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Per quanto riguarda i gruppi di età, i soggetti tendono soprattutto in età giovanile a non misurarsi la
pressione arteriosa poiché probabilmente lo ritengono un problema dell’età più avanzata. Infatti con
l’avanzare dell’età sempre più soggetti tendono a misurarsi la pressione arteriosa, spesso anche perché uno
dei familiari è affetto.
Se dovessimo però considerare quanto incide la
pressione arteriosa sulla mortalità
cardiovascolare, questo è un dato molto
importante perché l’ipertensione arteriosa è
molto legata alle malattie del sistema
cardiocircolatorio e le malattie del sistema
cardiocircolatorio costituiscono una grande fetta
di incidenza di morte in Italia.
Il discorso cambia per l’ipertensione secondaria, che ha meccanismi patogenetici conosciuti. Si sviluppa a
causa di una patologia sottostante che, se identificata in tempo, può essere corretta con la conseguente
risoluzione dello stato ipertensivo. L’ipertensione secondaria deve essere sospettata nelle persone giovani
che hanno un’ipertensione severa (parliamo di livelli di pressione molto elevati) e che rispondono male alla
terapia medica. Solitamente sono soggetti che fanno associazione di più farmaci antiipertensivi.
Dunque, quando dobbiamo sospettare un’ipertensione secondaria?
In conclusione, l’ipertensione secondaria tende ad essere rara in confronto alla molto più diffusa
ipertensione essenziale. Però è importante, soprattutto di fronte a soggetti giovani o che non rispondono
alla terapia, prendere in considerazione tutte le cause che possono determinare un’ipertensione secondaria
in modo tale da porre in diagnosi differenziale l’ipertensione essenziale con la secondaria e le cause di
ipertensione secondaria fra loro. La diagnosi è sempre di esclusione, in quanto si devono escludere in
anticipo tutte le cause determinanti una refrattarietà alla terapia antiipertensiva.
L’ipertensione primitiva è come già detto la forma più frequente. Ricordiamo che la pressione arteriosa è
data dalla portata cardiaca per le resistenze periferiche totali, dunque i meccanismi ipertensivi possono
agire o mediante un aumento della portata o un aumento delle resistenze.
Inoltre l’ipertensione è il primum movens dell’aterosclerosi, perché l’ipertensione tende a dare uno stress
sulla parete vascolare che, oltre ad inspessirsi, può dare origine al danno endoteliale con modificazione del
metabolismo dei lipidi, richiamo dei macrofagi e quindi la formazione dell’aterosclerosi.
L’ipertensione dà luogo a tutta una serie di complicanze che interessano tutti i distretti vascolari, come
indicato nell’immagine sottostante.
L’ipertensione, inoltre, pone il paziente a rischio di altre malattie, come si può vedere dagli importanti dati
mostrati nelle immagini sovrastanti. Dunque in generale possiamo dire che il paziente iperteso, rispetto al
normoteso, ha una maggiore incidenza di eventi cardiovascolari che possono interessare tutto l’albero
vascolare, quali ictus, scompenso cardiaco, coronaropatia, vasculopatia periferica, nefropatia terminale.
Fattori di rischio
Quello che occorre fare è anche stratificare i
pazienti in base al rischio cardiovascolare
globale, tenendo conto, oltre che dei livelli
pressori, anche dei fattori di rischio aggiuntivi
(tabella a lato), degli eventuali danni d’organo,
del diabete mellito (glicemia a digiuno >126 mg/dl e glicemia post prandiale >198 mg/dl), delle condizioni
cliniche associate.
In base a tali dati si raggiunge una valutazione del rischio che determina un valore pressorio da non
superare in base al grado di rischio.
Oltre al trattamento farmacologico è da consigliare una modifica dello stile di vita, che è dimostrato riduca
il rischio cardiovascolare e l’ipertensione. E quindi: abolizione del fumo, calo ponderale, riduzione
dell’eccessivo consumo di bevande alcoliche, esercizio fisico, dieta iposodica, incremento dell’apporto
alimentare di frutta e verdura e riduzione dell’assunzione di grassi totali e saturi.
I farmaci antiipertensivi disponibili vanno dai diuretici ai beta-bloccanti, ai calcio antagonisti, agli ACE
inibitori, agli antagonisti recettoriali di angiotensina II, agli alfa1-bloccanti, fino ai bloccanti dei recettori
adrenergici centrali.
Tutti i farmaci antiipertensivi possono essere combinati fra loro. In passato si tendeva a combinarne due,
oggi esistono molte molecole che prevedono per esempio l’associazione di calcio antagonisti, ACE inibitori e
beta-bloccanti. Quindi con un solo farmaco, soprattutto in pazienti che hanno un’ipertensione elevata di
grado 2 o 3, possiamo iniziare con un’associazione di due o più farmaci.
In conclusione possiamo dire che trattare l’ipertensione, sia con terapia farmacologica che con la dieta (che
a sua volta consente di ridurre l’introito di farmaci) è non solo obbligatorio sulla base dell’evidenza clinico-
scientifica, ma anche vantaggioso dal punto di vista economico, perché così si riduce il rischio
cardiovascolare.
Caso clinico
Di seguito verrà proposto un caso clinico per rendere l’idea in pratica di ciò che abbiamo trattato in teoria,
con un paziente che rientra nell’ipertensione di grado 1.
Chiaramente tenendo conto della classificazione dell’ipertensione sulla base dei livelli pressori vista a inizio
lezione, possiamo inquadrare il paziente in un’ipertensione arteriosa di grado 1, quindi lieve. Come ridurre
allora il rischio cardiovascolare?
Dopo un’indagine più dettagliata, possiamo dire che questo paziente, inizialmente inquadrato in una
ipertensione arteriosa di grado 1, ha un elevato rischio cardiovascolare aggiuntivo per la presenza di 3 o
più fattori di rischio (vedi tabella sulle categorie di rischio cardiovascolare). Il caso in questione è quello più
frequente che capita in ambulatorio: questo dimostra come non dobbiamo fermarci al solo dato numerico
che riscontriamo misurando la pressione arteriosa, ma bisogna individuare il rischio cardiovascolare del
paziente, perché questo modifica totalmente sia la sua prognosi che il nostro percorso diagnostico-
terapeutico.