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Vele, remi e cannoni: l’impiego congiunto di navi,

galee e galeazze nella flotta veneziana, 1572-1718∗


Guido Candiani

ta
Nel secolo e mezzo che seguì la battaglia di Lepanto, la marina venezia-

va
na si trasformò da una flotta incentrata sulle unità a remi in una basata so-
prattutto su quelle a vela. Mentre il baricentro si spostava progressivamente

er
dal remo alla vela, le due anime che componevano la marina della Repub-
ria .
blica vennero chiamate a operare congiuntamente nella varie campagne na-
ra .r.l
ris
vali che videro impegnata la Serenissima. La cooperazione si rilevò diffici-
le e fornì risultati spesso deludenti, salvo durante il primo decennio della
tte S

guerra di Candia (1645-1669). Scopo di questo saggio è analizzare le carat-


le li

teristiche e le modalità di queste operazioni congiunte, cercando di eviden-


ziare i presupposti dei molti insuccessi, e del breve periodo di fortuna, di
tà ge

una collaborazione sovente obbligata.


rie An

1. Dallo Zonchio a Brindisi passando per Cipro (1499-1617)


op o

La presenza nella marina veneziana di un numero rilevante di navi accan-


Pr anc

to alle più tradizionali unità a remi risale almeno alla seconda metà del Quat-
trocento1. Dopo i notevoli successi registrati dagli ottomani nella prima guer-
Fr

ra veneto-turca (1463-1479) grazie anche all’impiego sulle proprie navi di ar-


tiglierie di grosso calibro, la Serenissima avviò una politica di sovvenzioni ai
privati per la costruzione di grandi navi commerciali impiegabili anche mili-


Abbreviazioni: ASV=Archivio di Stato di Venezia; BMC=Biblioteca del Museo Cor-
rer; BNM=Biblioteca Nazionale Marciana; CSP=Calendar of State Papers; DBI=Dizionario
Biografico degli Italiani.
1
Cfr. G. Candiani, I vascelli della Serenissima, Venezia, 2009, pp. 5-8. Molti dei temi
considerati in queste pagine sono affrontati nel citato volume, cui si rimanda per eventuali
integrazioni e approfondimenti.

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Vele, remi e cannoni

tarmente e nel contempo ordinò la costruzione di qualche nave da guerra. La


Repubblica seguiva così una tendenza comune alle altre potenze marittime
europee e indirizzata alla costruzione di grandi navi armate di cannoni pesan-
ti, in grado non solo di colpire gli equipaggi, come facevano le bocche da
fuoco di piccolo calibro impiegate fino ad allora, ma anche di danneggiare
seriamente scafo e attrezzature2. Veneziani e ottomani furono all’avanguardia
nell’adozione delle grandi navi armate di artiglierie poderose, ma nella batta-
glia dello Zonchio (oggi Navarino, 12.8.1499) esse dimostrarono di essere
ancora immature per un efficace impiego militare3. Nonostante l’impressione
suscitata nello scontro dai grandi cannoni turchi4, i due contendenti rimasero
nel complesso insoddisfatti dell’impiego delle grandi navi, le uniche in grado
d’imbarcare i cannoni pesanti, che si dimostrarono scarsamente manovrabili
e molto difficili da coordinare con le navi più piccole e con le galee5. I limiti

ta
manifestati dalle navi spinsero non solo i veneziani e gli ottomani, ma anche

va
le altre potenze mediterranee, a raffreddare l’interesse verso le unità a vela e
a puntare di nuovo su quelle a remi, che erano in grado d’impiegare con mag-

er
gior profitto le artiglierie pesanti. Le galee godettero così per buona parte del
ria .
XVI secolo di una seconda giovinezza, tanto da trovare spazio anche nei mari
ra .r.l
ris
dell’Europa settentrionale6.
Anche il successivo conflitto tra la Serenissima e l’Impero Ottomano
tte S

(1537-1540) confermò i limiti delle navi dell’epoca. Nella battaglia di Pre-


vesa (27.9.1538) una barza7 e un grande galeone veneziani vennero posti in
le li
tà ge

2
Cfr. J. Glete, Warfare at Sea. Maritime Conflicts and the Transformation of Europe,
London-New York, 2000, p. 138.
rie An

3
Cfr. M. Sanudo, I Diari, II, Bologna, 1969, col.ne 568-570, 1244, 1290-1292; F.C. La-
ne, Le operazioni navali e l’organizzazione della flotta, 1499-1502, in Idem, Le navi di Ve-
nezia, Torino, 1983, pp. 260-262; J.F. Guilmartin Jr., Gunpowder and Galleys. Changing
op o

Technology and Mediterranean Warfare at Sea in the Sixteenth Century, London-New


Pr anc

York, 1974, pp. 86-88; Glete, Warfare at Sea, cit., pp. 93-95.
4
Il tiro delle artiglierie ottomane affondò una nave veneziana più piccola, forse il primo
caso del genere accertato. Sanudo, Diari, II, cit., col. 1258; Lane, Le operazioni navali, cit.,
pp. 261, 264; K. De Vries, The Effectiveness of Fifteenth-Century Shipboard Artillery, in
Fr

«Mariner’s Mirror», 84 (1998), p. 396, n. 1.


5
Nella campagna successiva a quella della battaglia di Zonchio, il nuovo comandante ve-
neziano lamentò espressamente la lentezza delle barze. Lane, Le operazioni navali, cit., p. 280.
6
Per lo stretto rapporto tra galee e cannoni pesanti, cfr. Guilmartin, Gunpowder and
Galleys, cit., pp. 156-175, 295-303; Glete, Warfare at Sea, cit., pp. 27-28. Per le squadre di
galee impiegate nei mari settentrionali da Spagna, Francia, Inghilterra, Scozia e Danimarca,
cfr. N.A.M. Rodger, The Safeguard of the Sea. A Naval History of Britain 660-1649, Lon-
don, 1997, pp. 166-167, 170-172, 183-187, 208-212, 289-293; Glete, Warfare at Sea, cit.,
pp. 139-143.
7
Si trattava di un tipo di nave a vela simile alla caracca medievale ma, teoricamente, più
veloce.

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Guido Candiani

posizione non più offensiva, come allo Zonchio, ma difensiva, allo scopo di
rompere la coesione della flotta ottomana che avanzava. La battaglia tutta-
via non andò secondo le previsioni e nella confusa ritirata che seguì lo
scontro principale, galeone e barza, rimasti indietro, dovettero destreggiarsi
da soli contro numerose galee ottomane. Se la loro difesa fu un indubbio
successo tattico, altre due navi veneziane e due spagnole furono meno for-
tunate e vennero affondate con pesanti perdite umane8. L’esperienza del
1538 confermò quella del 1499: le navi da guerra a vela erano ancora trop-
po lente e troppo poco agili per una efficace collaborazione con le galee,
mentre la capacità di agire autonomamente restava assai circoscritta in un
mare dai venti mutevoli come il Mediterraneo. Quando nel 1545 il Senato
della Repubblica9 stabilì di mantenere in Arsenale una riserva di cento ga-
lee sottili e quattro galee grosse10, ad essa non venne aggiunta alcuna nave.

ta
La poca fiducia nell’azione delle navi trovò conferma nel corso della

va
quarta guerra veneto-turca, quella di Cipro (1570-73). Durante questo con-
flitto inoltre, le navi dovettero fronteggiare anche una nuova rivale, la gale-

er
azza, il tentativo più riuscito, tra i molti fatti dalle marine europee durante il
ria .
XVI secolo, di unire i vantaggi della vela a quelli del remo senza sacrificare
ra .r.l
ris
troppo il numero delle bocche da fuoco. Nella mobilitazione navale del
1570 dodici galeazze affiancarono le centoventicinque galee allestite dalla
tte S

Serenissima. A questa armata furono unite anche una quindicina di navi,


le li

ma nonostante la Repubblica nominasse un apposito Capitano delle Navi


per comandarle11, l’impiego delle unità a vela nelle prime due campagne di
tà ge

guerra rimase assai circoscritto.


rie An

Dopo la faticosa concentrazione delle forze veneziane e italico-spagno-


12
le durante l’estate del 1570, ritardata anche dalla grave epidemia che colpì
gli equipaggi della flotta della Serenissima, i collegati salparono da Creta
op o

per soccorrere Cipro il 18 settembre con centottantuno galee (centoventi-


Pr anc

8
P. Paruta, Istorie Veneziane, in Degl’istorici delle cose veneziane, IV, Venezia 1718, 1,
p. 64; Guilmartin, Gunpowder and Galleys, cit., pp. 42-56.
Fr

9
In questa fase della storia veneziana, le decisioni più importanti erano prese dal Senato
e da un organismo ancora più ristretto, il Consiglio dei Dieci. Dopo una riforma avvenuta
nel 1583, la direzione politica spettò al solo Senato.
10
ASV, Milizia da Mar, busta 240, 5.8.1545.
11
Il prescelto, Pietro Tron, fu fatto rientrare appositamente dall’esilio. A. Morosini, Del-
le Istorie veneziane, in Degli istorici delle cose veneziane, VI, Venezia 1718, p. 265. Tutte
le cariche superiori della flotta veneziana, dal comandante di galea (ma non di nave) in su,
erano esclusivo appannaggio del patriziato che dirigeva la Repubblica.
12
Come sottolinea Phillip Williams in questo stesso volume, la principale componente
delle forze navali spagnole del Mediterraneo era in realtà fornita dai domini italiani della
monarchia e dai suoi alleati della Penisola, in particolare la Repubblica di Genova.

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Vele, remi e cannoni

quattro veneziane, dodici pontificie e quarantacinque italico-spagnole), do-


dici galeazze e quattordici navi da guerra veneziane13. Per affrontare questa
armata sembra che i turchi avessero in mare, oltre a circa duecento unità a
remi (di cui centocinquanta tra galee, fuste e galeotte), anche sette navi da
guerra14. In tre giorni di navigazione i collegati giunsero a Castelrosso, la
più orientale delle isole del Dodecaneso, dove vennero a sapere della cadu-
ta di Nicosia, la capitale di Cipro. Seguirono accese discussioni su come
soccorrere la principale piazzaforte dell’isola rimasta in mani veneziane,
Famagosta. Respinta la proposta di uno dei comandanti della Repubblica,
Sebastiano Venier, di attaccare subito la flotta nemica15, isolando in caso di
successo le truppe turche sull’isola, ci si pose il problema se effettuare il
soccorso a Famagosta con le navi o con le galee. Venier, incaricato della
missione, riteneva le navi troppo esposte al pericolo di finire immobilizzate

ta
da una bonaccia di fronte al nemico e chiese di raggiungere Cipro con le

va
sole galee; se però si insisteva nel mandarlo con le navi, voleva almeno che
queste fossero accompagnate e protette dalle nuove galeazze16. Il Capitano

er
Generale da Mar Girolamo Zane, spalleggiato da una Consulta dei principa-
ria .
li comandanti dell’armata della Lega, era invece contrario all’impiego delle
ra .r.l
ris
galeazze, ritenute evidentemente ancora meno agili delle navi, e giudicava
più che sufficiente una squadra composta solo da queste ultime17. La diver-
tte S

sità dei pareri impedì di prendere una decisione prima che l’intera flotta si
le li

vedesse costretta a ripiegare su Creta. Conosciuta la ritirata, il Senato chie-


se a sua volta di soccorrere Famagosta, ma con l’impiego delle sole galeaz-
tà ge

ze, giudicate a Venezia le più adatte alla navigazione nell’incipiente stagio-


ne invernale18. Il susseguirsi di proposte per il soccorso a Cipro mostra la
rie An

mancanza di una dottrina condivisa sul miglior impiego dei vari tipi di uni-
tà che componevano l’armata. Quando finalmente gli aiuti furono inviati,
op o

nel gennaio del 1571, la squadra utilizzata fu un misto di navi e galee (quat-
Pr anc

tro navi con la scorta di dodici galee), senza la presenza di alcuna galeazza.
Nonostante la stagione, le galee non solo scortarono con successo le navi,
che scaricarono i rifornimenti a Famagosta, ma ebbero anche modo di atti-
Fr

rare in un’imboscata sette galee turche, tre delle quali vennero affondate a

13
Moltissime altre navi avevano solo la funzione di trasporti. Paruta, Istorie, 2, cit., p.
115; Morosini, Delle Istorie, cit., p. 325.
14
Paruta, Istorie, 2, cit., p. 80.
15
ASV, PTM, filza 729, disp. S. Venier 22.9.1570.
16
ASV, PTM, filza 729, disp. S. Venier 24.9.1570
17
ASV, PTM, filza 729, lett.re G. Zane a S. Venier 29 e 30.9.1570.
18
ASV, Senato Secreta Deliberazioni, registro 77, 21.10.1570, cc. 37r-37v.

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Guido Candiani

cannonate19. L’azione congiunta di galee e navi fu un indubbio successo


strategico, per quanto le unità a vela operassero solo come un mezzo di tra-
sporto e non bellico20. L’operazione spinse i turchi a rinforzare la guardia
navale intorno a Cipro non solo aumentando a venti il numero delle galee,
ma affiancando loro anche dieci maone (che diventeranno la versione otto-
mana delle galeazze)21 e cinque navi.
Le operazioni del 1571, sfociate nelle grande battaglia di Lepanto, vi-
dero un utilizzo ancora più limitato delle navi. Nella navigazione da Mes-
sina verso Lepanto, la flotta veneto-italico-ispanica annoverava, insieme a
circa duecentoventi galee e sei galeazze, anche venticinque navi, ma que-
ste ultime risultano essere state impiegate esclusivamente come trasporti e
non ebbero alcun ruolo nella grande battaglia del 7 ottobre. Lepanto vide
invece quali protagoniste le nuove galeazze che, utilizzate in funzione di-

ta
fensiva per spezzare l’avanzante formazione ottomana, poterono esibire

va
tutta la loro potenza di fuoco, sorprendendo gli avversari22. Il successo fu
comunque fortemente agevolato dall’incauta condotta del Kapudan Pascià

er
Müezzinzâde, il quale, poco esperto di questioni marittime, decise di at-
ria .
ra .r.l
19
20
ris
Paruta, Istorie, 2, cit., p. 169.
Va notato che in uno scritto del 1539, l’ammiraglio genovese Antonio Doria aveva
tte S

escluso che galee e navi potessero mai navigare insieme. BNM, mss. it., cl. VII, 417 (7495),
Discorso del Sig. Antonio Doria sopra le cose turchesche per via di mare, c. 352; W. Bor-
le li

ghesi, Doria, Antonio, in Dizionario Biografico dei Liguri, VI, Genova, 2007, pp. 454-466,
tà ge

p. 457.
21
Paruta, Istorie, 2, cit., p. 180. Non è chiaro che tipo di unità fossero le maone del 1570.
rie An

C. Imber, The Ottoman Empire, 1300-1650: the Structure of Power, Basingstoke-New York,
2002, p. 290, sottolinea come subito dopo Lepanto gli ottomani imitarono le galeazze venezia-
ne che tanti danni avevano provocato alla loro flotta e che per la campagna del 1572 costruiro-
no quattro-cinque unità simili alle galeazze; nel Seicento, le maone erano senza dubbio un tipo
op o

di galeazza. Rimane il problema delle unità costruite precedentemente a Lepanto. E possibile


Pr anc

che durante le prime due campagne della guerra di Cipro le maone fossero solo delle galee più
grandi, magari le prime in campo ottomano ad adottare il remo alla sensile, cioè con un unico
remo per banco azionato da più rematori. Auguste Jal, Archéologie Navale, I, Paris, 1840, p.
467, riferendosi alla maona come a una galeazza, indica cinque-sei rematori per banco. Con il
Fr

termine maona si designava anche un’unità da trasporto della stessa forma della galeazza, ma
senza remi e con vele quadre. Cfr. C.H. Imber, The Navy of Süleyman the Magnificent, in «Ar-
chivum Ottomanicum», 6 (1980), pp. 211-282, in particolare p. 280.
22
Sul ruolo delle galeazze a Lepanto e sul loro armamento, cfr. M. Morin La battaglia
di Lepanto: alcuni aspetti della tecnologia veneziana, in Meditando sull’evento di Lepanto,
odierne interpretazioni e memorie, a cura di M. Sbalchiero, Venezia, 2004, pp. 69-77 in par-
ticolare pp. 71-72; J.R. Hale, Men and Weapons: the Fighting Potential of Sixteenth-Century
Venetian Galleys, in Idem, Renaissance War Studies, London, 1983, pp. 309-331, in partico-
lare p. 314 (già edito in War and Society: a Yearbook of Military History, London, 1975, pp.
1-23); W. Panciera, Il governo delle artiglierie. Tecnologia bellica e istituzioni veneziane
nel secondo Cinquecento, Milano, 2005, pp. 23-25, 219-223.

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Vele, remi e cannoni

taccare invece di attendere l’eventuale iniziativa nemica, come gli consi-


gliavano sia i suoi migliori comandanti, sia la situazione strategica gene-
rale: la conquista di Cipro si era ormai completata ed erano i collegati a
dover cercare di concludere qualcosa prima che la cattiva stagione pones-
se fine alle operazioni della loro grande flotta così faticosamente raccol-
ta23.
L’imprudenza delle mosse ottomane a Lepanto fu confermata dall’an-
damento della campagna successiva, che mise a nudo i limiti offensivi
non solo delle navi, ma anche delle adesso rinomate galeazze. I collegati
avevano convenuto di avere a Messina entro il marzo del 1572, insieme a
duecentocinquanta galee, nove galeazze e quaranta navi24. Gli spagnoli
tuttavia rimanevano assoggettati al medesimo dilemma che da qualche
anno li teneva sulle spine e che ne avrebbe condizionato l’azione fino alla

ta
metà del Seicento, la scelta cioè tra un impegno maggiore nel Mediterra-

va
neo o nelle Fiandre25. Nella fattispecie, i timori per l’evolversi della situa-
zione in Francia, con minacciosi apprestamenti navali oltralpe in relazio-

er
ne alle Fiandre26, fecero tergiversare a lungo il governo di Madrid e trat-
ria .
tennero a Messina Don Giovanni d’Austria con il nucleo principale della
ra .r.l
ris
flotta. I veneziani, galvanizzati dalla battaglia di Lepanto, non erano di-
sposti ad attendere, per non perdere l’iniziativa che la vittoria sembrava
tte S

aver garantito ai collegati. A fine giugno, spazientito, il Senato ordinò al


nuovo Capitano Generale da Mar Giacomo Foscarini27 di agire e questi
le li

riuscì a convincere i riluttanti comandanti delle forze italico-spagnole che


tà ge

li avevano già raggiunti, Marcantonio Colonna e Gil d’Andrade, ad avan-


zare verso l’Egeo senza attendere Don Giovanni28. I due pretesero però
rie An

che, per accrescere il peso delle forze collegate di fronte alle inaspettate
op o
Pr anc

23
Cfr. N. Capponi, Lepanto 1571. La Lega Santa contro l’Impero Ottomano, Milano,
2008, pp. 212-214.
24
Ventiquattro navi dovevano essere spagnole e sedici veneziane. Morosini, Delle Isto-
Fr

rie, cit., pp. 516-517.


25
Subordinata a questa scelta di fondo c’era quella tra un’azione nel Mediterraneo o-
rientale contro l’Impero Ottomano o un’azione nel Mediterraneo occidentale contro i Barba-
reschi.
26
Paruta, Istorie, 2, cit., p. 298.
27
Il Capitano Generale da Mar (carica che esisteva solo in tempo di guerra o di crisi par-
ticolarmente gravi) era il comandante in capo della flotta e di tutte le forze veneziane pre-
senti nei domini di Levante della Serenissima. Su Foscarini, cfr. R. Zago, Foscarini, Giaco-
mo, in DBI, 49, Roma 1997, pp. 365-370.
28
BMC, Mss. Malvezzi 128, rel. Capitano Generale da Mar Giacomo Foscarini, s.d., c.
132v.

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Guido Candiani

dimensioni dell’armata ottomana29, non solo le galeazze, ma anche le na-


vi, accompagnassero le galee30.
La flotta salpò da Zante il 2 agosto 1572 con centottanta unità a remi
(solo centotrentanove delle quali sembra fossero galee vere e proprie), sei
galeazze e ventidue navi31. Mentre a ciascuna delle navi erano state asse-
gnate delle galee per il rimorchio, pare si pensasse di far operare autono-
mamente le galeazze, che pure a Lepanto erano state rimorchiate in batta-
glia dalle galee. I Turchi, diretti da Uccialli, nominato Kapudan Pascià do-
po la morte a Lepanto di Müezzinzâde, erano a Malvasia con circa duecen-
tottanta unità a remi, una quarantina delle quali fuste e galeotte32. I collegati
decisero di rinunciare ad un attacco a Malvasia non tanto per il timore della
fortezza (le cui artiglierie, poste troppo in alto, non potevano sparare con
grande efficacia verso il mare), ma per il grave impaccio che avrebbero

ta
provocato le navi – che dovevano essere necessariamente rimorchiate per

va
raggiungere il proprio posto davanti all’armata – in caso di difficoltà o,
peggio, di ritirata33. Chi prese l’iniziativa furono allora i turchi. Saputo che i

er
collegati avevano un numero inferiore di galee, Uccialli decise di avanzare,
ria .
diffondendo tra i propri equipaggi la convinzione che il nemico avesse por-
ra .r.l
ris
tato con sé le navi proprio per il timore che la flotta ottomana ancora incu-
teva; il Kapudan sottolineò inoltre cha accettare o rifiutare la battaglia sa-
tte S

rebbe stato sempre a sua discrezione, dato che la presenza di navi e galeaz-
le li

ze avrebbe impedito alle forze della Lega di imporla, una previsione che i
fatti avrebbero dimostrato esatta e che mostra come i turchi avessero ben
tà ge

assimilato la dura lezione di Lepanto34.


rie An

Il 7 agosto le due flotte si avvistarono tra Capo Malea, la punta della più
orientale tra le tre lingue del Peloponneso, e l’isola di Cerigo. Dando corso
29
op o

Sulla ripresa navale ottomana dopo Lepanto, un tema non ancora del tutto chiarito,
cfr. C. Imber, The Reconstruction of the Ottoman Fleet after the Battle of Lepanto, 1571-
Pr anc

1572, in Idem, Studies in Ottoman History and Law, Istanbul, 1996, pp. 85-101. La storio-
grafia tende ad enfatizzare la ripresa materiale della flotta, a scapito della qualità degli equi-
paggi, ma alcune osservazioni del Capitano Generale Foscarini sembrano gettare qualche
Fr

dubbio su questa visione. Cfr. nota 42.


30
In particolare Gil d’Andrade attribuiva molta importanza alla presenza delle navi. Rel.
G. Foscarini, cit., cc. 133v-134r.
31
Foscarini parla genericamente di centottanta unità a remi, Paruta fornisce i dati sulle
galee. Rel. G. Foscarini, cit., cc. 134v-136v; Paruta, Istorie, 2, cit., pp. 309-311. Secondo
Morosini, Delle Istorie, cit., p. 531, centocinque galee e diciotto navi erano veneziane, ven-
tisette galee erano spagnole e quattordici galee (tra cui due «quinqueremi») pontificie.
32
Foscarini indica duecentoventinove galee, cinque maone e quaranta tra fuste e galeot-
te. Rel. G. Foscarini, cit., c. 137v.
33
Rel. G. Foscarini, cit., c. 138r.
34
Paruta, Istorie, 2, cit., pp. 311-314.

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Vele, remi e cannoni

alla sua tattica, Uccialli mantenne compatta la propria formazione, ritiran-


dosi verso la terraferma peloponnesiaca; poi, vedendo che il vento da SE gli
dava il sopravento35, si dispose tra Cerigo e l’isola dei Cervi, girando le
prue al nemico. I turchi avevano centossessanta galee, ben armate e molto
agili, oltre a quaranta unità a remi minori; i collegati erano inferiori in nu-
mero di galee, centoquaranta36, ma avevano le sei galeazze e ventidue navi.
Come ricorda lo storico ufficiale veneziano Paolo Paruta, «prevalendo cia-
scuna dell’armate in qualche parte, e in parte essendo inferiore alla nemi-
ca», ciascuno dei due avversari cercò di attirare il nemico nel campo a lui
più favorevole. Il vento contrario rese difficile anche solo trarre le navi dei
collegati dalle bocche delle Dragonere, dove erano state ancorate per sicu-
rezza. Successivamente un debole vento prese a soffiare in favore
dell’armata veneto-ispanica, ma Uccialli riprese subito a ritirarsi a voga

ta
battuta e l’inseguimento delle lente navi e galeazze si protrasse senza frutto

va
per gran parte della giornata. Quando il Kapudan, raggiunto il Canale dei
Cervi, decise nuovamente di fermarsi, anche il vento cessò, costringendo

er
navi e galeazze a ricorrere ai rimorchi. Questi ultimi ritardarono ulterior-
ria .
mente l’avanzata e il contatto non andò oltre un nutrito scambio di artiglie-
ra .r.l
ris
rie. Verso sera Uccialli si ritirò una terza volta, coperto da una cortina fu-
mogena creata da tiri di cannone effettuati senza palla37.
tte S

Durante la notte il Kapudan Pascià riuscì a ingannare il nemico circa la


le li

propria rotta, portandosi verso ovest alle spalle dei collegati, ancoratisi a
Cerigo38. Quando questi ultimi ripresero il mare e avvistarono il 10 agosto
tà ge

la flotta nemica, lo schema di tre giorni prima si ripropose nelle acque di


rie An

Capo Matapan. Galeazze e navi furono poste nuovamente alla fronte dello
schieramento alleato, aiutate momentaneamente da un po’ di vento a favo-
re. Lo scontro appariva imminente e si erano già preparate le armi «corte»
op o

per gli abbordaggi39 quando il vento, come il 7 agosto, cessò repentinamen-


Pr anc

te. I turchi trattennero il loro centro per evitare di scontrarsi con i «vascelli

35
In tutte le battaglie combattute in Levante in età moderna, guadagnare il sopravento
Fr

era considerato un prerequisito indispensabile per conseguire la vittoria. Sulle opportunità,


ma anche sui limiti (quali il rischio, in caso di danneggiamento dell’unità, di cadere tra le
braccia del nemico), del sopravento nel campo delle unità a vela, cfr. N. Tracy, Nelson Bat-
tle. The Art of Victory in the Age of Sail, London, 20012, pp. 56-58. Per le unità a remi, cfr.
F. F. Olesa Muñido, La galera en la navegacion y el combate, I, El buque suelto, Madrid,
1971, pp. 213-214.
36
Rel. G. Foscarini, cit., c. 139r.
37
Rel. G. Foscarini, cit., cc. 138v-140v; Paruta, Istorie, 2, cit., pp. 316-319.
38
Rel. G. Foscarini, cit., cc. 140v-141r.
39
Sul valore degli abbordaggi nella guerra navale del Mediterraneo, cfr. Guilmartin,
Gunpowder and Galleys, cit., pp. 61-62.

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Guido Candiani

grossi, da loro molto temuti», e spinsero invece avanti le proprie ali, dove
avevano posto le galee migliori e più veloci, tentando di aggirare la flotta
della Lega per poi attaccarla alle spalle; i collegati risposero piegando a lo-
ro volta le proprie ali in una speculare mezzaluna concava. L’ala sinistra ot-
tomana si avvicinò a tal punto alla destra dei collegati che si cominciarono
a impiegare gli archibugi, ma i turchi, vedendo forse che alle spalle dell’ar-
mata nemica erano rimaste alcune navi che, in assenza del vento e di rimor-
chi, erano rimaste attardate e non volendo attaccare questo tipo di unità,
preferirono ripiegare verso il proprio centro, rimasto sempre fermo. Fosca-
rini avrebbe allora voluto che il centro dei collegati abbandonasse anche i
rimorchi delle galeazze, come già era stato fatto con quelli delle navi, per
attaccare il centro nemico: i turchi apparivano intimoriti e inoltre un attacco
al centro avrebbe costretto le ali ottomane a venire in suo aiuto, costringen-

ta
do le loro galee a girare le prue e offrire le spalle alle galee delle due ali dei

va
collegati. Colonna e Gil d’Andreade però non volevano combattere senza
l’appoggio di navi e galeazze e rifiutarono di avanzare con decisione. Lo

er
scontro proseguì con un prolungato duello di artiglierie, che da parte delle
ria .
forze della Lega vide protagoniste soprattutto le galeazze, mantenute fati-
ra .r.l
ris
cosamente sulla fronte della flotta. In un’occasione i turchi, vedendo qual-
che disordine tra le fila nemiche e sapendo per esperienza di potersi avvici-
tte S

nare o allontanare a volontà dall’armata della Lega, impacciata dalla unità


le li

grosse, avanzarono con la loro ala sinistra; i collegati però si bloccarono per
riordinarsi e i turchi preferirono fare marcia indietro. Il vento da NO pose
tà ge

quindi fine a ogni possibilità di avanzare con navi e galeazze prima dell’ar-
rie An

rivo della notte. Le manovre della giornata, particolarmente calda, avevano


esaurito rematori e soldati, le cui armi e armature si erano arroventate al so-
le, provocando il consumo di tutte le riserve d’acqua e convincendo i co-
op o

mandati a ritornare a Cerigo40.


Pr anc

Anche il 10 agosto, come già il 7, la lentezza di navi e galeazze aveva im-


pedito ai veneto-ispanici di agire offensivamente contro un avversario elusi-
vo. Foscarini sottolineò come una flotta piena di vascelli grossi, «et a quelli
Fr

obbligata», fosse in svantaggio di fronte a una «espedita, libera e che non ab-
bia impedimenti di rimorchi». Mentre la prima era costretta a combattere ad
«elezione del nemico, cosa la peggiore», la seconda poteva combattere o riti-
rarsi a propria scelta, perché potendo essa valersi di tutti i suoi vantaggi e
giovarsi delle molte e «infinite incomodità» dei vascelli grossi, aveva modo
di spingere gli avversari a una forzata e pericolosa decisione di combattere. Il
Capitano Generale tirava poi una stoccata alla galeazze, «se ben famosissi-

40
Rel. G. Foscarini, cit., cc. 142r-150v.

124
Vele, remi e cannoni

me» dopo Lepanto. Il loro successo era stato dovuto al fatto di non essere an-
cora conosciute dai turchi, che «inconsideratamente et barbaramente vennero
a darli in petto, [e le galeazze] non faranno per l’avvenir quelli effetti, che fe-
cero allora, et è creduto dal mondo che siano per fare». Uccialli aveva ben
capito i loro limiti (e quelli delle navi) e aveva ideato una tattica di aggira-
mento della flotta nemica alla quale era quasi impossibile rispondere, in
quanto era difficilissimo portare per tempo galeazze e navi dalla fronte alle
spalle dell’armata senza porla in grave disordine, «non essendo dovere che si
facciano muovere dal loro luogo prima che non si abbia visto girata e passata
l’armata nemica. Il che se si facesse prima e si spogliasse la fronte di quei va-
scelli prima che essa avesse piegato, potrebbe occorrere che, avvedendosi di
ciò il nemico, venisse a colpire da quella parte che si fosse spogliata di quella
difesa; se ci si muovesse dopo, non si farebbe in tempo a condurre i vascelli

ta
grossi prima che il nemico attaccasse». Mantenere i vascelli alle spalle della

va
flotta non sarebbe stato peraltro d’alcun aiuto, in quanto avrebbe demoraliz-
zato le proprie forze e galvanizzato quelle del nemico. Il Capitano Generale

er
giudicava le unità grosse, e in particolare le galeazze, inutili anche nel caso,
ria .
improbabile, che l’armata dei collegati fosse numericamente superiore a
ra .r.l
ris
quella ottomana, in quanto, venendo a battaglia, il nemico si sarebbe ritirato
senza problemi nel caso si fossero volute rimorchiare galeazze e navi alla
tte S

fronte: rimorchi che inoltre esaurivano le galee migliori, spremute da questo


le li

compito ingrato. Nel caso poi l’armata si fosse trovata a malpartito, sarebbe
stato necessario abbandonare le unità grosse, come era accaduto con le navi a
tà ge

Prevesa nel 1538, con la perdita «di tanta reputazione». Piuttosto che le gale-
rie An

azze era quindi molto meglio avere un maggior numero di galee «elette», una
considerazione che Foscarini ricavava proprio dall’esperienza di Lepanto,
perché quel giorno aveva fatto «per sempre avveduti gl’inimici». E se almeno
op o

le galeazze avevano i remi, ancora più dannose erano le navi, «le quali contra
Armata sottile41 saranno sempre d’impedimento e di pericolo, né potranno
Pr anc

esser mai di giovamento alcuno»42. Anche Paruta rimarcava i limiti di gale-


azze e navi emersi nella campagna del 1572: «questi successi…poterono pre-
Fr

stare un vero e utile ammaestramento nella milizia di mare; facendo conosce-


re che l’Armata grossa, come apporta per la fortezza sua molta sicurtà, così
può esser cagione di molto incommodo e di grave danno, convenendo, chi ha

41
Corsivo dell’a. La flotta veneziana era formalmente divisa in un’Armata sottile, com-
posta dalle galee e successivamente anche dalle galeazze, e un’Armata grossa, formata dalle
navi da guerra a vela. Ognuna delle due componenti aveva una struttura di comanda separata
ma entrambe dipendevano dal Capitano Generale da Mar, che alzava la propria insegna su di
una galea generalizia.
42
Rel. G. Foscarini, cit., cc. 151v-154v.

125
Guido Candiani

da usarla, dipendere sempre dalla fortuna del mare e dalla volontà del nemi-
co»; era per questo motivo che Uccialli, «invecchiato negli essercitii del ma-
re», non aveva voluto condurre con se le maone, rinforzando invece con i lo-
ro equipaggi le proprie galee sottili43.
La presenza di navi e galeazze rese problematico anche il prosieguo della
campagna. Colonna e Gil d’Andrade volevano dirigersi verso ovest con le
sole galee per ricongiungersi rapidamente con Don Giovanni, giunto a Corfù
con altre cinquantacinque galee e trentatre navi, dopo che si erano sparse voci
che Uccialli volesse tendergli un’imboscata, ma i veneziani si rifiutarono di
lasciare le unità più pesanti indietro a Cerigo, dato che l’isola non offriva un
porto sicuro. Alla fine, su ordini espressi di Don Giovanni, i collegati si di-
ressero su Creta, per lasciare là navi e galeazze, e solo quando notizie più
rassicuranti indicarono che i turchi erano rimasti alle loro spalle, decisero di

ta
proseguire per Zante con tutta la flotta unita. A Zante le navi furono lasciate

va
da sole, mentre le galee proseguivano per Cefalonia, indicata da Don Gio-
vanni quale punto di concentramento dell’armata. Quando arrivò la notizia

er
che i turchi stavano avanzando su Zante, gli spagnoli proposero di bruciare le
ria .
navi e solo il rifiuto di Foscarini, che inviò appositamente indietro venticin-
ra .r.l
ris
que galee per rimorchiarle a Corfù, salvò le unità a vela dalla distruzione44.
Le forze della Lega si ritrovarono a Corfù, con centonovantaquattro ga-
tte S

lee e otto galeazze (due delle quali toscane), oltre a quarantacinque navi45.
le li

Si decise di avanzare con le navi non oltre Zante e poi lasciarle nuovamente
in quelle acque, proseguendo con le sole unità a remi, per non essere vinco-
tà ge

lati da quelle a vela46. Tuttavia anche le galeazze47 rallentarono l’avanzata,


rie An

cosa che impedì di sorprendere, il 16 settembre, la flotta nemica divisa tra


Navarino e Modone, dando modo a Uccialli di riparare sotto la fortezza di
Modone. L’accesso a quest’ultimo porto, già di per sé angusto e difficile,
op o

43
Pr anc

Paruta, Istorie, 2, cit., pp. 320-325. Va segnalato che l’ammiraglia di Uccialli era una
bastarda (galea più grande delle normali galee sottili) «octaginta»: ciò potrebbe indicare
un’unità da 40 banchi per lato, contro i 25-30 delle galee solitamente impiegate, a meno che il
termine sia un refuso per indicare otto rematori per banco. Morosini, Delle Istorie, cit., p. 538.
Fr

Secondo Foscarini, l’Armata turca si era mossa il 7 agosto con tanta prestezza e si era poi mes-
sa così rapidamente in ordinanza, allineando tante galee così veloci, da non apparire un’armata
nuova e completamente rifatta dopo la sconfitta di Lepanto. Rel. G. Foscarini, cit., c. 142r.
44
Paruta, Istorie, 2, cit., pp. 326-329; Rel. G. Foscarini, cit., cc. 168v-170v
45
Ad ogni modo, almeno alcune delle centocinque galee veneziane erano in realtà gale-
otte di non meglio specificati «venturieri». Settantasei galee erano spagnole, tredici pontifi-
cie. Rel. G. Foscarini, cit., c. 181r.
46
Rel. G. Foscarini, cit., c. 179r.
47
Oltre alle sei galeazze veneziane, ve n’erano altre due del Granduca di Toscana, che
aveva cercato di imitare rapidamente questo nuovo modello di unità, pare con non grande
successo. Cfr. rel. G. Foscarini, cit., c. 181r.

126
Vele, remi e cannoni

era stato reso quasi impossibile dalle batterie posizionate dai turchi a ter-
ra.48 Dopo una scaramuccia il 17 settembre, la flotta della Lega tenne inu-
tilmente bloccata quella ottomana per circa un mese a Modone e quando i
rifornimenti cominciarono a scarseggiare in campo spagnolo (per quanto i
veneziani sospettassero che questa fosse solo una scusa), fu costretta a ri-
piegare su Corfù. Uccialli fu così libero di rientrare a Istanbul, mentre, do-
po il rifiuto dei Filippo II di far svernare la flotta in Levante, anche le forze
italico-spagnole tornarono alle proprie basi, chiudendo una campagna parti-
colarmente ingloriosa49. Nel marzo successivo, dopo una riuscita spedizio-
ne invernale di sei galeazze e ventisei galee per liberare Cattaro dall’asse-
dio turco50, la Serenissima siglò con la Porta una pace separata, ponendo fi-
ne a tre anni di guerra e dando il via a molti decenni di recriminazioni e di
tensioni con gli Asburgo.

ta
*

va
I quarantacinque anni successivi alla fine della guerra di Cipro non vide-
ro la flotta veneziana impegnata in nessun conflitto maggiore, le uniche o-

er
perazioni essendo quelle condotte contro i corsari e quelle, essenzialmente
ria .
costiere, contro gli Uscocchi nell’alto Adriatico. Nel 1594 e nel 1607 ci fu-
ra .r.l
ris
rono due importati mobilitazioni navali contro le forze italico-spagnole (la
mobilitazione del 1594 fu anche in funzione anti-ottomana), ma solo nel
tte S

1617 le tensioni con gli Asburgo sfociarono in un conflitto navale di pro-


le li

porzioni maggiori. Negli anni precedenti il Duca di Ossuna, viceré prima di


Sicilia e poi di Napoli, aveva potenziato le forze navali dei due regni, in-
tà ge

crementando soprattutto la loro componente velica51. Nel 1616 tra la Sere-


rie An

nissima e il ramo arciducale asburgico di Graz scoppiò la cosiddetta guerra


di Gradisca, motivata essenzialmente dal problema uscocco, ma combattuta
soprattutto nella pianura friulana. A fine anno, l’Arciduca Ferdinando (il
op o

futuro imperatore Ferdinando II), pressato dai veneziani sul fronte terrestre,
Pr anc

chiese al Duca di Ossuna di effettuare un’azione navale diversiva nel basso


Fr

48
Le inconcludenti operazioni condotte dai collegati davanti alle fortificazioni e alle
batterie di Modone ricordano, su scala maggiore, quelle effettuate dai portoghesi nel Mar
Rosso di fronte a Gedda nel 1517. Cfr. Guilmartin, Gunpowder and Galleys, cit., pp. 11-
13.
49
Paruta, Istorie, 2, cit., pp. 329-344.
50
Paruta, Istorie, 2, cit., pp. 346-347.
51
Sulla politica navale di Ossuna, cfr. C. Fernández Duro, El gran duque de Osuna y su
marina. Jornadas contra turcos y venecianos (1602-1624), Madrid, 2006 [facsimile
dell’edizione Madrid 1885]. Le unità della squadra battevano la bandiera personale del duca
di Ossuna e non quella spagnola.

127
Guido Candiani

Adriatico52. Le forze navali di Ossuna si concentrarono a Brindisi per pene-


trare nel cosiddetto Golfo di Venezia e sfidarvi la secolare supremazia della
Repubblica. Con una formazione di almeno trentatre galee e sedici navi, nel
luglio del 1617 gli italico-spagnoli ottennero un spettacolare successo sul
piano della guerra commerciale, catturando al largo di Spalato le due galee
di mercanzia che assicuravano i traffici tra Venezia e Spalato e, da qui, con
l’Impero Ottomano per via di terra53. I veneziani reagirono incrementando
le loro forze navali, ma questa volta non tanto con le unità a remi, tratte dal-
la riserva mantenuta nell’Arsenale di Venezia, quanto con quelle a vela. La
scelta, più che a questioni di tattica o di strategia navale, sembra legarsi a
una maggiore facilità e flessibilità nella mobilitazione di queste forze, rap-
presentate da mercantili armati noleggiati. L’uso dei mercantili armati per
rafforzare le proprie squadre era stato utilizzato dalla Serenissima fin dal

ta
medioevo, ma in passato le unità impiegate erano state veneziane. Ora in-

va
vece ci si affidava in gran parte a unità straniere, grazie anche ai rapporti di
alleanza intessuti in quegli anni con l’Olanda e l’Inghilterra. In effetti, se un

er
motivo dell’opzione straniera era certamente la crisi che aveva colpito la
ria .
marina mercantile della Repubblica a cavallo dei due secoli54, anche l’ap-
ra .r.l
ris
poggio dato dalla Serenissima in quegli anni alle potenze protestanti del
Nord Europa aveva il suo peso. Non a caso, la politica dei noleggi aveva
tte S

preso il via sul fronte terrestre e non su quello marittimo. Per rafforzare il
le li

propri esercito nella guerra di Gradisca, la Repubblica aveva infatti ingag-


giato alcune migliaia di fanti olandesi e con essi le navi per il loro trasporto.
tà ge

Alcune di queste navi erano rimaste poi in servizio con la flotta veneziana
rie An

in Adriatico e ciò aveva avviato una serie di nuovi noleggi, che nell’estate
del 1618 portarono ad allineare almeno quarantadue mercantili armati, ven-
totto dei quali stranieri55.
op o

Dopo il successo di luglio contro il convoglio per Spalato, la flotta itali-


Pr anc

co-spagnola aveva riguadagnato le proprie basi, ma in novembre effettuò

52
In quel periodo gli spagnoli si diedero molto da fare per venire in soccorso dell’arci-
Fr

duca Ferdinando, arruolando truppe e distaccando ufficiali dell’esercito in Fiandra. D. Ma-


land, Europe at War, 1600-1650, London-Basingstoke, 1980, p. 59.
53
Normalmente le galee di mercanzia erano scortate da sei barche armate, che ne assicu-
ravano il passaggio grazie soprattutto alla loro opera di prevenzione esplorativa. Tuttavia le
esigenze della guerra di Gradisca avevano spostato le barche armate a nord, lungo le coste
arciducali, lasciando l’incombenza a una galea, meno flessibile e che venne colta di sorpresa
dalla flotta di Ossuna. Cfr. ASV, PTM, filza 1202, disp. Bellegno 31.5.1616.
54
Cfr. Tenenti, Venezia e i corsari, Bari, 1961, pp. 119-131.
55
Cfr. ASV, PTM, filza 1080, disp. Capitano Generale da Mar Pietro Barbarigo n. 58,
31.7.1618. Le navi straniere noleggiate dovrebbero essere state ventuno olandesi e sette in-
glesi.

128
Vele, remi e cannoni

una nuova incursione in Adriatico. Il 19 di quel mese le guardie veneziane


posizionate sulle alture a terra56 avvistarono il nemico al largo di Santa
Croce, territorio della Repubblica di Ragusa e ancoraggio strategico per
controllare l’Adriatico e muoversi con facilità in ogni direzione, dove si era
posizionata la flotta veneziana57. Seguirono quattro giorni di manovre e
combattimenti, che portarono le due flotte ad attraversare lentamente l’A-
driatico fino alle coste pugliesi. Sebbene ora, a differenza del 1572, le tre
componenti dell’armata veneziana – galee, galeazze e navi – appartenesse-
ro (almeno nominalmente) alla medesima flotta e non a quella di alleati po-
co inclini alla cooperazione, esse mostrarono anche questa volta di non sa-
persi, o volersi, integrare adeguatamente. Appena avvistato il nemico, il
Capitano Generale da Mar Lorenzo Venier ordinò alle galee di rimorchiare
fuori dal porto i vascelli per metterli in ordinanza, mentre qualche altra ga-

ta
lea avanzava per controllare le mosse del nemico. Le galeazze invece, gra-

va
zie all’ausilio dei remi (e forse a qualche miglioramento introdotto a fine
Cinquecento), si mossero da sole, ma ad ogni modo la laboriosa operazione

er
di uscita fu completata solo verso mezzogiorno. Una volta in mare, la flotta
ria .
veneziana di trovò di fronte a sole unità a vela, quindici in tutto, perché gli
ra .r.l
ris
italico-ispanici non avevano portato con se le galee, probabilmente ritenute
inadatte alla stagione. Un vento relativamente favorevole, ma molto legge-
tte S

ro, costrinse per tutta la giornata le galee a rimorchiare sia le navi che le ga-
le li

leazze, senza riuscire a prendere contatto col nemico, esattamente com’era


accaduto nel 1572 davanti alle coste del Peloponneso. Comunque i rimorchi
tà ge

consentirono almeno di far guadagnare il sopravento a navi e galeazze e fi-


rie An

nalmente, intorno a mezzanotte, sembrò che esse potessero prendere contat-


to con gli italico-ispanici, che navigavano sul medesimo bordo: tuttavia
un’improvvida bonaccia bloccò le unità più pesanti e consenti solo ad alcu-
op o

ne galee di portarsi a tiro di cannone e l’azione si esaurì rapidamente.


Pr anc

L’inseguimento proseguì con un vento da SE nuovamente in direzione


della Dalmazia, finché la mattina del 20 le due squadre si ritrovarono fer-
me, una in faccia all’altra. Ossuna aveva dato ordine di combattere e così,
Fr

nonostante l’inferiorità numerica, gli italico-ispanici non si sottrassero que-


sta volta allo scontro. È possibile che ritenessero le loro navi, le quali sem-

56
L’impiego di un sistema costiero di vedette mobili (integrate spesso da torri fisse), che
segnalavano con fuochi o altri mezzi gli avvistamenti in mare, era un complemento essen-
ziale ad ogni attività navale nel “mare tra le terre”. Sulle torri costiere, cfr. il saggio inserito
in questo volume.
57
BMC, mss. Cicogna 3282/II, Lettera di ragguaglio di quello che è successo tra le due
armate in mare dalli 19 fino li 22 novembre 1617, 27.11.1617, c. 13.

129
Guido Candiani

bra fossero dei veri galeoni da guerra e non dei mercantili armati58, superio-
ri a quelle nemiche, mentre pare non nutrissero un particolare timore per le
unità a remi, comprese le celebrate galeazze. I loro calcoli si rilevarono so-
lo parzialmente corretti, perché nonostante le navi veneziane (molte delle
quali, ricordiamo, erano di origine straniera) preferissero sparare i propri
cannoni a una certa distanza, inflissero loro notevoli danni59. Anche il Capi-
tano Generale Venier, con numerose galee, rimase ad una certa distanza,
non volendo allontanarsi dalle navi, ma alcune delle galee più intraprenden-
ti si avvicinarono, colpendo «meravigliosamente» le navi avversarie60. Pare
che il fuoco dell’artiglieria veneziana risultasse senz’altro superiore a quel-
lo delle unità italico-spagnole, che provocarono ben pochi danni alle unità
della Serenissima. Complessivamente, i veneziani cercarono di farsi sotto
per cinque volte, spronati dal Capitano Generale, ma, per diversi «acciden-

ta
ti», ben pochi vascelli e nessuna delle galeazze partecipò attivamente all’a-

va
zione, non è chiaro se per la difficoltà di portarsi in avanti o se per l’ecces-
sivo timore dei capitani, come sostenne Venier, che impiegò anche il figlio

er
Sebastiano per incitare all’azione le unità più grosse. All’arrivo della notte
ria .
gli italico-ispanici ruppero il contatto e solo le unità a remi più veloci riu-
ra .r.l
ris
scirono a inseguirli verso la costa pugliese, sempre cannoneggiandoli. Le
continue difficoltà nel far avanzare insieme galee e vascelli erano dovute
tte S

anche alla diversità di velocità tra questi ultimi, la cui navigazione si rego-
le li

lava su quella delle unità più lente, mentre le galee, più omogenee, presen-
tavano differenze di velocità meno accentuate.
tà ge

La mattina del 21 novembre la flotta italico-spagnola appariva in ritirata


rie An

verso Manfredonia, ma il mare si era rinforzato, impedendo adesso


l’impiego delle galee. Per proseguire l’inseguimento, il Capitano Generale
Venier fu costretto a trasbordare su di una nave, tenendo con sé le altre navi
op o

e le galeazze e lasciando libere le galee. Anche altri ammiragli dell’Armata


Pr anc

sottile trasbordarono su navi o galeazze, ma la partenza con le galee di mol-


ti nobili veneziani non fece una buona impressione sui capitani dei mercan-
tili armati stranieri, che dovettero essere pregati dal Capitano Generale di
Fr

continuare nell’operazione, mostrando uno dei maggiori limiti del sistema


58
Ricordiamo però che all’epoca la distinzione tra le navi da guerra e mercantili era
piuttosto labile, soprattutto se questi ultimi erano unità destinate a operare in mari infestati
dai corsari come il Mediterraneo.
59
Sulla tradizionale superiorità, soprattutto a lunga gittata (oltre i 400 mt, cfr. Guilmar-
tin, Gunpowder and Galleys, cit., pp. 12n, 163) delle artiglierie veneziane, cfr. M. Morin, La
battaglia di Lepanto, in Venezia e i Turchi, Milano, 1985, pp. 210-231.
60
Nel corso dell’azione una di queste galee tirò (sicuramente con il solo, grande canno-
ne di corsia) diciotto cannonate, che fecero quasi sempre «botta notabile». Lettera di rag-
guaglio, cit., c. 14.

130
Vele, remi e cannoni

dei noleggi all’estero. Nonostante Venier si recasse su ciascuna nave per


dare gli ordini necessari, dopo una notte di difficile navigazione, il Capita-
no Generale si ritrovò all’alba del 22 novembre presso l’isola di Pelagosa
con sole sette navi e tre galeazze, avendo perso contatto non solo con il
nemico, ma anche con il resto della propria squadra, rimasto col Capitano
delle Navi. Il cattivo tempo che aveva disperso le navi aveva provocato
danni ben più gravi alle galee, cinque delle quali erano naufragate sulle co-
ste dalmate61.
Per quanto Venier se la prendesse con la codardia di molti dei suoi
compatrioti e con la scarsa fedeltà dei capitani stranieri, l’azione del no-
vembre del 1617 confermava le difficoltà di far operare insieme unità così
diverse come galee, galeazze e navi. Anche in questo caso era stato impos-
sibile portare in prima linea le unità maggiori di fronte a un nemico che im-

ta
piegava una tattica attendista, nell’attesa di colpire al momento opportuno.

va
Probabilmente non a caso, gli italico-spagnoli avevano preferito lasciare in
porto le galee e operare con unità dello stesso tipo62, e nonostante questa

er
scelta, anche loro avevano avuto molti problemi a tenere unita la propria
ria .
squadra nel mare impetuoso63. In realtà le navi dell’epoca non erano ancora
ra .r.l
ris
i vascelli relativamente agili di un paio di secoli dopo, capaci di rimanere in
formazione anche in condizioni meteorologiche difficili64. Non è chiaro
tte S

quanto questi problemi fossero compresi da comandanti che per la prima


le li

volta impiegavano in grosse formazioni quei bertoni e galeoni che sembra-


vano dover prendere il posto delle galee proprio per le loro capacità ogni-
tà ge

tempo. Le galee avevano peraltro dovuto abbandonare il campo di fronte


rie An

alla forza del mare, confermando che nella cattiva stagione potevano anche
effettuare rapide puntate, come quelle di Famagosta nel 1571, ma non erano
in grado di partecipare ad operazioni militari di più ampio respiro.
op o

61
Pr anc

Due sopracomiti (comandanti di galea) annegarono insieme a molti uomini delle


ciurme, gli altri si dispersero nell’entroterra e vennero recuperati solo in parte. ASV, PTM,
filza 926, disp. Provveditore Generale da Mar Lorenzo Venier 23.11.1617; Lettera di rag-
guaglio, cit., cc. 13-15.
Fr

62
Secondo lo storico Mario Nani Mocenigo, il motivo che aveva convinto gli spagnoli a
lasciare le galee nel Tirreno era politico, la volontà cioè di non sfidare la Serenissima in A-
driatico dopo che nel frattempo si era raggiunta la pace tra la Serenissima e gli arciducali,
ma non è del tutto chiaro perché una sfida portata dalle sole navi dovesse apparire meno
provocatoria per la Repubblica. Idem, Storia della marina veneziana da Lepanto alla caduta
della Repubblica, Venezia, 1985 [ed. originale Roma 1935], pp. 111.
63
Quattro navi rimasero attardate e rischiarono di cadere in mano veneziana, segno che
anche le qualità nautiche della squadra italico-spagnola non erano del tutto omogenee. Cfr.
ASV, PTM, filza 926, disp. L. Venier 23.11.1617.
64
Nelle operazioni di quei giorni, il galeone Balbi ruppe sia l’albero di bompresso che
quello di trinchetto. ASV, PTM, filza 925, disp. L. Venier 27.11.1617.

131
Guido Candiani

2. I successi nella guerra di Candia (1646-1657)

Lo scontro del novembre del 1617 fu l’unico di una certa importanza


nella guerra non dichiarata tra Venezia e il Duca di Ossuna65. Per quasi altri
trent’anni, la Serenissima non fu impegnata in scontri navali di rilievo66, fi-
no a quando, nel 1645, riprese la serie dei secolari conflitti con l’Impero
Ottomano. Nel giugno di quell’anno, un’armata navale della Porta sbarcò
un forte contingente di truppe nell’isola di Creta, dando il via alla conquista
dell’isola67. Seguirono venticinque anni di guerra, una quindicina dei quali
caratterizzati soprattutto dalle campagne navali. Mentre gli ottomani cerca-
vano di rifornire le proprie truppe impegnate nella conquista delle varie
piazzeforti dell’isola e soprattutto della capitale, Candia, i veneziani si sfor-
zavano di tagliare le loro linee di comunicazione e isolare Creta dal mare. I

ta
primi anni del conflitto videro un numero limitato di scontri che, da parte

va
veneziana, coinvolsero solo le navi da guerra a vela, le cui squadre erano
ancora formate essenzialmente da mercantili armati stranieri noleggiati. Nel

er
maggio del 1646 il grosso della flotta turca, con settantasei galee e cinque
ria .
maone, fu respinto dentro i Dardanelli da una formazione di una trentina di
ra .r.l
ris
navi veneziane, mentre nell’agosto del 1647, una squadra ottomana di ven-
titre galee, due fuste e ventisei navi tra grandi e piccole fu intercettata nelle
tte S

acque di Chio da sedici navi della Repubblica. In entrambi i casi, la man-


le li

canza di vento e l’assenza di galee per i rimorchi feci sì che solo una picco-
la frazione delle navi veneziane riuscisse ad entrare in azione.68 Il problema
tà ge

65
rie An

Nel 1620, quando ormai Ossuna non era più viceré, ci fu presso l’isola di Santorino
uno scontro tra otto navi veneziane, sei delle quali mercantili armati olandesi noleggiati, e
tre navi italico-spagnole. ASV, PTM, filza 1324, disp. Capitano delle Navi Federico Nani
22.5.1620; A. Battistella, Una campagna navale veneto-spagnola in Adriatico poco cono-
op o

sciuta, in «Archivio Veneto-Tridentino», 3 (1923), p. 66 (2, 1922, pp. 58-119; 3, 1923, pp.
Pr anc

1-78); Nani Mocenigo, Storia della marina veneziana, cit., pp. 119-120.
66
Nel 1638, ventotto galee e due galeazze attaccarono nel porto di Valona una formazione
di otto galee e altrettante galeotte barbaresche, ma nessuna nave partecipò allo scontro. Rela-
zione della vittoria riportata alla Valona dalle Armi Venete dirette dall’ecc.mo Provveditore
Fr

d’Armata Antonio Capello li 7 agosto 1638, in Biblioteca Universitaria di Padova, mss. 161,
G. Nani, Memorie per servire alla Storia Militare Marittima della Repubblica di Venezia, III,
cc. 294v-295r; Nani Mocenigo. Storia della marina veneziana, cit., pp. 124-125.
67
La flotta pare fosse costituita da due maone, ottantun galee e diciannove tra navi tur-
che, barbaresche e olandesi/inglesi noleggiate, oltre a circa trecento mercantili di vario gene-
re. J. De Hammer, Storia dell’Impero Ottomano, X, Venezia, 1833, pp. 119, 140.
68
In entrambe le battaglie, le navi della Serenissima che effettivamente combatterono fu-
rono solo sei. La battaglia del 26 maggio 1646, pur avendo registrato sette ore di tiri di artiglie-
ria, non provocò alcun morto o ferito veneziano. Lo scontro del 30 agosto 1647 si protrasse per
tre ore, poi le due squadre si separarono senza aver riportato danni particolarmente gravi. ASV,
PTM, filza 1325, disp. Capitano delle Navi Tommaso Morosini n. 18, 27.5.1646; n. 19,

132
Vele, remi e cannoni

si sarebbe riproposto continuamente negli anni successivi, lasciando intuire


che la nave da guerra a vela non era ancora matura per agire tatticamente in
modo autonomo in Levante. Nel maggio del 1649 una battaglia nel porto
ottomano di Fochies, presso Smirne, portò a un grande successo veneziano,
ma il comandante della squadra veneziana lamentò che se avesse avuto an-
che l’ausilio delle galee, la vittoria sarebbe stata totale69.
Se le navi non apparivano ancora del tutto adeguate sul piano tattico70, es-
se dimostrarono che la loro azione stava diventando incisiva su quello strate-
gico. Grazie ai mercantili armati noleggiati e con il supporto, nella stagione
più favorevole, di piccole squadre di galee, i veneziani organizzarono tra il
1646 e il 1651 un blocco continuato dei Dardanelli71. Il bloccò aveva non so-
lo lo scopo di tagliare la principale linea di comunicazione dell’esercito ot-
tomano a Creta, ma anche quello d’interrompere i rifornimenti alimentari e i

ta
commerci diretti verso Istanbul, i quali utilizzavano in massima parte rotte

va
marittime provenienti soprattutto dall’Egitto. Ciò provocò nel 1648 una grave
crisi politica, sfociata nella destituzione e nell’uccisione del sultano Ibrahim

er
I. Dopo che l’anno successivo una fortunosa forzatura del blocco ritardò solo
ria .
di poco la sconfitta della flotta ottomana a Fochies, nel 1650 la Porta lanciò
ra .r.l
ris
un’importante piano di costruzioni di navi da guerra a vela per rompere
l’assedio. Entro la primavera del 1651 vennero immesse in servizio una
tte S

quindicina di navi da guerra, due terzi delle quali costruite nel Mar Nero. In
le li

giugno la rinnovata flotta ottomana uscì dai Dardanelli, lasciati momentane-


amente incustoditi dai veneziani per problemi sorti con capitani ed equipaggi
tà ge
rie An

29.5.1646; BNM, mss. it., cl. VII, 338 (8515), Itinerario di Santo Zeno, aventuriere
sull’Armata veneta, 1647, cc. 59v-60r; B. Nani, Istoria della Repubblica Veneta, in Degli Isto-
rici delle cose Veneziane, IX, Venezia, 1720, p. 99.
69
La battaglia venne combattuta il 12 maggio tra diciannove navi veneziane (ma due erano
op o

molto piccole) e settantadue galee, dieci maone e undici navi turche, rifugiatesi sotto la debole
Pr anc

fortezza che copriva il porto. Nonostante i dubbi di molti dei suoi capitani, che non volevano
operare in acque ristrette contro forze tanto superiori, il comandante veneziano Giacomo Riva
ottenne una grande vittoria, con la distruzione o cattura di dieci navi e quattro maone, ma di
non più di due galee. Riva scrisse che con l’ausilio di sole dieci galee avrebbe catturato tutte le
Fr

galee nemiche. ASV, PTM, filza 1326, disp. G. Riva s.n., 13.5.1649; Nani, Istoria, cit., pp.
242-243; R.C. Anderson, Naval Wars in the Levant. 1559-1853, Liverpool, 1952, p. 137
70
Le capacità difensive delle navi vennero comunque messe in risalto dallo scontro av-
venuto nelle acque di Negroponte il 27 gennaio 1647 tra la sola unità del Capitano delle Na-
vi Tommaso Morosini e quarantasei galee ottomane. Pur sorpresa isolata e circondata da nu-
goli di galee, e nonostante la morte di Morosini, la nave oppose una strenua resistenza, che
permise ai rinforzi di arrivare in tempo per trarla in salvo. ASV, PTM, filza 1084, disp. Ca-
pitano Generale da Mar Giovanbattista Grimani 5.2.1647.
71
Su questo blocco, cfr. G. Candiani, Stratégie et diplomatie vénitiennes, navires angle-
hollandaises: le blocus des Dardanelles, 1646-1659, in «Revue d’Histoire Maritime», 9
(2008), pp. 251-282.

133
Guido Candiani

dei mercantili armati stranieri72, raggiungendo quindi Chio. Da qui ripartì a


fine mese diretta a Creta, forte di cinquantacinque navi (ma meno di trenta
erano effettivamente da guerra, comprese otto unità fornite dai Barbareschi,
venuti in aiuto del sultano73), sei maone e cinquantatre galee74, con l’obiettivo
di rifornire l’isola possibilmente senza combattere. I veneziani, superata in
parte la crisi con i mercantili armati stranieri, si mossero dalle acque di Canea
per intercettarli con ventisette navi, sei galeazze e ventitre galee. Il 7 luglio le
due flotte si avvistarono nelle acque poco a nord di Santorino. Il Capitano
Generale Alvise 2° Mocenigo aveva ordinato che diciassette navi navigasse-
ro, alla guida del loro Capitano, sempre davanti alla flotta veneziana, mentre
ne tratteneva altre otto al fianco delle galee e delle galeazze. Se anche in pas-
sato le navi erano state sempre poste in avanti, ciò era avvenuto solo
nell’imminenza di una battaglia e per conseguire questo risultato erano stati

ta
necessari i rimorchi delle galee. La possibilità che le unità a vela procedesse-

va
ro adesso indipendentemente sembra segnalare un sintomatico miglioramen-
to delle loro qualità nautiche75, già registratosi nei mari settentrionali con

er
l’introduzione della «fregata»76. Sembra però che i veneziani presumessero
ria .
troppo dalle qualità delle proprie navi, o perlomeno di una parte di esse, per-
ra .r.l
ris
ché solo cinque unità riuscirono ad avanzare come previsto, mentre le altre
dodici scaddero verso il resto dell’armata e alcune dovettero perfino essere
tte S

prese a rimorchio. Pare che anche tatticamente si riponesse una fiducia ecces-
le li

siva nelle navi. Quando i turchi, che cercavano di sgusciare indisturbati verso
tà ge

72
Armatori e capitani olandesi e inglesi lamentavano i ritardi nelle paghe e l’usura delle
proprie unità nella strategia del blocco.
rie An

73
A partire dagli inizi del Seicento, i Barbareschi avevano introdotto, con l’aiuto di rin-
negati olandesi e inglesi, il naviglio militare velico nelle proprie squadre. Durante la guerra
di Candia e i successivi conflitti con la Serenissima la Porta chiamò sovente in suo aiuto le
op o

navi barbaresche, mentre Venezia fu spesso aiutata dalle unità a remi, e talvolta anche a ve-
Pr anc

la, inviate dalle altre marinerie cattoliche, soprattutto quella maltese e pontificio/genovese,
ma anche la francese, spagnola e portoghese. Il contribuito delle potenze protestanti fu inve-
ce sempre rappresentato da navi noleggiate.
74
ASV, Dispacci Ambasciatori Costantinopoli, filza 134, post scriptum 18.7.1651, c.
Fr

107r; disp. 4.7.1651, c. 115v.


75
Cfr. a questo proposito l’ordinanza del 1647 dell’allora Capitano Generale da Mar
Giovanbattista Grimani, che prevedeva espressamente che le navi navigassero separatamen-
te e sopravento al resto della flotta. BNM, Ms it, cl VII, 338 (8515), Ordini delle armate ve-
neziane, Ordini di Giovanbattista Grimani, 22.3.1647, c. 29v.
76
Sull’evoluzione della fregata a vela sviluppata dai corsari dunkerquesi e poi imitata da
olandesi e inglesi, cfr. R.A. Stradling, The Armada of Flanders. Spanish Maritime Policy
and European War, Cambridge, 1992, pp. 164-171; A. Thrush, In Pursuit of the Frigate,
1603-40, in «Historical Research», 64 (1991), pp. 29-45; Glete, Warfare at Sea, cit., p. 179.
Originariamente nel Mediterraneo il termine fregata designava un tipo di unità a remi di di-
mensioni ridotte.

134
Vele, remi e cannoni

Creta, vennero nuovamente avvistati la mattina dell’8 luglio, le cinque unità


veneziane più avanzate si mossero temerariamente per attaccare l’intera flotta
nemica, ma tre di esse si trovarono ben presto a mal partito, mentre il Capita-
no Generale cercava disperatamente di mandare altre navi in loro soccorso.
Alla fine due delle navi più veloci giunsero a sostenere la piccola avanguar-
dia, ma le rimanenti, troppo pesanti, rimasero inesorabilmente sottovento.
Nel frattempo galee e galeazze studiavano l’avversario, finché Mocenigo, pur
essendo sottovento, decise di prendere l’iniziativa e farsi sotto il nemico,
spalleggiato da quattro delle otto navi che erano rimaste con le unità a remi.
Le artiglierie veneziane aprirono il fuoco a distanza, i turchi risposero per un
breve lasso di tempo e poi si allontanarono, approfittando di una forte dimi-
nuzione del vento e prendendo a rimorchio le proprie navi.
Dopo che i veneziani trascorsero la giornata del 9 luglio per raggruppare

ta
la flotta, all’alba del 10 avvistarono nuovamente gli ottomani, che avevano

va
ripiegato verso nord nel canale tra Paro e Nasso. Questa volta lo scontro tra le
due flotte al completo apparve inevitabile e i due comandanti disposero le

er
proprie formazioni secondo il classico schema delle battaglie tra unità a remi
ria .
con un centro e due ali, mescolando in ciascun gruppo navi, galeazze/maone
ra .r.l
ris
e galee. Alcune delle navi veneziane confermarono di avere qualità nautiche
limitate (l’omogeneità dei mercantili armati noleggiati rimaneva aleatoria) e
tte S

dovettero essere rimorchiate al posto loro assegnato. Mentre il Capitano Ge-


le li

nerale era distratto da queste operazioni, due delle tre galeazze poste all’ala
sinistra veneziana (tra cui quella dell’impetuoso Lazzaro Mocenigo, futuro
tà ge

Capitano Generale da Mar) si spinsero in avanti per attaccare alcune galee


rie An

turche impegnate a rifornirsi d’acqua. Prima che Mocenigo potesse richia-


marle, il Kapudan Pascià si staccò dal proprio centro con sei maone e nume-
rose galee, potandosi velocemente a voga battuta a ridosso delle galeazze
op o

nemiche. Le due unità, subito appoggiate dalla galeazza del non ancora cele-
Pr anc

bre Francesco Morosini, ruotarono le prue per presentare la loro poderosa ar-
tiglieria77 al nuovo pericolo e, sparata prima una salva con i cannoni e poi una
Fr

77
Le galeazze veneziane erano armate da 22 cannoni, di cui 2 da 50 e 4 da 30 (i vene-
ziani indicavano il peso della palla piena dei loro pezzi in libbre sottili e non grosse come si
usava negli altri stati: un cannone da 50 libbre corrispondeva all’incirca ad un 32 pdr ingle-
se). Quattro di questi sei grandi pezzi erano colubrine, più lunghe e più potenti dei cannoni
ordinari di pari calibro (la colubrina da 50 era lunga 24 calibri, il cannone 18 calibri). Com-
plessivamente, le galeazze avevano 8 colubrine (2 da 50, 2 da 30, 4 da 14) e 14 cannoni (2
da 30, 6 da 20, 6 da 6). ASV, Senato Mar, filza 373, 25.7.1645, all. Provveditori alle arti-
glierie 21.7.1645. La galeazza aveva inoltre 12 periere (10 da 6 e 2 da 3), pezzi antipersona-
le a retrocarica di ridotta gittata. ASV, Collegio Relazioni, b. 57, n. 3, rel. Savio agli Ordini
Matteo Zorzi, 25.6.1624 (i citati dati del 1645 per cannoni e colubrine ribadiscono quelli del
1624). Secondo un altro documento, senza data, la disposizione dell’armamento era la se-

135
Guido Candiani

con la moschetteria, impegnarono battaglia. Lo scontro fu particolarmente


duro intorno alla galeazza di Lazzaro Mocenigo, che venne attaccata a poppa
dalla galea generalizia del Kapudan Pascià, affiancata da due maone e da al-
cune galee. L’equipaggio del Kapudan venne falciato sia dalle artiglierie, che
impiegarono proiettili incatenati (destinati normalmente alle attrezzature) e
«sacchetti» (mitraglia), sai da una grande quantità di granate a mano.
L’arrivo di altre due galeazze convinse i turchi a ritirarsi, portandosi a rimor-
chio la malcapitata galea generalizia, la cui poppa era quasi distrutta, ma ab-
bandonando una delle maone, che venne catturata. Insieme alle galeazze, par-
teciparono allo scontro sulla sinistra veneziana almeno una galea e due navi,
l’amburghese Rad des Glückes da 40 cannoni, le cui artiglierie fecero «stra-
ge» con la rapidità del proprio tiro78 e l’olandese Gouden Adelaar, che
demolì la poppa della galea del kapudan e catturò lo stendardo da battaglia

ta
ottomano, caduto in acqua.79

va
Nel frattempo l’ala sinistra dei turchi, formata da quindici delle navi più
poderose, in parte costruite nei mesi precedenti e in parte barbaresche, rimor-

er
chiate da diciotto beylere80, stava cercando di isolare l’ala destra veneziana. Il
ria .
Capitano Generale, vedendo che il nemico era già sconfitto all’ala sinistra ed
ra .r.l
ris
era debole al centro, dove c’erano solo alcune delle navi inferiori, decise di
sostenere l’ala destra, coadiuvato da una galeazza e da altre sette galee. Que-
tte S

ste ultime rimorchiavano forse altrettante navi, ma la stanchezza delle ciurme


le li

convinse Mocenigo a far abbandonare i rimorchi e a proseguire con le sole


unità a remi, appoggiato da un’unica «fregata», una nave più veliera delle al-
tà ge

tre81. Il primo obiettivo furono le galee turche, per obbligarle a lasciare il ri-
rie An

morchio delle proprie navi e isolare queste ultime. Bersagliate dalle artiglie-
rie veneziane, le galee ottomane abbandonarono via via tutte le navi, dandosi
alla fuga e lasciandole al loro destino. I veneziani spostarono allora il tiro
op o

contro le navi, che furono «travagliate» a lungo senza poter reagire, forse per
Pr anc

guente: a prua 6 cannoni (2 colubrine da 50 sormontate da 2 colubrine da 14 e 2 cannoni da


6) e 4 periere; a mezza nave, 8 cannoni (2 cannoni da 30 e 6 da 20) e 8 periere; a poppa 8
cannoni (2 colubrine da 30, affiancate o sormontate da 2 colubrine da 14 e 4 cannoni da 6).
Fr

Tutti e sei in cannoni a prua e quattro degli otto cannoni di poppa pare tirassero verso i ri-
spettivi settori, mentre gli altri dodici sparavano lungo le fiancate.; BMC, mss. Gradenigo
163, I, c. 258r; mss. Cicogna 3091.
78
Il noleggio della nave sarebbe stato rinnovato nel 1653 per 2.300 ducati al mese.
ASV, Senato Mar, filza 453, 4.1.1653, all. s.d.
79
Cfr. ASV, Senato Mar, filza 446, 8.6.1652, all. supplica 24.4.1652.
80
Le beylere erano le migliori tra le galee ottomane. Venivano allestite e mantenute non
dal governo centrale a Istanbul, ma dai timar maritimi dell’Egeo. Cfr. L. Lo Basso, Uomini
da remo. Galee e galeotti del Mediterraneo in età moderna, Milano, 2003, pp. 180-182.
81
È probabile che le navi col Capitano Generale fossero le medesime otto che
nell’azione di due giorni prima Mocenigo aveva trattenuto insieme all’Armata sottile.

136
Vele, remi e cannoni

la minor potenza dei propri cannoni.82 Le tre navi più vicine si gettarono con-
tro la costa, ma invece di abbandonarsi al loro saccheggio, il Capitano Gene-
rale riuscì a tenere raggruppate le proprie forze contro le altre navi, sette delle
quali furono a loro volta abbandonate dai turchi. Non tutte le navi le unità
della Porta si piegarono però facilmente. Mocenigo impegnò la propria gran-
de galea contro una nave barbaresca guarnita di truppe ottomane, che rispose
colpo su colpo al vigoroso fuoco di artiglieria e moschetteria dei veneziane.
Alla fine, con lo scafo perforato in più parti, l’equipaggio cedette e cominciò
a gettarsi in acqua, mentre i soldati della galea lo abbordavano facendo lette-
ralmente a pezzi più di settanta nemici rimasti a bordo. Un’altra nave turca,
attaccata da una galeazza, preferì farsi saltare in aria piuttosto che arrendersi,
portando con se non solo molti dei soldati veneziani che l’avevano abbordata,
ma anche un buon numero di rematori che li avevano seguiti per darsi al sac-

ta
cheggio; l’esplosione danneggiò anche la prua della galeazza, uccidendo

va
molti dei serventi ai pezzi là concentrati.
Alla fine, sedici navi turche risultarono catturate, bruciate o affondate, in-

er
sieme a una maona, mentre gli ottomani non perdettero nessuna delle galee,
ria .
una parte delle quali riuscì anzi a rimorchiarsi nella fuga cinque navi che era-
ra .r.l
ris
no rimaste più indietro e che non avevano partecipato allo scontro83. Nono-
stante il rischio corso inizialmente dalle galeazze, la battaglia, la prima della
tte S

guerra di Candia combattuta tra le due flotte al completo, si era conclusa con
le li

una grande vittoria veneziana, il primo chiaro successo conseguito dalla coo-
perazione tra galee, galeazze e navi. La vittoria sembra essere stata dovuto
tà ge

soprattutto alla maggiore agilità e qualità nautiche delle navi (ma anche delle
rie An

galeazze) rispetto al passato, sebbene come detto, i mercantili armati noleg-


giati dalla Serenissima presentassero tra loro differenze notevoli; inoltre i lo-
ro equipaggi, in particolare quelli olandesi, sembrano aver posseduto qualità
op o

militari di primo piano, soprattutto nei combattimenti ravvicinati84. Ciò, in-


Pr anc

82
Ricordiamo che nonostante ogni galea veneziana avesse solo un pezzo pesante, esso po-
teva essere di grosso calibro, anche del genere da 50. Le navi impiegate allora nel Mediterraneo,
e ciò vale non solo per quelle turche, avevano generalmente solo artiglierie di medio/piccolo ca-
Fr

libro, solitamente non superiori ai 12 pdr. È anche probabile che gli equipaggi ottomani, raccolti
in fretta per la nuova squadra velica, non avessero ricevuto un addestramento adeguato.
83
Sulla battaglia, cfr. ASV, PTM, filza 936, disp. A. Mocenigo n. 215, 15.7.1651 e all.ti;
filza 1328, disp. Capitano delle Navi Luca Francesco Barbaro 13.7.1651; BNM, Misc. 166,
Parte veneta, Guerre col turco 1617 al 1667, n. 10, Lettera di ragguaglio della vittoria na-
vale conseguita dall’Armata della Serenissima Republica di Venetia sotto il comando del
Procurator Capitan General da Mar Mocenigo contro Turchi nell’Arcipelago, Venezia
22.8.1651.
84
Le doti combattive degli olandesi negli abbordaggi sarebbero ben presto state confer-
mate nelle battaglie della prima guerra anglo-olandese, tanto da spingere gli inglesi a ri-
spondere con la creazione di una nuovo tipo di formazione da battaglia, la linea di fila.

137
Guido Candiani

sieme alla tradizionale superiorità delle artiglierie veneziane, permise di otte-


nere un rapido predominio prima sulla sinistra e poi sulla destra, anche a cau-
sa dell’inerzia del centro ottomano, indebolito dall’iniziale spostamento sulla
propria destra del Kapudan Pascià. Va comunque sottolineato il fatto che gli
ottomani avevano creato, praticamente dal nulla, una propria flotta di navi da
guerra a vela e che era la prima volta che questa si confrontava con avversari
così sperimentati. La scarsa coordinazione e cooperazione tra galee e navi, la
quale portò sulla sinistra ottomana all’abbandono di queste ultime da parte
delle pur efficienti beylere, sembra essere stata la causa principale della scon-
fitta turca, nonostante la presenza delle navi barbaresche e di numerosi rinne-
gati tra gli equipaggi85 dovesse aver almeno in parte attutito l’impatto negati-
vo della mancanza di esperienza della principale squadra velica ottomana.
La vittoria di Paro confermò definitivamente la riacquisita supremazia

ta
navale alla Serenissima in Egeo, ma non permise di espellere i turchi da

va
Creta. Negli anni precedenti questi ultimi si erano impadroniti di quasi
tutta l’isola e riuscivano a mantenervisi grazie anche alla vicinanza delle

er
coste del Peloponneso, che consentiva di ricevere rifornimenti a piccole
ria .
dosi86. Se ciò non permetteva ai turchi di riprendere l’offensiva in grande
ra .r.l
ris
stile contro gli ultimi capisaldi veneziani, e in particolare la capitale Can-
dia, serviva però almeno a sostenersi sull’isola, data la relativa debolezza
tte S

delle forze terrestri della Serenissima. Tra il 1652 e il 1657 gli ottomani
le li

tentarono comunque di ristabilire appieno le loro comunicazioni con Cre-


ta, impegnandosi a superare in qualche modo il blocco instaurato, adesso
tà ge

solo durante la bella stagione, dalle forze della Serenissima87. Se nel 1652
lo fecero limitandosi ad impiegare le loro galee già in Egeo88 e nel 1653
rie An
op o

85
Il principale comandante della squadra velica era un rinnegato veneziano, Nicolò Fur-
Pr anc

lan, caturato all’inizio delle guerra e divenuto Mustafa.


86
La vicinanza di Creta alla terraferma permise anche ai tedeschi, nel 1941, di conqui-
stare l’isola a dispetto della preponderante flotta inglese e ciò grazie non solo alla forza del-
l’aviazione e all’impiego delle nuove truppe paracadutate.
Fr

87
Al blocco continuato militare ed economico degli anni precedenti, difficile da mante-
nere anche per i non sempre buoni rapporti con i capitani dei mercantili armati noleggiati, i
veneziani avevano sostituito un blocco miltiare stagionale per impedire l’uscita delle flotta
ottomana nella stagione più propizia.
88
Le beylere, come detto le migliori galee ottomane ma che erano poco più di una ventina,
svernavano solitamente nei timar marittimi che le allestivano. Il grosso delle flotta ottomana
riparava invece alla fine di ogni campagna a Istanbul. Sulla natura dell’Armata navale ottoma-
na, la cui forza si basava soprattutto sugli armi stagionali e non permanenti, cfr. P. Williams,
The Strategy of Galley Warfare in the Mediterranean (1560-1620), in Guerra y sociedad en la
Monarquía Hispánica. Politica, Estrategia y Cultura en la Europa Moderna (1500-1700), a
cura di E. García Hernán e D. Maffi, Madrid, 2006, I, pp. 898-900, 912-914 (891-920).

138
Vele, remi e cannoni

anticipando l’arrivo ai Dardanelli dei veneziani89, nel 1654 l’uscita della


flotta turca portò alla prima di una serie di battaglie combattute
all’imbocco occidentale degli Stretti. La disposizione delle flotte e
l’andamento delle battaglie vennero condizionati dalla particolare natura
del canale, che non solo limitava i movimenti delle unità navali, ma era
anche caratterizzato da una forte corrente. Quest’ultima, che in alcuni
punti poteva superare i cinque nodi, si muoveva dal Mar di Marmara ver-
so il Mediterraneo, favorendo l’uscita degli ottomani e costringendo le
unità della Serenissima a dei difficili ancoraggi per non farsi trascinare al
largo.
Nel 1654, per non essere preceduti una seconda volta, i veneziani si porta-
rono ai Dardanelli entro la terza decade di aprile con sedici navi, appoggiate
da due galeazze e otto galee90. All’alba del 16 maggio i turchi si presentarono

ta
con quaranta galee, sei maone e trenta navi,91 mentre ventidue beylere e altre

va
quattordici navi barbaresche li attendevano dall’altra parte degli Stretti, alle
spalle dei veneziani. La superiorità turca era maggiore anche dei rapporti

er
numerici perché, delle sedici navi in servizio con la Serenissima, solo sei, se-
ria .
condo il comandante della squadra veneziana, il Capitano delle Navi Giusep-
ra .r.l
ris
pe Dolfin, erano effettivamente in grado di promettere in battaglia «valorosi
effetti». Le perplessità sulle proprie forze e qualche timore per le galee, «dif-
tte S

ficili a difendersi nella confusione d’una mischia d’Armata grossa e sotile»92,


le li

spinsero Dolfin a ordinare ai propri capitani «di regolarsi con prudenza e co-
raggio». Le navi furono disposte in tre colonne: quelle di destra e di sinistra,
tà ge

rispettivamente presso la costa asiatica ed europea, avevano sette navi cia-


rie An

scuna, mentre al centro vi era Dolfin con due navi e due galeazze. Ognuna
delle otto galee venne assegnate a una specifica nave, che doveva protegger-
la: la battaglia era difensiva e le galee assumevano un ruolo ausiliario e su-
op o

bordinato rispetto alle navi.93 Dolfin concordò col Capitano del Golfo Fran-
cesco Morosini94, che guidava le unità a remi, di tagliare le ancore non prima
Pr anc

89
Anderson, Naval Wars, cit., pp. 145-147.
Fr

90
Ad ogni modo, sette navi barbaresche erano già riuscite a congiungersi con il grosso
ottomano dentro gli Stretti. ASV, PTM, filza 1328, disp. Capitano delle Navi Giuseppe Dol-
fin 29.4.1654.
91
È difficile dire quante delle navi fossero effettivamente da guerra e quante dei sempli-
ci trasporti. E anche probabile che alcune navi fossero mercantili armati occidentali presenti
nei porti dell’Impero e che i turchi avevano convinto, più o meno forzatamente, a entrare al
loro servizio, una risposta ai noleggi veneziani.
92
ASV, PTM, filza 1328, disp. G. Dolfin 29.4.1654.
93
Per la formazione di Dolfin, cfr. ASV, Materie miste notabili, n. 149, c. 7r. Sul valore
solo come arma offensiva della galea, cfr. Guilmartin, Gunpowder and Galleys, cit., pp. 73-74.
94
Si trattava di un omonimo del celebre Francesco Morosini.

139
Guido Candiani

che fosse passata almeno la metà della flotta nemica, in modo da ritrovarsi
sopravento e col vantaggio della corrente; in particolare, la prima nave di cia-
scuna colonna doveva mantenere il più possibile la propria posizione, de-
viando così il flusso avversario. Ogni singola unita ricevette da uno o dall’al-
tro dei due ammiragli veneziani precisi ordini in base a queste direttive, ma
l’andamento della battaglia mostrò che era difficile, nel calore dell’azione,
far rispettare le disposizioni stabilite.
I turchi fecero uscire per prime le navi, che avanzarono in linea di fronte
spinte da una leggera tramontana. Le unità a vela erano seguite a voga lenta
da quelle a remi, guidate dal Kapudan Pascià. La battaglia si aprì al centro
con l’abbordaggio da parte di una sultana95 della già citata nave olandese
Gouden Adelaar, che batteva le insegne dall’Almirante (il vice Capitano del-
le Navi) Daniele Morosini. Le due navi rimasero avvinghiate cercando di su-

ta
perarsi e alla fine quella della Serenissima ebbe la meglio; il successo fu però

va
di breve durata, perché altre quattro navi nemiche assalirono l’Adelaar e il
suo equipaggio, piuttosto che cedere, preferì darle fuoco «incenerendola» in-

er
sieme alla sultana.96 Subito dopo finì in fiamme l’Orsole Bonaventure, un
ria .
piccolo mercantile armato inglese. La scelta di Dolfin di disporre le navi per
ra .r.l
ris
tutta l’estensione del canale in modo da coprire l’intera uscita costringeva i
vari contingenti veneziani a combattere isolati e ad essere messi fuori com-
tte S

battimento a singoli pezzi. Inoltre l’unità in testa alla colonna di sinistra, la


francese Apollon97, non solo era scaduta prima ancora dell’inizio della batta-
le li

glia dal posto assegnatole (forse perché l’ancora aveva arato sul fondo), ma
tà ge

non aveva neppure soccorso l’Adelaar che, combattendo, era scaduta verso
di lei98. La tragica fine delle due unità presso la costa asiatica convinse anzi
rie An

prima l’Apollon e poi le altre sei navi disposte presso quella europea a taglia-
re gli ormeggi e a fuggire, seguite ben presto da cinque delle sei navi rimaste
op o

a ridosso della costa asiatica. Invano sia Dolfin «anco con parole che dimo-
Pr anc

strarono il mio ramarico», sia Morosini cercarono di arrestare le unità fuggi-


tive e convincerle ad ancorarsi nuovamente. Al centro del canale rimasero so-
lo le due galeazze e l’ammiraglia del Capitano delle Navi, l’olandese Groot
Fr

Sint Joris99. Dopo aver resistito qualche tempo, anche le galeazze tagliarono
95
Le sultane erano le navi da guerra a vela costruite e armate direttamente dallo stato ot-
tomano.
96
Daniele Morosini sopravvisse all’incendio, ma venne fatto schiavo dei turchi.
97
Si trattava di un mercantile armato con 30 cannoni e di 500 botti (400 t?) di portata, no-
leggiato a Tolone nel 1652 per 2.100 ducati al mese. ASV, Senato Mar, filza 452, 17.12.1652.
98
È possibile che la diversa nazionalità delle due navi abbia influito sul mancato inter-
vento dell’Apollon.
99
La nave, da 52 cannoni, era stata nuovamente noleggiata l’anno prima per 2.300 duca-
ti al mese. ASV, Senato Mar, registro 115, 8.3.1653, cc. 50r-v; filza 488, 4.11.1656.

140
Vele, remi e cannoni

gli ormeggi ed essendo «macchine di peso e difficili da maneggiare nella vi-


goria delle acque» e pur continuando a battersi, furono trascinate dalla cor-
rente fuori dagli Stretti. Nel frattempo le otto galee avevano cercato riparo
sotto ciascuna delle navi che erano state assegnate da Dolfin per la loro dife-
sa. La galea armata dalla città di Padova però tagliò il rimorchio che l’assi-
curava a prua alla nave, pensando di girarsi e mettersi poppa contro poppa100,
ma la manovra fallì e l’unità rimase isolata: attaccata prima da due sultane e
poi da cinque galee, venne sopraffatta101.
Mentre assisteva impotente allo sfaldarsi del proprio dispositivo, Dolfin si
trovò sulla Sint Joris attaccato da quattro sultane che lo assalirono a due per
lato. La prima vittima di questo attacco concentrico fu comunque la galea del
Capitano del Golfo Morosini, che aveva sperato di trovare rifugio sotto la
nave ammiraglia. Morosini rimase ucciso e solo cento tra rematori e soldati

ta
(su un equipaggio che doveva sfiorare i 350 uomini) riuscirono a salvarsi sul-

va
la Sint Joris: vendendo la galea ridotta a un relitto, il Capitano delle Navi la
fece incendiare. Le quattro sultane non si lanciarono comunque all’abbor-

er
daggio dell’ammiraglia veneziana, ma preferirono tenerla sotto un continuo
ria .
fuoco di artiglieria e di moschetteria. Dopo due ore di combattimento, ve-
ra .r.l
ris
dendo che la corrente lo stava trascinando con i suoi tormentatori verso riva,
dove migliaia di soldati turchi assistevano allo scontro pronti ad assaltare le
tte S

navi nemiche che venissero ad incagliarsi sulla costa102, Dolfin, fece gettare
le li

l’ancora. Ciò consentì al Kapudan Pascià di arrivare con le maone e le galee


e d’investire l’ammiragli nemica a poppa. Per altre quattro ore unità a vela e
tà ge

a remi turche bersagliarono la Sint Joris, che rispose al fuoco usando palle
armate e incatenate103 contro le navi, sacchetti contro le galee. Completamen-
rie An

te tagliata fuori dal resto della squadra, mentre da terra barche e brigantini
trasportavano a bordo delle unità assalitrici truppe per rinsanguare i ranghi
op o

dei loro equipaggi, «rasate e gattate a basso le gabbie [gli alberi di gabbia],
Pr anc

trapassata la maestra, sul punto di cadere, fracassate le antenne [pennoni], of-


feso il trinchetto e la mezzana, rotto il timone e le trombe [pompe], tagliate
Fr

100
Lo scopo era quello di proteggere con le artiglierie di prua della galea la poppa della
nave, punto particolarmente fragile e che nel caso specifico (ma il problema era probabil-
mente comune a tutti i mercantili armati) non doveva essere sufficientemente coperto dalle
artiglierie di bordo.
101
Il sopracomito, il nobile padovano Antonio Capodilista, fu fatto prigioniero. Nelle
campagne navali del Cinquecento i domini di Terraferma della Serenissima avevano armato
un numero notevole di galee, ma successivamente, e soprattutto durante la guerra di Candia,
questi armi divennero molto limitati.
102
Dolfin parla di 30 mila uomini schierati sulle due rive dei Dardanelli.
103
Le palle incatenate erano costituite da due palle intere unite da una catena e serviva-
no soprattutto a demolire le attrezzature delle unità nemiche.

141
Guido Candiani

tutte le sartie e corde, arse e disfatte in minutissimi pezzi le vele, scalzati di-
versi cannoni, lacera per tutte le bande e squassata la nave dalle cannonate»,
dodici delle quali sotto la linea di galleggiamento, l’ammiraglia era ormai in
procinto di soccombere. Dolfin decise allora di rimettersi in moto facendo ta-
gliare la gomena che lo teneva ancorato. Pur priva del timone, la nave girò
fortunatamente la prua verso l’uscita del canale e riuscì altrettanto fortuno-
samente a trovare un varco tra le unità a vela e quelle a remi nemiche, che e-
videntemente combattevano separate. Solo la nave ammiraglia ottomana,
«disfatta e rimessa, levate le sue bandiere» continuò a rimanerle abbarbicata.
Fu adesso la volta dell’ammiraglia nemica a rischiare di cadere nelle mani
dei veneziani, che la stavano trascinando verso il resto della propria squadra,
ma l’intervento delle quattordici navi barbaresche posizionate fuori dai Dar-
danelli la salvò.

ta
Fuori dai Dardanelli, Dolfin poté ricongiungersi con il resto della pro-

va
pria formazione e incrociare al largo fino a sera, ma ormai gli era impossi-
bile riposizionarsi per impedire la definitiva uscita della flotta nemica. Pre-

er
ferì quindi ritirarsi verso l’Egeo centrale per riunirsi con il resto della flotta
ria .
veneziana. Il Capitano delle Navi attribuì quella che era un’indubbia scon-
ra .r.l
ris
fitta, la sola importante patita sul mare dai veneziani durante la guerra di
Candia, alla codardia mostrata da molte delle navi noleggiate (solo gli o-
tte S

landesi, «che son sicuro correranno mille pericoli e mille morti», meritava-
le li

no di essere mantenuti in servizio) e al fatto che le galeazze non erano riu-


scite a mantenere la propria posizione. Va però sottolineato come il suo
tà ge

schieramento avesse favorito il disordine sviluppatosi nelle squadra; consi-


rie An

derata la scarsa fiducia di Dolfin nei confronti di molti dei capitani dei mer-
cantili armati, una formazione più coesa gli avrebbe consentito di controlla-
re meglio la squadra. Anche il ruolo attribuito alle galee, spinte quasi a na-
op o

scondersi sotto le navi, sembra essere stato troppo passivo, sebbene la loro
Pr anc

estrema debolezza nel caso rimanessero isolate ne consigliasse effettiva-


mente un cauto impiego104.
L’anno successivo lo schema visto nel 1654 si ripeté, ma questa volta la
Fr

flotta veneziana ai Dardanelli era al comando dell’intraprendente Lazzaro


Mocenigo, già protagonista della battaglia di Paro del 1651 ed eletto Capi-
104
Secondo un’anonima relazione, Dolfin avrebbe voluto allontanare le galee prima del-
la battaglia, sottolineando l’impaccio che potevano arrecare alle navi. Il Capitano del Golfo
Morosini, che come detto guidava le galee, avrebbe però chiesto di portare con sé anche le
galeazze, dato il rischio di incontrare fuori dagli Stretti le beylere, ma Dolfin avrebbe rifiuta-
to di privarsi delle galeazze, «principal fondamento delle sue forze». BMC, mss. Malvezzi
128, Rellatione del viaggio dell’Armata ottomana dell’anno 1655 con la battaglia dei Ca-
stelli e altre cose notabili, c. 117r. Sulla battaglia, cfr. anche ASV, PTM, filza 1328, disp. G.
Dolfin 27.5.1654.

142
Vele, remi e cannoni

tano delle Navi al posto di Dolfin. Ai suoi ordini Mocenigo aveva ventiset-
te navi, quattro galeazze e sei galee, che dispose in maniera tale da evitare
la confusione e gli errori che avevano determinato la sconfitta di Dolfin.
Invece di dividere le navi in tre squadre separate disposte al centro e verso
le due rive del canale, Mocenigo scelse di tenerle raggruppate verso il cen-
tro, scaglionate su quattro linee successive105, in modo da poterle più facil-
mente controllare soprattutto nel momento critico in cui – lasciati scorrere
gli ottomani, deviati dal blocco di unità veneziane verso l’una o l’altra riva
– esse dovevano tagliare le gomene e gettarsi alle spalle del nemico. Lo
scopo era ottenere quella tempestività e quel sincronismo che erano manca-
ti alle forze di Dolfin nel 1654, convertendo l’iniziale vantaggio ottomano
della corrente in un vantaggio veneziano. Mentre la navi occupavano il cen-
tro, galeazze e galee non erano frammischiate alle navi, come nell’ordi-

ta
nanza di Dolfin, ma erano posizionate sulla destra, formando una squadra

va
autonoma presso la riva asiatica, dove la corrente era meno forte e dove le
navi turche avevano meno probabilità di avanzare106.

er
Rianimati dal successo dell’anno prima, gli ottomani uscirono dagli
ria .
Stretti nella mattinata del 21 giugno 1655 sicuri di forzare il passaggio, pur
ra .r.l
ris
non potendo giovarsi dell’ausilio delle navi barbaresche, trattenute nel Me-
diterraneo occidentale dalla presenza di una squadra inglese inviata contro
tte S

le Reggenze da Cromwell107. Le loro trenta navi (tra cui due mercantili ar-
mati olandesi e uno inglese, noleggiati per l’occasione108) avanzarono in li-
le li

nea di fronte occupando tutto il canale. Le seguivano otto maone e sessanta


tà ge

galee, che dovevano assalire le similari unità veneziane giovandosi della


rie An

grande superiorità numerica, mentre le navi ottomane cercavano di tenere a


bada quelle veneziane, più forti ma non più numerose.
Questa volta però le cose non andarono come sperato dai turchi. Invece
op o

di tagliare rapidamente gli ormeggi e perdere la propria coesione, le navi


Pr anc

veneziane rimasero ferme sull’ancora in attesa degli ordini di Mocenigo, in


Fr

105
Le prime tre linee avevano rispettivamente di 4, 4 e 6 navi, l’ultima di 13 (la rel. par-
la di 14). Le galeazze erano verso la costa asiatica, fuori dalla corrente, le galee a poppa del-
le galeazze. BMC, Mss. Malvezzi 128, Rellatione del viaggio dell’Armata ottomana
dell’anno 1655 con la battaglia dei Castelli e altre cose notabili, c. 110v.
106
Una schema della formazione veneziana in Anderson, Naval Wars, cit., p. 154.
107
Nani, Istoria, cit., p. 346; M. Baumber, General-at-Sea. Robert Blake and the Seven-
teenth Century Revolution in Naval Warfare, London, 1989, pp. 202-206.
108
Durante la guerra di Candia gli ottomani cercarono a più riprese di imitare i veneziani
nell’ingaggio dei mercantili armati stranieri, ma la mancanza di fiducia reciproca, il timore de-
gli armatori di vedere le proprie unità distrutte dalla più forte flotta della Serenissima e i non
ottimi rapporti diplomatici con le potenze nordiche frustarono molto spesso questi tentativi.

143
Guido Candiani

prima linea sulla nave pubblica (statale) San Marco109. Le navi ottomane,
portatesi lentamente a vele ridotte fino a tiro di cannone, cominciarono a
deviare verso la costa europea, dove la corrente a favore era più forte, di-
sponendosi in linea di fila. Ciò le costrinse a procedere una dietro l’altra
sotto le fiancate delle navi della Serenissima, che le investirono con bordate
su bordate, con i cannoni che sparavano e ricaricavano senza sosta110. Alcu-
ne sultane vacillarono e cercarono di ritirarsi, investendo le navi che le se-
guivano e creando un groviglio di unità tale da dare alle artiglierie venezia-
ne un facile bersaglio. Dalla parte opposta del canale anche le unità a remi,
nonostante la larga superiorità numerica, vennero prima bloccate e poi re-
spinte dal fuoco delle artiglierie, soprattutto di quelle delle galeazze: gli
sfortunati equipaggi di tre galee, finite fuori controllo nel bel mezzo delle
navi veneziane, furono massacrati da angeli e palle incatenate111. Fino a

ta
quel momento le cose erano andate secondo i piani di Mocenigo, che diede

va
il fatidico ordine di tagliare gli ormeggi. Tuttavia un improvviso calo del
vento, il maggiore problema per le navi da guerra a vela in Mediterraneo,

er
rovinò la tempestività della manovra. Dalla destra intervennero galeazze e
ria .
galee per prendere a rimorchio le navi, ma il loro numero era insufficiente e
ra .r.l
ris
tre navi si ritrovarono isolate verso lo sbocco del canale. Mocenigo si pre-
cipitò con la San Marco riuscendo a soccorrerne due, ma la terza, l’olan-
tte S

dese David Golia, bruciò, incenerendo peraltro anche le tre sultane che l’a-
vevano abbordata insieme a una galea che era venuta in loro soccorso112.
le li

Un’altra sultana venne catturata dalla San Marco, mentre almeno due altre
tà ge

navi ottomane s’incagliarono presso la sponda europea: molti uomini anne-


rie An

garono cercando di raggiungere la riva sulle barche che, sovraccariche, co-


lavano a picco. Il resto delle unità a vela turche fu salvato dall’intervento
delle beylere in attesa all’imbocco degli Stretti, che le rimorchiarono in sal-
op o

vo fuori dal canale. Il sacrificio delle unità a vela ottomane permise co-
Pr anc

munque a quelle a remi, che si erano spostate a loro volta a ridosso della
Fr

109
La San Marco, una delle navi ottomane catturate nella battaglio di Paro del 1651, era
stata riadattata e rimessa in servizio dalla Serenissima come una nave dello stato e non come
una nave noleggiata. Insieme ad altre due sultane catturate nelle stessa battaglia, andò a co-
stituire il primo nucleo di navi pubbliche della Serenissima. Candiani, I vascelli, cit.
110
Il tiro delle navi della Serenissima deve essere anche stato reso più efficace dal fatto
che le unità ancorate rappresentavano una piattaforma di tiro più stabile.
111
Gli angeli erano formati da una palla di cannone tagliata a metà e unita da una catena
o da una sbarra; come le palle incatenate, venivano normalmente utilizzati per demolire le
attrezzature delle unità avversarie.
112
Pare che il fuoco fosse stato innescato su una delle sultane dai fuochi artificiali lan-
ciati dalla David e si fosse poi esteso ad amici e nemici.

144
Vele, remi e cannoni

costa europea, di sgusciare fuori mentre il debole vento rallentava le navi


veneziane, anche se molte di esse vennero danneggiate113.
La battaglia si era conclusa con una netta vittoria veneziana, mentre i
turchi avevano perso in un modo o nell’altro almeno nove navi114. Tuttavia
l’uscita delle unità a remi diede agli ottomani la possibilità di portare alla
fine qualche soccorso a Creta, sebbene in quantità limitata. Le navi vene-
ziane si erano mostrate più che adeguate per fermare le pari classe ottoma-
ne, ma non per bloccare del tutto le unità a remi, un problema che si sareb-
be ripetuto negli anni successivi. Inoltre la presenza fuori dai Dardanelli
delle beylere, che potevano rimanere in Egeo senza dover rientrare ogni in-
verno a Istanbul e non subivano quindi gli effetti del blocco veneziano, da-
va agli ottomani una certa flessibilità e permetteva loro di attenuare le con-
seguenze di un’eventuale sconfitta.

ta
Il 1656 vide un’escalation della collaborazione tra unità a vela e a remi.

va
Probabilmente considerando che sia la sconfitta del 1654, sia l’incompleta
vittoria del 1655 erano dovute alle scarsità di unità a remi in appoggio a

er
quelle a vela, il nuovo Capitano Generale Lorenzo Marcello (un altro dei
ria .
protagonisti della vittoria del 1651) condusse per la prima volta ai Darda-
ra .r.l
ris
nelli l’intera flotta, forte di ventotto navi, sette galeazze e trentun galee115.
Ispirandosi a Mocenigo, Marcello raggruppò le navi verso il centro del ca-
tte S

nale, ma in una formazione a cuneo ancora più compatta di quella adottata


le li

l’anno precedente. Insieme alle navi il centro aveva anche cinque galeazze,
mentre altre due galeazze e tutte le galee erano in retroguardia quale riserva
tà ge

mobile116. L’intero dispositivo veneziano tendeva ad essere spostato verso


rie An

la costa europea, dove la corrente era più forte e dove i turchi solevano ten-
tare l’uscita. Per tutta risposta, questi ultimi tentarono di sorprendere il ne-
mico passando per la riva asiatica, mai tentata prima. Qui però la costa è
op o

molto più sinuosa rispetto a quella europea. Il vento da Nord e la corrente


Pr anc

spinsero le navi della Porta in un’insenatura presso capo Kephez, impeden-


do loro di proseguire e costringendole ad ancorarsi. Si erano in pratica im-
Fr

113
I turchi avevano cercato di assaltare la loro ex-ammiraglia con tre unità, ma il fuoco
della San Marco li aveva costretti a desistere. Sulla battaglia, cfr. ASV, PTM, filza 1328,
disp. L. Mocenigo n. 21, 24.6.1655 e all.; n. 23, 3.7.1655 e all.; G. Brusoni, Historia
dell’ultima guerra tra veneziani e turchi, Bologna, 1674, I, pp. 277-279; A. Valier, Historia
della Guerra di Candia, Venezia, 1679, p. 357; Anderson, Naval Wars, cit., pp. 154-155.
114
Nani, Istoria, cit., p. 347, afferma che i turchi persero in un modo o nell’altro quat-
tordici navi.
115
Sette delle galee erano maltesi.
116
BNM, ms. it., cl. VII, 580 (8956), Relatione della battaglia navale seguita nel canale
de Dardanelli fra le Armate Veneta et Ottomana il dì 26 giugno 1656, c. 354v; Anderson,
Naval Wars, cit., p. 160.

145
Guido Candiani

bottigliate da sole e quando, dopo alcune ore, il vento girò verso a favore
dei veneziani, la loro sorte apparve segnata. Le galee ottomane cercarono
disperatamente di prendere a rimorchio le navi per riportarle indietro, ma
l’arrivo a tutta velocità delle navi veneziane, precedute ancora da Mocenigo
sulla San Marco117, spinse le quattordici galee più vicine a mollare precipi-
tosamente i rimorchi, abbandonando una volta di più le navi ottomane al
proprio destino. Molte altre galee non poterono però seguirne l’esempio, in
quanto rimasero a loro volta bloccate dalle navi veneziane e dovettero subi-
re l’attacco delle galee della Serenissima, entrate nella mischia alla guida
del Capitano Generale Marcello. Le unità a remi ottomane, nonostante il
fuoco di copertura delle batterie che i turchi avevano posto a terra, subirono
gravi danni dalle pari classe veneziane; nel frattempo, il vento spingeva
verso terra le navi, facendole impigliare come l’anno prima l’una con l’altra

ta
e spingendo gli equipaggi a iniziarne l’abbandono. Il colpo di grazie lo die-

va
de l’arrivo delle cinque galeazze inserite nel dispositivo delle navi, le quali,
ancoratesi nel bel mezzo delle sultane, fecero strage degli equipaggi di que-

er
ste ultime con un fuoco continuo di cannoni e moschetteria. Le galee vene-
ria .
ziane catturarono unità di ogni tipo, ma le barche messe in mare dalle navi
ra .r.l
ris
per impossessarsi delle sultane furono invece respinte dai pochi turchi ri-
masti a bordo. L’agilità delle galee tornava utile anche quando di trattata di
tte S

fare bottino118, sebbene neppure queste ultime rimasero indenni: lo stesso


le li

Capitano Generale Marcello venne ucciso mentre attaccava una sultana, poi
catturata. Oltre alla morte del Capitano Generale, i veneziani lamentarono
tà ge

la perdita della loro nave principale. Spinta troppo avanti dall’impetuoso


rie An

Mocenigo, la San Marco si incagliò e dovette essere data alle fiamme il


giorno successivo.
Nonostante ciò, il successo del 26 giugno, completato il 27 con la cattu-
op o

ra delle navi ottomane gettatesi a riva, era la più clamorosa vittoria navale
Pr anc

dai tempi di Lepanto, non inferiore a quella conseguita nel 1639 dagli olan-
desi contro gli spagnoli ai Dows. I turchi persero tutte e ventotto le loro na-
vi, cinque maone e almeno quarantacinque galee, cioè un totale di settantot-
Fr

to unità sulle novantaquattro messe in campo. Istanbul cadde nel panico e il


sultano Maometto IV fuggi dalla città, dove venne convinto a rientrare solo
117
Lazzaro Mocenigo non era più Capitano delle Navi, ma era rimasto quale volontario
e aveva scelto di rimanere imbarcato sulla San Marco. Nell’azione la San Marco, una nave
da una cinquantina di cannoni, sparò bordate anche di quattordici pezzi. Relatio-
ne…26.6.1656, cit., c. 355v.
118
Ad ogni modo alcune galee, con le ciurme più deboli, e le due galeazze rimaste con
la retroguardia non riuscirono ad entrare in battaglia perché il vento tornò ad indebolirsi. Re-
latione…26.6.1656, cit., c. 355v. Sull’importanza di ciurme ben rinforzate per l’efficienza
bellica delle galee, cfr. le considerazioni di Phillip Williams in questo stesso volume.

146
Vele, remi e cannoni

a fatica. La grave crisi politico-militare portò al potere Mehmed Köprülü,


dando il via alla dinastia di gran visir albanesi che riuscì a raddrizzare
l’Impero nei decenni successivi119. La vittoria del 1656 si può considerare
l’apice nella collaborazione tra unità a vela e a remi. L’incudine rappresen-
tato dalle navi e il martello costituito dalle unità a remi aveva frantumato la
flotta ottomana, già messa in una situazione estremamente difficile da una
manovra diversiva sbagliata. Se le navi della Porta pagarono come sempre
il prezzo più alto, venendo annientate, questa volta anche le galee non
scamparono alla distruzione, salvo le poche fuggite all’inizio dello scontro.
La buona coordinazione della flotta veneziana, con l’azione di blocco delle
navi, l’intervento delle galee e il colpo finale dato dalle galeazze, impedì al-
le galee ottomane di sottrarsi alla sconfitta come era accaduto in passato.
Il grande successo conseguito ai Dardanelli e la morte di Marcello ele-

ta
varono al comando supremo Lazzaro Mocenigo. Questi dovette affrontare

va
nel 1657 una situazione strategica diversa dagli anni passati, perché i turchi,
scottati dal disastro dell’anno precedente, decisero di cercare di concentrare

er
le proprie forze fuori dai Dardanelli prima dell’arrivo del nemico. Già a
ria .
marzo, il nuovo Gran Visir Köprülü riuscì a far salpare da Istanbul una
ra .r.l
ris
squadra di trentadue galee. Queste, dopo aver tentato senza esito di ripren-
dere l’isola di Tenedo, importante posizione strategica di fronte ai Darda-
tte S

nelli caduta in mano veneziana, come la vicina Lemno, in seguito alla vitto-
ria del 1656, si portarono prima a Mitilene e poi a Chio120. Qui dovevano
le li

essere raggiunta sia dalle beylere, sia dalle navi barbaresche, chiamate in
tà ge

soccorso per rinsanguare la componente velica della flotta ottomana. Mo-


rie An

cenigo riuscì comunque a intercettare il 3 maggio nelle acque di Chio quat-


tordici navi algerine con una squadra di sole unità a remi (sei galeazze e di-
ciannove galee), approfittando della scarsità di vento e sparando alle albera-
op o

ture per frenare le unità barbaresche. I cannoni di grosso calibro delle gale-
Pr anc

azze seminarono il terrore tra gli algerini, paralizzandone gli equipaggi, e


alla fine nove navi si gettarono contro la costa e vennero perdute121.
Nel frattempo il Capitano delle Navi Marco Bembo era stato posizionato
Fr

ai Dardanelli per bloccare il resto della flotta ottomana, che si andava fatico-
samente allestendo a Istanbul e il cui obiettivo principale rimaneva la ricon-
119
Sulla battaglia, nella quale i turchi ammisero la perdita di cinque mila uomini, cfr.
ASV, PTM, filza 1222, disp. Provveditore d’Armata Barbaro Badoer n. 4, 30.6.1656 e all.;
filza 1328, lett. L. Mocenigo 1.8.1656; Relatione…26.6.1656, cit., cc. 354v-356v; Valier,
Historia, cit., pp. 379-380, 382; Brusoni, Historia, cit., I, pp. 298-301; Anderson, Naval
Wars, cit., pp. 159-161.
120
Anderson, Naval Wars, cit., p. 162.
121
ASV, PTM, filza 1098, dispacci Capitano Generale da Mar Lazzaro Mocenigo, n. 16,
5.5.1657 e all.ti.

147
Guido Candiani

quista di Tenedo. La squadra di Bembo non era però l’armata compatta gui-
data da Marcello nel 1656, ma ricalcava le formazioni degli anni precedenti,
con sole quattro galee ad affiancare venti navi e sette galeazze. Ciò era dovu-
to sia alla dispersione di forze che la precoce uscita della squadra ottomana e
l’arrivo dei barbareschi avevano determinato anche in campo veneziano, sia a
un contingente problema di acqua, che aveva costretto la maggior parte delle
galee giunte ai Dardanelli ad allontanarsi, senza poi riuscire a ritornare a cau-
sa del forte vento contrario122. Di conseguenza la battaglia che seguì, combat-
tuta il 17 luglio, portò come altre volte in passato a una vittoria incompleta. I
turchi tornarono a forzare il passaggio verso la costa europea, avanzando con
le navi – diciotto sultane – sempre in testa, seguite da due maone e da trenta
galee, mentre altre otto maone dovevano tenere impegnato il grosso della
flotta veneziana, ancoratosi presso la costa asiatica forse per facilitare il ritor-

ta
no delle galee andate a fare acqua123. Le otto maone riuscirono inizialmente a

va
bloccare le sette galeazze e alcune delle navi veneziane, ma poi la superiorità
dell’artiglieria veneziana ebbe il sopravvento e sei maone finirono affondate

er
o catturate. Tuttavia il loro sacrificio permise a tredici sultane, una maona e
ria .
almeno sei galee di passare a ridosso della costa europea e portarsi a Mitile-
ra .r.l
ris
ne. Altre cinque sultane non furono così fortunate e vennero perdute, mentre
le galee dovettero fare marcia indietro, ancorandosi sotto la protezione delle
tte S

batterie posizionate lungo la costa asiatica. Indubbiamente, se il resto della


le li

flotta veneziana fosse stato presente, la vittoria sarebbe stata totale come nel
1656, anche se Bembo sottolineò come i turchi si fossero battuti con una de-
tà ge

terminazione – e un senso della posizione – mai mostrati in passato, proba-


bilmente frutto anche questo dell’impulso di Köprülü124. Il Capitano Generale
rie An

Mocenigo arrivò ai Dardanelli con altre ventotto galee solo ad azione conclu-
sa, senza poter neppure intercettare le unità turche che avevano forzato gli
op o

Stretti. Due giorni dopo, il 19 luglio, Mocenigo avanzò con sole dodici galee
Pr anc

scelte per andare ad attaccare le ventidue galee turche rimaste ancoratesi sot-
to la protezione delle batterie costiere. Questa volta la sua temerarietà gli fu
fatale. Dopo aver superato il fuoco di tre batterie, alla quarta la sua galea fu
Fr

centrata nel deposito munizioni e saltò in aria, uccidendolo sul colpo. La de-
122
In condizioni di mare e di vento difficili, aggravati nella fattispecie dalla corrente
contraria dei Dardanelli, i remi erano di ben poco aiuto.
123
A Bembo erano rimaste quattro galee, che però gli servivano solo per fare un po’
d’acqua sul posto.
124
Sulla battaglia del 17 luglio 1657, cfr. ASV, PTM, filza 1328, dispacci Capitano del-
le Navi Marco Bembo, n. 26, 22.7.1657. BNM, ms. it., cl. VII, 580 (8956), Relatione del fat-
to seguito contro l’Armata Turchesca il giorno di 17 luglio 1657 a Dardanelli con la morte
del Cap.no Generale Veneto, c. 350v; Brusoni, Historia, cit., II, p. 10; Valier, Historia, cit.,
p. 415; Anderson, Naval Wars, cit., pp. 164-166.

148
Vele, remi e cannoni

moralizzazione che produsse la sua morte fu aggravata alcune settimane do-


po da quella di Barbaro Badoer, che aveva assunto il comando interinale, e
portò all’abbandono prima di Tenedo e poi di Lemno, restituendo ai turchi il
pieno possesso dello sbocco degli Stretti125.
La battaglia dei Dardanelli del 1657 fu l’ultimo scontro navale di rilievo
della guerra di Candia126. Nuovo Capitano Generale da Mar divenne Fran-
cesco Morosini il quale, alla strategia «navalista» del blocco dei Dardanelli
che aveva condotto direttamente o indirettamente a tutte le battaglie del de-
cennio precedente, ne sostituì una di carattere essenzialmente anfibio, con
una serie di incursioni contro le coste dell’Impero Ottomano, spesso a sco-
po di razzia127. Questa strategia si applicò anche a Creta, dove la flotta di-
venne sempre più uno strumento per appoggiare l’esercito veneziano sull’i-
sola, fin quasi a trasformarsi, nei due anni finali della guerra (1667-69), in

ta
un semplice serbatoio di uomini per le difese a terra128. Accanto alle opera-

va
zioni anfibie, ma sovente in subordine ad esse, la flotta veneziana tentò,
senza troppo successo, di frenare i soccorsi che da ogni parte i turchi invia-

er
vano a Creta, impegnandosi soprattutto a chiudere l’accesso a Canea, tal-
ria .
volta spingendosi a oriente per intercettare l’importante traffico mercantile
ra .r.l
ris
tra Alessandria e Istanbul129. Senza la focalizzazione su di un obiettivo ben
definito, le due componenti della flotta veneziana presero ad agire separa-
tte S

tamente e le azioni comuni tra unità a vela e a remi di fatto cessarono130.


le li
tà ge

125
Brusoni, Historia, cit., II, p. 22; Valier, Historia, cit., pp. 420-421; Nani Mocenigo,
rie An

Storia della marina veneziana, cit., pp. 197-205; Anderson, Naval Wars, cit., pp. 166-167.
126
Nella notte tra l’8 e il 9 marzo 1668 venti galee veneziane (in pratica l’intera Armata
sottile senza le galeazze) tesero un’imboscata a dodici galee ottomane, catturandone cinque.
op o

Cfr. Brusoni, Historia, cit., II, pp. 216-218. È questo, insieme all’attacco a Valona del 1638,
Pr anc

l’unico scontro di rilievo nel periodo qui considerato che ebbe per protagoniste in entrambe
le flotte esclusivamente unità a remi.
127
Sul carattere tradizionalmente anfibio della guerra navale in Mediterraneo, cfr.
Guilmartin, Gunpowder and Galleys, cit., p. 57.
Fr

128
Sovente delle flotte sono state ridotte all’impotenza dopo essersi chiuse in una base –
basti pensare alla squadra francese a Brest durante le guerre napoleoniche o a quella russa a
Sebastopoli durante la guerra di Crimea. A differenza dei casi citati però, Morosini non era im-
bottigliato da un avversario superiore, ma la sua era una scelta strategica di fondo, tanto che il
Senato veneziano cercò più volte di costringerlo a dare maggior impulso alle operazioni navali.
129
Si trattava della cosiddetta Carovana di Alessandria. Cfr. D. Panzac, La carovane
marittime. Marins européens et marchands ottomans en Méditerranée (1680-1830), Paris,
2004, pp. 9-25.
130
Nel 1662 ad esempio, galee e galeazze operarono da sole contro la Carovana di Alessan-
dria, catturandone una parte nelle acque di Lero, pur essendo l’attacco al traffico una dei compiti
che meglio si adattavano alle navi. Su questa azione, cfr. Brusoni, Historia, cit., II, pp. 110-112.

149
Guido Candiani

3. La forzata collaborazione durante le due guerre di Morea (1691-


1717)

La guerra si concluse nel 1669 con la resa di Candia e la cessione di Creta


all’Impero Ottomano. Il conflitto tra Venezia e l’Impero Ottomano si riaprì
comunque nel 1684, in seguito al fallito attacco turco a Vienna e all’ingresso
della Serenissima nell’alleanza austro-polacca contro la Porta. Per molti a-
spetti, la marina con la quale la Repubblica entrò nel nuovo conflitto era di-
versa da quella che aveva combattuto con la guerra di Candia. Nel quindi-
cennio di pace, la flotta veneziana aveva iniziato una profonda trasformazio-
ne, concretizzatasi nel 1675 con l’approvazione di un importante programma
di costruzioni di navi da guerra a vela131. Abbandonata la politica dei noleggi
di mercantili armati sia per motivi sia di costo, sia di evoluzione del naviglio

ta
militare132, la Serenissima aveva intrapreso la costruzione di una propria

va
squadra da battaglia di navi da guerra, adottando anche la nuova tattica della
linea di fila che si era imposta nelle guerre anglo-olandesi dei decenni prece-

er
denti133. Come vedremo, la nuova tattica incise in maniera particolarmente
ria .
negativa sul problema della cooperazione tra le unità a vela e quelle a remi,
ra .r.l
ris
rendendola nella pratica impossibile. Anche a livello strategico, l’evoluzione
nel naviglio a vela, sempre più agile e boliniero, rese l’integrazione delle
tte S

squadre veliche e remiere via via più difficile.


le li

Come già durante la guerra di Candia, anche gli anni iniziali della guer-
ra di Morea (1684-1699) non videro scontri navali di particolare rilievo,
tà ge

anche perché la flotta ottomana, indebolitasi nel periodo di pace, cercò di


rie An

evitare per quanto possibile il confronto. Nel 1686 ci furono due battaglie
di una certa importanza, combattuta tra le isole di Nacaria e di Nasso la
prima, nel Canale di Mitilene la seconda, seguite da una seconda battaglia
op o

nello stesso Canale nel 1690. In tutte e tre gli scontri i veneziani misero in
Pr anc

campo solo navi, come fecero anche i turchi nella prima battaglia del 1686,
da ricordare più che altro per il fatto di essere stata il primo scontro a vede-
re adottata in Levante la tattica della linea di fila. Nei due successivi com-
Fr

battimenti nelle acque di Mitilene, i turchi impiegarono anche le galee, ma


nonostante queste determinassero una larga superiorità ottomana, soprattut-
131
Su questa evoluzione e sulle vicende navali delle due guerre di Morea, cfr. Candiani,
I vascelli della Serenissima, cit.
132
La distanza tra le vere navi da guerra e i mercantili armati si era sempre più accen-
tuata, soprattutto dopo l’introduzione della tattica della linea di fila.
133
Sull’evoluzione della tattica della linea di fila e sulle sue implicazioni, cfr. W.
Maltby, Politics, Professionalism, and the Evolution of Sailing-Ship Tactics, 1650-1714, in
Tools of War. Instruments, Ideas and Institutions of Warfare, 1445-1871, a cura di J.A.
Lynn, Urbana, Illinois, 1990, pp. 53-73.

150
Vele, remi e cannoni

to nella battaglia del 1690, entrambi gli scontri misero in risalto le qualità
difensive della linea di fila e l’incapacità delle galee a scalfirla, anche a
causa del forte armamento a prua e a poppa di cui erano ancora dotate le
navi della Serenissima134.
Il fatto che in questi primi combattimenti i veneziani allineassero solo
unità a vela era dovuto alla scelta di far agire le due componenti della flotta
in teatri operativi diversi, riprendendo così la divaricazione creatasi nelle
fasi conclusive della guerra di Candia. Non a caso era stato nominato anco-
ra Capitano Generale da Mar Francesco Morosini, che impiegò le unità a
remi in una serie di riuscite campagne anfibie contro la penisola peloponne-
siaca. Nel frattempo quelle a vela cercavano, con poca fortuna, di spazzare
via la debole ma elusiva flotta ottomana dall’Egeo. Sfruttando soprattutto i
propri ancoraggi fortificati, quali Chio e Rodi, gli ottomani riuscirono a te-

ta
nere a scacco le navi della Serenissima, i cui comandanti non avevano né la

va
logistica, né talvolta la pazienza, per attuare blocchi prolungati come quelli
che si erano visti un trentennio prima ai Dardanelli135. Se il prudente impie-

er
go della flotta ottomana non aiutò l’esercito, pressato in Grecia da Morosi-
ria .
ni, le permise almeno di sopravvivere in attesa di tempi migliori, creando
ra .r.l
ris
nel contempo un forte sentimento di frustrazione tra i veneziani, che si a-
spettavano molto, probabilmente troppo, dalla loro nuova squadra velica.
tte S

Proprio questa frustrazione, unita all’esaurirsi della strategia anfibia di


le li

Morosini (tornato a Venezia nel 1689 dopo essere stato eletto Doge l’anno
precedente), portò nel 1691 alla prima operazione congiunta tra l’Armata
tà ge

grossa e quella sottile della guerra. L’offensiva combinata, il cui aspetto più
rie An

saliente fu una sterile incursione fino alle acque di Tenedo, non diede risultati
migliori del passato e la flotta ottomana rimase più che mai elusiva.
L’operazione evidenziò inoltre come fosse tornato a essere difficile far navi-
op o

gare insieme navi e galee. Se però un secolo prima erano state le lente e im-
Pr anc

pacciate unità a vela a creare i maggiori problemi, ora erano quelle a remi, e
soprattutto le galeazze, a mostrare la propria inferiorità nella navigazione, in
particolare quando si trattava di stringere il vento se il mare che rinforzava.
Fr

La nave da guerra aveva in effetti proseguito la sua lenta ma continua evolu-


134
In questi settori i veneziani usavano ancora le colubrine, più ingombranti ma come
detto più potenti dei cannoni di pari calibro. La prima battaglia di Mitilene fu combattuta il 4
ottobre 1686 tra undici navi veneziane e nove sultane e dodici galee ottomane. La seconda
battaglia venne combattuta l’8 settembre 1690 tra dodici navi della Repubblica e trentadue
navi tra ottomane e barbareschi, appoggiate da ventisei galee.
135
Le nuove squadre di navi di linea richiedevano un supporto logistico nettamente su-
periore a quello necessario ai mercantili armati. Per essere realmente efficace, la strategia
del blocco richiedeva un’azione continua e prolungata anche negli anni, come avrebbero
dimostrato gli inglesi più di un secolo dopo davanti a Brest.

151
Guido Candiani

zione tecnologica mentre la galea, ingranditasi ma probabilmente anche ap-


pesantitasi, sembrava ora meno abile a destreggiarsi in condizioni di naviga-
zione avverse136; condizioni che erano all’ordine del giorno in Egeo, dove il
Meltemi soffiava dai quadranti settentrionali per la maggior parte della buona
stagione e costringeva a stringere i bordi per risalire verso le principali basi
ottomane se si voleva prendere l’iniziativa137. Peggio di tutti stava la galeaz-
za, la quale, nonostante i progressi compiuti a inizio secolo, appariva sempre
più lenta e macchinosa nei confronti del resto della flotta.
Sul piano navale, la svolta della guerra avvenne nel 1694, quando i ve-
neziani decisero di lanciare una seconda volta all’offensiva l’intera armata.
Per attirare in campo aperto la flotta ottomana e distruggerla una volta per
tutte138, i comandanti della Serenissima scelsero di attaccare l’isola di Chio,
il caposaldo più importante per il controllo delle rotte marittime dell’Im-

ta
pero. La reazione della Porta non si fece attendere e tra il 1695 e il 1698 le

va
due flotte si affrontarono per nove volte, trasformando l’Egeo nell’epicen-
tro della guerra navale del tempo. Le prime due di queste battaglie furono

er
combattute per il diretto controllo dell’isola di Chio e videro prevalere gli
ria .
ottomani, che poterono rioccupare l’isola, abbandonata dal nemico. Sotto il
ra .r.l
ris
profilo della collaborazione tra unità a vela e a remi, questi due scontri mo-
strarono anche sul piano tattico l’impossibilità di un’azione comune, già e-
tte S

videnziatasi su quello strategico. Nella nuova linea di fila non c’era posto
le li

né per le fragili galee, né per le macchinose galeazze, che dovevano essere


tenute a debita distanza per non intralciare l’azione delle navi. Se le condi-
tà ge

zioni del vento lo richiedevano, alle galee poteva spettare il compito di ri-
rie An

morchiare le navi nella posizione loro assegnata nella linea, ma poi dove-
vano ritirarsi per lasciare campo libero alle unità a vela.
Nella prima battaglia, avvenuta il 9 febbraio 1695 a nord delle isole
op o

Spalmadori, poste nel mezzo del canale che separava Chio e la terraferma,
Pr anc

unità a remi e a vela combatterono azioni nettamente separate, con le prime


all’avanguardia delle due flotte e le seconde in retroguardia. I turchi avan-
Fr

136
In realtà, sull’evoluzione della galea dopo la seconda metà del Cinquecento si cono-
sce poco e quelle dell’a. sono solo supposizioni. L’impressione ricavata dalle fonti venezia-
ne è che galee più grandi tenessero meglio il mare se agitato, ma che stringessero peggio il
vento. Quando i veneziani persero Creta, divenne molto difficile per loro iniziare
un’offensiva con le unità a remi per tempo, prima che il Meltemi immobilizzasse l’Armata
sottile o la costringesse a lunghe e penose navigazioni.
137
Sui limiti alla navigazione posti dall’Egeo, J.H. Pryor, Geography, technology, and
war. Studies in the maritime history of the Mediterranean, 649-1571, Cambridge, 1988.
138
L’obiettivo principale erano le nuove navi da guerra che gli ottomani stavano met-
tendo in servizio e che minacciavano di mettere fine alla supremazia navale veneziana con-
quistata durante la guerra di Candia.

152
Vele, remi e cannoni

zarono con sedici sultane per affrontare le ventuno navi veneziane, mentre
altre quattro sultane dovevano impegnare le cinque galeazze139: alle venti-
quattro galee che seguivano in seconda linea spettava il compito di affron-
tare le venti pari classe della Serenissima. Queste ultime ebbero inizialmen-
te il compito di rimorchiare le navi verso nord per cercare di ottenere il so-
pravento, ma poi, come convenuto, mollarono gli ormeggi e si spostarono
in retroguardia sulla sinistra. Peraltro il comandante veneziano, il Capitano
delle Navi Priuli, che aveva appena assunto in comando, diede troppo pre-
sto l’ordine di mollare: solo cinque navi furono messe nelle condizione di
battersi, mentre le altre sedici rimasero indietro e tagliate fuori per buona
parte dello scontro. L’errore costò caro a Priuli, che fu ucciso sull’am-
miraglia Stella Maris, saltata in aria come altre due delle cinque navi del-
l’avanguardia veneziana: a fatica, le due unità superstiti furono salvate dal

ta
provvidenziale arrivo di una sesta nave della Serenissima, che riuscì a sfrut-

va
tare un favorevole cambio di vento. Mentre le unità a vela subivano una du-
ra lezione, quelle a remi combatterono una battaglia altrettanto disordinata,

er
anche se meno sanguinosa, con alcune galee impegnatesi con serie perdite
ria .
tra gli equipaggi e altre sottrattesi, pare colpevolmente, allo scontro. Le ga-
ra .r.l
ris
leazze ebbero risultati altalenanti, dovendo essere soccorse per fronteggiare
le quattro sultane che le avevano attaccate, ma contribuendo poi a rintuzza-
tte S

re l’assalto delle galee ottomane alle proprie galee. Nel secondo scontro,
le li

combattuto dieci giorni dopo (19 febbraio 1695) nello stesso canale, ma a
sud delle Spalmadori, il mare risultò troppo agitato per l’impiego delle uni-
tà ge

tà a remi e le due flotte misero in campo solo quelle a vela. Nella battaglia
rie An

le due linee di fila si tagliarono reciprocamente più volte, senza peraltro che
una delle sue parti avesse il sopravvento. I veneziani però, troppo lontani
dalle proprie basi per riparare i danni subiti dalle proprie navi140, abbando-
op o

narono Chio il 22 febbraio.


Pr anc

Il 1695 vide svolgersi altre due battaglie. Nella prima, combattuta il 15


settembre nelle acque a sud di Chio, non solo l’Armata sottile non venne
impiegata per le cattive condizioni del mare, ma quella grossa dovette an-
Fr

che combattere una battaglia in condizioni svantaggiose per proteggere le


unità a remi, che rischiavano di finire in pasto alle navi ottomane. La ma-
novra riuscì e le due squadre veliche (ventisette navi veneziane, di cui nove
noleggiate, forse trentadue turche) condussero per proprio conto una batta-
glia di circa sei ore di passate e ripassate controbordo senza particolari esiti.

139
I turchi avevano ormai abbandonato le maone e il compito di controbattere le galeaz-
ze ricadeva sulle navi.
140
Si ripresentava il problema della fragilità logistica delle squadre di navi di linea del
tempo.

153
Guido Candiani

Lo schema si ripeté tre giorni dopo (18 settembre) presso Mitilene, ma que-
sta volta le unità a remi, sempre impossibilitate ad agire per il mare grosso,
riuscirono a porsi al riparo velocemente, lasciando subito campo libero alle
navi. Ciò permise al Capitano delle Navi Bartolomeo Contarini di condurre
a suo piacere lo scontro, che fu sul punto di trasformarsi in una netta vitto-
ria veneziana; tuttavia l’esplosione, forse fortuita, di una delle navi pubbli-
che, mise in disordine la squadra veneziana (le navi noleggiate si diedero
alla fuga) e l’occasione fu persa.
I pericoli corsi dall’Armata sottile nei due scontri del settembre 1695 a-
limentarono la tensione tra il Capitano Generale da Mar Alessandro Molin,
che, pur avendo il comando supremo, di fatto dirigeva le sole unità a remi,
e il Capitano delle Navi Bartolomeo Contarini. Dato che il Senato aveva
negato a Molin il permesso di portare le proprie insegne su di una nave, il

ta
Capitano Generale voleva trovare un ruolo per sé e per l’Armata sottile,

va
mentre Contarini desiderava agire con l’Armata grossa in piena libertà,
senza doversi preoccupare della presenza delle unità a remi. Qualche scre-

er
zio tra i comandanti delle due componenti della marina veneziana si era a-
ria .
vuta anche durante la guerra di Candia, ma allora la collaborazione tra navi
ra .r.l
ris
e galee era nell’ordine delle cose e in ogni caso le navi non erano ancora
considerate l’elemento preponderante della flotta. L’evoluzione successiva
tte S

aveva attribuito a queste ultime un ruolo centrale, che solo la divaricazione


le li

operata da Morosini nella prima fase della guerra di Morea aveva per un
po’ mascherato. Era poi venuta la sconfitta di Chio che – sebbene le due
tà ge

battaglie di febbraio testimoniassero forse il contrario – era stata attribuita a


rie An

Venezia ai soli comandanti dell’Armata sottile (il Capitano Generale Zen e


la maggior parte degli altri subordinati erano finiti in carcere) e aveva inflit-
to un colpo decisivo al prestigio delle unità a remi, dando la definitiva su-
op o

premazia a quelle a vela. Il Senato non aveva però voluto trarre fino in fon-
Pr anc

do le conseguenze del cambiamento, pretendendo che il nuovo Capitano


Generale Molin continuasse ad alzare le proprie insegne su di una galea e
alimentando così il contrasto.
Fr

I pericoli insiti in questo stato di cose si manifestarono nuovamente nel


1696, nonostante Molin scegliesse prudentemente di agire tra le isole del-
l’Egeo centrale, a ridosso delle proprie basi in Morea e, soprattutto, dove
l’Armata sottile da lui diretta poteva operare in acque più riparate. A fine
luglio ventisei navi furono preventivamente inviate a occupare un ancorag-
gio dell’isola di Andro e qui attesero sia l’arrivo dei turchi, sia quello delle
proprie unità a remi, ritardate da un’offensiva anfibia che Molin aveva vo-
luto lanciare contro la Beozia ma che poi aveva dovuto sospendere quando
era apparsa la flotta nemica. I turchi si presentarono con le sole unità a vela,
considerate ormai anche nella loro flotta l’elemento preponderante, ma per

154
Vele, remi e cannoni

alcune settimane le due squadre veliche manovrarono al largo di Andro


cercando, senza successo, di attaccare ciascuna con il vantaggio del vento.
Finalmente il 22 agosto arrivò anche Molin con l’Armata sottile (sei gale-
azze e trentaquattro galee, ventidue delle quali veneziane e dodici pontifi-
cio-maltesi), dopo giorni d’inutili tentativi di guadagnare terreno contro il
Meltemi. Il Capitano Generale cercò di prendere il controllo dell’intera flot-
ta, facendo subito salire la tensione con Contarini, che il giorno prima era
finalmente riuscito a posizionarsi a nord dei turchi e ottenere così una posi-
zione di sopravento strategico rispetto al predominante Meltemi. Tuttavia il
22 agosto il vento mancava ai veneziani sicché Molin, accortosi che i turchi
avevano invece un po’ di brezza e cercavano di ritornare sopravento verso
nord, ne approfittò per assumere la direzione delle operazioni. Non solo or-
dinò alle galee di rimorchiare ancora più a nord le navi per assicurare il

ta
mantenimento del sopravento, ma intervenne anche sulla loro formazione,

va
irritando ulteriormente il già contrariato Contarini. Le galee, pur bersagliate
dai turchi, fecero effettivamente il loro dovere, rimorchiando le navi fin

er
verso la testa della formazione ottomana, ma i turchi riuscirono a ridurre gli
ria .
intervalli tra le unità della loro linea e costrinsero i veneziani, non altrettan-
ra .r.l
ris
to pronti a ridurre le distanze tra le navi, forse anche per i contrasti tra Mo-
lin e Contarini, a portare al fuoco solo una parte delle proprie unità.
tte S

Nonostante solo una parte della linea veneziana fosse effettivamente im-
le li

pegnata, dopo qualche ora di fuoco i turchi cominciarono a vacillare. Veden-


do che il rigido formalismo della linea, dove ogni unità doveva mantenere a
tà ge

ogni costo il posto assegnatole, impediva alle navi del centro e della coda ve-
rie An

neziana di entrare efficacemente in azione, Molin, favorito dal mare calmo,


pensò di lanciare nella mischia le unità a remi. Già all’inizio dello scontro
aveva spinto le sei galeazze contro la coda avversaria, ma, inaspettatamente,
op o

il fuoco delle grandi colubrine di prua delle grandi unità a remi era stato con-
Pr anc

trobattuto con successo dai cannoni di poppa delle sultane, dimostrando che
la galeazza aveva perso anche il vantaggio del calibro, principale ragione del-
la sua permanenza in servizio. Lo scacco non demoralizzò Molin e quando
Fr

sembrò che le galee potessero infliggere il colpo di grazia ai turchi e portare a


una grande vittoria come quella dei Dardanelli del 1656, il Capitano Generale
fece avanzare le sue trentaquattro unità contro un groviglio di sultane che si
era creato al centro della linea nemica. Le galee presero a tempestare di can-
nonate le poppe della sultane da non più di un centinaio di metri ma, pur
mancando poche volte il bersaglio, la loro scarsa artiglieria (il solo pezzo ve-
ramente efficace era il singolo cannone di corsia141) si mostrò incapace di
141
Seconda la citata relazione del 1624, ogni galea aveva un cannone da corsia da 50,
affiancato da 2 cannoni da 6 e uno da 3; c’erano anche 12 periere (2 da 6 e 10 da 3). ASV,

155
Guido Candiani

danneggiare seriamente i robusti scafi delle navi ottomane, molto più podero-
se delle unità affrontate durante la guerra di Candia. Ripreso un minimo di
coesione, i turchi virarono di bordo e si ritirarono, ben poco disturbarti
dall’attacco dell’Armata sottile142. Lo scontro suonò come una campana a
morte per le galeazze e il Senato chiese di disarmarne almeno due delle sei
unità in servizio. Ma anche le galee, pur avendo avuto un’ottima opportunità,
si erano mostrate incapace di ottenere risultati di rilievo. Non a caso Molin
chiese nuovamente di imbarcarsi su una nave e, per quanto il Senato gli op-
ponesse alla fine un nuovo rifiuto, questo volta la sua richiesta fu presa in
considerazione molto più seriamente143.
I nodi irrisolti del rapporto tra Armata grossa e sottile vennero al pettine
nel 1697. Dopo essere rimastati sulla difensiva nelle due campagne prece-
denti, i veneziani tornarono all’attacco, riuscendo a portarsi entro la fine di

ta
giugno ai Dardanelli con l’intera flotta, venticinque navi, sei galeazze144 e

va
venti galee, con l’obiettivo di riproporre un blocco militare sulla falsariga
di quelli degni anni 1650’. Gli ottomani però li avevano anticipati ed erano

er
già fuori dai Dardanelli. Dopo alcune schermaglie nelle acque di Tenedo, il
ria .
pomeriggio del 5 luglio le due flotte si disposero in ordine di battaglia. I
ra .r.l
ris
turchi allineavano solo navi (venti sultane e sei unità tripoline) e i veneziani
si mossero all’attacco con la sola Armata grossa. Le navi della Serenissima
tte S

avanzarono in linea di fronte, con l’idea di riportarsi in linea di fila a ridos-


le li

so del nemico, ma la retroguardia fu lenta e l’arrivo dell’oscurità consigliò


Contarini di sospendere l’azione. Agli occhi del Capitano delle Navi la
tà ge

scarsa manovrabilità mostrata dall’Armata grossa non poteva che rendere


rie An

ancora più irritante la presenza del Capitano Generale con l’Armata sottile,
che limitava ulteriormente la sua libertà d’azione. Mentre Molin si attende-
va di veder salire Contarini sulla galea generalizia per concordare le pros-
op o

sime mosse, il Capitano delle Navi mandò a dirgli che il suo compito era di
Pr anc

Collegio Relazioni, b. 57, n. 3, rel. M. Zorzi. Il solo pezzo che poteva variare era quello di
corsia, dove, a seconda delle esigenze, si potevano alternare cannoni o colubrine, con calibri
oscillanti dal genere da 20 a quello da 50. Cfr. ad esempio ib., Senato Mar, filza 374,
Fr

4.8.1645, all. Provveditori e Patroni all’Arsenale 4.8.1645.


142
Sulla [prima] battaglia di Andro, cfr. ASV, PTM, filza 1336, disp. B. Contarini n. 22,
25.8.1696; n. 24, 23.9.1696; filza 1131, disp. A. Molin n. 46, 2.9.1696 e all.ti; n. 53,
15.11.1696; filza 1337, disp. P. Duodo n. 10, 26.9.1696; Anderson, Naval Wars, cit., pp.
223-225; Nani Mocenigo, Storia della marina veneziana, cit., pp. 296-298.
143
ASV, PTM, filza 1130, disp. A. Molin n. 25, 6.11.1695; filza 1131, disp. A. Molin n. 53,
15.11.1696; ASV, Senato Rettori, filza 127, 12.11.1695 e all. Provveditori all’Armar 9.11.1695.
144
Nonostante, dopo la richiesta del Senato, Molin avesse approvato il disarmo di due
galeazze, questo non era stato realizzato, anche perché l’eventuale disarmo delle unità a re-
mi coinvolgeva in modo diretto i patrimoni dei patrizi veneziani che le comandavano. Su
questo punto, cfr. Lo Basso, Uomini da remo, cit., pp. 131-140.

156
Vele, remi e cannoni

combattere i turchi, non di badare alle galee; quindi, vedendo i turchi pren-
dere rotta verso Lemno, si diresse sulle loro tracce, lasciandosi senz’altro
alle spalle galee e galeazze. Molin era però ben deciso a non perderlo di vi-
sta e condusse, nel mare che ingrossava, le unità a remi all’inseguimento di
quelle a vela. Ben presto comunque riapparvero i limiti nella navigazione di
bolina delle unità a remi e in particolare delle galeazze. Le sei unità di que-
sto tipo cominciarono a scadere sottovento verso i turchi e intorno alla
mezzanotte Molin dovette chiedere a Contarini di interporsi tra tre galeaz-
ze, ormai prossime a finire in mezzo ai nemici, e le navi ottomane. La ma-
novra riuscì, ma le navi veneziane persero progressivamente il sopravento,
che Contarini si era ingegnato fino ad allora di mantenere. La posizione
dell’Armata sottile peggiorò sempre più e all’alba del 6 luglio Contarini si
vide costretto a lanciarsi senza esitazione all’attacco per salvare le unità a

ta
remi, nonostante il disordine in cui era stata posta anche l’Armata grossa

va
dalle varie manovre e contromanovre della notte. Seguirono una decina di
ore di combattimento estremamente confuso, con le galee che tagliavano

er
per ogni dove la rotta alle navi, spezzando ad un certo punto l’Armata gros-
ria .
sa in due tronconi. Per puro caso una sola galea della Repubblica venne cat-
ra .r.l
ris
turata, mentre il resto dell’Armata sottile, protetta dalle navi, riusciva a sot-
trarsi progressivamente allo scontro, senza peraltro poter dare alcun contri-
tte S

buto. Armata grossa e sottile rimasero divise e soltanto dopo una settimana
riuscirono a riunirsi nell’isola di Sciro, dall’altra parte dell’Egeo145.
le li

La battaglia di Lemno sembrò aver dimostrato una volta per tutte l’im-
tà ge

possibilità di far agire insieme unità a vela e a remi, anche se Molin se la


rie An

prese soltanto con le galeazze, che furono definitivamente escluse dalla


formazione di battaglia, tacendo invece i problemi delle galee (probabil-
mente non a caso, dato che il Senato continuava a lasciarlo su di esse). In
op o

ogni caso il Capitano Generale venne sostituito poco dopo e l’Armata gros-
Pr anc

sa combatté le ultime due battaglie della prima guerra di Morea senza l’in-
gombrante presenza di quella sottile, destinata ad altri teatri, per quanto ciò
non le consentisse egualmente di ottenere quella grande vittoria che Vene-
Fr

zia attendeva sin dall’inizio del conflitto146. La divisione operativa si ripeté


145
Per la battaglia di Lemno, cfr. ASV, PTM, filza 1336, disp. B. Contarini n. 39,
12.7.1697 e all.ti.; n. 41, 8.8.1697; filza 1332, disp. A. Molin n. 72, 13.7.1697 e all.ti; n. 74,
22.8.1697, all.ti costituti 5 e 8.8.1697; filza 1337, disp. P. Duodo n. 19, 20.7.1697; Anderson,
Naval Wars, cit., p. 230; Nani Mocenigo, Storia della marina veneziana, cit., pp. 298-299.
146
Le due battaglie, combattute il 1 settembre 1697 nelle acque di Andro e il 20 settem-
bre 1698 in quelle di Mitilene, furono due successi tattici veneziani, ma nulla di più. Nel se-
condo scontro i veneziani impiegarono per la prima volta un nuovo tipo di cannone, in grado
di sparare proiettili esplosivi. Cfr. G. Candiani, The run to the big calibres during the first
war of Morea and Sigismondo Alberghetti’s guns of new invention, in Ships and Guns, c.s.

157
Guido Candiani

durante la seconda guerra di Morea (1714-18), con la sola eccezione della


campagna del 1717. Come già nel 1697, quell’anno vide all’offensiva la
flotta veneziana dopo che nelle due precedenti campagne, culminate nella
perdita della Morea nel 1715 e nell’assedio di Corfù del 1716, la Serenis-
sima era stata costretta sulla difensiva. In realtà l’offensiva venne condotta
dalla sola Armata grossa, che il 12 e 16 giugno combatté nell’Egeo setten-
trionale due battaglie con le navi ottomane, riportando seri danni e venendo
alla fine costretta a ritirarsi verso le proprie basi per provvedere alle neces-
sarie riparazioni147. L’imprevisto ritiro fece comunque ritornare l’Armata
grossa sotto la sfera di comando del Capitano Generale Antonio Pisani, che
aveva già avuto dei precedenti screzi con i comandanti dell’Armata grossa,
ma che era rimasto tagliato fuori dalle operazioni principali a causa della
decisione del Senato di inviare nell’Egeo settentrionale le sole navi148. Ciò

ta
fece rinascere le tensioni che si erano viste negli ultimi anni della prima

va
guerra di Morea. È interessante notare che nell’occasione fu soprattutto il
comandante delle forze ausiliare, il Bailli dell’Ordine di Malta Bellefontai-

er
ne, a voler assolutamente agire con l’appoggio dell’Armata sottile, mo-
ria .
strando che a Ponente la galea conservava un prestigio tattico che a Levante
ra .r.l
ris
aveva ormai perduto149. Peraltro nella navigazione di conserva a sud della
Morea, dove la flotta veneziana si era concentrata, le galee si confermarono
tte S

incapaci di mantenere i lunghi bordi necessari ai movimenti delle navi150.


le li

La mattina del 19 luglio le trentatre navi veneziane, appoggiate da venti-


quattro galee151, avvistarono nel Golfo di Laconia la flotta ottomana, formata
tà ge

da una cinquantina di navi senza unità a remi, che i turchi avevano definiti-
rie An

vamente escluso dalle loro forze da battaglia. Le galee a disposizione della


Serenissima sembravano utili almeno per formare adeguatamente la linea
op o

147
Peraltro, nella battaglia del 16 giugno, fu il grave ferimento del comandante venezia-
Pr anc

no Ludovico Flangini a privare probabilmente la Serenissima di una grande vittoria.


148
Nel 1715 l’allora Capitano Generale Alessandro Molin aveva portato le proprie inse-
gne su di una nave, ma il Senato aveva ordinato al successore Pisani di tornare su una galea.
149
L’atteggiamento di Bellefontaine appare tanto più significativo in quanto la squadra
Fr

ausiliaria da lui diretta non aveva galee ma solo navi, otto portoghesi e due pontificio-
maltesi. Jacques-Auguste Maynard de Bellefontaine, Bailli dell’Ordine di Malta (un grado
attribuito ai titolari di una comanderai dell’Ordine importante), aveva raggiunto nella marina
francese il grado di Luogotenente Generale. M. Vergé-Franceschi, Les officiers généraux de
la marine royale (1715-1774), Origines-Conditions-Services, V, Paris, 1990, pp. 2048-2050.
150
ASV, PTM, filza 1340, disp. M. Diedo, n. 8, 16.7.1717.
151
In totale, l’Armata sottile aveva in quel momento ventisei-ventisette galee, di cui tre-
dici veneziane, cinque maltesi, quattro pontificie, due-tre toscane e due genovesi. Entrambe
le galeazze veneziane erano state lasciate indietro per non essere d’impaccio nella naviga-
zione. ASV, PTM, filza 1138, disp. A. Pisani n. 86, 14.11.1717; Anderson, Naval Wars, cit.,
p. 254; Nani Mocenigo, Storia della marina veneziana, cit., p. 336.

158
Vele, remi e cannoni

delle navi, ma nella fattispecie esse non riuscirono a evitare che si formasse
un groviglio di navi al centro della formazione veneziana. Solo dopo tre ore
di faticosi sforzi le galee riuscirono a costituire una linea approssimativa di
non più di una quindicina di vascelli, mentre le altre navi seguivano in gran
disordine. Nel corso della battaglia, le galee rimasero sempre dietro alle navi,
in un ruolo non di appoggio, ma di preda designata per le navi ottomane.
Come accaduto nella battaglia di Lemno del 1697, in almeno due occasioni le
navi dovette rinunciare a delle opportunità tattiche molto favorevoli per anda-
re a coprire le galee, gravemente minacciate dalle unità turche152. Ma se a
Lemno la principale responsabilità poteva essere attribuita alle galeazze, ora
non vi erano più alibi, tanto più che le condizioni del mare rimasero calme
per tutta la giornata. Come già detto, nella linea non vi era posto alcuno per le
galee. Costrette ad agire lontano dalle proprie navi in formazioni del tutto au-

ta
tonome, esse non avevano la forza difensiva per tenere testa alle navi nemi-

va
che che le attaccassero153 e dovevano venire coperte dalla proprie unità a ve-
la, riportando queste ultime a una formazione mista la quale era la negazione

er
delle linea di fila, che i loro comandanti non erano eventualmente disposti ad
ria .
adattare, chiudendo così un cerchio insolubile. Le battaglie diventavano così
ra .r.l
ris
scontri tra navi nei quali la capacità difensiva della linea precludeva quasi
sempre risultati decisivi, intervallati da pericolose incursioni delle navi nemi-
tte S

che contro le proprie galee che costringevano le navi amiche a venire in loro
le li

soccorso e che rendevano ancora meno incisivo lo scontro tra le rispettive li-
nee. Per certi versi, le squadre di galee apparivano dei convogli che le navi
tà ge

dovevano coprire senza potersi impegnare a fondo contro il nemico.


rie An

La battaglia del Golfo di Laconia fu l’ultima che vide combattere assie-


me l’Armata grossa e quella sottile. Quando l’anno successivo la flotta ve-
neziana e quella ottomana si affrontarono nuovamente nelle acque di Capo
op o

Matapan, in una battaglia durata tre giorni di fila, anche i veneziani allinea-
Pr anc

rono solo unità a vela, avendo lasciato quelle a remi in Adriatico ad agire
152
Prima che le navi potessero arrivare in loro soccorso, sia la galea del Capitano Gene-
rale Pisani, sia l’ammiraglia pontificia vennero seriamente colpite. La galea di Pisani fu cen-
Fr

trata almeno quattro volte, ricevendo un colpo molto pericoloso al timone, mentre l’ammira-
glia pontificia incassò una rovinosa cannonata sotto la linea di galleggiamento. Sulla batta-
glia, cfr. ASV, PTM, filza 1340, disp. M. Diedo, n. 9, 20.7.1717; n. 10, 7.8.1717 e all.ti; fil-
za 1342, disp. Capitano Straordinario delle Navi M. Diedo n. 3, 30.8.1717; filza 1138, disp.
A. Pisani n. 71, 1.8.1717 e all.ti; n. 79, 9.9.1717; BMC, ms. Morosini-Grimani, busta 563;
BNM, ms. It, Cl. VII, 384 (10048), Motioni marittime della flotta veneta e squadre ausilia-
rie, cc. 6-9, 12.
153
Secondo Guilmartin, la classica disposizione in linea di fronte delle galee poteva es-
sere una potente formazione difensiva nel caso di grandi flotte a remi (come quelle che ope-
ravano nel Cinquecento), ma non con squadre relativamente limitate (come quelle del Sei-
cento). Guilmartin, Gunpowder and Galleys, cit., p. 75.

159
Guido Candiani

autonomamente. La galea sembrava aver fatto il suo tempo e il vascello di


linea si presentava come la nuova capital ship delle flotte anche in Levante.
***
Tra la battaglia di Lepanto (1571) e la fine della seconda guerra di Morea
(1718), la flotta veneziana combatté trentatre scontri navali di un certo rilie-
vo154. Di questi, solo dodici (36%) videro l’azione congiunta di unità a vela e
a remi, mentre sedici (49%) registrarono l’impiego delle sole navi e non più
di cinque (15%) quello esclusivo delle unità a remi. Se consideriamo che an-
che le battaglie precedenti a Lepanto, quali Zonchio e Prevesa, registrarono la
presenza delle navi, si potrebbe dedurre che già a fine Quattrocento le unità a
remi stavano cedendo il passo a quelle a vela anche nel Levante e che la
grande battaglia del 1571 abbia rappresentato l’eccezione più importante a
una regola di tutt’altro genere. In effetti, se il limitato impiego in solitario

ta
delle unità a remi getta una luce piuttosto diversa sul tradizionale quadro di

va
immobilismo della guerra navale mediterranea, per quanto riguarda invece
l’impiego congiunto di navi e galee, la periodizzazione gioca un ruolo impor-

er
tante. Tutte le battaglie combattute esclusivamente da navi si verificarono in-
ria .
fatti dopo il 1646 e, se consideriamo le battaglie combattute fino alla fine del-
ra .r.l
ris
la guerra di Candia (1669), solo tre su quattordici (21%) ebbero quali prota-
goniste esclusivamente le unità a vela. Con le due guerre di Morea le cose
tte S

mutarono radicalmente di aspetto, con tredici battaglie su diciassette combat-


le li

tute in solitario dalle unità a vela, lasciando solo le altre quattro a una (forza-
ta) collaborazione con le unità a remi. Ciò non fa che ribadire il fatto che
tà ge

l’apogeo della collaborazione tra unità a vela e a remi sia stato raggiunto du-
rie An

rante la guerra di Candia e in particolare nelle cinque battaglie combattute


durante gli anni 1650’. In questa fase, quando la tattica delle navi non si era
ancora codificata in quella della linea di fila e quando le loro qualità nautiche
op o

non si erano ancora sviluppate del tutto, l’intesa tra unità a vela e a remi fun-
Pr anc

zionò piuttosto bene, portando alla grande vittoria veneziana ai Dardanelli del
1656, una dei più considerevoli successi conseguiti nella storia navale del-
Fr

154
Altre sedici battaglie, svoltesi tutte dopo il 1645, videro l’impiego delle sole navi,
mentre solo cinque scontri, compreso Lepanto, ebbero quali protagoniste esclusivamente le
unità a remi: se consideriamo che Lepanto fu la sola battaglia esclusivamente tra navi a remi
in tutto il Cinquecento veneziano, possiamo vedere come essa rappresenti un’eccezione e
non la norma. Di questi trentatre scontri navali – tutti, eccetto uno, svoltisi contro i turchi –
tre vennero combattuti durante la guerra di Cipro, uno nella guerra contro il duca di Ossuna,
uno contro i Barbareschi nel 1638, undici nella guerra di Candia, dodici nella prima guerra
di Morea e cinque nella seconda guerra di Morea. In sostanza, nei settant’anni tra il 1570 e il
1645 si registrarono solo cinque battaglie, rispetto a ventotto nei successivi settantatre anni,
evidenziando in quale misura gli ultimi tre conflitti veneto-ottomane riportassero la “grande
guerra” nel Mediterraneo orientale.

160
Vele, remi e cannoni

l’età moderna. Prima di allora, erano state soprattutto la navi a rappresentate


un freno all’azione congiunta con le galee, data la loro macchinosità e la ne-
cessità di essere costantemente rimorchiate in avanti per affrontare le unità
nemiche in un mare capriccioso come il Mediterraneo. Dopo la guerra di
Candia furono invece le galee a costituire un ostacolo a questa collaborazio-
ne. Escluse per la loro fragilità e per la disposizione del loro armamento dalla
nuova linea di fila, incapaci se il mare s’ingrossava di seguire i bordi sempre
più stretti delle navi, le galee vennero progressivamente escluse dalle forma-
zioni di battaglia veneziane e solo il fatto che fossero comandate direttamente
dal Capitano Generale da Mar le fece rimanere in azione fino al 1717. Dopo
il 1718 la Serenissima non combatte più guerre di ampio rilievo e il problema
dell’impiego congiunto di navi e galee non si ripresentò concretamente, ma è
molto probabile che, nel caso di un nuovo conflitto, le battaglie sarebbero

ta
state combattute solo da navi e che anche il Capitano Generale da Mar a-

va
vrebbe posto le proprie insegne su di un vascello. Alle galee sarebbero rima-
sti compiti meno appariscenti, ma non per questo meno importanti, quali

er
l’appoggio alle operazioni anfibie o il veloce rifornimento di posizioni avan-
ria .
zate. Non a caso, la galea non scomparirà dalla scena almeno fino ai primi
ra .r.l
ris
decenni del XIX secolo e non rimarrà, come si potrebbe immaginare, quale
svalutato relitto di un’epoca passata, ma come la risposta migliore a specifi-
tte S

che esigenze di proiezione e controllo marittimo155.


le li

Se il rapporto tra navi e galee venne progressivamente modificato dalle ri-


spettive evoluzioni tecniche e tattiche, le galeazze rimasero invece in un certo
tà ge

qual modo sempre in mezzo al guado. Criticate fin dal loro apparire, e nono-
rie An

stante il successo di Lepanto, per la loro scarsa manovrabilità, tanto da essere


considerate originariamente come naviglio dell’Armata grossa, solo parzial-
mente migliorate successivamente, le galeazze trovarono la loro ragione
op o

d’essere nella forza delle loro artiglierie, molto più numerose di quelle delle
Pr anc

galee e di un calibro tale che le navi impiegate nel Levante non erano ini-
zialmente capaci né di sostenere, né di affrontare156. Integrate nell’Armata
Fr

155
La recente adozione da parte della marina statunitense (ma con forti influenze euro-
pee) del concetto di Littoral Combat Ship (LCS) getta qualche luce sul ritorno, anche in am-
bito navale e ovviamente con mezzi profondamente mutati, di idee che la storia e le teorie
blue navy di stampo mahaniano sembravano aver inesorabilmente condannato.
156
Va registrata la spiacevole sorpresa avuta delle navi inglesi condotte in Mediterraneo da
Sir Kenneth Digby quando il 21 giugno 1628 attaccarono nel porto di Alessandretta due gale-
azze, che scortavano due navi veneziane cariche di merci. CSP, Venetian, XXI, pp. 136-139,
507-509; Sir Kenelm Digby. Viaggio piratesco nel Mediterraneo, 1627-1629, a cura di V. Ga-
brieli, Milano, 1972, pp. 91-92, 174-184. Le maggiori navi da guerra inglesi avevano anch’esse
cannoni di calibro analogo alle galeazze (ad esempio nel 1622 la Prince Royal aveva 2 cannoni
da 32 pdr e 2 da 24 pdr, cfr. F. Fox, Great Ships. The Battlefleet of King Charles II, London,

161
Guido Candiani

sottile per sostenerne l’azione, anche le galeazze conobbero il loro momento


migliore durante la guerra di Candia, ma quando i nuovi vascelli di linea fu-
rono in grado di imbarcare un numero molto maggiore di cannoni altrettanto
pesanti e quando essi furono adottati dalla nuova marina velica ottomana, il
loro destino apparve segnato. Entro la fine del secolo, le galeazze erano usci-
te definitivamente dalla squadra da battaglia veneziana, sebbene un paio ri-
manessero in servizio fino alla metà del Settecento per motivi più che altro
amministrativo e di prestigio157. Se proprio si volesse cercare un anacronismo
nella marina veneziana, esso andrebbe trovato non nella permanenza delle
galee, ma in quella delle galeazze, celebrato orgoglio della cantieristica lagu-
nare158.

ta
va
er
ria .
ra .r.l
ris
tte S
le li
tà ge
rie An
op o
Pr anc

1980, p. 32) ma queste grandi unità erano in grado di operare solo vicino alla proprie basi na-
zionali. Le navi che agivano Mediterraneo erano invece mercantili armati che, per quanto po-
derosi, imbarcavano pezzi di calibro inferiore, solitamente, come detto, non superiori a dei 12
Fr

pdr. Ciò era anche dovuto al fatto che esse avevano quasi sempre cannoni in ferro, più econo-
mici ma di peso maggiore rispetto a quelli di bronzo del medesimo calibro; inoltre i cannoni di
ferro andavano maggiormente soggetti al riscaldamento e dovevano essere raffreddati più spes-
so, rallentando la rapidità del tiro in un’eventuale battaglia.
157
Le due galeazze erano considerate una fucina di addestramento per rematori e mari-
nai nel caso si decidesse un loro futuro riarmo.
158
Va peraltro osservato, a conferma di quanto possano essere relative le valutazioni
sull’evoluzione della tecnologia navale, che negli anni 1690’, proprio quando le galeazze
veneziane entravano definitivamente in crisi, in Inghilterra si propose di abbandonare la co-
struzione dei vascelli di linea a favore di quella delle galeazze. B. Lavery, The Ship of the
Line, I, London, 1984, p. 59.

162

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