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STORIA ECONOMICA DELLA CULTURA 

MODULO 2, prof Fumi 

1. CONSUMI E LUSSO NELL’ANCIEN RÉGIME

LEZIONE 1.1.
Società, consumi, lusso in Antico regime 

Nel suo disegno “La macchina del mondo” il caricaturista G.M. Mitelli rappresenta la struttura
sociale delle comunità dell’ancien régime, in cui ognuno cerca di stare sopra l’altro.
Al vertice c’è la morte, poi il re, la nobiltà (duca, principi), poi i nobili non titolati (gentiluomini,
cavalieri), la piccola borghesia di lavoratori (mercanti, artigiani “artisti”), che hanno un certo
patrimonio e non sono così vulnerabili alla congiuntura economica. Infine i lavoratori del
braccio (operai e contadini “villani”) che vivono del lavoro della terra e operaio e sono in
balia dell’andamento dell’economia e corrono il rischio di passare da una situazione di
povera normalità alla miseria.
Aristocrazia e nobiltà pesavano per il 2/3% della popolazione di uno stato, e anche le
borghesie, eccetto situazione di particolare espansione, raggiungevano al massimo il
10/15%. Oggi invece il ceto medio è centrale.
All’epoca lo strato più consistente era quello di operai e contadini, circa il 50/60%.

La società dell’ancien régime era gerarchica e piramidale, con struttura molto differenziata
tra ceti e ordini che erano definiti sulla base di requisiti non economici. Nobiltà → gruppo
sociale a cui si apparteneva non per ricchezza, ma per sangue.
Clero → variegato, formato sia dai grandi abati con grande benessere fino ai piccoli parroci
di paese che vivevano delle offerte dei fedeli o del loro piccolo patrimonio parrocchiale, il
beneficio. Si definiva sulla base dell’essere stati insigniti sacralmente.
Borghesia → comprendeva notai, medici e professionisti vari che si identificavano per il non
essere nobili nè appartenenti al clero, ma nemmeno al popolo minuto; spesso avevano
risparmi e case di proprietà che permettevano un buono stile di vita e una maggiore
sicurezza davanti ai cambiamenti e alle sofferenze dell’economia.
Il popolo, invece, in caso di crisi doveva affidarsi alla carità altrui. I contadini spesso non
erano proprietari della terra, ma essa era loro affidata da proprietari terrieri che risiede in
città; il lato positivo era l’essere a contatto con la fonte di sussistenza, quindi in caso di
carestie si trovavano avvantaggiati rispetto al popolo urbano.
La terra spesso era di proprietà del clero che non la possedeva però in quanto singolo, ma
in quanto ente.

Si trattava di una società rigida in cui nobiltà e clero godevano di privilegi che li distanziava
dal popolo, non solo dal punto di vista economico ma anche legale → alcuni diritti non erano
riconosciuti al popolo (es. diritti politici)
Rincorsa dei non privilegiati → tendenza ad emulare anche nel modello di consumo la
nobiltà, ovvero un gruppo sociale molto chiuso.
In città come Venezia e Cremona avvenne anche la chiusura dei ranghi della nobiltà, per
impedire che nuove famiglie venissero ammesse, mentre in altri casi era possibile accedere
con processi di nobilitazione, cioè dando prova di avere i requisiti morali, economici e
reputazionali per essere accettati nella nobiltà. Questo processo che poteva durare decenni.
Questa chiusura, però, portò ad una riduzione demografica della nobiltà, fino all’estinzione di
alcuni casati.

C’era una fortissima disparità nella distribuzione del reddito e quindi dei consumi; la
maggioranza della popolazione viveva di sussistenza, con consumi bassi e legati ai bisogni
essenziali (casa, vestiario, alimentazione, riscaldamento). La povertà, ovvero l’anticamera
della miseria, era diffusa.
L’altra faccia della medaglia era la concentrazione del reddito e dei consumi in mano ad
un’élite ristretta che investiva poco per rafforzare la base produttiva, pur disponendo di
grandi capitali, che venivano usati per uno stile di vita basato su consumi eccessivi.

Come si relazionavano i ceti abbienti con la ricchezza?


Lo status nobiliare e la coscienza di ciò era distante dall’idea di commercio, anzi le attività
economiche erano considerate vili e meccaniche, contrapposte a quelle liberali; dunque
l’essere nobile era incompatibile col lavoro, nonostante molti nobili derivassero da origini
mercantili.
Inoltre c’era la propensione a trasformare la liquidità in beni immobili prevalentemente
fondiari e immobiliari (terreni agricoli, residenze di lusso etc.) che non erano produttivi, ma al
massimo avevano la possibilità di ottenerne una rendita → i nobili vivevano mantenuti dai
frutti del possesso, che non implica investimenti.
Altro elemento che contraddistingueva la nobiltà è il senso dell’onore e della distinzione
(noblesse oblige) → lo stile di vita nobiliare si basava su costumi vistosi coerenti con le
ambizioni familiari.
C’era la centralità del casato e del lignaggio rispetto all’individuo (riscontrabile nei documenti
di araldica).
Nel breve periodo, la gestione dei rapporti familiari era gestita in modo gerarchico e
patriarcale, con scelte matrimoniali programmate da genitori per i figli e che prevedevano
vere e proprie forme di endogamia (matrimoni tra uguale classe sociale) nell’interesse della
famiglia e non del singolo.
Per non disperdere il patrimonio, però, era frequente il ricorso al mantenimento del celibato
e del nubilato (singletudine), per evitare che andasse diviso tra i figli.
Si pianificava in modo che la parte consistente del patrimonio (es. palazzo di famiglia,
mausoleo) non andasse disperso, ma fosse conservato nelle mani del destinatario
prioritario, il primogenito, oppure quello di maggiore età.
Fedecommesso → vincolo che stabiliva che il patrimonio passasse di mano in mano con
vincolo di inalienabilità, non poteva essere spartito o venduto (strict settlement).
Questo produceva in certi casi forme di “condominio” inalienabile, con assenteismo dei
proprietari e delegazione dell’amministrazione a facoltosi intermediari, come nella bassa
Lombardia.
L’esclusione dall’asse ereditario principale era compensata dalla dispensazione di una
somma in liquidità.
LEZIONE 1.2.
L’economia dell’eccesso e del superfluo 

Quali erano i consumi della nobiltà, in particolare quella relativa alle corti principesche e
pontificie?
Non erano solo molti, ma variegati e spesso raffinati e voluttuari (si deduce da liste delle
spese, dagli elenchi beni e gli inventari testamentari)
C’era dinamismo nella domanda, con mode sempre nuove → alimentazione, libri,
partecipazione a circoli per tempo libero e sport, eventi e spettacoli, falegnameria e
arredamento per la casa, luce gas e telefono (nel 1800) e personale di servizio, palazzi di
città e ville di delizia nel verde, committenza e mecenatismo.
Inoltre c’era una grande quantità di denaro liquido conservato in casa per assenza di istituti
bancari per raccolta e investimento di soldi.

Allo stesso tempo, i consumi opulenti erano sottoposti ad un’etica su ricchezza e consumi, e
la tentazione a spendere e a fare mostra si confrontava con un continuo invito alla
moderazione e al decoro proveniente dalla religiosità (inviti alla carità verso il povero,
parabole sulla negatività dell’opulenza)
In alcuni periodi ci furono campagne moralizzatrici, che attaccavano chi faceva del denaro
una vera e propria professione (es. coloro che prestavano denaro con interesse, come ebrei
e ortodossi, considerati usurai e presi di mira come causa della povertà). Nel 1400 frate
Bernardino da Feltre fondò una dottrina per cui i ricchi devono prestare denaro ai bisognosi,
con l’istituzione dei Monti di Pietà. C’era poi una fitta rete assistenziale per i poveri.
Contro opere d’arte e ornamenti della persona si prodigò fra Girolamo Savonarola a Firenze
nel carnevale del 1497 e 1498, con i cosiddetti “roghi della vanità” di cui parla anche Giorgio
Vasari nelle “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori” (1550)

Il problema di limitare i consumi eccessivi non riguardava solo la sfera religiosa, ma anche
quella legale. Nel 1400 e 1500 ci furono magistrature pubbliche (uffici di virtù) che cercarono
di limitare il consumo sfrenato, e leggi suntuarie contro il lusso.
Lo scopo non era solo ripristinare una certa moralità pubblica, ma anche tentare di porre un
freno all’ascesa sociale dei non nobili, riservando il consumo dei lussi ai soli nobili. C’era
anche una finalità di stampo mercantilistico, con vincoli sui consumi di beni oggetto di
importazione, a favore dei beni di produzione locale.
Ma bloccare il consumo privato dei beni era difficile, tutti volevano imitare i nobili e le loro
mode.

Il rapporto difficile tra nobiltà ed economia si modifica a partire da fine 1600 e poi nel 1700 si
basò su:
- dibattito interno alla nobiltà stessa → in francia l’abate Coyer scrive “La noblesse
commerçante” (1756) ma fu attaccato da altri scritti di matrice nobiliare. L’illuminista
italiano Alessandro Verri scrisse “Alcune riflessioni sulla opinione che il commercio
deroghi alla nobiltà” (1764) che indagava se il commercio snaturasse la nobiltà.
- riflessione dei primi economisti → il lusso è negativo per la collettività, riducendo il
risparmio e sfavorendo gli investimenti? Si tratta di una dissipazione del reddito e non
di una sua valorizzazione? Secondo Adam Smith non c’era da preoccuparsi se il ceto
che deteneva la maggioranza delle risorse economiche avesse uno stile di vita
vistoso, essendoci comunque risparmiatori non nobili. Inoltre i consumi erano
importanti per il benessere collettivo e la ricchezza, favorendo le attività
manifatturiere del settore del lusso.
- rivoluzione dei consumi → l’atteggiamento di consumatore non era più soggetto a
opinioni pubbliche e private e i beni di lusso sono visti come fonte di piacere.
- i consumi furono correlati ad uno sviluppo economico di tipo capitalistico.

Nella teoria economica i beni e consumi di arte e lusso sono stati considerati poco nel 1800
e 1900, perché sono individualizzati e non standardizzati, hanno valore estetico ma non
sono beni capitali, non producendo altri beni. Poi, non si possono usare categorie
economiche classiche per spiegare, per esempio, il mercato dell’arte.
Cultura economica → nel 1800 i valori erano ben altri, non interessava investire il patrimonio
in spese voluttuarie ma in investimenti di carattere produttivo. Inoltre il distacco della nobiltà
dall’economia era considerato negativamente nel 1800 borghese.
I beni rilevanti non erano più quelli di alta gamma, ma quelli con clientela più vasta
(industrializzazione, consumo di massa).

T. Veblen in “The theory of the leisure class” (1899) scrisse che i consumi vistosi e
ostentativi servono a:
- emulare e imitare gli altri → rincorsa dei non privilegiati, “effetto carrozzone”
- volontà di distinguersi come élite → “effetto snob”
- segnalare il proprio status → i beni di lusso sono beni posizionali, si parla di
effetto/beni Veblen
Sombart sostenne che il lusso è stato un fattore decisivo nel capitalismo tra l’età medievale
e moderna → è qui che si è affermata l’organizzazione capitalistica e flessibile del lavoro,
capace di generare alti profitti, per andare incontro alla personalizzazione e alla flessibilità (
a causa delle mode) che il lusso richiede.

La nobiltà anticipò atteggiamenti di consumo molto moderni → non si consuma solo il


necessario ma anche quello che piace e può essere ostentato e che ci distingua (fenomeno
delle mode). La cultura del consumo si basa su:
- stili di vita con beni e servizi di qualità
- educazione al gusto
- committenza artistica e culturale
con effetti contrastanti, talvolta con dissipazione di patrimoni (es. in Francia, la nobiltà
decade lasciando spazio ad altre classi sociali)

Esempio virtuoso di rapporto economia-cultura fu dato dal Rinascimento italiano, per molte
ragioni:
- lascito dell’umanesimo → movimento intellettuale che pone l’uomo al centro
intendendolo come creatura degna di ammirazione e artefice della propria sorte,
universo visto come equilibrato e armonico
- ragioni di ordine etico, ideologico, psicologico → liberalità, magnificenza, prodigalità
- presenza della Chiesa
- ambizioni politiche principesche e locali: lo “splendore”
- ragioni economiche, crescita dell’economia e accumulazione di capitali →
consumismo, consumi alti e mutevoli che sono funzionali anche all’ascesa
economica e sociale dei singoli

LEZIONE 1.3.
Economia  e  cultura:  la  “società  delle  corti”  nell’Europa  tra  Rinascimento  e 
Settecento 

Tra i soggetti produttori di cultura nell’Europa tra Rinascimento e 1700 ci sono le corti (reali,
principesche, nobiliari e quella pontificia).
La corte è un centro dove viveva il re e la sua famiglia, contornati da una servitù consistente
e da un insieme di persone che assistevano il regnante o il pontefice nello svolgimento delle
funzioni amministrative (curia, governo e funzionari). Alla corte erano ammessi con privilegio
altri nobili, che si distinguevano dai loro simili perché partecipavano ai pranzi e alle feste del
regnante. La corte concentrava al suo interno migliaia di persone secondo una gerarchia
rigida e una vita scandita da cerimoniali rituali.
Il modello è quello della corte di Luigi XIV, il Re Sole → nel 1682 si spostò a Versailles,
piccolo paese in cui fece trasferire l’intera corte.
In Germania e Italia ci furono corti minori che mostrarono capacità di promuovere attività
artistiche e culturali → la corte non era solo un centro politico e amministrativo da cui
provenivano politiche come assolutismo e mercantilismo, ma anche un centro sociale e
culturale.
Anche la città aveva una grande importanza → espressione “la ville est le singe de la cour”
(la città scimmiotta la corte) in quanto centro promotore di stili e mode culturali.

La vita di corte era una vetrina, quello che avveniva al suo interno stimolava all’emulazione.
Che genere di cultura promuoveva?
Non si trattava solo di una cultura materiale, con beni di alto livello e gusto, ma anche di
comportamento. Secondo studiosi come N. Elias, la società occidentale nasce dall’intreccio
tra due modelli:
- formazione dello stato moderno, che disciplina la sfera pubblica
- disciplinamento del corpo e dei comportamenti privati

Nel 1500 nacque l’importanza dell’etichetta e del galateo, e vennero pubblicati molti testi
pedagogici con lo scopo di educare i fanciulli sin da piccoli all’autocontrollo dei
comportamenti, per civilizzarli → trattati sui costumi civili, sulla sobrietà, sulla conversazione
et
L’etichetta irrigidì i comportamenti secondo canoni di buona creanza e civile educazione, ma
non bisogna pensare che si trattasse di sola esteriorità; all’epoca l’esterno e l’interno erano
correlati, gli atteggiamenti rispecchiavano i valori.
La civiltà delle buone maniere si diffonde a livello internazionale, distinguendo gruppi e
nazioni tra civili e incivili. Gli elementi di distinzione erano:
- lingua (quella civile era prima il latino, poi l’italiano e in seguito il francese)
- regole cura del corpo, comportamento a tavola, relazioni sociali (saluti,
conversazione etc.)
In Francia la borghesia si assimilò ai modelli aristocratici (es. Voltaire andò ad uno
spettacolo di Shakespeare e lo considerò semplice divertissement per classi inferiori, non
come le tragedie greche, atteggiamento snobistico).
In Germania invece aristocrazia e intellighenzia erano separate, quest’ultima era esclusa da
ogni attività politica; infatti il pensiero tedesco vedeva un’antitesi tra ​Zivilisation (incivilimento,
complesso di norme per l’esteriorità e convenzioni) e ​Kultur (espressioni della natura
umana).

Nel 1700 e 1800 si assistette ad una democratizzazione dei galatei → uscirono dai confini
ristretti dell’aristocrazia e vennero proposti a nuovi ceti sociali, come le borghesie, purché
modificati nei contenuti.
“Nuovo galateo” di Melchiorre Gioia (1802) → intento anche politico di contribuire a costruire
il nuovo cittadino.
L’importanza di forme e comportamenti sociali crebbe nel 1800 fino ad un’esplosione dei
manuali di savoir-vivre, fino ai galatei popolari con lo scopo di educare i ceti per costruire
una nuova società, senza finalità politiche (come atteggiarsi in pubblico e in privato,
relazionarsi con l’altro sesso etc.)

Nel XIX la Francia aveva l’egemonia in Europa, e i suoi fondamenti codicistici vennero
assorbiti nell’intero continente. Il codice napoleonico abolì il fedecommesso (divieto di
disperdere il patrimonio), ponendo l’uguaglianza tra gli eredi. Con che effetti?
I giovani aristocratici vivevano in un clima di maggiore libertà, senza più il privilegio della
primogenitura. La libertà riguardava anche il matrimonio, che diventò, più che un istituto
familiare, una scelta personale basata sull’affetto reciproco.
Restava la volontà di vivere lussuosamente, e si presentavano nuove occasioni di spesa,
con indebitamento per acquistare beni immobili → conseguente crisi economica della
nobiltà, con veri e propri tracolli (es. patriziato veneziano) che venivano risolti anche tramite
alleanze matrimoniali con famiglie borghesi.

LEZIONE 1.4.
L’artigianato tra arte e mestiere 

Già in epoca preindustriale e prima della meccanizzazione vi erano diversi luoghi di


produzione dei manufatti:
- bottega artigiana → piccola e gestita da un imprenditore che lavorava ed era
proprietario al tempo stesso
- la protoindustria → le fasi più semplici della lavorazione erano affidate a lavoratori a
domicilio, specie nelle zone rurali
- manifatture accentrate → le lavorazioni di qualità che non potevano andare a
domicilio, ed erano svolte da atelier
Oggi artigianato è un termine variegato, e alcune imprese dette artigiane dalla legge si
limitano a rifornire componenti alle grandi industrie, mentre qui ci si riferisce all’artigianato
d’arte e di qualità.

Le arti applicate e l’artigianato d’arte avevano grande importanza nell’Italia dal Medioevo
all’Età moderna. Il lusso era un settore economico fondamentale per le città e i territori
circostanti, e intorno ad esso ruotavano molte attività con la creazione di filiere; esse erano
caratterizzate da un’elevata specializzazione e competenza professionale dei lavoratori, e
da un alto valore aggiunto acquisito man mano che la lavorazione procedeva (es. manufatti
di seta).
Il lusso diede vita ad un commercio non solo tra città ma anche internazionale, specie in
Italia, Germania, Paesi bassi, Francia e Spagna → sperimentazione di politiche
mercantilistiche da parte degli stati, per esempio la Francia impedì di importare dall’Italia
vetri e merletti; il vero problema era acquisire il know-how per produrre questi beni
internamente.

Perché oggi nella definizione di patrimonio culturale è compreso anche l’artigianato


tradizionale?
In passato non c’era una concezione separata tra arte e artigianato più umile, ma un
continuum sia dal lato del produttore (ogni artista era anche un po’ artigiano poiché
possedeva la tecnica e faceva uso della manualità e del mestiere, non solo del genio; ogni
artigiano sviluppava comunque la creatività per abbellire il prodotto) sia da quello del
consumatore (si aspettava non solo funzionalità ma anche esteticità).
Oggi siamo abituati a concepire una differenza tra arte e produzione industriale in serie, ma
all’epoca nell’artigianato come nell’arte i concetti di unicità e serialità si accompagnavano →
molti artisti per motivi di reddito si prestavano a realizzare beni di lusso prodotti in piccole
serie per soddisfare una clientela più estesa, quindi non c’era questo scostamento così
netto.
Gli artisti erano imprenditori di sé stessi, si autopromuovevano guardando al mercato.

Nelle attività sia artistiche che artigianali, più che la tecnologia contava il know-how, un
sapere arricchito dall’esperienza → “sapere della mano”, “segreti del mestiere” taciti e non
codificati. La trasmissione del know-how avveniva tra individui e generazioni, di padre in
figlio. In che modo?
Non codificando le conoscenze in una manualistica stampata, ma con l’apprendistato
(garzone affiancato a maestro) a volte formalizzato in contratti e patti per l’insegnamento del
mestiere. Il luogo di lavoro era la bottega, che era anche scuola, dove il maestro era
affiancato dalle maestranze (salariati e apprendisti).
Sebbene il know-how fosse legato alla tradizione, ci furono momenti di innovazione e
circolazione di nuovi saperi e tecnologie, che resero l’artigianato vario nel tempo.
L’attività avveniva in un’organizzazione di tipo cooperativo, tutti gli esercenti erano raccolti in
un ente che regolava il settore → “Arti” (corporazioni arti e mestieri) che curava qualità e
marchio, e autorizzava i potenziali entranti.

Non c’era una rigida gerarchia tra arti, e nonostante alcune tecniche fossero più nobili, come
architettura e scultura, anche l’oreficeria e l’argenteria erano molto considerate (secondo gli
scritti di Benvenuto Cellini, artista e scrittore fiorentino).
In tutte la arti convivono arte/mestiere → sapere pratico che può essere appreso e
trasmesso, e ingegno → talento naturale del singolo.
A partire dal 1500 nel mondo delle arti iniziò un’ascesa di alcune arti rispetto ad altre, e la
figura dell’artista emerse rispetto alla pluralità dell’industria creativa → collocazione di
Raffaello nella tomba al Pantheon, opera “Le vite dei più eccellenti pittori” di Vasari, nascita
dell’Accademia delle arti e del disegno a Firenze nel 1563; questo fino alla separazione
odierna in arti maggiori (belle arti) e arti minori (applicate, decorative, artigianato d’arte).
L’artigianato, però, non perse di importanza reale. Nel 1700 trovò riconoscimento nella
descrizione di tecniche e procedure contenuta nelle grandi enciclopedie, come quella di
Diderot e D’Alembert. A. Smith descrisse l’impresa in termini in buona parte riconducibili
all’impresa artigiana: valore della competenza, divisione del lavoro, imprenditorialità.

Con l’industrializzazione, che si basa su impianti, produzione meccanizzata e


standardizzazione, nacque un dibattito sul fatto che l’industria possa aver prodotto una
dequalificazione del prodotto stesso, e con ciò uno scadimento della società. Come
riconciliare la produzione industriale e i suoi vantaggi con creatività e personalizzazione?
Nell’industria alcuni imprenditori favorirono il recupero di cultura e qualità → arte industriale
(design delle origini) e industrie culturali nuove (cinema).

Nacque il movimento ​arts and crafts per favorire l’evoluzione della piccola industria artistica
→ l’obiettivo è stimolare gusto e creatività anche attraverso musei che invitano
all’emulazione con raccolte ed esposizioni. Ci sono poi iniziative per rilanciare città d’arte
come capitali dell’artigianato (es. Firenze e Venezia).

La domanda era diversificata: ad livelli alti continuava la committenza riferita anche alle
tradizioni artigiane, e parallelamente c’era la domanda borghese dei grandi magazzini (l’arte
ha un ruolo economico sia per la domanda che per l’offerta).

2. ARTE, COMMITTENZA E MERCATI

Lezione 2.1.
L’economia dell’arte tra Medioevo ed età moderna 

Da lungo tempo gli studiosi d’arte si occupano degli artisti collocandoli nel loro contesto, ma
per molto nella storia dell’arte l’approccio è stato monografico e qualitativo, a discapito degli
elementi esterni all’universo artistico stesso. Dagli anni ‘80 si è cominciato ad analizzare
l’artista e la sua carriera anche guardando l’ambiente socioeconomico in cui egli viveva,
scoprendo che l’artista non è solo, ma insito nel mercato e nell’economia dei suoi giorni. Da
qui è nata una letteratura nuova, che rappresenta il rinnovamento della storiografia artistica.

Oggi il termine mercato dell’arte è applicato in modo indifferenziato rispetto al passato e al


presente, ma bisogna tenere presente che alle origini della produzione artistica vi erano
rapporti molto più diretti rispetto all’intreccio del mercato odierno, ovvero quelli che legavano
gli artisti ai loro clienti e finanziatori. Molte opere d’arte oggi sono conosciute con il nome del
loro committente (es. pala Montefeltro di Raffaello, tondo Pitti/Doni di Michelangelo); i
cognomi inclusi nei titoli si riferiscono a due categorie di persone: da un lato i committenti,
dall’altro i collezionisti, spesso magnati vissuti in seguito. A volte i committenti erano anche
rappresentati come comparse all’interno delle opere stesse.
Vi sono molti studi sulla committenza. In passato essa era parte di un sistema di produzione
che valeva anche per i beni di lusso e la musica, che ricorreva ad un rapporto diretto e
personalizzato produttore-richiedente. Nelle località dove il tessuto sociale era vivace, come
Firenze, la committenza artistica fiorì prosperamente; oggi la committenza sopravvive solo in
campo artistico, mentre in tutti gli altri settori non più.
Soprattutto nel Medioevo il committente aveva un ruolo decisivo; sicuramente se l’artista era
importante aveva più autonomia, ma il committente finanziando l’opera aveva comunque
potere e influenza, ed era appellato come auctor, aedificator, fabricator, architectus ect.
Il committente poteva essere:
- ecclesiastico → decideva con l’artista i contenuti iconografici e le modalità di
esecuzione seguendo la tradizione
- laico → aveva minor bagaglio culturale e si avvaleva di consiglieri, le sue motivazioni
erano più personali (es. ritrattistica)
- istituzionale → ricopriva ruoli istituzionali, l’opera richiesta poteva avere valore
simbolico, educativo, religioso o politico in base al genere di istituzione (es. arte
civica dei comuni)

Cosa giustifica la spesa e l’impegno per promuovere opere d’arte?


Le motivazioni sono molteplici:
- diletto e soddisfazione personale
- interesse economico → la committenza d’arte è consumo (il bene ha fruizione
immediata) e di investimento (il bene è durevole). In molti casi i venivano usati anche
materiali pregevoli, come l’oro
- fare memoria di un individuo → arte funeraria, ritrattistica
- volontà di stringere clientele e alleanze
- volontà di migliorare la reputazione di famiglia, città o stato attraverso magnificenza e
splendore → casata Medici, Gonzaga, Este, Chiesa

Prezzo, soggetto e contenuti dell’opera erano contrattati tra committente e artista, per
questo il prezzo sul mercato secondario (ovvero quello del periodo successivo, dopo la
morte dell’artista) può essere molto più alto di quello originario. Inoltre l’opera è legata alla
società e i valori in cui è nata, quindi per apprezzarla e comprenderla, nonché venderla, non
deve essere strappata al suo ambiente.

Come si è evoluta la committenza?


L’italia mantenne la centralità, ma cambiarono le città interessate. Nel 1500 Roma prese il
posto di Firenze e Venezia per opera dei papi e della loro mugnificenza → nel 1503-13 papa
Giulio II della Rovere attirò talenti come Bramante, Michelangelo e Raffaello nella capitale, e
nello stesso periodo vennero fatte scoperte archeologiche che attirarono gli artisti per
confrontarsi con la grande arte dell’antichità.
A Firenze, invece, nei primi del 1700 subentrarono i Lorena, e la famiglia non era interessata
agli investimenti artistici e al lusso, con crisi della committenza e dell’oreficeria fiorentina.
Nacquero anche nuovi canali di committenza in età moderna:
- in Francia nacque l’Accademia reale → promozione ​salon di pittura e scultura che
davano visibilità agli artisti.
- Museé du Luxembourg (Parigi) → primo museo pubblico che comprò anche opere
contemporanee

LEZIONE 2.2.
Il collezionismo 

Le prime forme di collezionismo risalgono all’epoca antica, ad opera di sovrani, mecenati e


notabili. Nell’occidente medievale il collezionismo diventò legato alle reliquie → manufatti a
cui si annette un valore spirituale e che sono oggetto di commercio. A Wittenberg, in
Sassonia, il principe Federico III nei primi del 1500 aveva creato una collezione di circa
ventimila pezzi di reliquie, oggetto di devozione nella chiesa del castello; questa collezione
fu criticata da Martin Lutero che a fine ottobre del 1517 su quella chiesa affisse le sue 95 tesi
contro le indulgenze. Anche Calvino fece sarcasmo sulle reliquie e il concilio di Trento cercò
di regolare questo commercio introducendo la necessità dell’autorizzazione ecclesiastica.
Presso chiese e abbazie erano collezionati suppellettili per uso liturgico. Presso le corti si
formarono raccolte su volontà dei sovrani e degli artisti che li circondavano (es. il duca Jean
de Berry (dinastia dei Valois) detto “il Magnifico”, creò una collezione di libri miniati, pietre,
vasi antichi, arazzi etc.

Durante l’Umanesimo e poi il Rinascimento si verificò una mania per l’antico, un desiderio di
voltarsi verso il passato alla ricerca di modelli tecnici e di virtù, con interesse per tutto quello
che testimoniava l’antichità.
Reperti e manoscritti vennero agglomerati in collezioni, e questo interesse accomunò sia
nobili che mercanti, arrivando anche al saccheggio. Prese vita un commercio che si
avvaleva di intermediari italiani per conto di nobili stranieri.
In tutti i palazzi vennero creati studioli e camerini principeschi, dove il principe poteva ritirarsi
per l’esercizio intellettuale, i quali diventarono anche punti di raccolta per cimeli e altri beni
(es. studiolo di Isabella d’Este presso il palazzo ducale di Mantova)

1500, 1600 e parte del 1700 videro la modifica delle raccolte private, che acquisirono nuovi
contenuti → presero il nome di ​Wunderkammer “camere delle meraviglie”, con interessi
culturali non solo colti ma anche naturalistici ed etnografici che provengono dal mondo
scientifico. Le fonti sono la corrispondenza, i viaggi, una rete di procacciatori e agenti (es.
nel 1500 a Padova nacque una collezione privata che poi divenne istituzione, l’orto botanico,
a servizio della conoscenza naturalistica ma anche dell’interesse di un patrizio veneziano,
Pietro Antonio Michiel)
L’imperatore Rodolfo II creò una delle maggiori camere delle meraviglie, con il contributo di
artisti come anche G. Arcimboldi; a Milano ci fu M. Settala, accumulatore seriale di cimeli, e
il gesuita Athanasius Kircher presso il Collegio romano (1651)

In età barocca i frutti di mecenatismo e mugnificenza si tradussero in celebrazioni collettive e


creazione di raccolte.
Età del vedutismo → vennero realizzate opere che ritraevano le città italiane, creando
un’immagine dell’Italia all’estero che favorì il turismo (es. Grand tour delle élite europee)
In particolare l'aristocrazia britannica era interessata al collezionismo, specie di arte antica,
stimolato anche dalle nuove scoperte e campagne di scavi a Ercolano e Pompei ad opera di
Carlo III di Borbone.

Si sviluppò poi l’archeologia classica e lo stile neoclassico teorizzato dal soprintendente


delle antichità di Roma, Johann J. Winckelmann → l’arte classica è “nobile semplicità e
quieta grandezza”.

Nel 1600 e 1700 ci furono mutamenti nel collezionismo:


- aumentarono le dimensioni di gallerie e collezioni, per via della maggiore circolazione
e produzione di opere d’arte e reperti antichi (aumentarono anche i furti, anche su
commissione)
- emersero nuovi strumenti di catalogazione ed esposizione → museografia
- non più solo collezionismo d'élite, ma anche piccolo collezionismo espresso dai ceti
medi → gli artisti passarono dal soddisfare solo grandi committenti alla produzione
per il mercato
- i saperi divennero più specializzati, le raccolte di reperti scientifici più specifiche e
senza più l’intento di rappresentare la totalità del mondo sensibile

LEZIONE 2.3.
Il mercato dell’arte 

Il mondo dell’arte presenta due caratteristiche:


- i beni artistici sono durevoli, quindi aspirano a durare nel tempo, e nel lungo periodo
affrontano molti passaggi di mano, acquisti,vendite e peripezie per giungere ai nostri
giorni
- il commercio delle opere sin dalle origini è stato di lunga distanza, internazionale, e in
esso operano molti intermediari non per forza specializzati; in età moderna ci sono
stati molti mercanti che insieme a beni facilmente trasportabili commerciano anche
arte. C’era poi la figura dell’ intermediario/broker che lavorava come ambasciatore e
diplomatico all’estero e fungeva anche da informatore culturale per l’aristocrazia del
suo territorio

Il termine mercato, inteso come una relazione mediata da denaro tra soggetti sconosciuti
che avviene in luoghi specifici, è una definizione contemporanea. All’epoca al posto del
mercato prevaleva la committenza, ma difatto da secoli arte e mercato coesitono. Il
collezionista, spesso committente, era interessato ad allargare la sua collezione guardando
orizzonti nuovi e avvalendosi di mediatori, non vuole aspettare di veder crescere l’opera
come fa invece il committente.
Tracce di mercati artistici risalgono al medioevo, con una distinzione tra:
- opere del passato/antichità → avevano una certa aura e non erano state prodotte per
il mercato
- manufatti artistici contemporanei → di qualità a volte modesta e prodotti in copia, con
temi religiosi e profani, erano venduti dall’artista stesso (es. avori, smalti, oreficeria o
altri oggetti commerciali e trasportabili come tessuti e curiosità varie)
C’erano anche mercati non antiquari → esportazione di dipinti sacri dall’Italia, sculture lignee
dalla Germania, commercio di stampe a Parigi e export di quadri da Venezia, Roma, e
Anversa.

Città come Firenze, Venezia e Roma erano al centro del mercato internazionale di arte e
lusso, e a partire dal 1500 molte presenze straniere giunsero in queste “piazze”, poiché lì gli
artisti potevano trovare commissioni, materiali e stimoli dall’influenza italiana, anche perché
in Italia c’erano i collezionisti e committenti più famosi.
Nel 1400/500/600 continuarono i mercati locali d’arte, per esempio con la mediazione degli
intermediari e rigattieri (strazzaroli) → molti beni artistici e di lusso di discreto valore
venivano consegnati ai Monti di pietà come pegno e spesso non venivano restituiti per
inadempienza.

Anche nell’Europa centro-settentrionale alcune città diventano centri nel mercato


internazionale delle arti e nella manifattura; in particolare, nei Paesi bassi:
- Bruges → la corte di Borgogna comprava e commissionava beni, inoltre c’era la
presenza di confraternite religiose interessate e della ricca borghesia mercantile
- Anversa
In entrambe le città furono organizzati luoghi per esporre le opere.
In Germania le città più coinvolte furono Francoforte, Norimberga e Augusta → erano
interessati i ricchi collezionisti tedeschi, con sviluppo dell’oreficeria e prevalenza della
commessa. L’area vide un declino con la Guerra dei Trent’anni.

Nel corso del 1600 l’Olanda diventò il centro del primo mercato d’arte di massa della storia,
nonostante l’Italia restasse sempre importante in questo campo. Questo perché i tradizionali
soggetti che commissionavano e sostenevano l’arte, clero e corona, in Olanda vennero
meno: il paese venne riformato, il protestantesimo si liberò delle decorazioni nei luoghi di
culto, e la corona scomparve.
Emersero le corporazioni e la compagnia coloniale che commerciava con le Indie orientali
(VOC). Le corporazioni erano potenti perché la regione era dinamica dal punto di vista
manifatturiero e commerciale, mentre la compagnia coloniale, che presentava una struttura
sia pubblica e privata, si fece promotrice, anche per scopi di lucro, della cultura.
Ma la novità che distinse l’Olanda fu la presenza di una domanda di livello borghese e
popolare → richiesta di dipinti da parte di privati con gusti e possibilità diverse dai soliti
acquirenti. I generi su cui i pittori si specializzarono erano adatti a uno strato sociale con
gusti non raffinati, che predilige ritrattistica, paesaggi e vita quotidiana (“La ragazza con
l’orecchino di perla” di Vermeer)
Questa nuova domanda aumentò in modo esponenziale la produzione artistica, di pari
passo con il collezionismo popolare.
La centralità dei luoghi di produzione delle arti figurative passò da Anversa ad Amsterdam,
che assunse anche un ruolo politico per il paese (lì si trasferì Rembrandt)

In quel periodo gli artisti ottennero maggiore libertà dai committenti; tutti gli artisti, anche i più
noti, dipingevano per il mercato libero borghese che comprava il quadro una volta già
realizzato, a volte chiedendo una personalizzazione. Quindi gli artisti lavoravano
confezionando opere pronte per la vendita, diversamente dalla committenza.
Il mercato artistico raggiunse volumi di domanda e offerta elevati, e questo fu reso possibile
grazie a intermediari e mercanti specializzati che usarono spesso il sistema di asta o lotterie
a premi per la vendita delle opere. Anche in questo settore non mancarono i fallimenti,
essendo l’Olanda particolarmente portata al rischio (es. scoppio bolla dei tulipani, 1633)
Sorsero anche degli obblighi, come quello dell’apprendistato dell’artista.

Così come 1700 e 1800 videro emergere il primato inglese in economia, anche nel mercato
dell’arte la Gran Bretagna prese il sopravvento. Sorse un interesse che guardava all’arte
fiamminga, e che attrasse pittori olandesi e importò dipinti. La Gran Bretagna capì che il
mercato dell’arte era adatto per investimenti a carattere speculativo (es. vendite all’asta)
Il 1700 vide una rinnovata attenzione nei confronti dell’Italia → nacque il modello della Roma
britannica, la città divenne meta di ambasciatori e uomini d’affari che sostenevano gli artisti
ed erano interessati ad acquisirne parte del patrimonio dell’antichità. Alcuni collezionisti
promossero anche il trafugamento dagli scavi di oggetti poi venduti in Gran Bretagna.
Questa ammirazione per l’estero era dovuta anche al fatto che non esisteva una vera scuola
d’arte inglese. In Inghilterra la vendita artistica si rafforzò con lo sviluppo della borghesia, ma
nonostante essa fosse potente, l’obiettivo dei parvenu era sempre quello di emulare
l’aristocrazia. L’Inghilterra, che diventò poi l’officina d’Europa, presentava già una società dei
consumi.

In quel periodo si assistette all’applicazione dell’arte nella manifattura, con ripresa dell’arte
antica (es. ceramiche inglesi di Wedgwood, in Francia cristalli e porcellane di Limoges). Le
opere venivano esposte in vetrine dei negozi, taverne, edifici pubblici, tipografie; inoltre
nacquero nuovi intermediari (mercanti e galleristi) ed emerse la figura del talent scout
scopritore di nuovi artisti.
A Londra nel 1700 i canali principali di vendita erano mercanti e aste.

Il dinamismo inglese nell’arte del 1700/800 fu legato anche alle istituzioni.


Nel 1768 re Giorgio III creò la Royal Academy of Arts → promuoveva la qualità di arte,
pittura, disegno, scultura e il miglioramento dei gusti collettivi, valutava la produzione
criticamente, facilitava le esposizioni etc.
Ma rispetto a queste istituzioni e l’ispirazione nobiliare, emerse il desiderio di liberare il
mercato dell’arte da questi vincoli.
William Hogarth → si impegnò in ambito giuridico per liberare l’artista dalle forme di
paternalismo artistico e tutelarne i diritti (es. Hogarth Act, diritto d’autore per incisori)
Nacquero nuove associazioni come la Royal Society of Arts (1754) e la Society of Artists of
Great Britain (1761) che sostenevano gli artisti, ma non li condizionavano.

Il modello a cui guardava Giorgio III era quello sviluppato in Francia nel 1600 → modello
organico per cui lo stato tutelava e regolava l’arte e gli artisti. Secondo Colbert, vissuto
durante l’epoca del Re Sole, l’arte è strumento dell’assolutismo regio.
Fu in questo periodo che sorsero accademie di pittura e scultura, musica e architettura.
Lo scopo era organizzare l’arte in gerarchie, regolarla, insegnarla a livello tecnico, e
organizzare esposizioni (​salons​) che a partire dal 1660 si ripetevano irregolarmente, nelle
quali gli artisti accreditati potevano esporre e vendere → forma di patronage del pubblico
dell’arte. Gli effetti furono discussi con polemica, poiché il sistema era troppo centrato su
Parigi e ignorava il resto della Francia; inoltre, lo stato in questo modo irregimentava e
condizionava l’arte e, per ultimo, il mercato dell’arte era limitato, il sistema privilegiava le
compravendite pubbliche rispetto a quelle private, e non ammetteva intermediari.
Seppure in un sistema così rigido, il 1700 registrò alcuni scostamenti. Innanzitutto il sistema
delle accademie si ridimensionò. Il mercato non era formato solo da opere nuove, infatti si
vendevano anche collezioni precedenti che non rientravano nei ​salons.​ Emersero poi nuovi
commercianti d’arte che si occupavano solo di intermediazione di oggetti di gusto per ceti
urbani benestanti. Dagli anni ‘40 del 1700 essi si specializzarono in stampe e dipinti, con la
nascita di un nuovo canale esterno a quello dei ​salons,​ nelle boutique dei merchands
merciers.

LEZIONE 2.4.
Il patrimonio culturale tra dispersione, distruzione e tutela 

Il patrim culturale è vulnerabile per via di fattori come:


- il tempo, che porta al degrado dei materiali
- l’ambiente
- la morte di appassionati e intenditori, infatti non sempre gli eredi vogliono conservare
le collezioni degli antenati, e inoltre molti casati si disperdono
A partire dal 1600 si diffusero pratiche testamentarie per beni di valore artistico, che
adottavano la pratica del fedecommesso → divieto per gli eredi di alienare il patrimonio,
questo è all’origine dei grandi musei (per esempio a Roma), che sono il proseguo di gallerie
private poste sotto vincolo fidecommissario. In altri casi tuttavia le famiglie chiesero la
deroga del vincolo, con conseguente dispersione del patrimonio, e nel 1865 il
fedecommesso fu vietato per legge.

Inoltre nel corso dei secoli l’arte come espressione del nemico venne distrutta, e ci furono
fasi di avversione contro l’arte percepita come eretica e idolatrica e quindi dannosa per la
religione canonica (es. durante l’impero bizantino, la riforma protestante, la rivoluzione
francese, il nazismo con il concetto di “arte degenerata”, il fondamentalismo islamico)
Inoltre l’arte rappresentava una preda, era soggetta a saccheggi ed asportazioni anche da
enti ecclesiastici, o distruzioni da parte di nemici (es. bombardamento di Dresda, Lipsia,
Potsdam)
Altre cause di dispersione sono catastrofi naturali o lo sviluppo di commerci spesso illegali
che fomentavano il furto su commissione.

Data l’ampiezza dei fattori critici della conservazione del patrimonio, non sorprende che nei
diversi ambienti ricchi di opere fosse emersa una politica di tutela dei beni culturali, che
anche se scoperti da privati erano considerati memoria storica di appartenenza della
comunità.
Questi primi passi avvennero nello stato pontificio, per via dei reperti ritrovati sotto roma e
l’interesse stesso dei pontefici → bolla di papa Pio XII che nel 1462 emanò una
proveddimento che imponeva vincoli al riuso di materiali antichi per farli diventare materiali
da costruzione, e questo non riguardava solo i luoghi di culto ma tutte le vestigia del passato
che davano splendore a Roma. La norma però non fu molto seguita, e lo dimostra anche la
denuncia di mezzo secolo dopo di Raffaello alla pratica del riuso.
Anche Firenze fu danneggiata dalla perdita delle “pitture buone”, con dispersione
dell’ornamento della città, e a Roma nel 1624 il cardinale Aldobrandini si fece promotore
della “Prohibitione sopra l’estrattione di statue di marmo o di metallo, figure, antichità e
simili”.

Il contesto di questi provvedimenti era quello di una penisola epicentro del mercato artistico
nazionale e internazionale, infatti tra la fine del 1700 e i primi del 1800 Roma tornò a giocare
un ruolo centrale, e nel 1802 venne emanato un provvedimento detto “Sulle antichità e belle
arti in Roma e nello stato ecclesiastico”.
Roma, 1819 → editto del cardinale Pacca sulla “cura degli antichi monumenti” e la
“protezione delle arti”
Roma, 1909 → prima legge organica per antichità e belle arti, densa di contenuti innovativi

Il museo e la fruizione pubblica dell’arte 

Parlare di musei dal punto di vista economico significa parlare di un’istituzione votata al
pubblico, in quanto permette all’arte di uscire dalla platea elitaria e ristretta dei collezionisti.
Nel corso del 1700 una serie di grandi collezioni private entrarono in crisi a causa del declino
e dell’indebitamento dei casati nobiliari, e ciò causò una crescita esponenziale delle aste con
pezzi di rilievo. Nel contempo emersero nuove richieste di consumo e possesso dell’arte da
parte di ceti con disponibilità ridotta, che desideravano fruire senza possedere, e da qui
nacque la necessità del museo volto all’educazione culturale insieme a istituzioni come
scuola e stampa.

Nello stesso secolo l’Illuminismo pose l’accento sulla funzione che la luce della ragione
poteva avere sul progresso; agli intellettuali competeva un programma politico, culturale e
pedagogico nel quale rientravano i musei. Un’accelerazione di questo programma si ebbe
con la rivoluzione francese, durante la quale i monumenti nazionali rischiarono la
demolizione; le opere del passato furono così raccolte nel Musée des Monuments Français
in modo tale da proteggerle.
Nel 1792 nacque l’attuale museo statale Louvre, che raccoglieva la collezione reale, quella
dell’accademia francese, le opere confiscate alla Chiesa e agli emigrati politici.
Man mano che la Francia risultava vittoriosa in tutta Europa, a Parigi affluirono opere dai
paesi conquistati. Non si tratta del tradizionale diritto alla preda, ma di una strategia volta a
concentrare a Parigi le collezioni reali e pontificie dei vari paesi, per esempio con l’arrivo in
città dei capolavori romani. La Francia inoltre promosse campagne archeologiche per
trasferire nella capitale i ritrovamenti. Venne elaborata un’ideologia per cui non si trattava di
usurpazione, ma questi beni erano un risarcimento dei costi sopportati dai francesi per la
guerra, inoltre si trattava della liberazione di un patrimonio universale da regimi oppressivi e
tiranni.
La crescita delle collezioni corrisponde all’espansione del concetto di museo. L’attuale
Louvre venne ribattezzato Musée Napoleon nel 1803 e voleva essere un museo universale
enciclopedico e politico insieme, che manifestasse il primato politico e culturale francese.
I suoi compiti erano:
- concentrare le collezioni reali, nobiliari ed ecclesiastiche
- conservare le immagini e i reperti dell’antico regime
- fare di Parigi la capitale d’Europa trasferendoci molti tesori
- favorire la diffusione del buon gusto

La storia dei musei però non è lineare. Il Louvre subì una caduta con il crollo dell’impero
napoleonico, seguita da una parziale restituzione del patrimonio in italia, e nella penisola
nacque l’attenzione per questi beni recuperati.
Il modello del Louvre stimolò gli altri stati a investire in progetti museali di grande respiro,
anche attraverso edifici con valore simbolico.

Cosa sono i musei nella contemporaneità?


Essi col tempo sono diventati uno dei soggetti del sistema dell’arte perché la influenzano a
vari livelli, per esempio:
- creano l’aurea intorno all’opera e all’artista esposto
- sono importanti per il mercato artistico
- sviluppano nuove figure professionali
- rappresentano un repertorio di modelli per artisti, artigiani e designer
- spettacolarizzano le attività artistiche con grandi mostre ed eventi

3. CHIESA E BENI CULTURALI

LEZIONE 3.1.
Dalle cattedrali alle soppressioni ottocentesche 

Gli enti che comportavano vita comune costituivano piccole comunità o grandi complessi
(vere e proprie microcittà) organizzate per essere autosufficienti.
Esse avevano un’impostazione no profit, vivendo del proprio lavoro interno e della carità
altrui, ma concentrano una porzione ampia di proprietà immobiliari spesso frutto di donazioni
testamentarie.
Perché in certe epoche le proprietà ecclesiastiche crebbero? La ragione è che molti beni
erano ricevuti con il vincolo della manomorta, quindi non erano alienabili. Le modalità di
gestione potevano essere:
- conduzione diretta
- affitto
- investitura perpetua (enfiteusi) → durava all’infinito con un canone modesto, era un
contratto volto a incentivare i coltivatori a prendersi in carico quegli appezzamenti di
terra
Gli enti religiosi investivano in edifici di culto e rappresentanza, ma anche in investimenti
produttivi (es. bonifiche). Sul piano gestionale, i beni di proprietà eccelesiastica e laica erano
gestiti anche attraverso mezzi come la partita doppia, che garantivano una gestione
trasparente.

Santuario → luogo di culto particolare, spesso oggetto degli itinerari dei pellegrini
Cattedrale → il nome deriva dal fatto che lì si trovasse una cattedra episcopale; erano dette
anche ​ecclesia maior​ o ​domus dei
Le cattedrali sono sterminate nel mondo, e sono legate a chiese sia episcopali (cattolica,
anglicana etc.) sia non episcopali (chiesa di Scozia)
Oltre alla concezione romantica, le cattedrali rappresentano anche cantieri ininterrotti (es.
Sagrada Familia di Barcellona) e vere e proprie imprese; si tratta di grandi opere, progetti
complessi che richiedono un’ingente mobilitazione di risorse.
Nascita di fabbriche/fabbricerie → si occupavano della manutenzione di edifici e tesori d’arte
e di fede.
Lo scopo delle cattedrali era quello di durare per l’eternità, ma spesso essere furono oggetto
di danni e distruzioni (es. cattedrale di Notre Dame); oggi sono prevalentemente oggetto di
turismo mondiale.

L’imponenza visiva ed economica delle cattedrali rispetto ai borghi in cui sorgevano è stata
indagata. Secondo R. Lopez → queste costruzioni furono uno spreco di ricchezza, e questi
enormi investimenti potevano essere effettuati in direzioni più produttive, infatti si tratta
spesso di investimenti irrazionali o rimasti incompleti.
Inoltre, non c’è rapporto tra sviluppo culturale ed economico. Molte cattedrali però furono
finanziate dalle decime sulla produzione agricola (chiamate “figlie della mietitura” da Charles
Péguy), quindi gravarono sull’economia rurale e non su quella urbana.
Ma che effetto ebbero sull’economia? E in ogni caso, quando un investimento può dirsi
socialmente “utile”?

A partire dal XII secolo nell’Italia dei comuni si verificarono alcune tendenze:
1. Appropriazione istituzionale e sociale del finanziamento e della gestione delle
cattedrali → forte municipalizzazione (il caso limite è quello di Bologna il cui il
comune si appropriò della basilica di S. Petronio che divenne tempio civico, e quello
del duomo di milano, diventato per del tempo un’istituzione comunale dopo che il
governo cittadino divenne signorile)
In generale prevalsero situazioni di municipalizzazione parziale, con rapporti variabili tra
vescovo, capitolo fabbriceriale e comune.

2. Ampliamento funzioni sociali delle fabbriche → esse acquisirono compiti di carattere


assistenziale (gestione di ospedali e luoghi pii, es. procuratie di S. Marco a Venezia);
definirono lo spazio urbano realizzando piazze monumentali, pavimentando strade,
occupandosi di opere di difesa (rocca di Orvieto); si occuparono della costruzione di
strutture pubbliche.
La fabbriceria diventò ​officium per la gestione dei beni pubblici, la “madre dello spazio
pubblico”.

Col tempo si assistette ad un processo di fiscalizzazione dei finanziamenti → le spese per le


cattedrali erano sostenute da imposte e questo regolarizzava il gettito che giungeva all’ante,
con innovazioni su piano architettonico e costruttivo (es. a Firenze, quando la cattedrale di
Santa Maria in Fiore aumentò i finanziamenti grazie all’Arte della Lana, potè richiamare
artisti come Giotto)
La cattedrale aveva un ruolo di rilievo civico, essendo al centro di conflitti per il controllo
delle fabbricerie da parte delle élite urbane che le vedevano come possibili trampolini di
lancio per ottenere potere.
Oltre alle imposte vi erano molteplici soluzioni che facevano affluire risorse alle fabbricerie,
come:
- redditi materiali → per l’Opera in duomo di Firenze vennero assegnate le foreste del
casentino; per il duomo di Milano le cave di marmo di Candoglia
- esenzioni dai dazi
- donazioni di privati, spontanee o sollecitate fortemente
- campagne di fundraising (collette, cassette di raccolta)

In conclusione, le cattedrali hanno un valore che deriva dall’essere, oltre che luoghi religiosi,
capitali economici, sociali e culturali. Dal punto di vista sociale e politico la fabbriceria
diventò uno dei primi luoghi dove la comunità urbana ebbe modo di sperimentare la propria
capacità di autogoverno e formare una coscienza comunitaria.
Inoltre il duomo fu parte fondante della formazione dei sistemi fiscali delle città italiane,
infatti le fabbricerie diventarono enti potenti a livello economico-finanziario → gestione di
grandi risorse e sviluppo di tecniche contabili, distinzione tra tesoreria (gestisce flussi di
cassa) e contabilità (gestisce la rendicontazione). Avevano inoltre capacità finanziaria
perché facevano credito ai comuni, acquistavano dall’economia materiali e erogavano salari.
Oltre a questo, le fabbricerie erano centri di potere che diventavano trampolini di lancio per
carriere personali e legittimazione di ricchezza e status sociale ottenuti (es. le prime guglie
del duomo di Milano furono finanziate da un mercante che lo fece per giustificare il proprio
arricchimento)

LEZIONE 3.2.
Le fabbricerie 

Tuttora enti fondamentali per la chiesa cattolica, esse creano, custodiscono, tutelano,
mantengono e rinnovano gli edifici di culto e le loro opere d’arte.
Nel diritto italiano esse sono ritenute persone giuridiche a cui è devoluta l’amministrazione
del patrimonio di una chiesa, ovvero aziende con amministratori e patrimonio immobiliare
che hanno come scopo mantenere un edificio di culto con manutenzione ordinaria e
straordinaria, e provvedere al necessario per il culto in quell’edificio, occupandosi di
suppellettili, abiti, candele etc.

Esse hanno origine molto antica; in una lettera di papa Gelasio a fine V secolo viene
descritto come dovessero essere divisi i redditi di un ente ecclesiastico, ovvero:
- una parte al vescovo
- una parte al clero
- una parte ai poveri
- una parte alla fabbriceria (essa curava i ​sacra tecta​, pareti e tetto, e le ​luminaria
ecclesiae,​ luci per funzioni liturgiche)

Tra XII e XIV secolo, in epoca medievale, nel contesto della nuova vita cittadina e con la
nascita del comune italiano, questi enti assunsero una loro specifica fisionomia, diventando
organismi collegiali costituiti da laici ed ecclesiastici con varie forme organizzative e nomi (al
nord sono dette “fabbriche”, in Toscana “opere”, in Campania “cappelle”, in Veneto
“procuratorie”)

Come sostiene P. Boucheron, in Italia ci fu la tendenza a municipalizzare questi enti


ecclesiastici, ovvero il loro ruolo andò oltre quello di semplici strumenti di costruzione e
manutenzione delle chiese. Esse assunsero un ruolo più ampio e funzioni sociali, divennero
una delle tante istituzioni volte alla cura del bene comune.

Quale fu la nuova funzione sociale delle fabbricerie nel comune italiano?


- La costruzione di una nuova cattedrale era un momento fondativo della storia di una
città, essa spesso veniva costruita in più generazioni; in questo progetto di
costruzione il popolo creava la sua identità, la cattedrale rappresentava un bene di
tutti in cui chiunque poteva riconoscersi.
- Le fabbricerie, gestendo grandi cantieri, diventarono garanti dello spazio urbano
- Esse stimolarono la nascita di una nuova fiscalità municipale, con la partecipazione
ad un’impresa collettiva che trasforma risorse private in un bene comune
- All’interno di esse si sperimentarono tecniche finanziarie e contabili innovative alla
base della contabilità che poi diventerà statale

Esse sono organismi collegiali per la maggior parte costituiti da laici che tentano di
mantenersi autonomi dal mondo ecclesiastico.
All’interno dei decreti del Concilio di Trento si parla anche delle fabbricerie, e si vuole
tutelarne l’autonomia ma con la necessità di rendere conto annualmente al vescovo, che ha
compito di controllo ma non interviene direttamente. Nella diocesi di Milano un mom
fondamentale è dato dall’azione normativa Acta Ecclesiae Mediolanensis del cardinale
Borromeo.

Il ruolo delle fabbricerie restò immutato fino al 1800, finché anch’esse furono coinvolte nel
processo di rimodulazione delle istituzioni pubbliche con nascita dello stato nazionale, e i
profondi cambiamenti del rapporto tra potere civile e ecclesiastico anche su spinta idee
liberali che volevano separare le due sfere di potere e controllare le istituzioni religiose da
parte dello stato.
Tappe importanti furono:
1806 → Napoleone istituì formalmente le fabbricerie, ne venne riconosciuta la personalità
giuridica con il nuovo codice civile, ed esse furono sottoposte al controllo delle autorità
pubbliche pur essendo ecclesiastiche
1866-1870 → dal regno di Italia vennero emesse le “leggi eversive”, leggi con cui il nuovo
stato regolava i rapporti con le chiese italiane, in particolare il regno incamerava beni di
istituzioni ecclesiastiche considerate inutili, con non poche polemiche. Ma le fabbricerie
vennero comunque salvaguardate, considerate utili in quanto strutture amministrative di beni
importanti
1929 → con i Patti Lateranensi, nelle norme del nuovo concordato si stabilirono anche
regole per fabbriche, che tutto sommato sono ancora valide; esse devono essere consigli
formati da cinque o sette membri, alcuni di nomina ecclesiastica altri scelti dal ministero
dell’interno, che controlla e sorveglia l’operato
Esse, a cavallo tra 1800 e 1900, diventarono strumenti con cui il regno d’Italia tutelava il suo
patrimonio culturale, in collaborazione col ministero dell’istruzione.
Ancora oggi hanno questo ruolo attivo di custodia e promozione, e negli anni 2000 sono
state firmate intese in merito tra il ministero dei beni culturali e la conferenza episcopale
italiana.

LEZIONE 3.3.
I beni culturali ecclesiastici 

All’interno delle fabbricerie si sviluppò una cultura della tutela, ovvero una capacità di attuare
le giuste forme di gestione per tutelare un bene come per esempio una chiesa,
arricchendolo, proteggendolo, mantenendolo e trasmettendolo al futuro. Serve la capacità di
reperire risorse (fundraising), ma come? Attraverso:
- grandi proprietà immobiliari
- proprietà agricole e fondiarie
- proprietà legate al culto (uffici funebri)
- campagne di raccolta offerte straordinarie
- rapporti con autorità statali per ottenere finanziamenti

La cura e la manutenzione richiedono inoltre:


- investimenti mirati a procurarsi i materiali al minor costo possibile, spesso facendo
appalti per marmo, cera per candele, manutenzione degli organi
- capacità di gestire e formare le maestranze e il personale addetto alle attività
necessarie ad un edificio di culto (es. muratori e falegnami)

● Architettura
Chiese ed edifici.
Esempi: duomo di Milano, cattedrale di Santa Maria Assunta (duomo di Siena)

● Scultura e pittura
L’arte figurativa cristiana non aveva solo un ruolo devozionale, ma anche educativo, infatti il
popolo la usava come fonte di conoscenza religiosa essendo per la gran parte analfabeta.
Esempi: museo dell'opera del duomo di Firenze (all’interno si può assistere ad un'evoluzione
cronologica della scultura toscana), cappella di San Brizio (duomo di Orvieto, contiene
affreschi di Beato Angelico commissionati dalla fabbriceria Opera del duomo in questione)

● Arredi, paramenti e suppellettili


Meno noti al grande pubblico ma di valore inestimabile, su di essi si investiva moltissimo.
Esempi: sagrestie (armadi in legno intagliato e decorato), confessionali, paramenti liturgici
(vesti sacre)

● Musica sacra
Le fabbricerie amministravano anche le cappelle musicali e le scuole di canto; i maestri di
cappella preparavano le esecuzioni di organo e coro durante le celebrazioni, e producevano
partiture originali. Inoltre si occupavano della manutenzione di strumenti musicali, specie
organi.
Esami: organo maggiore del duomo di Milano

● Archivi e biblioteche
Gli archivi nacquero come raccolte di documenti di gestione e amministrazione prodotti
dall’ente fabbriceria, e costituiscono un patrimonio da custodire e tutelare in quanto
conoscenza storica a disposizione degli studiosi.
Esempi: archivio veneranda fabbrica duomo di Milano (il suo simbolo è il manto della
Vergine Maria che protegge il duomo)

LEZIONE 3.4.
Riuso  e  tutela.  Il  patrimonio  culturale  degli  enti  religiosi  soppressi  dalle  leggi 
eversive 

Ad opera del neonato stato italiano vennero emanate le leggi eversive nei confronti del
patrimonio ecclesiastico. Tra il 1866 e il 1867 vennero emanati regi decreti che avevano
come fine sopprimere alcuni enti ecclesiastici e confiscare i loro beni incamerandoli nel
patrimonio nazionale (demanio pubblico).
Non fu la prima volta che si verificò un atto di questo genere, poiché già nell’impero
asburgico erano avvenute soppressioni di congregazioni religiose contemplative considerate
superflue e inutili, con conseguente appropriazione dei beni.
In questo caso, i beni confiscati finirono a disposizione di enti pubblici o in alternativa venduti
a privati.
Trattandosi di beni importanti, lo stato si trovò per la prima volta in possesso di un
patrimonio di estremo valore e per tutelarlo e valorizzarlo nacquero le prime istituzioni
nazionali per tutela del patrimonio culturale nazionale.

Regio decreto n°3036 del 7 luglio 1866


Art. 1 → volontà di sopprimere alcuni enti ecclesiastici
Art. 11 → incamerare i beni nel demanio con l’obbligo d’inscrivere a favore del fondo per il
culto
Art. 20 → i fabbricati dei conventi soppressi saranno ceduti a comuni e province, quindi ad
enti pubblici locali, che faranno domanda entri un anno dalla pubblicazione della legge. Essi
devono comunque definire un uso di questi fabbricati, impiegandoli per esempio come
scuole, ospedali, ricoveri e opere di beneficienza
Art. 24 → libri e manoscritti, documenti scientifici, archivi, monumenti e oggetti d’arte e
preziosi per l’antichità (beni mobili) vanno devoluti a pubbliche biblioteche o musei nelle
rispettive province. Quadri, statue e arredi andranno alle chiese dove ve ne fosse bisogno.
C’è consapevolezza del loro valore, essi devono arricchire le collezioni e non semplicemente
essere incamerati per poi essere dispersi tra privati
Art. 33 → il governo deve provvedere alla conservazione di edifici e adiacenze come
biblioteche e archivi e altri stabilimenti ecclesiastici ritenuti importanti per valore
monumentale, poiché custodiscono anche tesori artistici e culturali. Iniziano ad esserci prime
definizioni del concetto di bene culturale
Il regio decreto venne concretamente attuato tramite l’opera di alcune prime istituzioni
dedicate al patrimonio culturale, come:
Commissioni consultive di belle arti (nate nel 1864) → volevano definire elenchi dei beni
incamerati che poi potevano essere devoluti a province o alienati; primo vero censimento,
anche se parziale
Direzione generale delle antichità e belle arti, inizialmente detta “giunta di belle arti” (nata nel
1867) → scopo di informare il ministro delle pubblica istruzione riguardo lo stato di gallerie,
monumenti e tutto ciò che è relativo alle belle arti

Legge n°3848 del 15 agosto 1867 (liquidazione dell’asse ecclesiastico)


Vennero soppresse una serie di enti di clero ritenuti inutili, in questo caso anche secolare,
esclusi solo seminari, cattedrali, parrocchie, canonicati e fabbricerie.
I beni andarono al demanio e vennero definite le modalità in cui sarebbero stati liquidati,
imponendo una tassa del 30% sopra il patrimonio incamerato.

Nel suo saggio, A. Gioli parla di:

● Riuso degli edifici


La commissione consultiva di belle arti non aveva la competenza nè la forza per imporsi
davanti agli interessi o alla dispersione dei beni, quindi non era davvero in grado di tutelare il
patrimonio. Il demanio pensava ad alienare suoi possedimenti, non proteggerli.

● Nascita dei musei civici


Le leggi eversive avviarono il processo positivo della nascita dei musei locali che accolsero
le collezioni di beni mobili in un momento in cui alcuni privati volevano donare alle istituzioni
beni culturali e artistici in loro possesso. Questi due processi, di soppressione pubblica e
donazioni private, originarono i musei civici di fondamentale importanza per la tutela del
patrimonio ancora oggi.

● Monumenti nazionali
Il ministero della pubblica istruzione aveva la facoltà di riconoscere la monumentalità di un
edificio, evitando così che venisse alienato e salvaguardandolo. La dichiarazione di
monumentalità era la versione embrionale dell’odierna dichiarazione di interesse culturale,
che sottopone un bene ad un codice di tutela.

4. IL SISTEMA DELL’ARTE NELL’ETÀ INDUSTRIALE

LEZIONE 4.1.
L’Ottocento e il caso francese 

Mercato primario → ci opera l’artista vivente, tratta quindi di arte contemporanea, può
avvalersi di intermediari ma si basa spesso sul rapporto diretto artista-committente. Viene
fissato il valore economico iniziale dell’opera.
Mercato secondario → passaggi successivi al primo acquisto, l’artista non coinvolto perché
già morto, si avvale di intermediari come gallerie, mercanti e case d’asta.
Questione dei prezzi → ci sono enormi differenze di prezzo nei vari passaggi di un’opera.
L’attenzione ai prezzi di aggiudicamento delle aste (a Londra nel 1800 venivano battute
migliaia di opere) è cresciuta negli anni, quando l’arte ha cominciato ad essere vista come
mercato interessante per investimenti dalla finanza.
Sono stati creati database di prezzi di opere di ogni tipo (oggetti, automobili, vini, orologi) e
numeri indice per studiare l’andamento del mercato.
Le quotazioni d’asta sono considerate il benchmark1 più affidabile del valore economico di
un oggetto.

Che rapporto intercorre tra arte e società a partire dal 1800?


Ci furono cambiamenti nel contesto, sia strutturali che economici e sociali:
- emersione dell’alta borghesia → si propose come committente con orizzonti e
aspettative diverse dalle antiche élite nobiliari e del clero; la committenza cambiò di
contenuto incarnando nuovi valori, simboli e soggetti
- l’arte cominciò a prediligere la contemporaneità, associando ai contenuti allegorici e
dell’arte colta quelli della realtà; l’artista diventò attore e protagonista del suo tempo,
e anche partecipatore nella vita politica, con cambiamento del rapporto arte-politica
cambia. Questo avvenne in particolare nella rivoluzione francese, in cui gli artisti
intervennero per appoggiare o criticare il disegno rivoluzionario, e poi durante l’epoca
napoleonica, in cui Napoleone catalizzò intorno a se artisti e letterati
- ingresso nel mondo dell’arte dei ceti popolari
in passato l’arte includeva rappresent dei poveracci es pitocchi, ma ora invece vi
sono rappresent del lavoro, es contadini, sfociando poi nella denuncia sociale per
produrre un cambiamento della storia e progresso sociale; si passa dal realismo
romantico al verismo sociale (courbet dice che non bisogna allontanarsi dalla realtà),
artista con finalità antiaccademica

La Francia è l’ambiente a cui guardare per cogliere le grandi trasformazioni.


Nel 1700 essa era punto di incrocio tra correnti di commercio di opere tra zone fiamminghe,
Olanda e Italia. In seguito però era emersa l’importanza del polo londinese, grazie alla
presenza di gallerie, commercianti e case d’asta (es. Christie’s). La diminuzione
dell’importanza della Francia fu accelerata dalla rivoluzione, che impattò negativamente sul
mercato dell’arte, poiché esso si reggeva sulla commitenza di nobiltà e clero, le cui collezioni
si dissolsero e vennero nazionalizzate. Inoltre l’inflazione monetaria e il crollo della fiducia
dovuto alle turbolenze politiche ebbe effetti negativi.
Nei decenni successivi, però, si verificò una forte espansione, e la pittura iniziò a guardare
non soltanto gli “antichi maestri” ma anche a basarsi su artisti viventi e quindi sull’arte
contemporanea.
L’esibizione delle opere era però monopolizzata dai ​salons e quindi dallo stato, non era
indipendente, ma dalla seconda metà del 1800 il mercato iniziò a staccarsi dal controllo
statale con gallerie ed esposizioni private e indipendenti, e l’arte iniziò ad essere più libera.

1
Nel linguaggio finanziario, parametro di riferimento per valutare la prestazione di un titolo o di un
fondo d'investimento o l'andamento del mercato in genere
Altro stimolo al mercato dell’arte fu l’evoluzione e lo sviluppo coloniale francese, che
produsse il transito in Francia di prodotti artistici di altri continenti (antichità del Medio
Oriente, porcellane cinesi e giapponesi, manufatti africani).
Inoltre, lo sviluppo di nuove correnti artistiche indipendenti fu stimolato a fine 1800 da una
nuova domanda americana proveniente da industriali neoarricchiti affamati di arte straniera,
che essendo liberi da convenzioni e schemi erano interessati anche all’arte nuova.

Comunque, per buona parte del 1800 l’arte si basò su accademie (esse formavano gli artisti
e li selezionavano) e sulla monopolizzazione da parte dello stato (organizzava i ​salons e
stabiliva premi)
Il ​salon più importante, che durò dal 1673 al 1890, fu il Salon di Parigi → esponeva al
Louvre, fu biennale e poi annuale, organizzato dall’Accademia delle belle arti e dotato di
giuria, premi, catalogo e biglietto d’ingresso. Era accompagnato da un acceso dibattito sui
giornali → nasce il critico d’arte
Dal 1830 si sviluppò una nuova sensibilità, con lo scontro tra neoclassicismo e
romanticismo, ma le tendenze nuove venivano fermate dall’accademia, stimolando ancora di
più lo spirito d’avanguardia.
Dal 1880 il governo ritirò la sponsorizzazione ufficiale al ​salon​, che diventò solo uno tra i
possibili mezzi espositivi.

Contrapposizione neoclassicismo e romanticismo → in una caricatura si vede da una parte


Delacroix (ora famoso ma all’epoca snobbato) e dall’altra Ingres (celebre all’epoca); scontro
in cui lo stato appoggiò da subito il neoclassicista Ingres, escludendo le tendenze emergenti.

Dalla metà del 1800 le reazioni al sistema controllato dell’arte diventano manifeste.
Expo di Parigi (1855) → molti artisti furono respinti dalla mostra di dipinti; Courbet quindi
realizzò un padiglione a parte, il padiglione del realismo.
Salon del 1863 → escluse opere ispirate a canoni diversi dal sentimento ufficiale
accademico. Questa volta lo stesso sovrano Napoleone III organizzò un salone a parte, il
Salon des refusés, dove molti artisti potevano esporre nonostante fosse considerato il
salone degli “artisti falliti” (lì venne esposta la ​Colazione sull’erba​ di Manet)
Salon del 1865 → Manet presentò l’​Olympia e fu considerato scandaloso (rappresentava
una prostituta, anche se non era realista), ci furono reazioni violente.

Ma il sistema si stava aprendo, e nel 1884 nacque il primo organo espositivo, il Salon des
indépendants, organizzato da una società di artisti indipendenti. Esso non contemplava
premi, e il sovrano non doveva essere lo stato ma il pubblico stesso.
Salon d’automne dal 1903 → pluridisciplinare e internazionale, aveva una giuria di artisti
perché lo scopo era orientare e favorire le nuove tendenze.

Tutto il 1800 fino alla Prima guerra mondiale fu epoca di esposizioni di ogni tipo. Emerse
come protagonista il pubblico e l’artista con una nuova identità → generazione di artisti
d’avanguardia, ribelli e bohémien che si dichiarano indipendenti dal patronage elitario e
devono appoggiarsi a mercanti e galleristi. Essi suscitano scandalo e ammirazione poiché
noncuranti del favore del grande pubblico, l’unico consenso a cui sono interessati è quello
dei circoli intellettuali; si parla di movimenti e avanguardie, non di scuole.
Ascesa dell’audience → il pubblico diventò variabile decisiva nel sistema artistico, era
visitatore/fruitore, acquirente, lettore e commentatore, ma il popolo veniva ancora escluso.
Dato importante fu l’ascesa della borghesia, il vero nuovo pubblico; essa aveva uno stile di
vita e delle condizioni economiche, sociali e culturali adatte per consumare la cultura e
l’intrattenimento. Inoltre, un ruolo importante fu ricoperto da musei e stampa, la cui fruizione
era tipicamente borghese.

Impressionisti → il loro successo è merito di chi lì scopri, cioè mercanti che erano veri e
propri imprend con gusto e capacità commerciali, che operavano come talent scout e
seppero valorizzare le loro opere facendosi carico anche dei rischi.
Tra i mercanti d’arte si ricordano:

- Paul Durand-Ruel
Fu innovatore in scelte e strategie, una delle figure che contribuirono al mercato
internazionale dell’arte, specie impressionistica. Il suo acquisto di opere non era casuale ma
si basava sull’idea di valorizzare nuove forme d’arte, egli fu anticipatore dei gusti pubblici.
Valorizzò prima la scuola di Barbizion e poi gli impressionisti, di cui fu amico, mentore e
riferimento commerciale.
Si avvaleva poi di una strategia a medio termine, acquistò lotti di opere ad artisti per
controllare la loro produzione accumulandola nel proprio magazzino; questo sistema era
rischioso e lo espose a fallimenti.
Durand-Ruel organizzava inoltre mostre personali quando ancora dominavano le esposizioni
collettive, poi promosse riviste d’arte per incentivare il sostegno della critica alle nuove
correnti.
Infine, organizzò mostre estere (a Bruxelles, Rotterdam, Boston) e aprì proprie gallerie
(Londra, New York)

A Parigi sorsero altre iniziative inserite nell’ambiente dinamico e aperto, con piglio
imprenditoriale legato all’arte. Altri nomi importanti sono:

- Ambroise Vollard → mercante di molti artisti, voleva promuovere forme di arte nuova
e commissionò ad artisti come Marc Chagall la realizzazione di illustrazioni per
l’editoria.
- Daniel Henry Kanhweiler → mercante del cubismo, stipulava con gli artisti contratti a
lungo termine e faceva pubblicità su riviste e cataloghi. Con la Prima guerra mondiale
il suo magazzino fu sequestrato perché tedesco, e venne liquidato.

La Peau de l’ours → primo fondo di investimento in arte creato da André Level.

LEZIONE 4.2.
Imprenditori e arte 

Per comprendere il cambiamento di rapporto tra impresa e cultura bisogna partire


dall’Inghilterra della Prima rivoluzione industriale, dove l’impresa si è sviluppata. Nel 1857,
nella capitale industriale britannica Manchester il poeta, pittore e intellettuale John Ruskin
scrisse ​The political economy of art,​ in cui sostenne che:
- nonostante l’Inghilterra fosse diventata ricca era l’arte è la ricchezza per eccellenza,
e bisognava impegnarsi per mantenere viva la sua produzione e conservazione
- non bisognava dividere estetica e etica, ma rifiutare avidità, antagonismo e spreco
(critica al capitalismo) e puntare all’equilibrio tra utile e bello
- intelligenza creativa e talento artistico non si potevano creare ma dovevano essere
sostenuti attraverso strumenti come la giusta remunerazione degli artisti, il
riconoscimento del pubblico e altre forme di sostegno
- i committenti non avrebbero dovuto seguire mode passeggere che producevano
spreco di lavoro e energie intellettuali (es. tombe sontuose o argenteria), ma puntare
su opere non mediocri ma durature che conservavano la propria aurea nel tempo
- l’arte, anche quella contemporanea, non doveva essere nè a buon mercato nè troppo
cara, ma bisognava renderla accessibile alla maggior parte della popolazione in
modo che potesse influenzare come faceva ad esempio la letteratura
- bisognava essere attenti nella restaurazione, che non deve deturpare l’opera
- elogio dell’eccezionalità dell’Italia che aveva dato molti beni all’Inghilterra, ma essi
dovevano essere conservati meglio, poiché ogni nazione è parte della grande
comunità cristiana d’europa. In caso contrario “non è l’arte quello che vogliamo, è
divertimento, gratificazione dell’orgoglio, soddisfazione immediata, qualsiasi cosa al
mondo ma non arte”

Durante il 1800 emerse l’alta borghesia, gruppo sociale che si mosse inizialmente emulando
la nobilità e poi emancipandosi da essa. Ne facevano parte gli imprenditori → categoria
eterogenea ma generalmente con forte autocoscienza e molta influenza in particolare in
Inghilterra. Alcuni godevano di patrimoni pregressi, altri no.
Svolgere il mestiere dell’imprenditore era difficile, richiedeva tempo e denaro, e questo si
traduceva in un atteggiamento di indifferenza verso attività considerate non utili (“con la
cultura non si mangia”)
Le classi colte, inoltre, erano sospettose verso questi parvenu (chiamati ​snobs,​ persone non
titolate, ricchi ma non eleganti)
Vi furono però casi di committenze imprenditoriali, in cui l’imprenditore si rivolgeva all’artista
richiedendo opere di valore. Da cosa erano motivate?
Necessità e valore simbolico → diversificare la propria ricchezza, inoltre l’investimento in
arte diventa mezzo, specie per la prima generazione, per conquistare rispetto sociale.
La committenza imprenditoriale riguardava in particolare dimore, arredamento, giardini,
ritratti e sculture, monumenti funerari e anche edifici produttivi.
Ciò rappresentò una nuova occasione per gli artisti, che avevano possibilità di lavorare con
libertà e spirito di indipendenza, e con meno distanza sociale di quanta ce ne fosse con la
classe nobiliare. Comunque, in questo periodo la committenza iniziò a farsi da parte e
prevalse la compravendita.

Accanto alla committenza, si sviluppò il collezionismo imprenditoriale.


Ciò era dovuto da una parte alla possibilità di rivendere poi le opere a prezzi maggiori,
dall’altra a vera e propria mania per l’arte. Da queste collezioni non emergono sempre gusti
personali, gli atteggiamenti degli acquirenti vanno dal tradizionalismo all’eclettismo (unisce
moderno e antico e si distingue dalle collezioni nobiliari che disdegnavano il nuovo) → la
propensione innovativa degli imprenditori va a favore delle avanguardie.
Essi influenzarono il gusto pubblico (es. nascente interesse per prodotti esotici)
Gli imprenditori si impegnarono poi nella promozione delle arti, con la nascita di fondazioni,
associazioni e sponsorizzazioni, fino al mecenatismo (circondarsi di artisti di successo)

Sulle collezioni imprenditoriali gravavano rischi legati a:


- andamento dell’economia e le sue conseguenze sul patrimonio dell’impresa
- passaggio tra generazioni → anche se ci furono imprese longeve, spesso le
collezioni si dispersero con aste o donazioni pubbliche, a volte per riscattarsi
Quali furono i settori più coinvolti dal collezionismo?
- finanza → i banchieri spesso costituirono collezioni di grandissimo valore
- industrie creative → tessile, porcellane e moda, con investimenti anche in design
Esisteva anche una piccola committenza legata alla comunicazione aziendale → incaricare
un artista era importante anche per le imprese medio-piccole per l’insegna, il marchio, le
campagne pubblicitarie e il packaging che voleva essere accattivante.
Le collezioni di impresa quindi diventarono impersonali, legate non al singolo imprenditore
ma all’impresa con pluralità di soci; al giorno d’oggi esistono musei di impresa per
valorizzare le collezioni formatosi nel tempo.

LEZIONE 4.3.
La nascita del design in Italia 

Design (disegno industriale/​industrial design)​ → progettazione di oggetti destinati ad essere


prodotti industrialmente con macchinari o in serie, produzione di massa.

In Italia la figura del designer progettista di modelli si sviluppò nel secondo dopoguerra,
quando il paese visse un processo di espansione industriale, ma già nella prima metà del
1900 nacque l’attenzione all’oggetto e ad un genere di industria certamente più diffusa in
Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti.
I primi ad interessarsi alla modernità dell’industria e del prodotto sono gli artisti del
movimento futurista; la definizione di oggetto venne introdotta da Nicola Galante già nel
1917, secondo cui l’oggetto è tutto ciò che va dal palazzo alla forchetta da tavola. In esso
convivono forma (aspetto decorativo, cioè materiale e colore) e funzione.

Si pensava che la produzione di massa rovinasse il gusto dell’oggetto, e da qui sorse


l’impegno dell’arte nel diffondere valori estetici a tutti gli oggetti per sfatare questa idea. Già
Marinetti parlò di questo nel 1909, ma la svolta avvenne con il ​Manifesto di ricostruzione
futurista dell’universo f​ irmato l’11 marzo 1915 dagli artisti Giacomo Balla e Fortunato Depero
→ dalla realtà i futuristi coglievano l’aspetto tecnico e la andavano ad esplicare negli interni,
disegnando ambienti espositivi, mobili, componenti d’arredo e ceramiche al fine di
“ricostruire l’universo rallegrandolo”.

Sono definiti “pionieri” quegli architetti e artisti che negli anni ‘20 si impegnarono in progetti
per l’industria. Pioniere indiscusso fu Marcello Nizzoli → pittore futurista che negli anni ‘10
organizzò un laboratorio personale dove realizzava cuscini e arazzi che univano conoscenza
pittorica e pratica artigianale.
Nel 1938 iniziò la sua collaborazione con la Olivetti, per la realizzazione di macchine da
scrivere, calcolatrici e poi computer, affiancando le conoscenze artistiche a quelle
ingegneristiche.

Dagli inizi degli anni ‘20 sia i designer che le aziende sentirono la necessità di valorizzare il
proprio lavoro in Italia → richiesta accolta dal Consorzio Milano-Monza Umanitaria che
inaugurò l’Istituto superiore di industrie artistiche (considerato il Bauhaus italiano) che
annoverava docenti come Pagano, Persico e Nizzoli.

I°biennale delle arti decorative di Monza (1923) → coordinata da Pietro Marangoni,


promosse un artigianato di lusso.
II° biennale (1925) → sottolineò la vocazione italiana nelle arti decorative.
Mostra di architettura futurista (1928) → la “casa degli architetti” sottolineò come il tema
culturale e quello industriale potessero unirsi. Venne inoltre bandito un concorso a tema che
vide vincitrici cinque ditte, tra cui la Rinascente con il progetto Domus nova di Gio Ponti e
Emilio Lancia.
IV° biennale (1930) → ultima manifestazione monzese tra le due guerre. Vide un
cambiamento di periodicità, l’istituzionalizzazione nazionale e il riconoscimento
internazionale. Venne affidata agli architetti Novello e Ponti e al pittore Sironi. In
quell’occasione venne presentata la “casa elettrica” sponsorizzata da Edison, in cui furono
esposti tutti i nuovi prodotti elettronici per il comfort domestico.
V° biennale (1933) → interesse verso nuovi materali come linoleum e acciaio, con progetto
della “casa d’acciaio” in parco Sempione. Si cercò di dimostrare che il materiale era utile non
solo per l’esterno ma anche l’interno, ma i componenti d’arredo proposti risultarono troppo
rigidi e non piacquero.
VI° biennale (1936) → vide la prima rassegna di materiali per l’architettura.
VII° biennale (1940) → vide esposta una serie di oggetti di un avanzato artigianato
meccanizzato. Per la prima volta si introdusse il termine produzione di serie. Tra le prime
industrie italiane legate alla serialità, oltre a quella automobilistica, ci furono l’industria della
ceramica di Richard Ginori, poi Alfonso Bialetti con la caffettiera per l’espresso in alluminio,
Carlo Alessi con i servizi da caffè e the in metallo, in seguito l’industria degli apparecchi
radio (Phonola 547)

Nel secondo dopoguerra venne espresso il meglio del Made in Italy. Molti personaggi del
design italiano vennero chiamati ad affiancare la ricostruzione.
Esempi:
- utilitaria destinata a fascia medio alta (Fiat 600 e poi 500, massima efficienza delle
prestazioni e spazi nonostante la miniaturizzazione, vincitrice del Compasso d’oro del
1959)
- elettrodomestici bianchi e bruni
Inoltre:
- durante la VIII° triennale (1947) a Milano viene progettato il quartiere QT8
- durante la X° triennale (1954) ci fu la Mostra internazionale del design industriale e il
convegno internazionale del design, durante il quale si diede la definizione di disegno
industriale e della sua funzione. Gli elementi fondamentali erano caratterizzati dal
legame con l’attività produttiva

Negli anni del miracolo economico sempre più aziende strinsero rapporti con i designer della
seconda generazione, per esempio:
- nel 1948 l’azienda Pavoni chiamò Gio Ponti per ridisegnare le macchine per il caffè
per i bar
- nel 1949 l’azienda Necchi chiamò Rizzoli per ridisegnare la macchina da cucire;
nacque la macchina Supernova che diventò un vero e proprio gioiello
→ attenzione ai materiali, con introduzione delle materie plastiche (es. oggetti casalinghi e
scolapasta svuotabile); necessità di ricerca e sviluppo per ridurre al minimo gli scarti

Elettrodomestici bianchi → frigorifero e lavatrice


L’utilizzo di materie plastiche portò innovazione, inoltre ci fu collaborazione con i designer.
- Gino Valle collaborò per la serie Rex di Zanussi
- nel 1958 Pier Luigi Spadolini progettò per Radiomarelli un frigorifero realizzato
interamente in plastica
Nel 1947 i fratelli Fumagalli fondano Candy, azienda venditrice di elettrodomestici.

Elettrodomestici bruni → radio e tv


- nel 1954 Radiomarelli chiamò Spadolini per la realizzazione dei modelli di tv 17 pollici
e poi del portatile monovision
- l’azienda Phonola si affidò a Berizzi, Buttè e Montagni che nel 1956 realizzarono un
modello di tv a schermo orientabile
- nel 1964 l’azienda Brionvega collaborò con Zanuso e Sapper e realizzò l’Algol 11,
una tv con schermo che si inclina per permettere la visione anche quando viene
posta a terra
Infine, il Black del 1969 è rivoluzione, poiché contrappose un oggetto astratto al tradizionale
ambiente domestico.

Anche le aziende del ​mobile si unirono strettamente al disegno industriale. Oggetto sedia →
progettato e pensato da tutti i designer del dopoguerra.
- Poltrona in legno curvato cavour, disegnata da Gregotti, Meneghetti e Stoppino,
prodotto neo liberty
- Poltrona 4801, costituita da elementi curvati in legno compensato uniti a secco, di
Joe Colombo

Inoltre iniziò lo studio di modi per esaltare l’ambiente con la ​progettazione della luce​.
Azienda artemide → iniziò a realizzare prodotti di grande serie fino ad abbandonare la
fabbricazione di sedie e tavoli per occuparsi solo di illuminazione. La lampada Tolomeo di M.
De Lucchi riassunse tre temi: tecnologia, creatività e umanesimo.
Azienda Flos → realizzò la lampada Splügen Braü, che rifletteva la luce nella specchiatura
metallica della calotta, mentre l’arco contribuiva a costruire un nuovo spazio nella casa.
→ lo scopo è far prevalere la luce rispetto al suo contenitore

Riguardo al ​telefono​:
- nel 1959 Lino Saltini e Roberto Bonetto progettarono l’apparecchio unificato della Sit
Siemens diffuso in tutte le case italiane
- Zanuso e Sapper presentarono il Grillo, che rappresenterà il primo apparecchio che
si mimetizza tra i mobili, il telefono “in palmo di mano”

ADI (associazione per il disegno industriale) → fondata nel 1952 da designer come Zanuso,
Ponti etc., con l’adesione di Fiat, Olivetti e Pirelli.
Tra le problematiche affrontate:
- istituzione di scuole di disegno industriale
- mostra permanente della produzione
- museo del design
- istituzione di un marchio di qualità per i prodotti

Premio Compasso d’oro → istituito nel 1954 ad opera de la Rinascente e su idea di Gio
Ponti, è il più antico e autorevole premio di design nel mondo.
Il nome si riferisce a un compasso realizzato per poter determinare facilmente la sezione
aurea del segmento limitato dalla sua apertura. Esso, oggetto del premio, era in oro 18
carati disegnato da Zanuso e Rosselli. Con il premio si volevano onorare i meriti di quegli
industriali, artigiani e progettisti che nel loro lavoro, attraverso un nuovo e particolare
impegno artistico, conferivano ai prodotti qualità di forma e presentazione tali da renderli
espressione unitaria delle loro caratteristiche tecniche, funzionali ed estetiche.
Nel 1959 l’ADI si affiancò al premio, fino al passaggio definitivo nel 1965.

5. L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA E LA CULTURA SCRITTA

LEZIONE 5.1.
Le origini della “economia della conoscenza” europea nel Medioevo 

Alcuni storici ritengono che la cultura favorevole allo sviluppo economico abbia origini
nell’antichità, mentre altri pensano che questa cultura si sia sviluppata solo nel 1600 e 1700.
Questo perché la conoscenza e il know-how sono fattori importanti dell’economia, e
l’economia della conoscenza deve essere studiata.

Lo sviluppo economico nacque e si sviluppò in Europa, e per molto tempo gli altri continenti,
che avevano primati culturali e tecnologici, non riuscirono a tenersi al passo.
Gli storici dell’età moderna (dal 1400 al 1700) però hanno sottolineato che anch’essa
contribuisce a spiegare lo sviluppo economico dalla rivoluzione industriale in avanti. Come?

1. Investimenti in capitale umano


Cura della qualità del capitale umano → attenzione all’istruzione e ad altre forme di
conoscenza principalmente per forma scritta, tramite la quale le persone acquisirono
capacità che modificarono qualitativamente le loro attività.
Cura della quantità → comportamenti demografici controllati (​european marriage
pattern​, meno figli per dare loro più istruzione e doti)
2. Creazione di istituzioni efficienti
Certezza dei diritti e dei contratti, che facilitavano le transazioni economiche (feudi,
corporazioni, notariato, contratti agrari, regole formali e informali etc.)

3. Sviluppo di nuovi centri di cultura nel Medioevo


Proliferazione dei monasteri, specialmente dopo la riforma cluniacense (X-XI secolo)
I monasteri erano importanti centri di consumo e produzione testi scritti. i testi
parlavano di cultura classica ma anche di botanica e molti altri argomenti. I centri
monastici divennero sempre più numerosi (Montecassino, Bobbio, San Gallo,
Citeaux) e al loro interno veniva svolta attività intellettuale e manuale di copia dei
testi. L'attività di produzione era affidata anche ad un artigianato laico di copisti,
anche itineranti.
Oltre a questo ci fu lo sviluppo delle università dal XI secolo (Bologna, Salerno,
pavia, Napoli)

> Come funzionava la produzione di testi scritti nel Medioevo, prima della stampa?
Non potendo approvvigionarsi di papiri egiziani, il materiale scrittorio divenne la pergamena
(pelle trattata con un procedimento lungo). Nei monasteri avveniva la produzione di codici,
documenti consistenti, e si passò lentamente alla cucitura in un volume dei fogli manoscritti.
Per facilitare la crescita dei codici manoscritti vi furono innovazioni:
- invenzione scrittura carolina minuscola che agevola scrittura
- sistema della pecia nelle università → l’esemplare ufficiale del testo era diviso in più
capitoli dati a librari affiliati all’università; chi aveva bisogno di una copia poteva
affidarsi a copisti, anche studenti, laici
Tutto ciò diminuì il costo dei testi facilitandone la diffusione.

La domanda era rappresentata in gran parte da ecclesiastici che vivevano in monasteri o in


città, in seguito al 1000 si integrò la domanda accademica e poi quella dei ceti commerciali
che ne avevano bisogno per le scritture contabili.
Alla fine del Medioevo, la popolazione alfabetizzata crebbe passando dall’1% del 1000 al
12% nel 1500. Si trattava più che altro del saper leggere, più raramente scrivere e fare conti.
I progressi però erano disomogenei, poiché riguardavano:
- più l’Europa occidentale e meno quella orientale
- più la città che la campagna
- più i ceti ecclesiastici che quelli laici
- più gli uomini che le donne
Questo perché il libro era ancora un prodotto costoso, e il mercato librario era ridotto e poco
diffuso, non alla portata di tutti.

Una parte d’Europa, detta carolingia (da Londra a Genova) comunque si distinse in termini
di densità demografica, economica, ma anche culturale; quest’area è rappresentata
geograficamente dalla cosiddetta “banana blu”.
LEZIONE 5.2.
Il libro a stampa e l’editoria in età moderna 

Libro → medium di grande importanza, veicolo di contenuti e oggetto di una importante


industria. Con l’invenzione del libro a stampa nacque l’uomo tipografico, che si approccia al
sapere con uno sguardo particolare, e poi la “galassia Gutenberg”, ovvero l’insieme del
sapere dell’umanità che va ad accumularsi in questa forma.

L’arte della stampa, cioè la creazione di matrici e la loro inchiostratura, era conosciuta da
molti secoli; in particolare, i caratteri mobili erano noti in Cina e in Giappone (dal 1041). Essa
non si diffuse, probabilmente perché la scrittura orientale non aveva un numero fisso di
caratteri, ma ideogrammi.
L’invenzione del torchio tipografico avvenne ad opera dell’orafo Johann Gutenberg di
Magonza, che decise di applicare torchio e punzoni alla stampa di libri. Il primo progetto
editoriale fu la stampa della Bibbia a 42 linee (file di caratteri a pagina) in caratteri gotici;
servirono diversi anni ma fu di ottima qualità, e ne vennero prodotte 180 copie accolte con
entusiasmo. In passato fare così tante copie sarebbe stato impossibile senza un largo
numero di amanuensi.
In parallelo ci fu la diminuzione del costo della carta; presto avvenne la diaspora degli
stampatori tedeschi in Europa, con la diffusione di questa tecnologia e l’aumento
esponenziale delle stamperie nelle città.

Perché avvenne questa rapida espansione?


Esistevano già lettori e istituzioni dai quali i libri erano altamente richiesti, ma i costi di
produzione impedivano l’aumento della domanda; la stampa fu la soluzione a questo
problema → tra il 1455 (anno di stampa della prima Bibbia) e il 1485, il costo del libro si
ridusse dell’85-90%; inoltre crebbero i titoli, le edizioni e le tirature delle copie, ci fu la
transizione dal libro a mano a quello manoscritto.
La scarsità di libri non fu più un problema, tant’è che già a metà 1500 ci fu una
sovrabbondanza di opere.
Nacquero così strumenti, anche a stampa, di orientamento bibliografico, a cura dei
bibliotecari → bibliografie, catalogazione/classificazione/ordinamento delle biblioteche,
recensioni → nascita biblioteconomia

Ci fu una precoce adesione del mondo ebraico e armeno (minoranze che avevano necessità
di conservare la propria cultura per mantenere l’identità nei secoli, erano acculturate),
mentre la diffusione fu ritardata in Russia e nell’Europa cristiano-ortodossa (Bulgaria, Serbia,
Romania, Ungheria), poiché:
- la popolazione alfabetizzata era prevalentemente il clero
- la penetrazione della cultura tipografica avvenne lentamente
- tra 1600 e 1700 vennero fondate stamperie su impulso dello zar Pietro il Grande, ma
la stampa in questo modo era dipendente dal potere, non libera
Ci fu resistenza anche nel mondo musulmano:
- nel 1515 fu istituita la pena di morte a chi stampava libri religiosi
- a fine 1500 viene consentita la vendita solo dei libri non religiosi
- a Istanbul nel 1726 nacque la prima stamperia turca, e nel 1831 la prima gazzetta
ufficiale ottomana

Anche in Europa occidentale, il nuovo medium vide atteggiamenti contrastanti → scontro tra
trionfalisti e catastrofisti.
Va sottolineato che l’arte della stampa produce nella gente comune un senso di libertà e
consapevolezza dei propri diritti (legame libertà-industria del libro), viceversa l’assenza di
stampa è legata al dispotismo.

Trinomio arte della stampa + bussola + polvere da sparo → ha segnato l’inizio di un’epoca
nuova (cit. Francis Bacon)
Questo però causò la perdita di professioni come amanuensi e copisti, e la criticità delle
autorità ecclesiastiche e di governo → il libro è un medium pericoloso, significa idee che
circolano anche oltre la vita dell’autore, e consente al lettore di confrontarsi direttamente
anche con le Sacre Scritture, ritenuto pericoloso.

LEZIONE 5.3.
La riorganizzazione del sapere: le istituzioni del libro 

La nascita delle prime biblioteche è antica (es. biblioteca di Alessandria). Nel Medioevo, il
sapere scritto era conservato in monasteri e conventi, cattedrali e poi università.
Con la diffusione del libro, a partire dal Rinascimento, si ebbe una diffusione delle
biblioteche private presso importanti famiglie, che fecero del libro un oggetto di collezione.
Raccolte celebri:
- Trivulziana di Milano (della famiglia Trivulzio, con pezzi sin dall’VIII secolo)
- Magliabechiana di Firenze
- Medicea Laurenziana di Firenze
Nei secoli XV-XVI ci fu sviluppo sia dell’architettura che delle collezioni, e ciò diede vita a
biblioteche in edifici appositamente costruiti, come:
- Marciana di Venezia
- Vaticana di Roma
Ci sono poi piccole biblioteche private, nate da specifiche istruzioni per la gestione dei lasciti
testamentari.

Età dell’oro delle biblioteche (XVII-XVIII secolo)


Fondazione Biblioteca Ambrosiana fondata dal cardinale Federico Borromeo nel 1609. Egli
lo fece per rendere disponibile a chiunque sapesse leggere e scrivere una raccolta di
prodotti culturali a stampa (libri, disegni, incisioni) il cui nucleo originario era quello della
famiglia Borromeo. Dotò la biblioteca di mezzi adeguati per funzionare, con una sede propria
e finanziamenti. Inoltre furono mandati in tutto il mondo persone alla ricerca di altri pezzi
stampati; oltre a permettere il godimento dei beni, si occupa anche della raccolta di beni
preziosissimi.
Nasce la biblioteconomia → organizzazione fisica dello spazio, gestione delle raccolte,
catalogo, consultazione servizi al pubblico, diffusione dell’informazione.
Si passa dalle biblioteche reali (o palatine) a quelle nazionali durante il 1600/700 e poi 1800,
con la funzione di rappresentare e conservare tutta la produzione culturale scritta di un
paese, con la creazione dell’istituto del deposito legale → ogni stampatore deve depositare
alcune copie presso le biblioteche nazionali.

Il libro incontrò anche la reazione delle autorità, e fu vittima dello strumento regolatorio della
censura.
Censura → opposto della libertà di stampa, rivela i rapporti tra politica e cultura, religione e
scienza, istituzioni e morale. Anche oggi ci sono limiti, seppur minimi, legati alla difesa della
privacy o verso materiale potenzialmente offensivo.

Censura ecclesiastica → durata secoli, con diverse motivazioni (timore di eresia, magia,
occultismo, immoralità, paura che i credenti si confrontassero direttamente con le Sacre
Scritture senza nessuna mediazione.

Come veniva applicata la censura?


Inquisizione → istituzione di origini medievali che nel 1500 si espresse nella forma
dell’Inquisizione Romana della chiesa cattolica, che ancora oggi ha il compito di vigilare sul
fatto che le dottrine e le pratiche di ecclesiastici e fedeli rispettino l’ortodossia.
Essa si avvalse anche di metodi violenti, come tortura e condanna a morte, nonché con
roghi dei libri e liste di libri proibiti (indice Paolino del 1559, Index librorum proibitorum).
Processo analogo avvenne anche nella chiesa protestante.

Censura laica → vi era timore della diffusione di idee contro il governo e rivoluzionarie.
In Inghilterra la stampatura fu a lungo concessa solo alle stamperie di Londra o delle città
universitarie Oxford e Cambridge. La preoccupazione crebbe con la nascita dei giornali,
portavoce di opinioni anche politiche, che dal XVII secolo subirono molte forme di controllo,
e con le opere teatrali.
Talora la censura finiva per agire preventivamente nello scrittore (autocensura), ma si
sviluppò anche una circolazione clandestina di opere a stampa (contrabbando librario).
Alcune biblioteche furono autorizzate a possedere libri proibiti (es. ambrosiana a Milano e
angelica a Roma)

LEZIONE 5.4.
Imprenditori, imprese e mercati del libro nell’Europa moderna 
 
Attorno al libro si è sviluppata una lunga filiera a monte e a valle, con varie fasi che
conducono al prodotto a stampa finito. La filiera prende avvio dalla produzione della carta e
si regge sull’operato di professioni intellettuali antiche (autori, copisti) ma anche moderne
(tipografi, redattori, correttori di bozze, librai e bibliotecari, giornalisti).
Si tratta di una vera impresa, e anche se fino al 1700 c’era una divisione tra i ruoli, in seguito
si formò una figura unica, l’editore-stampatore-libraio.
Che ruolo svolge?
- guarda il libro come una merce e un prodotto e ne segue tutte le fasi, sviluppando
competenze relative alla produzione, alla distribuzione e alla fruizione
- possiede competenze gestionali e gestisce i rapporti con tutti gli altri soggetti della
filiera (autori, istituzioni culturali, autorità pubbliche, spedizionieri, lettori)
- è uomo di cultura, un imprenditore culturale

Nel corso del tempo l’editoria fece grandi progressi, determinati dall’evoluzione di cultura e
letterature, condizioni economiche e politiche. Questa evoluzione va attribuita a tipografi
come Aldo Manuzio e Giambattista Bodoni → introdussero nuove modalità di stampa, al
punto che le edizioni uscite dai loro torchi presero il loro nome.
La stampa si diversificò offrendo diversi formati e prezzi, e raggiungendo nuovi destinatari; in
generale, però, le tirature restavano basse, e il libro continuava ad essere considerato
un’opera di qualità, oggetto di collezionismo e antiquariato librario.

Nel corso dell’Età moderna nacquero nuovi generi e mercati in cui i tipografi/editori si
specializzarono. Nel 1600 nacquero le prime gazzette (pubblicazioni periodiche) e la stampa
popolare → pubblicazioni a scopo devozionale, oppure almanacchi o prodotti stampati di
tipo non editoriale, come fogli murali, figure di santi conosciuti dalla popolazione analfabeta.
Bibliotheque bleu → letteratura popolare con prodotti di bassa qualità e piccolo formato, con
contenuto popolare, che si rivolgono a strati sociali alfabetizzati e con un capitale culturale
che li porta ad interessarsi a protoromanzi, storie e saghe.
Inoltre vennero stampate edizioni teatrali e musicali che richiedevano abilità e attrezzature
particolari nella produzione e nella stampa, e atlanti e cartine.

Parallelamente alla produzione si sviluppò anche il commercio del libro su scala


internazionale, basato su strumenti come:
- cataloghi di vendita, pubblicità
- intermediari e agenti di commercio
- filiali estere
- fiere del libro dal XVI secolo (es. Francoforte e Lipsia)
- librai e librerie
- librai ambulanti (​colporteurs)​ di stampe, giornali e almanacchi, anche con lettura ad
alta voce

es famiglia remondini bassano del grappa (vicenza) → avviano un’impresa di editoria e


commercio stampe popolari secoli XVII-XIX

Almanacchi (detti anche lunari, pronostici, strenne) → nome che viene da una parola araba
che indica tavole astronomiche per organizzare il tempo. Si trattava di un prodotto minore
perché destinato a lettori non appartenenti alla classe colta, quindi cultura scritta di tipo
popolare. Proprio questa sua natura questo genere non è stato considerato da studiosi e
biblioteche, ma ebbe una larghissima diffusione.
Fu un fenomeno eclatante che durò secoli in molti paesi → vi erano titoli con nomi
stravaganti, con cadenza annuale, che venivano venduti prevalentemente tra novembre e
dicembre, anche “strillati” in piazza. Essi mostrano longevità (alcuni titoli durarono per
decenni). Questo fenomeno dimostra la diffusione in un grande mercato dei prodotti a
stampa.
Perché sono un prodotto culturale interessante?
I suoi destinatari non erano toccati dagli altri prodotti a stampa (es. contadini), ed essi erano
una guida per la vita quotidiana, che conteneva indicazioni semplici ed elementari, con
centralità del calendario e dell’organizzazione del tempo, che si divideva in:
- tempo naturale → ritmo ciclico delle stagioni e degli astri, con costante riferimento
alle attività agricole (influssi lunari)
- tempo della festa → sacra e profana, i giorni della festa patronale e del riposo, del
digiuno, dei riti e della preghiera, della comunità, della fede e della speranza
- tempo dell’attesa → per l’ “anno che verrà”, con pronostici astrologici per prevedere
pioggia e sole, nascite e morti, guerra e pace, poi gioco del lotto per conquistare la
fortuna
I modelli erano ricorrenti e presentavano tante analogie, nonostante il luogo e l’epoca di
stampa.

Col tempo si vede un’evoluzione dei contenuti, anche su sollecitazione, a partire


dall’Illuminismo che si pone il problema dell’educazione popolare, con discussioni che
portarono perfino a introdurre la censura sui contenuti degli almanacchi, considerati
diseducativi e che favorivano la superstizione (per esempio a Milano)
Nel 1800 emersero almanacchi con contenuti diversi, che diventarono strumenti utili e che
affiancavano ai contenuti astrologici anche istruzioni sull’agricoltura e l’economia, unità di
misura e monete. Si arrivò anche ad almanacchi ufficiali con contenuti validati.
Durante il secolo comunque essi continuarono a nutrire un enorme mercato, e questo
rispecchiava la crescita del livello di alfabetizzazione. Vennero conquistati nuovi lettori
appartenenti al pubblico borghese e urbano, con almanacchi galanti e strenne illustrate.

Le immagini stampate occupavano anch’esse una parte del mercato, con:


- incisioni e acqueforti realizzate dai maggiori artisti
- stampe popolari
- immagini di santi
- stampe satiriche
- carte geografiche e atlanti (il primo fu il ​Theatrum orbis terrarum di Ortelio, anversa
1570)

In età moderna nacque poi il settore della stampa periodica, la moderna “stampa”; si tratta di
un fenomeno molto ampio, con pubblico sempre più esteso.
XVII secolo → prime gazzette e corrieri (raccolte di notizie di politica estera), avvisi (pubblico
prevalentemente mercantile), giornali letterari o scientifici-letterari (espressione di
accademie)
I contenuti erano solitamente molto brevi e c’erano dibattiti, essi erano su base periodica e
avevano una rete di corrispondenti, nasce la professione di giornalista.
Nel 1700 e 1800 aumentarono le notizie utili, ovvero le notizie relative all’organizzazione di
fiere e mercati, cambi di valute, pubblicità di avvisi relativi a aste e compravendite,
comunicati di tribunali commerciali.
Durante l’Illuminsmo divennero massima espressione del rinnovamento culturale e politico,
perché moltiplicavano l’eco delle idee.
Tra XVIII e XIX secolo ci fu un enorme incremento di testate e tirature, da qui la necessità di
studiare il funzionamento di questo settore.

 
 

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