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PNRR Cos'è a cosa serve
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PNRR Cos'è a cosa serve

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About this ebook

Cosa contiene e cosa fa il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Pnrr? Scuola, trasporti, sanità, lavoro sono solo alcuni dei capitoli del Piano, che indica come impiegare i fondi europei, la cui erogazione è rigidamente connessa all’esecuzione di interventi puntuali e importanti riforme. Il libro riepiloga e illustra i progetti del Pnrr, indicando dove informarsi e spiegando come le voci del Piano ricadranno sulle nostre attività, da quelle economiche al tempo libero, dal welfare agli uffici pubblici. Con i contributi dei giornalisti del Sole 24 Ore Marzio Bartoloni, Roberto Bernabò, Jean Marie Del Bo, Celestina Dominelli, Carmine Fotina, Giovanni Negri, Alberto Orioli, Giorgio Pogliotti, Giorgio Santilli, Gianni Trovati, Claudio Tucci. E con gli esperti Fabio Bassan, Marcello Clarich, Luigi Conte, Patrizia Ruffini, Gianlorenzo Saporito, Guglielmo Saporito

«Leva», diss’io, «maestro, li occhi tuoi:
ecco di qua chi ne darà consiglio,
se tu da te medesmo aver nol puoi».
La Divina Commedia Purgatorio, Canto III
LanguageItaliano
PublisherIlSole24Ore
Release dateMay 26, 2022
ISBN9791254840108
PNRR Cos'è a cosa serve
Author

Mauro Meazza

Mauro Meazza milanese, è al Sole 24 Ore da una trentina d’anni, più della metà dei quali trascorsi occupandosi di Norme & Tributi, scrivendo e parlando di Fisco, pensioni, giurisprudenza.

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    PNRR Cos'è a cosa serve - Mauro Meazza

    COSA FA IL PNRR

    Mille progetti alla prova della realtà

    di Giorgio Santilli

    Il Piano nazionale di ripresa e resilienza per l’Italia, approvato dal Consiglio Ue il 13 luglio 2021, è un programma di impegni verso l’Unione europea e un’opportunità unica per accelerare l’economia italiana. Ma ancora per qualche mese sarà anche uno scatolone pieno di magie. A renderlo tale le aspettative per un mix inedito composto di finanziamenti europei per 191,5 miliardi (68,9 di sovvenzioni e 122,6 di prestiti) e un piano di 63 riforme e 134 linee di investimenti che dovranno essere realizzati in tempi vincolati (conclusione entro il 2026 rispettando un percorso costellato di 527 fra milestone-traguardi e target-obiettivi). I fondi europei saranno integrati da 30,6 miliardi di un Piano nazionale complementare (Pnc) che porta il totale dei fondi a disposizione del Pnrr italiano a 222,1 miliardi. Fra le molte sfide che il Piano assume come prioritarie per il futuro dell’Italia ci sono una ripresa degli investimenti al di sopra del 3% del Pil e un forte aumento della produttività (che implica la scelta di buoni investimenti). Una risposta ai due fattori che principalmente hanno frenato l’economia italiana negli ultimi trenta anni.

    Tradotta in un numero di sintesi, questa cura punta a innalzare il tasso potenziale di crescita dell’economia italiana dallo 0,6% del 2021 all’1,4% del 2026. O, se si preferisce guardare agli effetti complessivi e non solo a quelli strutturali, in un aumento di 3,6 punti percentuali del Pil e di 3 punti dell’occupazione al 2026.

    Ben presto, però, lo scatolone magico - tutto giocato sul concetto orizzontale di riforma del sistema Paese - si aprirà e cercheremo di capire, oltre le formule di rito, se e come le aspettative si tradurranno in realtà. Per superare la prova della realtà il grande Piano orizzontale dovrà cioè verticalizzarsi, tradursi in tante singole procedure che porteranno avanti singole riforme e singoli progetti, di tappa in tappa, di milestone in milestone, giù giù fino al raggiungimento del target finale che dovrà segnare la realizzazione completa della singola linea verticale. Vedremo, cioè, se i singoli progetti che compongono il Piano produrranno il risultato atteso. La magia via via scomparirà e resteranno solo gli ostacoli da superare, gli impegni da assolvere, i traguardi da superare. Ognuno vorrà vedere se il pezzo di Pnrr che lo riguarda più da vicino si realizzerà. I ministeri controlleranno lo stato di avanzamento dei loro progetti, le imprese parteciperanno sempre più ai bandi di gara per gli appalti e i vincitori firmeranno i contratti, i professionisti ultimeranno i progetti, le Pa dovranno pagare rispettando i tempi, il ministero dell’Economia dovrà controllare che tutto venga eseguito in ordine. I mille progetti verticalizzati del grande Piano orizzontale saranno il laboratorio che decreterà la riuscita o meno del Pnrr italiano. Solo per questa via, ancora tutta da percorrere, il grande Piano diventerà espressione dell’intero Paese e solo per questa via inclusiva diventerà un caso di successo capace di mettere le ali all’economia italiana. Questa è la ragione anche di questa nostra iniziativa editoriale e di tutto quello che Il Sole 24 Ore fa da un anno in qua: spiegare e rendere comprensibile a tutti non solo il Piano, ma anche le tappe della fase di esecuzione.

    Ma torniamo alla sfida che il Pnrr rappresenta. L’analisi che introduce il Pnrr, scritta da Mario Draghi, ha dato al Pnrr lo spessore che gli consente di ottenere in partenza un ampio consenso - in Italia e a Bruxelles - sul fatto che quella sia la ricetta giusta. Ha consentito di superare la scatola senza magia e senza anima che era il Piano predisposto dal Governo Conte. Sia chiaro, come ha rivendicato l’ex premier e come in alcuni frangenti ha detto lo stesso Draghi, molti degli investimenti contenuti nel Pnrr finale sono quelli messi in campo già dalle proposte di Conte. Ma la scatola di Conte risultava più un elenco di cose da fare che una cura per ribaltare il destino dell’Italia contemporanea.

    Va anche detto che alcune obiezioni di fondo sono state via via mosse, da più parti e non a torto, anche al Piano di Draghi: troppa concentrazione sugli investimenti pubblici e poca attivazione del partenariato pubblico-privato; eccessiva ministerializzazione degli investimenti che inevitabilmente risultano troppo settoriali e spesso poco coordinati fra loro e con gli obiettivi più generali; scarsissimo coinvolgimento delle città nel disegnare piani trasversali e intersettoriali, portatori di uno sviluppo lungo sul territorio (come accade in tutte le metropoli europee); poca organicità del disegno della transizione ecologica, soprattutto in termini di sostegno al sistema industriale - cuore dello sviluppo italiano - a trasformarsi in tempi rapidi, come ha invece cominciato a chiedere l’Europa con il pacchetto Fit-to-55; disparità di atteggiamento sul fronte decisivo delle autorizzazioni progettuali, con i primi risultati incoraggianti per le grandi infrastrutture ferroviarie accelerate dal decreto legge 77/2021 e ancora deludenti per gli impianti energetici (soprattutto rinnovabili e rigassificatori) su cui si sta intervenendo con nuove misure di semplificazione.

    Da ultimo, è stata l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin e la guerra russo-ucraina che ne è scaturita, con l’aggravarsi dei rincari delle materie prime e la crisi energetica che ha portato a porre inevitabilmente la questione dell’attualità del Pnrr e l’ipotesi di passare a un Piano B che confermi le cose buone ma possa anche fare del Pnrr la soluzione ai crescenti problemi di approvvigionamento ed efficientamento energetico. Soluzione forse inevitabile, in prospettiva, se la Ue non deciderà di varare un Pnrr-bis, tutto dedicato all’energia, confermando la soluzione virtuosa di un debito comune europeo per far fronte alle grandi emergenze del nostro tempo.

    Per ora il governo risponde che no, il Piano va bene così e va avanti. Ed è comprensibile che il guidatore di un’auto che sta tentando di trasformarsi da 500 in Ferrari non voglia distrazioni e chieda invece a tutti di continuare a dare il massimo impegno in questa operazione. Arriverà, però, un momento in cui il meccanico dovrà mettere mano anche ai contenuti del Piano. Sarà, probabilmente, il momento in cui si comincerà a capire che alcuni investimenti non ce la faranno a tenere ritmi, impegni e risultati promessi e, non essendo né riforme fondamentali né investimenti essenziali per far fare il salto all’economia italiana, potranno essere sostituiti in corsa senza troppi danni. Avere un Piano B nel cassetto potrà essere utile quando quel momento arriverà.

    Per ora, però, lo scatolone del Pnrr continua a fare il suo percorso. Alcuni risultati già si vedono. In materia di grandi opere pubbliche - quelle già avviate che la Ue ci ha consentito di finanziare con fondi sostitutivi a patto che venissero accelerate - stanno rispondendo bene, mentre il ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili Giovannini, che ha una dotazione complessiva di 64 miliardi (se consideriamo anche quelli del Fondo nazionale complementare), ha superato le inerzie del passato ed è stato il più veloce a far affluire le risorse sul territorio a Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni. Anche la riforma della Pubblica amministrazione, che costituisce un pilone fondamentale di tutto l’assetto del Pnrr, è partita nei tempi giusti, grazie all’azione del ministro della Funzione pubblica Brunetta. Il lavoro incessante di mediazione della ministra della Giustizia Cartabia ha consentito di mettere in moto le prime, difficilissime riforme della giustizia, che comunque saranno un test della tenuta del Piano fino al 2026.

    Tuttavia, riforme come quelle della concorrenza, della stessa giustizia e del Fisco dimostrano che il cammino del Pnrr sarà tortuoso, soprattutto in Parlamento, dove le forze politiche sembrano volersi caratterizzare più per gli elementi identitari di dissenso e di scostamento piuttosto che per raccogliere orgogliosamente il frutto del lavoro svolto insieme. La prima fase di attuazione conferma che il governo Draghi rappresenta l’unità nazionale, nata proprio per realizzare il Pnrr oltre che per sconfiggere il Covid, ma anche che le forze politiche fanno grande fatica a riconoscersi in questa unità nazionale. La guerra russo-ucraina non sembra cambiare questo stato di cose.

    Ci sono anche i vizi antichi che ritornano e che costituiscono un altro fondamentale banco di prova: in particolare l’inadeguatezza di Regioni e Comuni a tenere il passo della progettazione degli interventi (soprattutto al Sud). In campo sono state messe le migliori forze nazionali, a partire da Cassa depositi e prestiti (oltre che migliaia di assunzioni di figure tecniche nel settore pubblico allargato), per sostenere il salto di qualità progettuale sul territorio. Ma la partita è ancora lunga e le prime battute non sono positive. Un altro segnale di allarme è arrivato con il dato diffuso dal Mef della spesa contabilizzata nel 2021: 5,1 miliardi, solo il 37% dei 13,7 miliardi previsti, sia pure da obiettivi nazionali (che non ci creano problemi con i controlli di Bruxelles ai fini dell’approvazione dei finanziamenti). Erano spese già in corso, per cui i fondi nazionali sono stati sostituiti con fondi Ue (con beneficio sulla riduzione del deficit), ma l’accelerazione prevista si è effettivamente verificata soltanto per le opere ferroviarie dell’Alta velocità (ora messe a rischio, per altro, dagli aumenti dei costi delle materie prime). Un dato che conferma la necessità di non distrarsi e spingere ancora, ma al tempo stesso di guardare con realismo ai contenuti dello scatolone magico per farli aderire il più possibile a una realtà sempre molto complessa.

    (19 aprile 2022)

    Cosa cambia per i cittadini

    di Marcello Clarich

    Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha generato molte aspettative di rilancio del nostro Paese. Ma che cosa cambierà in pratica per il comune cittadino una volta completata l’attuazione del piano nel 2026?

    Un primo versante è la semplificazione degli

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