, pp. 69-77 in par-
ticolare pp. 71-72; J.R. Hale, Men and Weapons: the Fighting Potential of Sixteenth-Century
Venetian Galleys, in Idem, Renaissance War Studies, London, 1983, pp. 309-331, in partico-
lare p. 314 (già edito in War and Society: a Yearbook of Military History, London, 1975, pp.
1-23); W. Panciera, Il governo delle artiglierie. Tecnologia bellica e istituzioni veneziane
nel secondo Cinquecento, Milano, 2005, pp. 23-25, 219-223.
120
Vele, remi e cannoni
ta
metà del Seicento, la scelta cioè tra un impegno maggiore nel Mediterra-
va
neo o nelle Fiandre25. Nella fattispecie, i timori per l’evolversi della situa-
zione in Francia, con minacciosi apprestamenti navali oltralpe in relazio-
er
ne alle Fiandre26, fecero tergiversare a lungo il governo di Madrid e trat-
ria .
tennero a Messina Don Giovanni d’Austria con il nucleo principale della
ra .r.l
ris
flotta. I veneziani, galvanizzati dalla battaglia di Lepanto, non erano di-
sposti ad attendere, per non perdere l’iniziativa che la vittoria sembrava
tte S
che, per accrescere il peso delle forze collegate di fronte alle inaspettate
op o
Pr anc
23
Cfr. N. Capponi, Lepanto 1571. La Lega Santa contro l’Impero Ottomano, Milano,
2008, pp. 212-214.
24
Ventiquattro navi dovevano essere spagnole e sedici veneziane. Morosini, Delle Isto-
Fr
121
Guido Candiani
ta
provocato le navi – che dovevano essere necessariamente rimorchiate per
va
raggiungere il proprio posto davanti all’armata – in caso di difficoltà o,
peggio, di ritirata33. Chi prese l’iniziativa furono allora i turchi. Saputo che i
er
collegati avevano un numero inferiore di galee, Uccialli decise di avanzare,
ria .
diffondendo tra i propri equipaggi la convinzione che il nemico avesse por-
ra .r.l
ris
tato con sé le navi proprio per il timore che la flotta ottomana ancora incu-
teva; il Kapudan sottolineò inoltre cha accettare o rifiutare la battaglia sa-
tte S
rebbe stato sempre a sua discrezione, dato che la presenza di navi e galeaz-
le li
ze avrebbe impedito alle forze della Lega di imporla, una previsione che i
fatti avrebbero dimostrato esatta e che mostra come i turchi avessero ben
tà ge
Il 7 agosto le due flotte si avvistarono tra Capo Malea, la punta della più
orientale tra le tre lingue del Peloponneso, e l’isola di Cerigo. Dando corso
29
op o
Sulla ripresa navale ottomana dopo Lepanto, un tema non ancora del tutto chiarito,
cfr. C. Imber, The Reconstruction of the Ottoman Fleet after the Battle of Lepanto, 1571-
Pr anc
1572, in Idem, Studies in Ottoman History and Law, Istanbul, 1996, pp. 85-101. La storio-
grafia tende ad enfatizzare la ripresa materiale della flotta, a scapito della qualità degli equi-
paggi, ma alcune osservazioni del Capitano Generale Foscarini sembrano gettare qualche
Fr
122
Vele, remi e cannoni
ta
battuta e l’inseguimento delle lente navi e galeazze si protrasse senza frutto
va
per gran parte della giornata. Quando il Kapudan, raggiunto il Canale dei
Cervi, decise nuovamente di fermarsi, anche il vento cessò, costringendo
er
navi e galeazze a ricorrere ai rimorchi. Questi ultimi ritardarono ulterior-
ria .
mente l’avanzata e il contatto non andò oltre un nutrito scambio di artiglie-
ra .r.l
ris
rie. Verso sera Uccialli si ritirò una terza volta, coperto da una cortina fu-
mogena creata da tiri di cannone effettuati senza palla37.
tte S
propria rotta, portandosi verso ovest alle spalle dei collegati, ancoratisi a
Cerigo38. Quando questi ultimi ripresero il mare e avvistarono il 10 agosto
tà ge
Capo Matapan. Galeazze e navi furono poste nuovamente alla fronte dello
schieramento alleato, aiutate momentaneamente da un po’ di vento a favo-
re. Lo scontro appariva imminente e si erano già preparate le armi «corte»
op o
te. I turchi trattennero il loro centro per evitare di scontrarsi con i «vascelli
35
In tutte le battaglie combattute in Levante in età moderna, guadagnare il sopravento
Fr
123
Guido Candiani
grossi, da loro molto temuti», e spinsero invece avanti le proprie ali, dove
avevano posto le galee migliori e più veloci, tentando di aggirare la flotta
della Lega per poi attaccarla alle spalle; i collegati risposero piegando a lo-
ro volta le proprie ali in una speculare mezzaluna concava. L’ala sinistra ot-
tomana si avvicinò a tal punto alla destra dei collegati che si cominciarono
a impiegare gli archibugi, ma i turchi, vedendo forse che alle spalle dell’ar-
mata nemica erano rimaste alcune navi che, in assenza del vento e di rimor-
chi, erano rimaste attardate e non volendo attaccare questo tipo di unità,
preferirono ripiegare verso il proprio centro, rimasto sempre fermo. Fosca-
rini avrebbe allora voluto che il centro dei collegati abbandonasse anche i
rimorchi delle galeazze, come già era stato fatto con quelli delle navi, per
attaccare il centro nemico: i turchi apparivano intimoriti e inoltre un attacco
al centro avrebbe costretto le ali ottomane a venire in suo aiuto, costringen-
ta
do le loro galee a girare le prue e offrire le spalle alle galee delle due ali dei
va
collegati. Colonna e Gil d’Andreade però non volevano combattere senza
l’appoggio di navi e galeazze e rifiutarono di avanzare con decisione. Lo
er
scontro proseguì con un prolungato duello di artiglierie, che da parte delle
ria .
forze della Lega vide protagoniste soprattutto le galeazze, mantenute fati-
ra .r.l
ris
cosamente sulla fronte della flotta. In un’occasione i turchi, vedendo qual-
che disordine tra le fila nemiche e sapendo per esperienza di potersi avvici-
tte S
grosse, avanzarono con la loro ala sinistra; i collegati però si bloccarono per
riordinarsi e i turchi preferirono fare marcia indietro. Il vento da NO pose
tà ge
quindi fine a ogni possibilità di avanzare con navi e galeazze prima dell’ar-
rie An
obbligata», fosse in svantaggio di fronte a una «espedita, libera e che non ab-
bia impedimenti di rimorchi». Mentre la prima era costretta a combattere ad
«elezione del nemico, cosa la peggiore», la seconda poteva combattere o riti-
rarsi a propria scelta, perché potendo essa valersi di tutti i suoi vantaggi e
giovarsi delle molte e «infinite incomodità» dei vascelli grossi, aveva modo
di spingere gli avversari a una forzata e pericolosa decisione di combattere. Il
Capitano Generale tirava poi una stoccata alla galeazze, «se ben famosissi-
40
Rel. G. Foscarini, cit., cc. 142r-150v.
124
Vele, remi e cannoni
me» dopo Lepanto. Il loro successo era stato dovuto al fatto di non essere an-
cora conosciute dai turchi, che «inconsideratamente et barbaramente vennero
a darli in petto, [e le galeazze] non faranno per l’avvenir quelli effetti, che fe-
cero allora, et è creduto dal mondo che siano per fare». Uccialli aveva ben
capito i loro limiti (e quelli delle navi) e aveva ideato una tattica di aggira-
mento della flotta nemica alla quale era quasi impossibile rispondere, in
quanto era difficilissimo portare per tempo galeazze e navi dalla fronte alle
spalle dell’armata senza porla in grave disordine, «non essendo dovere che si
facciano muovere dal loro luogo prima che non si abbia visto girata e passata
l’armata nemica. Il che se si facesse prima e si spogliasse la fronte di quei va-
scelli prima che essa avesse piegato, potrebbe occorrere che, avvedendosi di
ciò il nemico, venisse a colpire da quella parte che si fosse spogliata di quella
difesa; se ci si muovesse dopo, non si farebbe in tempo a condurre i vascelli
ta
grossi prima che il nemico attaccasse». Mantenere i vascelli alle spalle della
va
flotta non sarebbe stato peraltro d’alcun aiuto, in quanto avrebbe demoraliz-
zato le proprie forze e galvanizzato quelle del nemico. Il Capitano Generale
er
giudicava le unità grosse, e in particolare le galeazze, inutili anche nel caso,
ria .
improbabile, che l’armata dei collegati fosse numericamente superiore a
ra .r.l
ris
quella ottomana, in quanto, venendo a battaglia, il nemico si sarebbe ritirato
senza problemi nel caso si fossero volute rimorchiare galeazze e navi alla
tte S
compito ingrato. Nel caso poi l’armata si fosse trovata a malpartito, sarebbe
stato necessario abbandonare le unità grosse, come era accaduto con le navi a
tà ge
Prevesa nel 1538, con la perdita «di tanta reputazione». Piuttosto che le gale-
rie An
azze era quindi molto meglio avere un maggior numero di galee «elette», una
considerazione che Foscarini ricavava proprio dall’esperienza di Lepanto,
perché quel giorno aveva fatto «per sempre avveduti gl’inimici». E se almeno
op o
le galeazze avevano i remi, ancora più dannose erano le navi, «le quali contra
Armata sottile41 saranno sempre d’impedimento e di pericolo, né potranno
Pr anc
41
Corsivo dell’a. La flotta veneziana era formalmente divisa in un’Armata sottile, com-
posta dalle galee e successivamente anche dalle galeazze, e un’Armata grossa, formata dalle
navi da guerra a vela. Ognuna delle due componenti aveva una struttura di comanda separata
ma entrambe dipendevano dal Capitano Generale da Mar, che alzava la propria insegna su di
una galea generalizia.
42
Rel. G. Foscarini, cit., cc. 151v-154v.
125
Guido Candiani
da usarla, dipendere sempre dalla fortuna del mare e dalla volontà del nemi-
co»; era per questo motivo che Uccialli, «invecchiato negli essercitii del ma-
re», non aveva voluto condurre con se le maone, rinforzando invece con i lo-
ro equipaggi le proprie galee sottili43.
La presenza di navi e galeazze rese problematico anche il prosieguo della
campagna. Colonna e Gil d’Andrade volevano dirigersi verso ovest con le
sole galee per ricongiungersi rapidamente con Don Giovanni, giunto a Corfù
con altre cinquantacinque galee e trentatre navi, dopo che si erano sparse voci
che Uccialli volesse tendergli un’imboscata, ma i veneziani si rifiutarono di
lasciare le unità più pesanti indietro a Cerigo, dato che l’isola non offriva un
porto sicuro. Alla fine, su ordini espressi di Don Giovanni, i collegati si di-
ressero su Creta, per lasciare là navi e galeazze, e solo quando notizie più
rassicuranti indicarono che i turchi erano rimasti alle loro spalle, decisero di
ta
proseguire per Zante con tutta la flotta unita. A Zante le navi furono lasciate
va
da sole, mentre le galee proseguivano per Cefalonia, indicata da Don Gio-
vanni quale punto di concentramento dell’armata. Quando arrivò la notizia
er
che i turchi stavano avanzando su Zante, gli spagnoli proposero di bruciare le
ria .
navi e solo il rifiuto di Foscarini, che inviò appositamente indietro venticin-
ra .r.l
ris
que galee per rimorchiarle a Corfù, salvò le unità a vela dalla distruzione44.
Le forze della Lega si ritrovarono a Corfù, con centonovantaquattro ga-
tte S
lee e otto galeazze (due delle quali toscane), oltre a quarantacinque navi45.
le li
Si decise di avanzare con le navi non oltre Zante e poi lasciarle nuovamente
in quelle acque, proseguendo con le sole unità a remi, per non essere vinco-
tà ge
43
Pr anc
Paruta, Istorie, 2, cit., pp. 320-325. Va segnalato che l’ammiraglia di Uccialli era una
bastarda (galea più grande delle normali galee sottili) «octaginta»: ciò potrebbe indicare
un’unità da 40 banchi per lato, contro i 25-30 delle galee solitamente impiegate, a meno che il
termine sia un refuso per indicare otto rematori per banco. Morosini, Delle Istorie, cit., p. 538.
Fr
Secondo Foscarini, l’Armata turca si era mossa il 7 agosto con tanta prestezza e si era poi mes-
sa così rapidamente in ordinanza, allineando tante galee così veloci, da non apparire un’armata
nuova e completamente rifatta dopo la sconfitta di Lepanto. Rel. G. Foscarini, cit., c. 142r.
44
Paruta, Istorie, 2, cit., pp. 326-329; Rel. G. Foscarini, cit., cc. 168v-170v
45
Ad ogni modo, almeno alcune delle centocinque galee veneziane erano in realtà gale-
otte di non meglio specificati «venturieri». Settantasei galee erano spagnole, tredici pontifi-
cie. Rel. G. Foscarini, cit., c. 181r.
46
Rel. G. Foscarini, cit., c. 179r.
47
Oltre alle sei galeazze veneziane, ve n’erano altre due del Granduca di Toscana, che
aveva cercato di imitare rapidamente questo nuovo modello di unità, pare con non grande
successo. Cfr. rel. G. Foscarini, cit., c. 181r.
126
Vele, remi e cannoni
era stato reso quasi impossibile dalle batterie posizionate dai turchi a ter-
ra.48 Dopo una scaramuccia il 17 settembre, la flotta della Lega tenne inu-
tilmente bloccata quella ottomana per circa un mese a Modone e quando i
rifornimenti cominciarono a scarseggiare in campo spagnolo (per quanto i
veneziani sospettassero che questa fosse solo una scusa), fu costretta a ri-
piegare su Corfù. Uccialli fu così libero di rientrare a Istanbul, mentre, do-
po il rifiuto dei Filippo II di far svernare la flotta in Levante, anche le forze
italico-spagnole tornarono alle proprie basi, chiudendo una campagna parti-
colarmente ingloriosa49. Nel marzo successivo, dopo una riuscita spedizio-
ne invernale di sei galeazze e ventisei galee per liberare Cattaro dall’asse-
dio turco50, la Serenissima siglò con la Porta una pace separata, ponendo fi-
ne a tre anni di guerra e dando il via a molti decenni di recriminazioni e di
tensioni con gli Asburgo.
ta
*
va
I quarantacinque anni successivi alla fine della guerra di Cipro non vide-
ro la flotta veneziana impegnata in nessun conflitto maggiore, le uniche o-
er
perazioni essendo quelle condotte contro i corsari e quelle, essenzialmente
ria .
costiere, contro gli Uscocchi nell’alto Adriatico. Nel 1594 e nel 1607 ci fu-
ra .r.l
ris
rono due importati mobilitazioni navali contro le forze italico-spagnole (la
mobilitazione del 1594 fu anche in funzione anti-ottomana), ma solo nel
tte S
futuro imperatore Ferdinando II), pressato dai veneziani sul fronte terrestre,
Pr anc
48
Le inconcludenti operazioni condotte dai collegati davanti alle fortificazioni e alle
batterie di Modone ricordano, su scala maggiore, quelle effettuate dai portoghesi nel Mar
Rosso di fronte a Gedda nel 1517. Cfr. Guilmartin, Gunpowder and Galleys, cit., pp. 11-
13.
49
Paruta, Istorie, 2, cit., pp. 329-344.
50
Paruta, Istorie, 2, cit., pp. 346-347.
51
Sulla politica navale di Ossuna, cfr. C. Fernández Duro, El gran duque de Osuna y su
marina. Jornadas contra turcos y venecianos (1602-1624), Madrid, 2006 [facsimile
dell’edizione Madrid 1885]. Le unità della squadra battevano la bandiera personale del duca
di Ossuna e non quella spagnola.
127
Guido Candiani
ta
medioevo, ma in passato le unità impiegate erano state veneziane. Ora in-
va
vece ci si affidava in gran parte a unità straniere, grazie anche ai rapporti di
alleanza intessuti in quegli anni con l’Olanda e l’Inghilterra. In effetti, se un
er
motivo dell’opzione straniera era certamente la crisi che aveva colpito la
ria .
marina mercantile della Repubblica a cavallo dei due secoli54, anche l’ap-
ra .r.l
ris
poggio dato dalla Serenissima in quegli anni alle potenze protestanti del
Nord Europa aveva il suo peso. Non a caso, la politica dei noleggi aveva
tte S
preso il via sul fronte terrestre e non su quello marittimo. Per rafforzare il
le li
Alcune di queste navi erano rimaste poi in servizio con la flotta veneziana
rie An
in Adriatico e ciò aveva avviato una serie di nuovi noleggi, che nell’estate
del 1618 portarono ad allineare almeno quarantadue mercantili armati, ven-
totto dei quali stranieri55.
op o
52
In quel periodo gli spagnoli si diedero molto da fare per venire in soccorso dell’arci-
Fr
128
Vele, remi e cannoni
ta
lea avanzava per controllare le mosse del nemico. Le galeazze invece, gra-
va
zie all’ausilio dei remi (e forse a qualche miglioramento introdotto a fine
Cinquecento), si mossero da sole, ma ad ogni modo la laboriosa operazione
er
di uscita fu completata solo verso mezzogiorno. Una volta in mare, la flotta
ria .
veneziana di trovò di fronte a sole unità a vela, quindici in tutto, perché gli
ra .r.l
ris
italico-ispanici non avevano portato con se le galee, probabilmente ritenute
inadatte alla stagione. Un vento relativamente favorevole, ma molto legge-
tte S
ro, costrinse per tutta la giornata le galee a rimorchiare sia le navi che le ga-
le li
56
L’impiego di un sistema costiero di vedette mobili (integrate spesso da torri fisse), che
segnalavano con fuochi o altri mezzi gli avvistamenti in mare, era un complemento essen-
ziale ad ogni attività navale nel “mare tra le terre”. Sulle torri costiere, cfr. il saggio inserito
in questo volume.
57
BMC, mss. Cicogna 3282/II, Lettera di ragguaglio di quello che è successo tra le due
armate in mare dalli 19 fino li 22 novembre 1617, 27.11.1617, c. 13.
129
Guido Candiani
bra fossero dei veri galeoni da guerra e non dei mercantili armati58, superio-
ri a quelle nemiche, mentre pare non nutrissero un particolare timore per le
unità a remi, comprese le celebrate galeazze. I loro calcoli si rilevarono so-
lo parzialmente corretti, perché nonostante le navi veneziane (molte delle
quali, ricordiamo, erano di origine straniera) preferissero sparare i propri
cannoni a una certa distanza, inflissero loro notevoli danni59. Anche il Capi-
tano Generale Venier, con numerose galee, rimase ad una certa distanza,
non volendo allontanarsi dalle navi, ma alcune delle galee più intraprenden-
ti si avvicinarono, colpendo «meravigliosamente» le navi avversarie60. Pare
che il fuoco dell’artiglieria veneziana risultasse senz’altro superiore a quel-
lo delle unità italico-spagnole, che provocarono ben pochi danni alle unità
della Serenissima. Complessivamente, i veneziani cercarono di farsi sotto
per cinque volte, spronati dal Capitano Generale, ma, per diversi «acciden-
ta
ti», ben pochi vascelli e nessuna delle galeazze partecipò attivamente all’a-
va
zione, non è chiaro se per la difficoltà di portarsi in avanti o se per l’ecces-
sivo timore dei capitani, come sostenne Venier, che impiegò anche il figlio
er
Sebastiano per incitare all’azione le unità più grosse. All’arrivo della notte
ria .
gli italico-ispanici ruppero il contatto e solo le unità a remi più veloci riu-
ra .r.l
ris
scirono a inseguirli verso la costa pugliese, sempre cannoneggiandoli. Le
continue difficoltà nel far avanzare insieme galee e vascelli erano dovute
tte S
anche alla diversità di velocità tra questi ultimi, la cui navigazione si rego-
le li
lava su quella delle unità più lente, mentre le galee, più omogenee, presen-
tavano differenze di velocità meno accentuate.
tà ge
130
Vele, remi e cannoni
ta
piegava una tattica attendista, nell’attesa di colpire al momento opportuno.
va
Probabilmente non a caso, gli italico-spagnoli avevano preferito lasciare in
porto le galee e operare con unità dello stesso tipo62, e nonostante questa
er
scelta, anche loro avevano avuto molti problemi a tenere unita la propria
ria .
squadra nel mare impetuoso63. In realtà le navi dell’epoca non erano ancora
ra .r.l
ris
i vascelli relativamente agili di un paio di secoli dopo, capaci di rimanere in
formazione anche in condizioni meteorologiche difficili64. Non è chiaro
tte S
alla forza del mare, confermando che nella cattiva stagione potevano anche
effettuare rapide puntate, come quelle di Famagosta nel 1571, ma non erano
in grado di partecipare ad operazioni militari di più ampio respiro.
op o
61
Pr anc
62
Secondo lo storico Mario Nani Mocenigo, il motivo che aveva convinto gli spagnoli a
lasciare le galee nel Tirreno era politico, la volontà cioè di non sfidare la Serenissima in A-
driatico dopo che nel frattempo si era raggiunta la pace tra la Serenissima e gli arciducali,
ma non è del tutto chiaro perché una sfida portata dalle sole navi dovesse apparire meno
provocatoria per la Repubblica. Idem, Storia della marina veneziana da Lepanto alla caduta
della Repubblica, Venezia, 1985 [ed. originale Roma 1935], pp. 111.
63
Quattro navi rimasero attardate e rischiarono di cadere in mano veneziana, segno che
anche le qualità nautiche della squadra italico-spagnola non erano del tutto omogenee. Cfr.
ASV, PTM, filza 926, disp. L. Venier 23.11.1617.
64
Nelle operazioni di quei giorni, il galeone Balbi ruppe sia l’albero di bompresso che
quello di trinchetto. ASV, PTM, filza 925, disp. L. Venier 27.11.1617.
131
Guido Candiani
ta
primi anni del conflitto videro un numero limitato di scontri che, da parte
va
veneziana, coinvolsero solo le navi da guerra a vela, le cui squadre erano
ancora formate essenzialmente da mercantili armati stranieri noleggiati. Nel
er
maggio del 1646 il grosso della flotta turca, con settantasei galee e cinque
ria .
maone, fu respinto dentro i Dardanelli da una formazione di una trentina di
ra .r.l
ris
navi veneziane, mentre nell’agosto del 1647, una squadra ottomana di ven-
titre galee, due fuste e ventisei navi tra grandi e piccole fu intercettata nelle
tte S
canza di vento e l’assenza di galee per i rimorchi feci sì che solo una picco-
la frazione delle navi veneziane riuscisse ad entrare in azione.68 Il problema
tà ge
65
rie An
Nel 1620, quando ormai Ossuna non era più viceré, ci fu presso l’isola di Santorino
uno scontro tra otto navi veneziane, sei delle quali mercantili armati olandesi noleggiati, e
tre navi italico-spagnole. ASV, PTM, filza 1324, disp. Capitano delle Navi Federico Nani
22.5.1620; A. Battistella, Una campagna navale veneto-spagnola in Adriatico poco cono-
op o
sciuta, in «Archivio Veneto-Tridentino», 3 (1923), p. 66 (2, 1922, pp. 58-119; 3, 1923, pp.
Pr anc
1-78); Nani Mocenigo, Storia della marina veneziana, cit., pp. 119-120.
66
Nel 1638, ventotto galee e due galeazze attaccarono nel porto di Valona una formazione
di otto galee e altrettante galeotte barbaresche, ma nessuna nave partecipò allo scontro. Rela-
zione della vittoria riportata alla Valona dalle Armi Venete dirette dall’ecc.mo Provveditore
Fr
d’Armata Antonio Capello li 7 agosto 1638, in Biblioteca Universitaria di Padova, mss. 161,
G. Nani, Memorie per servire alla Storia Militare Marittima della Repubblica di Venezia, III,
cc. 294v-295r; Nani Mocenigo. Storia della marina veneziana, cit., pp. 124-125.
67
La flotta pare fosse costituita da due maone, ottantun galee e diciannove tra navi tur-
che, barbaresche e olandesi/inglesi noleggiate, oltre a circa trecento mercantili di vario gene-
re. J. De Hammer, Storia dell’Impero Ottomano, X, Venezia, 1833, pp. 119, 140.
68
In entrambe le battaglie, le navi della Serenissima che effettivamente combatterono fu-
rono solo sei. La battaglia del 26 maggio 1646, pur avendo registrato sette ore di tiri di artiglie-
ria, non provocò alcun morto o ferito veneziano. Lo scontro del 30 agosto 1647 si protrasse per
tre ore, poi le due squadre si separarono senza aver riportato danni particolarmente gravi. ASV,
PTM, filza 1325, disp. Capitano delle Navi Tommaso Morosini n. 18, 27.5.1646; n. 19,
132
Vele, remi e cannoni
ta
commerci diretti verso Istanbul, i quali utilizzavano in massima parte rotte
va
marittime provenienti soprattutto dall’Egitto. Ciò provocò nel 1648 una grave
crisi politica, sfociata nella destituzione e nell’uccisione del sultano Ibrahim
er
I. Dopo che l’anno successivo una fortunosa forzatura del blocco ritardò solo
ria .
di poco la sconfitta della flotta ottomana a Fochies, nel 1650 la Porta lanciò
ra .r.l
ris
un’importante piano di costruzioni di navi da guerra a vela per rompere
l’assedio. Entro la primavera del 1651 vennero immesse in servizio una
tte S
quindicina di navi da guerra, due terzi delle quali costruite nel Mar Nero. In
le li
29.5.1646; BNM, mss. it., cl. VII, 338 (8515), Itinerario di Santo Zeno, aventuriere
sull’Armata veneta, 1647, cc. 59v-60r; B. Nani, Istoria della Repubblica Veneta, in Degli Isto-
rici delle cose Veneziane, IX, Venezia, 1720, p. 99.
69
La battaglia venne combattuta il 12 maggio tra diciannove navi veneziane (ma due erano
op o
molto piccole) e settantadue galee, dieci maone e undici navi turche, rifugiatesi sotto la debole
Pr anc
fortezza che copriva il porto. Nonostante i dubbi di molti dei suoi capitani, che non volevano
operare in acque ristrette contro forze tanto superiori, il comandante veneziano Giacomo Riva
ottenne una grande vittoria, con la distruzione o cattura di dieci navi e quattro maone, ma di
non più di due galee. Riva scrisse che con l’ausilio di sole dieci galee avrebbe catturato tutte le
Fr
galee nemiche. ASV, PTM, filza 1326, disp. G. Riva s.n., 13.5.1649; Nani, Istoria, cit., pp.
242-243; R.C. Anderson, Naval Wars in the Levant. 1559-1853, Liverpool, 1952, p. 137
70
Le capacità difensive delle navi vennero comunque messe in risalto dallo scontro av-
venuto nelle acque di Negroponte il 27 gennaio 1647 tra la sola unità del Capitano delle Na-
vi Tommaso Morosini e quarantasei galee ottomane. Pur sorpresa isolata e circondata da nu-
goli di galee, e nonostante la morte di Morosini, la nave oppose una strenua resistenza, che
permise ai rinforzi di arrivare in tempo per trarla in salvo. ASV, PTM, filza 1084, disp. Ca-
pitano Generale da Mar Giovanbattista Grimani 5.2.1647.
71
Su questo blocco, cfr. G. Candiani, Stratégie et diplomatie vénitiennes, navires angle-
hollandaises: le blocus des Dardanelles, 1646-1659, in «Revue d’Histoire Maritime», 9
(2008), pp. 251-282.
133
Guido Candiani
ta
necessari i rimorchi delle galee. La possibilità che le unità a vela procedesse-
va
ro adesso indipendentemente sembra segnalare un sintomatico miglioramen-
to delle loro qualità nautiche75, già registratosi nei mari settentrionali con
er
l’introduzione della «fregata»76. Sembra però che i veneziani presumessero
ria .
troppo dalle qualità delle proprie navi, o perlomeno di una parte di esse, per-
ra .r.l
ris
ché solo cinque unità riuscirono ad avanzare come previsto, mentre le altre
dodici scaddero verso il resto dell’armata e alcune dovettero perfino essere
tte S
prese a rimorchio. Pare che anche tatticamente si riponesse una fiducia ecces-
le li
siva nelle navi. Quando i turchi, che cercavano di sgusciare indisturbati verso
tà ge
72
Armatori e capitani olandesi e inglesi lamentavano i ritardi nelle paghe e l’usura delle
proprie unità nella strategia del blocco.
rie An
73
A partire dagli inizi del Seicento, i Barbareschi avevano introdotto, con l’aiuto di rin-
negati olandesi e inglesi, il naviglio militare velico nelle proprie squadre. Durante la guerra
di Candia e i successivi conflitti con la Serenissima la Porta chiamò sovente in suo aiuto le
op o
navi barbaresche, mentre Venezia fu spesso aiutata dalle unità a remi, e talvolta anche a ve-
Pr anc
la, inviate dalle altre marinerie cattoliche, soprattutto quella maltese e pontificio/genovese,
ma anche la francese, spagnola e portoghese. Il contribuito delle potenze protestanti fu inve-
ce sempre rappresentato da navi noleggiate.
74
ASV, Dispacci Ambasciatori Costantinopoli, filza 134, post scriptum 18.7.1651, c.
Fr
134
Vele, remi e cannoni
ta
la flotta, all’alba del 10 avvistarono nuovamente gli ottomani, che avevano
va
ripiegato verso nord nel canale tra Paro e Nasso. Questa volta lo scontro tra le
due flotte al completo apparve inevitabile e i due comandanti disposero le
er
proprie formazioni secondo il classico schema delle battaglie tra unità a remi
ria .
con un centro e due ali, mescolando in ciascun gruppo navi, galeazze/maone
ra .r.l
ris
e galee. Alcune delle navi veneziane confermarono di avere qualità nautiche
limitate (l’omogeneità dei mercantili armati noleggiati rimaneva aleatoria) e
tte S
nerale era distratto da queste operazioni, due delle tre galeazze poste all’ala
sinistra veneziana (tra cui quella dell’impetuoso Lazzaro Mocenigo, futuro
tà ge
nemiche. Le due unità, subito appoggiate dalla galeazza del non ancora cele-
Pr anc
bre Francesco Morosini, ruotarono le prue per presentare la loro poderosa ar-
tiglieria77 al nuovo pericolo e, sparata prima una salva con i cannoni e poi una
Fr
77
Le galeazze veneziane erano armate da 22 cannoni, di cui 2 da 50 e 4 da 30 (i vene-
ziani indicavano il peso della palla piena dei loro pezzi in libbre sottili e non grosse come si
usava negli altri stati: un cannone da 50 libbre corrispondeva all’incirca ad un 32 pdr ingle-
se). Quattro di questi sei grandi pezzi erano colubrine, più lunghe e più potenti dei cannoni
ordinari di pari calibro (la colubrina da 50 era lunga 24 calibri, il cannone 18 calibri). Com-
plessivamente, le galeazze avevano 8 colubrine (2 da 50, 2 da 30, 4 da 14) e 14 cannoni (2
da 30, 6 da 20, 6 da 6). ASV, Senato Mar, filza 373, 25.7.1645, all. Provveditori alle arti-
glierie 21.7.1645. La galeazza aveva inoltre 12 periere (10 da 6 e 2 da 3), pezzi antipersona-
le a retrocarica di ridotta gittata. ASV, Collegio Relazioni, b. 57, n. 3, rel. Savio agli Ordini
Matteo Zorzi, 25.6.1624 (i citati dati del 1645 per cannoni e colubrine ribadiscono quelli del
1624). Secondo un altro documento, senza data, la disposizione dell’armamento era la se-
135
Guido Candiani
ta
ottomano, caduto in acqua.79
va
Nel frattempo l’ala sinistra dei turchi, formata da quindici delle navi più
poderose, in parte costruite nei mesi precedenti e in parte barbaresche, rimor-
er
chiate da diciotto beylere80, stava cercando di isolare l’ala destra veneziana. Il
ria .
Capitano Generale, vedendo che il nemico era già sconfitto all’ala sinistra ed
ra .r.l
ris
era debole al centro, dove c’erano solo alcune delle navi inferiori, decise di
sostenere l’ala destra, coadiuvato da una galeazza e da altre sette galee. Que-
tte S
tre81. Il primo obiettivo furono le galee turche, per obbligarle a lasciare il ri-
rie An
morchio delle proprie navi e isolare queste ultime. Bersagliate dalle artiglie-
rie veneziane, le galee ottomane abbandonarono via via tutte le navi, dandosi
alla fuga e lasciandole al loro destino. I veneziani spostarono allora il tiro
op o
contro le navi, che furono «travagliate» a lungo senza poter reagire, forse per
Pr anc
Tutti e sei in cannoni a prua e quattro degli otto cannoni di poppa pare tirassero verso i ri-
spettivi settori, mentre gli altri dodici sparavano lungo le fiancate.; BMC, mss. Gradenigo
163, I, c. 258r; mss. Cicogna 3091.
78
Il noleggio della nave sarebbe stato rinnovato nel 1653 per 2.300 ducati al mese.
ASV, Senato Mar, filza 453, 4.1.1653, all. s.d.
79
Cfr. ASV, Senato Mar, filza 446, 8.6.1652, all. supplica 24.4.1652.
80
Le beylere erano le migliori tra le galee ottomane. Venivano allestite e mantenute non
dal governo centrale a Istanbul, ma dai timar maritimi dell’Egeo. Cfr. L. Lo Basso, Uomini
da remo. Galee e galeotti del Mediterraneo in età moderna, Milano, 2003, pp. 180-182.
81
È probabile che le navi col Capitano Generale fossero le medesime otto che
nell’azione di due giorni prima Mocenigo aveva trattenuto insieme all’Armata sottile.
136
Vele, remi e cannoni
la minor potenza dei propri cannoni.82 Le tre navi più vicine si gettarono con-
tro la costa, ma invece di abbandonarsi al loro saccheggio, il Capitano Gene-
rale riuscì a tenere raggruppate le proprie forze contro le altre navi, sette delle
quali furono a loro volta abbandonate dai turchi. Non tutte le navi le unità
della Porta si piegarono però facilmente. Mocenigo impegnò la propria gran-
de galea contro una nave barbaresca guarnita di truppe ottomane, che rispose
colpo su colpo al vigoroso fuoco di artiglieria e moschetteria dei veneziane.
Alla fine, con lo scafo perforato in più parti, l’equipaggio cedette e cominciò
a gettarsi in acqua, mentre i soldati della galea lo abbordavano facendo lette-
ralmente a pezzi più di settanta nemici rimasti a bordo. Un’altra nave turca,
attaccata da una galeazza, preferì farsi saltare in aria piuttosto che arrendersi,
portando con se non solo molti dei soldati veneziani che l’avevano abbordata,
ma anche un buon numero di rematori che li avevano seguiti per darsi al sac-
ta
cheggio; l’esplosione danneggiò anche la prua della galeazza, uccidendo
va
molti dei serventi ai pezzi là concentrati.
Alla fine, sedici navi turche risultarono catturate, bruciate o affondate, in-
er
sieme a una maona, mentre gli ottomani non perdettero nessuna delle galee,
ria .
una parte delle quali riuscì anzi a rimorchiarsi nella fuga cinque navi che era-
ra .r.l
ris
no rimaste più indietro e che non avevano partecipato allo scontro83. Nono-
stante il rischio corso inizialmente dalle galeazze, la battaglia, la prima della
tte S
guerra di Candia combattuta tra le due flotte al completo, si era conclusa con
le li
una grande vittoria veneziana, il primo chiaro successo conseguito dalla coo-
perazione tra galee, galeazze e navi. La vittoria sembra essere stata dovuto
tà ge
soprattutto alla maggiore agilità e qualità nautiche delle navi (ma anche delle
rie An
82
Ricordiamo che nonostante ogni galea veneziana avesse solo un pezzo pesante, esso po-
teva essere di grosso calibro, anche del genere da 50. Le navi impiegate allora nel Mediterraneo,
e ciò vale non solo per quelle turche, avevano generalmente solo artiglierie di medio/piccolo ca-
Fr
libro, solitamente non superiori ai 12 pdr. È anche probabile che gli equipaggi ottomani, raccolti
in fretta per la nuova squadra velica, non avessero ricevuto un addestramento adeguato.
83
Sulla battaglia, cfr. ASV, PTM, filza 936, disp. A. Mocenigo n. 215, 15.7.1651 e all.ti;
filza 1328, disp. Capitano delle Navi Luca Francesco Barbaro 13.7.1651; BNM, Misc. 166,
Parte veneta, Guerre col turco 1617 al 1667, n. 10, Lettera di ragguaglio della vittoria na-
vale conseguita dall’Armata della Serenissima Republica di Venetia sotto il comando del
Procurator Capitan General da Mar Mocenigo contro Turchi nell’Arcipelago, Venezia
22.8.1651.
84
Le doti combattive degli olandesi negli abbordaggi sarebbero ben presto state confer-
mate nelle battaglie della prima guerra anglo-olandese, tanto da spingere gli inglesi a ri-
spondere con la creazione di una nuovo tipo di formazione da battaglia, la linea di fila.
137
Guido Candiani
ta
navale alla Serenissima in Egeo, ma non permise di espellere i turchi da
va
Creta. Negli anni precedenti questi ultimi si erano impadroniti di quasi
tutta l’isola e riuscivano a mantenervisi grazie anche alla vicinanza delle
er
coste del Peloponneso, che consentiva di ricevere rifornimenti a piccole
ria .
dosi86. Se ciò non permetteva ai turchi di riprendere l’offensiva in grande
ra .r.l
ris
stile contro gli ultimi capisaldi veneziani, e in particolare la capitale Can-
dia, serviva però almeno a sostenersi sull’isola, data la relativa debolezza
tte S
delle forze terrestri della Serenissima. Tra il 1652 e il 1657 gli ottomani
le li
solo durante la bella stagione, dalle forze della Serenissima87. Se nel 1652
lo fecero limitandosi ad impiegare le loro galee già in Egeo88 e nel 1653
rie An
op o
85
Il principale comandante della squadra velica era un rinnegato veneziano, Nicolò Fur-
Pr anc
87
Al blocco continuato militare ed economico degli anni precedenti, difficile da mante-
nere anche per i non sempre buoni rapporti con i capitani dei mercantili armati noleggiati, i
veneziani avevano sostituito un blocco miltiare stagionale per impedire l’uscita delle flotta
ottomana nella stagione più propizia.
88
Le beylere, come detto le migliori galee ottomane ma che erano poco più di una ventina,
svernavano solitamente nei timar marittimi che le allestivano. Il grosso delle flotta ottomana
riparava invece alla fine di ogni campagna a Istanbul. Sulla natura dell’Armata navale ottoma-
na, la cui forza si basava soprattutto sugli armi stagionali e non permanenti, cfr. P. Williams,
The Strategy of Galley Warfare in the Mediterranean (1560-1620), in Guerra y sociedad en la
Monarquía Hispánica. Politica, Estrategia y Cultura en la Europa Moderna (1500-1700), a
cura di E. García Hernán e D. Maffi, Madrid, 2006, I, pp. 898-900, 912-914 (891-920).
138
Vele, remi e cannoni
ta
con quaranta galee, sei maone e trenta navi,91 mentre ventidue beylere e altre
va
quattordici navi barbaresche li attendevano dall’altra parte degli Stretti, alle
spalle dei veneziani. La superiorità turca era maggiore anche dei rapporti
er
numerici perché, delle sedici navi in servizio con la Serenissima, solo sei, se-
ria .
condo il comandante della squadra veneziana, il Capitano delle Navi Giusep-
ra .r.l
ris
pe Dolfin, erano effettivamente in grado di promettere in battaglia «valorosi
effetti». Le perplessità sulle proprie forze e qualche timore per le galee, «dif-
tte S
spinsero Dolfin a ordinare ai propri capitani «di regolarsi con prudenza e co-
raggio». Le navi furono disposte in tre colonne: quelle di destra e di sinistra,
tà ge
scuna, mentre al centro vi era Dolfin con due navi e due galeazze. Ognuna
delle otto galee venne assegnate a una specifica nave, che doveva protegger-
la: la battaglia era difensiva e le galee assumevano un ruolo ausiliario e su-
op o
bordinato rispetto alle navi.93 Dolfin concordò col Capitano del Golfo Fran-
cesco Morosini94, che guidava le unità a remi, di tagliare le ancore non prima
Pr anc
89
Anderson, Naval Wars, cit., pp. 145-147.
Fr
90
Ad ogni modo, sette navi barbaresche erano già riuscite a congiungersi con il grosso
ottomano dentro gli Stretti. ASV, PTM, filza 1328, disp. Capitano delle Navi Giuseppe Dol-
fin 29.4.1654.
91
È difficile dire quante delle navi fossero effettivamente da guerra e quante dei sempli-
ci trasporti. E anche probabile che alcune navi fossero mercantili armati occidentali presenti
nei porti dell’Impero e che i turchi avevano convinto, più o meno forzatamente, a entrare al
loro servizio, una risposta ai noleggi veneziani.
92
ASV, PTM, filza 1328, disp. G. Dolfin 29.4.1654.
93
Per la formazione di Dolfin, cfr. ASV, Materie miste notabili, n. 149, c. 7r. Sul valore
solo come arma offensiva della galea, cfr. Guilmartin, Gunpowder and Galleys, cit., pp. 73-74.
94
Si trattava di un omonimo del celebre Francesco Morosini.
139
Guido Candiani
che fosse passata almeno la metà della flotta nemica, in modo da ritrovarsi
sopravento e col vantaggio della corrente; in particolare, la prima nave di cia-
scuna colonna doveva mantenere il più possibile la propria posizione, de-
viando così il flusso avversario. Ogni singola unita ricevette da uno o dall’al-
tro dei due ammiragli veneziani precisi ordini in base a queste direttive, ma
l’andamento della battaglia mostrò che era difficile, nel calore dell’azione,
far rispettare le disposizioni stabilite.
I turchi fecero uscire per prime le navi, che avanzarono in linea di fronte
spinte da una leggera tramontana. Le unità a vela erano seguite a voga lenta
da quelle a remi, guidate dal Kapudan Pascià. La battaglia si aprì al centro
con l’abbordaggio da parte di una sultana95 della già citata nave olandese
Gouden Adelaar, che batteva le insegne dall’Almirante (il vice Capitano del-
le Navi) Daniele Morosini. Le due navi rimasero avvinghiate cercando di su-
ta
perarsi e alla fine quella della Serenissima ebbe la meglio; il successo fu però
va
di breve durata, perché altre quattro navi nemiche assalirono l’Adelaar e il
suo equipaggio, piuttosto che cedere, preferì darle fuoco «incenerendola» in-
er
sieme alla sultana.96 Subito dopo finì in fiamme l’Orsole Bonaventure, un
ria .
piccolo mercantile armato inglese. La scelta di Dolfin di disporre le navi per
ra .r.l
ris
tutta l’estensione del canale in modo da coprire l’intera uscita costringeva i
vari contingenti veneziani a combattere isolati e ad essere messi fuori com-
tte S
glia dal posto assegnatole (forse perché l’ancora aveva arato sul fondo), ma
tà ge
non aveva neppure soccorso l’Adelaar che, combattendo, era scaduta verso
di lei98. La tragica fine delle due unità presso la costa asiatica convinse anzi
rie An
prima l’Apollon e poi le altre sei navi disposte presso quella europea a taglia-
re gli ormeggi e a fuggire, seguite ben presto da cinque delle sei navi rimaste
op o
a ridosso della costa asiatica. Invano sia Dolfin «anco con parole che dimo-
Pr anc
Sint Joris99. Dopo aver resistito qualche tempo, anche le galeazze tagliarono
95
Le sultane erano le navi da guerra a vela costruite e armate direttamente dallo stato ot-
tomano.
96
Daniele Morosini sopravvisse all’incendio, ma venne fatto schiavo dei turchi.
97
Si trattava di un mercantile armato con 30 cannoni e di 500 botti (400 t?) di portata, no-
leggiato a Tolone nel 1652 per 2.100 ducati al mese. ASV, Senato Mar, filza 452, 17.12.1652.
98
È possibile che la diversa nazionalità delle due navi abbia influito sul mancato inter-
vento dell’Apollon.
99
La nave, da 52 cannoni, era stata nuovamente noleggiata l’anno prima per 2.300 duca-
ti al mese. ASV, Senato Mar, registro 115, 8.3.1653, cc. 50r-v; filza 488, 4.11.1656.
140
Vele, remi e cannoni
ta
(su un equipaggio che doveva sfiorare i 350 uomini) riuscirono a salvarsi sul-
va
la Sint Joris: vendendo la galea ridotta a un relitto, il Capitano delle Navi la
fece incendiare. Le quattro sultane non si lanciarono comunque all’abbor-
er
daggio dell’ammiraglia veneziana, ma preferirono tenerla sotto un continuo
ria .
fuoco di artiglieria e di moschetteria. Dopo due ore di combattimento, ve-
ra .r.l
ris
dendo che la corrente lo stava trascinando con i suoi tormentatori verso riva,
dove migliaia di soldati turchi assistevano allo scontro pronti ad assaltare le
tte S
navi nemiche che venissero ad incagliarsi sulla costa102, Dolfin, fece gettare
le li
a remi turche bersagliarono la Sint Joris, che rispose al fuoco usando palle
armate e incatenate103 contro le navi, sacchetti contro le galee. Completamen-
rie An
te tagliata fuori dal resto della squadra, mentre da terra barche e brigantini
trasportavano a bordo delle unità assalitrici truppe per rinsanguare i ranghi
op o
dei loro equipaggi, «rasate e gattate a basso le gabbie [gli alberi di gabbia],
Pr anc
100
Lo scopo era quello di proteggere con le artiglierie di prua della galea la poppa della
nave, punto particolarmente fragile e che nel caso specifico (ma il problema era probabil-
mente comune a tutti i mercantili armati) non doveva essere sufficientemente coperto dalle
artiglierie di bordo.
101
Il sopracomito, il nobile padovano Antonio Capodilista, fu fatto prigioniero. Nelle
campagne navali del Cinquecento i domini di Terraferma della Serenissima avevano armato
un numero notevole di galee, ma successivamente, e soprattutto durante la guerra di Candia,
questi armi divennero molto limitati.
102
Dolfin parla di 30 mila uomini schierati sulle due rive dei Dardanelli.
103
Le palle incatenate erano costituite da due palle intere unite da una catena e serviva-
no soprattutto a demolire le attrezzature delle unità nemiche.
141
Guido Candiani
tutte le sartie e corde, arse e disfatte in minutissimi pezzi le vele, scalzati di-
versi cannoni, lacera per tutte le bande e squassata la nave dalle cannonate»,
dodici delle quali sotto la linea di galleggiamento, l’ammiraglia era ormai in
procinto di soccombere. Dolfin decise allora di rimettersi in moto facendo ta-
gliare la gomena che lo teneva ancorato. Pur priva del timone, la nave girò
fortunatamente la prua verso l’uscita del canale e riuscì altrettanto fortuno-
samente a trovare un varco tra le unità a vela e quelle a remi nemiche, che e-
videntemente combattevano separate. Solo la nave ammiraglia ottomana,
«disfatta e rimessa, levate le sue bandiere» continuò a rimanerle abbarbicata.
Fu adesso la volta dell’ammiraglia nemica a rischiare di cadere nelle mani
dei veneziani, che la stavano trascinando verso il resto della propria squadra,
ma l’intervento delle quattordici navi barbaresche posizionate fuori dai Dar-
danelli la salvò.
ta
Fuori dai Dardanelli, Dolfin poté ricongiungersi con il resto della pro-
va
pria formazione e incrociare al largo fino a sera, ma ormai gli era impossi-
bile riposizionarsi per impedire la definitiva uscita della flotta nemica. Pre-
er
ferì quindi ritirarsi verso l’Egeo centrale per riunirsi con il resto della flotta
ria .
veneziana. Il Capitano delle Navi attribuì quella che era un’indubbia scon-
ra .r.l
ris
fitta, la sola importante patita sul mare dai veneziani durante la guerra di
Candia, alla codardia mostrata da molte delle navi noleggiate (solo gli o-
tte S
landesi, «che son sicuro correranno mille pericoli e mille morti», meritava-
le li
derata la scarsa fiducia di Dolfin nei confronti di molti dei capitani dei mer-
cantili armati, una formazione più coesa gli avrebbe consentito di controlla-
re meglio la squadra. Anche il ruolo attribuito alle galee, spinte quasi a na-
op o
scondersi sotto le navi, sembra essere stato troppo passivo, sebbene la loro
Pr anc
142
Vele, remi e cannoni
tano delle Navi al posto di Dolfin. Ai suoi ordini Mocenigo aveva ventiset-
te navi, quattro galeazze e sei galee, che dispose in maniera tale da evitare
la confusione e gli errori che avevano determinato la sconfitta di Dolfin.
Invece di dividere le navi in tre squadre separate disposte al centro e verso
le due rive del canale, Mocenigo scelse di tenerle raggruppate verso il cen-
tro, scaglionate su quattro linee successive105, in modo da poterle più facil-
mente controllare soprattutto nel momento critico in cui – lasciati scorrere
gli ottomani, deviati dal blocco di unità veneziane verso l’una o l’altra riva
– esse dovevano tagliare le gomene e gettarsi alle spalle del nemico. Lo
scopo era ottenere quella tempestività e quel sincronismo che erano manca-
ti alle forze di Dolfin nel 1654, convertendo l’iniziale vantaggio ottomano
della corrente in un vantaggio veneziano. Mentre la navi occupavano il cen-
tro, galeazze e galee non erano frammischiate alle navi, come nell’ordi-
ta
nanza di Dolfin, ma erano posizionate sulla destra, formando una squadra
va
autonoma presso la riva asiatica, dove la corrente era meno forte e dove le
navi turche avevano meno probabilità di avanzare106.
er
Rianimati dal successo dell’anno prima, gli ottomani uscirono dagli
ria .
Stretti nella mattinata del 21 giugno 1655 sicuri di forzare il passaggio, pur
ra .r.l
ris
non potendo giovarsi dell’ausilio delle navi barbaresche, trattenute nel Me-
diterraneo occidentale dalla presenza di una squadra inglese inviata contro
tte S
le Reggenze da Cromwell107. Le loro trenta navi (tra cui due mercantili ar-
mati olandesi e uno inglese, noleggiati per l’occasione108) avanzarono in li-
le li
105
Le prime tre linee avevano rispettivamente di 4, 4 e 6 navi, l’ultima di 13 (la rel. par-
la di 14). Le galeazze erano verso la costa asiatica, fuori dalla corrente, le galee a poppa del-
le galeazze. BMC, Mss. Malvezzi 128, Rellatione del viaggio dell’Armata ottomana
dell’anno 1655 con la battaglia dei Castelli e altre cose notabili, c. 110v.
106
Una schema della formazione veneziana in Anderson, Naval Wars, cit., p. 154.
107
Nani, Istoria, cit., p. 346; M. Baumber, General-at-Sea. Robert Blake and the Seven-
teenth Century Revolution in Naval Warfare, London, 1989, pp. 202-206.
108
Durante la guerra di Candia gli ottomani cercarono a più riprese di imitare i veneziani
nell’ingaggio dei mercantili armati stranieri, ma la mancanza di fiducia reciproca, il timore de-
gli armatori di vedere le proprie unità distrutte dalla più forte flotta della Serenissima e i non
ottimi rapporti diplomatici con le potenze nordiche frustarono molto spesso questi tentativi.
143
Guido Candiani
prima linea sulla nave pubblica (statale) San Marco109. Le navi ottomane,
portatesi lentamente a vele ridotte fino a tiro di cannone, cominciarono a
deviare verso la costa europea, dove la corrente a favore era più forte, di-
sponendosi in linea di fila. Ciò le costrinse a procedere una dietro l’altra
sotto le fiancate delle navi della Serenissima, che le investirono con bordate
su bordate, con i cannoni che sparavano e ricaricavano senza sosta110. Alcu-
ne sultane vacillarono e cercarono di ritirarsi, investendo le navi che le se-
guivano e creando un groviglio di unità tale da dare alle artiglierie venezia-
ne un facile bersaglio. Dalla parte opposta del canale anche le unità a remi,
nonostante la larga superiorità numerica, vennero prima bloccate e poi re-
spinte dal fuoco delle artiglierie, soprattutto di quelle delle galeazze: gli
sfortunati equipaggi di tre galee, finite fuori controllo nel bel mezzo delle
navi veneziane, furono massacrati da angeli e palle incatenate111. Fino a
ta
quel momento le cose erano andate secondo i piani di Mocenigo, che diede
va
il fatidico ordine di tagliare gli ormeggi. Tuttavia un improvviso calo del
vento, il maggiore problema per le navi da guerra a vela in Mediterraneo,
er
rovinò la tempestività della manovra. Dalla destra intervennero galeazze e
ria .
galee per prendere a rimorchio le navi, ma il loro numero era insufficiente e
ra .r.l
ris
tre navi si ritrovarono isolate verso lo sbocco del canale. Mocenigo si pre-
cipitò con la San Marco riuscendo a soccorrerne due, ma la terza, l’olan-
tte S
dese David Golia, bruciò, incenerendo peraltro anche le tre sultane che l’a-
vevano abbordata insieme a una galea che era venuta in loro soccorso112.
le li
Un’altra sultana venne catturata dalla San Marco, mentre almeno due altre
tà ge
vo fuori dal canale. Il sacrificio delle unità a vela ottomane permise co-
Pr anc
munque a quelle a remi, che si erano spostate a loro volta a ridosso della
Fr
109
La San Marco, una delle navi ottomane catturate nella battaglio di Paro del 1651, era
stata riadattata e rimessa in servizio dalla Serenissima come una nave dello stato e non come
una nave noleggiata. Insieme ad altre due sultane catturate nelle stessa battaglia, andò a co-
stituire il primo nucleo di navi pubbliche della Serenissima. Candiani, I vascelli, cit.
110
Il tiro delle navi della Serenissima deve essere anche stato reso più efficace dal fatto
che le unità ancorate rappresentavano una piattaforma di tiro più stabile.
111
Gli angeli erano formati da una palla di cannone tagliata a metà e unita da una catena
o da una sbarra; come le palle incatenate, venivano normalmente utilizzati per demolire le
attrezzature delle unità avversarie.
112
Pare che il fuoco fosse stato innescato su una delle sultane dai fuochi artificiali lan-
ciati dalla David e si fosse poi esteso ad amici e nemici.
144
Vele, remi e cannoni
ta
Il 1656 vide un’escalation della collaborazione tra unità a vela e a remi.
va
Probabilmente considerando che sia la sconfitta del 1654, sia l’incompleta
vittoria del 1655 erano dovute alle scarsità di unità a remi in appoggio a
er
quelle a vela, il nuovo Capitano Generale Lorenzo Marcello (un altro dei
ria .
protagonisti della vittoria del 1651) condusse per la prima volta ai Darda-
ra .r.l
ris
nelli l’intera flotta, forte di ventotto navi, sette galeazze e trentun galee115.
Ispirandosi a Mocenigo, Marcello raggruppò le navi verso il centro del ca-
tte S
l’anno precedente. Insieme alle navi il centro aveva anche cinque galeazze,
mentre altre due galeazze e tutte le galee erano in retroguardia quale riserva
tà ge
la costa europea, dove la corrente era più forte e dove i turchi solevano ten-
tare l’uscita. Per tutta risposta, questi ultimi tentarono di sorprendere il ne-
mico passando per la riva asiatica, mai tentata prima. Qui però la costa è
op o
113
I turchi avevano cercato di assaltare la loro ex-ammiraglia con tre unità, ma il fuoco
della San Marco li aveva costretti a desistere. Sulla battaglia, cfr. ASV, PTM, filza 1328,
disp. L. Mocenigo n. 21, 24.6.1655 e all.; n. 23, 3.7.1655 e all.; G. Brusoni, Historia
dell’ultima guerra tra veneziani e turchi, Bologna, 1674, I, pp. 277-279; A. Valier, Historia
della Guerra di Candia, Venezia, 1679, p. 357; Anderson, Naval Wars, cit., pp. 154-155.
114
Nani, Istoria, cit., p. 347, afferma che i turchi persero in un modo o nell’altro quat-
tordici navi.
115
Sette delle galee erano maltesi.
116
BNM, ms. it., cl. VII, 580 (8956), Relatione della battaglia navale seguita nel canale
de Dardanelli fra le Armate Veneta et Ottomana il dì 26 giugno 1656, c. 354v; Anderson,
Naval Wars, cit., p. 160.
145
Guido Candiani
bottigliate da sole e quando, dopo alcune ore, il vento girò verso a favore
dei veneziani, la loro sorte apparve segnata. Le galee ottomane cercarono
disperatamente di prendere a rimorchio le navi per riportarle indietro, ma
l’arrivo a tutta velocità delle navi veneziane, precedute ancora da Mocenigo
sulla San Marco117, spinse le quattordici galee più vicine a mollare precipi-
tosamente i rimorchi, abbandonando una volta di più le navi ottomane al
proprio destino. Molte altre galee non poterono però seguirne l’esempio, in
quanto rimasero a loro volta bloccate dalle navi veneziane e dovettero subi-
re l’attacco delle galee della Serenissima, entrate nella mischia alla guida
del Capitano Generale Marcello. Le unità a remi ottomane, nonostante il
fuoco di copertura delle batterie che i turchi avevano posto a terra, subirono
gravi danni dalle pari classe veneziane; nel frattempo, il vento spingeva
verso terra le navi, facendole impigliare come l’anno prima l’una con l’altra
ta
e spingendo gli equipaggi a iniziarne l’abbandono. Il colpo di grazie lo die-
va
de l’arrivo delle cinque galeazze inserite nel dispositivo delle navi, le quali,
ancoratesi nel bel mezzo delle sultane, fecero strage degli equipaggi di que-
er
ste ultime con un fuoco continuo di cannoni e moschetteria. Le galee vene-
ria .
ziane catturarono unità di ogni tipo, ma le barche messe in mare dalle navi
ra .r.l
ris
per impossessarsi delle sultane furono invece respinte dai pochi turchi ri-
masti a bordo. L’agilità delle galee tornava utile anche quando di trattata di
tte S
Capitano Generale Marcello venne ucciso mentre attaccava una sultana, poi
catturata. Oltre alla morte del Capitano Generale, i veneziani lamentarono
tà ge
ra delle navi ottomane gettatesi a riva, era la più clamorosa vittoria navale
Pr anc
dai tempi di Lepanto, non inferiore a quella conseguita nel 1639 dagli olan-
desi contro gli spagnoli ai Dows. I turchi persero tutte e ventotto le loro na-
vi, cinque maone e almeno quarantacinque galee, cioè un totale di settantot-
Fr
146
Vele, remi e cannoni
ta
varono al comando supremo Lazzaro Mocenigo. Questi dovette affrontare
va
nel 1657 una situazione strategica diversa dagli anni passati, perché i turchi,
scottati dal disastro dell’anno precedente, decisero di cercare di concentrare
er
le proprie forze fuori dai Dardanelli prima dell’arrivo del nemico. Già a
ria .
marzo, il nuovo Gran Visir Köprülü riuscì a far salpare da Istanbul una
ra .r.l
ris
squadra di trentadue galee. Queste, dopo aver tentato senza esito di ripren-
dere l’isola di Tenedo, importante posizione strategica di fronte ai Darda-
tte S
nelli caduta in mano veneziana, come la vicina Lemno, in seguito alla vitto-
ria del 1656, si portarono prima a Mitilene e poi a Chio120. Qui dovevano
le li
essere raggiunta sia dalle beylere, sia dalle navi barbaresche, chiamate in
tà ge
ture per frenare le unità barbaresche. I cannoni di grosso calibro delle gale-
Pr anc
ai Dardanelli per bloccare il resto della flotta ottomana, che si andava fatico-
samente allestendo a Istanbul e il cui obiettivo principale rimaneva la ricon-
119
Sulla battaglia, nella quale i turchi ammisero la perdita di cinque mila uomini, cfr.
ASV, PTM, filza 1222, disp. Provveditore d’Armata Barbaro Badoer n. 4, 30.6.1656 e all.;
filza 1328, lett. L. Mocenigo 1.8.1656; Relatione…26.6.1656, cit., cc. 354v-356v; Valier,
Historia, cit., pp. 379-380, 382; Brusoni, Historia, cit., I, pp. 298-301; Anderson, Naval
Wars, cit., pp. 159-161.
120
Anderson, Naval Wars, cit., p. 162.
121
ASV, PTM, filza 1098, dispacci Capitano Generale da Mar Lazzaro Mocenigo, n. 16,
5.5.1657 e all.ti.
147
Guido Candiani
quista di Tenedo. La squadra di Bembo non era però l’armata compatta gui-
data da Marcello nel 1656, ma ricalcava le formazioni degli anni precedenti,
con sole quattro galee ad affiancare venti navi e sette galeazze. Ciò era dovu-
to sia alla dispersione di forze che la precoce uscita della squadra ottomana e
l’arrivo dei barbareschi avevano determinato anche in campo veneziano, sia a
un contingente problema di acqua, che aveva costretto la maggior parte delle
galee giunte ai Dardanelli ad allontanarsi, senza poi riuscire a ritornare a cau-
sa del forte vento contrario122. Di conseguenza la battaglia che seguì, combat-
tuta il 17 luglio, portò come altre volte in passato a una vittoria incompleta. I
turchi tornarono a forzare il passaggio verso la costa europea, avanzando con
le navi – diciotto sultane – sempre in testa, seguite da due maone e da trenta
galee, mentre altre otto maone dovevano tenere impegnato il grosso della
flotta veneziana, ancoratosi presso la costa asiatica forse per facilitare il ritor-
ta
no delle galee andate a fare acqua123. Le otto maone riuscirono inizialmente a
va
bloccare le sette galeazze e alcune delle navi veneziane, ma poi la superiorità
dell’artiglieria veneziana ebbe il sopravvento e sei maone finirono affondate
er
o catturate. Tuttavia il loro sacrificio permise a tredici sultane, una maona e
ria .
almeno sei galee di passare a ridosso della costa europea e portarsi a Mitile-
ra .r.l
ris
ne. Altre cinque sultane non furono così fortunate e vennero perdute, mentre
le galee dovettero fare marcia indietro, ancorandosi sotto la protezione delle
tte S
flotta veneziana fosse stato presente, la vittoria sarebbe stata totale come nel
1656, anche se Bembo sottolineò come i turchi si fossero battuti con una de-
tà ge
Mocenigo arrivò ai Dardanelli con altre ventotto galee solo ad azione conclu-
sa, senza poter neppure intercettare le unità turche che avevano forzato gli
op o
Stretti. Due giorni dopo, il 19 luglio, Mocenigo avanzò con sole dodici galee
Pr anc
scelte per andare ad attaccare le ventidue galee turche rimaste ancoratesi sot-
to la protezione delle batterie costiere. Questa volta la sua temerarietà gli fu
fatale. Dopo aver superato il fuoco di tre batterie, alla quarta la sua galea fu
Fr
centrata nel deposito munizioni e saltò in aria, uccidendolo sul colpo. La de-
122
In condizioni di mare e di vento difficili, aggravati nella fattispecie dalla corrente
contraria dei Dardanelli, i remi erano di ben poco aiuto.
123
A Bembo erano rimaste quattro galee, che però gli servivano solo per fare un po’
d’acqua sul posto.
124
Sulla battaglia del 17 luglio 1657, cfr. ASV, PTM, filza 1328, dispacci Capitano del-
le Navi Marco Bembo, n. 26, 22.7.1657. BNM, ms. it., cl. VII, 580 (8956), Relatione del fat-
to seguito contro l’Armata Turchesca il giorno di 17 luglio 1657 a Dardanelli con la morte
del Cap.no Generale Veneto, c. 350v; Brusoni, Historia, cit., II, p. 10; Valier, Historia, cit.,
p. 415; Anderson, Naval Wars, cit., pp. 164-166.
148
Vele, remi e cannoni
ta
un semplice serbatoio di uomini per le difese a terra128. Accanto alle opera-
va
zioni anfibie, ma sovente in subordine ad esse, la flotta veneziana tentò,
senza troppo successo, di frenare i soccorsi che da ogni parte i turchi invia-
er
vano a Creta, impegnandosi soprattutto a chiudere l’accesso a Canea, tal-
ria .
volta spingendosi a oriente per intercettare l’importante traffico mercantile
ra .r.l
ris
tra Alessandria e Istanbul129. Senza la focalizzazione su di un obiettivo ben
definito, le due componenti della flotta veneziana presero ad agire separa-
tte S
125
Brusoni, Historia, cit., II, p. 22; Valier, Historia, cit., pp. 420-421; Nani Mocenigo,
rie An
Storia della marina veneziana, cit., pp. 197-205; Anderson, Naval Wars, cit., pp. 166-167.
126
Nella notte tra l’8 e il 9 marzo 1668 venti galee veneziane (in pratica l’intera Armata
sottile senza le galeazze) tesero un’imboscata a dodici galee ottomane, catturandone cinque.
op o
Cfr. Brusoni, Historia, cit., II, pp. 216-218. È questo, insieme all’attacco a Valona del 1638,
Pr anc
l’unico scontro di rilievo nel periodo qui considerato che ebbe per protagoniste in entrambe
le flotte esclusivamente unità a remi.
127
Sul carattere tradizionalmente anfibio della guerra navale in Mediterraneo, cfr.
Guilmartin, Gunpowder and Galleys, cit., p. 57.
Fr
128
Sovente delle flotte sono state ridotte all’impotenza dopo essersi chiuse in una base –
basti pensare alla squadra francese a Brest durante le guerre napoleoniche o a quella russa a
Sebastopoli durante la guerra di Crimea. A differenza dei casi citati però, Morosini non era im-
bottigliato da un avversario superiore, ma la sua era una scelta strategica di fondo, tanto che il
Senato veneziano cercò più volte di costringerlo a dare maggior impulso alle operazioni navali.
129
Si trattava della cosiddetta Carovana di Alessandria. Cfr. D. Panzac, La carovane
marittime. Marins européens et marchands ottomans en Méditerranée (1680-1830), Paris,
2004, pp. 9-25.
130
Nel 1662 ad esempio, galee e galeazze operarono da sole contro la Carovana di Alessan-
dria, catturandone una parte nelle acque di Lero, pur essendo l’attacco al traffico una dei compiti
che meglio si adattavano alle navi. Su questa azione, cfr. Brusoni, Historia, cit., II, pp. 110-112.
149
Guido Candiani
ta
militare132, la Serenissima aveva intrapreso la costruzione di una propria
va
squadra da battaglia di navi da guerra, adottando anche la nuova tattica della
linea di fila che si era imposta nelle guerre anglo-olandesi dei decenni prece-
er
denti133. Come vedremo, la nuova tattica incise in maniera particolarmente
ria .
negativa sul problema della cooperazione tra le unità a vela e quelle a remi,
ra .r.l
ris
rendendola nella pratica impossibile. Anche a livello strategico, l’evoluzione
nel naviglio a vela, sempre più agile e boliniero, rese l’integrazione delle
tte S
Come già durante la guerra di Candia, anche gli anni iniziali della guer-
ra di Morea (1684-1699) non videro scontri navali di particolare rilievo,
tà ge
evitare per quanto possibile il confronto. Nel 1686 ci furono due battaglie
di una certa importanza, combattuta tra le isole di Nacaria e di Nasso la
prima, nel Canale di Mitilene la seconda, seguite da una seconda battaglia
op o
nello stesso Canale nel 1690. In tutte e tre gli scontri i veneziani misero in
Pr anc
campo solo navi, come fecero anche i turchi nella prima battaglia del 1686,
da ricordare più che altro per il fatto di essere stata il primo scontro a vede-
re adottata in Levante la tattica della linea di fila. Nei due successivi com-
Fr
150
Vele, remi e cannoni
to nella battaglia del 1690, entrambi gli scontri misero in risalto le qualità
difensive della linea di fila e l’incapacità delle galee a scalfirla, anche a
causa del forte armamento a prua e a poppa di cui erano ancora dotate le
navi della Serenissima134.
Il fatto che in questi primi combattimenti i veneziani allineassero solo
unità a vela era dovuto alla scelta di far agire le due componenti della flotta
in teatri operativi diversi, riprendendo così la divaricazione creatasi nelle
fasi conclusive della guerra di Candia. Non a caso era stato nominato anco-
ra Capitano Generale da Mar Francesco Morosini, che impiegò le unità a
remi in una serie di riuscite campagne anfibie contro la penisola peloponne-
siaca. Nel frattempo quelle a vela cercavano, con poca fortuna, di spazzare
via la debole ma elusiva flotta ottomana dall’Egeo. Sfruttando soprattutto i
propri ancoraggi fortificati, quali Chio e Rodi, gli ottomani riuscirono a te-
ta
nere a scacco le navi della Serenissima, i cui comandanti non avevano né la
va
logistica, né talvolta la pazienza, per attuare blocchi prolungati come quelli
che si erano visti un trentennio prima ai Dardanelli135. Se il prudente impie-
er
go della flotta ottomana non aiutò l’esercito, pressato in Grecia da Morosi-
ria .
ni, le permise almeno di sopravvivere in attesa di tempi migliori, creando
ra .r.l
ris
nel contempo un forte sentimento di frustrazione tra i veneziani, che si a-
spettavano molto, probabilmente troppo, dalla loro nuova squadra velica.
tte S
Morosini (tornato a Venezia nel 1689 dopo essere stato eletto Doge l’anno
precedente), portò nel 1691 alla prima operazione congiunta tra l’Armata
tà ge
grossa e quella sottile della guerra. L’offensiva combinata, il cui aspetto più
rie An
saliente fu una sterile incursione fino alle acque di Tenedo, non diede risultati
migliori del passato e la flotta ottomana rimase più che mai elusiva.
L’operazione evidenziò inoltre come fosse tornato a essere difficile far navi-
op o
gare insieme navi e galee. Se però un secolo prima erano state le lente e im-
Pr anc
pacciate unità a vela a creare i maggiori problemi, ora erano quelle a remi, e
soprattutto le galeazze, a mostrare la propria inferiorità nella navigazione, in
particolare quando si trattava di stringere il vento se il mare che rinforzava.
Fr
151
Guido Candiani
ta
pero. La reazione della Porta non si fece attendere e tra il 1695 e il 1698 le
va
due flotte si affrontarono per nove volte, trasformando l’Egeo nell’epicen-
tro della guerra navale del tempo. Le prime due di queste battaglie furono
er
combattute per il diretto controllo dell’isola di Chio e videro prevalere gli
ria .
ottomani, che poterono rioccupare l’isola, abbandonata dal nemico. Sotto il
ra .r.l
ris
profilo della collaborazione tra unità a vela e a remi, questi due scontri mo-
strarono anche sul piano tattico l’impossibilità di un’azione comune, già e-
tte S
videnziatasi su quello strategico. Nella nuova linea di fila non c’era posto
le li
zioni del vento lo richiedevano, alle galee poteva spettare il compito di ri-
rie An
morchiare le navi nella posizione loro assegnata nella linea, ma poi dove-
vano ritirarsi per lasciare campo libero alle unità a vela.
Nella prima battaglia, avvenuta il 9 febbraio 1695 a nord delle isole
op o
Spalmadori, poste nel mezzo del canale che separava Chio e la terraferma,
Pr anc
136
In realtà, sull’evoluzione della galea dopo la seconda metà del Cinquecento si cono-
sce poco e quelle dell’a. sono solo supposizioni. L’impressione ricavata dalle fonti venezia-
ne è che galee più grandi tenessero meglio il mare se agitato, ma che stringessero peggio il
vento. Quando i veneziani persero Creta, divenne molto difficile per loro iniziare
un’offensiva con le unità a remi per tempo, prima che il Meltemi immobilizzasse l’Armata
sottile o la costringesse a lunghe e penose navigazioni.
137
Sui limiti alla navigazione posti dall’Egeo, J.H. Pryor, Geography, technology, and
war. Studies in the maritime history of the Mediterranean, 649-1571, Cambridge, 1988.
138
L’obiettivo principale erano le nuove navi da guerra che gli ottomani stavano met-
tendo in servizio e che minacciavano di mettere fine alla supremazia navale veneziana con-
quistata durante la guerra di Candia.
152
Vele, remi e cannoni
zarono con sedici sultane per affrontare le ventuno navi veneziane, mentre
altre quattro sultane dovevano impegnare le cinque galeazze139: alle venti-
quattro galee che seguivano in seconda linea spettava il compito di affron-
tare le venti pari classe della Serenissima. Queste ultime ebbero inizialmen-
te il compito di rimorchiare le navi verso nord per cercare di ottenere il so-
pravento, ma poi, come convenuto, mollarono gli ormeggi e si spostarono
in retroguardia sulla sinistra. Peraltro il comandante veneziano, il Capitano
delle Navi Priuli, che aveva appena assunto in comando, diede troppo pre-
sto l’ordine di mollare: solo cinque navi furono messe nelle condizione di
battersi, mentre le altre sedici rimasero indietro e tagliate fuori per buona
parte dello scontro. L’errore costò caro a Priuli, che fu ucciso sull’am-
miraglia Stella Maris, saltata in aria come altre due delle cinque navi del-
l’avanguardia veneziana: a fatica, le due unità superstiti furono salvate dal
ta
provvidenziale arrivo di una sesta nave della Serenissima, che riuscì a sfrut-
va
tare un favorevole cambio di vento. Mentre le unità a vela subivano una du-
ra lezione, quelle a remi combatterono una battaglia altrettanto disordinata,
er
anche se meno sanguinosa, con alcune galee impegnatesi con serie perdite
ria .
tra gli equipaggi e altre sottrattesi, pare colpevolmente, allo scontro. Le ga-
ra .r.l
ris
leazze ebbero risultati altalenanti, dovendo essere soccorse per fronteggiare
le quattro sultane che le avevano attaccate, ma contribuendo poi a rintuzza-
tte S
re l’assalto delle galee ottomane alle proprie galee. Nel secondo scontro,
le li
combattuto dieci giorni dopo (19 febbraio 1695) nello stesso canale, ma a
sud delle Spalmadori, il mare risultò troppo agitato per l’impiego delle uni-
tà ge
tà a remi e le due flotte misero in campo solo quelle a vela. Nella battaglia
rie An
le due linee di fila si tagliarono reciprocamente più volte, senza peraltro che
una delle sue parti avesse il sopravvento. I veneziani però, troppo lontani
dalle proprie basi per riparare i danni subiti dalle proprie navi140, abbando-
op o
139
I turchi avevano ormai abbandonato le maone e il compito di controbattere le galeaz-
ze ricadeva sulle navi.
140
Si ripresentava il problema della fragilità logistica delle squadre di navi di linea del
tempo.
153
Guido Candiani
Lo schema si ripeté tre giorni dopo (18 settembre) presso Mitilene, ma que-
sta volta le unità a remi, sempre impossibilitate ad agire per il mare grosso,
riuscirono a porsi al riparo velocemente, lasciando subito campo libero alle
navi. Ciò permise al Capitano delle Navi Bartolomeo Contarini di condurre
a suo piacere lo scontro, che fu sul punto di trasformarsi in una netta vitto-
ria veneziana; tuttavia l’esplosione, forse fortuita, di una delle navi pubbli-
che, mise in disordine la squadra veneziana (le navi noleggiate si diedero
alla fuga) e l’occasione fu persa.
I pericoli corsi dall’Armata sottile nei due scontri del settembre 1695 a-
limentarono la tensione tra il Capitano Generale da Mar Alessandro Molin,
che, pur avendo il comando supremo, di fatto dirigeva le sole unità a remi,
e il Capitano delle Navi Bartolomeo Contarini. Dato che il Senato aveva
negato a Molin il permesso di portare le proprie insegne su di una nave, il
ta
Capitano Generale voleva trovare un ruolo per sé e per l’Armata sottile,
va
mentre Contarini desiderava agire con l’Armata grossa in piena libertà,
senza doversi preoccupare della presenza delle unità a remi. Qualche scre-
er
zio tra i comandanti delle due componenti della marina veneziana si era a-
ria .
vuta anche durante la guerra di Candia, ma allora la collaborazione tra navi
ra .r.l
ris
e galee era nell’ordine delle cose e in ogni caso le navi non erano ancora
considerate l’elemento preponderante della flotta. L’evoluzione successiva
tte S
operata da Morosini nella prima fase della guerra di Morea aveva per un
po’ mascherato. Era poi venuta la sconfitta di Chio che – sebbene le due
tà ge
premazia a quelle a vela. Il Senato non aveva però voluto trarre fino in fon-
Pr anc
154
Vele, remi e cannoni
ta
mantenimento del sopravento, ma intervenne anche sulla loro formazione,
va
irritando ulteriormente il già contrariato Contarini. Le galee, pur bersagliate
dai turchi, fecero effettivamente il loro dovere, rimorchiando le navi fin
er
verso la testa della formazione ottomana, ma i turchi riuscirono a ridurre gli
ria .
intervalli tra le unità della loro linea e costrinsero i veneziani, non altrettan-
ra .r.l
ris
to pronti a ridurre le distanze tra le navi, forse anche per i contrasti tra Mo-
lin e Contarini, a portare al fuoco solo una parte delle proprie unità.
tte S
Nonostante solo una parte della linea veneziana fosse effettivamente im-
le li
ogni costo il posto assegnatole, impediva alle navi del centro e della coda ve-
rie An
il fuoco delle grandi colubrine di prua delle grandi unità a remi era stato con-
Pr anc
trobattuto con successo dai cannoni di poppa delle sultane, dimostrando che
la galeazza aveva perso anche il vantaggio del calibro, principale ragione del-
la sua permanenza in servizio. Lo scacco non demoralizzò Molin e quando
Fr
155
Guido Candiani
danneggiare seriamente i robusti scafi delle navi ottomane, molto più podero-
se delle unità affrontate durante la guerra di Candia. Ripreso un minimo di
coesione, i turchi virarono di bordo e si ritirarono, ben poco disturbarti
dall’attacco dell’Armata sottile142. Lo scontro suonò come una campana a
morte per le galeazze e il Senato chiese di disarmarne almeno due delle sei
unità in servizio. Ma anche le galee, pur avendo avuto un’ottima opportunità,
si erano mostrate incapace di ottenere risultati di rilievo. Non a caso Molin
chiese nuovamente di imbarcarsi su una nave e, per quanto il Senato gli op-
ponesse alla fine un nuovo rifiuto, questo volta la sua richiesta fu presa in
considerazione molto più seriamente143.
I nodi irrisolti del rapporto tra Armata grossa e sottile vennero al pettine
nel 1697. Dopo essere rimastati sulla difensiva nelle due campagne prece-
denti, i veneziani tornarono all’attacco, riuscendo a portarsi entro la fine di
ta
giugno ai Dardanelli con l’intera flotta, venticinque navi, sei galeazze144 e
va
venti galee, con l’obiettivo di riproporre un blocco militare sulla falsariga
di quelli degni anni 1650’. Gli ottomani però li avevano anticipati ed erano
er
già fuori dai Dardanelli. Dopo alcune schermaglie nelle acque di Tenedo, il
ria .
pomeriggio del 5 luglio le due flotte si disposero in ordine di battaglia. I
ra .r.l
ris
turchi allineavano solo navi (venti sultane e sei unità tripoline) e i veneziani
si mossero all’attacco con la sola Armata grossa. Le navi della Serenissima
tte S
ancora più irritante la presenza del Capitano Generale con l’Armata sottile,
che limitava ulteriormente la sua libertà d’azione. Mentre Molin si attende-
va di veder salire Contarini sulla galea generalizia per concordare le pros-
op o
sime mosse, il Capitano delle Navi mandò a dirgli che il suo compito era di
Pr anc
Collegio Relazioni, b. 57, n. 3, rel. M. Zorzi. Il solo pezzo che poteva variare era quello di
corsia, dove, a seconda delle esigenze, si potevano alternare cannoni o colubrine, con calibri
oscillanti dal genere da 20 a quello da 50. Cfr. ad esempio ib., Senato Mar, filza 374,
Fr
156
Vele, remi e cannoni
combattere i turchi, non di badare alle galee; quindi, vedendo i turchi pren-
dere rotta verso Lemno, si diresse sulle loro tracce, lasciandosi senz’altro
alle spalle galee e galeazze. Molin era però ben deciso a non perderlo di vi-
sta e condusse, nel mare che ingrossava, le unità a remi all’inseguimento di
quelle a vela. Ben presto comunque riapparvero i limiti nella navigazione di
bolina delle unità a remi e in particolare delle galeazze. Le sei unità di que-
sto tipo cominciarono a scadere sottovento verso i turchi e intorno alla
mezzanotte Molin dovette chiedere a Contarini di interporsi tra tre galeaz-
ze, ormai prossime a finire in mezzo ai nemici, e le navi ottomane. La ma-
novra riuscì, ma le navi veneziane persero progressivamente il sopravento,
che Contarini si era ingegnato fino ad allora di mantenere. La posizione
dell’Armata sottile peggiorò sempre più e all’alba del 6 luglio Contarini si
vide costretto a lanciarsi senza esitazione all’attacco per salvare le unità a
ta
remi, nonostante il disordine in cui era stata posta anche l’Armata grossa
va
dalle varie manovre e contromanovre della notte. Seguirono una decina di
ore di combattimento estremamente confuso, con le galee che tagliavano
er
per ogni dove la rotta alle navi, spezzando ad un certo punto l’Armata gros-
ria .
sa in due tronconi. Per puro caso una sola galea della Repubblica venne cat-
ra .r.l
ris
turata, mentre il resto dell’Armata sottile, protetta dalle navi, riusciva a sot-
trarsi progressivamente allo scontro, senza peraltro poter dare alcun contri-
tte S
buto. Armata grossa e sottile rimasero divise e soltanto dopo una settimana
riuscirono a riunirsi nell’isola di Sciro, dall’altra parte dell’Egeo145.
le li
La battaglia di Lemno sembrò aver dimostrato una volta per tutte l’im-
tà ge
ogni caso il Capitano Generale venne sostituito poco dopo e l’Armata gros-
Pr anc
sa combatté le ultime due battaglie della prima guerra di Morea senza l’in-
gombrante presenza di quella sottile, destinata ad altri teatri, per quanto ciò
non le consentisse egualmente di ottenere quella grande vittoria che Vene-
Fr
157
Guido Candiani
ta
fece rinascere le tensioni che si erano viste negli ultimi anni della prima
va
guerra di Morea. È interessante notare che nell’occasione fu soprattutto il
comandante delle forze ausiliare, il Bailli dell’Ordine di Malta Bellefontai-
er
ne, a voler assolutamente agire con l’appoggio dell’Armata sottile, mo-
ria .
strando che a Ponente la galea conservava un prestigio tattico che a Levante
ra .r.l
ris
aveva ormai perduto149. Peraltro nella navigazione di conserva a sud della
Morea, dove la flotta veneziana si era concentrata, le galee si confermarono
tte S
da una cinquantina di navi senza unità a remi, che i turchi avevano definiti-
rie An
147
Peraltro, nella battaglia del 16 giugno, fu il grave ferimento del comandante venezia-
Pr anc
ausiliaria da lui diretta non aveva galee ma solo navi, otto portoghesi e due pontificio-
maltesi. Jacques-Auguste Maynard de Bellefontaine, Bailli dell’Ordine di Malta (un grado
attribuito ai titolari di una comanderai dell’Ordine importante), aveva raggiunto nella marina
francese il grado di Luogotenente Generale. M. Vergé-Franceschi, Les officiers généraux de
la marine royale (1715-1774), Origines-Conditions-Services, V, Paris, 1990, pp. 2048-2050.
150
ASV, PTM, filza 1340, disp. M. Diedo, n. 8, 16.7.1717.
151
In totale, l’Armata sottile aveva in quel momento ventisei-ventisette galee, di cui tre-
dici veneziane, cinque maltesi, quattro pontificie, due-tre toscane e due genovesi. Entrambe
le galeazze veneziane erano state lasciate indietro per non essere d’impaccio nella naviga-
zione. ASV, PTM, filza 1138, disp. A. Pisani n. 86, 14.11.1717; Anderson, Naval Wars, cit.,
p. 254; Nani Mocenigo, Storia della marina veneziana, cit., p. 336.
158
Vele, remi e cannoni
delle navi, ma nella fattispecie esse non riuscirono a evitare che si formasse
un groviglio di navi al centro della formazione veneziana. Solo dopo tre ore
di faticosi sforzi le galee riuscirono a costituire una linea approssimativa di
non più di una quindicina di vascelli, mentre le altre navi seguivano in gran
disordine. Nel corso della battaglia, le galee rimasero sempre dietro alle navi,
in un ruolo non di appoggio, ma di preda designata per le navi ottomane.
Come accaduto nella battaglia di Lemno del 1697, in almeno due occasioni le
navi dovette rinunciare a delle opportunità tattiche molto favorevoli per anda-
re a coprire le galee, gravemente minacciate dalle unità turche152. Ma se a
Lemno la principale responsabilità poteva essere attribuita alle galeazze, ora
non vi erano più alibi, tanto più che le condizioni del mare rimasero calme
per tutta la giornata. Come già detto, nella linea non vi era posto alcuno per le
galee. Costrette ad agire lontano dalle proprie navi in formazioni del tutto au-
ta
tonome, esse non avevano la forza difensiva per tenere testa alle navi nemi-
va
che che le attaccassero153 e dovevano venire coperte dalla proprie unità a ve-
la, riportando queste ultime a una formazione mista la quale era la negazione
er
delle linea di fila, che i loro comandanti non erano eventualmente disposti ad
ria .
adattare, chiudendo così un cerchio insolubile. Le battaglie diventavano così
ra .r.l
ris
scontri tra navi nei quali la capacità difensiva della linea precludeva quasi
sempre risultati decisivi, intervallati da pericolose incursioni delle navi nemi-
tte S
che contro le proprie galee che costringevano le navi amiche a venire in loro
le li
soccorso e che rendevano ancora meno incisivo lo scontro tra le rispettive li-
nee. Per certi versi, le squadre di galee apparivano dei convogli che le navi
tà ge
Matapan, in una battaglia durata tre giorni di fila, anche i veneziani allinea-
Pr anc
rono solo unità a vela, avendo lasciato quelle a remi in Adriatico ad agire
152
Prima che le navi potessero arrivare in loro soccorso, sia la galea del Capitano Gene-
rale Pisani, sia l’ammiraglia pontificia vennero seriamente colpite. La galea di Pisani fu cen-
Fr
trata almeno quattro volte, ricevendo un colpo molto pericoloso al timone, mentre l’ammira-
glia pontificia incassò una rovinosa cannonata sotto la linea di galleggiamento. Sulla batta-
glia, cfr. ASV, PTM, filza 1340, disp. M. Diedo, n. 9, 20.7.1717; n. 10, 7.8.1717 e all.ti; fil-
za 1342, disp. Capitano Straordinario delle Navi M. Diedo n. 3, 30.8.1717; filza 1138, disp.
A. Pisani n. 71, 1.8.1717 e all.ti; n. 79, 9.9.1717; BMC, ms. Morosini-Grimani, busta 563;
BNM, ms. It, Cl. VII, 384 (10048), Motioni marittime della flotta veneta e squadre ausilia-
rie, cc. 6-9, 12.
153
Secondo Guilmartin, la classica disposizione in linea di fronte delle galee poteva es-
sere una potente formazione difensiva nel caso di grandi flotte a remi (come quelle che ope-
ravano nel Cinquecento), ma non con squadre relativamente limitate (come quelle del Sei-
cento). Guilmartin, Gunpowder and Galleys, cit., p. 75.
159
Guido Candiani
ta
delle unità a remi getta una luce piuttosto diversa sul tradizionale quadro di
va
immobilismo della guerra navale mediterranea, per quanto riguarda invece
l’impiego congiunto di navi e galee, la periodizzazione gioca un ruolo impor-
er
tante. Tutte le battaglie combattute esclusivamente da navi si verificarono in-
ria .
fatti dopo il 1646 e, se consideriamo le battaglie combattute fino alla fine del-
ra .r.l
ris
la guerra di Candia (1669), solo tre su quattordici (21%) ebbero quali prota-
goniste esclusivamente le unità a vela. Con le due guerre di Morea le cose
tte S
tute in solitario dalle unità a vela, lasciando solo le altre quattro a una (forza-
ta) collaborazione con le unità a remi. Ciò non fa che ribadire il fatto che
tà ge
l’apogeo della collaborazione tra unità a vela e a remi sia stato raggiunto du-
rie An
non si erano ancora sviluppate del tutto, l’intesa tra unità a vela e a remi fun-
Pr anc
zionò piuttosto bene, portando alla grande vittoria veneziana ai Dardanelli del
1656, una dei più considerevoli successi conseguiti nella storia navale del-
Fr
154
Altre sedici battaglie, svoltesi tutte dopo il 1645, videro l’impiego delle sole navi,
mentre solo cinque scontri, compreso Lepanto, ebbero quali protagoniste esclusivamente le
unità a remi: se consideriamo che Lepanto fu la sola battaglia esclusivamente tra navi a remi
in tutto il Cinquecento veneziano, possiamo vedere come essa rappresenti un’eccezione e
non la norma. Di questi trentatre scontri navali – tutti, eccetto uno, svoltisi contro i turchi –
tre vennero combattuti durante la guerra di Cipro, uno nella guerra contro il duca di Ossuna,
uno contro i Barbareschi nel 1638, undici nella guerra di Candia, dodici nella prima guerra
di Morea e cinque nella seconda guerra di Morea. In sostanza, nei settant’anni tra il 1570 e il
1645 si registrarono solo cinque battaglie, rispetto a ventotto nei successivi settantatre anni,
evidenziando in quale misura gli ultimi tre conflitti veneto-ottomane riportassero la “grande
guerra” nel Mediterraneo orientale.
160
Vele, remi e cannoni
ta
state combattute solo da navi e che anche il Capitano Generale da Mar a-
va
vrebbe posto le proprie insegne su di un vascello. Alle galee sarebbero rima-
sti compiti meno appariscenti, ma non per questo meno importanti, quali
er
l’appoggio alle operazioni anfibie o il veloce rifornimento di posizioni avan-
ria .
zate. Non a caso, la galea non scomparirà dalla scena almeno fino ai primi
ra .r.l
ris
decenni del XIX secolo e non rimarrà, come si potrebbe immaginare, quale
svalutato relitto di un’epoca passata, ma come la risposta migliore a specifi-
tte S
qual modo sempre in mezzo al guado. Criticate fin dal loro apparire, e nono-
rie An
d’essere nella forza delle loro artiglierie, molto più numerose di quelle delle
Pr anc
galee e di un calibro tale che le navi impiegate nel Levante non erano ini-
zialmente capaci né di sostenere, né di affrontare156. Integrate nell’Armata
Fr
155
La recente adozione da parte della marina statunitense (ma con forti influenze euro-
pee) del concetto di Littoral Combat Ship (LCS) getta qualche luce sul ritorno, anche in am-
bito navale e ovviamente con mezzi profondamente mutati, di idee che la storia e le teorie
blue navy di stampo mahaniano sembravano aver inesorabilmente condannato.
156
Va registrata la spiacevole sorpresa avuta delle navi inglesi condotte in Mediterraneo da
Sir Kenneth Digby quando il 21 giugno 1628 attaccarono nel porto di Alessandretta due gale-
azze, che scortavano due navi veneziane cariche di merci. CSP, Venetian, XXI, pp. 136-139,
507-509; Sir Kenelm Digby. Viaggio piratesco nel Mediterraneo, 1627-1629, a cura di V. Ga-
brieli, Milano, 1972, pp. 91-92, 174-184. Le maggiori navi da guerra inglesi avevano anch’esse
cannoni di calibro analogo alle galeazze (ad esempio nel 1622 la Prince Royal aveva 2 cannoni
da 32 pdr e 2 da 24 pdr, cfr. F. Fox, Great Ships. The Battlefleet of King Charles II, London,
161
Guido Candiani
ta
va
er
ria .
ra .r.l
ris
tte S
le li
tà ge
rie An
op o
Pr anc
1980, p. 32) ma queste grandi unità erano in grado di operare solo vicino alla proprie basi na-
zionali. Le navi che agivano Mediterraneo erano invece mercantili armati che, per quanto po-
derosi, imbarcavano pezzi di calibro inferiore, solitamente, come detto, non superiori a dei 12
Fr
pdr. Ciò era anche dovuto al fatto che esse avevano quasi sempre cannoni in ferro, più econo-
mici ma di peso maggiore rispetto a quelli di bronzo del medesimo calibro; inoltre i cannoni di
ferro andavano maggiormente soggetti al riscaldamento e dovevano essere raffreddati più spes-
so, rallentando la rapidità del tiro in un’eventuale battaglia.
157
Le due galeazze erano considerate una fucina di addestramento per rematori e mari-
nai nel caso si decidesse un loro futuro riarmo.
158
Va peraltro osservato, a conferma di quanto possano essere relative le valutazioni
sull’evoluzione della tecnologia navale, che negli anni 1690’, proprio quando le galeazze
veneziane entravano definitivamente in crisi, in Inghilterra si propose di abbandonare la co-
struzione dei vascelli di linea a favore di quella delle galeazze. B. Lavery, The Ship of the
Line, I, London, 1984, p. 59.
162